la riforma del giudizio abbreviato e degli altri … · penale e sul sistema accusatorio scaturito...

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Direttore Responsabile Francesco Viganò | Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | [email protected] 2010-2017 Diritto Penale Contemporaneo LA RIFORMA DEL GIUDIZIO ABBREVIATO E DEGLI ALTRI RITI SPECIALI (*) di Alberto Macchia SOMMARIO: 1. Heri dicebamus. – 2. La riforma Orlando. Le indagini difensive “a sorpresa”. – 3. Le indagini suppletive. – 4. Alcuni punti “critici”. – 5. Riti alternativi e richieste alternative. – 6. Convalescenze e preclusioni. La inutilizzabilità “patologica”. – 7. La sanatoria. Recepimento della giurisprudenza o innovazione di sostanza? – 8. La preclusione sulla competenza per territorio. – 9. La pena. – 10. Abbreviato da giudizio direttissimo. – 11. Abbreviato da giudizio immediato. – 12. Abbreviato da opposizione a decreto penale. – 13. Patteggiamento. – 14. Decreto penale di condanna. 1. Heri dicebamus. Il giudizio abbreviato, visto nel suo sviluppo diacronico, pare quasi un’enantiosemia: figura linguistica che denota espressioni che hanno, o hanno finito per assumere, un significato opposto alle proprie origini (feriale, in origine da feriae, periodo di riposo, oggi vuol dire periodo lavorativo; ministro, oggi carica elevata, è invece originata da minister, servo, derivato da minus). Sorto come rito alternativo estremamente semplificato – ci fu chi, nei primi tempi di applicazione del codice, ne stigmatizzò la eccessiva asciuttezza di disciplina – inscenato su base pattizia e con l’intervento di un giudice che poteva bloccarne lo sviluppo sulla base di un giudizio di non decidibilità allo stato degli atti, ma che, a prescindere da tale epilogo, decideva illico et immediate sulla base del dossier prodotto dal pubblico ministero all’atto della richiesta di rinvio a giudizio, ha via via visto manipolarsi il proprio genoma, fino a divenire un procedimento complicato, in cui – pronunce della Corte costituzionale, interventi variegati della giurisprudenza di legittimità e novelle di vario genere – è ormai davvero difficile intravedere le stimmate dello speedy trial, che avrebbe voluto essere secondo gli auspici della legge delega di riforma del codice di procedura penale. Il patteggiamento sul rito, come si diceva allora per distinguerlo dal patteggiamento sulla pena, aveva una sua logica di equilibrio nel sistema del processo: l’imputato valutava la sua posizione alla stregua del materiale che veniva esibito attraverso la discovery e, dunque, ne misurava la potenzialità probatoria e le * Il presente contributo costituisce il testo, corredato da note, della relazione tenuta dall’Autore al corso straordinario sulla riforma del sistema penale (legge n. 103 del 2017) svoltosi il 9 novembre 2017 presso la Scuola Superiore della Magistratura a Scandicci; si ringraziano gli organizzatori per averne consentito la pubblicazione sulla nostra Rivista.

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Direttore Responsabile Francesco Viganò | Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | [email protected] 2010-2017 Diritto Penale Contemporaneo

LA RIFORMA DEL GIUDIZIO ABBREVIATO

E DEGLI ALTRI RITI SPECIALI(*)

di Alberto Macchia

SOMMARIO: 1. Heri dicebamus. – 2. La riforma Orlando. Le indagini difensive “a sorpresa”. – 3. Le indagini

suppletive. – 4. Alcuni punti “critici”. – 5. Riti alternativi e richieste alternative. – 6. Convalescenze e

preclusioni. La inutilizzabilità “patologica”. – 7. La sanatoria. Recepimento della giurisprudenza o

innovazione di sostanza? – 8. La preclusione sulla competenza per territorio. – 9. La pena. – 10. Abbreviato

da giudizio direttissimo. – 11. Abbreviato da giudizio immediato. – 12. Abbreviato da opposizione a decreto

penale. – 13. Patteggiamento. – 14. Decreto penale di condanna.

1. Heri dicebamus.

Il giudizio abbreviato, visto nel suo sviluppo diacronico, pare quasi

un’enantiosemia: figura linguistica che denota espressioni che hanno, o hanno finito per

assumere, un significato opposto alle proprie origini (feriale, in origine da feriae, periodo

di riposo, oggi vuol dire periodo lavorativo; ministro, oggi carica elevata, è invece

originata da minister, servo, derivato da minus).

Sorto come rito alternativo estremamente semplificato – ci fu chi, nei primi tempi

di applicazione del codice, ne stigmatizzò la eccessiva asciuttezza di disciplina –

inscenato su base pattizia e con l’intervento di un giudice che poteva bloccarne lo

sviluppo sulla base di un giudizio di non decidibilità allo stato degli atti, ma che, a

prescindere da tale epilogo, decideva illico et immediate sulla base del dossier prodotto dal

pubblico ministero all’atto della richiesta di rinvio a giudizio, ha via via visto

manipolarsi il proprio genoma, fino a divenire un procedimento complicato, in cui –

pronunce della Corte costituzionale, interventi variegati della giurisprudenza di

legittimità e novelle di vario genere – è ormai davvero difficile intravedere le stimmate

dello speedy trial, che avrebbe voluto essere secondo gli auspici della legge delega di

riforma del codice di procedura penale.

Il patteggiamento sul rito, come si diceva allora per distinguerlo dal

patteggiamento sulla pena, aveva una sua logica di equilibrio nel sistema del processo:

l’imputato valutava la sua posizione alla stregua del materiale che veniva esibito

attraverso la discovery e, dunque, ne misurava la potenzialità probatoria e le

* Il presente contributo costituisce il testo, corredato da note, della relazione tenuta dall’Autore al corso

straordinario sulla riforma del sistema penale (legge n. 103 del 2017) svoltosi il 9 novembre 2017 presso la

Scuola Superiore della Magistratura a Scandicci; si ringraziano gli organizzatori per averne consentito la

pubblicazione sulla nostra Rivista.

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conseguenze in punto di decisione; il pubblico ministero, dal canto suo, valutava la

concreta sviluppabilità (e incrementabilità) dibattimentale delle fonti di prova raccolte,

inducendosi a prestare il consenso quante volte avesse reputato non conveniente per

l’accusa esporsi al “rischio” del dibattimento.

Il tutto, va ricordato, secondo un’ottica che voleva rendere la fase delle indagini

preliminari uno snodo particolarmente “fluido,” perché destinato al limitato fine di

consentire al pubblico ministero – come pure si continua a leggere nell’art. 326 cod. proc.

pen. – di assumere le proprie determinazioni in ordine all’esercizio della azione penale1.

Determinazioni, a loro volta, calibrate sulla falsariga di quella peculiare regula

iuris contrassegnata dall’art. 125 delle disposizioni di attuazione, per come

“interpretato”, in termini particolarmente “robusti” sul versante costituzionale della

obbligatorietà della azione penale, dalla notissima sentenza n. 88 del 1991 della

Consulta2.

Il tutto, non senza trascurare il fatto che l’udienza preliminare, sede fisiologica

nella quale si inseriva la scelta per il giudizio abbreviato, fino alla riforma del 1993, era

regolata – quanto al suo epilogo – dal parametro della “evidenza”, nel senso che l’arresto

della regiudicanda in luogo della translatio iudicii, avveniva per il tramite di una sentenza

di non luogo a procedere adottabile solo se fosse, appunto, risultata “evidente” la

pronuncia di una formula assolutoria (si diceva, ma senza troppa convinzione, per

impedire che il processo arrivasse sul tavolo del giudice del dibattimento gravato da un

“pre-giudizio” sul merito della causa).

Ecco spiegato il necessario consenso del pubblico ministero, dal momento che

l’attore pubblico non aveva necessariamente attrezzato l’indagine per superare un vaglio

di merito pieno. Una indagine, dunque, che segnalava tutta la sua distanza dalla vecchia

istruttoria, per la quale, la iperbolica formula dell’art. 299 del codice Rocco, attribuiva al

giudice istruttore la funzione di «compiere prontamente tutti e soltanto quegli atti che

in base agli elementi raccolti e allo svolgimento della istruzione appaiano necessari per

l’accertamento della verità».

Inutile rivangare la natura e quantità di resistenze – molte delle quali più che

altro culturali – cui andò incontro il modello originario di giudizio abbreviato, elaborato,

dopo non pochi sforzi, dal Parlamento nella legge delega, la quale vi dedicò la scarna ma

essenziale direttiva 53, che fu poi tradotta negli altrettanto schematici articoli del codice.

La scelta della insindacabilità della decisione del pubblico ministero di consentire o

meno alla richiesta dell’imputato e della decisione del giudice di ammettere o meno il

1 Nella Relazione al Progetto preliminare si è chiarito come le finalità delle indagini, in conformità a quanto

prevedeva la direttiva 37 della legge-delega, «sono rappresentate esclusivamente dalla necessità di delibare

la notitia criminis al fine di configurarla entro una precisa imputazione e di scegliere un tipo di domanda da

proporre al giudice competente. Questa limitata finalizzazione delle indagini preliminari, che emerge con

evidenza dai lavori preparatori, costituisce uno dei punti salienti della riforma». Una prospettiva, dunque,

che delimitava non poco qualsiasi vocazione che avesse teso a riedificare, sotto mentite spoglie, l’ormai

tramontata e ripudiata istruzione, sommaria o formale che fosse. 2 V. GIULIANI, La regola di giudizio in materia di archiviazione (art. 125 disp. att. c.p.p.) all’esame della Corte

costituzionale, in Cass. pen., 1992, 249; ROCA, Archiviazione, non luogo a procedere e dovere di completezza delle

indagini nella sentenza n. 88/91, in Giust. pen., I, 184.

3

rito, è spiegata dalla Relazione al Progetto preliminare (p. 104-105) facendo leva sulla

differenza rispetto al patteggiamento: in quel rito, tema di accordo e di controllo

giurisdizionale è la pena; nel giudizio abbreviato, l’accordo e la delibazione

giurisdizionale vertono sul rito; e la rinuncia al dibattimento deve coinvolgere l’accordo

di entrambe le parti, in positivo, senza che rilevino le ragioni del dissenso; mentre al

giudice spetta valutare l’ammissibilità della domanda, in funzione della decidibilità o

meno della causa.

