la politica «sospesa»! - noi di santa monica · aveva più volte pronunciato:“È necessario che...

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Evangelo di Giovanni 20:15-16 / Gesù le disse: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Ella, pen- sando che fosse l’ortolano, gli disse: “Signore, se tu l’hai portato via, dimmi dove l’hai deposto, e io lo prenderò”. Gesù le disse: “Maria!”. Ella, volta- tasi, gli disse in ebraico: “Rabbunì!” che vuol dire “Maestro!”. Il primo passo del nostro percorso vede Maria Maddalena, Pietro ed il discepolo amato giungere al sepolcro e non comprendere che cosa stesse suc- cedendo. La morte non ha soltanto strappato il Maestro ai suoi discepoli; ha an- che rapito il cuore e la mente degli uomini. È dunque con la morte nel cuore che Maria va a compiere, di primo mattino, l’ultimo atto di pietà per la persona ama- ta. “Con la morte nel cuore…”: non è, questa, soltanto un’espressione metafori- ca per dire che la donna era molto triste. È la realtà vista dalla parte degli uomi- ni, l’orizzonte entro cui il nostro sguardo riesce a spaziare, in quanto Maria (co- me ognuno di noi) non riesce a leggere ciò che sta vivendo con gli occhi della speranza o con la fiducia che poteva nascere dalle parole che pure il suo Maestro aveva più volte pronunciato: “È necessario che io muoia, ma risorgerò!”. Del resto, la stessa situazione fisica e naturale descritta dall’evangelista Gio- vanni sembra illustrare quanto avviene nell’animo della Maddalena: il primo giorno della settimana, al mattino presto, mentre era ancora buio, Maria Maddalena andò…”. Dunque, loscurità rimane. Come se il testo ci invitasse ad assistere allalba che sta per venire, a vedere come i protagonisti usciranno poco a poco dal buio alla luce di Pasqua. L oscurità, unimmagine tipica di Giovanni, suggerisce dunque la situazione spirituale di Maria e di ogni persona che non viva ancora nella luce della resurrezione. Maria vede il sepolcro vuoto, ma non capisce. Pietro entra nel sepolcro, vede lassenza del corpo di Gesù, ma non riesce ad andare oltre a questo. Solo il di- scepolo amato vede e crede. O meglio: vede che Gesù non c’è e questo gli è sufficiente per credere nella resurrezione. Però, anche lui, come Pietro, se ne tornò a casa. È come se la resurrezione di Gesù non avesse nulla a che fare con la loro vita. Dunque, di fronte agli stessi fatti, si può capire e non capire, crede- re e non credere, tanto più che i fattisono spesso ambigui, difficili da decodi- ficare. È questa la realtà che non solo Maria e Pietro vivono. È la realtà di ognu- no di noi: fatta di una fede fragile, chiusa dentro lorizzonte di morte che cir- conda la nostra umanità, spesso incapace di cogliere i segni della resurrezione in mezzo alle mille miserie che finiscono col marcare la nostra esistenza. Pietro e il discepolo amato se ne vanno. Accanto al sepolcro, incapace di rasse- gnarsi, incapace di continuare a vivere senza Gesù, è rimasta solo Maria che piange sconsolata. Non chiede altro che riavere il corpo di Gesù per onorarlo, come il suo amore la spinge a fare. Ed è il suo amore per il crocifisso a farle in- contrare il Risorto. Se seguiamo Pietro ed il discepolo amato, noi ritorniamo al punto di partenza (essi sono tornati a casa, muti); seguendo le orme di Maria di Magdala ci ritroviamo ad ascoltare Gesù. Anche il riconoscimento del Risorto non è, però, senza problemi. Dapprima Maria lo scambia addirittura per il giardiniere. Solo dopo la conversione (nel racconto è detto due volte che Maria si gira) anche gli occhi si aprono per ri- conoscere quello che la natura da sola non può percepire. Che cos’è che per- mette alla donna di scoprire ciò che gli occhi non riuscivano a vedere? È la pa- rola di Gesù. O, per meglio dire: è il fatto che Gesù la chiami per nome: “Ma- ria”. In quel momento la discepola, voltatasi verso di lui, risollevata dal suo pianto e dal suo dolore, lo può riconoscere e si rivolga a Lui come era solita fa- re: Rabbunì Mio Maestro. La fede è la risposta alla vocazione che abbia- mo ricevuto ed è la realtà che ci permette di vedere con occhi nuovi, tanto da leggere nella nostra esistenza la presenza di Cristo risorto. In questo senso, la storia di Maria è la nostra storia: noi possiamo riconoscere e confessare Gesù Cristo solo dopo aver ricevuto la vocazione da parte sua. Maria vorrebbe abbracciare il suo maestro, trattenerlo; ma proprio allora le vie- ne fatto divieto di toccarlo. Il Cristo risorto non si lascia afferrare, trattenere. Ora il Risorto esiste sotto una forma interamente nuova, in una nuova dimensione. Anche noi vorremmo trattenere il Signore, averlo qui con noi; ma esso si offre soltanto attraverso dei segni che vivono della debolezza e del- lambiguità della nostra stessa storia: la Parola predicata e i co- siddetti vangeli dei segni. La predicazione ed il pane ed il vino della Cena del Signore sono per noi il segno della presenza di un Signore che non si lascia posse- dere né oggettivare, che vive di piccoli segni che acquistano senso e significato soltanto dalla fede che ci nutre e dalla presenza dello Spirito Santo. La politica «sospesa»! Ci eravamo lasciati nellultimo numero de Il Ponte con la promessa di ri- spondere alla domanda sugli strani silenzi dellAmministrazione Comu- nale. Nel frattempo è giunta in redazione una testimonianza che si aggiun- ge alle nostre due e che riportiamo nel paginonecon il titolo Non c’è due senza tre. Allora ci siam detti: aspettiamo! Magari la risposta viene da sé con lacquisizione di prove o controprove dei lettori! E mentre si discute- va, lorizzonte si è allargato allItalia con una serie di spontanee osserva- zioni, tra lo stupito e laccorato, di cui alla fine ci è sembrato giusto dare conto, per riflettere insieme su questo momento di stranezza politica. GRAZIA «Che strana sensazione diattesa. Tutti sembriamo aspettare qualcosa: un lavoro, la pensione, la cassa integrazione, la fine del periodo di prova, capire quanto ci costerà la manovra MontiSi respira unatmo- sfera rarefatta. Molte decisioni sono rimandate aspettando qualche notizia più precisa. E nel frattempo? Andiamo avanti in una sorta di amministra- zione controllata, in attesa di...». MARIA TERESA «Speriamo che questa brutta situazione in cui ci troviamo abbia una soluzione positiva per tutti noi che per anni siamo stati illusi di vivere in un Paese baciato dalla sorte”». ALDO «Da qualche mese sto convivendo con una strana sensazione di si- lenziodei partiti politici e del Parlamento. Mi pare che il Parlamento non esista più; non è che prima sembrasse essere molto attivo, ma sovente la te- levisione trasmetteva pietose scene da Montecitorio ed avevamo la confer- ma che il Parlamento esisteva. Adesso neanche più quello! Sinceramente non è che ne senta la mancanza, ma un dubbio si insinua: non è che una bella dittatura, senza questi fragorosi ed inutili partiti, saremmo anche disposti ad accettarla?». EDOARDO «Davvero lavvento di Monti è unesperienza surreale, che mi cala nellatmosfera biblica del Mar Rosso. Là cera un popolo che doveva essere liberato dalla schiavitù e qui, oggi, c’è unItalia che deve essere li- berata da una politica da troppi decenni inefficace, litigiosa, corrotta. E per incanto anche qui avviene il prodigio della spartizione delle acque: quelli di destra da una parte e quelli di sinistra dallaltra per lasciar spazio a per- sone responsabili e capaci, che si spera in grado di traghettare gli Italiani su una sponda più sicura». CINZIA «Il governo Monti ha certamente il merito di aver salvato lItalia da un baratro che sembrava ormai inevitabile e anche il pregio di aver messo ancor più in luce la mediocrità della nostra classe politica, che continua a dare qualche segno di vita solo per difendere i propri privilegi e per tessere opportunistici accordi pre-elettorali. Ma...». ROBERTO «Un mac’è e grosso: gli aumenti della benzina, lIva, lImu ecc. incidono molto di più sulle famiglie monoreddito, pensionati, precari. Forse tassare in maniera differente i generi di lusso e le auto di grossa cilin- drata avrebbe almeno dato limpressione di pretendere veramente di più da chi ha un tenore di vita maggiore. Inoltre la riforma del lavoro ha di nuovo accontentato solo una parte, e stranamente quella dei padroni(concedetemi questo termine). Parlando poi di mettere in cantiere la rifor- ma elettorale e della Rai si stanno già alzando altri scudi, per cui...». MARIA TERESA «Parlare di equità nel momento in cui le Istituzioni devo- no intervenire urgentemente sul nostro modo di vivere penso non sia faci- le, ma io spero che i grandi sforzi che ci chiedono servano per creare pro- spettive valide per il futuro, soprattutto per i giovani». CINZIA «...ma intanto a rimetterci sono sempre i più deboli, ovviamente». GRAZIA «Speriamo di avere abbastanza ossigeno per arrivare alla fine». EDOARDO «E dopo? Tornerà il solito teatrino di faccendieri e burattinai?». ALDO «Forse son troppo pessimista ed esagero, mami fa tanta paura!». La vignetta di Roberta sto, per il 70% fa altre attività che sono in questi ultimi anni tutte relative alla si- curezza urbana. In parte compiti nuovi, perché Torino è diventata molto diversa come tutte le altre città. Si tende a scon- finare nella microcriminalità, sono au- mentati gli atti di inciviltà, la mancanza di rispetto della dignità altrui. L impe- gno nostro è di cercare di lavorare, ri- manendo nellambito delle competen- ze, affinché gli ambienti urbani, gli am- bienti di vita e lavoro siano il più accet- tabili possibili. Quindi le attività principali sono il contrasto allabusivi- smo commerciale, i rumori fastidiosi, i controlli commerciali a tutela del con- sumatore; oltre agli interventi, e sono molti, di stretta osservanza Polizia Giu- diziaria, arresti, identificazioniVede è una competenza infinita. La PM ha unorganizzazione in- dipendente e autonoma dal go- verno della città, oppure il Sinda- co e il suo staff la dirigonoe amministrano? A Torino, di sicuro; e credo che limpianto sia seguito in tutte le città. Abbiamo come riferimento la Legge sulla Polizia Municipale che è vecchiotta, dell86, però è ancora chiara: il Sin- daco ha giustamente le competenze di emanare di- rettive, e cioè di decidere in merito al contenuto dellat- tività, dellimpostazione e così via; la direzione tecni- ca dei compiti di Polizia Municipale non spetta ai politici, spetta al Coman- dante della Polizia Locale. Il 2011 è stato un anno incredibile per Torino con le celebrazioni dei 150 anni dellUnità dI- talia. Ma è dal 1998 che la città ospita eventi mondiali che muovono grandi masse di folla: le Ostensioni della Sindo- ne, le visite di Giovanni Paolo II, le Olimpiadi del 2006, i Raduni del 2011, il Giro dItalia... per citare i più impor- tanti. Quali problemi si pongono alla Polizia Municipale per gestire queste masse di persone e come si prepara un evento così importante? Il primo problema è, come dire, ci vorrebbero tanti vi- gili. Per molte delle manife- stazioni che lei ha citato che io credo siano state ge- stite con successo, garan- tendo lottimo svolgimento della mani- festazione qualunque essa fosse, senza problemi per i cittadini o nei limiti della ragionevolezza prima di tutto abbia- mo utilizzato la collaborazione di asso- ciazioni di volontariato. Sicuramente non avremmo potuto fare da soli, il loro è stato un contributo determinante. Ab- biamo impiegato tutti i vigili possibili, vi è stata la disponibilità di tutti gli agenti a sobbarcarsi ore e ore di straor- dinario. Poi sono importanti due cose: uno, per gestire questi grandi eventi penso sia necessario un lavoro prepara- torio, mettere intorno a un tavolo tutti quelli che devono fare qualcosa per la buona riuscita della attività, che non è solo compiti di polizia ma è anche ac- coglienza, sistemazione della viabilità e così via, in modo da definire chi fa che cosa. Poi unaltra cosa determinan- te (a partire dalle Olimpiadi, perché la svolta è stata proprio lì) è stata la città, la gente, che ha avuto un atteggiamento assolutamente positivo, ha preso bene queste manifestazioni come se fosse una festa, allora è molto più facile ge- stire grandi eventi con migliaia e mi- gliaia di persone. Penso alla festa degli Alpinieppure è andato tutto bene, non è successo niente, perché per i tori- nesi era una bella festa, qualcosa di cui erano contenti. Il volontariato in generale, di Pro- tezione Civile, dassistenza socia- le... è una risorsa importante per la Polizia Municipale? Non solo importante, a volte indispen- sabile. Con alcune selezionate associa- zioni vi sono rapporti stabili, ed esse ci garantiscono un contributo professio- nale notevole. La Protezione Civile, lAssociazione Nazionale Carabinieri, un poperché hanno esperienza, un poperché sono bravi, offrono un contribu- to notevole in quantità e qualità. Ci può suggerire in che modo i cit- tadini possono collaborare con la PM? Penso che la ricchezza di ogni forza di polizia siano le informazioni. E ciò av- viene, a volte come protesta, ma avvie- ne. Se non si hanno informazioni riesci a fare poco. Quindi ogni segnalazione, an- che se arrabbiata, è indispensabile. Per quel che riguarda poi ciò che succede sulle strade, continuo a dire che il più bel contributo che i cittadini possono dare è quello di educare il proprio piede destro. Ci può raccontare qualcosa di lei? Il 15 febbraio ho festeggiato 10 anni di comando a Torino. Dieci anni son tanti, ciò significa che non sono un giovinet- to, anziPer la verità iniziai il 14, san Valentino, speriamo sia stata una storia damore con Torino. Prima ero stato il Comandante della Polizia Municipale di Modena per circa 16 anni. Quindi so- no molti anni che faccio questo mestie- re, con estrema soddisfazione. Con tutto il rispetto, noi pense- remmo di intitolare questa inter- vista Oltre alle multe c’è di più”. Oltre al controllo del traffico, quali sono i compiti della Polizia Municipale di una grande metro- poli come Torino? Questa delle multe è diventata una con- danna biblica per le polizie locali. In realtà da tempo il controllo del traffico è si e no il 50% dellattività, le multe sono parte del controllo del traffico. Il tempo dedicato alle multe è circa il 30% del- lattività complessiva della PM. A catti- va stampa si dice voi non fate niente di significativo, lavorate solo per far fare cassa ai Comuni. Per evitare di fare cassa, basterebbe mettere lauto non in divieto di sosta, rispettare i limiti di ve- locità, non passare col rosso e il Comu- ne non farebbe cassa e ci sarebbero an- che meno incidenti sulle strade, meno feriti e danni. Siamo rimasti lunico or- gano di polizia che mette le mani nelle tasche dei cittadini e questa è una cosa antipatica. In tanti anni di esperienza ho capito però che ci sono due categorie di multe: quelle degli altri sono tutte sante, quelle proprie meno. La PM oltre a que- (continua pagina quattro) ANNO X - N. 2 - APRILE 2012 Giornale della Comunità di Santa Monica Via Vado 9 - 10126 TORINO - e Fax 011 6636714 e-mail: [email protected] PAOLO RIBET è nato a Livorno 63 an- ni fa in una famiglia di pastori (lo erano il padre e il nonno). Ha studiato a Roma presso la Facoltà Valdese di Teologia e negli Stati Uniti a Saint Louis. Consacra- to dal 1974, ha passato parte del suo ser- vizio nelle Valli Valdesi. In passato è stato presidente della Commissione che gesti- sce le opere sociali-sanitarie della Chiesa Valdese e poi della Fondazione Centro Culturale Valdese di Torre Pellice. Dal 2009 è pastore della Chiesa di Torino. FAMIGLI dott. MAURO. Laurea in Giurispru- denza presso lUniversità agli Studi di Modena. Vi- cedirettore presso la Usl 16 di Modena dal 1977. Nominato Comandante della Polizia Municipale di Modena nel 1985, dal febbraio 2002 è Comandante della Polizia Municipale di Torino. Componente del Comitato Tecnico Regionale Piemonte, è stato Presidente della Scuola Regionale di Polizia Loca- le della Regione Emilia Romagna (1999-2002). Componente del Comitato Tecnico Nazionale per la Polizia Municipale dellAnci, è componente del Comitato Scientifico Regionale Città Sicure. Ha svolto numerose attività di formazione/consulenze sulle competenze della Polizia Municipale ed è au- tore di relazioni e pubblicazioni in materie di Sicu- rezza Urbana, Polizia di Prossimità, Governo Lo- cale della Sicurezza.

