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La valutazione degli interventi per l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con disturbo
psichiatrico. Da un caso di studio alla proposta di un modello
Claudio Torrigiani – Dipartimento di Scienze della Formazione, Università di Genova
Abstract
Il contributo proposto riguarda gli interventi per l’inserimento sociale e lavorativo di persone con
disturbo psichiatrico e intende presentare un modello per la valutazione di questo tipo di interventi a
partire dall’analisi di un progetto appena concluso, finanziato dalla Regione Liguria a valere sul
Fondo Sociale Europeo. Si tratta di un caso interessante per la valutazione delle politiche pubbliche,
in quanto attiene un ambito di intervento intersettoriale, che richiede l’integrazione delle politiche
sanitarie, delle politiche sociali, delle politiche formative e del lavoro e che necessita il
coinvolgimento diretto e la collaborazione del mondo aziendale.
Anche guardando a un singolo progetto, tale inter-settorialità ha un impatto molto rilevante e
immediato che rende complessa la valutazione di questa politica pubblica, in quanto rende necessaria
l’implementazione, in parallelo o in successione, di azioni diverse tutte necessarie per garantire
l’efficacia complessiva del percorso verso la salute e l’inclusione sociale della persona.
Alla molteplicità e alla necessità di coordinamento di azioni diverse, si accompagna un ulteriore
elemento di complessità dato dalla presenza di numerosi attori – pubblici, privati e di terzo settore –
che, con competenze diverse ma tutte necessarie, devono non solo coordinare l’implementazione di
azioni differenti di cui ciascuno ha piena ed esclusiva responsabilità, ma anche coordinarsi
nell’implementazione comune di azioni che richiedono l’integrazione delle rispettive competenze. Il
coordinamento tra diversi attori si gioca su due livelli distinti e complementari che entrambi
richiedono la condivisione di linguaggi e culture professionali talvolta anche molto distanti: il livello
inter-organizzativo e quello intra-organizzativo. Operatori che appartengono a organizzazioni diverse
hanno spesso approcci distanti allo stesso problema che derivano dalle competenze istituzionali ma
anche dai valori di riferimento dell’organizzazione cui appartengono. Operatori appartenenti alla
stessa organizzazione, pur condividendo, almeno formalmente, i valori e le competenze istituzionali
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che essa rappresenta, spesso li interpretano in maniera differenziata in ragione del proprio ruolo e
della relativa cultura professionale. Nel caso specifico si aggiunge l’elemento problematico derivante
dalla necessità di coordinare attori istituzionali a livelli diversi, come l’amministrazione regionale,
provinciale e comunale, titolari di competenze da integrare per il successo dell’intervento.
Agli elementi sopra accennati si aggiunge un elemento di complessità dato dalla particolare tipologia
di utenza. Le persone con disturbo psichiatrico, infatti, anche per l’inserimento sociale e lavorativo
esprimono bisogni molto differenziati in ragione della patologia specifica. Questa ha ripercussioni
immediate sulla tipologia di mansione, sulla possibilità e il grado di integrazione in gruppi di lavoro,
sugli orari realisticamente sostenibili, sulla durata dei percorsi e molte altre dimensioni
dell’intervento. Questo significa che la personalizzazione dell’intervento sulle caratteristiche della
persona non è, come per altri tipi di politica, un elemento per la massimizzazione dell’efficacia quanto
piuttosto, in senso stretto, una condizione per l’efficacia.
Nel contributo viene presentato l’insieme delle attività valutative messe in opera nel corso del
progetto, ponendo particolare enfasi sulle criticità riscontrate in relazione alla tipologia di azioni
valutate, di destinatari e di stakeholder coinvolti nell’attuazione del progetto.
Su questa base, e alla luce delle caratteristiche sopra delineate, viene proposto un modello per la
valutazione di questo tipo di interventi che si inserisce nell’alveo della valutazione guidata dalla teoria
e, tenendo conto delle diverse componenti di quest’ultima (teoria del processo e teoria dell’impatto)
e applicandole simultaneamente alle diverse azioni ritenute necessarie per il successo
dell’inserimento sociale e lavorativo, tenta di individuare gli elementi di cui tenere conto per costruire
un sistema integrato di monitoraggio e valutazione dei percorsi di inserimento sociale e lavorativo
delle persone con disturbo psichiatrico.
