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La programmazione strategica nella Pubblica Amministrazione italiana

Forum PA – 15 maggio 2008 GIUSEPPE COGLIANDRO Consigliere della Corte dei conti Le esperienze sul tema del Forum, alle quali ha fatto cenno il professor

Saturnino – che ringrazio dell’invito –, le ho fatte come membro del Comitato tecnico-scientifico della Presidenza del Consiglio dei Ministri che si occupa del coordinamento dei controlli interni e, segnatamente, della pianificazione strategica. Sono stato nominato dal Governo Berlusconi 2001-2006 e sono stato poi confermato dal Governo Prodi. Do queste informazioni di carattere personale per precisare l’ambito del mio impegno, che coincide sostanzialmente con l’intera esperienza applicativa della pianificazione strategica in Italia.

Il professor Archibugi ha molto lodato la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di pianificazione strategica del 2002, mentre ha criticato severamente le successive Direttive del 2004 e del 2007. Avendo io partecipato alla redazione tanto della prima, osannata, quanto delle successive, criticate, dovrei sentirmi, ad un tempo, lusingato per gli apprezzamenti sulla prima e contrariato per la disapprovazione delle altre.

Ritengo appropriato ridimensionare l’osanna ma non posso non respingere le critiche.

La Direttiva del 2002 conteneva, in un allegato (“Linee guida per la programmazione strategica”) un’esposizione della tipologia degli indicatori di efficacia ed efficienza. Si trattava certo di un testo accurato, e su questo concordo con Franco Archibugi. Dissento, invece, dalla sua affermazione che quel testo sia stato sconfessato dalle Direttive successive. Infatti, la Direttiva del 2004 vi fa un esplicito riferimento (Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 2004, punto 1, in Gazzetta Ufficiale n. 26 del 2.2.2005, p. 10) e quella del 2007 lo riporta pressappoco integralmente al punto 3 delle Linee guida per la pianificazione strategica, redatte dal Comitato (Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 12.3.2007, in Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 166 del 19.7.2007, p. 33).

La seconda censura di Archibugi è di tipo filologico e riguarda il termine “pianificazione”, usato dalla Direttiva del 2007, in luogo di “programmazione” della precedente prassi. Personalmente, anche io preferisco questo termine. Ma il vocabolo pianificazione è stato introdotto, in sostituzione dell’altro, da un regolamento delegificante (n. 315 del 2006), e quindi è stato necessario adeguare la terminologia alla scelta legislativa.

Il terzo rilievo di Archibugi, che trova riscontro nella locandina di presentazione della Tavola rotonda, riguarda la violazione della Direttiva del 2007. Il rilievo è

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infondato, come dirò dopo, quando analizzerò lo stato dell’arte del processo di pianificazione strategica

Premesse queste precisazioni, passo al tema. Il principio da cui partire è la distinzione fra attività di indirizzo, rimessa al Ministro, e attività di gestione, di competenza del dirigente. Da questa distinzione, di fondamentale importanza nel nostro ordinamento amministrativo, derivano numerosi corollari che riguardano il bilancio, l’organizzazione, la responsabilità, il controllo, ecc. L’effetto principale ed immediato della distinzione è però una nuova impostazione dell’attività amministrativa, ispirata alla logica della pianificazione strategica: il Ministro definisce gli obiettivi, assegna ai dirigenti apicali le risorse umane, materiali e finanziarie per il loro conseguimento e verifica successivamente la rispondenza dei risultati dell’attività di gestione agli obiettivi stessi. Il dirigente ha piena autonomia gestionale e risponde in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati. Il documento base della pianificazione strategica è la Direttiva annuale per l’attività amministrativa e la gestione (prevista dagli articoli 4 e 14 del decreto legislativo 165 del 2001), che viene emanata dal Ministro entro dieci giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio.

Come prevede la Direttiva del Presidente del Consiglio Prodi del 2007, il Ministro, consolidando le proposte dei dirigenti apicali, indica, mediante la Direttiva annuale, gli obiettivi strategici da conseguire per realizzare, tenendo conto delle risorse di bilancio, le priorità politiche, stabilite all’inizio del processo di pianificazione dallo stesso Ministro, in coerenza con le indicazioni del Presidente del Consiglio. Gli obiettivi strategici sono attribuiti alle unità dirigenziali di primo livello (Direzioni generali o Dipartimenti) e sono realizzati attraverso piani d’azione, contenenti gli obiettivi operativi. La Direttiva indica inoltre gli obiettivi per il miglioramento dell’attività istituzionale ordinaria da perseguire nell’anno, nonché i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e valutazione della sua attuazione.