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Evangelo di Giovanni 20:15-16 / Gesù le disse:“Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Ella, pen-sando che fosse l’ortolano, gli disse: “Signore, setu l’hai portato via, dimmi dove l’hai deposto, e iolo prenderò”. Gesù le disse: “Maria!”. Ella, volta-tasi, gli disse in ebraico: “Rabbunì!” che vuol dire“Maestro!”.Il primo passo del nostro percorso vede MariaMaddalena, Pietro ed il discepolo amato giungereal sepolcro e non comprendere che cosa stesse suc-

cedendo. La morte non ha soltanto strappato il Maestro ai suoi discepoli; ha an-che rapito il cuore e la mente degli uomini. È dunque con la morte nel cuore cheMaria va a compiere, di primo mattino, l’ultimo atto di pietà per la persona ama-ta. “Con la morte nel cuore…”: non è, questa, soltanto un’espressione metafori-ca per dire che la donna era molto triste. È la realtà vista dalla parte degli uomi-ni, l’orizzonte entro cui il nostro sguardo riesce a spaziare, in quanto Maria (co-me ognuno di noi) non riesce a leggere ciò che sta vivendo con gli occhi dellasperanza o con la fiducia che poteva nascere dalle parole che pure il suo Maestroaveva più volte pronunciato: “È necessario che io muoia, ma risorgerò!”.Del resto, la stessa situazione fisica e naturale descritta dall’evangelista Gio-vanni sembra illustrare quanto avviene nell’animo della Maddalena: “il primogiorno della settimana, al mattino presto, mentre era ancora buio, MariaMaddalena andò…”. Dunque, l’oscurità rimane. Come se il testo ci invitassead assistere all’alba che sta per venire, a vedere come i protagonisti uscirannopoco a poco dal buio alla luce di Pasqua. L’oscurità, un’immagine tipica diGiovanni, suggerisce dunque la situazione spirituale di Maria e di ogni personache non viva ancora nella luce della resurrezione.Maria vede il sepolcro vuoto, ma non capisce. Pietro entra nel sepolcro, vedel’assenza del corpo di Gesù, ma non riesce ad andare oltre a questo. Solo il di-scepolo amato vede e crede. O meglio: vede che Gesù non c’è e questo gli èsufficiente per credere nella resurrezione. Però, anche lui, come Pietro, se netornò a casa. È come se la resurrezione di Gesù non avesse nulla a che fare conla loro vita. Dunque, di fronte agli stessi fatti, si può capire e non capire, crede-re e non credere, tanto più che “i fatti” sono spesso ambigui, difficili da decodi-ficare. È questa la realtà che non solo Maria e Pietro vivono. È la realtà di ognu-no di noi: fatta di una fede fragile, chiusa dentro l’orizzonte di morte che cir-conda la nostra umanità, spesso incapace di cogliere i segni della resurrezionein mezzo alle mille miserie che finiscono col marcare la nostra esistenza.Pietro e il discepolo amato se ne vanno. Accanto al sepolcro, incapace di rasse-gnarsi, incapace di continuare a vivere senza Gesù, è rimasta solo Maria chepiange sconsolata. Non chiede altro che riavere il corpo di Gesù per onorarlo,come il suo amore la spinge a fare. Ed è il suo amore per il crocifisso a farle in-contrare il Risorto. Se seguiamo Pietro ed il discepolo amato, noi ritorniamo alpunto di partenza (essi sono tornati a casa, muti); seguendo le orme di Maria diMagdala ci ritroviamo ad ascoltare Gesù.Anche il riconoscimento del Risorto non è, però, senza problemi. DapprimaMaria lo scambia addirittura per il giardiniere. Solo dopo la conversione (nelracconto è detto due volte che Maria “si gira”) anche gli occhi si aprono per ri-conoscere quello che la natura da sola non può percepire. Che cos’è che per-mette alla donna di scoprire ciò che gli occhi non riuscivano a vedere? È la pa-rola di Gesù. O, per meglio dire: è il fatto che Gesù la chiami per nome: “Ma-

ria”. In quel momento la discepola, voltatasi verso di lui, risollevata dal suopianto e dal suo dolore, lo può riconoscere e si rivolga a Lui come era solita fa-re: “Rabbunì – Mio Maestro”. La fede è la risposta alla vocazione che abbia-mo ricevuto ed è la realtà che ci permette di vedere con occhi nuovi, tanto daleggere nella nostra esistenza la presenza di Cristo risorto. In questo senso, lastoria di Maria è la nostra storia: noi possiamo riconoscere e confessare GesùCristo solo dopo aver ricevuto la vocazione da parte sua.Maria vorrebbe abbracciare il suo maestro, trattenerlo; ma proprio allora le vie-ne fatto divieto di toccarlo. Il Cristo risorto non si lascia afferrare, trattenere. Orail Risorto esiste sotto una forma interamente nuova, in una nuova dimensione. Anche noi vorremmo trattenere il Signore, averlo qui con noi; ma esso si offresoltanto attraverso dei segni chevivono della debolezza e del-l’ambiguità della nostra stessastoria: la Parola predicata e i co-siddetti “vangeli dei segni”. Lapredicazione ed il pane ed il vinodella Cena del Signore sono pernoi il segno della presenza di unSignore che non si lascia posse-dere né oggettivare, che vive dipiccoli segni che acquistanosenso e significato soltanto dallafede che ci nutre e dalla presenzadello Spirito Santo.

