la pittura spagnola del medioevo

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La pittura spagnola del Medioevo: dalla cultura visigotica alla fine del romanico di Joaquìn Yarza Luaces Storia dell’arte Einaudi 1

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La pittura spagnoladel Medioevo: dallacultura visigotica allafine del romanico

di Joaquìn Yarza Luaces

Storia dell’arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:in La pittura in Europa. La pittura spagnola, a cura diAlfonso E. Pérez Sanchez, trad. it. di Anna MariaBagnari e Marzia Branca, vol.I, Electa, Milano1995

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Indice

Il periodo preromanico (dal VII all’XI secolo) 4Il problema della pittura e della miniatura nell’arte ispanica dell’epoca visigota 5I nuclei cristiani del nord: Asturie. IX secolo 7I nuclei cristiani nel X secolo e agli inizi dell’XI 9Il regno di León, La Rioja e l’erroneamente definita miniatura «mozarabica». 10Al-Andalus: la miniatura mozarabica. 20La Marca Ispanica. 21

L’ambiente romanico (dal XII secolo all’inizio del XIII) 23

La grande pittura romanica (ca. 1075-1175) 27Il problema del Duecento e i suoi antecedenti 49

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Il periodo preromanico (dal VII all’XI secolo)

Il definitivo declino dell’impero romano nella peni-sola iberica, a cui subentrò il regno visigoto, in specialmodo a partire da Leovigildo, non significò la perditadell’eredità classica, sia nelle lettere che nelle arti. L’e-sistenza di un gran numero di ispanoromani imbevutidella vecchia cultura cristianizzata e detentori di unforte potere negli organi di gestione della Chiesa e nellaconservazione dell’antico patrimonio plastico, almenoparziale, permise una certa continuità, in parte mutata,in parte degradata, con tale passato. Per quanto con-cerne la pittura o l’illustrazione di libri, sono da mette-re in evidenza due posizioni contrapposte, pari a quelleassunte dal cristianesimo a partire dai primi tempi dellasua diffusione a livello internazionale. Da una parte, unavisione rigorista, sostenuta da una minoranza di gruppielitari, che considerava l’immagine come qualcosa dipernicioso, prossimo all’idolatria. Dall’altra, l’ampiogruppo che non solo non vedeva alcun ostacolo alla suautilizzazione, bensí la riteneva utile e conveniente. Sisuppone pertanto l’esistenza di un’arte figurativa dirilievo nel VI e nel VII secolo.

Un accadimento noto e di straordinaria importanzapose fine a questa situazione: l’invasione musulmana. Apartire dal 711, e in breve tempo, tutto cadde sotto ilnuovo dominio. La reazione cristiana ebbe inizio alnord, con la creazione di piccoli nuclei che avrebberopoco a poco acquisito lo status di regni. Da questo

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momento fino alla fine del medioevo, la penisola saràdivisa in due parti, con la parte cristiana in progressivaespansione a scapito di quella islamica, senza che que-sto supponesse una guerra aperta e continua, con il con-seguente isolamento a cui avrebbe dato luogo.

Pertanto, la storia dell’arte ispanica, e quella della suapittura, avrebbe risentito di tale situazione. Se ci atte-niamo alla produzione cristiana, è necessario ricordareche proverrà unicamente dai territori che non sonoassoggettati all’Islam. E ciò, prima dell’epoca romanica,significa che ci riferiamo soltanto alla stretta fascia set-tentrionale della penisola, con le limitazioni che ne con-seguono.

Il problema della pittura e della miniatura nell’arte ispa-nica dell’epoca visigota

Superata da tempo l’idea di un’arte visigota, la realtàsi presenta con una maggioranza colta ispanoromana,alleata dei visigoti al governo, principale responsabile siadi un rinascimento culturale letterario (sant’Isidoro daSiviglia, san Leandro, sant’Ildefonso ecc.), sia dell’ese-cuzione di vari progetti edilizi all’interno della tradi-zione della tarda antichità. È pertanto appropriato par-lare di arte ispanica e ispanoromana di epoca visigota(Palol).

Una questione piú concreta è quella della presenza diimmagini e dipinti negli edifici sacri. Sulla base di uncanone del discusso Concilio di Elvira tenutosi all’ini-zio del IV secolo (XXXVI: Placuit picturas in ecclesia essenon debere), si è affermato che l’arte altomedievale ispa-nica era chiaramente aniconica (Gómez Moreno). Taletendenza non è messa in discussione da vari autori rigo-risti, in special modo quelli provenienti da ambientimonastici, ma ciò non coinvolge tutta l’arte in genera-

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le. Si rintraccia almeno la presenza di un tipo di rilievofigurativo nelle poche chiese tuttora conservate (SanPedro de la Nave).

A partire da questi elementi, si è cosí dimostrata lapossibilità che esistessero manoscritti ornati di pitture(Schlunk), in particolare delle Bibbie.

Un’attenta analisi dei dati a nostra disposizione per-mette di spingerci oltre. I canoni conciliari arrivaronoad avere un enorme peso nell’ambito della Chiesa ispa-nica, sia nell’ultimo secolo della dominazione visigotasia, in special modo, a partire dall’inizio della riconqui-sta cristiana, quando l’isolamento rispetto all’Europafece della collezione qualcosa di prezioso e unico nel-l’ordine del governo ecclesiastico. Esistono diverse reda-zioni (Martínez Díez), di cui due furono illustrate. Èquasi certo che almeno la redazione cosiddetta giulianafosse abbondantemente miniata al momento della suapubblicazione (verso il 700) (Yarza). Ne resta traccianelle elaboratissime copie note come Emilianense eAlbeldense, del X secolo. Anche intorno a sant’Isidorosi può rintracciare l’esistenza di un’arte figurativa. Conschemi che includevano varie figure, secondo quantoindica lo stesso testo che utilizza la parola «pictura», siapprontò il De natura rerum che avrebbe avuto un’am-pia diffusione nell’alto medioevo. Probabilmente, anchela sua stessa biblioteca venne ornata con ritratti di per-sonaggi famosi.

In definitiva, è provata l’esistenza di una pittura diepoca visigota, che include soprattutto libri miniati qualiBibbie, collezioni canoniche, opere di vari autori con-temporanei ecc. Ma che cosa rimane di tutto quel patri-monio? Per un certo tempo si è creduto che il famosoPentateuco di Tours o Pentateuco Ashburham (Parigi,Bibliothèque Nationale) provenisse dalla Spagna visigo-ta, specialmente data la similitudine tra l’illustrazionedel diluvio qui contenuta e l’arca di Noè dei Beati. Oggi

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nessuno dubita che quello non era il suo luogo di origi-ne, che sarebbe forse da ricercare in una tradizione nor-dafricana praticamente scomparsa. Invece, disponiamounicamente dell’eccellente Libro di Orazioni di Verona(Verona, Biblioteca Capitolare), realizzato verso il 700,che presenta un disegno a penna molto semplice raffi-gurante la rosa dei venti.

Quali erano le forme adottate da questa miniaturascomparsa? A giudicare dall’Orazione è plausibile cre-dere che fosse indebitata con il mondo antico. D’altrocanto, lo sviluppo raggiunto dall’illustrazione del libronella Gallia merovingia nell’VIII secolo, prima di Car-lomagno, ritengo sia da collegare alla dissoluzione delregno goto in Spagna e alla dispersione delle varie popo-lazioni. Certi motivi ornamentali, che in seguito rina-scono nel X secolo leonese, avrebbero potuto proveni-re dalla tradizione ispanica di epoca visigota. Si trattaunicamente di ipotesi, in riferimento a una realtà chedovette essere piú ricca di quanto ci è dato supporredalle scarse tracce che si è lasciata dietro.

I nuclei cristiani del nord: Asturie. IX secolo

Il primo fulcro cristiano organizzato, dopo la ricon-quista islamica, fu quello asturiano. È alla fine dell’VIIIsecolo e soprattutto durante il IX che si costituisce inregno, considerandosi erede legittimo del vecchio statovisigoto. Oviedo, la capitale, è la nuova Toledo. Alfon-so II e i suoi consiglieri ne sono gli ideatori. I mezzi eco-nomici devono scarseggiare, ma l’importanza che si dàalle arti determina una politica edilizia di ampio respi-ro, sempre fomentata dalla monarchia. Molti degli edi-fici costruiti a quel tempo si conservano tuttora. Hannotuttavia perso il loro apparato pittorico.

È comunque facile sapere come era una parte di que-

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sti dipinti attraverso la chiesa di San Julián o Santulla-no de los Prados, nei pressi di Oviedo. Sia un vecchiostudio e una ricostruzione ipotetica dei dipinti murali(Schlunk e Magín Berenguer), sia un recente restauro,che ha portato alla luce importanti aree dal colore piúintenso di quello visibile fino ad allora, permettono diammirare un magnifico insieme, essenzialmente privo diicone, simbolico, dove sorprende l’eredità della tardaantichità. È probabilmente da ascriversi all’intenzionedi Alfonso II nella sua ricercata dimensione di monacopiú che di re (Bango). È un’arte che non deve nulla all’u-niverso carolingio, sebbene abbia in comune con esso l’i-dea di renovatio dell’antichità cristiana.

L’assenza di iconicità si ritrova già verso la fine delIX secolo nella chiesa reale di Salvador de Valdediós,eretta da Alfonso III, dove negli absidi della testatasono conservati importanti resti di affreschi in cui siripetono varie croci in stretta relazione con l’arte del-l’oreficeria, segni sia cristiani, in generale, sia emble-matici del piccolo regno.

Pur tuttavia, si può supporre l’esistenza di un’artefigurativa. Purtroppo non si vedono che poche tracce divari personaggi a San Miguel de Lillo. La presenza diuna falsa aureola che avvolge il capo di uno di questirichiama l’illustrazione di un Commento all’Apocalisse diBeato di Liébana. La tal cosa ci conduce al terreno dellibro illustrato.

In senso stretto, rimane solo un codice che si possafar risalire con una certa sicurezza al IX secolo: la Bib-bia di Cava dei Tirreni (Ms. 1). Risponde alle condizionianiconiche sopra citate. È accompagnato da motivi orna-mentali tra i quali emergono piccoli uccelli stilizzati (f.24) o pesci, tipici dello stile merovingio, ma ha radici piúantiche da ricercarsi presumibilmente nella scomparsaminiatura di epoca visigota. Altre pagine sono tinte diblu, vi compaiono alcune croci dal tratto elementare e

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un bell’insieme di ordini di archi dal carattere classici-sta. È tutto squisitamente accurato, all’interno dell’e-strema sobrietà che comporta la mancanza di immagini.

Si ritiene che, parallelamente a questa corrente, esi-stesse un altro tipo di illustrazione. Nell’VIII secolo,Beato di Liébana, impegnato nella controversia adozia-na con Elipando da Toledo, compone, sulla base dinumerosi testi che parlano dell’esistenza di un’interes-sante biblioteca nelle Asturie, un Commento all’Apoca-lisse che avrebbe avuto una vita piú lunga e piú intensadi quanto si sarebbe supposto, data la sua scarsa origi-nalità. Sebbene siamo certi che si illustrava già alla finedel IX secolo, è molto probabile che lo si facesse a par-tire dalla sua creazione. Forse questo significava chenel regno esisteva anche un altro commento miniatoall’Apocalisse che dovette servire da modello. Benchéqualsiasi ipotesi sia piuttosto azzardata, non è avventa-to affermare che lo stile sarebbe stato chiaramente anti-naturalista.

I nuclei cristiani nel X secolo e agli inizi dell’XI

L’ampliamento del territorio asturiano a scapito del-l’Islam, compiuto da vari sovrani, in particolare daAlfonso III, porterà al consolidamento di una nuovafrontiera sulla linea del Duero. Le Asturie, che aveva-no tratto beneficio dall’isolamento all’inizio della resi-stenza contro i musulmani, videro come questo divenisseora uno svantaggio. La capitale venne trasferita a León.In Galizia si cominciò a parlare del sepolcro dell’apo-stolo Giacomo.

Tra gli ulteriori nuclei di resistenza (Navarra, Ara-gona e Marca Ispanica), il piú interessante è quello rap-presentato dalla futura Catalogna. Carlomagno avevamandato il figlio Luigi il Pio a creare una nuova Marca

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di confine, oltre i Pirenei. Il risultato è la cosiddettaMarca Ispanica, che costituisce quel che in seguitovenne chiamata Catalogna Vecchia, con una parte delRossiglione (oggi francese).

Ma nel X secolo gli storici parlano anche dei moza-rabici, vale a dire dei cristiani che rimasero nei territo-ri musulmani senza rinunciare alla loro religione e pra-ticandone il culto. Allorché si consolidò la frontiera delDuero divenne necessario ripopolare vasti territori. Tracoloro che contribuirono al ripopolamento vi furononumerosi mozarabici, a cui si è attribuita un’importan-za in campo artistico che in realtà non ebbero.

Il regno di León, La Rioja e l’erroneamente definitaminiatura «mozarabica».

Uno dei capitoli dell’arte spagnola che ha maggior-mente attirato l’attenzione degli studiosi internaziona-li è quello della miniatura prodotta nel regno di León nelX secolo e agli inizi dell’XI, talora per il suo caratterespecifico, diverso dal resto dell’Europa contemporanea,e per una presunta componente orientale che contri-buisce a tale specificità. Sebbene i ricercatori piú anti-chi (Neuss) non parlassero di «mozarabismo», si comin-ciò a usare questo termine a partire dall’importante librodi Gómez Moreno sulle Iglesias mozárabes (1919). Difatto, non è mai stato dimostrato che questo gruppo dimanoscritti fosse opera di mozarabici che ricorrevano aforme di origine islamica.

Quel che colpisce nel libro illustrato sono la ricchez-za e l’abbondanza, oltre alla particolare qualità, in rap-porto ai pochi mezzi di cui si disponeva e in contrastocon la scarsità di testimonianze dipinte di maggioridimensioni. Praticamente, quel che rimane della pittu-ra murale è solo un frammento danneggiato nella testa-

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ta della chiesa di Wamba (Valladolid). Si tratta di un ele-mento puramente decorativo, dal repertorio animalemolto comune. Esiste, invece, un’ampia produzionemonastica di manoscritti.

Pare necessario illustrare ora una nuova situazione.L’estensione del regno non permette, come in prece-denza, un controllo cosí stretto di tutta la politica edi-lizia. La creazione di numerosi monasteri indipendentiobbliga la costituzione di un importante fondo di mano-scritti liturgici. Si comincia, tuttavia, a miniarne in granquantità, trasformandoli in prodotti di lusso. Si distin-guono in questo le Bibbie, i Commenti all’Apocalisse diBeato (noti, per comodità, come Beati), la CollezioneCanonica Ispanica e, meno di frequente, antifonari, sal-teri e qualche altro libro di uso liturgico obbligatorio.