Parole chiave: inclusione sociale, inserimento lavorativo, disturbo psichiatrico, valutazione guidata
dalla teoria
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1. Concetti chiave di riferimento: salute, disabilità, inclusione sociale
A partire dalla definizione del concetto di salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e
sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità”, anche la salute mentale deve intendersi
come qualcosa di “più della mera assenza di disordini o disabilità mentali” (WHO, 2014), come uno
stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l’individuo è in grado di sfruttare il proprio
potenziale ed esplicitare le proprie capacità cognitive ed emozionali, rispondere alle esigenze
quotidiane della vita di ogni giorno ed affrontare gli eventi che lo sottopongono a stress, lavorare in
modo produttivo e fruttuoso, contribuire alla vita della comunità ed esercitare la propria funzione
all’interno della società, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare
costruttivamente ai mutamenti dell’ambiente e adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni
(WHO, 2013; Ministero della Salute, 2013). Non c’è quindi salute senza salute mentale: quest’ultima
non è da intendersi come semplice assenza di disordini mentali ed è determinata da molteplici fattori
socio-economici, biologici ed ambientali (WHO, 2014). Ad esempio, il livello di salute mentale
correla con la povertà, con il livello di istruzione, con la condizione occupazionale, con la dotazione
di capitale sociale, con la rapidità del mutamento sociale, con condizioni lavorative particolarmente
stressanti, con la discriminazione di genere e l’esclusione sociale, con stili di vita e salute fisica, con
il rischio di subire violenze e con la violazione dei diritti umani.
Se quella sopra riportata è la definizione attualmente condivisa di “salute mentale” e quelli appena
citati sono alcuni dei fattori che correlano con il livello di salute mentale, i disturbi di salute mentale
sono definibili come stati di malessere emotivo, psicologico e cognitivo, anche parziale e
momentaneo, determinati da molteplici fattori biologici, psicologici, economici, sociali e ed
ambientali, che incidono sulla capacità della persona di interagire efficacemente con l’ambiente che
la circonda, gli altri esseri umani, la comunità, la società e anche con se stessa, impedendole di
esprimere il proprio potenziale e di esplicitare le proprie capacità.
Tali disturbi sono certamente annoverabili tra i più disabilitanti: non a caso, nella International
Classification of Functioning, Disability and Health (WHO, 2001), che descrive lo stato di salute
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della persona in relazione ai suoi ambiti di funzionamento (familiare, lavorativo e sociale) e giunge
alla definizione di disabilità come condizione di salute in un ambiente sfavorevole (Ferraresi, 2005),
le funzioni mentali sono riportate per prime, immediatamente seguite da quelle sensoriali e
comunicative . La disabilità (mentale) va dunque sempre intesa come il risultato di una complessa
relazione tra le condizioni di un individuo e i fattori ambientali (Marzoli, 2013) e il suo elemento di
definizione si sostanzia non tanto in un connotato del soggetto, ma nella vulnerazione che su esso
producono le caratteristiche dei contesti di vita (Ruggeri, 2013).
La dis-abilitazione del soggetto ad opera del contesto di vita e lavoro e, dunque, l’origine socio-
ambientale del disturbo di salute mentale, pare confermata tra l’altro dalla tendenza crescente all’uso
di sostanze e psicofarmaci finalizzata non alla cura di patologie conclamate, ma al potenziamento
delle normali prestazioni cognitive, ormai ritenute socialmente inadeguate (Maturo, 2012; Collin et
al., 2012) anche in risposta ai normali processi di invecchiamento (Katz e Peters, 2012). Questa
tendenza risponde tra l’altro a un processo diffuso di medicalizzazione, che vede trasformate in
problemi medici condizioni umane prima non considerate patologiche (Conrad, 2007, 2009).
Se osserviamo poi il rapporto tra salute mentale e inclusione sociale ci rendiamo conto di come, in
una società dell’informazione e della comunicazione, del prodotto immateriale e creativo, in una web
society in cui l’ecletticità diviene imperativo categorico per lo scienziato sociale (Cipolla, 2013) e
non solo, la stessa definizione di salute mentale come capacità di interazione e adattamento dinamico
all’ambiente di vita rende il disturbo di salute mentale un fattore di esclusione sociale probabilmente
più minaccioso per la persona rispetto a quelli riferiti ad altri ambiti funzionali, come ad esempio
quello delle funzioni locomotorie e i relativi apparati. Per la persona con disturbo di salute mentale
l’inserimento lavorativo ha una indiscutibile valenza inclusiva, riconducibile sia alle funzioni
esplicite e di carattere sociale che esso riveste sia a funzioni più implicite, che riguardano la
condizione della persona rispetto alla malattia e sono connesse a fattori latenti – il tempo, lo spazio,
l’apprendimento, l’autostima e la socializzazione – che tendono a normalizzare l’esperienza della
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persona (Tria, 2005). In questo senso l’inserimento lavorativo rappresenta sia un obiettivo del
percorso riabilitativo sia un mezzo per la sua piena inclusione sociale.