La politica «sospesa»!Ci eravamo lasciati nell’ultimo numero de Il Ponte con la promessa di ri-spondere alla domanda sugli strani silenzi dell’Amministrazione Comu-nale. Nel frattempo è giunta in redazione una testimonianza che si aggiun-ge alle nostre due e che riportiamo nel “paginone” con il titolo Non c’è duesenza tre. Allora ci siam detti: aspettiamo! Magari la risposta viene da sécon l’acquisizione di prove o controprove dei lettori! E mentre si discute-va, l’orizzonte si è allargato all’Italia con una serie di spontanee osserva-zioni, tra lo stupito e l’accorato, di cui alla fine ci è sembrato giusto dareconto, per riflettere insieme su questo momento di “stranezza politica”.GRAZIA «Che strana sensazione di… attesa. Tutti sembriamo aspettarequalcosa: un lavoro, la pensione, la cassa integrazione, la fine del periododi prova, capire quanto ci costerà la manovra Monti… Si respira un’atmo-sfera rarefatta. Molte decisioni sono rimandate aspettando qualche notiziapiù precisa. E nel frattempo? Andiamo avanti in una sorta di “amministra-zione controllata”, in attesa di...». MARIA TERESA «Speriamo che questa brutta situazione in cui ci troviamoabbia una soluzione positiva per tutti noi che per anni siamo stati illusi divivere in un Paese “baciato dalla sorte”».ALDO «Da qualche mese sto convivendo con una strana sensazione di “si-lenzio” dei partiti politici e del Parlamento. Mi pare che il Parlamento nonesista più; non è che prima sembrasse essere molto attivo, ma sovente la te-levisione trasmetteva pietose scene da Montecitorio ed avevamo la confer-ma che il Parlamento esisteva. Adesso neanche più quello! Sinceramentenon è che ne senta la mancanza, ma un dubbio si insinua: non è che una“bella dittatura”, senza questi fragorosi ed inutili partiti, saremmo anchedisposti ad accettarla?».EDOARDO «Davvero l’avvento di Monti è un’esperienza surreale, che micala nell’atmosfera biblica del Mar Rosso. Là c’era un popolo che dovevaessere liberato dalla schiavitù e qui, oggi, c’è un’Italia che deve essere li-berata da una politica da troppi decenni inefficace, litigiosa, corrotta. E perincanto anche qui avviene il prodigio della spartizione delle acque: quellidi destra da una parte e quelli di sinistra dall’altra per lasciar spazio a per-sone responsabili e capaci, che si spera in grado di traghettare gli Italianisu una sponda più sicura».CINZIA «Il governo Monti ha certamente il merito di aver salvato l’Italia daun baratro che sembrava ormai inevitabile e anche il pregio di aver messoancor più in luce la mediocrità della nostra classe politica, che continua adare qualche segno di vita solo per difendere i propri privilegi e per tessereopportunistici accordi pre-elettorali. Ma...».ROBERTO «Un “ma” c’è e grosso: gli aumenti della benzina, l’Iva, l’Imuecc. incidono molto di più sulle famiglie monoreddito, pensionati, precari.Forse tassare in maniera differente i generi di lusso e le auto di grossa cilin-drata avrebbe almeno dato l’impressione di pretendere veramente di piùda chi ha un tenore di vita maggiore. Inoltre la riforma del lavoro ha dinuovo accontentato solo una parte, e stranamente quella “dei padroni”(concedetemi questo termine). Parlando poi di mettere in cantiere la rifor-ma elettorale e della Rai si stanno già alzando altri scudi, per cui...».MARIA TERESA «Parlare di equità nel momento in cui le Istituzioni devo-no intervenire urgentemente sul nostro modo di vivere penso non sia faci-le, ma io spero che i grandi sforzi che ci chiedono servano per creare pro-spettive valide per il futuro, soprattutto per i giovani».CINZIA «...ma intanto a rimetterci sono sempre i più deboli, ovviamente». GRAZIA «Speriamo di avere abbastanza ossigeno per arrivare alla fine».EDOARDO «E dopo? Tornerà il solito teatrino di faccendieri e burattinai?».ALDO «Forse son troppo pessimista ed esagero, ma… mi fa tanta paura!».

La vignetta di Roberta

sto, per il 70% fa altre attività che sonoin questi ultimi anni tutte relative alla si-curezza urbana. In parte compiti nuovi,perché Torino è diventata molto diversacome tutte le altre città. Si tende a scon-finare nella microcriminalità, sono au-mentati gli atti di inciviltà, la mancanzadi rispetto della dignità altrui. L’impe-gno nostro è di cercare di lavorare, ri-manendo nell’ambito delle competen-ze, affinché gli ambienti urbani, gli am-bienti di vita e lavoro siano il più accet-tabili possibili. Quindi le attivitàprincipali sono il contrasto all’abusivi-smo commerciale, i rumori fastidiosi, icontrolli commerciali a tutela del con-sumatore; oltre agli interventi, e sonomolti, di stretta osservanza Polizia Giu-diziaria, arresti, identificazioni… Vedeè una competenza infinita.

La PM ha un’organizzazione in-dipendente e autonoma dal go-verno della città, oppure il Sinda-co e il suo staff la “dirigono” eamministrano?

A Torino, di sicuro; e credoche l’impianto sia seguitoin tutte le città. Abbiamocome riferimento la Leggesulla Polizia Municipaleche è vecchiotta, dell’86,però è ancora chiara: il Sin-daco ha giustamente lecompetenze di emanare di-rettive, e cioè di decidere inmerito al contenuto dell’at-tività, dell’impostazione ecosì via; la direzione tecni-ca dei compiti di PoliziaMunicipale non spetta aipolitici, spetta al Coman-dante della Polizia Locale.

Il 2011 è stato un annoincredibile per Torinocon le celebrazioni dei150 anni dell’Unità d’I-talia. Ma è dal 1998 chela città ospita eventimondiali che muovonograndi masse di folla: leOstensioni della Sindo-ne, le visite di GiovanniPaolo II, le Olimpiadidel 2006, i Raduni del2011, il Giro d’Italia...per citare i più impor-tanti. Quali problemi sipongono alla PoliziaMunicipale per gestirequeste masse di personee come si prepara unevento così importante?

Il primo problema è, comedire, ci vorrebbero tanti vi-gili. Per molte delle manife-stazioni che lei ha citato –che io credo siano state ge-stite con successo, garan-tendo l’ottimo svolgimento della mani-festazione qualunque essa fosse, senzaproblemi per i cittadini o nei limiti dellaragionevolezza – prima di tutto abbia-mo utilizzato la collaborazione di asso-ciazioni di volontariato. Sicuramentenon avremmo potuto fare da soli, il loroè stato un contributo determinante. Ab-biamo impiegato tutti i vigili possibili,vi è stata la disponibilità di tutti gliagenti a sobbarcarsi ore e ore di straor-dinario. Poi sono importanti due cose:uno, per gestire questi grandi eventipenso sia necessario un lavoro prepara-torio, mettere intorno a un tavolo tuttiquelli che devono fare qualcosa per labuona riuscita della attività, che non èsolo compiti di polizia ma è anche ac-

coglienza, sistemazione della viabilitàe così via, in modo da definire chi fache cosa. Poi un’altra cosa determinan-te (a partire dalle Olimpiadi, perché lasvolta è stata proprio lì) è stata la città,la gente, che ha avuto un atteggiamentoassolutamente positivo, ha preso benequeste manifestazioni come se fosseuna festa, allora è molto più facile ge-stire grandi eventi con migliaia e mi-gliaia di persone. Penso alla festa degliAlpini… eppure è andato tutto bene,non è successo niente, perché per i tori-nesi era una bella festa, qualcosa di cuierano contenti.

Il volontariato in generale, di Pro-tezione Civile, d’assistenza socia-le... è una risorsa importante per laPolizia Municipale?

Non solo importante, a volte indispen-sabile. Con alcune selezionate associa-zioni vi sono rapporti stabili, ed esse cigarantiscono un contributo professio-nale notevole. La Protezione Civile,l’Associazione Nazionale Carabinieri,

un po’perché hanno esperienza, un po’perché sono bravi, offrono un contribu-to notevole in quantità e qualità.

Ci può suggerire in che modo i cit-tadini possono collaborare con laPM?

Penso che la ricchezza di ogni forza dipolizia siano le informazioni. E ciò av-viene, a volte come protesta, ma avvie-ne. Se non si hanno informazioni riesci afare poco. Quindi ogni segnalazione, an-che se arrabbiata, è indispensabile. Perquel che riguarda poi ciò che succedesulle strade, continuo a dire che il più belcontributo che i cittadini possono dare èquello di educare il proprio piede destro.

Ci può raccontare qualcosa di lei?Il 15 febbraio ho festeggiato 10 anni dicomando a Torino. Dieci anni son tanti,ciò significa che non sono un giovinet-to, anzi… Per la verità iniziai il 14, sanValentino, speriamo sia stata una storiad’amore con Torino. Prima ero stato ilComandante della Polizia Municipaledi Modena per circa 16 anni. Quindi so-no molti anni che faccio questo mestie-re, con estrema soddisfazione.

Con tutto il rispetto, noi pense-remmo di intitolare questa inter-vista “Oltre alle multe c’è di più”.Oltre al controllo del traffico,quali sono i compiti della PoliziaMunicipale di una grande metro-poli come Torino?

Questa delle multe è diventata una con-danna biblica per le polizie locali. In

realtà da tempo il controllo del traffico èsi e no il 50% dell’attività, le multe sonoparte del controllo del traffico. Il tempodedicato alle multe è circa il 30% del-l’attività complessiva della PM. A catti-va stampa si dice “voi non fate niente disignificativo, lavorate solo per far farecassa ai Comuni”. Per evitare di farecassa, basterebbe mettere l’auto non indivieto di sosta, rispettare i limiti di ve-locità, non passare col rosso e il Comu-ne non farebbe cassa e ci sarebbero an-che meno incidenti sulle strade, menoferiti e danni. Siamo rimasti l’unico or-gano di polizia che mette le mani nelletasche dei cittadini e questa è una cosaantipatica. In tanti anni di esperienza hocapito però che ci sono due categorie dimulte: quelle degli altri sono tutte sante,quelle proprie meno. La PM oltre a que-

(continua pagina quattro)

ANNO X - N. 2 - APRILE 2012

Giornale della Comunità di Santa Monica

Via Vado 9 - 10126 TORINO - � e Fax 011 6636714e-mail: [email protected]

PAOLO RIBET è nato a Livorno 63 an-ni fa in una famiglia di pastori (lo erano ilpadre e il nonno). Ha studiato a Romapresso la Facoltà Valdese di Teologia enegli Stati Uniti a Saint Louis. Consacra-to dal 1974, ha passato parte del suo ser-vizio nelle Valli Valdesi. In passato è statopresidente della Commissione che gesti-sce le opere sociali-sanitarie della ChiesaValdese e poi della Fondazione CentroCulturale Valdese di Torre Pellice. Dal2009 è pastore della Chiesa di Torino.

FAMIGLI dott. MAURO. Laurea in Giurispru-denza presso l’Università agli Studi di Modena. Vi-cedirettore presso la Usl 16 di Modena dal 1977.Nominato Comandante della Polizia Municipale diModena nel 1985, dal febbraio 2002 è Comandantedella Polizia Municipale di Torino. Componentedel Comitato Tecnico Regionale Piemonte, è statoPresidente della Scuola Regionale di Polizia Loca-le della Regione Emilia Romagna (1999-2002).Componente del Comitato Tecnico Nazionale perla Polizia Municipale dell’Anci, è componente delComitato Scientifico Regionale “Città Sicure”. Hasvolto numerose attività di formazione/consulenzesulle competenze della Polizia Municipale ed è au-tore di relazioni e pubblicazioni in materie di Sicu-rezza Urbana, Polizia di Prossimità, Governo Lo-cale della Sicurezza.