Eccezionalmente miniaturisti e amanuensi hannolasciato una traccia del nome, tipo di lavoro, luogo di pro-venienza, data ecc., cosicché li conosciamo meglio diquelli di epoca romanica. Si può affermare, a conse-guenza di ciò, che un amanuense poteva anche essere illu-stratore (Florencio), sebbene il suo lavoro in altre occa-sioni fosse diverso. Generalmente appartenevano allacomunità monastica in cui veniva copiato il manoscrit-to, quantunque la fama di alcuni (Magio) li obbligasse atrasferirsi per compiere vari lavori. Sebbene abbiamouna conoscenza piú limitata di quanto vorremmo deinomi degli scriptoria organizzati, possiamo citare i piúimportanti. Nel León si dovevano copiare manoscrittinella capitale stessa, nonché nell’interessante monasterodi San Miguel de Escalada. Piú a sud vi era Távara. Inambito castigliano, lo scomparso Valeránica era il luogoin cui lavorò Florencio, ma si distinguono inoltre SanPedro de Cardeña e Valcavado. Anche nella navarra LaRioja si collocano vari centri importantissimi, quali Náje-ra, benché la miniatura pare piú interessante ad Albeldae a San Millán de la Cogolla.

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Esiste una prima fase scarsamente conosciuta, le cuiorigini rimangono oscure, che incomincia poco prima del900 e si estende fino agli anni Trenta o Quaranta del Xsecolo. La piú brillante e creativa, quella che sintetizzaforme proprie a partire da modelli diversi, ha inizio conil lavoro di Magio nel León e di Florencio in Castiglia.La loro opera continua a detenere grande importanza finquasi alla fine del secolo, quando ai grandi centri crea-tori si vengono ad aggiungere Albelda e San Miguel dela Cogolla. Poco prima o intorno all’anno mille soprag-giunge una crisi, forse non estranea alle continue cam-pagne predatorie di al-Mansur, il caudillo cordovano.Pare intravedersi peraltro una certa stanchezza e un’in-capacità di rinnovamento. Siamo nuovamente di frontea un’epoca buia. Il primo segnale di rinascita lo trovia-mo nello splendido Beato di Fernando I (Madrid, Biblio-teca Nacional), ma è allora alle porte il cambiamentoromanico.

Nella prima fase, il linguaggio è (e continuerà a esse-re) profondamente antinaturalista. Gli artisti disegnanole figure con linee, per poi frammentarle in modo deltutto capriccioso, come se si trattasse di uno smalto,riempiendo ogni superficie di colori piani e cangianti. Ilrisultato è di difficile lettura. Esiste un eccellente codi-ce, di cui si ignora la provenienza, conservato a Madrid(Biblioteca Nacional) con la Collezione Canonica, sullalinea della terza versione di questa, in cui si osservanoscomposti personaggi riprodotti in tal modo. Di maggioreinteresse è la Bibbia di Juan e Vimara (Cattedrale di León,920). Pare che Juan sia l’amanuense e il miniaturistaprincipale. Lavorò per l’abate di un monastero leonesedi Santa María y San Martín, sconosciuto. Non esisteuna vera e propria illustrazione biblica. Vi sono quattrofogli dedicati a ogni evangelista, un gruppo di scene dalNuovo Testamento e qualcun’altra con motivi animali edecorativi. San Luca (f. 211), ad esempio, è un perso-

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naggio composto nel suddetto modo. Al di sopra della suatesta si scorge, peraltro, qualcosa di difficile compren-sione immediata, che risulta essere il toro simbolico. Iltutto è contenuto in un circolo con quattro secanti mino-ri, in cui si intuisce un sistema decorativo simile a quel-lo, già menzionato, della Bibbia di Cava dei Tirreni, cheinclude i pesci di ridotte dimensioni.

In questo periodo si illustravano varie copie di Beati.Il frammento che si presume piú antico (fine del IX seco-lo) si trova a Silos, sebbene si ritiene che provenga da LaRioja. Piuttosto rozzo, a mio giudizio, è indicativo del-l’incapacità del suo illustratore. Di maggiore importan-za sono il Beato conservato presso la Biblioteca Nacionaldi Madrid (Vit. 14.1) e quello piú tardo dell’Escorial,forse sempre proveniente da La Rioja. Il primo appar-tiene a uno stadio piú antico dell’illustrazione.

Con la comparsa di Florencio e Magio, e forse diqualche altro rinomato illustratore, il panorama cambia.È l’epoca piú creativa e sincretica. In questo momentola maggior parte dei monasteri fondati, costruiti o rico-struiti in vista dell’opera di ripopolamento, è termina-ta. Si ha l’impressione che per motivi non ben esplicitisi venga a conoscenza di opere di diversa provenienza.È il momento in cui si rinviene un maggior numero dielementi islamici nella miniatura (Werckmeister). Siriscontra parimenti la presenza di diversi tratti di origi-ne carolingia, sia per quanto riguarda le composizioniiconografiche (Williams), che i motivi ornamentali, neiquali viene ripresa la complessa trama di intrecci e didisegni geometrici dell’arte delle isole britanniche,mediata soprattutto dalla produzione franco-carolingiainsulare (Guilmain). È peraltro probabile che certe cre-denze riguardo i castighi infernali, cosí vive nel mondoislamico e in quel momento poco sentite nei testi cri-stiani, si ispirino proprio a quel gusto al momento di darvita alla figura demoniaca e di disegnare complessi infer-

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ni (Yarza). D’altro canto, è stato dimostrato che i gran-di cicli biblici e quelli piú specifici sull’Apocalisse rispon-dono a una tradizione diversa da quella del resto del-l’Europa occidentale, la cui origine è comunque daricercarsi nella tarda antichità. In definitiva, la minia-tura di quel tempo è il sincretico risultato dell’incontrodi correnti molto distinte. Pertanto definire «mozara-bici» tali risultati significa concedere un ruolo di pro-tagonismo o di unicità a quello che è solo uno dei suoielementi costitutivi. Il linguaggio che ne deriva conti-nua a essere profondamente antinaturalista, astratto, dicolore intenso, un po’ rozzo anche se non privo di ricer-catezza, pieno di caratteri figurativi convenzionali edel tutto originale.

Si suppone che Magio fosse un religioso del mona-stero di San Miguel de Escalada, dove copiò il cosid-detto Beato Morgan (New York, J. P. Morgan Library,Ms. 644), in data incerta, nonostante giungesse a for-nirla in alcune frasi di difficile interpretazione. Nel 968morì nel monastero di Távara, dove si era recato per rea-lizzare una nuova copia di Beato, che probabilmenteterminò Emeterio. Gli apprezzamenti che gli venivanoallora manifestati («arcipittore»), uniti al fatto chedovesse trasferirsi dal suo luogo abituale di residenza percompiere una nuova opera, sono segnali che rivelano l’al-ta stima di cui godeva. Ritroviamo la sua mano nel Beatodi Escalada o Morgan. Viene qui adottata l’iconografiapiú complessa che da questo momento manifestano que-sti manoscritti, aggiungendovi il Commento di san Giro-lamo a Daniele. Il f. 87 illustra una delle sue composi-zioni piú caratteristiche, ripresa continuamente negliesemplari successivi. Vi si accenna l’idea di un’originea cupola in cui, alla base della cupola, poggiano gli esse-ri tetramorfi e i ventiquattro anziani, qui ridotti a dodi-ci, mentre la zona superiore sarebbe occupata dall’A-gnello Mistico recante il libro dei sette sigilli (Apoc. V,

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6-8). Quattro serafini e cherubini negli angoli suggeri-scono la loro collocazione nelle trombe o pennacchi ditale cupola immaginaria. Le figure sono state sottopo-ste a un processo di semplificazione rispetto a quelle chele avevano immediatamente precedute. Esiste un equi-librio compositivo che prima mancava. Volti sempreuguali, levigati, dagli occhi dipinti con la pupilla biancae lo sguardo intensamente fisso, mentre al di sopra delleteste si ripete quel falso nimbo, comune sia a personag-gi positivi sia negativi.

È da supporre che Emeterio fosse stato allievo diMagio. È lui a firmare il colofone del frammentato eincerto Beato di Távara, nel 968. Esiste il dubbio che citroviamo di fronte a due manoscritti diversi, con i loroscarsi frammenti rilegati insieme. In ogni caso, le pocheminiature che si sono conservate, oltre alla piú famosa,quella con la torre del monastero (f. 167v), sono sullalinea dell’artista di Escalada.

Non sappiamo in quale monastero venne eseguita lacopia piú preziosa e, in certa misura, piú interessante fratutti i Beati dell’altomedioevo, quello cosiddetto diGerona in quanto conservato nella cattedrale di questacittà dal 1078, anno in cui venne donato da un maestrodi cappella chiamato Juan. Un abate di nome Domingone fu il responsabile. L’amanuense Senior, collaborato-re di Emeterio e di Magio, lo copiò. En, pittrice, edEmeterio, religioso, lo miniarono, terminando il lavoronel 975. Lo stile delle miniature comprova che siamo difronte a qualcosa che richiama lo stile di Magio, sebbe-ne diverso e, spesso, di qualità ben piú elevata rispettoal modello. Un’altra strana indicazione su un conte sco-nosciuto permette di dimostrare che l’opera fu elabora-ta in un centro leonese (in ogni caso castigliano), comun-que nell’orbita di León-Escalada-Távara. La grandenovità e rappresentata dalla presenza di una depintrix(pittrice), senza che si sappiano altre notizie su di lei. A

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quel tempo, i miniaturisti e gli amanuensi sono semprechierici, cosí come viene indicato nei testi. Chi era En?Si è detto, e pare la supposizione piú sensata, che fosseuna monaca appartenente a qualche cenobio sconosciu-to. Quantunque non esista un dato simile in Spagna,siamo a conoscenza di casi, in altri luoghi, di monacheminiaturiste. L’unica cosa che stupisce è che i rimanen-ti protagonisti vengono designati come sacerdoti e abati,mentre En è nominata solo come pittrice.

Ipotizzata l’esistenza di due miniaturisti, si rilevanoelementi comuni tra loro, entrambi eredi di Magio, seb-bene si percepisca una cura maggiore in certe parti del-l’opera. Il Beato si arricchisce di un primo gruppo di foglidedicati alla vita di Gesú , inesistente in qualsiasi altroesemplare anteriore e ripreso solo nel Beato di Torino,sua copia romanica. È importante sottolineare il suointeresse iconografico (Yarza, Nordström). È una delleopere in cui sono particolarmente evidenti suggestioniislamiche. Tra queste si annovera la splendida miniatu-ra iniziale della grande meretrice di Babilonia (f. 63),originale rispetto ad altri esemplari, dove la donna caval-ca la bestia vermiglia e solleva il calice dirigendosi versoun gigantesco albero. Sebbene il tipo femminile sia diascendenza classica, la sua posa e la presenza dell’albe-ro derivano dalle coppie di cavalieri di tradizione sasa-nide, parti compositive della decorazione delle cassemusulmane di avorio, che stanno uno di fronte all’altrodavanti a un albero dall’ampia chioma che si erige comeasse di simmetria.

È costante nei manoscritti il riferimento ai messaggidelle sette chiese d’Asia, tuttavia mai rappresentatecome qui, con una costruzione d’ampio respiro (f. 89v),probabilmente desunta da un modello, ma con i diversipiani che si sovrappongono in modo da rendere diffici-le la lettura, il che non impedisce di notarne la slancia-ta eleganza. Nella zona specificamente apocalittica, la

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tematica è comune ad altri membri della famiglia dimanoscritti alla quale appartiene (f. 176v). Gli artistigiungono a produrre effetti impensati nella zona diDaniel. Il prototipo utilizzato da Magio e dai suoi con-temporanei è diverso da quello che servi per l’Apocalis-se, essendo le sue miniature in generale esteticamentemeno interessanti. Pur tuttavia, nel Beato di Gerona siottengono talvolta splendidi effetti, quale la visione teo-fanica in presenza delle quattro bestie (ff. 258v-259),composizione che occupa un foglio doppio.

Nella produzione leonese esistono codici meno inte-ressanti dal punto di vista dell’illustrazione, seppureimportanti per quanto riguarda il contenuto. È questoil caso dell’Antifonario della cattedrale di León, che con-tiene un tesoro musicale purtroppo indecifrabile, corre-dato da numerose miniature di piccole dimensioni, inbuona parte proprie di un passionario (Yarza) e altreprive di riferimenti noti, come quella dell’unzione di unre (f. 271v).

Florencio è, tra gli amanuensi e i pittori, il piú docu-mentato. Lo si trova presso il monastero castigliano diValeránica nel 937. Realizza poi una Bibbia illustrata.Copia uno Smaragdo tuttora conservato (Cattedrale diCordova). Nel 945 realizza una delle sue opere piúemblematiche, i Discorsi di Giobbe (Madrid, BibliotecaNacional, Cod. 80), in cui compone un’eccellente Mae-stà (f. 2), prova della sua arte prima che giungesse aconoscere, non sappiamo bene come, alcune opere caro-linge (Williams). In questo codice lascia un’ulterioretestimonianza di sé in un labirinto che occupa un fogliointero, in cui si può leggere piú volte: «Florentius indi-gnum memorare», facendo ricorso a questo topos di falsaumiltà attraverso il quale dimostra quanto fosse soddi-sfatto del suo lavoro.

A Valeránica porta a termine, nel 960, con l’aiutodell’allievo Sancho, la grande Bibbia conservata a San

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Isidoro di León. È miniata con una profusione che nontrova pari nell’Europa del tempo. Il sistema è uno deipiú antichi che si conoscano: l’illustrazione figura senzaincorniciatura nel testo stesso, rendendo esplicito il suomessaggio e aiutando con l’arte la memoria in modo dafissare i contenuti con piú facilità nella mente del letto-re. Vi sono miniature che si distaccano dalla norma,come le visioni del tabernacolo del tempio. Il codice sichiude, come molti altri, con una grande omega, comese iniziasse con un’alfa. Tuttavia gli artisti utilizzano l’i-dea come un pretesto per disegnare due ritratti di ognu-no, sopra e sotto la lettera. Sollevano un calice e pale-sano la loro identità in iscrizioni nelle quali si congra-tulano per avere concluso il lavoro e in cui Sancho rico-nosce a Florencio l’ufficio di maestro. Vi è probabil-mente un intento sacro nel gesto (f. 514).