Spiegazione rozza? Forse, ma non certo priva di una sua plausibilità di sistema.

Si pensava, forse ingenuamente, che la prassi e la giurisprudenza avrebbero contribuito

a “dirozzare” il modello più originale di giudizio scaturito dalla riforma, e ad assegnare

allo stesso un volto più maturo e definitivo. In sostanza, i conditores del nuovo codice

auspicavano che, come nei sistemi di common law, al di là delle Federal rules, giocasse

molto la “procedura vissuta nelle aule”. Auspicio, evidentemente, subito fallito.

Tanto il dissenso del pubblico ministero che la decisione del giudice di respingere

il rito per mancanza del presupposto della decidibilità, furono, come è noto, oggetto di

varie sentenze “manipolative” della Corte costituzionale che, fino alla riforma attuata

con la cosiddetta legge Carotti, ne affermarono la controllabilità all’esito del

dibattimento, con possibilità per quel giudice di assegnare all’imputato, in caso di

condanna, il beneficio della diminuente di un terzo di pena: vero “scoglio” che rendeva

il giudizio abbreviato un “diritto” per l’imputato, proprio per i suoi riflessi sul terreno

del diritto penale sostanziale.

Con ciò si elideva, dunque, la simmetria tra beneficio penale e adozione del rito

che faceva “risparmiare” il dibattimento, e la cui rinuncia – che all’epoca voleva dire

rinuncia al diritto alla prova, non essendo state ancora introdotte, per di più, le indagini

difensive, inserite nel codice di rito solo con la legge n. 397 del 2000 – giustificava,

appunto, un trattamento levior.

Con la legge Carotti e con le altre novelle di poco successive, il giudizio

abbreviato ha subìto, come è noto, modifiche tanto consistenti che, forse, più che di

metamorfosi, palerei – per usare una espressione di Ferrua nei suoi studi sul processo

penale e sul sistema accusatorio scaturito dalle sentenze costituzionali del 19923 (da

3 Si tratta delle note sentenze del 1992, n. 24 che dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 195, quarto

comma, del codice di procedura penale e dell'art. 2, n. 31, secondo periodo, della legge 16 febbraio 1987, n.

81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale),

nella parte in cui vietava l'utilizzazione agli effetti del giudizio, attraverso testimonianza della stessa polizia

giudiziaria, delle dichiarazioni ad essa rese da testimoni; la n. 254, con la quale veniva dichiarata

l'illegittimità costituzionale dell'art. 513, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui

non prevedeva che il giudice, sentite le parti, disponesse la lettura dei verbali delle dichiarazioni di cui al

primo comma del medesimo articolo rese dalle persone indicate nell'art. 210, qualora queste si avvalgano

della facoltà di non rispondere; la n. 255, infine, con la quale veniva dichiarata l'illegittimità costituzionale

dell'art. 500, terzo e quarto comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva

l'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dai

commi primo e secondo, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo

del pubblico ministero e, conseguenzialmente, dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 n. 76 della

legge 16 febbraio 1987 n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo

codice di procedura penale) nella parte in cui prevedeva il potere del giudice di allegare nel fascicolo

4

taluni ricordato come annus horribilis), che avevano “riscritto” il contraddittorio – di

anamorfosi del modello4.

Scompare, infatti, anzitutto, la base pattizia: il rito si trasforma in una opzione

monologante dell’imputato, senza che al pubblico ministero sia concessa neanche la

facoltà di interlocuzione dialettica (uno straccio di “sentito il pubblico ministero”,

avrebbe forse potuto rappresentate un maquillage denotativo di una qualche attenzione

per il principio di parità delle parti: anche se in dottrina c’è chi richiede la interlocuzione

del p.m.).

Il giudizio abbreviato si trasforma sempre più – alla stregua dei dicta della Corte

costituzionale – in un diritto per l’imputato, che fonda la sua premessa in un

corrispondente dovere del pubblico ministero di svolgere – “mantra” ripetuto dai tempi

della sentenza n. 88 del 1991 – una indagine “completa”. Ed è proprio su questa base

“salvifica” che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 115 del 20015, fece evaporare i

dubbi di legittimità costituzionale del nuovo modello processuale, dal momento che a

fulcro di quella decisione fu posto proprio il rilievo che l’imputato avrebbe goduto di un

legittimo affidamento di accesso al rito, scontando, appunto, il fatto che le indagini

dovessero essere complete.

Ma “complete” rispetto a cosa? E, soprattutto, in ragione di quale parametro ed

in funzione di quale valore? L’originaria configurazione della indagine, come fase

“preparatoria” ontologicamente rivolta a soddisfare il postulato costituzionale della

azione penale obbligatoria, contrassegnata dalla sentenza n. 88 del 1991 (l’indagine deve

servire per valutare la coltivabilità della azione in dibattimento), finisce per sbiadirsi

nella prospettiva del rito abbreviato, mutandone l’indirizzo secondo una finalizzazione

strabicamente rivolta verso un non bilanciato favor per il giudizio alternativo.

Ricorderà, infatti, la stessa Corte costituzionale, nella richiamata sentenza n. 115

del 2001, come il precedente sistema fosse non conforme alla Carta fondamentale in

quanto «era lo stesso pubblico ministero a decidere quali e quante indagini esperire in

vista della richiesta di rinvio a giudizio», derivando da ciò «"l'inaccettabile paradosso"

per cui il pubblico ministero poteva legittimamente precludere l'instaurazione del

giudizio abbreviato allegando lacune probatorie da lui stesso determinate; di qui

l'indicazione, "al fine di ricondurre l'istituto a piena sintonia con i principi costituzionali"

di introdurre "un meccanismo di integrazione probatoria" rimesso alle scelte

discrezionali del legislatore.».

Prospettiva, quella additata dai giudici della Consulta, discussa e discutibile,

perché l’indagine carente è quella che si rivela incongrua agli effetti della sostenibilità in

processuale, tra gli atti utilizzati per le contestazioni, solo le sommarie informazioni assunte dalla polizia

giudiziaria o dal pubblico ministero nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del

fatto, e non anche le dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico

ministero. Innumerevoli i commenti e le osservazioni, prevalentemente critiche, della dottrina

processualistica. 4 FERRUA, Studi sul processo penale. Vol. II, Anamorfosi del processo accusatorio, Giappichelli, 1992. 5 V. ANNUNZIATA, In tema di atti utilizzabili nel rito abbreviato, in Giur. Cost., 2001, 917; GARUTI, La Corte

costituzionale promuove la struttura del «nuovo» rito abbreviato, in Giur. Cost., 2001, 917; VITALE, Giudizio

abbreviato, in Giur. Cost., 2001, 935.

5

giudizio (unico parametro che il pubblico ministero può e deve valutare sul versante

della completezza delle indagini) e che conduce ad un ineluttabile arresto della notitia

criminis prima del dibattimento: evenienza che, evidentemente, non ha nulla a che

vedere con il giudizio abbreviato.

Ulteriore “insulto” al modello originario fu la eliminazione del controllo sulla

ammissibilità della domanda di rito alternativo fondata sulla decidibilità allo stato degli

atti: la domanda “secca” (così si dice gergalmente) di abbreviato, non ammette

alternative al suo accoglimento; il ruolo solipsistico dell’imputato mena le danze del

processo. Tutte quelle che erano le prospettive probatorie dibattimentali del pubblico

ministero su temi che non dovevano necessariamente formare oggetto di indagine

(circostanze del reato; personalità dell’imputato; pericolosità sociale; ecc.) si dissolvono

come neve al sole, e non possono essere “recuperate” neppure dal giudice, davanti al

quale non si offre altra alternativa che quella di celebrare il rito a prova contratta.

All’imputato si offre però la possibilità di condizionare la richiesta allo svolgimento di

una integrazione probatoria: solo in questo caso la domanda è controllabile dal giudice,

sul versante della compatibilità della integrazione con la economia processuale, ed è

possibile per il pubblico ministero chiedere l’ammissione di prova contraria (prova

contraria, si badi, e non prova autonoma, come pur si sarebbe potuto “simmetricamente”

disporre, visto che si introduce una fase di supplemento “istruttorio”).

Nulla di scandaloso, si dirà: ma la figura di giudizio allo stato degli atti viene ad

essere travolta: e con essa, mi sembra, anche la logica di una diminuente in misura fissa

nel caso di condanna (la rinuncia al dibattimento potrebbe non aver comportato in

concreto alcuna deminiutio sul piano del diritto alla prova).

Resta comunque il fatto che, nel caso di giudizio abbreviato cosiddetto

condizionato, la decisone del giudice di rigettare la richiesta è sindacabile in sede

dibattimentale a seguito della sentenza n. 169 del 20036, con la quale la Corte

costituzionale ha appunto dichiarato la illegittimità costituzionale del comma 6 dell’art.

438, nella parte in cui non prevede che, in caso di rigetto della richiesta di abbreviato

condizionato, l’imputato possa riproporre la richiesta prima della dichiarazione di

apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio

abbreviato.

Un ulteriore e non trascurabile scollamento tra giudizio abbreviato e sede

idealmente “preliminare” di celebrazione (anche per consentire all’aggettivo di svolgere

una funzione “qualificatoria” di un rito alternativo al dibattimento) è stato generato da

una serie di sentenze della Corte costituzionale, le quali, in presenza di un novum

contestativo, “fisiologico” o “patologico” che fosse, hanno stabilito la illegittimità

costituzionale del meccanismo delle nuove contestazioni, nella parte in cui non

consentivano all’imputato di chiedere, seppur “tardivamente”, quel rito.

6 V. CAVALLERI, Giudizio abbreviato “condizionato” e sindacabilità dell’ordinanza di rigetto, in Riv. it. dir. proc. pen.,

2003, 959; DI DEDDA, Sindacabile dal giudice del dibattimento il rigetto del giudizio abbreviato condizionato, in Dir.

pen. e proc., 2003, 832; LOZZI, Un ripensamento della Corte costituzionale in tema di giudizio abbreviato, in Giur.