2 Anno X - Numer

Attraversando i campi allestiti dalla Prote-zione Civile, due mesi dopo il terremotodell’Aquila nel 2009, si aveva la percezioneche la vita scorresse normale. Al posto del-le case si vedevano file di tende in cui lepersone dormivano, mangiavano, pregava-no e guardavano la tv secondo una nuovaroutine. Vicino alla tenda del medico, tra letante, anche quella degli psicologi. La psi-cologia dell’emergenza nasce, infatti, conl’intento di studiare il comportamento indi-viduale, di gruppo e di intere comunità nel-le situazioni di crisi, al fine di strutturare in-terventi clinici e sociali in situazioni di ca-lamità.In Italia, uno dei primi interventi di psicolo-gia dell’emergenza risale al terremoto delleMarche nel 1997, in cui è stato fornito sup-porto psicologico alla popolazione. Diver-samente, in Abruzzo gli psicologi hannooperato nell’ambito della Protezione Civi-le, occupandosi del benessere psicosocialee della salvaguardia della salute psichicadei sopravvissuti. Le catastrofi, essendo improvvise e spessodi grandi proporzioni, comportano un ca-povolgimento repentino e consistente nellavita delle persone che sono costrette a ri-correre alle risorse in loro possesso peradattarsi in fretta ad un nuovo contesto, ilpiù delle volte disagiato. In generale, subitodopo un cataclisma, ciò che appare d’asso-luta rilevanza è la soddisfazione dei bisogniprimari delle vittime per garantirne la so-pravvivenza. Ciononostante, una volta tro-vati un riparo sicuro, acqua e cibo possonoemergere i disagi psichici. L’impatto psicologico, normalmente, è cor-relato alla tipologia della catastrofe; in parti-colare si è osservato che più l’evento è im-prevedibile, maggiori sono gli effetti sullapsiche, sia nell’immediato, sia nel medio

I CONSIGLI DEL DOTTOR

Alcuni cenni sullapsicologia dell’emergen

«Nella notte tra il 12 e il 13 aprile del 1997 sonoalla guida dell’automobile di famiglia (una mo-novolume comprata da appena un mese) e stopercorrendo l’autostrada Milano-Genova. È mol-to buio. Marco, mio marito, è assopito sul sedileanteriore affianco a me, cinque dei miei sei ragaz-zini sono sistemati sui sedili posteriori tranquilla-mente addormentati; ma, mentre sto percorrendoil viadotto Piani, un colpo di sonno mi fa perdereil controllo della guida della vettura.«Un urlo di Marco mi sveglia, rumore di carroz-zeria che sfrega contro il metallo della barrieradi sicurezza, i fanali dell’autovettura impazzitailluminano a sprazzi l’autostrada, giriamo su noistessi vorticosamente. Facendo perno contro ilguard-rail con la parte posteriore dell’auto cisolleviamo e crediamo di volare giù, poi ricadia-mo pesantemente sulla strada, riprendiamo a ca-rambolare e ci fermiamo sulla corsia d’emergen-za. Ci contiamo, manca Marcella, la mia figlia di8 anni: sull’asfalto non c’è, capiamo che è statasbalzata dall’auto ed è probabilmente là, ventot-to metri più sotto.«Poliziotti, vigili del fuoco, personale della CroceRossa e automobilisti di passaggio scendono acercarla senza trovarla e allora, dopo circa 30 mi-nuti, dico a voce alta:“Se la troviamo vado a Lour-des”. E dopo alcuni minuti in piedi, nel buio, sola,con il mio bimbo di pochi mesi in braccio, alzo losguardo al cielo e urlo: “Ok, ci vado a piedi!”. «“Signora, veloce, salga sull’ambulanza, il dottorCremonesi ha trovato Marcella, e noi dobbiamoarrivare al Pronto Soccorso prima che arrivi lei”.Infatti altri figli hanno riportato numerose ferite econtusioni e necessitano di cure immediate. Mar-cella è grave e quando si riprende dal coma sco-priamo che è viva, ma non camminerà mai più».A distanza di quasi 15 anni Anna è riuscita adadempiere al suo “voto” ed ha trasformato quelviaggio in qualcosa di speciale, da cui sono natiun libro e un documentario.

Luisin è un eroe. Ma il suo nome non sta scrittosui libri di storia, lo ricorda soltanto una canzo-ne popolare che si cantava in Lombardia versola fine dell’800. Era un soldato, si direbbe chefu un protagonista minore di una delle guerre diindipendenza, se non fosse che le guerre, inpassato come oggi, le fanno appunto i protago-nisti minori: le subiscono, vi combattono, nepatiscono le conseguenze, sono in realtà i prota-gonisti principali. Luisin non avrebbe potuto non andare in guerra,la coscrizione era obbligatoria fin dai tempi diNapoleone, ma scelse la condizione più perico-losa: si schierò con Vittorio Emanuele II controil suo sovrano, l’Imperatore d’Austria che alloraregnava sul Lombardo Veneto. Scelse “perché lecose non cambiano da sole” diceva, e lui volevache l’Italia cambiasse, voleva una nazione unita,non frammentata tra governanti sfruttatori estranieri. Per l’esercito austriaco diventò un di-

sertore. La sua sto-ria d’amore con unagiovane milanese,appena iniziata si in-terruppe.Luisin è un eroe per-ché scelse consape-volmente, a gravescapito delle sue per-sonali necessità, ciòche gli sembravagiusto. Questo spet-tacolo propone dun-que ai bambini e ai

ragazzi un modello e un comportamento, forse unconforto, per i momenti difficili della vita, quelliin cui è necessario decidere e schierarsi per la co-sa giusta anziché per la più comoda. Il pubblico potrà assistere a uno spettacolo origi-nato da una profonda conoscenza del pubblicogiovanile e da decenni di laboratori di animazio-ne. Infatti, la Compagnia C.A.S.T. ha cercato direalizzare un’opera che contenesse sia delicatez-za e poesia, sia alcune particolari tecniche – l’in-terazione discreta e giocosa con il pubblico, l’al-ternanza tra racconto e rappresentazione, l’utiliz-zo di burattini e pupazzoni mossi a vista, immagi-ni dipinte che diventano didascalie figurate deicontenuti recitati – caratteristiche di un’arte che èanche gioco e possibilità di apprendimento.Tre attori faranno rivivere alcuni avvenimenti delRisorgimento, coinvolgendo nella rappresenta-zione gli spettatori che diventeranno, a loro volta,protagonisti di vicende forse non celebrate ma amodo loro fondamentali.

Da qualche tempo via Vado è percorsa da un esercito di pen-dolari della metropolitana, in viaggio verso i luoghi di studio odi lavoro. E d’improvviso la nostra chiesa è diventata un luogofamiliare e consueto per i molti che non la conoscevano e chedi qui non passavano mai. Per Santa Monica il mese di maggioè un momento in cui la Comunità si esprime, si coinvolge, siimpegna, ma anche si espone, proponendo appuntamenti e ri-flessioni a parrocchiani e non. E allora esponiamoci, faccia-moci vedere, auguriamo buon giorno a chi passa, proviamo astabilire un contatto. Non per catechizzare o per “vendere”qualcosa, ma per dire semplicemente “benvenuto nelle nostre

strade, oggi siamo in festa, se vuoipuoi fermarti a fare festa con noi!”.Ogni incontro può portare novità efreschezza, così la festa può averepiù gusto e non lasciare indiffe-renti quanti per caso incrocianola nostra realtà. Questo “Buon-giorno da Santa Monica” è unesperimento: vedremo come

verrà accolto e quali frutti porterà.Nel frattempo chi volesse partecipare al-l’organizzazione del saluto mattutino, può

a n c o r afarsi avan-ti… Per unincontro civ o g l i o n opersone dis-

ponibili e sorridenti, capaci di trasmetterecalore e accoglienza anche solo offrendo un veloce caffè. Leporte della chiesa sono sempre aperte per chi passa. Questavolta facciamoci trovare anche noi. DAL 7 AL 25 MAGGIOIL LUNEDÌ, MERCOLEDÌ, VENERDÌOGNI MATTINA DALLE ORE 7 ALLE ORE 9

lungo periodo. Per quanto traumatica possaessere l’eruzione di un vulcano attivo, sicu-ramente avrà una minore influenza sulla po-polazione, rispetto ad un attacco contro unedificio situato in una città considerata sicurae protetta come New York. Le reazioni dellevittime, inoltre, variano in base alla tipologiadella catastrofe. Solitamente, gli eventi natu-rali provocano reazioni più contenibili ri-spetto ai disastri dolosi che tendono, invece,a generare panico e rabbia collettiva. In ogni caso, qualsiasi calamità condizione-rà emotivamente i sentimenti di sicurezza e

fiducia delle vittime. Alcune di esse reagranno adeguatamente, adattandosi alla nuva situazione, altre potranno manifestasintomi transitori, altre ancora potransviluppare alcune patologie, come il distubo post traumatico da stress. Le reaziopsicologiche maggiormente vissute sonotimore e l’ansia per la famiglia, il senso vuoto per la perdita dei propri cari e perperdite economiche, una serie di preoccpazioni più o meno motivate per le condzioni di vita successive all’evento ed il more di ammalarsi. Molte persone, pur esibendo alcuni disapsichici riescono a trovare il modo di gesre e superare situazioni di crisi autonommente; altre, invece, manifestano sintomche possono rappresentare l’origine di mlattie psichiche. Le reazioni psicologichquindi, non corrispondono necessariamete a patologie, anche se possono costituiri germi. Le categorie considerate più a schio sono i bambini, gli anziani, gli infemi e i pazienti psichiatrici.Sebbene possa apparire singolare, la pcologia dell’emergenza si occupa ancdei soccorritori, vale a dire il personale snitario, gli operatori della protezione civle, le forze dell’ordine, i vigili del fuocoi volontari. Queste tipologie di personinfatti, sono considerate vittime indireta causa dell’esposizione prolungata e