Florencio visse almeno fino al 978. La sua eredità nonè cosí chiara come quella di Magio. In terra castiglianavi furono monasteri con scriptorium, quali Oña, SanPedro de Cardeña, Silos ecc., ma non produssero alcu-na opera di rilievo nel campo della miniatura paragona-bile a quelle viste. Ciononostante, a Valcavado, nel 970,viene miniato un altro Beato, da Oveco (Valladolid,Biblioteca Universitaria). Rispetto all’abbondanza illu-strativa propria di tali libri è, tuttavia, di qualità moltoinferiore, pur tentando di riscattare le deficienze con uncerto espressionismo e con il ricorso a colori piú aggres-sivi del normale (f. 131).

La Rioja è una zona che fece parte per qualche tempodel regno di Navarra, passando in seguito sotto il regnodi León e di Castiglia. In questo periodo è essenzial-mente di Navarra. In varie aree montagnose del sud siera sviluppata un’importante vita eremitica, che avevadato luogo in seguito alla creazione di monasteri. Albel-da è uno di questi. Qui, un certo Vigila realizza un’ec-cezionale copia dell’antica Collezione Canonica Ispana,

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già citata in precedenza. La illustra nel 976 con nume-rose miniature che includono rappresentazioni dei con-cili a cui si allude nel testo. È stato detto che la gesta-zione del modello originale avvenisse intorno al 700,durante il regno visigoto, ma quando fu preso in manoda Vigila aveva subito certe trasformazioni, per poi esse-re di nuovo modificato da questi. Il suo stile si collocasulla linea generale vista in precedenza, ma la correttezzae l’eleganza compositiva delle sue miniature arrivaronoa essere considerate, senza alcuna ragione, estranee allamentalità ispanica. Appartiene alla vecchia tradizione larappresentazione di Toledo all’inizio di tutti i suoi con-cili (f. 142). È qualcosa che non ha uguali nelle frequentirappresentazioni conciliari anteriori o contemporanee(Silva), sebbene dovesse essere creata intorno al 700.Nuovo è l’insieme di ritratti (f. 428) incorniciati in unrettangolo: vi compaiono Chindasvinto, Recesvinto edEgica, i re visigoti e anche Sancho II Abarca, il re navar-ro che governa a quel tempo, accompagnato da Urracae Ramiro. Infine, il «ritratto dell’autore», incentrato suVigila, affiancato da Sarracino e García. Non ci è giun-ta nessun’altra opera di Vigila.

Verso la fine del secolo si avverte una certa stan-chezza nei centri di produzione. Il Beato della Seo diUrgel ne è una prova, sebbene non sappiamo dove fosserealizzato. L’Antifonario di León, già citato, viene rea-lizzato in questo periodo. L’unico scriptorium impor-tante pare essere quello di un altro monastero di LaRioja: San Millán de la Cogolla.

Nel 994 vi si produce una nuova copia della Colle-zione Canonica. L’amanuense Belasco utilizza un model-lo in cui compaiono miniature sconosciute di Vigila(Escorial, Códice Emilianense). In tal modo ci troviamodi fronte un’eccezionale visione di Siviglia (f 205v) chenon compare nell’Albeldense, mentre si ripete il gruppodi ritratti, con l’unica sostituzione degli autori nella

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zona inferiore. Lo stile è piú astratto e forse piú espres-sivo di quello di Vigila. Sia nell’opera di questi sia inaltri manoscritti contemporanei si erano imposte le gran-di iniziali dal tracciato complesso e dalla precisionematematica, di provenienza insulare. Poco dopo pare siiniziasse un Beato il cui testo venne completamentecopiato, ma si miniò, solo in parte.

È probabile che la razzia di al-Mansur avvenuta agliinizi dell’XI secolo, responsabile della distruzione delmonastero, fosse una delle cause per cui non venne ter-minato a quel tempo. Non è di grande qualità, ma alcu-ne delle illustrazioni sono superbe, come quella dell’A-dorazione dell’Agnello (lo stesso motivo che appare nelBeato di Magio), dove le ali del tetramorfo si spieganoin maniera tale da produrre otticamente un movimentocircolare di forte intensità (Madrid, Academia de laHistoria, Cod. Aem. 33, f. 92).

Al-Andalus: la miniatura mozarabica.

Notevole è il contrasto tra la miniatura del nord equella realizzata dai mozarabici residenti in territorioislamico. È naturale che siano andate perse parecchieopere, ma quelle che si sono conservate danno un’ideamolto particolare di tale dato. Innanzitutto, la BibliaHispalense (Madrid, Biblioteca Nacional, Vit. 13.1), ilpiú mirabile di tutti i codici conservati, possiede carat-teristiche contrapposte. Se ci soffermiamo sul canoni (f.278), è evidente il contrasto tra un classicismo mai vistoal nord, come nelle figure dei tetramorfi, e un influssoislamico negli elementi ornamentali dei capitelli. Si rea-lizzò presumibilmente verso il 900 e nel 988 si aggiun-sero a Siviglia tre figure di profeti nelle quali persiste ilcontrasto. Ciò dimostrerebbe che non esiste uno «stilemozarabico», neppure in al-Andalus.

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Un De Virginitate di sant’Ildefonso (Firenze, Biblio-teca Laurenziana, Ashb. 17), che sopravvive nelle comu-nità toledane fino al secolo XI molto inoltrato (1067),appare estremamente arcaicizzante, pur non giustifi-candosi con questo, né con l’altro codice, l’esistenza diuna miniatura mozarabica, tinta di arabismi, che dàimpulso a quella cristiana del nord.

La Marca Ispanica.

Il rafforzamento della Marca Ispanica carolingia tras-se con sé la sua effettiva indipendenza rispetto a unpotere franco in piena decadenza. Nella zona pirenaicasi consolidano vari monasteri (Cuxá, San Martín deCanigó), mentre se ne organizzano anche altri a sud deiPirenei (Ripoll, Roda) o si riorganizzano le sedi episco-pali (Vich, Gerona, Terrassa). È visibile una ripresasoprattutto verso la metà del X secolo. I contatti con laFrancia non cessano, ma aumentano quelli con Roma econ l’Italia del nord. Gli attacchi di al-Mansur ne para-lizzarono per qualche tempo il consolidarsi, che comun-que si ripristinò in seguito alla morte del figlio, ormainel primo decennio del X secolo.

Gli edifici del tempo si sono conservati piú o menorestaurati, ma sono scomparsi i dipinti che li decorava-no, salvo rare eccezioni, fra cui le chiese di Terrassa,antica sede episcopale, ora rinnovata. In special modo aSan Miguel e Santa María si possono scorgere, oltre-modo sbiadite, diverse figure, realizzate forse dopo l’an-no Mille, dove è chiaro che ci troviamo di fronte a unmondo completamente diverso da quello di La Rioja eLeón. Quella che ci si presenta è la tradizione classica,vista attraverso la renovatio carolingia.

Al contempo, in altre zone, si assisteva a un’arte piúcupa, elementare, come negli affreschi immediatamen-

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te anteriori della chiesa di San Quirce di Pedret (Solso-na, Museo Arqueológico Diocesano). Troviamo un lin-guaggio ornamentale altomedievale, unito a una figura-zione semplice, fin quasi popolare. Entrambe questetradizioni, quella classicista (sempre piú degradata) equella astratta pressoché popolare, continueranno nellaMarca fino all’ultimo terzo dell’XI secolo.

Si distinguono in maggior misura gli scriptoria orga-nizzati, almeno quelli del monastero di Ripoll e, forse,quello di San Pedro de Roda, in cui, tra le altre opere,si realizzano due eccellenti Bibbie profusamente illu-strate in un periodo indeterminato tra l’inizio e la metàdell’XI secolo. In entrambe, la lontananza rispetto all’al-tra miniatura è molto evidente, cosí come si discostanodai modelli iconografici aderenti alla linea europea piúcomune. La Bibbia di Ripoll (Biblioteca Vaticana, Lat.5729) è rilegata in un volume e non è completa. Quelladi Roda (Parigi, Bibliothèque Nationale, Lat. 6) ne com-prende vari, ed è evidente la differenza delle sue minia-ture, parte delle quali si collegano già con opere di perio-di vicini al 1100. Nel frattempo, nel regno di León, Fer-dinando I incarnava il cambiamento e l’apertura versol’Europa. Siamo agli inizi di quella che sarà la rinunciaalla liturgia ispanica e l’adozione di quella romana.Anche la miniatura si fa portavoce della nuova situa-zione. Il Beato commissionato a León nel 1047 per Fer-dinando e la sua sposa Sancha ne è la prova piú tangi-bile. Ciononostante, come accadrà per tutto il medioe-vo, continua a sussistere un’accentuata differenza nel-l’arte dei diversi regni e delle contee indipendenti.

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L’ambiente romanico (dal XII secolo all’iniziodel XIII)

Le particolari circostanze che caratterizzavano lasituazione dei regni ispanici determinarono un ingressorelativamente rapido della pittura che definiamo roma-nica, sebbene mantenga rapporti molto stretti, in spe-cial modo nell’Italia del nord, con la tradizione imme-diatamente anteriore. La particolarità del linguaggio pla-stico che definiamo altomedievale era necessariamentelegata all’isolamento rispetto all’Europa occidentale eall’esistenza di una liturgia propria, che potenziava ulte-riormente tale stato di cose. E la Marca Ispanica, la futu-ra Catalogna, quella che importa prima e in manieradefinitiva gli artisti che introdurranno le novità. Ciò sispiega con i rapporti piú continuativi con la Francia el’Italia e lo speciale suggellarsi di relazioni con la Lom-bardia e i suoi dintorni, che contribuirà al tempestivoarrivo del primo romanico. La pittura lo farà parecchiotempo dopo, quando saranno portate a buon terminenumerose costruzioni. Attecchirà con forza, in modotale da riempire di affreschi i muri di un gran numerodi chiese in pochi anni. Pur tuttavia, la moltitudine diopere conservate non deve far dimenticare che certi giu-dizi sono alquanto affrettati se si basano su dati parzia-li non sempre affidabili. Pertanto, tale abbondanza cata-lana era in contrasto con la scarsità di dipinti del vicinoregno di Aragona. Qui, continui e importanti ritrova-

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menti, avvenuti in special modo negli anni Sessanta,sono giunti a esautorare quella teoria che giustificava lamancanza di dipinti come conseguenza dell’importanzadella scuola di scultura. In altre zone, come il León, sus-siste tale scarsità, ma la straordinaria qualità degli affre-schi del Pantheon di San Isidoro a León non è da con-siderarsi qualcosa di eccezionale, bensí i resti di unascuola molto piú feconda.

Il lungo periodo che va dall’ultimo quarto dell’XIsecolo fino ai primi anni del XIII fu testimone dellanuova espansione dei regni cristiani a scapito dell’Islam.Nel XII secolo venne conquistata la nuova Catalogna(Lérida, Tarragona, Tortosa), in gran parte grazie alrafforzamento dovuto all’unione dei conti di Barcello-na e del regno di Aragona. Anche questo regno, in ori-gine di piccole dimensioni, conosce un aumento del ter-ritorio. Nella zona castigliano-leonese si ripropone lastessa situazione, seppure in maniera discontinua, poi-ché successivamente gli almoravidi e gli almogavidi del-l’Africa del nord assumono il controllo di un malconcioal-Andalus, subito dopo lo smembramento del califfatodi Cordova, evitando l’espansione. Ciò significa chel’ambito geografico proprio della pittura romanica,anche se in epoche successive, supera di molto il prece-dente. In linea generale, i vecchi territori sono i princi-pali ricettori della nuova pittura e solo a secolo XII beninoltrato, se non verso il 1200, i nuovi territori, piú omeno consolidati e ripopolati, assumono questo tipo didecorazione.

Conviene tener conto di aspetti in apparenza con-traddittori ma rappresentativi della nuova situazione.Da un lato, il romanico è internazionale e il periodo ècaratterizzato da un’apertura in ogni tipo di rapporti ecomunicazioni, senza precedenti nell’Europa occidentalemedievale. Ciò è piú evidente dato il carattere itinerantedei pittori professionisti. Di conseguenza, l’influsso ita-

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liano in Catalogna è preponderante. Anche l’influssofrancese si fa sentire in Catalogna e in Aragona, persi-no nel León. E non è da sottovalutare l’impronta ingle-se, sia nella pittura (Sijena), sia nella miniatura (Santia-go de Compostela, Burgos, Aragón ecc.). Sebbene vero-similmente i miniaturisti continuino a essere di prefe-renza chierici, si deve parlare di un’arte internazionaleche, nella penisola iberica, è favorita dall’arrivo di reli-giosi, in conseguenza della sostituzione della liturgiaspagnola con quella romana, cosí come dalla vasta operadi ripopolamento che avviene mano a mano che aumen-tano i territori, mentre i musulmani si spostano versosud.

In parte contraddicendo quanto detto, è necessarioricordare che tale permeabilità è piú frequente, ad esem-pio, tra Catalogna e Lombardia che tra la stessa regio-ne ispanica e il León. Esistono dei contatti. Si è parla-to di un ipotetico Maestro de Taüll, dapprima attivonella locale chiesa di Santa María sui Pirenei, e in segui-to nei santuari castigliani di San Baudelio, a Berlanga,e Santa Cruz, a Maderuelo. E, pur non stando esatta-mente cosí le cose, i tre lavori sono in stretta relazione.

E difficile, come in Francia e in Italia, datare con unacerta sicurezza la pittura romanica, dal momento che idati sono scarsissimi. Ciò ha fatto incorrere in errori,come quello di credere che i dipinti del Pantheon diLeón fossero posteriori al 1180, quando in realtà sidovettero realizzare nei primi vent’anni dello stessosecolo. Ciononostante, sempre con ragionevoli dubbi, sipuò parlare di due periodi molto lunghi. Il primo corri-sponderebbe agli anni che vanno dal 1075-90, anni incui arrivano i modelli dall’esterno, fino al 1160-75,quando inizia ad annunciarsi un cambiamento che èstato chiamato arte del Duecento, o si esauriscono inuna degradata inerzia le correnti che erano state vitalifino a quel momento.

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La pittura murale ricopre l’interno delle chiese. Daquel che si è conservato, si può affermare che si inizia-va dipingendo la testata, spesso concludendo l’operaquando si terminavano gli absidi (Santa María e San Cle-mente, a Taüll, Sorpe ecc.), benché non sempre acca-desse questo (Bagüés). Talvolta non si arrivava a deco-rare il resto delle pareti con un ciclo figurativo, crean-dosi in tal modo la falsa impressione che, in buona parte,l’iconografia del romanico ispanico vertesse quasi esclu-sivamente su diverse teofanie. Nei casi in cui tutta l’o-pera venne realizzata in una sola volta (Bagüés) o vennecompletata con un secondo intervento (Santa María deTaüll, Sorpe), è normale riscontrare la presenza di ciclievangelici ed agiografici. La solennità progressivamen-te geometrica, sulla base dei modelli italiani piú vinco-lati alla tradizione antica, produce con frequenza teofa-nie dall’aspetto imponente.