Cost., 2003, 1336; VELANI, Sindacabile in dibattimento la decisione del giudice che in precedenza abbia rigettato

l’istanza di giudizio abbreviato subordinato all’integrazione probatoria, in Giur. Cost., 2003, 3134.

6

Con la sentenza n. 333 del 2009, è stato infatti dichiarato costituzionalmente

illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., l'art. 517 cod. proc.

pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del

dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in

dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli

atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale. Con la sentenza n. 237 del

2012, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24

Cost., l'articolo 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato

di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato

concorrente emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della

nuova contestazione. Con la sentenza 273 del 2014 è stato dichiarato costituzionalmente

illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24, Cost., l'art. 516 cod. proc. pen. nella parte in

cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il

giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione

dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Con la sentenza n. 139 del

20157, infine, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt.

3 e 24 Cost., l'art. 517 cod. proc. pen. nella parte in cui, nel caso di contestazione di una

circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio

dell'azione penale, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del

dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova

contestazione8.

2. La riforma Orlando. Le indagini difensive “a sorpresa”.

Questo il quadro d’assieme, tutt’altro che lineare, sul quale si è proiettata la

riforma Orlando, che al giudizio abbreviato – ad avviso di molti bisognevole di terapie

davvero radicali (alcuni ne auspicano addirittura la soppressione) – ha dedicato una

serie di norme, alcune destinate a recepire (o all’inverso a contrastare, come nel caso

della incompetenza per territorio) orientamenti già in parte sedimentati in

giurisprudenza, ed altre di assai discutibile correttezza tecnica.

7 V. al riguardo, anche per una panoramica della precedente giurisprudenza, APRILE, Per la Consulta

l’abbreviato può essere chiesto anche per il “fatto diverso” emerso nel corso del giudizio dibattimentale, in Cass.

pen.,2015, 580; RAFARACI, Nuove contestazioni “patologiche” e accesso al giudizio abbreviato: la Corte rimuove de

plano l’ultima preclusione, in Giur. Cost., 2015, 1207. 8 L’iter della Corte costituzionale è da ultimo approdato, in tema di patteggiamento, alla sentenza n. 206 del

2017, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 del codice di procedura penale,

nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento

l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso

emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. V. al riguardo

SPINELLI, La Consulta torna sul rapporto tra modifica dell’imputazione e facoltà di accesso ai riti alternativi, in questa

Rivista, fasc. 10/2017, p. 37 ss.

7

La prima e più significativa fra le modifiche introdotte, ruota attorno ad un tema

assai scivoloso, quale è quello delle indagini difensive “a sorpresa”: vale a dire,

depositate a ridosso della richiesta di rito alternativo9.

Tema che ho definito scivoloso essenzialmente per due ragioni. La prima è

rappresentata dal fatto che l’intervento nel processo di un difensore “istruttore”

(concorre, infatti, alla formazione del fond predibattimentale) rappresenta un indubbio

“salto” logico nel momento in cui la prospettiva non sia la raccolta di elementi per

articolare le difese probatorie dibattimentali, ma quella di costruire affidavit (consulenze,

testimonianze, rilievi, ecc.) da utilizzare direttamente come prove per il giudizio

abbreviato. La seconda è che nessun tipo di coordinamento normativo evocava una

possibile interlocuzione investigativa a confutazione di quelle emergenze, in ipotesi

piovute ex abrupto nella udienza.

Da qui, più dubbi di legittimità costituzionale, che hanno richiesto diversi

interventi da parte del Giudice delle leggi. Inizialmente si dubitò, infatti, della legittimità

costituzionale dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva

che, nel caso di deposito delle indagini difensive seguite da richiesta di giudizio

abbreviato non condizionato, fosse consentito al pubblico ministero l’esercizio della

prova contraria, così come previsto per il caso di giudizio abbreviato condizionato. Si

osservava, infatti, che, in mancanza di un riequilibrio sul piano probatorio, il giudice

avrebbe dovuto fondare il proprio giudizio tenendo conto anche di una serie di elementi

probatori unilateralmente assunti e unilateralmente introdotti nel processo, a fronte di

una contestuale richiesta ad essere giudicato anche in forza di atti del tutto sottratti al

confronto critico con la parte pubblica.

A fronte di tali obiezioni, la Corte (ordinanza n. 245 del 200510) ha replicato con

una pronuncia di inammissibilità, per omessa sperimentazione di soluzioni alternative

al fine di «porre rimedio alla denunciata anomala sperequazione tra accusa e difesa»

(evidentemente riconosciuta come esistente). Da un lato, infatti, il potere di integrazione

probatoria offerta al giudice dall’art. 441, comma 5, è «configurato quale strumento di

tutela dei valori costituzionali che devono presiedere l’esercizio della funzione

giurisdizionale, sicché proprio a tale potere il giudice dovrebbe fare ricorso per

assicurare il rispetto di quei valori». Dall’altro lato, occorre comunque «dare attuazione

al principio secondo il quale a ciascuna delle parti va comunque assicurato il diritto di

esercitare il contraddittorio sulle prove addotte “a sorpresa” dalla controparte, in modo

da contemperare – come già affermato dalla stessa Corte in altre circostanze – l’esigenza

di celerità con la garanzia dell’effettività del contradditorio, anche attraverso

differimenti delle udienze congrui rispetto alle singole, concrete fattispecie».

9 Sul tema, v. gli approfonditi rilievi critici di ZIROLDI, Giudizio abbreviato e indagini difensive: il contraddittorio

imperfetto, in Dir. pen. e giust., 2013, 78 s. 10 V. CREMONESI, Giudizio abbreviato e diritto alla prova contraria, in Arch. n. proc. pen., 2006, 261; VARRASO,

Investigazioni difensive, giudizio abbreviato e diritto alla “prova contraria”, in Cass. pen, 2006, 435; VELE, Per una

lettura costituzionalmente orientata in ordine al rapporto tra investigazioni difensive e giudizio abbreviato, in Giust.

Pen., 2006, I, 176; ZACCHÉ, Giudizio abbreviato e indagini difensive al vaglio della Corte costituzionale, in Giur. Cost.,

2005, 3382.

8

Replica, mi sembra, piuttosto flebile, sia perché l’integrazione probatoria

officiosa si fonda su una non decidibilità allo stato degli atti che non ha nulla a che vedere

con una sorta di prova contraria al tema addotto dalla indagine difensiva; sia perché non

si vede su che base il rinvio della udienza dovrebbe “servire” al pubblico ministero per

svolgere una indagine per “contrastare” le indagini difensive, visto, fra l’altro, che

l’attività di indagine del pubblico ministero non può che essere funzionale o all’esercizio

della azione penale, o alle richieste da formulare in dibattimento.

La questione, come era prevedibile, fu nuovamente proposta, ma secondo una

prospettiva assai più estesa, in quanto coinvolgente lo stesso nucleo del contraddittorio,

per come costituzionalmente configurato. La censura, infatti, veniva declinata nel

contestare la compatibilità costituzionale dell’art. 442, comma 1-bis del codice di rito,

vale a dire il perimetro conoscitivo del giudice in sede di giudizio abbreviato (in sintesi,

gli atti utilizzabili per la decisione), nella parte in cui è prevista la utilizzabilità a fini di

decisione degli atti unilateralmente raccolti dal difensore in assenza di situazioni

riconducibili alle deroghe al contraddittorio, previste dall’art. 111, quarto comma, Cost.

In particolare, il giudice rimettente faceva leva sulla interpretazione del

contraddittorio in senso “oggettivo”, vale a dire come metodo di acquisizione delle

prove, ricevendo sul punto una smentita da parte della Corte. Nella sentenza n. 184 del

2009, infatti, la corte accreditò una lettura del quinto comma dell’art. 111 Cost. nel senso

che «il principio del contraddittorio nel momento genetico della prova rappresenta

precipuamente uno strumento di salvaguardia del rispetto delle prerogative

dell’imputato», facendone dunque risaltare la natura eminentemente dispositiva. Il

principio di parità delle armi sancito dall’art. 111, secondo comma, Cost., non

comportava, pertanto, una perfetta simmetria di disciplina, ma postulava, al contrario,

l’esigenza di riequilibrio di posizioni fra loro ontologicamente asimmetriche, dal

momento che i poteri del pubblico ministero erano preponderanti rispetto a quelli

dell’imputato, costretto a subirne le iniziative. Da ciò l’assenza di vizi di costituzionalità

in relazione ad un tipo di giudizio – quello abbreviato – che ammette la rinuncia

dell’imputato alla fase più garantita del dibattimento ed assegna valore di prova alle

indagini difensive unilateralmente assunte, pur in assenza di consenso da parte del

pubblico ministero.

In sostanza, si legge nella sentenza, la censura si rivelava priva di fondamento,

perché nel giudizio abbreviato «gli atti di investigazione difensiva acquistano valore solo

come effetto della più generale rilevanza probatoria riconosciuta alla intera indagine

preliminare, alla pari di quelli dell’indagine del pubblico ministero e quindi con rinuncia

generalizzata al contradittorio per la formazione della prova».

Affermazioni ampiamente discusse e discutibili11, al punto che la questione

venne ad essere nuovamente proposta, deducendosi, sempre in riferimento all’art. 111

11 Fra le voci favorevoli v. AMODIO, Garanzie oggettive per la pubblica accusa? A proposito di indagini difensive e

giudizio abbreviato nel quadro costituzionale, in Cass. pen., 2010, 17; SPANGHER, Indagini difensive e giudizio

abbreviato, in Giur. Cost., 2009, 2062; TONINI, Giudizio abbreviato e patteggiamento a vent’anni dalla riforma del

1988, in Dir. pen. e proc, 2010, 652.In senso contrario o problematico, v. GREVI, Basta il solo «consenso

dell’imputato» per utilizzare come prova le investigazioni difensive nel giudizio abbreviato?, in Cass., pen., 2009, 3671;

9

Cost., la illegittimità costituzionale degli artt. 391-octies e 442, comma 1-bis, cod. proc.

pen., «nella parte in cui non preved[evano], nell’ipotesi di deposito del fascicolo delle

investigazioni difensive e richiesta di giudizio abbreviato, un termine processuale per il

deposito del predetto fascicolo con la facoltà del pubblico ministero di esercitare il diritto

alla controprova».