Il monitoraggio ha lo scopo di rilevare il grado di realizzazione degli obiettivi e dei relativi piani d’azione indicati nella Direttiva. Sulla base di queste informazioni, il Ministro è in grado di impostare il nuovo ciclo di pianificazione strategica. La Direttiva Prodi prevede due tipi di monitoraggio: intermedio, con cadenza quadrimestrale, e finale, effettuato alla fine dell’esercizio con lo scopo di rilevare il grado di conseguimento degli obiettivi effettivamente conseguiti nel corso dell’anno, mediante gli indicatori previsti per ciascun obiettivo, confrontando il livello raggiunto con quello predefinito.

Delineato, sinteticamente, il quadro dispositivo, posso soffermarmi adesso sullo stato dell’arte del processo di pianificazione strategica. Comincio con il rilevare che questa analisi e, in generale, la conoscenza del fenomeno sono agevolate dall’esistenza di molti materiali del Comitato tecnico-scientifico. Durante il Governo Prodi, durato in carica meno di due anni, il Comitato ha redatto le Linee guida per la pianificazione strategica (che, contrariamente a quanto è stato detto prima, non costituiscono una mera ripetizione delle precedenti, ma, come dirò, contengono importanti elementi innovativi), allegate alla Direttiva Prodi, il format della Direttiva ministeriale per l’attività amministrativa e la gestione, il format del Rapporto di

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performance, un documento di consultazione dei Servizi di controllo interno sulla Circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 21/2007, le Linee guida per lo svolgimento dell’attività istruttoria prevista dall’articolo 3, comma 68, della legge finanziaria 2008 e il rapporto sulla pianificazione strategica nel periodo settembre 2006 – aprile 2008, che è andato ad aggiungersi agli altri quattro rapporti delle precedenti legislature. Il Comitato ha inoltre elaborato le bozze di tre delle quattro precedenti Direttive del Presidente del Consiglio (Amato 2000; Berlusconi 2001, 2002, 2004) e pubblicato alcuni “Quaderni” contenenti gli atti di otto iniziative di studio, aventi carattere scientifico o divulgativo, in materia di controllo interno e pianificazione strategica.

Quanto all’attuazione delle Direttive del Presidente del Consiglio, non si è verificata, come si pretende, né un’eversiva violazione delle Direttive da parte dei Ministri, che hanno, invece, emesso, se non sempre puntualmente, sistematicamente, le Direttive annuali, né una pedissequa ottemperanza delle stesse, in quanto la Direttiva del Presidente del Consiglio è uno strumento soft che appartiene al diritto mite. Essa è emanata nell’esercizio di un potere di sovraordinazione attenuata, che lascia ampi margini di autonomia ai Ministri.

Come hanno rilevato Manin Carabba e Pietro Merli-Brandini, il processo di pianificazione strategica ha registrato non irrilevanti miglioramenti. Il progresso più significativo ha riguardato il rapporto tra pianificazione strategica e programmazione finanziaria, ovvero il punto che presentava le maggiori criticità nella prima esperienza di pianificazione. La regola è che la pianificazione strategica condiziona la programmazione finanziaria, ossia che l’allocazione delle risorse deve essere fatta sulla base delle politiche pubbliche, e ciò significa che prima si stabiliscono gli obiettivi, le priorità e i programmi e poi si ripartiscono le risorse.

A sostegno di questa tesi ci sono anzitutto elementi di carattere normativo. La legge Ciampi del 1997 prescrive che, in sede di formazione del bilancio di previsione, il Ministro dell’economia e delle finanze determina gli stanziamenti in base (non alla logica incrementale, per cui chi ha avuto 100 l’anno precedente ha ora 105, ma) agli obiettivi ed ai programmi.

L’altro argomento è di ordine concettuale. L’indirizzo politico, definito attraverso il processo di pianificazione strategica, prevale sulla ripartizione delle risorse, che costituisce l’esito del processo di programmazione finanziaria. Quello tra programmazione finanziaria e pianificazione strategica è un rapporto tra mezzo e fine: l’autonomia di bilancio - ossia il potere di ripartire le risorse - appartiene (analogamente all’autonomia finanziaria, all’autonomia di gestione e all’autonomia organizzativa) al novero delle autonomie tecniche, mentre la pianificazione strategica – ossia il potere di stabilire gli obiettivi e le priorità – è espressione di autonomia politica.