La tematica è piú varia soprattutto in luoghi diversi dal-l’ambito essenziale del tempio, come nel Pantheon dellachiesa di San Isidoro, a León, nella sala capitolare di Sije-na o in quella di Arlanza. Bisogna tener conto dell’im-portanza di programmi con una componente ecclesiologi-ca e con una particolare attenzione nei confronti di Pie-tro come capo della Chiesa, piú frequenti in Catalogna.

Si ritiene che esistesse una pittura peculiare di castel-li e residenze laiche, di cui non rimane pressoché nulla,che fa presupporre l’esistenza di tematiche profane la cuiportata è difficile da ricostruire.

In un primo tempo, come surrogato di opere realiz-zate in metalli preziosi, proliferarono le tavole dipinteposte come paliotto d’altare. In Aragona e in specialmodo in Catalogna se ne conservano tuttora parecchie.La loro forma, tuttavia, non è molto diversa dalla retro-tavola, vale a dire quella tavola che si colloca sopra e die-tro l’altare, origine del futuro retablo. Forse si dovreb-be ritenere piú probabile che si tratti di retrotavole in

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quei casi in cui le retrotavole sono dedicate a santi. Seb-bene la visione teofanica sia normale e frequente,aumenta il numero di tavole dedicate a raccontare, conmaggiore o minore estensione, la vita di santi.

La miniatura ispanica e in questo momento piuttostointeressante, come prima, ma nell’ambito delle genera-li correnti europee. Il numero di scriptoria che eseguonomanoscritti miniati è molto alto, anche se non sempresi è certi dell’attribuzione delle opere. Mentre la pittu-ra catalana, per quanto ci è dato conoscere, si distinguein maggior misura da quella castigliano-leonese, con laminiatura accade il contrario. Quanto al problema circala determinazione dell’autore della miniatura, se realiz-zata da chierici, come in precedenza, o da un professio-nista laico, riteniamo che il primo fosse il caso piú comu-ne, senza che cessino di esistere casi che rientrano nellaseconda ipotesi. Ad ogni modo, si manifestano rappor-ti stilistici tra pittura e miniatura, pur sussistendo le dif-ferenze.

La grande pittura romanica (ca. 1075-1175)

Catalogna. Nonostante i tentativi di ricercare indiziin piccole chiese, come quella del Santo Sepolcro a Olér-dola, al fine di intuire come fosse la pittura romanica inCatalogna, quando in realtà lí si conserva solo un’ecodegradata del classicismo piú vivo a Terrassa, l’ingressodi questa corrente si produce quando un gruppo di arti-sti lombardi, forse milanesi o di formazione milanese,giunge in Catalogna in anno imprecisato, nell’ultimoquarto dell’XI secolo. Come è noto, esistevano vari rap-porti con questa zona fin dagli inizi dello stesso secolo,ma non sappiamo in quali circostanze, né quali personevi fossero dietro, quando inizia a farsi notare la presen-za di questi pittori.

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Per quanto ci è dato conoscere, tutto concorre adimostrare che la prima ricettrice fosse la piccola e appa-rentemente poco importante chiesa di San Quirce aPedret. È difficile da credere, ma la stessa mancanza didati ci obbliga ad andare cauti. Innanzitutto, non solosi devono menzionare due eccellenti artisti, vicini traloro, bensí anche un programma molto complesso in cuiemergono due componenti basilari: la presenza di unampio ciclo apocalittico e l’organizzazione di un altrociclo ecclesiologico, risolto con elementi allegorici o sim-bolici, che indicano la presenza di un mentore di tuttoriguardo. La chiesa era già stata dipinta in precedenza,come si è detto, con opere di difficile attribuzione. Tuttii segni rivelano una cura e un’attenzione costanti pertutta la durata di un secolo o poco meno.

I due pittori appartengono a quella ricchissima tra-dizione presente in Lombardia almeno a partire da SanVincenzo in Galliano, ma che si protrae oltre il 1100.San Pietro in Civate è l’opera la cui somiglianza conPedret è stata piú volte segnalata. Si deve aggiungere,inoltre la piccola chiesa svizzera di Prugisaco, semprenell’orbita lombarda, o gli affreschi della controfaccia-ta di San Martino, a Carugo. In definitiva, sempre lastessa zona. È necessario supporre che gli artisti diPedret fossero lombardi. Bisogna peraltro pensare chefossero due e molto vicini. Uno risentirebbe profonda-mente della tradizione lombarda del tempo, come dimo-strano i cavalieri apocalittici della parete destra dell’ab-side rettangolare centrale. L’altro, autore degli anzianiapocalittici della parete orientale della stessa zona, èmolto simile, ma ha reso piú rigide le linee fluide del suocollega, ha sottomesso i drappeggi a un processo di geo-metrizzazione, tendendo verso una certa astrazione(Yarza). Non c’è un Maestro de Pedret, come volle a suotempo Gudiol, bensí due nella stessa chiesa. E poi unlungo seguito.

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La cappella centrale è conservata a Solsona, sottrat-ta dal suo luogo d’origine, come la quasi totalità deidipinti murali catalani (Museo Diocesano). Nella parteanteriore si trova un’adorazione del trono di Dio daparte degli anziani. Sulla destra si schiera il gruppo deicavalieri con i loro segni distintivi, alcuni mal conservatie altri di eccellente esecuzione, in sella a cavalli di straor-dinaria naturalezza. Dall’altra parte, nuove scene trat-te dallo stesso testo, in particolar modo le anime dei giu-sti al cospetto dell’altare di Dio e l’angelo con l’incen-siere al di sopra dello stesso altare. Nella scelta dellescene vi è una somiglianza con i piú tardi dipinti di Ana-gni (Klein, Yarza), indizio che suggerisce come entram-be obbediscano a uno stesso prototipo, forse italiano. Lacappella è ricoperta da una volta a botte, sulla quale sidistingue appena la Maestà. Nell’arco di trionfo si nota-no resti di un sacrificio di Isacco, un Abramo e un Mel-chisedec, cosí come riferimenti al martirio dei santi Qui-rico e Giulitta. A Barcellona (Museo de Arte de Cata-luña) sono conservate le due cappelle laterali. In una, laParabola delle vergini stolte e delle vergini sagge, pos-siede un doppio carattere, scatologico ed ecclesiologico.Inoltre, una Vergine domina il quarto di sfera celeste, acui si deve aggiungere l’immagine personificata dellaChiesa, che completa cosí questa parte del programma.L’altro abside ha perso quasi interamente la sua deco-razione, ma vi si distingue ancora parte del collegio apo-stolico presieduto da san Pietro (Ainaud), con ciò chequesto suppone.

Gudiol ebbe l’abilità di riunire vari dipinti similisotto il comodo nome di un unico maestro. Continuia-mo ad accettare questa approssimazione, ma riteniamonecessario sostituire il nome di persona con quello di unascuola di origine lombarda, forse con membri catalani diseconda generazione, attiva in diversi luoghi della Cata-logna fino a quasi la metà del XII secolo. Il piú vicino

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sarebbe l’eccellente artista della collegiata di Ager, piúaffine al secondo che al primo pittore, autore del dipin-to murale della cappella, deteriorato a tal punto cherimane soltanto una coppia di santi (Barcellona, Museode Arte de Cataluña). Nulla impedisce di sostenere chefossero stati realizzati alla fine dell’XI secolo. Possie-dono peraltro una mirabile ricchezza cromatica. Vicinoper luogo e tempo è l’abside di Santa María de Aneu(Barcellona, Museo de Arte de Cataluña), solo in parteconservato, imponente nella sua solennità, con unacuriosa teofania della Madonna – Trono in un’Epifania– soggetto frequente nella produzione catalana, nonchéinquietanti figure di serafini con varie paia di ali nellazona dell’esedra, disposti su una superficie in cui figu-rano le ruote di fuoco della visione di Ezechiele e imma-gini di profeti. Se si fosse conservato meglio, saremmoal cospetto di una delle creazioni piú emblematiche dellapittura romanica.

Santa María de Aneu si trova nel contado di Pallars,luogo di grande importanza in questo periodo. Nellostesso territorio si trova il monastero di San Pedro deBurgal, connesso direttamente con i conti. La sua chie-sa, con il controabside, di grande interesse, è in granparte in rovina, ma si sono salvati vari dipinti che dopomolte peripezie sono arrivati al Museo de Arte de Cata-luña. Il quarto di sfera celeste è occupato da una Mae-stà con due profeti, a malapena conservati. Nell’esedrasi trovano varie figure di santi presiedute da un’imma-gine di Maria, accompagnata da Pietro, Paolo, Giovan-ni Battista e Giovanni Evangelista, nonché da altri santinon identificati. Su un lato, a destra, una figura fem-minile regge un cero. Pare che alcuni resti di un’iscri-zione permettano di riconoscervi una «conmitesa», ilche portò Arnaud ad avanzare l’ipotesi che fosse Lucia,vedova del conte di Pallars dal 1081 e vivente almenofino al 1091. Questo indicherebbe una data probabile,

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ma forse si può anche situare dopo la sua morte. Ad ognimodo, è segno che i conti di Pallars furono implicatinella commissione delle opere in data non lontana al1100, pertanto il fatto che si trovino in luoghi appa-rentemente distanti dai centri può trarre in inganno,dato il peso che a quel tempo avevano questi nobili.

D’altra parte, si è prodotta una trasformazione nellinguaggio artistico. Tale processo di geometrizzazionedelle forme, già avviato a Pedret, raggiunge un livellomolto alto nei santi della zona inferiore, senza alcunaperdita di qualità. Vale a dire, esiste una volontà diastrazione che allontana le figure sacre dalla realtà, con-ferendo loro un’aura dell’«altro», del sublime, nel sensodato al termine da R. Otto. Che si tratti di un adatta-mento dei modelli italiani compiuto fin da ora dagliartisti catalani?

Di minore interesse sono i restanti dipinti della scuo-la. A Liziers ve ne sono alcuni risalenti agli anni intor-no al 1117 (Durliat, seppure con dubbi). Nella valle diArán, a Tredós, si trovano nuove opere di qualità infe-riore (New York, Metropolitan Museum), cosí come alcastello di Orcau (Barcellona, Museo de Arte de Cata-luña) e nella chiesa di Argolell. Si è scoperto di recenteun cielo a Rus, trasferito al Museo Diocesano di Solso-na, di mediocre qualità, risalente con tutta probabilitàa non prima del secondo quarto del XII secolo.

Nell’ambito di quella che potremmo definire scuolacatalana di origine lombarda, si trova San Clemente aTaüll, terminata nel 1123. Qui viene portata all’estre-mo la volontà di trasformare le figure in geometria, alfine di ottenere una visione sublime dell’immagine divi-na, con una sicurezza di segno e una gamma cromaticadi alta qualità. Si è andati in cerca del suo autore in Ita-lia senza alcun risultato. Trova qui il suo compimentoun processo che già si intravede a Pedret e che toccamirabili vertici a Burgal. Solo la testata è opera dello

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straordinario artista, con una monumentale Maestà ealcune splendide immagini di tetramorfi nel quarto disfera celeste. Nella zona del catino absidale, la Madon-na e gli apostoli. Tra i resti che si sono a tutt’oggi con-servati si distingue la parabola di Lazzaro e l’Agnelloapocalittico, essere fantastico ricoperto di occhi, comeesige il testo non sempre accettato dagli artisti.

Contrariamente ai pittori di Pedret, quello di Taüllnon ha seguaci a noi noti, se si eccettuano alcuni fram-menti di Roda de Isábena, nell’attuale Aragona. Forsela sua eccezionalità lo rendeva meno imitabile, sebbenela sua origine non fosse diversa da quella di altri, inclu-so l’autore, a lui vicino, degli affreschi della testata diSanta María, a Taüll, consacrata nello stesso periodo. Sitratta di un professionista accettabile, che risente del-l’influenza della pittura dell’Italia del nord, ma da lon-tano. Disegna un tipo di capitelli comune in quelle zone,nell’Impero germanico e, piú eccezionalmente, in altrelocalità, in cui ogni lato si ottiene come sezione di uncorpo semisferico o pseudosemisferico, tagliato da unpiano. Sebbene attualmente si trovino privi di decora-zioni, con probabilità ogni lato veniva dipinto. Questoè ciò che si è fatto a Santa María, segno che si capivabene quel che si copiava.

I colori usati sono normali e comuni, diversi da quel-li vivaci di San Clemente. Il soggetto è diffuso a queltempo in Catalogna, con l’abside occupato da un’Epi-fania che si integra in una teofania all’interno della man-dorla mistica dominata da una Madonna in trono colBambino. Non conosciamo le ragioni per cui il dipintoè rimasto visibile qui. Alcuni anni dopo, un pittore discarsa preparazione completava i dipinti sulle paretidelle navate laterali, della zona occidentale e delle colon-ne. È ancora visibile parte della zona destra, il complessoGiudizio Finale e l’inferno della parte inferiore. Lo stes-so artista avrebbe lavorato a San Clemente, nonché in

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alcune chiese dell’Aragona. L’eredità dell’artista princi-pale viene raccolta in Castiglia o nella testata di Sorpe,con una certa goffaggine.

L’influenza francese, sebbene altrettanto diffusa, è diqualità di gran lunga inferiore. Nelle vicinanze di Taüllsi trova San Juan de Boí: chiesa di tre navate, fu rico-perta interamente da affreschi conservati in modo moltoframmentario. Si riscontrano certe cadute nell’esecu-zione, nonché vari e strani soggetti, che vanno da temiritenuti biblici a vite di santi (lapidazione di Stefano),passando da figure mostruose. Alcune parti sono statestaccate e trasferite al Museo de Arte de Cataluña solodi recente, senza che finora siano state esposte tutte alcompleto. Si dubita che una delle storie, identificatacome l’adorazione della statua eretta da Nabucodonosor,sia tale, nonostante le similitudini con la stessa compo-sizione citata nella Bibbia di Roda. Le curiose pose in cuisono atteggiati i lapidatori di santo Stefano non sono unprodotto dell’originalità dell’artista, bensí rispondono amodelli piú antichi cosí disposti.

Lo scriptorium di Poitiers e la scuola di Saint Savin,di questo diretta discendente, erano noti in varie partidella penisola, in particolare a Bagüés, in Aragona e inCatalogna. Venne coniato il nome di Maestro de Osor-mort, su cui convergeva tutto questo vasto seguito d’o-rigine francese, a partire dai dipinti di San Saturnino aOsormort (Vich, Museo Episcopal). Ancora una volta ilnome occulta pittori diversi di media qualità, che dovet-tero lavorare nella prima metà del XII secolo, in rela-zione tra loro.

