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45 «Stranieri, chi siete? e di dove navigate i sentieri dell’acqua? forse per qualche commercio, o andate errando così, senza meta sul mare, come i predo- ni, che errano giocando la vita, danno agli altri portando?» (Omero, Odissea, IX, 252-5, trad. di R. Calzecchi Onesti) La domanda rivolta da un irato Polifemo ad Ulisse e ai suoi compagni, fur- tivamente introdottisi nella sua grotta, mette in risalto come nella remota arcai- cità il limite tra commercio e attività predatorie fosse quanto mai sfumato. Breve tempo dovette passare dall’inizio della navigazione mediterranea nella sua declinazione mercantile, a quando si manifestarono i primi attacchi delle leggere e veloci feluche dei pirati. Va rilevato che in epoca omerica l’andar per mare era prerogativa solo degli aristocratici, che abbandonate provvisoriamente le attività agricole potevano permettersi di armare una nave ed equipaggiarla con i loro compagni e con schiavi. Comportamenti simili erano ben noti ai principi achei, non a caso riuni- ti sotto le mura di Troia per vendicare un atto di rapina. In sostanza chi aveva la possibilità di commerciare o razziare schiavi e bestiame, vino e cereali, per scambiarli soprattutto con metalli e oggetti preziosi, era in grado di affrancarsi da ogni bisogno e pertanto la pirateria non recava vergogna, ma buon nome co- me ricorda Tucidide (Guerra del Peloponneso, I, 5, trad. a cura di F. Ferrari): «Giacchè i Greci anticamente e, tra i barbari, quelli che sono costieri e abi- tano nelle isole, da quando avevano cominciato ad attraversare più frequente- mente il mare per recarsi gli uni dagli altri, si erano dati alla pirateria sotto la guida dei più abili, in cerca di guadagno per sé e di nutrimento per i più debo- li; e, assalendo le città che erano senza mura e disperse in villaggi le saccheg- giavano e così si procuravano la maggior parte dei loro mezzi di sussistenza, senza ancora vergognarsi di questo modo di agire, il quale anzi portava loro perfino una certa gloria. Anche ora lo dimostrano alcuni popoli della terrafer- ma, per i quali è un onore esercitare con successo la pirateria, e lo dimostrano gli antichi poeti nelle domande che senza eccezione facevano rivolgere dapper- tutto a coloro che sbarcavano, vale a dire se erano pirati. Giacché gli uni non respingevano come indegno quel fatto di cui gli altri li interrogavano e gli altri, che avevano interesse a sapere questa cosa, non la biasimavano. Ma anche in terra praticavano reciprocamente la pirateria, e anche ora in molte parti della Grecia si vive alla maniera antica, presso i Locresi Ozoli, gli Etoli, gli Arcaniani e i paesi di terraferma situati da quelle parti. A questi popoli con- tinentali è rimasta, dall’antica abitudine alla pirateria, l’abitudine di andare armati». Il passo di Tucidide mette in luce altre due caratteristiche peculiari del sac- cheggio: pirateria e brigantaggio erano in realtà le due facce di una stessa medaglia, con origini e motivazioni identiche, ma che si esplicavano con tecni- che e mezzi differenti semplicemente perché l’azione avveniva in ambienti diversi, le acque o la terra. Appare quindi logico che altre popolazioni quali per esempio i Liguri o gli Isauri dell’Anatolia sud orientale, abitanti di imper- vie terre montuose e con coste alte a strapiombo sul mare, potessero con la stessa facilità scendere a valle a razziare o, avvistato un lento convoglio com- LA PIRATERIA NELLA NAVIGAZIONE ANTICA di Luca Cavazzuti © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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«Stranieri, chi siete? e di dove navigate i sentieri dell’acqua? forse perqualche commercio, o andate errando così, senza meta sul mare, come i predo-ni, che errano giocando la vita, danno agli altri portando?» (Omero, Odissea,IX, 252-5, trad. di R. Calzecchi Onesti)

La domanda rivolta da un irato Polifemo ad Ulisse e ai suoi compagni, fur-tivamente introdottisi nella sua grotta, mette in risalto come nella remota arcai-cità il limite tra commercio e attività predatorie fosse quanto mai sfumato.Breve tempo dovette passare dall’inizio della navigazione mediterranea nellasua declinazione mercantile, a quando si manifestarono i primi attacchi delleleggere e veloci feluche dei pirati.