2. Il progetto MentealLavoro - Laboratorialmente
Quanto di seguito riportato prende le mosse dalla partecipazione del Dipartimento di Scienze della
Formazione dell’Università degli Studi di Genova (DISFOR) al progetto “MentealLavoro –
Laboratorialmente”, finanziato dalla Regione Liguria a valere sul Fondo Sociale Europeo e finalizzato
all’inclusione sociale e lavorativa di persone con disturbo psichiatrico medio e medio-grave. Il
progetto ha visto l’implementazione di attività formative e laboratoriali di gruppo sotto la guida di
docenti esterni e di work experience individuali svolte in contesti lavorativi non protetti, con
l’accompagnamento di un tutor formativo e un tutor aziendale e sotto la supervisione del referente
del Servizio di salute mentale dell’Azienda sanitaria locale.
Figura 1 – Il modello MentealLavoro
Sono state inoltre realizzate attività di informazione rivolte a gruppi di familiari, momenti formativi
dedicati e attività di supervisione per gli operatori, azioni di marketing territoriale finalizzate alla
sensibilizzazione e all’apertura delle aziende a percorsi di inserimento e reinserimento sociale e
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lavorativo e alla formalizzazione di protocolli di intesa volti a rafforzare la collaborazione tra i diversi
attori del sistema. Il DISFOR ha coordinato le azioni di analisi dei bisogni degli utenti e delle loro
famiglie e di monitoraggio e valutazione delle diverse azioni realizzate. Di seguito, dopo alcuni cenni
ai risultati dell’analisi dei bisogni –che, in accordo con i partner del progetto, è stata implementata in
prospettiva sistemica, centrando l’attenzione sia sui bisogni degli utenti sia sulla attuale strutturazione
della rete dei servizi per la salute mentale– vengono riportati con maggiore dettaglio i risultati
dell’attività di monitoraggio e valutazione dei percorsi dei partecipanti al progetto.
3. Cenni metodologici
Il disegno delle attività di ricerca condotte dal DISFOR ha incluso, in primo luogo, l’analisi
quantitativa dei dati secondari relativi ai bisogni nel settore della salute mentale, utilizzando le fonti
statistiche ufficiali disponibili a livello locale e i dati forniti dagli stessi attori della rete dei servizi
messi anche a confronto con dati di livello nazionale e sovranazionale. L’approfondimento successivo
dell’analisi è stato realizzato utilizzando tecniche di ricerca qualitative (interviste e focus group) ai
principali attori della rete dei servizi. Questa fase del disegno della ricerca era finalizzata a
evidenziare, da un lato, la lettura dei bisogni degli attori sociali in relazione alla loro posizione nella
rete dei servizi e allo specifico ruolo ricoperto; dall’altro, la funzione assegnata ai diversi attori nella
risposta ai bisogni degli utenti e le criticità individuabili in relazione alla copertura di tali bisogni.
In parallelo, l’attività di monitoraggio e valutazione si è avvalsa di strumenti quantitativi
(questionario) e qualitativi (interviste individuali e di gruppo) rivolti agli utenti del progetto, per
comprendere se e quanto e con quali criticità il progetto abbia fornito una possibile risposta ai loro
bisogni di inclusione sociale e lavorativa, a partire dalla considerazione – banale ma non priva di
conseguenze metodologiche – che la percezione del bisogno da parte dell’utente si attualizza nel
momento in cui egli sperimenta una possibile risposta. Contemporaneamente, sono stati messi a punto
strumenti qualitativi e quantitativi che gli operatori hanno utilizzato per il monitoraggio e la
valutazione dei percorsi degli utenti nei laboratori e nelle work experience. Nell’ultimo semestre di
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attività progettuale sono stati realizzati con gli operatori due momenti focalizzati su una valutazione
sistemica del progetto con particolare attenzione all’implementazione delle work experience che, di
fatto, costituivano il momento cruciale di tutte le azioni previste, realizzando la messa alla prova della
persona in un contesto lavorativo non protetto. Un’ulteriore attività di valutazione ha riguardato gli
workshop formativi realizzati dedicati agli operatori per rafforzarne le competenze su alcune
tematiche ritenute di particolare interesse per chi opera nell’inserimento lavorativo della persona con
disturbi di salute mentale.
4. L’analisi dei bisogni
4.1 Alcuni dati quantitativi
I disturbi di salute mentale sono molto diffusi e costosi a livello globale, ma la mancanza di risorse
umane formate e delle infrastrutture necessarie a fornire i servizi sono ostacoli seri anche per l'accesso
alla mera assistenza di base. Sono circa 900.000 l’anno i morti per suicidio nel mondo, a fronte di
un’allocazione di risorse pari in media al 2,8% del budget sanitario e di 1 psichiatra ogni 100.000
abitanti, con rilevantissime disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri nella disponibilità ed accessibilità
di cure e servizi ma anche di una legislazione di settore (WHO, 2011).