Se è vero (com’è vero) che nella Diocesi di Torino358 sacerdoti su 530 hanno più di 60 anni, e che nel2012 verrà ordinato un solo prete, allora fra poco(10-20 anni) dovremo fare i conti con una realtà ec-clesiale nuova, sconosciuta e da reinventare, alme-no dal punto di vista organizzativo.Il lavoro del Consiglio Pastorale Parrocchiale, 4anni fa, è partito più o meno da questa riflessione, eda un colorato grafico dove risultava subito eviden-te che nel 2020 più del 70% dei sacerdoti della no-stra Diocesi saranno ultra ottantenni. Abbandonatii numeri ci siamo subito detti, però, che quello chepoteva apparire un problema doveva trasformarsiin opportunità per la nostra Chiesa, non solo quelladi Torino, ma la Chiesa tutta: riscoprire la respon-sabilità che ciascuno di noi, laico o consacrato, hain quanto Battezzato. A quel punto è cominciato il lavoro vero: abbiamoletto documenti, cercato spunti di riflessione, guar-dato al di là del nostro territorio. Soprat-tutto, ci siamo interrogati e confron-tati sul fondamento profondo dellaChiesa, che – come ben ha eviden-ziato l’ultimo Concilio – non è ilpresbitero, ma il Battezzato: tutti noisiamo fondamento, tutti noi siamochiamati ad essere non solo collabo-ratori, ma corresponsabili all’internodella Chiesa, tutti noi possiamo – omeglio dobbiamo – “anticipare glieventi” e iniziare fin da oggi ad imma-ginare e costruire la Chiesa del futuro.Con questo spirito sono nate le iniziative che lanostra Parrocchia ha proposto e vissuto in questianni: la giornata comunitaria del novembre 2009,le serate di formazione preparate dal gruppoAdulti, il ciclo di incontri “generAzioni”, gli in-contri sulla Liturgia, accanto a quelle attività chegià erano presenti (la catechesi, i gruppi, la Festadi Maggio...). E in questo spirito ci è parso giusto,come Consiglio Pastorale, coinvolgere nelle no-stre riflessioni l’intera Comunità, e interrogarci(tutti insieme) su ciò che, come Parrocchia, ciidentifica e su come possiamo progettare i prossi-mi anni, anche in ottica di un eventuale (e per oranon reale) trasferimento di don Giorgio. Abbiamoindividuato tre ambiti di lavoro, che non sono cer-tamente gli unici e forse nemmeno i più importan-ti, ma che a noi sono sembrati i più “urgenti”, nonsolo dal punto di vista temporale: la formazione(umana e cristiana, dai 18 ai 99 anni… e oltre); lacarità (intesa non come servizio, ma come “obbli-go morale” di ogni cristiano); l’organizzazionepratica (forse a prima vista meno “nobile”, ma ne-cessaria per permettere lo svolgimento delle varieattività).Il 1° aprile, al 3° piano del campanile, eravamo unasettantina di persone. La prima parte del pomerig-gio voleva essere solo informativa, verso la Comu-nità, del lavoro fatto negli anni dal Consiglio Pasto-rale, e si è invece rivelata una bella occasione didialogo e confronto dalla quale sono emersi utilispunti per riflessioni future: l’importanza della no-stra identità parrocchiale, ma anche la necessità di“ragionare in orizzontale” su possibili collabora-zioni con le Comunità vicine; la preparazione nonsolo tecnica, ma anche personale, necessaria per la-

Cinquant’anni d’amoreper i treni

MI PIACE... TI PIACE?

Mi trovo in città, esattamente in via Sacchi angolocorso Sommeiller; ma non sto andando alla cono-sciuta e frequentata discoteca che da tempo ha qui lasua sede. Ho invece un simpatico appuntamento con alcuniamici e appassionati di rotaie, locomotori e treni ingenerale per entrare in una piccola grande stanzaubicata proprio li sopra, assegnata ai “fermodellisti”del Dopolavoro Ferroviario in cui da circa cinquan-t’anni viene costruito, assemblato e curato un gran-de plastico ferroviario.Che spettacolo! Credo che più delle parole sianoeloquenti alcune immagini che ho scattato al cospet-to di questa opera d’arte: è lunga più di 30 metri, lar-ga almeno 3 e riproduce con precisione, cura e reali-smo ambienti naturali e urbani attraversati da un re-ticolo di binari, stazioni e tanti tanti vagoncini.Per gli appassionati si tratta di un vero paradiso: nonbasta una giornata intera per contemplare montagne(inconfondibile la riproduzione del Monte Chaber-ton con il suo forte!), tunnel, viadotti, ponti, passag-gi a livello, paesi... Non è sufficiente una sola visita per scoprire e ap-prezzare ogni sorta di convoglio: dai modernissimitreni alta velocità italiani ed europei alle tradottemerci, dai treni notte alla ferrovia Retica, dalle cre-magliere di montagna alle littorine. Per gestire un “mostro” di queste dimensioni e diquesta complessità è stata costruita una consollecomputerizzata molto simile a quelle operative nellestazioni, necessaria davvero per organizzare l’inten-so traffico sulle molteplici linee del plastico.E non è finita qui: date un’occhiata anche al resto

della stanza... scoprirete vecchi segnali, un vero oro-logio da stazione, porzioni di materiale ferroviarionon più usato, pannelli per vagoni appartenuti a col-legamenti “storici” come il Milano-Torino-Parigi. Iocredo che anche coloro ai quali il mondo ferroviarionon interessa per nulla o solo in piccola parte reste-ranno affascinati da ciò che contiene questa stanza...e dalle persone che la curano.Infatti, ciò che ulteriormente distingue questo plasti-co dagli altri è il fatto che non solo lo si ammira malo si “vive” dalle parole e dai racconti di coloro cheda tanti anni lo creano e lo arricchiscono di nuovitracciati e ambienti. Da loro si può sentire la passione e l’amore per ilmondo dei treni, capire la fatica e lo studio che vi èstato dietro alla costruzione di un ponte o di una gal-leria, percepire lo slancio che accompagna i nuoviprogetti di ampliamento. So che cosa vi state chiedendo ora: ma in che modo èpossibile visitare tutto ciò? C’è un solo modo, ed èquello di mettersi in contatto telefonicamente con ilDopolavoro Ferroviario ai numeri 011-5808539 /011-5683138 dove si possono conoscere le date e gliorari di apertura riservate al pubblico. Non posso però non approfittare dell’opportunità diquesto spazio che Il Ponte mi ha regalato per ringra-ziare in modo particolare il signor Gaetano Retton-dini per l’attenzione e la collaborazione che ha di-mostrato nei confronti del gruppo di cui facevo par-te.Non aggiungo altro. Telefonate, prenotatevi e andatea vederlo questo capolavoro e… vi stupirete!!!

Stefano Fassio

ro 2 - Aprile 2012 3

«La differenza, si sa,la facciamo noi»Tredici anni scarsi, un modulo da compilare sul comodino e la continuadomanda che non trova risposta: “Dove ti sei iscritto l’anno prossimo?”.Tra consigli, test attitudinali e la scadenza incombente, a forza di pen-sarci quel ragazzo finisce per scrivere con poca convinzione il nome diuna scuola che non gli sembra tanto diversa dalle altre; solo più tardi sirenderà conto che dietro quel nome c’era il suo futuro. Questo è cresce-re: scegliere, sbagliare, prendersi le proprie responsabilità.E, come per incanto, si trova tra nuova gente, una marea di libri cheprima o poi dovranno essere studiati; e i primi 4 che gli fanno capireche non può arrendersi perché sta davvero costruendo il suo futuro.Alcuni capiscono di aver sbagliato scelta, a volte troppo tardi, altri so-no così ammaliati da quel nuovo mondo che non ne vorrebbero piùuscire, alcuni si ostinano a studiare per veder scritto “100” su quel ma-ledetto diploma, altri si rendono conto di non essere all’altezza. Cosìci si trova a passare i propri 16 anni a “litigare” con Dante, Aristotele,una formula chimica o una semplice equazione, come se passare almeglio l’interrogazione e sperare il migliore della classe sia davverol’unica cosa che conta. E spesso si cerca di soffocare lo stress in unasbronza il sabato sera o in una sigaretta, dimenticandosi quali sono lecose davvero importanti nella vita. Ma poi quel ragazzo cresce e gli basta proprio poco per essere felice ecapire che stava sbagliando tutto. Il sorriso di un suo animato l’estateprima che incontra per caso, una giornata condivisa, una predica ascol-tata con più attenzione, qualche chiacchiera con l’animatrice più gran-de. Ma anche solo il vecchietto sconosciuto che attacca bottone sull’au-tobus e il sole che nei primi giorni di primavera è già troppo caldo. La scuola è importante e la scelta giusta lo è ancora di più perché, an-che se ci tolgono tutto, la nostra cultura e le nostre abilità non ce le puòtogliere proprio nessuno. Ma sedici anni si hanno una volta sola e labellezza della vita si vede nel sorriso di una madre, nella canzone con-divisa con la propria migliore amica, nel cuore spezzato dal proprioragazzo, nelle piccole felicità di ogni giorno e, anche se potrà sembra-re strano, non in un 8. Il tempo ci aiuterà a capirlo.

Gloria per il Gruppo di II e III Superiore

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nzagi-uo-are

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petuta a fattori stressanti, come il contattocon la sofferenza e il dolore delle personeche hanno subito lutti e perdite. In effetti, isoccorritori oltre ad operare in contestidifficili, in cui i ritmi di lavoro sono spes-so serrati, sperimentano un alto coinvolgi-mento emotivo. A lungo andare, questacondizione può portare alla cosiddettasindrome del burn out che si traduce in unatteggiamento negativo nei confronti di sée dei soccorsi prestati, seguito da un allon-tanamento dalle attività e dalle responsa-bilità. Anche per i soccorritori vale lo stes-so principio delle vittime dirette; di frontead un disastro è impossibile non avere rea-zioni psicologiche, ma questo non signifi-ca sviluppare una patologia.Solo rimanendo all’interno dei campi perun po’ di tempo si riusciva a comprenderecome il terremoto avesse segnato tutti, siachi lo aveva vissuto direttamente, sia chi eraintervenuto per fornire supporto. Fortunata-mente, la maggior parte delle persone sco-pre di avere le risorse necessarie per affron-tare la situazione, altri riescono a superarele difficoltà grazie alla solidarietà e al soste-gno della comunità, altri ancora è bene sia-no indirizzati a professionisti per evitareche un iniziale disagio si trasformi in unmalessere più grave.

Dott.ssa Stella CavalierePsicologa psicoterapeuta

vorare insieme; la catechesi e “l’iniziazione cristia-na”; la missionarietà di ciascuno sul posto di lavo-ro, in famiglia, nella società; la difficoltà di genera-re nuovi sacerdoti, anche come Comunità di SantaMonica. Aggiungo una riflessione che non è stataespressa, ma che certo deve interrogarci: l’assenzadei giovani, in un pomeriggio al quale l’invito eraper tutti, e la presenza di soli 8 “giovani-adulti” fra i30-40 anni. Un segnale da non sottovalutare, chenon si può liquidare con la crisi del mondo giovani-le: che forse può sollevarci le coscienze, ma non ri-solve il problema. Alcuni giovani saranno anchepoco interessati, svogliati, pigri, senza valori... maquesto è vero per ogni epoca, com’è vero per ogniepoca che esistono tanti giovani impegnati, appas-sionati, volenterosi. La loro assenza ci parla di unbisogno che probabilmente, come Comunità cri-stiana, non sappiamo più intercettare e ci obbliga a

fermarci, ad occuparci (e nonpreoccuparci) di loro. Nella seconda parte del pomerig-gio, a gruppi abbiamo provato aragionare sui tre ambiti proposti.Non con la pretesa di trovaredelle soluzioni, non con l’inten-zione di reclutare braccia per la-vorare, ma con l’idea di mettereinsieme le nostre teste e vederese è possibile identificare nuo-vi percorsi, trovare nuovi modi

di essere Parrocchia, riscoprire lanostra identità di Battezzati che (da soli o con

un Parroco) continuano a vivere e testimoniare laloro fede.Il futuro è tutto da inventare:l’idea del Consiglio Parroc-chiale era quella di creare trecommissioni che in concretocominciassero a progettare ecostruire qualcosa, ma solo iltempo ci dirà se questa è lastrada giusta, o se bisogneràtrovare altre vie da percorre-re. I cambiamenti richiedonotempo, la testa e il cuore han-no bisogno di abituarsi lenta-mente alle novità, la fretta ditrovare soluzioni spesso ècattiva consigliera. Ma abbia-mo cominciato a camminare,ci siamo messi in discussio-ne, e capire come la nostraComunità può condividere leresponsabilità proprie deiBattezzati (al di là dei mini-steri) è una sfida che permet-terà a tutti noi di crescere.Con o senza un Parroco resi-dente. Con o senza don Gior-gio. Anche se – possiamo dir-celo – se e quando (speriamonon troppo presto) Santa Mo-nica dovrà fare a meno di lui,il nostro cuore ci metterà unpo’ ad abituarsi alla sua as-senza.