La Corte (sentenza n. 117 del 201112) ritenne la questione inammissibile per più

ragioni, ma ha fornito alcune puntualizzazioni di indubbio risalto. Ricostruendo, infatti,

la complessa dinamica della udienza preliminare, con specifico riferimento alla varietà

di apporti che in essa possono confluire, anche per circoscrivere nel tempo il concetto di

tempestività e di “repentinità” delle produzioni e allegazioni delle parti, la Corte ha

sottolineato come il termine finale per le produzioni, sempre assoggettate al

provvedimento ammissivo del giudice, ed al contraddittorio delle parti, assicurando nei

congrui casi il diritto alla controprova, sia fissato nell’inizio della discussione. Termine,

questo, che, evidentemente, segnava anche il momento ultimativo per la produzione

delle indagini difensive.

In termini sintonici, si è affermato, in giurisprudenza, che, in tema di giudizio

abbreviato, i risultati delle investigazioni difensive sono utilizzabili ai fini della decisione

a condizione che i relativi atti siano stati depositati nel fascicolo del P.M. prima

dell'ammissione al rito speciale; ne consegue che nell'ipotesi di giudizio abbreviato a

seguito di udienza preliminare, tali atti possono essere prodotti anche nel corso

dell'udienza preliminare e sino alla scadenza del termine per la richiesta del rito

abbreviato, a norma dell'art. 438 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 9198 del 16/02/2017 - dep.

24/02/2017, Orsini, Rv. 26934401)

Da tutto ciò sembrava possibile dedurre che deve ritenersi costituzionalmente

compatibile la circostanza che il sistema, non soltanto assicuri al difensore lo

svolgimento di una attività difensiva unilaterale, mediante la acquisizione di atti da

porre sullo stesso piano degli atti della indagine preliminare, ma anche che ne segnali lo

stesso regime di utilizzabilità, nell’ambito, in particolare, del giudizio abbreviato. Ciò

che diviene semmai “criticabile” sul versante della paritetica condizione fra le parti

necessarie è la eventuale limitazione al pubblico ministero, all’esercizio di un potere

investigativo contrapposto alla indagine difensiva, ove tale diritto venga richiesto dallo

stesso pubblico ministero.

La Corte aveva dunque già “anticipato” la possibilità di un rinvio della udienza

preliminare, allo scopo di consentire al pubblico ministero di controdedurre in ipotesi di

devoluzione di indagini difensive; in linea, d’altra parte, con una significativa porzione

UBERTIS, Eterogenesi dei fini e dialettica probatoria nel rito abbreviato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 2072; LOZZI, Il

contraddittorio in senso oggettivo e giudizio abbreviato, in Giur. Cost., 2009, 2055; CANTORE, Il binomio

investigazioni difensive - giudizio abbreviato e i dubbi di legittimità costituzionale, in Arch. n. proc. pen., 2010, 693;

ZACCHÉ, Giudizio abbreviato e atti difensivi «a sorpresa», in Indice pen., 2010, 177. 12 V. al riguardo, in chiave adesiva, CASSIBBA, La Corte costituzionale fa chiarezza sul regime di ammissione degli

atti e documenti nell’udienza preliminare, in questa Rivista, 26 aprile 2011; TODARO, Investigazioni difensive e

giudizio abbreviato: principio del contraddittorio e pluralità di leges probatoriae nel sistema processuale penale, in

Giur. Cost., 2011, 1629.

10

della giurisprudenza, secondo la quale in tema di rito abbreviato, è utilizzabile l'attività

di indagine, espletata dal P.M. dopo l'instaurazione del rito, diretta a contrastare le

risultanze delle investigazioni difensive alla cui ammissione sia stata subordinata la

richiesta del giudizio speciale. (Sez. 3, n. 28708 del 09/06/2010 - dep. 21/07/2010, V. ed

altri, Rv. 24813701).

3. Le indagini suppletive.

Dunque, niente di nuovo sotto il sole? Non del tutto. La riforma Orlando, infatti,

ha espressamente sancito, nel novellato comma 4 dell’art. 438 cod. proc. pen. che

«Quando l’imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei

risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine

non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo

svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa. In tal

caso, l’imputato ha facoltà di revocare la richiesta».

La novella sembra dunque aver recepito le preoccupazioni che erano scaturite

dalla produzione “a sorpresa” delle indagini difensive, accordando un termine al

pubblico ministero13 solo nella ipotesi in cui la richiesta di giudizio abbreviato venga

formulata “immediatamente dopo” la produzione delle indagini difensive: ma resta

nell’ombra la portata da annettersi ad un riferimento cronologico piuttosto vago (è da

ritenersi che, a fortiori, il rinvio vada disposto nella ipotesi di richiesta “contestuale” al

deposito14), considerato che le dinamiche della udienza possono essere assai varie e che

fra deposito delle indagini difensive e richiesta di rito alternativo può intercorrere un

lasso temporale anche non indifferente. Parrebbe forse ragionevole ritenere che

l’”autonoma” indagine del pubblico ministero debba essere consentita in tutti i casi in

cui il deposito delle indagini difensive rappresenti la premessa logica della richiesta di

rito alternativo, dal momento che soltanto in questa prospettiva si giustifica la

limitazione, non soltanto temporale, ma anche funzionale, delle indagini del pubblico

ministero, posto che è la stessa novella a circoscriverne la portata ai “temi introdotti dalla

difesa”.

Ci si muove, dunque, in un ambito evidentemente più esteso del concetto di

prova contraria, non solo e non tanto per esigenze di “simmetria linguistica” (l’indagine

difensiva non acquisisce “prove” e dunque non può dirsi diversamente a proposito della

indagine “suppletiva” del pubblico ministero), quanto e soprattutto perché è la varietà

13 Per talune opinioni critiche sulla eccessività del termine assegnato al pubblico ministero, v. GALLUZZO, Il

giudizio abbreviato, in Verso un processo penale accelerato, a cura di Marandola, La Regina, Aprati, Jovene, 2015,

91; ALESCI, La nuova fisionomia del giudizio abbreviato tra la normativizzazione del dato giurisprudenziale e lacune

interpretative, in La riforma Orlando, a cura di Spangher, Pacini, 2017, 184. 14 Per talune perplessità circa la mancata previsione legislativa di tale ipotesi v. GIALUZ – CABIALE - DELLA

TORRE, Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, tra codificazione della giurisprudenza, riforme attese

da tempo e confuse innovazioni, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3/2017, p. 173 ss.

11

degli “oggetti” di dimostrazione a non poter ammettere una rigorosa sovrapponibilità

tra l’uno e l’altro tipo di indagine.

Il richiamo espresso – con funzione delimitativa – ai “temi”, è quindi

concettualmente riferibile a tutto ciò che, a norma dell’art. 187, può formare oggetto di

prova, fermo restando, a mio avviso, che i risultati probatori “eccedenti” o “ulteriori”

rispetto a quei temi saranno comunque utilizzabili nel giudizio di merito. Ciò spiega,

d’altra parte, la possibilità di revoca della richiesta di rito alternativo, espressamente

accordata all’imputato.

Va peraltro rammentato, al riguardo, che la giurisprudenza – dopo un iniziale

atteggiamento di chiusura – si è venuta ad orientare nel senso di ritenere che la richiesta

di giudizio abbreviato sia revocabile fino all'adozione del provvedimento del giudice

che dispone il rito quando è proposta ai sensi dell'art. 438 cod. proc. pen., mentre,

laddove è presentata a seguito di decreto di giudizio immediato, può essere revocata

fino al momento della fissazione dell'udienza per la ammissione del procedimento

speciale. (Sez. 6, n. 33908 del 07/06/2017 - dep. 12/07/2017, Medina e altri, Rv. 27056301).

La facoltà di revoca della richiesta in dipendenza della indagine “suppletiva”

svolta dal pubblico ministero, esprime, dunque, un contrarius actus che rimuove il rito

alternativo, ma non certo le acquisizioni promananti dalla indagine difensiva e da quella

suppletiva del pubblico ministero. Al tempo stesso, segnala un fenomeno processuale

lessicalmente (e concettualmente) diverso dalla possibilità che lo stesso imputato, a

seguito delle contestazioni suppletive scaturenti dalla attività probatoria integrativa

(svolta su impulso dell’imputato attraverso la richiesta condizionata, o dal giudice che

ritenga di non poter decidere allo stato degli atti) chieda «che il procedimento prosegua

nelle forme ordinarie» a norma dell’art. 441-bis.

In quest’ultima ipotesi, infatti, il novum non è di tipo “probatorio” e quindi

idoneo ad incidere sulla richiesta, ma di tipo contestativo e dunque tale da influire sullo

stesso “oggetto” del rito, mutando la portata della regiudicanda. In questo senso può

trovare spiegazione la “domanda” di prosecuzione col rito ordinario da parte

dell’imputato, con la conseguente revoca del provvedimento di ammissione del rito

alternativo da parte del giudice.

Va comunque dato atto, al riguardo, che in una pronuncia si è affermato che la

richiesta di retrocessione dal rito avanzata ai sensi dell'art. 441-bis cod. proc. pen. può

essere validamente revocata dall'imputato prima che il giudice provveda sulla stessa,

non potendosi in tal caso qualificare la suddetta revoca come riproposizione della

domanda di abbreviato. (Sez. 5, n. 24125 del 27/04/2012 - dep. 18/06/2012, Melella e altro,

Rv. 25280601).