In Italia, nel 2012, le ospedalizzazioni per disturbi psichici, misurate dal numero di dimissioni, sono
254.888, di cui il 21,5% in day-hospital e con una degenza media per il regime di ricovero pari a 14
giorni. In Liguria nel 2012, le giornate di degenza per malattie e disturbi mentali sono 79.745 con una
degenza media pari a circa 12 giorni. Le giornate di degenza nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e
Cura sono 56.716 per 108 posti letto e gli utenti dei servizi di assistenza della salute mentale
ammontano a 28.199, pari all’1,8% dei residenti (Regione Liguria, 2014). Alcuni altri dati macro,
riferiti al territorio ligure nell’anno 2012, aiutano a comprendere che il fenomeno è probabilmente
più esteso di quanto non facciano intendere i soli dati relativi all’utenza dei servizi dedicati: sono
infatti 16.115 gli utenti dell’assistenza disabili (1,1% popolazione), 9.335 le persone affette da
dipendenze in carico ai SERT (0,6%), 102.925 gli utenti dell’assistenza famiglia e minori (6,6%), di
cui 28.390 gli utenti dei servizi di neuropsichiatria infantile e di riabilitazione psicologica e sociale,
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29.995 gli utenti dell’assistenza anziani (7% circa della popolazione ligure oltre i 64 anni di età). Se
a questi dati ci limitiamo ad aggiungere quelli relativi alla disoccupazione, che nel 2012 coinvolge in
Liguria circa 56.000 persone, con un tasso di disoccupazione pari all’8,1% e una disoccupazione
giovanile pari al 30,1%, otteniamo un quadro piuttosto fosco ma forse anche più realistico, che fa
pensare ad un bisogno in questo settore ben superiore a quello indicato dall’utenza effettivamente in
carico ai servizi.
4.2 Alcuni elementi qualitativi
Dal punto di vista della copertura del bisogno sono emersi elementi di interesse sia sotto il profilo
quantitativo che sotto quello qualitativo. Li accenniamo qui di seguito raggruppati attorno a tre poli
che riprendono il modello del “diamante del welfare” (Ferrera, 2012): rete dei servizi, aziende e
cooperative sociali, famiglie e persone con disturbo di salute mentale.
La rete dei servizi
Nel settore di intervento considerato esiste una rete dei servizi ormai consolidata1, i cui operatori si
conoscono da tempo e collaborano con buoni risultati sia quantitativi che qualitativi per l’inserimento
socio lavorativo degli utenti. Nonostante gli ottimi risultati conseguiti dagli uffici della Provincia di
Genova e dal Comune di Genova, la carenza di risorse economiche e umane rende impossibile dare
una risposta adeguata a tutte le situazioni di disagio che necessiterebbero di intervento, determinando
un’insufficiente copertura del bisogno. Le persone con disturbo di salute mentale che accedono alla
rete dei servizi presentano situazioni di disagio fortemente differenziate per tipo e per grado. I diversi
attori della rete dei servizi hanno distinto nel tempo i rispettivi ruoli, specializzandosi nella risposta
ad una fascia di utenza normalmente in base alla severità dei sintomi. La carenza di risorse
economiche ed umane impedisce peraltro di personalizzare i percorsi in una misura che sia ritenuta
adeguata dagli stessi operatori. Il percorso infatti, secondo l’opinione degli operatori, dovrebbe essere
articolato in fasi in relazione alle condizioni della persona (Govigli e Prato, 2007) e caratterizzarsi
1 Sottolineiamo che le attuali vicende che hanno visto la formale chiusura della Provincia di Genova e la nascita della Città metropolitana stanno creando non pochi né lievi problemi alla tenuta di questo ormai collaudato sistema.
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come graduale, modulabile, flessibile ed elastico, prevedendo un’apertura ad eventuali fallimenti
come momenti costruttivi di consapevolezza e crescita della persona. Criterio di successo del percorso
di inserimento lavorativo non dovrebbe essere solo l’assunzione delle persona e/o la sua performance
lavorativa (produttività) ma il miglioramento delle condizioni di vita, il riconoscimento sociale,
l’effetto terapeutico e la riduzione delle probabilità di cronicizzazione. Un dato interessante è,
viceversa, la tendenza involontaria e talvolta necessitata dalle condizioni di contesto e dal ruolo
istituzionale, ad includere/escludere gli utenti dall’accesso ai servizi e ai percorsi in base alla
probabilità di una performance positiva e all’efficienza complessiva del servizio piuttosto che alla
sola valutazione dello stato di bisogno. E’ sempre sulla base di criteri di efficienza e contenimento
dei costi che, ormai da qualche anno, nella rete dei servizi disponibili a livello locale sono venuti
meno i percorsi triennali di formazione professionale della Provincia di Genova, determinando un
vuoto di risposta al bisogno di una fascia di utenza giovane, con sintomi di grado medio-grave e che
necessita di percorsi di lunga durata, a carattere marcatamente formativo, per poter accedere, un
domani, a percorsi di inserimento socio-lavorativo sostenibili nel tempo.
