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La scuola: bene per tutti e di tutti. Fattori di identità Dario Nicoli

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Page 1: La scuola: bene per tutti e di tutti. Fattori di identità Dario Nicoli

La scuola: bene per tutti e di tutti.Fattori di identità

Dario Nicoli

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L’epoca della dissipazione del bene-scuolaGli anni della post-modernità e dei consumi estetici hanno visto una lenta e progressiva decadenza della scuola come bene, a causa di 4 grandi fenomeni:

1.Il dominio della «teoria dell’istruzione» e degli obiettivi minimi.

2.La comparsa dell’ «iperrealtà», progetto educativo della «condizione signorile» (Ricolfi) e dell’ideologia della protezione e della distrazione connessa alla prospettiva della «seconda vita» mediatica iperagitata, ma incapace di azioni feconde (le «passioni debilitanti» di Tocqueville ed il meccanismo dei consumi inteso come un «regime di illusioni che tiene viva la noia affinché non si dissipi né si consoli» (Fumaroli).

3.L’autoreferenzialità della scuola, che comporta l’impoverimento, la routinizzazione e l’economizzazione degli stimoli offerti agli studenti (accidia culturale).

4.L’influsso del pensiero postmoderno a fondo scettico che considera la realtà inconoscibile e nega il valore del dialogo.

Questa decadenza ha «ossidato» la cultura, divenuta inerte, spingendo gli studenti verso l’isolamento e l’iperrealtà.

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In cosa consiste il «bene scuola» La scuola è una risorsa di grande valore in ogni epoca, perché

tramite essa si svolge in prevalenza quel fecondo dialogo partecipativo tra le giovani generazioni e coloro che hanno reso grande la cultura, in grado di entusiasmare i primi ed incoraggiarli a fornire il proprio contributo originale al miglioramento della vita sociale, e di rendere gli adulti più vivi, positivi e generativi.

Nell’attuale epoca del risveglio, la scuola è chiamata ad inserire positivamente i giovani nel reale, in modo vivo, autonomo e responsabile, distogliendoli dalla distrazione infeconda di uno stile di vita segnato da un fragile rapporto col mondo.

Ciò facendo leva sul valore vitale della cultura e sulla passione che questa ha generato negli insegnanti: l’inerzia culturale si evita solo conservando il gusto della vita (Whitehead).

Si tratta (soltanto…) di salvare una parte considerevole della gioventù dall’inconsistenza e dalla dissipazione dei propri talenti, ed in tal modo mettere vita nel futuro.

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Reciprocità dell’educazione nella cultura Gli adulti consegnano ai giovani il patrimonio culturale,

così che i giovani donino a loro volta agli adulti l’entusiasmo e la forza vitalizzante della loro generazione, come afferma Georges Bernanos:

«Il vostro errore non era di chiedere troppo, ma di non chiedere abbastanza, di non chiedere tutto, la vita stessa…ad ascoltarvi verrebbe fatto di pensare alla giovinezza come a una crisi malauguratamente inevitabile, a una prova da superare. E il vostro aspetto è di chi veglia sulle complicazioni, con il termometro in mano, quasi che si trattasse di scarlattina o di morbillo. Appena la temperatura s’abbassa, tirate un sospiro di sollievo come se il malato si trovasse fuori pericolo, mentre il più delle volte egli non fa che collocarsi tra i mediocri… Ahimè, è la febbre della giovinezza che mantiene il resto del mondo a temperatura normale. Quando la giovinezza si raffredda, il resto del mondo batte i denti»

(I grandi cimiteri sotto la luna)

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Cinque missioni per il risveglio culturaleLa scuola è l’istituzione decisiva per il risveglio culturale della nostra società. La sua qualità si evidenzia in cinque missioni:

1.Essere punto di riferimento nel territorio (per gli studenti, le famiglie, le imprese, il sistema educativo sociale e istituzionale, la cultura e l’orientamento) ovvero reputazione e immagine.

2.Mobilitare le risorse del territorio (testimoni, istituzioni, imprese, enti ed associazioni…) in consonanza con l’opera educativa della scuola.

3.Attrarre, suscitare e mobilitare le risorse ed i talenti degli studenti (con l’attività formativa e con le iniziative educative ulteriori) entro le relazioni fondamentali che ne costituiscono la personalità.

4.Formare in modo educativo i giovani (crescita nella cultura, scoperta del mondo, occupabilità tramite l’apprendimento di un mestiere, scoperta di se stessi e della propria strada, agire positivamente nel reale sapendo essere utili agli altri in modo riconoscibile).