Va rilevato che in epoca omerica l’andar per mare era prerogativa solo degliaristocratici, che abbandonate provvisoriamente le attività agricole potevanopermettersi di armare una nave ed equipaggiarla con i loro compagni e conschiavi. Comportamenti simili erano ben noti ai principi achei, non a caso riuni-ti sotto le mura di Troia per vendicare un atto di rapina. In sostanza chi aveva lapossibilità di commerciare o razziare schiavi e bestiame, vino e cereali, perscambiarli soprattutto con metalli e oggetti preziosi, era in grado di affrancarsida ogni bisogno e pertanto la pirateria non recava vergogna, ma buon nome co-me ricorda Tucidide (Guerra del Peloponneso, I, 5, trad. a cura di F. Ferrari):

«Giacchè i Greci anticamente e, tra i barbari, quelli che sono costieri e abi-tano nelle isole, da quando avevano cominciato ad attraversare più frequente-mente il mare per recarsi gli uni dagli altri, si erano dati alla pirateria sotto laguida dei più abili, in cerca di guadagno per sé e di nutrimento per i più debo-li; e, assalendo le città che erano senza mura e disperse in villaggi le saccheg-giavano e così si procuravano la maggior parte dei loro mezzi di sussistenza,senza ancora vergognarsi di questo modo di agire, il quale anzi portava loroperfino una certa gloria. Anche ora lo dimostrano alcuni popoli della terrafer-ma, per i quali è un onore esercitare con successo la pirateria, e lo dimostranogli antichi poeti nelle domande che senza eccezione facevano rivolgere dapper-tutto a coloro che sbarcavano, vale a dire se erano pirati. Giacché gli uni nonrespingevano come indegno quel fatto di cui gli altri li interrogavano e glialtri, che avevano interesse a sapere questa cosa, non la biasimavano. Maanche in terra praticavano reciprocamente la pirateria, e anche ora in molteparti della Grecia si vive alla maniera antica, presso i Locresi Ozoli, gli Etoli,gli Arcaniani e i paesi di terraferma situati da quelle parti. A questi popoli con-tinentali è rimasta, dall’antica abitudine alla pirateria, l’abitudine di andarearmati».

Il passo di Tucidide mette in luce altre due caratteristiche peculiari del sac-cheggio: pirateria e brigantaggio erano in realtà le due facce di una stessamedaglia, con origini e motivazioni identiche, ma che si esplicavano con tecni-che e mezzi differenti semplicemente perché l’azione avveniva in ambientidiversi, le acque o la terra. Appare quindi logico che altre popolazioni qualiper esempio i Liguri o gli Isauri dell’Anatolia sud orientale, abitanti di imper-vie terre montuose e con coste alte a strapiombo sul mare, potessero con lastessa facilità scendere a valle a razziare o, avvistato un lento convoglio com-

LA PIRATERIA NELLA NAVIGAZIONE ANTICAdi Luca Cavazzuti

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merciale, armare le navi tenute nascoste in grotte e anfratti sicuri, inseguirlo eabbordarlo, per poi rifugiarsi indisturbati sui monti.

Altro aspetto di fondamentale importanza era il saccheggio dei centri abita-ti, che procurava ai predoni la maggior fonte di guadagno, in quanto permette-va una retata di esseri umani pronti per essere venduti al miglior offerente nelmercato di schiavi più vicino, o liberati dietro un ingente riscatto.

«…I pirati vennero nella nostra terra di notte e portarono via trenta o piùgiovani ragazze e donne ed altre persone, schiave e libere. Mollarono gliormeggi alle nostre navi nel porto e, prendendo la nave di Dorieo, fuggirono sudi essa con i prigionieri e il bottino…» (Silloge Inscriptionum Graecarum, I,521).

Con queste parole incise nel marmo, la piccola comunità dell’isola diAmorgo onorò due dei prigionieri, che riuscirono a convincere i predoni a trat-tenerli come ostaggi e a liberare gli altri.

La legittimità della pirateria preclassica cominciò a vacillare dal V sec. a.C.quando si svilupparono tra Greci pratiche e abitudini rivolte alla tutela e allasicurezza dell’individuo; anche se tali usanze raggiungeranno solo più tardi ein ambito romano un inquadramento di tipo giuridico furono percepite edosservate come norme di comportamento collettivo. Da quest’epoca la legitti-mità al saccheggio fu circoscritta ai periodi bellici, con il preciso scopo diosteggiare l’avversario nei suoi interessi economici, ma al di fuori della guerradichiarata divenne sinonimo di barbaro, alieno alle tradizioni e quindi all’iden-tità etnica dei Greci.