Altri dipinti, la cui filiazione non è ancora stata sta-bilita con chiarezza, presentano una certa singolarità. Inprimo luogo, vi sono resti di San Martín Sescorts (Vich,Museo Episcopal), ma in quantità ridotta, di un pittoreche non è estraneo alla lontana opera di San Isidoro, aLeón, e che si suppone lavorasse in questo periodo. Piú

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importante è il secondo artista di Sorpe, il quale, versola metà del XII secolo, dovette ricoprire tutte le paretidella chiesa con un ciclo di grande rilievo, tanto per lasua qualità, quanto per le particolarità iconografiche,come l’Annunciazione con un terzo personaggio. Sonoinoltre peculiari e privi di legami visibili gli affreschi diSanta María, a Mur (Boston, Musem of Fine Arts).Tutto ciò non fa che dimostrare l’alto numero di pitto-ri che dovettero circolare in terra catalana tra la fine del-l’XI secolo e i primi sessanta o settant’anni del secolosuccessivo.

Si produce al contempo una gran quantità di tavoledipinte, sia come paliotti, in cui si imita con caldi colo-ri gialli il colore dell’oro, sia come retrotavole da collo-care sopra o dietro l’altare. Su tali opere possediamoancor meno dati. Innanzitutto, non emerge la correnteitaliana con la stessa evidenza come nei dipinti murali,indizio, talora, che non sempre gli stessi artisti lavora-vano su entrambi i supporti. È stato fatto qualche ten-tativo di accostare un paliotto, che si dice provenientedalla diocesi della Seo di Urgel (Museo de Arte de Cata-luña), ai dipinti murali dell’abside della chiesa di SanPedro nella suddetta città, con risultati insoddisfacenti.Si è anche parlato dell’esistenza, in questo luogo o nelmonastero di Ripoll, di una bottega di pittura dedita allaproduzione di tale tipo di opere, sebbene non sia statadocumentata, né risulti molto verosimile in base alleprove addotte. Con tutta la precauzione richiesta dalparlare senza il minimo dato, si potrebbe supporre chei paliotti piú antichi, tutt’oggi conservati, siano poste-riori ai dipinti, non potendosene datare nessuno ante-riormente al primo decennio del XII secolo. In questoperiodo, fino al 1150-70, si riscontra poca variazione neisoggetti. Il citato paliotto della Seo di Urgel è diviso intre scomparti, con una Maestà al centro e gli apostoli inentrambi i lati, presieduti da Pietro e Paolo, ma dispo-

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sti a triangolo o a piramide, cosí come si sono spesso vistigli anziani nei Beati in atteggiamento di adorazione del-l’Agnello sul monte Sion, senza tuttavia paralleli inopere romaniche. Stilisticamente non si colloca lontanodal paliotto di Hix (Barcellona, Museo de Arte de Cata-luña) che, dedicato a san Martino, ritrae il momento incui il santo divide il mantello con il mendicante.

L’opera piú importante, purtroppo molto frammen-tata, che corrisponde a ciò che rimane di un baldacchi-no, è il cosiddetto baldacchino di Ribes. Emerge imme-diatamente per la brillantezza del colore e la sicurezzadi un disegno molto preciso (Vich, Museo Episcopal). Èforse di minore rilievo l’immagine della Maestà di gran-di dimensioni rispetto ai pregevoli angeli. Di un certointeresse sono le varie iscrizioni ancora non ben deci-frate. Ci troviamo di fronte a un’arte scevra da qualsia-si traccia di naturalismo, piú vicina a una corrente cheper comodità chiameremo francese, pur se completa-mente diversa da quella rappresentata dai dipinti di Boío di Osormort. La si collega al cosiddetto paliotto Espo-na (Barcellona, Museo de Arte de Cataluña), altrettan-to eccellente, ma le cui figure mancano dell’eleganza dicui dotò le sue il Maestro di Ribes. Neanche per que-st’opera conosciamo date, seppure vagamente si potreb-be far risalire al primo terzo del XII secolo.

Sorprende, a prima vista, il contrasto offerto dal-l’abbondanza dei dipinti con l’illustrazione di libri. Èsenza dubbio da addurre al fatto che percorrono stradeparallele, ma differenti. Allo scriptorium di Ripoll vieneattribuita una grande vitalità, sebbene siano stati pro-vati rapporti con Roda e, in special modo, con Gerona.Si trova forse in questa città la bottega piú attiva dagliinizi del XII secolo o dalla fine del secolo anteriore finoa data non determinata. Come è stato detto, nel 1078veniva donato il Beato di Gerona alla cattedrale. Pocotempo dopo, talora già agli inizi del XII secolo, se ne

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cominciava una copia: si tratta del maggior sforzo nelcampo del libro illustrato catalano dalle Bibbie di Ripolle di Roda. Lo stile è in linea con la tradizione. Il dise-gno molto fine e un po’ debole è fondamentale. Vi siapplicano sopra colori tenui, con profusione di giallo erosso. Si tratta del Beato di Torino. Probabilmente sicopiarono altri manoscritti, tra cui qualche esemplare èconservato al Vaticano e alla Bibliothèque Nationale diParigi.

Oltre a quanto è stato descritto, ben poco resta damenzionare. Una Città di Dio in Sant’Agostino (Catte-drale di Tortosa) presenta disegni a penna non colorati,piú interessanti dal punto di vista iconografico che peraltre ragioni (Ibarburu).

Aragona. Il piccolo regno aragonese ha una notevoleestensione, ma le opere romaniche piú pregevoli delperiodo continuano a incontrarsi nell’originaria zonasettentrionale. Il rinvenimento di diversi affreschi inepoca relativamente recente ha permesso di dedicareloro un’opera monumentale (Borrás e García Guatas),impensabile prima.

Di fatto si distinguono due zone: una gravita intor-no alla diocesi di Jaca, ad ovest, l’altra ha come centroRoda de Isábena, vicina alla Catalogna. Nella prima siriscontrano vari influssi internazionali e, tardivamente(1165-75), rapporti con il León. Nell’altra è la Catalo-gna ad avere un ruolo di preminenza. È stato sottoli-neato il protagonismo di san Ramon, vescovo di Roda,il quale consacra Taüll ed è presente nella sua sede perlo stesso motivo, mentre è incerto se la carriera delMaestro de San Clemente cominci qui o a Roda(Ainaud).

Probabilmente una delle scoperte piú sensazionalidell’arte spagnola degli ultimi trent’anni è stata quelladei dipinti della chiesa dei Santi Julián e Basilisa a

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Bagüés. Edificio di una sola navata e costruito secondoil sistema del primo romanico, aveva ancora la maggiorparte delle pareti affrescate. Si cercò ben presto di met-tere in relazione questi dipinti con quelli di Osormort eGudiol e di inserirli nel vasto catalogo di quell’impossi-bile maestro. Oggi trovano collocazione in un luogo piúappropriato. Rivestono un’importanza maggiore di tuttigli affreschi catalani legati a questa corrente e sarà neces-sario datarli, in concordanza con i loro modelli, chesono quelli del Poitou francese, a partire dal secondodecennio del XII secolo.

Le pareti si suddividono in varie fasce (quattro) in cuisi dispiega una lunga narrazione che inizia nella zona piúalta della parete meridionale, in prossimità dell’abside,con la creazione di Adamo. Il ciclo della creazione e dellacaduta è piuttosto interessante per il ruolo che vi svol-ge Eva, in linea con certe tradizioni che la ritenevanoresponsabile, piú di Adamo, del peccato. Si continua conla storia di Noè, passando senza transizione al NuovoTestamento con l’idea salvatrice dell’incarnazione, pre-sente nell’Annunciazione. La vita di Gesú è raccontatain modo dettagliato. La testata è in particolar modoorganizzata intorno a due temi: la Crocifissione e laMaestà, che pongono cosí l’accento sulla redenzione esul cristianesimo trionfante. Nella bottega è probabileche lavorasse piú di un pittore, sebbene si osservi unacompleta unità stilistica.

La chiesa bassa del monastero di San Juan de la Peñaha preservato solo una minima parte, e in cattivo stato,di un gruppo di affreschi che, con tutta probabilità,sarebbero i piú importanti in Aragona, prima di quellidi Sijena. Sono stati posti in relazione con Berzé-la-Villeche, a sua volta, dipendeva da Cluny (San Vicente,Borrás). Non si riesce neppure a capire il programma ico-nografico, pur distinguendosi un martirio dei santiCosma e Damiano, una Crocifissione e un’altra scena

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non chiara. E peraltro impossibile stabilire che si trattidel lavoro di un’unica bottega, pur essendo esplicita laqualità dell’esecuzione nella prima e meglio conservatadelle storie.

Poco tempo prima di Bagüés venivano scoperti gliaffreschi della testata della modesta chiesa di Ruesta,trasferiti, come quelli dell’altra chiesa, al Museo Dioce-sano di Jaca. Ci troviamo in un momento del romanicoavanzato. Emergono le tonalità chiare della tavolozza.Dal punto di vista iconografico sono poco significativi,perché ripetono gli schemi già visti di Maestà con tetra-morfi e serafini nel quarto di sfera celeste, piú gli apo-stoli in basso. Il rinvenimento di resti di dipinti al disotto di questi, sempre pienamente romanici, indicaun’epoca che risale al secondo terzo del secolo.

La quarta grande opera di questa zona è quella diNavasa. In seguito alla sua scoperta si tentò di creareuna personalità artistica fittizia, in questa occasionepoco fortunata, come ebbero modo di verificare altriricercatori (Borrás, García Guatas). Ci troviamo di fron-te a un pittore dai mezzi limitati. Non vi è nulla in Ara-gona che gli si avvicini, solo nella miniatura leonese siincontra qualcosa di simile. Nel 1162 si realizza per SanIsidoro una copia della Bibbia secondo il modello usatoanche da Florencio un secolo prima. È un lavoro ese-guito molto in fretta, affidato a un miniaturista dal trat-to accurato e a un altro piú veloce e approssimativo.Quest’ultimo lavorerà molto piú del primo. A Navasa,in particolare nell’Adorazione dei Magi e nella Fuga inEgitto, ma anche nel toro rappresentante l’evangelistaLuca, rinveniamo un pittore che aveva conosciuto ilminiaturista. Non si può parlare di identità, ma la somi-glianza è notevole. Quali percorsi avranno compiutoperché si producessero tali circostanze? La perdita dimolte opere, nonché la mancanza di dati, ci impediscedi formulare una risposta plausibile.

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Nella Cattedrale di Roda di Isábena, dall’altra partedel regno, si dipinge la cappella dell’abside. Le pitturesono andate quasi tutte perdute, ma è facile dimostrareche ci troviamo di fronte al maestro di San Clemente diTaüll, senza tuttavia che si raggiunga la sua astrazionegeometrica.

Piú tardi, forse già all’inizio dell’ultimo quarto delsecolo, un altro artista lavora nella cripta. Presentaaltrettante lontane similitudini con il pittore di Navasa,ma è molto piú goffo. L’interesse maggiore risiede, anco-ra una volta, nel bizzarro programma iconografico, conil lunario al di sotto della Maestà.

A differenza di quanto accade in Catalogna, laminiatura del tempo non è di particolare interesse. Ècomunque da ricordare la Bibbia di San Juan de la Peña(Madrid, Biblioteca Nacional), con la maggioranza delleiniziali ornate, non lontana da certe produzioni diLimoges.

In definitiva, attraverso le opere di cui, per la mag-gior parte, siamo venuti a conoscenza di recente, riscon-triamo la presenza di correnti diverse, sia spagnole siafrancesi. La mancanza di un seguito è probabilmente ilrisultato della perdita di un patrimonio che doveva esse-re ben piú ricco.

Castiglia. In quest’epoca, un unico re governa il León,la Galizia e le Asturie. Alla fine del periodo avrà luogouna divisione tra la Castiglia e gli altri regni. Ma, qua-lunque fosse la situazione politica, i rapporti con taliregni sono piú stretti di quelli con la Navarra o con laregione che diverrà la Corona di Aragona. Pur tuttavia,un accadimento speciale permise una migliore comuni-cazione tra Catalogna-Aragona e la Castiglia: il matri-monio fra Alfonso I il Battagliero e Urraca, regina del-l’altra Corona. La relazione si rivela disastrosa e finiscein una separazione, ma il re aragonese aveva invaso, con

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l’aiuto della nobiltà autoctona, le terre della consorte.In special modo mantiene il controllo della zona diSoria. È al suo servizio Ramón de Roda, piú volte men-zionato. Si ritiene probabile (Ainaud) che per opera suaarrivassero vari pittori di Taüll. Sebbene non sia com-provato che le cose andassero in tale maniera in epocaromanica, l’ipotesi è comunque suggestiva.

Dal punto di vista stilistico, Gudiol aveva accomu-nato a Santa María di Taüll i dipinti dell’eremo di SanBaudelio de Casillas, a Berlanga, e quelli di Santa Cruz,a Maderuelo. Accantonando l’ipotesi che si tratti di ununico maestro, è evidente che ci troviamo di fronte allaproduzione di una bottega. Emerge nelle opere casti-gliane lo stesso tipo di capitelli di Taüll. Guardandoli piúda vicino, è chiaro che anche a Berlanga il pittore sa dicosa si tratta e ripete il motivo con una certa fedeltà, pursenza la stessa precisione. Tuttavia, a Maderuelo, nonrimane che un ricordo male interpretato. Pertanto, amio giudizio, la sequenza cronologica sarebbe da stabi-lire secondo i seguenti termini: prima viene Taüll, inde-bitata allo stile italiano. In seguito, Berlanga. La piútarda sarebbe Maderuelo.

San Baudelio de Berlanga era un eremo rupestre chenell’XI secolo pare convertirsi in un vero e propriomonastero. Verso gli anni Trenta viene ricoperto diaffreschi. Nella parte inferiore vi sono scene di caccia efigure di animali. Pare talmente avulso dal mondo reli-gioso da dare luogo alle ipotesi piú disparate. È eviden-te che è opera della stessa bottega che realizzò la partesuperiore. Quanto all’iconografia, non risulta cosí stra-na se si tiene conto della presenza nella stessa zona dichiese bizantine; ogni soggetto proviene inoltre da unatradizione antica (Guardia) in cui a malapena si puòparlare di accorpamento di tematiche di derivazioneislamica. I dipinti sono stati tutti staccati. La maggiorparte di quelli della parte inferiore sono ospitati presso

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il Museo del Prado, mentre i rimanenti sono negli StatiUniti, presso The Cloisters (New York).