5.Svolgere un’azione generativa per famiglie, mondo economico, mondo associativo ed istituzionale (genitorialità).

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Bene per tutti e di tutti La principale ingiustizia che la scuola può provocare non è

l’insuccesso scolastico, ma l’insignificanza, di cui il primo è semmai l’esito.

L’insignificanza è ciò che avviene in quel contesto in cui non accade nulla che abbia valore per le persone che vi trascorrono parte della loro esistenza.

Il giovane si disperde per: 1. mancanza di legami significativi, 2. mancanza di corrispondenza tra ciò che si aspetta e ciò

che trova veramente (vedi il caso degli Istituti professionali), specie la passione e l’incoraggiamento,

3. mancanza di scopi persuasivi circa lo studio. Non è vero in generale che il carico di studio è un motivo di

dispersione, casomai è il contrario. Lo è invece l’assenza di una proposta identitaria in grado di soddisfare le attese di una vita autentica, un’adesione convinta, magari anche critica, a ciò che si propone loro. Banalizzare è un altro modo in cui si tradiscono le attese dei giovani.

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Il paradosso dei DSA L’idea diffusa da esperti specializzati nel campo

neuroscientifico, fondata sull’assunzione – in definitiva non dimostrata – che tali disturbi trovino origine primariamente nell’ambito biologico del singolo individuo, rischia di essere decisamente sovrastimata, a spese di altri importanti fattori di mutamento sociale e culturale come l’offerta di occasioni formative veramente qualificanti.

Non si intende discutere le pratiche mediche fondate, quelle riguardanti patologie effettivamente riscontrate con diagnosi conformi a protocolli scientifici rigorosi, ma indicare la pericolosità di una tendenza che concorre alla confusione dei linguaggi e ad indebolire la figura dell’insegnante oltre che il valore dell’educazione.

Il «certificazionismo» rischia di essere un alibi per l’insuccesso educativo della famiglia e della scuola, oltre che uno stigma per i «poveri culturali».

L’eccesso di precauzione porta ad un impoverimento degli stimoli offerti ai ragazzi (l’ideologia della protezione contro l’utopia educativa).

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La svolta culturale Proporre ai giovani non nomenclature buone solo per

le verifiche, ma la cultura autentica, originale, immettendoli nel flusso dell’avventura del sapere. Non più «studenti» ma «allievi».

La possibilità di un incontro tra i giovani e la cultura viva della tradizione è legata alla capacità di autorinnovamento della scuola, così che possa andare oltre la semplice funzione di “trasmissione del sapere” per perseguire una meta di grande rilevanza per la fase storica che stiamo attraversando: mobilitare le energie vitali dei giovani inserendoli nel flusso creativo della civiltà.

La cultura vera non è autosufficiente ed autoconsumo, ma forza generativa di relazioni, idee, progetti, opere che esprimono il meglio delle facoltà umane.

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La svolta realista Occorre contrastare la tesi postmoderna secondo cui la conoscenza è

costituita da mere “narrazioni” che riflettono esclusivamente bisogni ed interessi sociali contingenti che porta all’autoisolamento delle opzioni (io la penso così”) e che considera la scuola come un rapporto tra docenti-accompagnatori e studenti-scopritori che si svolge tramite fornitura ai secondi di «supporti e risorse per la costruzione attiva della conoscenza» .

Ciò che fa dire a Maurizio Ferraris: «il risultato ultimo del costruzionismo è quello dello scetticismo: il discredito del sapere» (Manifesto del nuovo realismo).

La svolta realista pone fiducia nella conoscibilità diretta del mondo, nella cultura popolare, nella fecondità dei concetti reali e della conoscenza situata.

La realtà oggettiva è accessibile partecipando attivamente, con incontri e prodotti reali e significativi, al lavoro della scoperta, della cooperazione, del servizio, della presa di parola pubblica; in tal modo, essa si presenta all’uomo portatrice di valori convincenti, corrispondenti alla disposizione dell’animo e sostenuti da «buone ragioni» persuasive (Perelman).

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Le 5 caratteristiche della «buona scuola»1. Insegnare con passione ed incoraggiare la curiosità facendo

gustare la cultura e rendendo i ragazzi sensibili al bene ovunque, anche dove non c’è bellezza esteriore.

2. Insegnare cose “attuali” ed inserirle in relazioni con il contesto reale, entro una scuola dotata di una sua identità peculiare.

3. Utilizzare una didattica composita (incipit gustoso e stimolante, docenza frontale, didattica per gruppi di pari, laboratori interni, laboratori esterni, attività formative non didattiche) con l’insegnante “regista educativo” inserito entro una comunità.