Non a caso Tucidide definisce barbari popolazioni del nord della Greciacome gli Etoli dediti alla pirateria ancora in epoca romana, quindi il tema fon-damentale sviluppato dallo stesso autore è che la pirateria trova terreno fertileladdove gli stati e le istituzioni politiche centrali sono deboli o del tutto assen-ti. Concetto che sembra suffragato dalle parole di Teuta, regina degli Illiri,allorché rispondendo agli ambasciatori romani inviati nel 230 a.C. per lamen-tare i continui attacchi alle onerarie italiche dirette verso la Grecia disse:

«..che,in ambito pubblico,avrebbe cercato di fare in modo che nessun tortovenisse fatto ai Romani dagli Illiri, ma che, nella sfera privata, non era consue-tudine dei re impedire agli Illiri di fare bottino sul mare… (e dopo la francarisposta del più giovane degli ambasciatori)… a tal punto si irritò per quantoera stato detto che, senza curarsi dei diritti fissati tra gli uomini, inviò qualcu-no contro di loro, che stavano salpando a uccidere quell’ambasciatore che siera espresso così liberamente». (Polibio, II, 8, trad. di M. Mari).

L’episodio rappresentò il casus belli per lo scoppio della prima guerra illiri-ca (229-228 a.C.), che segnerà il primo coinvolgimento romano nel Mediterra-neo orientale.

Nonostante l’intervento, Roma giungerà alla piena funzione di polizia deimari molto lentamente e solo nella tarda Repubblica, di pari passo con la cre-scita dei propri interessi politici e commerciali verso il Levante, tanto da susci-

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tare in tempi più antichi le proteste di Alessandro Magno prima e le accuse diDemetrio Poliorcete poi:

«Precedentemente gli Anziati possedevano navi e partecipavano con i Tir-reni ad atti di pirateria, sebbene fossero già soggetti ai Romani. È per questoche Alessandro, in epoca anteriore, mandò un’ambasceria per esprimere le suelamentele e Demetrio poi, rinviando ai Romani i pirati catturati, disse che face-va loro il favore di rimandare i prigionieri per il legame di parentela con iGreci, ma che non era cosa dignitosa che gli stessi uomini fossero al comandodell’Italia e intanto inviassero bande di pirati e che, avendo costruito nel Foroun tempio ai Dioscuri, onorassero quelli che tutti chiamano Salvatori, ma poimandassero in Grecia, la patria dei Dioscuri, gente che andava lì per depreda-re. I Romani così cessarono da questa attività».

Le parole di Strabone (Geografia, V,3,5, trad. di A.M. Biraschi) mettono inevidenza un atteggiamento non molto dissimile da quello di Teuta, anche se lareazione romana fu decisamente diversa: quantomeno gli ambasciatori nonfurono trucidati. D’altra parte Plutarco nella Vita di Pompeo (cap. 24) , ricordacome ancora tra II e I sec. a.C. ci fossero personaggi di illustri famiglie impli-cati nei traffici della pirateria; infatti enormi guadagni potevano scaturire dacomplicità di vario genere: non solo la diretta partecipazione ai raids, maanche il riciclaggio e la rivendita di mercanzie rubate, magari frodando le com-pagnie assicurative o più semplicemente la vendita d’informazioni preziose.

Il fenomeno della pirateria era quindi intimamente legato ai traffici com-merciali e appariva abbastanza generalizzato in tutto il bacino del Mediterra-neo. Ad Oriente oltre a Illiri, Etoli e Fenici operavano i Cretesi, provetti navi-gatori e famosi arcieri: presero varie località delle Sporadi e controllavanoanche capo Malea, all’estremità meridionale del Peloponneso; di conseguenzacostringevano le onerarie, che viaggiavano fra l’Italia e la Grecia, a mantenersial largo e possibilmente scortate da navi armate.