La parte superiore dello spazio a volta, al di là del-l’abside, non è di particolare interesse, in quanto i sog-getti rientrano nella norma. I dipinti dell’abside, sep-pure in cattivo stato, si sono a tutt’oggi conservati conaltri resti ancora in situ. La vita pubblica di Cristo è iltema che vi si sviluppa. È evidente la somiglianza conTaüll per quanto riguarda i tipi e gli schemi ornamen-tali, anche se diverso è l’uso del colore. Si è parlato diperdite nella tavolozza, di diminuzione di toni. A Ber-langa si potrebbe affermare che vi sono soprattuttovariazioni.

Nel piccolo eremo di Santa Cruz a Maderuelo (Sego-via) la testata fu completamente ricoperta di affreschi(Madrid, Museo del Prado). Qui il cromatismo è piúlimitato e predomina una profusione di toni terrosi, digialli e di bianchi. Il programma, nonostante la scarsaimportanza che dovette avere il santuario, è complesso.In linea con un sistema frequente nel cristianesimomedievale romanico, vi è una doppia idea di caduta eredenzione, con specifiche menzioni alla penitenza e allaCroce trionfante. Nella parete occidentale, la creazionedi Adamo e il peccato di Adamo ed Eva. Sul lato oppo-sto, la Maddalena, nella zona inferiore sinistra lava ipiedi a Gesú , mentre a destra si trova l’Adorazione deiMagi. In alto, domina l’immagine della Croce trionfan-te davanti alla quale recano offerte Abele e Melchisedec,altro segno eucaristico. La volta a botte e le pareti late-rali accolgono il programma usuale dell’abside: Maestà,tetramorfi, serafini e apostoli, oltre a un diacono.

Rimangono ben pochi altri resti. Di Tubilla del Agua(Palencia) si sono salvati alcuni frammenti, altrettantoè accaduto a Elines (Santander). Un maggiore interessedetiene il libro illustrato, da cui forse avremmo potutoiniziare la nostra dissertazione. Si nota, piú che in pit-

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tura, la resistenza al cambiamento liturgico promossodalla Corona, già all’epoca di Ferdinando I, ma in spe-cial modo con Alfonso VI suo figlio (1072-1109).

Abbiamo menzionato in precedenza il Beato di Fer-dinando I (1047), sul quale torneremo, come segnale diun annuncio di cambiamento. Nella produzione casti-gliana quel che sorprende è che nel passaggio al XII seco-lo si osservi ancora tale situazione. Il Beato di Silos (Lon-dra, British Library, Add.mss. 11695), iniziato nel 1091su commissione dell’abate Fortunio, fu poi interrotto eterminato nel 1109. Da un lato, è nel colore che si per-cepisce una sensibilità diversa dalla tradizione.

Tuttavia, nella pura forma è soggetto alla maggiorparte delle convenzioni del X secolo. L’inizio della Rive-lazione (f. 18v) è tinto di un unico tono scuro, animato,con estrema cura, da giochi ornamentali sotto forma difiori in bianco e rosso. Non vi è nulla di simile nei Beatianteriori, ne in quelli successivi. La maniera di trattarei personaggi è però quasi identica a quella che apparenella tradizione del secolo precedente.

Anticamente, oltre ai resti di un antifonario, con ilBeato era stata rilegata una pagina raffigurante unostraordinario inferno. Questa reca alcune iniziali gigan-ti che sono sulla stessa linea geometrica degli intrecci delpassato, nonostante si ritenga venisse realizzata già nelXII secolo. L’inferno indica l’inizio del cambiamento,oltre a possedere un’iconografia senza precedenti a noinoti, che comunque s’intuisce molto antica (Schapiro,Yarza).

León, Galizia, Asturie. Ancora nella prima parte diquesta fase, il León è il centro culturale dei regni d’Oc-cidente. È sempre nel XII secolo che il Portogallo sisepara dalla Corona e raggiunge progressivamente la suaindipendenza finale e definitiva. In tre città i fulcri pro-duttivi si concentrano non piú nei monasteri, sebbene

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è probabile che alcuni di questi avessero un’enormeimportanza, come quello di Sahagún, quasi completa-mente distrutto, mentre le poche cose che si salvaronosono andate perse. La prima di queste città è León, lacapitale. Al secondo posto si trova Santiago de Compo-stela, città nuova, che raggiunge ora uno straordinariosviluppo grazie all’importanza del pellegrinaggio allapresunta tomba dell’apostolo e all’arcivescovo Gelmírez,figura di primo piano, che fece convergere tutti i mezzifinanziari nella trasformazione della chiesa altomedie-vale in una gigantesca cattedrale, la piú grande del roma-nico spagnolo, arricchendola come si conveniva. Laterza, di secondaria importanza ma pur sempre interes-sante, è la vecchia capitale, Oviedo.

A San Isidoro di León viene miniato il Beato di Fer-dinando I (Madrid, Biblioteca Nacional, Vit. 14.2). È ilpiú ricco di tutti i Beati e l’unico che risulta essere statocommissionato da un re e non da un monastero. Si uti-lizza l’oro in abbondanza. Appartiene alla stessa fami-glia del Beato Morgan, del Beato Valcavado e del Beatodi Silos, e in questo appare scarsamente originale. Purtuttavia, è una delle opere maestre della miniaturamedievale spagnola. Vi lavorano due artisti. Uno èresponsabile soprattutto dei primi fogli. Il suo stileminuzioso e delicato si apprezza nella gigantesca alfa ini-ziale (f. 6), con nodi e intrecci su lamina d’oro, in cui èospitata un’immagine di Dio che regge un’omega; simette in tal modo in evidenza l’identificazione delledue lettere con il Signore stesso. Questo artista possie-de un tratto dalla tecnica precisa e particolareggiata, chesi è allontanata da certe formule reiterative della minia-tura del X secolo. Lo si potrebbe definire romanico.

Sono ben poche le illustrazioni da attribuirsi a que-sto artista, in quanto la maggior parte appartiene alsecondo, meno interessante, piú convenzionale e vicinoai canoni del passato. Ciononostante, ottiene splendidi

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effetti di colore. Dato che non si osserva alcuna diffe-renza nell’uso del colore, è da supporre che uno dei dueminiaturisti fosse l’unico responsabile della sua applica-zione. Una delle composizioni piú complesse dei Beaticorrisponde alla visione della donna sul sole e gli astri,attaccata dal drago. Nel Beato di Ferdinando I (ff.186v-187) il secondo artista ha creato un grande scena-rio animato dall’intensità cromatica ottenuta essenzial-mente con colori primari.

Non erano trascorsi piú di otto anni quando entram-bi i sovrani commissionano un mattutino (1055, San-tiago de Compostela, Biblioteca de la Universidad).Quanto a impegno, l’impresa è piú semplice di quellarappresentata dal Beato, ma risulta estremamente inte-ressante per il suo contenuto e per il progredire versol’accettazione del romanico internazionale. Facendo tin-gere di color porpora alcuni fogli, il re allude alla suacondizione di imperator, in accordo con un’idea leoneseespressa fin da Alfonso III, la stessa che era propria degliimperatori Ottoni i quali, a loro volta, l’avevano presada Bisanzio. All’inizio, con la presenza di un’alfa al disotto della quale si trova Dio, si scopre il legame con ilBeato del 1047. Alla fine, il re e la regina si fanno rap-presentare (f. 3) in grandi dimensioni, e in mezzo a loroun personaggio che è stato identificato con David, auto-re dei Salmi che seguono, o con l’amanuense Pedro o ilpittore Fructuoso (Sicart).

L’ultimo passo verso il romanico si compie con ilBeato di Burgo di Osma (1086). Nonostante sia conser-vato fin dall’antichità nella cattedrale di questa cittàcastigliana, proviene da ambienti leonesi, anche se nonsappiamo chi sia il copista, Martino, né il luogo esattoin cui venne miniato. Tutti gli elementi ci conducono auna zona occidentale del León, alcuni credono che sitratti addirittura della Galizia, basandosi soprattuttosul mappamondo che dà un’importanza fuori dell’ordi-

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nario a questa zona. Il linguaggio conserva stilemi alto-medievali, ma riflette la conoscenza di elementi europei,come è stato sottolineato (Wettstein), in special modofrancesi. Il colore è molto soffuso (f. 23), con abbon-danza di toni gialli chiari, rossicci freddi e bianchi. Èaltrettanto interessante dal punto di vista iconografico,come nella Rivelazione (f. 23) a Giovanni, nella cui zonainferiore si osserva un inferno, o nella Vittoria dell’A-gnello (Apoc. XVII, 16), in cui la prostituta di Babilo-nia è completamente nuda, colta in un gesto di dispera-zione che si rivela alquanto provocante (f. 145v).

Non è sopravvissuta nessuna grande opera monu-mentale contemporanea. All’improvviso emerge unadelle piú importanti della pittura medievale spagnola: ilPantheon di San Isidoro. Data la nostra conoscenza del-l’illustrazione del libro, dei rapporti che si possono sta-bilire con i dipinti murali di San Isidoro, dell’ereditàlasciata da questi nella miniatura stessa, seppure inmaniera relativa (Libro dei Testamenti, Bibbia del 1162),o nella pittura (Sescorts) e, sapendo che non esiste ungruppo di affreschi francesi che si presenti come ante-cedente, è da ritenere che in León o in Galizia esistes-se un’importante scuola oggi scomparsa, salvo per que-sto caso, come già aveva rilevato Demus.

Il ritratto di un re Ferdinando e di una presuntaUrraca aveva condotto a credere che, non potendositrattare del primo re che portava questo nome, essendomorto troppo presto perché i dipinti risalissero a quelperiodo, doveva trattarsi del secondo (1157-88), e per-tanto si posticipava di molto la data di esecuzione. Glistudi di Williams dimostrarono che nel 1149, al massi-mo, tutto era ormai completato, il che portò a una revi-sione generale. Fu sempre piú chiaro che esisteva uncontatto con opere quali il Beato di Burgo de Osma dellafine dell’XI secolo o che vi erano reminiscenze lontanein opere leonesi, come la Bibbia del 1162, che sposta-

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vano maggiormente il presunto periodo verso il primoquarto del XII secolo che è, con tutta probabilità; l’e-poca a cui farlo risalire.

Il Pantheon è un’opera emblematica, situata ai piedidella chiesa di San Isidoro, da cui però non è permessol’accesso al pubblico, essendo l’entrata nel lato sud, indue portali aperti successivamente. Era luogo di sepol-tura dei re del León. Diviso in sei parti da due grandicolonne, ha tutte le sei volte affrescate, cosí come lepareti che lo dividono dalla chiesa e quelle corrispon-denti sul lato sud. Lo stile presenta certe irregolarità, maè fondamentalmente unitario. Predominano i colorichiari, con un frequente uso del bianco negli sfondi. Inquesto senso, l’Annuncio ai pastori è esemplare. I rife-rimenti paesaggistici sono minimi. Lo sviluppo conces-so a un tema relativamente secondario è eccezionale. Ipastori poggiano su un suolo quasi inesistente. Le bestiesono sparse in vari luoghi. Si copiano antichi soggetti,come lo scontro di capre davanti a un arbusto, in pre-cedenza male interpretato come particolare di naturali-smo pregotico.

Non sempre sono ben risolti i problemi che sorgonodal tentativo di adattare un ciclo narrativo a una voltaa proiezione rettangolare, come nella Passione. Si otten-gono comunque risultati straordinari con soggetti giàrappresentati su questo tipo di soffitto, come la gran-de Maestà della mandorla, con gli esseri del tetramorfo,in concordanza con la vecchia formula ispanica, appog-giati ai vertici del rettangolo. Il complesso tracciato deidrappeggi, eccessivi per volontà dell’artista, raggiungequi la massima perfezione. Anche l’intradosso degliarchi è dipinto, ad esempio, con un lunario alquantonoto. Non bisogna cercare un’intenzione realistica inogni mese rappresentato dal lavoro di un unico perso-naggio, escluso il gennaio di Giano e il cavaliere dimaggio.

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La zona delle pareti è piú deteriorata. Non si distin-gue bene la Crocifissione, oggetto di dibattito. È inte-ressante osservare il modo in cui s’inginocchia il re Fer-dinando I e quella che con tutta probabilità è la figliaUrraca. Non si tratta tanto di un ritratto «d’autore»,intendendo come tale colui che commissiona l’opera,quanto qualcosa che commemora l’importanza che ebbeper San Isidoro il re Ferdinando, al pari di sua figliaUrraca, quasi sicuramente la responsabile dell’architettu-ra del Pantheon. Morta nel 1101, è da supporre che pro-grammasse i dipinti che non sarebbe riuscita a vedere.Altre parti delle pareti sono in miglior stato, ed è pertantopossibile contemplare tramite un’Annunciazione la qua-lità della pittura, nonché il carattere addolcito, lontanodalla solennità di un Maestro di San Clemente di Taüll.È quest’aria gradevole e nient’affatto contratta che haconfuso coloro che vedono nel romanico la necessità diuna severa distanza, laddove la realtà fu molteplice.

In due opere rimane una certa impronta della pittu-ra del Pantheon: il Libro dei Testamenti di Oviedo e laBibbia del 1162 di San Isidoro di León. La Bibbia fu unprogetto ambizioso, visto che si copiò il vecchio proto-tipo che era stato usato anche per quella del 960.

Una nota indica che si completò in breve tempo: seimesi. L’opera risente di tale velocità d’esecuzione, poi-ché il miniaturista piú accurato lavorò poco, mentre l’al-tro si rivelò adatto per il fine che gli avevano assegna-to, a scapito della qualità. Ciò nonostante è quest’ulti-mo che utilizza certi colori chiari, un blu caratteristicoecc. e che richiama, lontanamente, gli affreschi.

Quando salí alla cattedra vescovile Pelayo, già datempo Oviedo aveva perso il protagonismo iniziale. Fuquesti, com’è noto, un personaggio singolare, falso edifensore dell’indipendenza della sua sede di fronte aldesiderio di Toledo di inglobarla nella sua sfera d’in-fluenza. Uno dei risultati di questa polemica fu il Libro

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dei Testamenti. È un cartulario che riuniva tutti i docu-menti legali: privilegi, donazioni, bolle papali che riguar-davano il monastero o la cattedrale. Infinite sono lecopie di esso che vennero realizzate per preservare ilvalore degli originali in cattivo stato. A causa della natu-ra stessa di tali documenti, difficilmente era presenteun’illustrazione, al massimo l’iniziale, come accadde permolti casi. A Pelayo va il merito di avere realizzato que-sto cartulario, non solo falsificando documenti autenti-ci e inventandone altri, ma dotandolo anche di minia-ture senza precedenti che in seguito lo faranno apprez-zare, come opera qual è, a Compostela e a León. Dal1121, anno in cui si ricevette notizia che il papa avevaapprovato la dipendenza suffraganea di Oviedo rispet-to a Toledo, fino all’anno seguente, quando l’ordinevenne revocato, lo scriptorium si occupò del singolarecodice. A partire da quel momento si era perso ogni inte-resse per il suo completamento. Con tutta probabilità lopresentò alla regina Urraca, affinché lo appoggiasse nellesue richieste. Non venne terminato (Yarza).