Le aziende e le cooperative sociali
Tra le criticità che impediscono di incrementare le copertura del bisogno dal punto di vista
quantitativo, figura l’indisponibilità di strumenti normativi che regolamentino, rendendole così
percorribili, le aperture alla collaborazione fattiva che emergono da parte delle piccole aziende del
settore privato. La finanziabilità delle borse lavoro specificamente destinate alla situazioni più gravi
– e quindi più bisognose di intervento – è infatti limitata al settore pubblico o alle cooperative sociali
di tipo B, tagliando fuori le aziende private. Emerge d’altro canto che il mercato rappresentato dalle
grandi aziende in obbligo in base alla l. 68/99 e dalle cooperative sociali di tipo B è orami pressoché
saturo, rendendo oltremodo difficile il compito dei mediatori dell’inserimento lavorativo, nella parte
relativa alla ricerca di aziende ospitanti. Il dato positivo è rappresentato peraltro dalla disponibilità
del mondo profit, segno di un’apertura e di un’evoluzione anche culturale, emersa tra l’altro
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nell’ambito di alcuni incontri promossi dai partner del progetto MentealLavoro2. Se il mondo
aziendale esprime apertura e disponibilità, esso presenta anche bisogni specifici relativi ai percorsi di
inserimento lavorativo delle persone con disturbo di salute mentale: lo screening e la selezione dei
potenziali collaboratori, che devono essere adattabili al ruolo e all’ambiente lavorativo; la
disponibilità di figure di supporto al percorso di inserimento, che devono accompagnare la persona
anche in azienda ed eventualmente formare anche il referente aziendale; momenti di follow-up e
disponibilità di personale a supporto in caso di eventuali criticità, che vanno fronteggiate
tempestivamente per garantire la tenuta occupazionale. Si tratta di bisogni già almeno in parte
soddisfatti dai servizi pubblici dedicati ma probabilmente da rinforzare ulteriormente. All’apertura
del mondo della piccola e media impresa a questo tipo di percorsi deve inoltre accompagnarsi il
rafforzamento degli uffici pubblici preposti nelle funzioni dedicate alla ricerca e allo screening delle
aziende disponibili.
La famiglia e la persona
E’ da sottolineare, anzitutto, che il pregiudizio e i processi di stigmatizzazione cui vanno incontro
persone con disturbo di salute mentale fanno sì che il bisogno in questo specifico settore sia
plausibilmente molto sottostimato sotto il profilo quantitativo, rendendolo più grave e urgente, anche
tra le stesse persone già occupate ma a rischio di espulsione dal mondo del lavoro. Questo dato
emerge, tra l’altro, dal comportamento degli stessi fruitori potenziali del collocamento mirato (legge
68/99), i quali spesso rinunciano al servizio in quanto rifiutano di essere presi in carico dal Servizio
di salute mentale della Azienda sanitaria locale, come viene loro richiesto dagli operatori del
collocamento mirato della Provincia. La famiglia della persona con disturbo di salute mentale riveste
un ruolo chiave per il suo percorso di inserimento sociale e lavorativo, in quanto ne condiziona
fortemente l’atteggiamento. Essa spesso richiede un intervento specifico che la valorizzi e la gestisca,
quando si pone come risorsa potenziale e che la ridimensioni e/o la neutralizzi, quando interviene
2 Come accennato sopra una delle azioni previste dal progetto prevedeva proprio il coinvolgimento delle potenziali aziende ospitanti attraverso attività di networking.