A Occidente la testimonianza di Strabone ricordava gli Anziati e i Tirreni;quest’ultimi erano a tal punto famosi nell’antichità che il loro nome era diven-tato leggendario sinonimo di pirati. Nel settimo degli Inni Omerici si narra ilmito di Dioniso rapito dai pirati Tirreni, i quali, credutolo figlio di un re per lasua bellezza, lo catturarono e lo imbarcarono sul loro vascello con l’intenzionedi venderlo come schiavo; ma ben presto dalla nave cominciò a zampillarevino che profumava d’ambrosia, sulla sommità della vela apparvero racemi divite da cui pendevano ricchi grappoli d’uva, mentre una rigogliosa edera ador-na di fiori avvolgeva l’albero maestro e gli scalmi erano tutti inghirlandati.

I pirati sbalorditi cercarono di guadagnare la costa, ma il giovinetto dallechiome turchine si trasformò in un leone dall’aspetto terribile, che si avventòsul comandante e lo ghermì. Gli altri atterriti si gettarono in mare, ma furonotrasformati dal dio in delfini; solo il pilota che aveva riconosciuto la naturadivina del prigioniero fu risparmiato e ricompensato.

Un tale incantesimo portò i delfini ad essere amici degli uomini e a soccor-rerli nei naufragi, poiché dietro il loro aspetto si nasconderebbero i pirati pen-titi.

Questo racconto era celeberrimo nell’antichità e ha lasciato varie tracce

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nella decorazione ceramica, come ad esem-pio la bella coppa dipinta da Exékias, doveun Dioniso regale riposa sulla nave dei piratiadorna di grappoli odorosi, mentre i malca-pitati nuotano tra i flutti sotto forma di delfi-ni (fig. 1).

Secondo gli storici moderni i Tirrenidella leggenda non rappresenterebbero perògli Etruschi, bensì i loro avi dell’Egeo, origi-nari dell’isola di Lemno; in ogni caso sonodocumentate storicamente anche azioni pira-tesche dei Tirreni d’occidente, sia nel Tirre-no che in Adriatico.

Nel 339 a.C. Timoleonte di Siracusa sorprese e mise a morte il potente pira-ta etrusco Postumio comandante di una flotta forte di ben dodici vascelli; l’ori-gine di Postumio va ricercata nell’ambito dell’Etruria meridionale, probabil-mente a Cerveteri dove è noto il corrispondente gentilizio etrusco. L’annoseguente Roma conquistò la città volsca di Anzio, e manifestò la vittoria ador-

nando la tribuna degli oratori nel Foro consei rostri strappati alle navi dei pirati, ma lacollaborazione tra Anziati ed Etruschi conti-nuerà con l’utilizzo della base navale allafoce dell’Astura.

Sul versante adriatico è nota l’opera degliabitanti di Spina durante il IV sec. in antitesicon la politica espansionistica di Dionigi diSiracusa prima e di Atene in seguito, maanche in tempi precedenti, quando i rapporticommerciali tra le due etnie trovavano nel-l’emporio di Spina uno dei punti di contattoe scambio commerciale, gli etruschi, proba-bilmente sotto l’orchestrazione di Felsina,conducevano operazioni di corsa sul marecontro e nello stesso tempo a difesa dallepopolazioni rivierasche dalmate.

In questo senso va interpretata la stele diVel Kaikna, proveniente dalla necropoli deiGiardini Margherita a Bologna (fig. 2). Larappresentazione sul lato principale restitui-sce una nave da guerra dall’alta prua, armatacon il rostro e azionata da due file di remato-ri, di cui sono visibili le teste. Sul pontecompaiono il nocchiero, che guida l’imbar-cazione seduto a poppa, mentre a prua sinota un personaggio di vedetta e al centrodue armati con lancia e corazza. L’evidenza

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1. - Kylix attica a figure neredipinta da Exékias (550-530 a. C.).Staatliche Antikensammlungen,Munich.

2. - Stele 10 del sepolcreto deiGiardini Margherita. Museo Civi-co Archelogico, Bologna.

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figurativa induce ad attribuire a Kaikna un ruolo politico-militare, probabil-mente quello di navarca della flotta etrusca a Spina.

D’altra parte anche Strabone (Geografia, V,1,7) ricorda quanto potente sulmare fosse stata la città di Spina in tempi più antichi a quelli da lui vissuti,tanto da offrire un tesoro nel santuario di Delfi, e in un altro passo (III, 16,120)specifica che il tesoro conteneva i frutti delle prede di guerra.