Le miniature sono dedicate ai re che in teoria aveva-no concesso dei privilegi alla Chiesa di Oviedo, cosícome ai papi che avevano emesso bolle in suo favore. Ilruolo di preminenza accordato alle regine, che supera dimolto la realtà, è dovuto al probabile destinatario delcodice. Lo stile è personale, molto fine e lineare, colo-rato con toni morbidi. Le figure possono arrivare adessere grottesche, ma l’effetto globale è eccellente. Èpossibile che qualche immagine sia stata dipinta tenen-do conto degli affreschi di San Isidoro (Moralejo), seb-bene il linguaggio artistico nelle due produzioni siamolto diverso.

Se Oviedo stava vivendo il suo declino, al quale sioppose Pelayo, Santiago de Compostela era una città inascesa. Gelmírez, primo vescovo e in seguito arcivesco-vo, in buoni rapporti con la Borgogna e con il papato,

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conoscitore di ciò che accadeva fuori, aveva trasforma-to la cattedrale e anche la città in virtú del pellegrinag-gio alla tomba di san Giacomo il Maggiore. Non si puòdire che le nostre conoscenze dell’arte del colore sianoparagonabili a quelle architettoniche, scultoree o relati-ve alle arti sacre. Sono forse andate perse? In buonaparte è cosí. Non rimangono che pochi frammenti di pit-tura romanica in Galizia quando la produzione dovevaessere considerevole. Il ritrovamento e la successivapubblicazione di dipinti murali molto rovinati a SanPedro de Rocas (García Iglesias, Moralejo) ne provanol’esistenza. Ad ogni qual modo, a Compostela si con-servano due eccellenti manoscritti.

Del Codice Calixtino si è detto che era stato impor-tato. Si tratta del Liber Sancti Jacobi, la cui copia piúantica si trova nella Cattedrale di Compostela. Contie-ne un ciclo dedicato all’intervento di Carlomagno inSpagna, chiamato dall’apostolo stesso, e varie iniziali,alcune di enorme rilievo, come quella che rappresenta ilvescovo Turpín (f. 163). Nonostante tutto, a mio giu-dizio, non è impossibile che la copia fosse stata realiz-zata a Santiago, anche se il maestro veniva da fuori.

Con propositi differenti, l’idea di riunire in un car-tulario di lusso i privilegi portò i chierici di Composte-la a ripetere l’impresa di Pelayo. Il risultato fu il TumboA (Gran Libro dei Privilegi - Cattedrale di Santiago).Nel 1126 vi lavorarono vari miniaturisti, con esiti diver-si (f. 39v). Il codice continuerà a essere utilizzato e conl’andar del tempo verranno ad aggiungersi nuove minia-ture, realizzate da altri artisti.

Il problema del Duecento e i suoi antecedenti

Poco dopo il 1150, com’è noto, si producono in Euro-pa diversi cambiamenti, alcuni dei quali conducono al

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gotico. Si tratta di un’altra fase creativa in cui vengonoofferte varie soluzioni, tra le quali, alla fine, ne verràscelta una. Nelle arti del colore e nell’oreficeria si è par-lato del 1200 per designare un tipo di arte praticatasoprattutto al nord, che rivela una nuova ondata dibizantinismo, una tendenza a forme poco astratte, unrecupero del senso del volume che dà l’impressione divoler fuggire dal piatto linearismo precedente. È unafase oltremodo importante della miniatura inglese e dellearti sacre dei monasteri della Mosa. Sulla base di questimodelli o di altri paralleli, sorgono al contempo altre cor-renti. Nei regni ispanici entra poco a poco la miniaturainglese a partire dal 1165-70, nei luoghi piú diversi (San-tiago de Compostela, Bibbia di Lérida, paliotto di Aviá,dipinti di Sijena ecc.). Talvolta viene adottato il lin-guaggio nordico del Duecento, talaltra si rinviene uncerto bizantinismo di origine diversa (Valltarga, codicedi San Martino di León). Al contempo, esistono altretendenze piú conservatrici, in generale di qualità medio-cre, pur essendovi eccezioni. Il libro illustrato raggiun-ge un livello che non conosceva prima, salvo in esempimolto specifici. È un periodo degno di nota che, tutta-via, non avrà continuità fino a molto tempo dopo.

Catalogna. La fase della grande pittura murale roma-nica è terminata in Catalogna, sebbene non sia cessatal’attività dei pittori murali. Non ve n’è nessuno para-gonabile a coloro che operarono a Pedret, Santa Maríadi Aneu, Burgal o San Clemente di Taüll. Vi è stata unatendenza a ritenere piú antichi certi dipinti che pareva-no risalire agli anni intorno al 1200, come quelli diSanta María di Barberá (Ainaud). Ciononostante, pos-siamo inoltre citare opere quali Santa María, a Terras-sa, interessante ma di non eccellente qualità.

Gudiol vide le somiglianze tra la storia di ThomasBecket, qui raccontata e per forza posteriore al 1170, e

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il paliotto dipinto di Espinelves (Vich, Museo Episco-pal). Supponendo che quest’ultimo sia posteriore al1187, si teorizza l’esistenza di una bottega che alla finedel secolo lavora indistintamente su tavola (con mag-giore raffinatezza cromatica), o su parete, estranea allenovità che in quel momento circolavano in altre zonecatalane e con evidenti limiti tecnici. Sono tardivi anchegli affreschi del portico della vecchia chiesa di SanVicente di Cardona.

Con tutta probabilità, dove dapprima si manifestal’influenza inglese è nel paliotto di Santa María di Aviá(Barcellona, Museo de Arte de Cataluña) (Alcoy). Essoproviene da un piccolo borgo del Berguedà, che dipen-deva dal vescovado di Urgel. Ci risulta che, durante ilsuo vescovado, Arnau de Preixens (1167-94) fortificò illuogo e lo dotò di una grande guarnigione. È logico sup-porre che si occupasse anche della chiesa commissio-nando il paliotto che oggi conosciamo? In seguito airecenti studi compiuti (Alcoy), non è avventato stabili-re una data tra il 1185 e il 1194. Dal punto di vista ico-nografico è reiterativo, con la Maestà della Madonna alcentro, ma parte di un’Epifania. Il resto completa unciclo dell’infanzia di Cristo, in cui Maria detiene unindubbio ruolo di protagonista. La Madonna centraleriflette un bizantinismo da icona, pur avvertendosi alcu-ni richiami all’arte inglese, soprattutto alla miniatura, trail 1175 e il 1200. Una certa luminosità eromatica pareriprendere la vetrata.

Molto vicino a quest’opera, si è parlato dello stessomaestro, si colloca il paliotto di Rotgers (Vich, MuseoEpiscopal), purtroppo eccessivamente restaurato. Seb-bene persista l’immagine centrale della Maestà, è dedi-cato a san Saturnino ed è possibile rinvenire legami conl’arte inglese.

Si riteneva che il circolo di Aviá fosse posteriore aquello di Lluçá, nonostante quest’ultimo si ascrivesse già

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al XIII secolo. Inaugura l’opera il cosiddetto paliotto diLluçá (Vich, Museo Episcopal), sebbene comprenda ungrande antipendium e due tavole laterali. Nessun’altraopera catalana riflette in maniera cosí fedele quella cheè comunemente conosciuta come «arte 1200». L’anti-pendium, o paliotto propriamente detto, ripete i fre-quentati schemi tematici, con la Maestà che forma partedell’Epifania e un breve ciclo dell’infanzia (Annuncia-zione, Visitazione e Fuga in Egitto). Gli sfondi sono inrilievo, stuccati, con resti di vernice a oro, volta a pro-durre l’effetto di preziosità. Nella parte sinistra, l’In-coronazione della Vergine presenta una formula propriadel primo gotico. Le dimensioni delle figure sono mag-giori e le loro forme alquanto diverse, il che suscita l’im-pressione che appartenga a un altro artista. Non deveessere cosí, ma non vi è dubbio che, causando d’imme-diato un forte impatto, le rifiniture sono piú elementa-ri nella zona delle vesti di quel che dovrebbero essere.Al lato opposto si trova una Madonna di grandi dimen-sioni con Giovanni e i sette doni dello Spirito Santo, laquale riporta le stesse caratteristiche. Intorno a questagrande opera se ne disposero altre. Cito come quella piúvicina un Crocifisso conservato presso il Museo Epi-scopal di Vich, distanziandosi già i frammenti di dipin-ti murali di Puig-reig, pur sempre nella linea estetica delDuecento. Ancora piú lontani, a inaugurare il gotico, piúche a concludere il Duecento, vi sono i dipinti murali diCaserres, descritti in seguito. I due gruppi di Aviá eLluçá sono geograficamente vicini. Piú a nord, in partenel Rossiglione, si trova un altro gruppo di opere, tra cuile piú importanti sono i paliotti di Valltarga, o Balltar-ga (Barcellona, Museo de Arte de Cataluña), e Orellá.Si è parlato di bizantinismo, a ragione, ma si tratta diuna visione molto lontana da quella piú accademica.

Infine, ai margini di queste correnti, diversamentedatato, il pregiato paliotto di Santa Margarita (Vich,

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Museo Episcopal), proveniente da un convento di Vila-seca, nei pressi di San Martín Sescorts, continua a incen-trarsi nella Maestà mariana, accompagnata dalla narra-zione della vita di santa Margherita.

In questo periodo non brilla in modo particolare nem-meno la miniatura. Si devono comunque citare dueopere, il Liber Feodoram Maio e il Liber Feodorum Ceri-taniae (Barcellona, Archivo Corona de Aragón), in spe-cial modo la prima. La sua storia è confusa e attualmentesi conserva incompleta; è attribuita alla mano di variminiaturisti, tra i quali solo uno presenta un’eccellenteperizia (Escandell). Un ulteriore interesse deriva dalfatto che tale opera si collega da un lato con la cosiddettatrave della Passione, presso il Museo de Arte de Cata-luña e, dall’altro, con un gruppo di dipinti e miniature,tra i quali figura il Beato de las Huelgas o Morgan II, chepare essere produzione del fulcro toledano.

Aragona. Il regno aragonese era in possesso di unadelle opere pittoriche piú importanti del medioevo spa-gnolo: la sala capitolare del monastero di Sijena, cheandò distrutta in un incendio durante la guerra civile.Un lavoro fotografico estremamente particolareggiato cipermette di sapere oggi che aspetto avessero tali dipin-ti; purtroppo non è cosí per il colore, della cui intensitàvari testimoni oculari parlavano con entusiasmo. I fram-menti carbonizzati furono trasferiti al Museo de Arte deCataluña, dove si conservano tuttora. Fino a quelmomento non vi era stato nulla in Aragona che facessepresagire tale opera. È indubbio che si tratta di un arti-sta forestiero che viene chiamato in un monastero pro-tetto fin dalla sua fondazione dalla Corona.

Da tempo si è parlato del suo rapporto con i minia-turisti di Winchester, in particolare con il cosiddettoMaestro del Foglio Morgan (Pächt). Si riteneva checerte particolarità iconografiche, come gli uccelli posati

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su un albero, il modo in cui Caino uccide Abele, o la pre-senza di animali musici fossero proprie e pressoché esclu-sive delle isole britanniche, tuttavia altri elementi nonsi potevano spiegare a Sijena senza un viaggio in Sicilia,per cui la vita dell’anonimo artista si dovette svolgerecome segue. Inizia a lavorare verso il 1180-85 a Win-chester, alla grande Bibbia. In seguito si reca in Sicilia,dove entra in contatto con i grandi mosaici bizantini, inparticolare gli ultimi di Monreale; infine è chiamato aSijena dove dirige la decorazione della sala capitolare delmonastero appena creato. Si sono avanzate obiezionicirca l’esclusività inglese dei particolari tematici (Sicart),che hanno antecedenti in Spagna e in Italia. Non è chia-ra nemmeno la storia tracciata, perché in Inghilterranulla che la giustifichi precede la sua opera, pertanto,come qualcuno ha ipotizzato, si dovrebbe pensare a unprimo soggiorno siciliano antecedente quello a Winche-ster. Ad ogni modo, non vi è dubbio che un artista diformazione bizantino-siciliana e inglese si trovasse pres-so il monastero aragonese verso il 1200 (alcuni autoriritengono un po’ dopo). Come vi giunse? Costanza,figlia di Alfonso II d’Aragona, era stata sposata conFederico II, il quale aveva vissuto spesso nel sud dell’I-talia. I rapporti di Costanza con Sijena sono documen-tati almeno tra il 1217 e il 1222. È, forse tramite que-sta che arrivò il pittore?

A riprova della forte influenza inglese vi è il caratte-re miniaturistico di parecchi dipinti, soprattutto negliaspetti ornamentali, con motivi floreali propri deglismalti e delle miniature, in special modo dal 1150 al1210, ben visibile negli archi diaframma in cui si narrala storia dell’Antico Testamento.

La sala capitolare è rettangolare e sovrastata da archidiaframma, in accordo con un sistema che avrebbelasciato una lunga eredità nell’arte aragonese e catalana.Tutta questa parte, incluso l’intradosso dell’arco, si

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coprí di dipinti. Si tratta di un ampio ciclo che prendele mosse dall’Antico Testamento, a partire da Adamo edEva fino all’unzione di Davide. Nell’intradosso, lagenealogia di Cristo. Sulle pareti, quelle peggio conser-vate anche prima della distruzione, un altro grande ciclosulla vita di Gesú .

Sebbene si sia detto che nessuna opera a Sijena spie-ghi lo straordinario pittore, non si deve dimenticare chela miniatura inglese aveva già lasciato alcune tracce nellaBibbia di Lérida (Cattedrale di Lérida). Malgrado taledesignazione, era giunta in questa città nel secolo pre-cedente proveniente da Calatayud, in Aragona, ma nep-pure questo implica che fosse stata illustrata lí. La sco-perta che il testo si stava copiando nel 1165 indica unadata di esecuzione delle miniature compresa tra il 1165e il 1175 circa. Il testo venne copiato necessariamentein Spagna, cosicché i miniaturisti dovettero venire dal-l’estero. Si tratta di un’opera di grande entità da situar-si probabilmente intorno a qualche personaggio impor-tante oggi sconosciuto.