In realtà, la vicenda è più complessa. Quanto detto sulla prevalenza della pianificazione strategica sulla programmazione finanziaria vale solo all’inizio del procedimento di formazione del bilancio dello Stato. Il nesso di influenza si inverte però alla fine del procedimento: una volta che il bilancio è stato approvato, esso

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condiziona le politiche, che saranno raggiungibili solo nella misura in cui il bilancio appresta le risorse finanziarie.

Sino a tempi recenti la prassi ignorava i rapporti di condizionamento tra i due processi. Le amministrazioni avviavano l’iter di pianificazione strategica nel mese di novembre dell’esercizio precedente a quello di riferimento, dopo l’approvazione del bilancio. Ne derivava la sostanziale irrilevanza delle direttive ministeriali ai fini del perseguimento delle priorità politiche, posto che esse intervenivano successivamente alla ripartizione delle risorse finanziarie. Il Ministero del’economia e delle finanze, finiva così per condizionare tutte le politiche dei Ministeri.

Per ovviare a questa grave discrasia nell’impianto della pianificazione, la Direttiva del Presidente del Consiglio del 2004 aveva previsto l’anticipazione dell’inizio della pianificazione strategica, stabilendo che l’emanazione dell’atto di indirizzo dei Ministri concernente le priorità politiche, da realizzarsi attraverso gli obiettivi strategici, dovesse avvenire nel mese di marzo, ossia prima che avesse inizio il processo di programmazione finanziaria.

Questa indicazione della Direttiva del 2004 non ebbe, però, seguito, avendo trovato applicazione solamente in pochissimi Ministeri. Il problema è stato risolto dalla Direttiva del 2007 che ha disciplinato il ciclo integrato tra pianificazione strategica e programmazione finanziaria, costituito dal concatenamento delle diverse fasi dei due processi. Nel mese di marzo, il Ministro emana l’atto di indirizzo contenente sia le priorità politiche dell’amministrazione, sia le priorità da seguire nell’allocazione delle risorse finanziarie. I titolari dei centri di responsabilità amministrativa elaborano nel mese di maggio una proposta contenente gli obiettivi strategici finalizzati a realizzare dette priorità politiche. La proposta (che sarà successivamente aggiornata) confluisce nella nota preliminare attraverso la quale ciascun Ministero trasferisce nel processo di bilancio di previsione gli obiettivi da raggiungere e gli indicatori per misurarli, ma nello stesso tempo resta subisce gli effetti delle variazioni apportate al progetto di bilancio. Si introietta così nel processo di pianificazione strategica tutte le decisioni che man mano vengono prese in sede di programmazione finanziaria.

Altri aspetti migliorativi riguardano la selettività degli obiettivi, nel senso che gli obiettivi del 2008 sono di numero inferiore a quelli del 2007, la durata pluriennale della pianificazione, caratteristica quasi del tutto assente in passato, e la disciplina del monitoraggio, cui ho fatto cenno prima. Una novità rilevante della Direttiva Prodi concerne l’elaborazione, sulla base delle informazioni derivanti dal monitoraggio finale, del rapporto di performance, a fini di comunicazione esterna dell’amministrazione, che deve essere redatto in un linguaggio semplice ed efficace per dare conto ai cittadini dei risultati raggiunti con le risorse pubbliche.

Rilevo con compiacimento che la maggior parte delle amministrazioni, nonostante la crisi di Governo, ha presentato i rapporti di performance relativi al 2007. La lettura di questi documenti mette in luce il diverso livello qualitativo, sotto il profilo che qui interessa, delle Amministrazioni. Alcune si limitano a descrivere le attività svolte; altre riportano analiticamente la situazione degli obiettivi, corredando ognuno di essi di un indicatore binario Si/No in ordine al suo conseguimento oppure

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specificando quelli realizzati in tutto o in parte e quelli non realizzati; altre ancora indicano le percentuali di raggiungimento degli obiettivi, in qualche caso cadenzate nel tempo.

Permangono importanti punti di debolezza, alcuni dei quali messi in evidenza da Carabba. Qui mi limito a menzionare il mancato funzionamento del controllo di gestione nella quasi totalità delle amministrazioni, che si riflette sia sul controllo strategico che sulla valutazione dei dirigenti, la sporadica indicazione nelle direttive ministeriali di obiettivi di miglioramento, previste dalle Direttive del Presidente del Consiglio del 2004 e del 2007 e quella che Carabba ha chiamato la mancanza di volontà politica e che il Comitato ha indicato in passato, in modo più anodino, come “scarso coinvolgimento del Ministro” nell’attività di pianificazione strategica.