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come vincolo ed elemento di disturbo al processo. La famiglia esprime un bisogno di supporto
psicosociale e di empowerment, sovente volto anche ad assumere piena consapevolezza del problema,
un bisogno di informazione sul problema e sui servizi disponibili per fronteggiarlo, spesso poco noti
e di difficile accesso. Il caregiver familiare ha bisogno di tempo liberato dall’accudimento e dalla
costrizione entro le mura domestiche e, in un welfare familistico come quello italiano, i genitori della
persona hanno bisogno di certezze sul “dopo di noi?”. Emerge così, tra l’altro, il problema
dell’autonomia abitativa e della casa che si affianca a quello dell’autonomia economica e quindi
dell’inserimento lavorativo non come mero riconoscimento del ruolo sociale della persona ma come
reale necessità economica. I bisogni della persona sono rispecchiati in gran parte da quelli già citati
della famiglia: supporto e sostegno psicologico, socializzazione all’ambiente comunitario e gestione
del tempo libero, sostegno all’abitare e inserimento lavorativo. Quest’ultimo assume sia il significato
di riconoscimento del proprio ruolo sociale e costruzione identitaria, momento di relazione e
socializzazione, sia spesso la valenza di reale necessità economica come contributo necessario
all’economia familiare, nel presente e per un’esistenza autonoma e decorosa, domani. L’analisi
dell’esperienza degli utenti del progetto ha evidenziato che, almeno dal punto di vista qualitativo,
MentealLavoro ha saputo fornire una risposta proprio a quelle situazioni di disagio che non trovano
più un’offerta adeguata nel sistema dei servizi. Si tratta peraltro di un progetto a carattere
sperimentale, che dipende da un finanziamento europeo con i limiti che ne conseguono in termini di
complessità gestionale e di numero di utenti inseriti, di sostenibilità nel tempo, di continuità di
risposta: ad un bisogno reale, ampio ed espresso coralmente da tutti gli operatori della rete dei servizi
non può corrispondere una risposta che non sia sistemica.
5. Monitoraggio e valutazione delle azioni realizzate
5.1 La selezione delle persone da avviare ai percorsi
Il primo fondamentale step valutativo richiesto dal progetto ha riguardato, nelle primissime fasi, la
definizione di criteri, condivisi dagli operatori coinvolti, sulla base dei quali effettuare la selezione
dei potenziali candidati a partecipare ai percorsi di inserimento lavorativo proposti. A questo fine è
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stata realizzata una serie di incontri che hanno permesso di mettere a punto una “Griglia di criteri per
la selezione degli utenti” che prendeva in considerazione diversi aspetti quali – oltre al genere e l’età
- il possesso delle autonomie di base, l’atteggiamento della famiglia di provenienza rispetto
all'esperienza formativa proposta, gli eventuali ostacoli di tipo logistico alla frequenza delle attività
proposte, la motivazione del candidato, l’utilità potenziale della proposta formativa, la presa in carico
da parte del DSM della ASL e il fatto che il candidato fosse o meno utilizzatore dei servizi della
Provincia di Genova o del Comune di Genova (UCIL). Tali criteri hanno permesso di selezionare le
persone che avrebbero preso parte ai laboratori formativi.
5.2 La formazione iniziale
Prima di partecipare ai laboratori formativi gli utenti hanno partecipato a due moduli formativi
obbligatori, uno sulla sicurezza ed uno sulla contrattualistica. Per la valutazione di queste attività
formative preliminari è stato somministrato agli utenti un questionario che oltre a valutare l’interesse
e l’utilità degli argomenti trattati, la qualità della docenza e la necessità di approfondimenti, è stato
utilizzato per fare il punto sulla motivazione dei partecipanti, sulla chiarezza degli obiettivi del
progetto e sulla necessità di chiarimenti, sulle aspettative rispetto al percorso intrapreso.
5.3 I laboratori formativi
La prima fase del progetto prevedeva l’implementazione di laboratori formativi di gruppo, in diversi
ambiti professionali3 per una durata complessiva di 68 ore distribuite diversamente nell’arco della
settimana a seconda delle capacità di tenuta della persona. I laboratori sono stati seguiti da 42 persone,
9 delle quali hanno dovuto abbandonare per essere sostituite da altrettanti partecipanti. Per la
valutazione dei laboratori formativi sono stati utilizzati a) una scheda di monitoraggio e valutazione,
articolata in 4 dimensioni e 24 indicatori e compilata dall’operatore di riferimento insieme all’utente;
b) una griglia di intervista, utilizzata come traccia per il colloquio iniziale e quello finale di
3 Dalla falegnameria, alla bigiotteria, alle pulizie, alla manutenzione del verde alle attività tecniche o espressive in ambito teatrale.
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valutazione tra operatore e utente e coerente con la scheda di cui al punto a; c) un questionario finale,
compilato dall’utente prima di un successivo colloquio di approfondimento con il valutatore.
Per quanto riguarda in particolare il questionario (punto c), le domande hanno sondato diversi aspetti
quali: l’interesse per l’attività svolta, gli apprendimenti e la loro utilità, l’adeguatezza del carico
lavorativo e delle mansioni, l’autovalutazione dell’impegno personale, i rapporti con i colleghi e gli
apprendimenti sul piano relazionale, l’effetto dell’esperienza sull’autostima e sui rapporti con i
familiari, le figure di riferimento (docente e tutor), le difficoltà incontrate, la soddisfazione
complessiva, la motivazione e le aspettative attuali.