4. Alcuni punti “critici”.

L’epilogo che può trarsi dalla novella – pur se in sé non sconvolgente, in quanto,

come si è detto, “consolidatrice” dei dicta promananti dalla giurisprudenza, specie

costituzionale – presenta comunque aspetti “critici” già da tempo denunciati. La

indagine difensiva, al di là dei suoi connotati peculiari, trattandosi di materiale

12

proveniente da una parte privata, può non presentare collegamento alcuno col “tema”

della indagine i cui risultati hanno formato oggetto di deposito da parte del pubblico

ministero. La difesa, infatti, può devolvere ciò che ritiene più utile per l’imputato su tutti

i “versanti” del processo: imputazione, imputabilità, circostanze, condizioni di

punibilità, trattamento sanzionatorio, ecc. Siamo quindi al di fuori di qualsiasi

“condizionamento” derivante dal diritto alla prova disciplinato dall’art. 495, e gli atti che

vengono ad essere devoluti e che divengono eo ipso utilizzabili per il giudizio abbreviato,

sono quelli, non solo formati autonomamente dalla difesa, ma anche altrettanto

autonomamente “selezionati”. Il contraddittorio, quindi, mi sembra che non c’entri per

nulla, e la stessa rinuncia al dibattimento finisce per poter essere davvero poca cosa, se

si considera che nulla e nessuno “limita” la produzione della difesa, dal momento che il

sindacato del giudice sulla “compatibilità con le finalità di economia processuale proprie

del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti e utilizzabili”, è limitato al solo

abbreviato condizionato.

Unico, parziale e circoscritto “baluardo” delibativo è offerto dalla

“intempestività” della produzione, dal momento che, a norma dell’art. 421, comma 3, di

provvedimento “ammissivo” si fa riferimento per i soli atti e documenti che vengano

acquisiti prima dell’inizio della discussione.

A dimostrazione della ampiezza delle possibilità di produzione sta, d’altra parte,

l’affermazione secondo la quale nel corso dell'udienza preliminare, la produzione di

nuovi documenti non soggiace al limite temporale di cui all'art. 127 cod. proc. pen., fino

a cinque giorni prima dell'udienza, essendo la produzione ammissibile fino all'inizio

della discussione, ai sensi dell'art. 421, comma terzo, cod. proc. pen. senza che ciò

comporti lesione del contraddittorio, potendo la controparte chiedere al giudice, a fronte

della nuova produzione, un'attività di integrazione probatoria ex art. 422, comma primo,

cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 44011 del 24/09/2015 - dep. 02/11/2015, PM in proc. Pesce, Rv.

26507201)

5. Riti alternativi e richieste alternative.

Altra novità che ha riguardato l’art. 438 del codice di rito, concerne la possibilità

per l’imputato di formulare richieste alternative che ratificano una sorta di jus variandi

sul quale la giurisprudenza aveva formulato non poche perplessità. Si è infatti affermato,

ad esempio, che in tema di riti speciali, qualora a seguito di decreto che dispone il

giudizio immediato l'imputato abbia chiesto ed ottenuto il rito abbreviato, non può

successivamente avanzare istanza di applicazione di pena concordata, ostandovi il

principio generale di alternatività e non conversione dei riti. (In motivazione, peraltro,

la Corte ha precisato che il principio non impedisce che l'imputato formuli richiesta

subordinata di giudizio abbreviato per il caso di mancato accoglimento della istanza

principale di patteggiamento). (Sez. 3, n. 21456 del 29/01/2015 - dep. 22/05/2015, Dorre,

Rv. 26374701).

A superare ogni dubbio sul punto, il nuovo comma 5-bis dello stesso art. 438, ha

stabilito che, con la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, presentata a norma del

13

comma 5, può essere proposta, subordinatamente al suo rigetto, la richiesta di giudizio

abbreviato “secco”, a norma del comma 1, oppure la applicazione della pena su richiesta

a norma dell’art. 444 cod. proc. pen.

Va notato, tuttavia, che resta in vigore il comma 6 dell’art. 438, il quale, a sua

volta, stabilisce che nella ipotesi in cui la richiesta di giudizio abbreviato condizionata,

presentata ai sensi del comma 5, sia stata rigettata, «la richiesta – senza puntualizzazioni

di sorta – può essere riproposta sino al termine previsto dal comma 2», vale a dire «fino

a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422». In passato, si

discuteva se la reiterazione della richiesta condizionata respinta dal giudice potesse

essere riformulata soltanto in forma ugualmente condizionata oppure anche come

richiesta “secca”. In giurisprudenza, infatti, vi erano pronunce nel senso che la facoltà di

riproporre, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, la

richiesta di ammissione al rito abbreviato condizionato già rigettata, presuppone

necessariamente che essa non sia mutata nel contenuto, restando conseguentemente

preclusa la possibilità di trasformare, per tale via, la richiesta da condizionata ad

incondizionata. (Sez. 1, n. 21219 del 27/04/2011 - dep. 26/05/2011, Carlino e altro, Rv.

25023201; v. anche Cass., Sez. II, n.139 del 28/09/2011 (dep. 10/01/2012) Rv. 251762).

La novella, facendo espresso riferimento alla possibilità di formulare anche

domande subordinate, sembra eloquentemente aprire lo spazio ad una reiterazione di

domanda di giudizio abbreviato anche non più condizionata, dovendosi anzi ritenere

che il favor per il rito alternativo militi nel senso di escludere letture (per la verità non

poco formalistiche) contrarie ad una pronta definizione del giudizio.

È da ritenere che, nonostante gli artt. 452, comma 2, 458 comma 2, e 461, comma

3, non enuncino un espresso rinvio al comma 5-bis dell’art. 438, la relativa disciplina trovi

applicazione anche nel caso di giudizio abbreviato derivante dalla trasformazione del

giudizio immediato o direttissimo o in sede di opposizione a decreto penale di

condanna, dal momento che la ratio del favor per la soluzione alternativa del

procedimento, rispetto all’epilogo dibattimentale, è identica per tutte le figure di

abbreviato15.

6. Convalescenze e preclusioni. La inutilizzabilità “patologica”.

L’ultima – ma non certo per importanza – modifica che ha riguardato l’art. 438 si

è concentrata sul controverso tema degli “effetti sananti” della richiesta di giudizio

15 In giurisprudenza, è reiterata l’affermazione secondo la quale in tema di giudizio immediato, non sussiste

alcuna preclusione alla formulazione, da parte dell'imputato, qualora sussistano i presupposti e le

condizioni processuali e non siano perenti i termini, di una richiesta in via subordinata di rito abbreviato,

ove non sia accolta quella, avanzata in via principale, di applicazione della pena, non ostandovi il disposto

dell'art. 456, comma secondo, cod. proc. pen., riferibile unicamente all'obbligo di opzione gravante

sull'imputato, suscettibile di essere soddisfatto anche in presenza di un'istanza subordinata e trattandosi di

modalità distinte di instaurazione del rito, scevre di indebite commistioni e inammissibili trasformazioni.

(Sez. 1, n. 2100 del 19/12/2007 - dep. 15/01/2008, Confl. comp. in proc. Zamparino e altro, Rv. 23864601. V.

anche Cass., Sez. I, n. 1052 del 3 dicembre 2008, Rv. 244062).

14

abbreviato e sulla possibilità di dedurre o meno questioni relative alla competenza per

territorio del giudice.

Il nuovo comma 6-bis stabilisce, recependo in parte qua, la tesi già fatta propria

dalla giurisprudenza di legittimità, che la richiesta di giudizio abbreviato determina la

non rilevabilità delle inutilizzabilità, «salve quelle derivanti dalla violazione di un

divieto probatorio». Si rievoca, sostanzialmente, quanto le Sezioni Unite ebbero a

puntualizzare nella sentenza Tammaro16, ove appunto si mise in luce la circostanza che

– come sottolinea la massima ufficiale – il giudizio abbreviato costituisce un

procedimento "a prova contratta", alla cui base è identificabile un patteggiamento

negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita

all'udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a

chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel

corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente

sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del "dibattimento".

Tuttavia tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto

esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma

resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel

giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che

in esso, mentre non rilevano né l'inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioè

quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il

giudice non può utilizzare prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle

legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l'art. 526 cod. proc. pen., con i

correlati divieti di lettura di cui all'art. 514 stesso codice (in quanto in tal caso il vizio-

sanzione dell'atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo

abdicativo), né le ipotesi di inutilizzabilità "relativa" stabilite dalla legge in via esclusiva

con riferimento alla fase dibattimentale [ad es. art. 350, comma 7; art. 360, comma 5; art.

403, comma 1; caratterizzate dalla natura “sospetta” o “non partecipata”], va attribuita

piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell'inutilizzabilità cosiddetta "patologica",

inerente, cioè, agli atti probatori assunti contra legem, la cui utilizzazione è vietata in

modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento,

comprese quelle delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, nonché le

procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito. (Principio affermato con

riguardo all'utilizzazione, nel giudizio abbreviato, di dichiarazioni autoindizianti rese

da soggetto sentito in veste di persona informata dei fatti e in riferimento al testo degli

artt. 438 e seguenti cod. proc. pen. vigente prima delle leggi n. 479 del 1999 e n. 144 del

2000, nella cui mutata disciplina la S.C. ha ritenuto che, pur persistendo l'obbligo del

giudice di decidere nel merito senza tener conto del materiale probatorio affetto da vizi

di nullità o inutilizzabilità, sussiste, tuttavia, il suo potere di assumere, anche di ufficio,

16 V., al riguardo, VITALE, Nullità assoluta e inutilizzabilità delle prove nel “nuovo” giudizio abbreviato, in Cass.

pen., 2001, 2033; CASSIBBA, Inutilizzabilità degli atti e poteri probatori del giudice nel “nuovo” giudizio abbreviato,

in Cass. pen., 2001, 400; IAFISCO, Il regime delle invalidità degli atti nel giudizio abbreviato e questioni vecchie e nuove

prospettive dopo la legge n. 479 del 1999, in Giur. It., 2001, 116.

15

gli elementi necessari ai fini della decisione nelle forme previste dall'art. 422 cod. proc.

pen.). (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000 - dep. 30/06/2000, Tammaro, Rv. 21624601.

Principi, questi, ripresi anche nella successiva sentenza delle Sezioni unite n. 1149

del 25 settembre 2008, Magistris, a proposito delle dichiarazioni rese dai collaboratori di

giustizia dopo il termine dei 180 giorni dalla manifestazione della volontà di

collaborare17.

Per prove inutilizzabili perché “derivanti da un divieto probatorio”, debbono

intendersi, non soltanto le prove oggettivamente vietate, ma anche quelle – come

puntualizzò la sentenza Tammaro – «comunque formate o acquisite in violazione – o con

modalità lesive – dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione e,

perciò, assoluti e irrinunciabili, a prescindere dall’esistenza di un espresso o tacito

divieto al loro impiego nel procedimento contenuto nella legge processuale».