Altre feluche incrociavano sulle acque tirreniche. Nel 181 a.C. il console L.Emilio Paolo guidò una spedizione a tenaglia per terra e per mare contro iLiguri di ponente, in particolare Ingauni e gli Intemeli, che si davano al brigan-taggio sui monti e pirateggiavano sul mare sino alle colonne d’Ercole. Presetra due fuochi le tribù liguri si arresero: furono catturate trentadue navi corsarecon i comandanti e i piloti. Livio (XL, 28; 34) ricorda che nel trionfo celebratodal console l’anno seguente vennero esposti molti principi dei Liguri, probabil-mente gli esponenti di questa aristocrazia di guerrieri e armatori che mal sotto-stava ai trattati stipulati con i Romani all’indomani del conflitto annibalico.

Esistevano poi gruppi forse meno organizzati di pescatori-predoni, i lestaimenzionati da Cassio Dione (LV,28), che operavano lungo le coste della Sarde-gna; ma per sedare i disordini da loro fomentati fu necessario sia l’interventodella flotta che quello dell’esercito. Per non sottostare al giogo romano alcunigruppi fuggirono verso le Baleari dove trovarono l’alleanza dei locali abitanti,famosi ed esperti frombolieri. Dall’arcipelago iberico i rivoltosi sarebbero statiin grado sia di fomentare disordini in Sardegna e in Gallia forzando i blocchinavali, sia di razziare le navi che viaggiavano tra l’Italia, la Gallia e la Spagna,profittando del gran numero di insenature e porti naturali offerti dalle costebaleariche.

Come si è mostrato sin ora la pirateria era un fenomeno sviluppato in variezone, ma comunque con una sfera d’azione di breve o medio raggio; la situa-zione si modificò radicalmente a partire dalla metà del II sec. a.C.: con la crisidel regno dei Seleucidi e il decadere della potenza navale di Rodi, la recrude-scenza degli attacchi proliferò in ogni parte del Mediterraneo. D’altra parteRoma, divenuta ora potenza di primo piano in Oriente con le vittorie su i regniellenistici, era restia nel mantenere una grande flotta permanente ed anzi avevacreato sull’isola di Delo un grande porto franco dove non si facevano troppedomande circa la provenienza delle merci o degli schiavi; schiavi che in granparte soddisfacevano il bisogno di manodopera romana.

Sulla costa meridionale dell’Anatolia, la Cilicia era il centro propulsoredella pirateria, grazie anche ad un habitat ideale costituito da un’estensione dimontagne scoscese, che si gettano in mare con una successione di promontoria precipizio e di profondi fiordi; così protetti alle spalle dai monti contro qual-siasi attacco di forze terrestri, potevano sfruttare la varietà di ridossi e di coviben nascosti sulla costa per sferrare i loro attacchi.

I Cilici stabilirono il loro quartier generale nella roccaforte di Coracesium,odierna Alanya, una specie di Gibilterra in miniatura, appolaiata su una rocciaa strapiombo sul mare e unita alla terraferma solo da uno stretto istmo; matutta la costa era disseminata di piazzeforti secondarie per il ricovero delle navie di torri per l’avvistamento e le segnalazioni.

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Quando poi nel 88 a.C. Mitridate VI Eupatore cominciò la sua rivolta con-tro Roma, i pirati divennero il braccio armato del re sui mari mettendo a suadisposizione la migliore flotta di tutto il Mediterraneo. Essi si consideravanoappartenenti ad una solidale comunità più grande e relativamente unita, nellaquale confluivano gruppi di varie etnie quali Siriani, Panfilii, Ciprioti, Ponticie di altre zone del Mediterraneo orientale. Secondo Appiano (Guerre Mitrida-tiche, 92) lo sfruttamento attuato dai pubblicani romani ai danni della Provin-cia d’Asia generò profondi sentimenti antiromani, che Mitridate fomentò per isuoi scopi; così i nemici di Roma divennero gli alleati naturali dei pirati, che sispinsero sino nelle acque delle Baleari in aiuto di un altro ribelle: Sertorio.