5.4 Le work experience
Le performance degli utenti
Gli utenti che hanno intrapreso questi percorsi di inserimento lavorativo sono 17. In questo caso gli
abbandoni sono stati 5 (30% circa) mentre è stato possibile effettuare solo 2 sostituzioni. Nel
complesso quindi 15 persone hanno portato a termine questa esperienza di inserimento nel mondo del
lavoro beneficiando di 400 ore di tutoraggio aziendale e di 256 ore di counseling individuale.
Oltre ai colloqui periodici con le tre figure di riferimento (tutor aziendale, tutor formativo, operatore
ASL) che hanno ovviamente una valenza di monitoraggio dell’esperienza, i partner hanno concordato
sull’opportunità di proseguire con l’utilizzo della scheda di monitoraggio e valutazione utilizzata per
i laboratori formativi (cfr. 5.3). Come anticipato sopra si tratta di uno strumento di valutazione
articolato in 4 dimensioni:
• Attività lavorativa e gestione dei limiti
• Rappresentazione del lavoro
• Affidabilità/Inaffidabilità
• Apprendimento e esecuzione dei compiti
Ciascuna delle dimensioni è articolata in indicatori, 24 in tutto, su cui gli operatori, confrontandosi
con la persona, hanno dato una valutazione su una scala a 5 posizioni (del tutto insufficiente; non
sufficiente, sufficiente, discreto, buono) associate a valori numerici. La somma del punteggio medio
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ottenuto dalla persona su ciascuna dimensione ha permesso di fornire una valutazione sintetica in
punteggio percentuale a partire dai singoli indicatori considerati agevolando tra l’altro il confronto
tra i diversi utenti e tra gli operatori di riferimento. L’uso del colore associato a soglie di riferimento
(< 50 = rosso; < 75 = giallo; ≥ 75 = verde) ha permesso di rendere immediato il feedback
sull’andamento del percorso nel tempo. Come si vede nella figura 1 nei casi A, H, I, L e N c’è stato
un progressivo miglioramento dell’andamento del percorso durante il laboratorio formativo, cui in
alcuni casi (A, L) è seguito un lieve peggioramento a inizio work experience poi recuperato entro il
termine della stessa. I casi B, C, e D, viceversa, hanno fatto presagire un successo molto probabile
nel passaggio dal laboratorio alla work experience che è stato poi smentito dalle performance negative
della persona.
Figura 2 – Restituzione sintetica delle schede di monitoraggio e valutazione dei laboratori formativi
e delle work experience
1^ val. LAB (%) 2^ val. LAB (%) 3^ val. LAB (%) 1^ val. WE (%) 2^ val. WE (%)
A 70 70 77 71 77
B 92 92 92 32 22
C 79 79 79 52 49
D 79 79 77 49 46
E 93 88 88 85 RITIRATO
F 88 95 96 INT. MOT. ORG. INT. MOT. ORG.
G 93 99 100 83 93
H 74 79 90 85 89
I 68 57 87 87 91
L 60 70 75 73 85
M 75 75 75 100 100
N 52 61 61 97 97
Il caso E è riferito a una persona che ha avuto valutazioni positive costantemente sia durante il
laboratorio formativo che durante la work experience ma che, per una crisi legata al problema di
salute mentale, ha dovuto ritirarsi dal percorso, mentre il caso F fa riferimento ad una persona che per
motivi connessi alla compatibilità tra pensione di invalidità e reddito da lavoro ha dovuto cessare
un’esperienza pienamente soddisfacente.
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Il punto di vista degli operatori
A conclusione delle work experience dopo un primo focus group, è stato realizzato un secondo
incontro di gruppo con gli operatori della ASL, responsabili della supervisione delle work experience.
E’ stato loro richiesto di confrontarsi a coppie, e di compilare una scheda predisposta dal valutatore
in cui si richiedeva di indicare sinteticamente quali fossero state le criticità e i punti di forza
nell’implementazione delle work experience rispetto a diverse dimensioni chiave: la ricerca delle
aziende, la selezione delle persone da avviare ai percorsi, il tutor formativo, quello aziendale e le
figure sanitarie implicate, la comunicazione tra le diverse figure e l’integrazione dell’intervento
realizzato, il contesto aziendale e il rapporto con i colleghi di lavoro, l’adeguatezza dell’impegno
lavorativo quotidiano e settimanale e delle mansioni affidate alla persona, la durata dell’esperienza,
gli aspetti logistici, il tipo di disturbo di salute mentale, le condizioni di salute e la gestione delle
eventuali criticità, l’organizzazione, il coordinamento e la chiusura della work experience.