4. Chiedere prestazioni impegnative, al massimo delle possibilità degli allievi (valorizzare i talenti di tutti).

5. Superare l’esclusività della classe.

In tempi nuovi, è assolutamente necessario istituire la “buona scuola”, una scuola nuova con una forma (un canone) peculiare, italiano.

«Quando gli uomini sono eccezionalmente alacri e inebriati di libertà e d’ispirazione, devono sempre finire, e finiscono sempre, col creare istituzioni. Cadono nell’anarchia quando sono stanchi; ma finché sono allegri e pieni di forza, fissano leggi, invariabilmente» (Gilbert K. Chesterton, Le avventure di un uomo vivo).

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L’assimilazione della scuola all’Asl L’attuale figura di dirigente è l’esito dell’idea, sorta

negli anni ’90, di fare della scuola un’impresa sociale assimilabile al modello dei servizi sociali e sanitari (Asl). Il Dpr. 275 del 1999 ha rappresentato il punto più importante di tale svolta normativa che mirava sull’autonomia come criterio chiave per il governo delle istituzioni scolastiche.

Nonostante i criteri di fondo pienamente condivisibili in chiave educativa, l’impianto normativo che ne è seguito ha rivelato il grave limite della mancanza di coerenza e linearità, provocando un infittimento ed una sovrapposizione delle funzioni burocratiche, manageriali e pedagogiche piuttosto che una loro semplificazione ed armonizzazione entro un quadro unitario coerente con la natura del servizio educativo scolastico.

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Una responsabilità «dispersiva» La progressiva dissolvenza del disegno del

decentramento ha rilanciato il ruolo del Ministero come soggetto produttore di norme, progetti e controlli mentre non ha proceduto il processo di delegificazione; gli interventi tesi all’economizzazione dei costi, specie con l’abuso dell’istituto della reggenza, hanno fatto mancare ad una quota importante di istituti scolastici questa figura di presidio organizzativo e pedagogico; infine il modo in cui sono stati intesi i principi della tutela della privacy, della prevenzione dei fenomeni di corruzione e della tutela degli alunni con specifici problemi di apprendimento, ha prodotto una situazione caotica nella quale la gran parte delle risorse della dirigenza si disperde su preoccupazioni spurie con il reale rischio di perdere di vista la natura educativa della scuola.

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Una leadership straordinaria Oggi la scuola è soffocata da un peso burocratico più

pesante che nel 1999, i pochi dirigenti non riescono ad esercitare appieno il ruolo di guida pedagogica ed organizzativa ed inoltre si muovono entro un quadro di “responsabilità vincolata” da poteri interni di veto (il Collegio dei docenti) e da una congerie di nuovi e vecchi poteri distribuiti, il tutto sotto il costante ricatto del ricorso alla magistratura amministrativa.

È indubbiamente un segnale di vitalità il fatto che le scuole stiano cercando di operare al meglio in un contesto in cui domina la confusione, ma ciò accade al prezzo della serenità e della coesione, due fattori decisivi per la qualità educativa del lavoro scolastico.

I dirigenti stanno esercitando una “leadership straordinaria per tempi straordinari”, ma non si può sottacere il fatto che la scuola oggi è contemporaneamente sia una potenzialità che attende di essere pienamente espressa sia un coacervo di malumori e tensioni che rischiano al primo pretesto di esplodere con esiti imprevedibili.

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Il disegno di legge Il DdL avvia la trasformazioni delle istituzioni attuali in «buone scuole»,

con elementi apprezzabili (laurea abilitante e soppressione del TFA, albi regionali e territoriali, conferimento degli incarichi di docenza da parte del dirigente, bonus per merito, carta aggiornamento docenti, alternanza, revisione-snellimento normativo, nuova governance, trasparenza, cambiamenti «dal basso») ed altri critici (immissione precari, studente «ben imbottito», figura unica del docente, ambiguità del dirigente-sindaco,

Manca però lo smantellamento del modello organizzativo tayloristico agendo sui fattori di flessibilità:

prestazioni «ampie» entro un plafond di ore settimanali/mensili/annuali articolazione della figura del docente (docente iniziale, ordinario ed

esperto, più il vicedirigente – esperto pedagogico) previsione di momenti stabili per il lavoro cooperativo quadro orario aperto (occasioni plurime di apprendimento) classi aperte, laboratori e workshop governance distribuita.