Paola Demartini

Se ho accettato di parlare qui del miorecente viaggio in India non è per parla-re di me: in tempi di viaggi low cost eofferte turistiche last minute nessunaavventura esotica fa più di tanto notizia.Se ho accettato di parlarne è perché miè sembrato che avrei potuto fare alcuneconsiderazioni anche sull’Italia; avreipotuto, raccontando, parlare anche unpo’di noi oggi.Dunque il 10 febbraio scorso sono par-tita con due amiche più giovani e attrez-zate di me alla volta di Ranchi, capo-luogo di una provincia orientale, loJharkhand, di solito esclusa dai percor-si del turismo classico. Mi sono messaal seguito di queste compagne che, en-trambe insegnanti e madri, siccomeamano disegnare modelli e cucire, han-no saputo fare di questa loro passionequalcosa di più di un hobby: come so-cie dello Yatra Onlus, loro creano i mo-delli che una sartoria di Ranchi trasfor-ma in abiti da vendere nei circuiti italia-ni del commercio equo e solidale. Sco-po del viaggio era perciò quello diandare in sartoria, verificare lo stato deilavori, mettere a punto i nuovi modelli,decidere le quantità di capi, scegliere ecomprare stoffe prodotte in loco, com-binare i colori e i ricami, insomma fareil punto della situazione e avviare il la-voro a venire. Cucire piace anche a mee così mi sono associata volentieri.All’arrivo il padre missionario italianoche ha avviato la sartoria e la suora in-diana che se ne occupa ci hanno accoltecingendoci il collo con ghirlande di fio-ri freschi, gesto inatteso e commoven-te, che mi ha subito bendisposta. Siamopoi saliti sulla jeep ed entrate subito inun magnifico documentario! So che néquesta descrizione né qualche piatta fo-tografia possono rendere l’impatto conuna città povera, vivace, rumorosa, co-lorata, affollatissima, viva. Difficile an-che rendere l’effetto shock della guida

(a destra) con sorpassi azzardatissimi,clacson sempre all’opera, scatti di fre-nate e partenze, vigili innocui nellaconfusione più variegata che si possaimmaginare di moto, api, bici, auto,pullman senza vetri con mucchi di per-sone sul tetto, capre, cani, mucche. Unbrulicare di vita che, se col caldo umidoe la polvere dell’estate può apparire un

girone infernale, a me ora nel teporedella primavera trasmette davvero ungran senso di vitalità, giovinezza, ener-gia disponibile alla costruzione di unfuturo prossimo migliore. Sono davve-ro tanti! Quanti abitanti conta questacittà? Documentandomi su internetavevo capito che fossero 800 mila, mapadre Paolo che ci vive da 13 anni cor-regge al rialzo: saranno un milione emezzo, almeno, per quanto qui l’ana-grafe funzioni. C’è grande migrazionedai villaggi alla città, migrazione indot-ta dai magnati che hanno da poco sco-perto le enormi ricchezze minerarie delsottosuolo e spingono i contadini a la-sciare case e terreni da trivellare. Chi

capisce si opponea questa specula-zione disumana,ma le forze sonosproporzionate e ildiritto troppo de-bole. Queste sonole zone indianeorientali passatealla nostra crona-ca per i rapimentidei due italiani,Paolo Bosusco eClaudio Colange-lo, dove operano iguerriglieri maoi-sti che in formeestreme rivendica-no il diritto deicontadini alla loroterra e alla loro di-gnità. Con quantepossibilità di ri-uscita? Molto po-che. A meno che ildiritto e la coope-razione interna-zionali non inter-vengano, ma sonocose lunghe, losappiamo tutti.In sartoria ci lavo-rano 25 signore, dietà indefinibile,

più un sarto professionista e un giovanesegretario che conosce sia l’indi chel’inglese e fa da tramite tra le lavoratricie lo staff di Yatra a Torino. Cuciono conmacchine a pedale perché la luce elet-trica è un po’ ballerina, ricamano sugrandi telai sedute per terra, a terra sie-dono nelle riunioni, per il pasto, perconversare. Vengono da un altro quar-

tiere della città, o da qual-che villaggio. Lavorano 8ore al giorno per 5 giornila settimana e guadagna-no uno stipendio suffi-ciente per mantenere lafamiglia. L’equivalentedel costo di due tunicheda loro confezionate e poivendute in Italia. È il prin-cipio della delocalizza-zione, quella che per dirlapopolarmente “sta levan-do il lavoro a noi euro-pei”, con la piccola diffe-

renza che Yatra non ci guadagna nulla,reinveste in occupazione e opera perchéla sartoria diventi col tempo autonoma.Ma è naturale chiedersi che avverrà so-lo dopodomani quando queste differen-ze tra stati tenderanno a livellarsi per ilprincipio dei vasi comunicanti che in-ternet e globalizzazione stanno contri-buendo ad attuare. Per forza la torta do-vrà avere fette per tutti, forse più picco-le...Nell’istituto di suore che ci ospita lamattina arrivano dai dintorni 300 scola-retti in divisa grigia, rossa e gialla. Sidispongono nel cortile in file ordinateper altezza, compostissimi, e sotto laguida delle insegnanti per una mezz’o-ra pregano, cantano, fanno ginnastica,danno il benvenuto a chi li osserva. Poientrano nelle loro aule dove, in 40 o 50,imparano ripetendo a voce alta e facen-do esercizi di copiatura dalla lavagna.In città gli studenti indossano la divisa,diversa per ciascun tipo di istituto chefrequentano, per lo più privato e religio-so, per fortuna in gran numero. Perquanto questi ragazzi siano belli a ve-dersi, noi insegnanti occidentali del li-bero pensiero e del libero insegnamen-to non siamo troppo inclini all’idea del-l’uniforme, né tanto meno allo studioripetitivo. Eppure anche questa formad’istruzione che può apparire più vicinaall’addestramento, è pur sempre unamanna, si tratta pur sempre d’una popo-lazione che sta studiando e presto col-merà il gran buco dell’analfabetismo. Equando tutti sapranno leggere e scrivereaccetteranno più questa condizione didisuguaglianza e ingiustizia? Una suo-ra mi racconta che tra i suoi alunni mol-ti sono “a servizio” presso famiglie be-nestanti. Per farli studiare senza pagarela pensione i genitori, che abitano lon-tano, li mettono a servizio presso fami-glie che danno loro vitto, alloggio e lagaranzia di mandarli a scuola in cambiodi lavori domestici. Sono bambini ebambine di 8-10 anni. A noi sembra ter-ribile. Ma un giorno questi bambini rin-grazieranno chi li ha fatti studiare.

La gente di Ranchi è piuttosto bella. Al-ti e slanciati per via degli abiti lunghi,dei capelli raccolti, del camminare alte-ro e dinoccolato. Credo di non aver vi-sto nessun obeso. Ho visto jeans indos-sati da giovani dei due sessi, nessuna ra-gazza coi capelli corti. È una bellezzainconsapevole, come quella dei bambi-ni o adolescenti che si credono pieni didifetti e invece sono bellissimi. Sta neiloro occhi, nei capelli nerissimi, nelcontrasto tra lo scuro della pelle e ilbianco dei denti, quasi sempre perfetti.È una bellezza piena di dignità e di ar-monia, come le case dei villaggi chestanno abbandonando o che rifanno concriteri moderni assai dubbi. La corsa al-

la modernità sfiora tutti gli aspetti dellavita ed è un vero disastro. Arredano constoffe di nylon, mobili di plastica, im-maginette fosforescenti, collane di fiorifinti, è il trionfo del kitsch. Impossibilenon ricordare i nostri Anni ’60, quandocol boom economico cedevamo i solidimobili di legno per quelli in formica oteak, indossavamo vestiti di terital e ascuola rigidi colletti di plastica, mentrea tavola la margarina sostituiva il burro.Poi ci siamo pentiti, ma sul latte versa-to... E comunque la modernità coi suoicomodi vantaggi non era forse molto dipiù? Chi l’avrebbe potuta fermare eperché farlo?Ci siamo chieste sull’aereo che al ritor-no sorvolava la Mole: se un giovane diRanchi venisse ora qui nelle nostre cit-tà, come le vedrebbe? Più lustre, più or-dinate, più silenziose, piene di vecchi einfinitamente più tristi, ci siamo dette.

Carla Ponzio

(Questa lettera del nostro parrocchiano è già stata pubblicata a marzo da“Specchio dei tempi” su La Stampa e da altri quotidiani).

Se tre indizi fanno una prova, allora è assodato che l’amministrazione comu-nale di Torino mentre sovente dichiara (a parole) di non voler ignorare leistanze dei cittadini, nei fatti, rispondere a tali istanze appare come l’ultimodei suoi pensieri. Ecco la mia esperienza. Nella settimana del 16 gennaio u.s.,senza alcuna comunicazione preventiva, l’accesso alla sepoltura di cui sonoconcessionario presso il Cimitero Monumentale, frequentata ogni settimanaavendo la sepolto anche mio figlio, mi è stato impedito da uno steccato in re-te metallica su cui un cartello segnalava una durata di circa un anno per lavo-ri non meglio identificati. Per avere qualche informazione sicura ho contatta-to telefonicamente la Segreteria del Sindaco, che mi ha fatto chiamare da unafunzionaria del settore, la quale, tuttavia, di questi lavori non sapeva nulla.Ho allora lasciato i miei riferimenti telefonici e di posta elettronica, riceven-do la promessa di una risposta a breve a tutte le mie domande: perché nessu-no ha avvertito; qual è la reale natura dei lavori; quale sarà la loro durata; perquanto tempo non potrò accedere alla sepoltura; qual è l’ammontare dellaspesa dei lavori; quale delibera comunale li ha autorizzati.Trascorse tre settimane senza alcun segno di vita, ho ricontattato la funziona-ria di cui sopra, che, infastidita, questa volta mi ha sbrigativamente rinviatoalla chiamata che mi avrebbe fatto un non meglio identificato architetto. Na-turalmente nessuno si è fatto vivo. Ho allora scritto, in data 15 febbraio, unaraccomandata al Sindaco, ma a tutt’oggi ancora nessuna risposta.Più che un modo di tenere in conto le istanze dei cittadini, questo atteggia-mento mi sembra piuttosto del tipo “zitto e subisci”. E pensare che io non honeppure protestato, ho soltanto chiesto di sapere come e perché vengono spe-si i soldi della comunità, ricevendone in cambio soltanto fragorosi silenzi.

Emilio Allia

Anno X - Numero 2 - Aprile 20124

DALL’ARCHIVIOAbbiamo accoltoEmma GROSSO-ROASENDAAlice LO SAVIOElio BOSCOIvan LAURENZAAsia VALLESIOAllegra Ginevra MASALA

Abbiamo salutatoAda BACCIARINIAnna BRANDOLINIAngelo TABASSOLaura SCARAMUCCIRosa MONTANAROFelicina CORRADO

in DENTISdon Emilio BONELLI

Abbiamo gioito conAnna MULASSOe Mattia ROPPOLO

LA RICETTA DI...