I pittori di Sijena di poco posteriori lasciarono unacerta impronta. Da una parte, si tratta di un’improntadiretta, poiché presente nei lavori di quanti si formaro-no con loro. Dall’altra, dovettero suscitare una profon-da impressione che raggiunge periodi di molto poste-riori, come l’ultimo quarto del XIII secolo (Teruel). Sidipinse la testata della chiesa, oggi pressoché persa.Come ricordo piú importante rimane il paliotto di Ber-begal (Lérida, Museo Diocesano). Piuttosto danneggia-to, forse un restauro accurato e minuzioso potrebberecuperarne i colori troppo uniformi, dal momento chequel che emerge in questo momento sono il disegno e l’a-bilità dell’artista nell’atteggiare gli apostoli in posturemolto diverse, subordinate alla struttura a forma dimandorla che li accoglie. Risale ai primi decenni delXIII secolo (Borrás).

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Si dovrà forse ricordare un tipo di paliotto realizza-to tra la fine del XII e buona parte del XIII secolo trala zona nordoccidentale di Lérida e i dintorni di Hue-sca. Il rilievo in stucco o gesso, con o senza vernice aoro, già presente in altre parti, raggiunge qui un ruolodi protagonista, quasi al di sopra del dipinto stesso(paliotti di Betesa, Chía ecc.). In realtà, si tratta di unascuola che opera per alcuni anni e che produce varieopere firmate, come quella di Chía, recante una firma«Johanes pintor me fecit».

Sarebbe opportuno menzionare un’opera profana delMuseo de Arte de Cataluña. Sebbene si sia sempre dettoche provenga da un castello di Lérida, pare che la suavera origine fosse Sijena. Si tratta di un bordo festona-to, ampio e alto che correva sulle pareti di una sala ret-tangolare. Se realmente si tratta di Sijena significa checi troviamo di fronte a un caso di tematica profana, pro-pria di ambiti quali castelli o stanze abbaziali di cui ci egiunto ben poco.

Navarra. L’espansione verso sud del regno navarro erastata fermata dalle potenti corone di León-Castiglia ed’Aragona. Non coprirà un ruolo di primo piano neglieventi principali della penisola, soprattutto nella guerradi conquista e nell’espansione a scapito dell’Islam. Ciònon significa che la sua arte non sia importante. A par-tire dalla seconda metà del XII secolo si iniziano nume-rose imprese edilizie, nelle quali la scultura detiene unaparte di rilievo. In apparenza, non accade lo stesso conla pittura fino al secolo XIII inoltrato.

Ciononostante, l’illustrazione del libro è di un certointeresse, sebbene non presenti una chiara continuità, nésia facile stabilire la provenienza di alcune opere. È que-sto il caso del cosiddetto Beato navarro (Parigi, Bibliothè-que Nationale, Nouv. acq. lat. 1366), che si dice pro-venga da qui, anche solo per prove documentaristiche

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indirette (in passato lo si era ritrovato a Pamplona).Intorno al 1200 si fa risalire un interessante sacramen-tario cistercense di Fitero (Silva Verástegui), animato danumerose scene di piccole dimensioni. Di particolarerilievo e un gruppo di singoli fogli, o meglio due, in parteconservati presso la biblioteca municipale di Amiens,che costituiscono le cosiddette Bibbie di Pamplona, ini-ziate nel XIII secolo e messe in debole rapporto con Sije-na. Piú che ai canoni di un album di modelli, obbediscea un tipo di Bibbia istoriata. La ricchezza tematica vadi pari passo con l’interesse rivolto a certi particolari ico-nografici (Bucher).

Castiglia. Poco a poco la Castiglia acquisí potere all’in-terno del regno di León. Alla morte di Alfonso VII(1157) avvenne la scissione, durata fino al 1230, annoin cui l’unione dei due regni sarebbe poi divenuta defi-nitiva.

La pittura dovette costituire in quel periodo un capi-tolo interessante, anche se le perdite sono state ingen-ti. La scoperta di affreschi occultati cambia la visioneprima ristretta e permette, al contempo, di riconsidera-re il rapporto tra affreschisti e miniaturisti. Cosí è acca-duto nella modesta chiesa di San Justo, a Segovia. Parec-chi anni fa, in seguito a un’opera di pulizia dagli into-naci, si rinvennero vari affreschi che coprono tutta lazona della testata, incentrati su una Maestà la cui man-dorla accoglie gli anziani apocalittici (motivo poco comu-ne). Segue un grande ciclo della vita di Gesú , dove qual-che tema della vita pubblica non è di facile decifrazio-ne. Si fa risalire alla fine del XII secolo. Poco tempoprima veniva completata una Bibbia di origine italianacon varie pagine spagnole, di esecuzione alquantoapprossimativa, ma molto vicine stilisticamente a que-sti dipinti. Si suppone che provenga da Avila e per que-sta ragione la si è chiamata Bibbia di Avila (Madrid,

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Biblioteca Nacional). Abbiamo cosí una prova dell’esi-stenza di una scuola di arte del colore in questa zonameridionale della vecchia Castiglia.

La città di Burgos, circondata da potenti monasteri,acquista un’importanza sempre maggiore. San Pedro deCardeña raggiunge la sua ultima fase di splendore intor-no al 1200. E un momento di spiccato nazionalismocastigliano e pertanto il monastero trae prestigio dalconservare le spoglie del Cid Campeador, eroe della finedell’XI secolo, trasformato in modello di cavaliere casti-gliano e mal visto dai leonesi. A San Pedro de Arlanza,un po’piú distante, si trova la salma di Fernán Gonzá-lez, il conte che si era ribellato al suo re leonese. Infi-ne, a ovest della città è situato il monastero cistercensedi Las Huelgas Reales, protetto dalla Corona fin daitempi di Alfonso VIII.

Non a caso qui si trova la produzione pittorica eminiaturistica piú interessante. A San Pedro de Cardeñaopera uno scriptorium che verso il 1165-75 produce laBibbia di Burgos (Burgos, Biblioteca Provincial). Tra iminiaturisti che vi lavorano, ce n’è uno di formazioneinglese (f. 12v). L’altro, del luogo, continuerà a colla-borare ad altre opere, quali il Lezionario rinvenuto direcente a Las Huelgas (Herrero, Yarza). Di sicuro rilie-vo nella Bibbia è la grande pagina raffigurante una riccae complicata storia di caduta e redenzione, con ricorsialla tipologia che oppone Antico e Nuovo Testamento(Yarza).

Il maestro di origine inglese aveva contatti con duenuovi artisti che eseguono il Beato di San Pedro de Car-deña (Museo Arqueológico de Madrid e altre collezioni),purtroppo smembrato da tempo. Deve essere stato rea-lizzato posteriormente. Da segnalare è la rinascita deiBeati. Il cambiamento di liturgia aveva prodotto riper-cussioni in tutti i libri scritti in lingua spagnola, la mag-gior parte dei quali sparí definitivamente. Al Commen-

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to di Beato non toccò la stessa sorte, ma ora riappare conun vigore inaspettato, soprattutto in Castiglia. Pertan-to, da San Andrés del Arroyo proviene un nuovo esem-plare (Parigi, Bibliothèque Nationale, Nouv. acq. lar.2290), meno elegante del precedente, non privo di con-nessioni con questo. Altrettanto accade con il Beato diManchester (Manchester, J. Rylands Library, Lat. 8). Inquesto momento si tengono contatti con Toledo.

La pittura murale è sparita quasi completamente, tut-tavia quel che rimane rivela ciò che è andato perduto.Nel piccolo santuario di Perazancas (Palencia), l’absidefu rivestito, alla fine del XII secolo, di dipinti media-mente conservati che non risentono del Duecento. Lapresenza, come a Roda de Isábena, di un lunario inizia-to quasi in coincidenza dell’anno naturale (Bango) con-ferisce originalità all’insieme.

Tuttavia, la grande opera, forse paragonabile a Sije-na se si fosse conservata in modo accettabile, è la salacapitolare del menzionato monastero di San Pedro deArlanza. Il Museo de Arte de Cataluña e The Cloistersdi New York ne conservano considerevoli frammenti,raffiguranti leoni giganteschi e possenti grifoni dallecurve cariche di tensione ed energia, accanto a creatureminori che dovevano ricoprire tutte le pareti, produ-cendo un effetto ben diverso da quello del monastero diSijena. In realtà, non sappiamo se insieme a questi esi-stesse un programma piú definito. Si collocano nell’am-bito dell’arte del Duecento, in quanto paragonabili dalpunto di vista stilistico a Sijena. Esistono notevoli dif-ferenze tra l’imperturbabilità dell’arte dell’uno e la vio-lenza dell’altro, pur assomigliandosi i tipi.

Un altro centro è rappresentato da Toledo. Conqui-stata alla fine dell’XI secolo e capitale metropolitanareligiosa della penisola, città emblematica per i cristia-ni che volevano ricostruire l’ideale regno visigoto, pos-siede un curioso tessuto sociale. Non si conquistò con

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la forza, bensí se ne patteggiò la resa. Vi risiedono ungran numero di musulmani e una vasta colonia ebrea emozarabica. Ubicata lontano da cave di pietra, ricorreràa muratori mudéjar (i musulmani soggiogati) per erigerechiese, fortificazioni e palazzi. Fino alla fine del XVsecolo l’unico edificio gotico sarà la cattedrale. Ma primache abbia inizio quest’opera di costruzione, si riutiliz-zano le vecchie moschee per il culto cristiano. Alcunevengono risistemate per adattarle al nuovo uso. Cosí, lamoschea di Bab al-Mardún diverrà in seguito la chiesadel Cristo de la Luz, dopo avere divelto il muro di kiblae costruito un’abside semicircolare di mattoni. Altrevengono erette di sana pianta, come San Román. Inve-ce di imbiancare le pareti interne con la calce o adornarlecon motivi decorativi si rivestono di affreschi romani-ci, dando luogo pertanto allo sviluppo di una scuola dipittura a stretto contatto con un’altra di miniatura. Inparte studiata di recente (Raizman), si mette in eviden-za per tale contatto. Le menzionate chiese del Cristo dela Luz e di San Román sono le sue opere piú caratteri-stiche, mentre il Trattato di San Ildefonso (Madrid,Biblioteca Nacional) e il Beato Morgan II o de Las Huel-gas, del 1220, sono i libri di maggiore interesse. Vi eranostati in precedenza contatti con la miniatura di Burgos.A partire da questo momento l’influenza s’invertirà, manon prima del 1200. Ancora piú tardi sono gli affreschirinvenuti in un’altra chiesa mudéjar della provincia diMadrid: San Martín de Valdilecha (Bango).

León. León e Compostela continuano a essere le cittàpiú importanti del regno, anche una volta scisse dallaCastiglia. Nella prima, sia San Isidoro sia la cattedralecommissionano opere miniate. Scomparsa la prima cat-tedrale in seguito all’edificazione dell’edificio goticoposteriore, non sappiamo se esistessero dipinti murali.A San Isidoro rimangono, nella cosiddetta cappella dei

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Quiñones, alcuni affreschi raffiguranti un eccellenteciclo tematico. Devono risalire all’inizio del XIII seco-lo e, rivelando una mediocre esecuzione tecnica, riflet-tono gli ambienti del Duecento.

Tale mediocrità ci sorprende, dal momento che anniprima Santo Martino dirigeva uno scriptorium che copia-va le proprie opere (collegiata di San Isidoro di León).Vi lavoravano vari miniaturisti di tecnica molto simile,ai quali venne richiesto di realizzare delle iniziali conun’unica figura. La relazione con il gusto bizantinoorientale è molto chiara in ognuna di queste iniziali,frontali, solenni, dotate di una certa monumentalità,con il volume dei volti ottenuto tramite i toni piú checon le linee. Del tutto sorprendente è il «ritratto» dellostesso Martino, riconosciuto come tale, la cui presenzanon ha giustificazione alcuna tra santi, profeti, immaginidi Gesú e motivi animali. Si presume che lavorasse trail 1188 e il 1200 circa. Vi sono altri codici che rifletto-no lo stile dello scriptorium, ma questo dovette dedicar-si successivamente al cosiddetto Libro de las Estampas(Cattedrale di León), commissionato come cartularioper la cattedrale, in concorrenza con quelli già realizza-ti per Oviedo e Compostela.

Fuori dalla città rimane ben poco, ma vi è un’operadi un certo rilievo che ci piace menzionare, data la scar-sità di questo tipo di oggetti in Spagna: l’arca di Carri-zo de Ribera, nota come arca di Astorga, in quanto siconserva presso il Museo della Cattedrale di questa città.È di grandi dimensioni, 150 centimetri di altezza e 116di larghezza. Sul davanti vi è raffigurata la Maestà congli apostoli e sul coperchio un ciclo di quattordici sto-rie, dall’Annunciazione alla Resurrezione. Pur essendo-vi chi l’ha fatta risalire alla fine del XIII secolo, rite-niamo che fosse realizzata nel primo quarto dello stes-so secolo.

La Galizia ha perduto, sempre che ve ne fosse molta,

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tutta la produzione legata all’arte del colore. Santiagocontinua a essere un centro straordinario in cui si portaa termine la cattedrale, con il Portico della Gloria, e siamplia il palazzo arcivescovile. Ma che cosa ci è giun-to della pittura o della miniatura? Solo due opere ecce-zionali, due miniature a foglio intero aggiunte al TumboA. Una rappresenta Ferdinando II e fa da modello allaseconda, raffigurante Alfonso IX (f. 62v). In entrambii casi vi lavorano due grandi artisti, dallo stile comple-tamente diverso. Il primo proviene dall’Inghilterra,ancora una volta, e si presume conoscesse il Salterio diWinchester (Sicart). È questi a creare il tipo del re cava-liere, lancia in resta, collocandovi al di sotto un leonepressoché araldico. Il secondo, che prende a modelloper la sua immagine quella del predecessore, opera giànel XIII secolo, all’interno di uno stile non moltodistante dalla bottega di Santo Martino di León. È benchiaro che è impossibile che si facesse venire un minia-turista dall’Inghilterra solo per dipingere una pagina diun manoscritto. Si deve pertanto supporre che a Com-postela fosse attiva una bottega di miniaturisti per tuttoil XII e l’inizio del XIII secolo, sebbene siano giuntifino a noi solo scarsi frammenti della sua produzione.La perdita di tutto ciò che non fosse il libro dei privi-legi si spiega, in parte, con l’accenno fatto nel XVIsecolo da Ambrosio de Morales, secondo il quale ilcapitolo dei canonici aveva ben poca cura dei suoi libritanto che vendette una biblioteca che gli era stata appe-na donata.

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