Sembra per questa via superarsi il principio di stretta legalità e tipicità anche dei

divieti probatori ex art. 191 cod. proc. pen., attraverso un riferimento contenutistico non

alla fonte del divieto, quanto, piuttosto, alla funzione del divieto stesso, giacché la

paralisi che deriva dalla inutilizzabilità, a differenza della nullità, che coinvolge l’atto,

inerisce direttamente alla funzione probatoria che quell’atto è destinato ad assolvere.

Ove vengano in discorso diritti irrinunciabili, pertanto, l’opzione per il giudizio

abbreviato non può assegnare valore ad un atto probatorio che, se svolgesse la sua

funzione, determinerebbe un vulnus agli stessi valori costituzionali. Questo spiega, a mio

avviso, la ragione per la quale mentre per le nullità deve essere necessariamente la legge

a stabilire anche i relativi “casi”, per i divieti probatori non è stabilita la stessa necessità

di rassegna “casistica”, bastando che sia la “legge” (e dunque la Costituzione anzitutto)

a delinearne l’essenza. In questa prospettiva, credo che debba essere annessa una portata

di “sistema” alla circostanza che la novella abbia reso “autonomo” il concetto di “divieto

probatorio” agli effetti del giudizio abbreviato, proprio perché il legislatore non si è

limitata a richiamare, sic et simpliciter, l’art. 191 del codice di rito18.

7. La sanatoria. Recepimento della giurisprudenza o innovazione di sostanza?

Ugualmente tesa a “normativizzare” i percorsi già tracciati dalla giurisprudenza

è l’altra affermazione secondo la quale la richiesta di giudizio abbreviato proposta nella

udienza preliminare «determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano

assolute», dal momento che la giurisprudenza era già da tempo attestata nell’affermare,

appunto, che le nullità di ordine generale a regime intermedio non possono essere

17 V. RUGGIERO, I discutibili confini dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni tardive dei “collaboratori di giustizia”, in

Cass. pen., 2009, 2278. 18 D’altra parte, mentre la nullità si atteggia alla stregua di vizio genetico e strutturale dell’atto processuale

– sicché è la tipologia stessa del vizio a non poter eludere il prisma della tipicità e tassatività –

l’inutilizzabilità pertiene ad un difetto funzionale di uno specifico atto processuale, quale è quello di tipo

probatorio; finendo così per incidere sulla idoneità stessa dell’atto (o, meglio, della sua “causa” normativa)

a svolgere la propria “funzione” nel processo.

16

dedotte a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito

speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 cod. proc. pen. (Sez.

U, n. 39298 del 26/09/2006 - dep. 28/11/2006, Cieslinsky e altri, Rv. 23483501. Anche più

di recente si è affermato che l'omessa notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza ad

uno dei due difensori dell'imputato determina una nullità di ordine generale a regime

intermedio che deve ritenersi sanata, ai sensi dell'art. 183 cod. proc. pen., qualora

l'imputato formuli una richiesta di rito abbreviato. V. anche Cass., Sez. IV, n. 16131 del

14 marzo 2017, Rv. 269609; Cass., Sez. II, n. 13465 del 22 marzo 2016, Rv. 26674801,

nonché Cass., Sez. II, n. 39474 del 3 luglio 2014, Rv. N. 260786).

Un profilo che, però, a me sembra presenti aspetti di una qualche problematicità

è che, mentre la giurisprudenza ha sin qui ricondotto l’effetto sanante della richiesta di

rito abbreviato all’interno del perimetro delle sanatorie previste dall’art. 183 cod. proc.

pen., una sanatoria “innominata” ex lege, in dipendenza della richiesta, di tutte le nullità

non assolute, finisce per generare, in definitiva, una nuova ipotesi di sanatoria che, in

determinati casi, può non rispondere alla efficacia sanante (ed alla ratio) dei

comportamenti univoci dell’interessato prefigurati come sanatorie generali dall’art. 183

del codice di rito (non sempre e non necessariamente la volontà di accedere al rito

alternativo si presenta, infatti, come “incompatibile” con il diritto a far valere il vizio di

un determinato atto, così da renderlo processualmente privo di effetti).

8. La preclusione sulla competenza per territorio.

Di tenore opposto agli approdi giurisprudenziali si rivela, invece, la nuova

espressa preclusione a dedurre «ogni questione sulla competenza per territorio del

giudice», sempre nel caso che la richiesta di giudizio abbreviato sia stata formulata nella

udienza preliminare. La tematica, come è noto, aveva formato oggetto di un contrasto

giurisprudenziale definito dalle Sezioni unite nel senso dell’orientamento minoritario,

favorevole alla proponibilità della eccezione di incompetenza per territorio in sede di

giudizio abbreviato, ove precedentemente respinta dal giudice della udienza

preliminare. Il Collegio allargato aveva infatti affermato il principio secondo il quale

l'eccezione di incompetenza territoriale è proponibile in limine al giudizio abbreviato non

preceduto dall'udienza preliminare, mentre, qualora il rito alternativo venga instaurato

nella stessa udienza, l'incidente di competenza può essere sollevato, sempre in limine a

tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede di udienza preliminare. (In

motivazione la Corte ha precisato che, pur in assenza nel giudizio speciale di una fase

dedicata alla soluzione delle questioni preliminari, l'eccezione può essere proposta in

quella dedicata alla verifica della costituzione delle parti). (Sez. U, n. 27996 del 29/03/2012

- dep. 13/07/2012, Forcelli, Rv. 2526120119. La giurisprudenza successiva si era espressa

19 V. TODARO, Il volto attuale del giudizio abbreviato tra questioni deducibili e implicazioni di sistema, in Cass. pen.,

2013, 572.

17

tutta nel medesimo senso: v. Sez. II, n. 22366 del 23 aprile 2013, Rv. 255931; Sez. IV, n.

45395 del 16 ottobre 2013, Rv. 257561; Sez. VI, n. 8652 del 5 febbraio 2014, Rv. 258804).

La scelta di assegnare alla domanda di giudizio abbreviato il valore

normativamente equivalente ad una dismissione del diritto a far valere questioni sulla

competenza territoriale del giudice, anche e soprattutto nei casi in cui tale questione sia

stata dedotta e respinta dal giudice della udienza preliminare (dimostrandosi per questa

via la volontà dell’imputato di coltivare una pretesa direttamente riconducibile al diritto

costituzionale al giudice naturale), si rivela opzione discutibile, nel merito (non si

avverte una “semplificazione” sostanziale del rito a fronte di una preclusione la cui ratio

è conseguentemente sfuggente) e nel metodo (si contrasta ex lege una interpretazione

delle Sezioni unite, per di più favorevolmente accolta dalla giurisprudenza successiva).

Non mi sembra improprio ricordare, fra l’altro, come la stessa Corte

costituzionale, a proposito del principio del giudice naturale precostituito per legge

abbia avuto modo di sottolineare, proprio in tema di competenza per territorio, che «il

predicato della “naturalità” assume nel processo penale un carattere del tutto

particolare, in ragione della “fisiologica” allocazione di quel processo nel locus commissi

delicti. Qualsiasi istituto processuale, quindi, che producesse […] l'effetto di “distrarre”

il processo dalla sua sede, inciderebbe su un valore di elevato e specifico risalto per il

processo penale; giacché la celebrazione di quel processo in “quel” luogo, risponde ad

esigenze di indubbio rilievo, fra le quali, non ultima, va annoverata anche quella – più

che tradizionale – per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel

luogo in cui sono stati violati» (v. sentenza n. 168 del 2006).

Affermazioni, come ognuno vede, non del tutto sintoniche con la “preclusione”

a far valere la questione di competenza per territorio, che il legislatore della novella ha

inteso introdurre in forma espressa proprio per il giudizio abbreviato, considerato, fra

l’altro, che la scelta di tale rito – come è noto, e come più volte ripetuto dalla stessa Corte

costituzionale – costituisce espressione del più generale diritto di difesa.

9. La pena.

Il giudizio abbreviato è stato infine ritoccato anche per ciò che attiene al

trattamento sanzionatorio. In caso di condanna per contravvenzione, infatti, la pena

viene ora diminuita della metà, e non più di un terzo. Sono note le polemiche che da

tempo coinvolgono proprio i sensibili “sconti di pena” che derivano dal rito abbreviato,

specie nei casi in cui il “dispendio” di attività processuale non giustificherebbe

l’ammontare del beneficio, in particolare per i segmenti di pena più elevati che risentono

maggiormente della diminuzione in misura fissa e percentuale. Frizioni di sistema che

si amplificano in executivis, cumulandosi con le varie misure previste dall’ordinamento

penitenziario.

Si può ricordare, al riguardo, quanto nel corso dei lavori preparatori della legge

delega ebbe ad affermare l’allora Senatore Vassalli, con il consueto garbo e

problematicità del Maestro: «Ho qualche intima riserva – affermò colui che poi, da

ministro, firmò il codice di procedura penale – sul fatto che in questo caso si dia al

18

condannato il premio della riduzione di un terzo della pena, solo perché egli consente di

procedere al giudizio nell’udienza preliminare, ma si sa che si danno premi anche agli

imputati che agevolano l’andamento del processo. È un aspetto un po’ curioso, che può

dare spazio a qualche perplessità dal punto di vista dei principi» (Aula Senato, 19

novembre 1986).

La tendenza verso livelli bagatellari del trattamento penale in genere e di quello

relativo alle fattispecie contravvenzionali in specie, pone seri problemi di rispetto del

principio di proporzionalità della pena, che di recente la Corte costituzionale ha

fortemente riaffermato, svincolando il relativo controllo dal rigoroso rispetto del

paradigma del tertium comparationis per evocare una più generale armonizzazione in

conformità alle linee desumibili dal sistema (v. in particolare, la sentenza n. 236 del

201620): il che, evidentemente, al di là dei problemi connessi alle additive in malam partem

ed alle deroghe relative alla ipotesi della sindacabilità delle norme penali di favore,

indiscutibilmente comporta, a me sembra, la necessità di un riesame della intera tematica

dei benefici sanzionatori che scaturiscono – in misura ormai così significativa – dalla

scelta unilaterale per il giudizio abbreviato, e che perturba – per eccesso di attenuazione

del carico sanzionatorio – il canone della proporzionalità della pena.