Figura 3 – Criticità e punti di forze della work experience
CRITICITA’ PUNTI DI FORZA ricerca di aziende dove implementare le WE
I capofila hanno avuto difficoltà a reperire aziende Ricerca insufficiente di aziende da parte del partenariato
Le aziende entrate nel progetto erano “in rete” con alcuni servizi territoriali e loro personale
selezione delle persone da avviare alle WE:
Parametri differenti di valutazione Criteri comuni di selezione Presenza operatori ASL e condivisione metodologia Conoscenza da parte degli operatori ASL delle persone proposte Attenzione per le caratteristiche delle persone
tutor formativo: Formazione carente della persona designata (assente formazione clinica) Scarsa esperienza con il paziente psichiatrico e con il suo inserimento in ambito lavorativo Difficoltà di comunicazione
Buona collaborazione e sinergia lavorativa Integrazione e collaborare Disponibilità al confronto formato in itinere sull’esperienza pratica
tutor aziendale: Poca esperienza con i pazienti psichiatrici e con il loro inserimento in ambito lavorativo
Buona collaborazione e sinergia lavorativa Presenza costante, ottima Formazione Disponibilità al confronto esperto del lavoro
figure sanitarie difficoltà iniziale di coordinarsi con i tutor poco tempo per potersi dedicare alla discussione del caso difficoltà organizzative. operatori non sgravati da altri lavori di routine
Buona collaborazione tra tutor formativo ed aziendale sperimentata e creata Buona conoscenza del paziente Motivazione, professionalità, procedure uniche
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CRITICITA’ PUNTI DI FORZA comunicazione tra le diverse figure di riferimento:
Inizio difficoltoso a causa dell’inesperienza Limitata sempre per la difficoltà di potersi incontrare per diversità di orari Complessa talvolta per la difficoltà di reperibilità delle persone
Buon avvio e prosecuzione Positiva per la disponibilità di base scambio di competenze
integrazione intervento delle diverse figure di riferimento:
Inizio difficoltoso a causa dell’inesperienza Collaborazione e integrazione Integrarsi attraverso mail e telefono Buona ed efficace tenuta Positiva considerata la mancanza di esperienze precedenti
contesto aziendale di inserimento
Inesperienza nell’accogliere il paziente psichiatrico in ambito lavorativo e prestazionale
Velocità nell’accoglimento Reale, di lavoro
rapporti con i colleghi di lavoro
Verifica immediata delle difficolta Adeguatezza nella risoluzione in team della problematica Buoni rapporti con i colleghi Alcuni già conosciuti nel laboratorio
mansioni affidate alla persona sul lavoro
Verifica immediata delle difficolta Buona capacità di analisi tra tutor e pazienti Complessivamente congrue alle risorse personali dei soggetti Gradualità Bilancio continuo
impegno orario settimanale Troppo poco per alcuni e troppo per altri L’aumento di ore non corrispondeva ad un aumento del corrispettivo economico
Modulabilità dell’orario Adeguato alle capacità Con possibilità di crescita
impegno orario quotidiano Buona tenuta dei pazienti e del contesto lavorativo Modulato per la persona
durata della WE Da alcuni ritenute breve Per le ottime capacità di alcuni pazienti sarebbe stato opportuno una maggiore durata della WE o la possibilità di una continuazione
Intensa per competenze acquisite Da alcuni ritenuta di giusta durata
aspetti logistici (raggiungimento del luogo di lavoro ecc.)
Vicinanza a zona di residenza e al CSM di appartenenza Adeguati Quasi tutte le WE in centro e di facile raggiungimento
tipo di disturbo di salute mentale della persona:
interferenza con luoghi di residenza e cura- confronto con la prestazione lavorativa
Consapevolezza di malattia Per alcuni si è evidenziato un buon adattamento
andamento delle condizioni di salute durante la WE
Criticità legate alla situazione abitativa Riconoscimento dei segnali precoci di crisi Mantenimento di un buon compenso psico-fisico Complessivamente positivo
gestione delle eventuali situazioni di criticità
Velocità di passaggio di informazioni tra tutor e personale sanitario
Buona relazione e sinergia creata tra i tutor e personale sanitario Adeguata alle situazioni che hanno richiesto una particolare attenzione Coordinamento tra le varie figure
chiusura della WE Tempistica serrata Report a 4: tutor, personale sanitario e paziente con restituzione delle competenze e delle difficoltà
organizzazione e la gestione delle WE dal punto di vista amministrativo
Ritardo nei pagamenti. Retribuzioni non congrue alle prestazioni lavorative Eccesso di adempimenti burocratici
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CRITICITA’ PUNTI DI FORZA coordinamento delle WE Difficoltà da parte del capofila nella
gestione
monitoraggio delle WE Alcune difficoltà di comunicazione con i tutor
Buona tempistica e organizzazione tra i tutor ed il personale sanitario
supervisione del gruppo di lavoro
Mancata presenza dei tutor alle supervisioni Maggior partecipazione delle parti esterne per potersi coordinare meglio nelle WE
Utilità e buon metodo di analisi e condivisione Supervisione utilissima per dipanare le criticità
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