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Comunità di comunità La scuola è comunità di comunità: classe,

scuola territorio. Occorre fare in modo che i tre livelli interagiscono in

maniera armonica, superando l’attuale prevalenza della classe per ampliare lo spazio educativo e formativo alla scuola nel suo insieme ed al territorio tramite alleanze significative e dotate di valore.

La classe non è un compartimento stagno entro un’enclave amorfa. Inoltre occorre evitare la forte differenza tra classi, allineare la cultura di classe alla cultura della scuola e del contesto. È interessante definire i risultati della scuola come comunità allargata, comunità di scopi cui concorrono culture concentriche con outcome differenti come il senso di appartenenza ed il clima favorevole all’educazione ed allo studio come scoperta.

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Impresa culturale per l’educazione Il dirigente ha il compito di guidare la scuola

in modo che risalti la sua natura di impresa culturale per l’educazione. La scuola non è un sistema programmato e coordinato finalizzato trasformare input in output, ma un’istituzione organizzata, mossa da fattori vitali:

1. al centro vi è l’evento educativo inteso come perfezionamento umano (reciproco!);

2. questo è reso possibile dalla disposizione dei suoi attori e dalla loro coesione ideale e culturale;

3. l’insieme è favorito dall’organizzazione e dalle sue risorse (compreso il tempo e lo spazio) che mirano a farne un soggetto di cultura aperto al territorio.

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Un clima di lavoro positivo L’organizzazione scolastica intesa in senso comunitario

deve consentire la fluidità e la continuità dei processi che la rendano una vera comunità di apprendimento. Ciò richiama i requisiti delle learning organization secondo la regola dello “svilupparsi apprendendo”, mobilitando non solo le abilità cognitive, ma anche quelle intuitive, emozionali, pratiche e sociali.

Il dirigente non si muove in un quadro ottimale, ma ha a che fare con una triplice condizione insegnante:

1. I militanti della scuola – quelli che aderiscono totalmente alla mission e sono sempre disponibili;

2. I «vocati» - quelli che hanno qualcosa da dare; 3. Gli «impiegati» - quelli per i quali la didattica… è una

branca dell’economia.È positivo un clima di lavoro in cui il primo gruppo

consente di valorizzare il secondo e di estenderlo continuamente combattendo la lagna e la visione gretta dell’insegnamento.

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Condizioni di un lavoro efficace Una guida chiara e continuativa dell’istituto. Un gruppo convinto e coeso (minoranza creativa). Un coordinamento efficace ed efficiente. Un modello di riferimento e di strumenti fondati e

pratici, di una formazione accompagnante. Tali condizioni sono in grado di contrastare

l’assenza di volontà di miglioramento, poiché tolgono alibi e consentono di porre esplicitamente sul piano personale la domanda di coinvolgimento.

È decisiva la narrazione epica della vicenda scolastica, racconti di esperienze reali che confermano il valore della scuola, suscitano adesione ed indicano come fare.

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L’alleanza con il territorio Nella prospettiva dell’impresa culturale per l’educazione è

indispensabile gestire molteplici (e selezionate) occasioni di alleanza con i soggetti del territorio che si presentano come cooperatori rispetto al compito educativo fondamentale della scuola. Occorre puntare sul sentimento di «genitorialità diffusa» e sul desiderio di dare una mano alla scuola da cui si proviene.

Nel contempo bisogna evitare di essere invasi da qualsiasi intento pur eticamente rilevante che proviene dall’esterno e che finirebbe per rendere la scuola il ricettacolo di tutte le problematiche della società.

Una delle modalità più rilevanti di apertura al territorio è costituita dalla Alternanza scuola lavoro, sempre più intesa come un’alleanza educativa e formativa tra scuola e lavoro, per offrire ai giovani la possibilità di inserirsi positivamente nel mondo reale, valorizzando le energie positive della società e dell’economia e la «cultura in azione», ripresa entro una prospettiva curricolare scolastica.

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Degni di scoprire il mondo “No, la scuola non offriva soltanto un’evasione dalla vita in famiglia. Almeno nella classe del Sig. Bernard appagava una sete ancor più essenziale per il ragazzo che per l’adulto, la sete della scoperta. Certo, anche nelle altre classi s’insegnavano molte cose, ma un po’ come s’ingozzavano le oche. Si presentava loro un cibo preconfezionato e s’invitavano i ragazzi ad inghiottirlo. Nella classe del sig. Bernard, per la prima volta in vita loro, sentivano invece di esistere e di essere oggetto della più alta considerazione: li si giudicava degni di scoprire il mondo”.

(A. Camus, Il primo uomo)