Va d’altra parte osservato come, operando il meccanismo di attenuazione – che

coinvolge anche la massima pena detentiva – in termini meramente “sostitutivi”, dal

momento che la riduzione è stabilita in misura percentuale fissa, si va incontro,

necessariamente, alla omologazione di situazioni fra loro profondamente differenti,

finendo per premiare, con eguale riduzione di pena, realtà a “tasso di dispendio

processuale” fra loro non poco difformi (abbreviato con integrazione probatoria e

indagini difensive, da un lato, e abbreviato derivante dalla trasformazione del giudizio

immediato o direttissimo, presupponenti, il primo, l’evidenza della prova ed il secondo

l’arresto in flagranza o la confessione).

10. Abbreviato da giudizio direttissimo.

Le innovazioni, indubbiamente consistenti – per lo meno sul piano normativo –

che hanno coinvolto la disciplina del giudizio abbreviato per così dire ordinario, vale a

dire quello che si innesta nel corpo della udienza preliminare, non potevano non

comportare disposizioni di “raccordo” volte a dettare una disciplina omogenea anche

20 V. VIGANÒ, Una importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, in Dir. pen. cont. – Riv.

trim., 2/2017, p. 61 ss; COTTU, Giudizio di ragionevolezza e vaglio di proporzionalità della pena: verso il superamento

del modello triadico?, in Dir. pen. e proc., 2017, 473; DI LELLO FINUOLI, La pena dell’alterazione di stato mediante

falsità e il principio di proporzione, in Giur. It., 2017, 1431; DOLCINI, Pene edittali, principio di proporzione, funzione

rieducativa della pena: la Corte costituzionale ridetermina la pena per l’alterazione di stato, in Riv. it. dir. proc. pen.,

2016, 1956; MANES, Proporzione senza geometrie, in Giur. Cost., 2016, 2105; PULITANÒ, La misura delle pene, fra

discrezionalità politica e vincoli costituzionali, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2/2017, p. 48 ss.

19

nei casi in cui il rito abbreviato si inserisca come variante del giudizio direttissimo o del

giudizio immediato21.

A proposito del giudizio direttissimo e della relativa trasformazione in giudizio

abbreviato, la novella ha interpolato il secondo comma dell’art. 452 aggiungendo che, in

tal caso, trovano applicazione anche le disposizioni dettate dal nuovo comma 6-bis

dell’art. 438, riguardanti, come si è già osservato, la sanatoria delle nullità non assolute

e la non rilevabilità delle inutilizzabilità che non derivino da violazione di un divieto

probatorio e la preclusione di ogni questione sulla competenza per territorio del giudice.

Resta però del tutto oscura la ragione per la quale non sia stato richiamato anche

il comma 4 dell’art. 438, ove, come si è accennato, è stata prevista una specifica scansione

di attività suppletiva da parte del pubblico ministero, nel caso di deposito di indagini

difensive a ridosso della richiesta di rito alternativo. È forte il sospetto che si tratti di una

mera dimenticanza del legislatore, ma il mancato richiamo di una disciplina tanto

specifica, e se si vuole “eccezionale,” non pare facilmente integrabile a livello

interpretativo, specie se si considera che il “tronco” processuale dal quale si dipana il

giudizio abbreviato, presenta anch’esso (il rito direttissimo) peculiarità di non poco

momento rispetto al modello della udienza preliminare (l’indagine suppletiva del

pubblico ministero si celebra, infatti, in un contesto che, anche prima della

trasformazione del rito, era già di giudizio di merito).

11. Abbreviato da giudizio immediato.

Ugualmente problematici si rivelano i “raccordi” che la riforma Orlando ha

inteso stabilire per il caso del giudizio abbreviato che si inserisca come “variante”

rispetto al giudizio immediato. La prima modifica ha infatti riguardato il primo comma

dell’art. 458, nel quale è stato aggiunto infine il riferimento alla applicabilità delle

sanatorie e delle indeducibilità delle inutilizzabilità non derivanti da divieti probatori

previste dal comma 6-bis dell’art. 438: ma con una significativa variante: nel caso di

richiesta di giudizio abbreviato dopo la notifica del decreto di giudizio immediato,

all’imputato è consentito di eccepire, con la richiesta, la incompetenza per territorio del

21 È da ritenere che la intera gamma delle “novità” che hanno riguardato il giudizio abbreviato che si celebra

in sede di udienza preliminare debbano trovare applicazione, anche senza un espresso richiamo, pure nella

ipotesi del giudizio abbreviato che si celebra in sede di udienza di comparizione a seguito di citazione

diretta. In tal caso, infatti, l’art. 555, comma 2, si limita a facoltizzare l’imputato di chiedere il giudizio

abbreviato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, con la conseguenza che il rito celebrabile

è quello previsto dagli artt. 438 e seguenti del codice di rito. V. anche PARODI, Riforma Orlando: tutte le novità,

in Il penalista, Giuffrè, 2017, 56. Deve pertanto ritenersi fra l’altro preclusa la proponibilità di questioni

relative alla competenza per territorio, superando dunque la giurisprudenza che affermava che l'eccezione

di incompetenza territoriale è proponibile "in limine" al giudizio abbreviato non preceduto dall'udienza

preliminare, mentre, qualora il rito alternativo venga instaurato nella stessa udienza, l'incidente di

competenza può essere sollevato, sempre "in limine" a tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede

di udienza preliminare (Fattispecie relativa a reato procedibile a citazione diretta del P.M.). (Sez. 2, n. 22366 del

23/04/2013 - dep. 24/05/2013, Pisu, Rv. 25593101).

20

giudice, evidentemente perché in tale ipotesi, e a differenza di quanto accade nella

udienza preliminare, non vi era stato un previo “contatto” col giudice al quale formulare

la eccezione e riceverne così risposta.

Nella sentenza delle Sezioni Unite Forcelli, infatti, espressamente si osservò che

«La specificità della procedura – che impone all'imputato, tratto a giudizio immediato o

raggiunto da decreto penale, di immediatamente effettuare, a pena di decadenza ed al

di fuori di una udienza, l'opzione per il rito alternativo – non consente di avanzare

alcuna contestazione di competenza se non dopo l'incardinazione del giudizio

abbreviato e all'inizio dell'udienza destinata alla trattazione di tale giudizio speciale. Il

diniego di una siffatta possibilità condurrebbe – come si è detto – ad un inammissibile

trattamento differenziato rispetto a coloro che sono stati tratti a giudizio attraverso

forme difformi di vocatio in ius, alla menomazione dei diritti di difesa dell'imputato, ad

una "lettura" secondo una ottica non costituzionalmente corretta della normativa in

questione.».

Nel caso dell’abbreviato che si inserisce sul giudizio immediato, la questione di

competenza per territorio potrà dunque essere sollevata, con la conseguenza che, ove

respinta dal giudice, potrà costituire oggetto di riesame in sede di impugnazione. Il che

– ci sembra – non può avvenire in tutti gli altri casi, in quanto, trattandosi di questione

preclusa ex lege, la stessa si perime all’atto stesso della introduzione del rito abbreviato.

Singolarità che, ove il rilievo sia condivisibile, desta forti perplessità proprio sul versante

relativo al diritto al “proprio” giudice naturale, a prescindere dal modello processuale

adottato.

Il legislatore della riforma ha poi integralmente riscritto il comma 2 dell’art. 458.

Le novità “sostanziali” sono rappresentate, anzitutto, dalla scomparsa dell’inciso con cui

il comma esordiva: “Se la richiesta è ammissibile”: il che significa che qualsiasi questione

che possa riguardare la ammissibilità della richiesta di trasformazione del rito da parte

dell’imputato, non forma più oggetto di una delibazione “preliminare” del giudice ai

fini della emissione del decreto di fissazione della udienza, ma deve confluire nel

contraddittorio in cui tale udienza si celebra22. Altra novità riguarda la previsione per la

22 Proprio in tema di contraddittorio, va rammentato che le Sezioni unite della Cassazione, in riferimento al

caso di trasformazione del giudizio immediato in abbreviato, chiamate a pronunciarsi sui relativi termini di

fase della custodia cautelare, nell’enunciare il principio di diritto secondo il quale «i termini di durata

massima della custodia cautelare per la fase del giudizio abbreviato, anche nella ipotesi di rito non

subordinato ad integrazione probatoria e disposto a seguito di richiesta di giudizio immediato, decorrono

dall'ordinanza con cui si dispone il giudizio abbreviato e non dall'emissione del decreto di fissazione

dell'udienza di cui all'art. 458, comma secondo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 30200 del 28/04/2011 - dep.

28/07/2011, P.M. in proc. Ohonba, Rv. 25034801)», avevano affermato (pag.10), tutt’altro che in forma

incidentale, che «nella ipotesi di abbreviato che si innesti su una richiesta di giudizio immediato (o di

emissione di decreto penale di condanna), vi sarà prima un vaglio, operato dal giudice che ha accolto la

richiesta di giudizio immediato del pubblico ministero, di ammissibilità concernente i requisiti formali della

richiesta, e, in caso di ritenuta ammissibilità, alla udienza fissata con decreto de plano si procederà, da parte

di un diverso giudice, in contraddittorio, al vaglio della fondatezza della richiesta con adozione della

ordinanza ammissiva del rito abbreviato (vedi anche Sez. 1, n. 9243 del 07/02/2003, Chakara, Rv. 224384 in

tema di decreto penale di condanna e Sez. 5, n. 9355, del 08/02/2007, Scognamiglio, Rv. 235835, che, sempre

in relazione all'art. 464 cod. proc. peri, ha affermato che è "d'obbligo" la fissazione, da parte del giudice,

21

quale il giudice, qualora riconosca la propria incompetenza, la dichiara con sentenza e

ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente,

ripetendo – forse con una qualche superfluità – il chiaro disposto generale dell’art. 22,

comma 3, del codice di rito.