Fiori di zucchini frittial formaggio

Alcolisti e... familiari e amici di alcolistiCanti

✍ Alla Redazione de Il Ponte.È mezzogiorno, un lungo im-

barcadero di legno che si protende sulLago di Tiberiade. Un gruppo di pelle-grini italiani stanchi attende, sgranati,un battello che li porterà in un kibbutzper quello che sta diventando di minutoin minuto un sempre più agognatopranzo.Il battello si fa attendere, i pellegrini siappoggiano alla staccionata perplessiper l’attesa (l’organizzazione del viag-gio è scrupolosa e puntuale…); ma ec-co che il vecchio battello arriva ansi-mando e un altro gruppo di pellegriniscende. È un pellegrinaggio di fedelinigeriani, cristiani, venuti in Israele colsostegno del loro stato, la Nigeria, cheoffre aiuto economico sia ai cittadini difede cristiana che vogliono andare inTerra Santa che ai musulmani che si re-cano alla Mecca. Finalmente li vedia-mo in faccia. Per giorni le nostre stradesono state parallele in Galilea senzache mai ci incontrassimo. Quando sia-mo entrati nella chiesa sul Monte Ta-bor siamo stati accolti, anzi avvolti, dailoro canti che provenivano da una cap-pella (con porta chiusa) e quando sia-mo scesi a cena nell’albergo di Naza-reth il nostro desco è stato rallegratodal suono dei loro strumenti che prove-nivano da un altro locale. Un inattesoaccompagnamento ai nostri passi sullavia del Signore che dilatava in una pro-spettiva più vasta il nostro cammino.Avrei voluto cantare con loro, ma la ti-midezza mi ha fermata. Ora erano lìcon un fraterno sorriso e ci offrivano leloro mani. Ricordo le loro palme che sistringevano alle nostre. Un momentopiccolo e grande, come la vita. Queicanti fanno parte dei miei più cari ri-cordi di viaggio.Che ne è di loro, oggi? Vivi, o uccisi vi-gliaccamente il giorno di Natale nelleloro chiese piene di canti o in uno deimassacri che si susseguono in quellosfortunato Paese? Di certo gli sforzi dichi lo governa non bastano a mantene-re l’equilibrio tra la comunità musul-mana e quella cristiana. Oggi la ferocianazionalista di chi prende come prete-sto e collante la religione insanguina leloro strade. Potranno continuare a vi-vere in quella che a pieno diritto è la lo-ro terra, a frequentare le loro chiese, adallevare i propri figli come sentono didover fare? Oppure, impauriti, si allon-taneranno dalle pratiche religiose? Oc-correrà un presidio armato di soldatidel governo davanti alle chiese comeho visto in Israele davanti ad una scuo-la per rabbini? Impareranno a sparareper primi per non essere ammazzati eaccanto al messale ci sarà un fucile?Oppure per non macchiarsi del sanguedi fratelli saranno costretti ad una dia-spora, a dire addio ai grandi orizzontidell’Africa e cercare, in una terra di-versa da quella natale, un tetto e unasperanza di vita? Non so. La cronaca registra purtropporappresaglie di cristiani contro musul-mani. So che di nuovo il martirio ac-compagna chi ama Cristo, come secolifa. Ma oggi, paradossalmente, nell’in-differenza di coloro che si dicono cri-stiani e possono, liberamente, accedereo non accedere alle proprie chiese. For-se non ho letto con attenzione, ma nonmi risulta che ci siano state petizioni inloro favore all’Onu. Io li ricordo conquesto scritto perché sento che tutti ab-biano il diritto di professare la propriafede, in qualunque regime politico essivivano, sotto qualunque cielo, qualun-que sia il colore della loro pelle e chequesto diritto non possa essere negatoai miei fratelli, i cristiani. Nel rispettodella propria dignità e della vita altrui.

Maria Origlia

IL PONTE è il giornale “quasibimestrale” della Parrocchia Santa Monica, via Vado, 9 – Torino.

Sara Vecchioni - direttore responsabileEnrico Periolo e Carla Ponzio coordinano i lavoriCollaborano alla redazione Grazia Alciati,Aldo Demartini,Roberto Di Lupo, Edoardo Fassio, don Giorgio Jalla,Cinzia Lorenzetto, Marco Montaldo, Roberta Oliboni,Maria Origlia, Maria Teresa Varalda,e… tutti coloro che vorranno farsi avanti.Tiratura 2700 copie, distribuzione gratuita.Videoimpaginazione: la fotocomposizione - TorinoStampa: La Grafica Nuova - Torino

Il giornale viene distribuito gratuitamente a tutti i parrocchiani. Sono gradite le offerte di sostegno.

REGISTRAZIONE N. 5937 DEL 17-01-2006 AL TRIBUNALE DI TORINO

(segue dalla prima pagina)

Se nel guidare una vettura fossero unpo’ più garbati nell’uso del piede de-stro, non sarebbe male.

Come definirebbe lei il mestieredel “civic”?

Io credo che rimanga un bel mestiere.Dico sempre che se ci mettiamo a farel’elenco delle attività, dei servizi e fun-zioni che deve fare un “civic”, diventa

una “roba” chenon se ne vie-ne più fuori; sifa prima a direle attività chenon possono

fare per divieto di legge, quella allora èuna paginetta corta corta. In ogni caso èun bel mestiere, specie in città; nei pae-si è diverso. Però bisogna partire daun’altra considerazione: per dare rispo-ste ai cittadini bisogna saperne sempredi più, allora c’è la possibilità di specia-lizzarsi nei vari settori di attività, e que-sto permette ai “civic” per un po’di la-vorare a una cosa, poi a un’altra e cosìvia, anche perché lavorare magari per40 anni alla stessa cosa, c’è il rischioche cali la motivazione.

Come va giudicata Torino… “al-la guida”?

Un po’ per caratteristiche della città –e ciò influisce perché la città con isuoi viali ortogonali larghi e cosìvia… –, e molto per l’educazione deitorinesi, per quel che ho visto io qui lamobilità è davvero migliore rispettoad altre città, più scorrevole. Poiognuno brontola in casa sua, ma bastaandare in qualche altra città, centrimedievali, tutte vie contorte… così èmolto più complicato.

Quando fermate una vettura co-m’è di solito il… “dialogo” colconducente? A suo parere nonc’è a volte un po’ d’accanimentonei confronti dei guidatori daparte dei “vigili”?

Sì, per quello che dicevo prima. Seuno si ferma per un’informazione, vatutto bene. Ma se è un controllo percomportamento non virtuoso, allo-ra… ci sono i due tipi: “perché non aquell’altro?”. C’è un po’ di sorpresache credo dipenda anche dal fatto chele conseguenze sono sopportabili per-ché si tratta di poche decine di euro,non è che succeda gran che. Peròquello che da fastidio è essere coltinell’errore da qualcun altro.

Secondo lei per l’automobilista èsempre facile districarsi tra lecontinue modifiche delle scaden-ze (bolli, bollino blu, patente, re-visione ecc.) o tra i tanti divieti diaccesso alle zone vietate o delimi-tate della città?

Facile no, però so che ad esempio perquel che riguarda la Ztl sarà di prossi-ma installazione una segnaletica lu-minosa che dica “Ztl in funzione”.Penso che tutto ciò che si può fare persemplificare le procedure burocrati-che… A volte però succede persinoquesto, che sembra una contraddizio-ne: quando ci sono troppi segnali di-venta una roba controproducente; cene sono troppi e l’automobilista nonvede più niente. Stiamo provando a

vedere di semplificare e lasciare la se-gnaletica essenziale.

Quali giudica che siano le infra-zioni più gravi e quelle più… fre-quenti?

Quella più frequente è la sosta: sia permotivi oggettivi che soggettivi. Ogget-tivi per la quantità di posti disponibiliper le esigenze, soggettivi perché tuttinoi si vuole arrivare a due metri, anzi aun metro e mezzo dal posto in cui sivuole andare. Poi credo che il fattoredeterminante più pericoloso sia la ve-locità. Un banale tamponamento è unacosa se vai ai 40, un’altra se vai ai 100.

Chi risulta essere più disciplinatoal volante: la donna o l’uomo?

Non vedo grandi differenze. Secondo lei il dissesto delle stradee la scarsa illuminazione in alcu-ne zone della città possono esserecausa dell’aumento d’incidenti?

La manutenzione delle strade è com-plicata, perché le buche si ricreanoper partenogenesi, ne chiudi una cen’è subito un’altra. Credo che il mag-gior danno lo creino alla struttura deiveicoli, ma può capitare che sianoconcausa d’incidenti.

A suo giudizio si dovrebbe esserepiù fiscali e severi per quanto ri-guarda il rinnovo della patentead una certa età e a determinatisoggetti?

Mh…mh… ci potrebbe essere un inte-resse sindacale… Ma ho visto che han-no modificato le procedure per il rila-scio della patente agli ultraottantenni,quindi sono abbastanza tranquillo.

Nella sua pluriennale esperienza,ci sono episodi, esperienze, in-contri significativi che può rac-contarci?

Ce ne sarebbero tanti, pensare a qual-cuno è diffi-cile. Una co-sa che mi haentusiasmatoè stato il perio-do olimpico, che èdurato un lungo perio-do, proprio per quella ri-sposta di accettazione, difesta. Io mi ricordo che sivedevano in giro, con tutti i problemiche ci sono, oltre la mezzanotte in cen-tro a Torino famiglie con la carrozzina,il bambino… Be’quella è una bella co-sa!

Quale messaggio vuole lasciare ailettori de Il Ponte?

Non odiate troppo i vigili, pensate chealla fine stanno facendo il loro lavoroche è quello di lavorare per la legalitàe la sicurezza. Concluderei dicendo:usate bene il piede destro!

Quest’ultima domanda non eraprogrammata, però alla luce del-la recente statistica che consideraTorino tra le città più vivibili, si-curamente non è secondarial’importanza della Polizia Muni-cipale per il raggiungimento ditale risultato. Cosa ne pensa?

Sono sicuro che per raggiungereobiettivi di quel tipo ci devono lavo-rare in tanti. Da tutti i servizi del Co-mune, ai privati, a… tutti. Un picco-lo contributo penso che l’abbiamodato anche noi.

Un giorno della primavera scorsa,trovandomi a Giaveno andai a com-prare dalla solita contadina. Le dissiche desideravo anch’io coltivarequalche cosa nel pezzetto di terrache avevamo dietro casa.Lei gentilmente mi diede 12 semi dizucchino. Li presi un po’ titubante, acasa li piantai in altrettan-ti vasi e incomin-ciai ad innaffiarli.Per tre giorni, almattino prestoero lì ansiosadi vedere cosasi sarebbe ma-nifestato. Ilquarto giornoapparvero le fo-glioline e qual-che giorno dopofui in grado ditrapiantarle nel-l’aiuola che in-

tanto avevo preparato. Daquel momento fu un’esplo-

sione di fiori gialli e successi-vamente di zucchini.