Anche, infine, per il caso del giudizio abbreviato che deriva da trasformazione

del giudizio immediato, manca il richiamo al comma 4 dell’art. 438, con tutti i problemi

di coordinamento e i dubbi interpretativi di cui si è detto a proposito del giudizio

direttissimo trasformato.

12. Abbreviato da opposizione a decreto penale.

Per ciò che concerne l’ultima ipotesi di giudizio abbreviato per così dire “atipico”,

in quanto derivante dalla trasformazione di altri giudizi speciali, la riforma si è

preoccupata di “coordinare” l’art. 464, comma 1, concernente la richiesta di abbreviato

formulata in sede di opposizione a decreto penale di condanna, limitandosi, peraltro, ad

inserire un semplice richiamo all’art. 438, comma 6-bis. Con una duplice, non

trascurabile, conseguenza: da un lato, infatti, si è reiterata anche per questa ipotesi la

“svista” relativa al mancato rinvio alla disciplina delle indagini suppletive in ipotesi di

indagini difensive prodotte “a sorpresa”, non comparendo, infatti, alcun richiamo

dell’art. 438 comma 4; dall’altro lato, evocandosi la intera disciplina dettata dal citato

comma 6-bis dell’art. 438 si preclude anche la questione di competenza per territorio,

generandosi una palese difformità di trattamento rispetto a quanto si è visto per il

giudizio abbreviato derivante da trasformazione del giudizio immediato.

Una palese disparità di trattamento che risalta in termini ancor più eclatanti ove

si consideri che – come si è innanzi rilevato – la sentenza Forcelli aveva richiamato –

come ipotesi da salvaguardare, perché prive entrambe di contatti col giudice prima della

richiesta di rito abbreviato – proprio il caso del decreto penale di condanna oltre a quello

del giudizio immediato.

13. Patteggiamento.

In tema di patteggiamento le novità sono di sapore chiaramente deflattivo e

appaiono essenzialmente orientate nel senso di dare veste legislativa ad approdi cui la

giurisprudenza era, sia pure in parte, già pervenuta. Si semplifica, anzitutto, il

procedimento di correzione di errori materiali, introducendosi un comma 1-bis nell’art.

130 del codice di rito, ove si stabilisce che la rettificazione della specie e quantità della

pena per errore di denominazione o di computo è disposta anche di ufficio dal giudice

dell'udienza da tale articolo prevista, in caso, evidentemente, di ritenuta ammissibilità dell'istanza)». Al di

là del contraddittorio è però discutibile la scelta di imporre la fissazione della udienza, pur in presenza di

difetti macroscopici di ammissibilità, ad esempio per difetto di procura speciale o per intempestività della

richiesta.

22

che ha emesso il provvedimento. Nel caso di impugnazione, alla rettificazione provvede

la Corte di cassazione a norma dell’art. 619, comma 223.

Di rilievo sono invece i limiti al ricorso per cassazione, dal momento che il ricorso

– unico rimedio di regola esperibile – è proponibile «solo per motivi attinenti

all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la

sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della

misura di sicurezza».

Personalmente dubito della compatibilità della norma col diritto costituzionale

di proporre ricorso per cassazione per violazione di legge avverso tutte le sentenze,

qualora, come pare, la disposizione di cui si tratta debba essere intesa nel senso di

precludere la ricorribilità per cassazione per qualsiasi vizio – anche se radicale e

demolitorio – ove non iscrivibile nella rassegna operata dalla novella24. D’altra parte, vi

possono essere capi della sentenza di patteggiamento che fuoriescono dalla

“negoziazione”, come le misure di sicurezza e la confisca in particolare (specie se nella

forma per equivalente), ed è evidente che, con riferimento a questi, la limitazione della

norma – che circoscrive il ricorso ai soli casi di “illegalità” – non ha ragion d’essere25. È

23 In giurisprudenza è costante l’orientamento secondo il quale in tema di patteggiamento, è consentito alla

Corte di cassazione provvedere direttamente alla rettifica della pena erroneamente riportata nel dispositivo

dal giudice di merito, quando essa non sia coincidente con quella risultante dall'accordo intercorso tra le

parti. (Sez. 4, n. 17185 del 17/01/2017 - dep. 05/04/2017, Cecere, Rv. 26960401). In passato, si è anche affermato

che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto al solo fine di ottenere la rettifica della specie o della

quantità della pena per errore di denominazione o di computo da parte del giudice di merito, essendo

unicamente esperibile in tal caso la procedura di correzione dell'errore materiale, salvo che l'errore non sia

pertinente anche a vizi diversi dall'errore di fatto. (Fattispecie in tema di patteggiamento nella quale il

giudice aveva erroneamente operato la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria ex legge n. 689

del 1981). (Sez. 3, n. 49400 del 18/11/2009 - dep. 22/12/2009, P.G. in proc. Bitri, Rv. 24571301) 24 SPANGHER, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 1/2016, p.

93, ha osservato che «se possono comprendersi – stante la struttura contratta dell’atto – i limiti alla

deducibilità dei vizi di motivazione della decisione, considerata anche la convergenza della richiesta e del

consenso, nonché quelli relativi ai limiti probatori – considerata l’adesione all’incarto processuale –

perplessità riguardano l’indeducibilità delle nullità assolute e delle inutilizzabilità patologiche», rilevando,

anche, come una simile preclusione, sia pure mutatis mutandis, non sia stata espressa per il caso del

cosiddetto patteggiamento in appello nuovamente ripristinato dalla riforma attraverso la introduzione

dell’art. 599-bis cod. proc. pen. 25 In giurisprudenza si è affermato che nel procedimento previsto dall'art. 444 cod. proc. pen. il giudice non

è vincolato alle richieste delle parti in tema di confisca, ma, ove le disattenda, deve indicare in modo

adeguato le ragioni per le quali ha provveduto in termini difformi da quelli concordemente prospettati dal

pubblico ministero e dal difensore, non potendosi estendere al punto relativo alla confisca le caratteristiche

di sinteticità della motivazione tipiche delle sentenze di patteggiamento. (Sez. 6, n. 54977 del 14/10/2016 -

dep. 28/12/2016, Orsi, Rv. 26874001). Si è pure puntualizzato che anche nel procedimento di applicazione

della pena su richiesta delle parti, la confisca per equivalente non può essere applicata sulla base della

motivazione sintetica tipica del rito, sicché il giudice, nel disporre la misura ablatoria, deve specificamente

esplicitare le ragioni per cui ritiene sussistenti i presupposti per adottarla e non attendibili le giustificazioni

eventualmente addotte sull'esistenza di una sproporzione tra i valori sequestrati e il profitto del reato per

cui è stato apposto il vincolo cautelare. (Sez. 5, n. 32678 del 11/03/2015 - dep. 24/07/2015, Di Lucrezia e altro,

Rv. 26425401). A proposito, poi, delle misure di sicurezza personali ed alla necessità di una congrua

motivazione sui relativi presupposti di applicabilità, può rammentarsi che la giurisprudenza ha sottolineato,

ad esempio, che la misura di sicurezza dell'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino di uno

23

per altro verso singolare che possa essere contestata in cassazione la errata qualificazione

giuridica del fatto e non sia invece possibile negare radicalmente la sussistenza del fatto

tipizzato dalla norma incriminatrice ritenuta applicabile.

Per altro verso, e stavolta in chiave antitetica, il riferimento generico ai “motivi

attinenti alla espressione della volontà dell’imputato”, rischia di innescare un

“contenzioso” fortemente orientato verso uno scrutinio di merito (si pensi al frequente

caso di imputati alloglotti che dichiarino la non conoscenza della lingua italiana e di ciò

che “significhi” la richiesta di patteggiamento o il rilascio di una procura ad hoc), con un

sensibile incremento della ricorribilità, ove la norma venga intesa come volta a garantire

una effettiva tutela della consapevole scelta del rito, da azionare anche nel giudizio di

legittimità. Il tutto, d’altra parte, secondo una linea chiaramente tracciata dallo stesso

codice, che, con una disposizione nella prassi del tutto negletta, assegna al giudice il

compito (art. 446, comma 5) di verificare, se lo ritiene opportuno, «la volontarietà della

richiesta o del consenso», disponendo la comparizione personale dell’imputato.

14. Decreto penale di condanna.

Modifiche sono state apportate, infine, anche ai criteri di determinazione

dell’ammontare delle pene pecuniarie applicate in sostituzione delle pene detentive in

sede di emissione del decreto penale di condanna. Attraverso il nuovo comma 1-bis

dell’art. 459, dettato dall’evidente fine di disincentivare le opposizioni in caso,

soprattutto, di significative pene pecuniarie applicate in sostituzione delle pene

detentive, si è stabilito, anzitutto, che il giudice determini l’ammontare della sanzione

tenendo conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo

familiare e commisuri il valore giornaliero al quale può essere assoggettato tra un

minimo di euro 75 ed un massimo pari a tre volte; il tutto, non senza dimenticare che la

somma complessivamente determinata potrà essere assoggettata anche a pagamento

rateale, a norma dell’art. 133-ter cod. pen.

Ancora una volta, le esigenze di contenimento del carico processuale incidono –

ed in misura apprezzabile – sulla determinazione della pena, secondo una linea che,

dalla eccezionalità, pare snodarsi, ormai, verso una cronica tendenza “al ribasso”. Lo

“stupore” che nel lontano 1986 aveva colto – come si è detto – Giuliano Vassalli a

proposito della diminuzione di pena per l’abbreviato credo che oggi si sarebbe

trasformato in una saggia rassegnazione.

Stato membro dell'Unione europea, condannato alla reclusione per un tempo superiore a due anni, deve

essere disposta anche in caso di sentenza di patteggiamento, ma sempre previo accertamento in concreto

della pericolosità sociale. (La S.C. Corte ha affermato, in motivazione, che in caso di omessa statuizione

sull'allontanamento, la sentenza non può essere oggetto di rettifica ex art. 619 cod. proc. pen., ma deve essere

annullata con rinvio per la valutazione in concreto circa la pericolosità del condannato, da effettuarsi

innanzitutto in sede di cognizione e solo successivamente in sede esecutiva). (Sez. 4, n. 43459 del 29/09/2015

- dep. 28/10/2015, P.G. in proc. Lupoae Nicusor, Rv. 26521901).