Con gratitudine ho rin-graziato Colui cheaveva permesso cheterra, sole, acqua tra-sformassero così 12semini. Per tutta l’e-state ho fatto mangia-re alla mia famiglia

zucchini e fiori in tutti imodi. Ecco comunque la descri-

zione della ricetta proposta nel titolo.Mi piace subito sottolineare che è fa-cilissima da preparare e che richiedenon più di una trentina di minuti.Ingredienti: 16 fiori di zucchino, oliodi semi o di oliva a piacere. Per il ripieno: 300 grammi di stracchi-no, 1 mazzetto di rucola, sale, pepe. Per la pastella: 80 grammi di farina,1 uovo, 1 decilitro di latte, 1 limonenon trattato, sale. Preparazione: in una terrina sbattetel’uovo e unite il latte che avrete primaamalgamato con la farina in una tazzi-na a parte. Insaporite la pastella con

una presa di sale e la scorza grattu-giata del limone. In una ciotola me-scolate bene lo stracchino con la ru-cola tritata, aggiungete sale e pepe.Togliete i pistilli ai fiori (che risulte-rebbero amari), riempiteli con la cre-ma di formaggio e richiudete i petali.Immergeteli nella pastella, lasciateliposare per qualche minuto, quindifriggeteli pochi alla volta in abbon-dante olio caldo. Scolateli con deli-catezza, poggiateli su carta da cucinaper far perdere l’eccesso di unto, sa-lateli leggermente e serviteli caldi.

Adriana Gallo Gherlone

«AL-ANON» E «ALATEEN»

✍ Gent.ma Redazione,da un po’ di tempo sui quotidiani compaiono

sempre più di frequente articoli di cronaca che hanno co-me protagonista, negativo, l’alcol.L’alcolismo, però, non colpisce solamente l’individuoche ne è portatore, ma l’intero nucleo familiare: frustra-zione, paura, impotenza, solitudine e vergogna ne sono isintomi.È questa la ragione per cui 60 anni fa negli Usa, e dal1976 in Italia, parallelamente ad A.A. (Alcolisti Anoni-mi) è sorta l’associazione dei familiari e amici di alcolisti(Al-Anon e Alateen) che si prefigge lo scopo di offrireaiuto, conforto e speranza ai familiari di al-colisti.Al-Anon è un’associazione no-profit diauto-mutuo aiuto che conta, in Italia, oltre415 gruppi dislocati su tutto il territorionazionale (20 in Piemonte, di cui 6 a Tori-no). Non vi sono quote o tasse da pagareper farne parte, ma è sufficiente avere unparente o un amico che abbia problemicon l’alcol.L’anonimato, infine, è alla base del nostroprogramma che si attua attraverso i DodiciPassi e le Dodici Tradizioni a cui fanno rife-rimento la maggior parte dei gruppi di auto-mutuo aiuto sorti per supportare le varie di-pendenze compulsive.È importante che sia conosciuta l’esistenza di Al-Anon inquanto, normalmente, è il familiare a cercare aiuto, piut-tosto che l’alcolista.Per ulteriori maggiori informazioni, chi fosse interessa-to, può fare riferimento al nostro Centro d’ascolto diMilano 02.504779 (numero verde 800.087.897) oppurevisitare il nostro sito www.al-anon.it. O ancora P.I AreaPiemonte cell. 366.1765151.Ringraziando per l’ospitalità ed il servizio sociale da voisvolto, rivolgiamo cordiali saluti.

Comitato Relazioni con l’Esterno (Area Piemonte)

SONO UNA FIGLIA ADULTA

DI MADRE ALCOLISTA

✍ Ai lettori de Il Ponte. Oggi mia madre è sobria da diversi anni, però ho

trascorso gran parte della mia vita da “orfana” perché alei non interessava nulla al di fuori dell’alcol.La lunga convivenza con l’alcolismo ha portato nel miocuore tanta rabbia, astio, rancore, vergogna, impotenza,tanto che l’unico sentimento reale di cui sono stata capa-ce per tanti anni è stato odio: odio per la vita direi, per lavita la quale è trascorsa, nel tempo, contando le bottiglievuote bevute da mia madre, insultandola ed espiando col-

pe non mie.Come famigliare dell’alcolista, infatti, mi sen-tivo impotente, frustrata; le sue azioni e i suoipensieri erano permeati sempre e soltanto dal-l’alcol. Non sapevo più cosa volesse dire starein compagnia di amici, perché temevo che l’al-colista avrebbe potuto rovinare la festa, assu-mevo responsabilità che non erano mie per evi-tare guai peggiori, mi nascondevo davanti a tut-to e tutti perché provavo vergogna e non potevoparlare con nessuno di quello che mi stava ca-pitando perché sapevo che avrei trovato solodelusione o pietismo.Il giorno che ho augurato a mia madre di mo-rire, ho capito che avevo toccato veramente ilfondo. Dovevo fare qualcosa ed ho incontra-

to Al-Anon. Ho frequentato personalmente le riunioni,ho letto la ricca letteratura, ho condiviso con gli altrimembri la mia esperienza.Al-Anon mi ha insegnato a mettere in atto il programmadi recupero basato sui Dodici Passi per ritrovare la sere-nità perduta.Sarò sempre una figlia di alcolista, ma grazie ad Al-Anonoggi ho finalmente trovato gli strumenti non solo per so-pravvivere, ma per vivere degnamente la vita come essamerita.

Valerie

«Contesto certe affermazioni su Giobbe»

✍ Carissima Redazione,ho letto con attenzione lo scritto

della teologa apparso sul numero scorsode Il Ponte a commento del libro di Giob-be. Conoscendo bene questo libro dellaBibbia, che ho letto più volte, sono rima-sto piuttosto sconcertato da alcune affer-mazioni che mi sembrano non aderenti altesto biblico.Iniziamo dai cosiddetti tre amici. Questisono in realtà tre teologi che offrono aGiobbe ricette preconfezionate, sono iconsolatori che dall’esterno guardano lasua prova e danno risposte totalmente pri-ve d’amore. Sono i difensori d’ufficio diDio, incapaci di consolare, di entrare neldramma. Giobbe, procedendo nel dialogocon gli amici, si accorge sempre più che ètempo perso parlare con loro, ascoltare iloro “sofismi di cenere”. È inutile stare adascoltarli, perché sono “imbiancatori dimenzogne”, mentre questi, assolutamenteinsopportabili, continuano a ripetere la te-si della tradizione ebraica della teoria del-la retribuzione: delitto e castigo, giustiziae premio. Se soffri è perché hai peccato equindi devi convertirti, ma Giobbe si ri-bella perché non può convertirsi falsa-mente se non si sente peccatore. Dio è co-sì grande da non aver bisogno di umiliarela sua creatura per farsi riconoscere comeDio. Giobbe non sopporta che l’uomovenga umiliato, che sia costretto ad esserefalso per rispettare Dio, e Dio non ha biso-gno di un culto motivato da una ragioneartificiosa ed economica. Ecco quindi laviolenza ideologica degli amici che inin-terrottamente ripetono il loro dogma,chiusi nell’altezzosità del loro benessere.Altro che “amici che vorrebbero consola-re, stare accanto a colui che soffre, condiscrezione, senza disturbare”!Veniamo ora a Giobbe, per schiodare dal-la nostra mente un’idea che ci ha portatola tradizione, quella di Giobbe il paziente.La pazienza di Giobbe è diventata stereo-tipo. Per la sua pazienza Dio alla fine loha premiato. In realtà Giobbe è tante co-se, ma non è un maestro di pazienza. Lo èsoltanto entro quella parte del libro chel’autore usa come cornice, ma in tutto ilresto del testo è un urlo continuo di ribel-lione, anche contro Dio.Infine, contesto le ancor più sorprendentiaffermazioni che riguardano Dio: “…siriconosce colpevole… ammette di avercommesso un’ingiustizia… riconosce lesue responsabilità…”. Non c’è nulla ditutto questo nel libro di Giobbe!Giobbe è l’uomo sofferente, che provatutta la gamma del dolore, ma che in real-tà non vuole darci la chiave per spiegarequale è il senso di questo dramma, bensì,partendo dal terreno oscuro e tenebrosodel dolore, egli vuole parlare di Dio. Do-ve è più facile urlare la bestemmia, liGiobbe vuole condurci a scoprire il verovolto di Dio. Gli amici e tutta la tradizioneci hanno insegnato sempre che le vie perdimostrare Dio sono quelle del bene, delbuono, del giusto e così via. Giobbe, inve-

ce, si mette sul terreno del male e da liprova a scoprire Dio, perché solo li si tro-va il vero volto di Dio. Non un Dio troppocomodo, piacevole, godibile, ma un Dioin tutta la sua terribile, grandiosa, glorio-sa trascendenza.Quando Dio, chiamato in giudizio daGiobbe al culmine del suo grido di prote-sta, che sfiora la blasfemia – egli infatti loapostrofa dandogli del calunniatore, di-cendo di essere da lui stremato, che la suabanda (di Dio) gli sta addosso –, rompen-do il suo silenzio, scende a fare la sua de-posizione, in questo ideale processo a cuiGiobbe, un uomo, lo ha convocato, inter-viene con tutto il peso della sua onnipo-

tenza e gran-dezza, nonper annien-tare il fedeleche si inter-roga, bensì,in un totaleribaltamentodelle parti,per porre aGiobbe sedi-ci domande,cui questinon saprà ri-s p o n d e r e ,

ma che hanno un senso preciso: tu Giob-be sei stato posto limitato all’interno diquesto mondo, con la tua ragione; tu haiusato tutta la libertà della tua ragione, percui hai parlato bene, perché hai parlatosinceramente, non con la artificiositàmeccanica degli amici, dei teologi, peròricordati che per riuscire a capire il sensovero dell’essere tu devi ricevere da partemia una rivelazione. Da solo non riusciraimai a scoprire tutti i meccanismi e tutta latrama di questo piano sensato e dinamico.E Giobbe capisce; difatti quel Giobbe ur-

lante e torrenziale, dopo aver ascoltatoDio, dice, col linguaggio processuale an-tico: “Ora mi metto la mano sulla bocca”,cioè non intervengo più; tu (Dio) hai ra-gione, “Io ti conoscevo per sentito dire,ora i miei occhi ti vedono”.Il punto terminale della fede dunque nonè il sentir dire, è l’incontrare, è la visione,è la contemplazione ed è solo li che Dio sisvela e si mostra, e Giobbe conclude: “Io,Signore, mi pento in polvere e cenere”. Ioti ho incontrato e questo mi basta anche sesono ancora nel dolore, ma ora è tutto di-verso perché io ti ho visto quale tu sei.È l’uomo che si pente, come è giusto, nonDio!

Emilio Allia

Questa lettera del nostro amico parroc-chiano, nonché attento lettore de Il Ponte,Emilio Allia, esprime non soltanto le sueriflessioni personali in merito all’articolodella pastora battista Lidia Maggi dal ti-tolo “La bibbia e il dolore: Giobbe”, ap-parso in prima pagina sullo scorso nume-ro, ma in qualche modo raccoglie anchele impressioni perplesse che abbiamo rac-colto qua e là di altri lettori. Pubblichia-mo volentieri questo scritto perché in mo-do puntale ed articolato propone una let-tura diversa e, ci pare, anche più tradizio-nalmente condivisa, del libro di Giobbe. Sarà interessante nella serata del pros-simo 11 maggio, quando la teologaMaggi sarà a Santa Monica per guidareuna meditazione sempre sul dolore apartire questa volta dal cieco nato delVangelo, continuare a voce il confrontosu questo tema centrale della fede e del-la vita. Nel frattempo ci potremmo tutti meglio pre-parare e formare, ma anche appassionare,alla lettura della Bibbia,andando a legger-ci o rileggerci questo testo bellissimo esempre attuale, che è il libro di Giobbe!