In sostanza si può parlare di una vera e propria “internazionalizzazione” delfenomeno piratico. Le testimonianze lasciateci dagli autori antichi mostranouna situazione di totale terrore, che pervadeva ogni zona, con il mare in com-pleto dominio dei predoni: queste le parole di Plutarco (Vita di Pompeo, 24,trad. di A. Marcone):

«L’attività dei pirati prese le prime mosse dalla Cilicia…[e] trovò nuovaconferma e nuova convinzione nel corso della guerra contro Mitridate, al cuiservizio essa si era posta. Poi, durante le guerre civili, quando i Romani, prese-ro a farsi la guerra gli uni contro gli altri alle porte di Roma, il mare, lasciatosenza sorveglianza, cominciò ad attirare e a spingere i pirati sempre più lonta-no, tanto che si misero ad attaccare non solo le imbarcazioni, ma anche le isolee le città costiere….In più luoghi vi erano approdi sicuri per le navi corsare,posti fortificati atti a dare segnalazioni, squadre d’assalto che non solo per ilvalore degli equipaggi, la capacità dei nocchieri, la rapidità e la leggerezzadelle imbarcazioni, erano particolarmente adatte al loro compito, ma offende-vano per l’eccesso della loro magnificenza più di quanto non destassero timo-re. Le prue dorate, i tappeti di porpora e i remi d’argento davano l’impressioneche le loro malefatte li riempissero d’orgoglio e di soddisfazione….Le navi deipirati erano più di mille e le città di cui si impadronirono furono più di quattro-cento. Tra i santuari, sino ad allora sacri e inviolabili, invasero e saccheggia-rono quelli di Claro, Didima, e Samotracia, a Ermione il tempio della dea Cto-nia e quello di Asclepio a Epidauro, quelli di Nettuno all’Istmo, a Tenaro e aCalauria, quelli di Apollo ad Azio e a Leucade, quelli di Giunone a Samo, adArgo e a Lacinio… Dopo aver recato moltissimi oltraggi ai Romani, arrivaro-no a praticare, partendo dal mare, il brigantaggio anche sulle strade e sulleproprietà vicine. Una volta rapirono persino due pretori, Sestilio e Bellieno,nelle loro vesti ornate di porpora e li portarono via insieme ai loro servitori elittori. Si impadronirono anche della figlia di Antonio, un uomo che avevaavuto l’onore del trionfo, mentre si recava in campagna e non la rilasciaronose non dietro un forte riscatto».

Un fenomeno di tale portata non aveva più solo implicazioni commerciali,ma anche politiche e sociali: la stessa Roma, si trovava sull’orlo di una nefastacarestia, dal momento che gli approvvigionamenti non giungevano più nelporto di Ostia e addirittura una flotta intera fu distrutta dai pirati all’interno delporto; a questo punto l’intervento romano, guidato da Gn. Pompeo, fu tantoveloce quanto efficace; ancora Plutarco (Vita di Pompeo, 25-28, trad. di A.Marcone):

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«25. …Allora Gabinio, uno degli intimidi Pompeo, propose una legge che gli con-feriva non dico il comando della flotta, maaddirittura un potere assoluto e universa-le…[con una] autorità sul mare sino alleColonne d’Ercole e dovunque sulla terra-ferma, entro un raggio di quattrocentostadi dal mare. Pochi erano, allora, i terri-tori dei Romani che si trovassero fuori diquesto ambito, che per altro comprendeva ipopoli più importanti e i re piùpotenti….Furono equipaggiate per lui cin-quecento navi e raccolti centoventimilafanti e cinquemila cavalieri. Scelse all’in-terno del senato ventiquattro luogotenenti egenerali, e si affiancò due questori…

26. …[Pompeo] provvide a dividere l’intera estensione del mare Mediterra-neo in tredici settori, affidandone ciascuno a una flotta di una determinataentità con un luogotenente, così che, grazie a questa flotta disseminata contem-poraneamente ovunque, poteva accerchiare i gruppi di pirati che incontrava edare loro la caccia fino a respingerli verso terra. Poiché quelli che riuscivanoa disperdersi tempestivamente e a sfuggirgli andavano a rifugiarsi, convergen-do da tutte le parti, in Cilicia, come api in un alveare, si apprestò lui stesso ainseguirli con sessanta delle sue navi migliori. Ma non volle dirigersi contro diloro prima di aver liberato dai pirati che li infestavano, in soli quaranta giorni,il mare Tirreno, il Libico, il mare di Sardegna, di Corsica e di Sicilia…

28. Tuttavia la maggior parte e i più potenti dei pirati avevano messo alsicuro le loro famiglie e le loro ricchezze, insieme alla massa di coloro che nonservivano alla guerra, nei castelli e nelle piazzeforti del Tauro e, imbarcatisisulle navi, si accingevano a fronteggiare l’arrivo di Pompeo nei pressi di Cora-cesio, in Cilicia; ingaggiata battaglia furono sconfitti e quindi assediati… siarresero, consegnando le città e le isole di cui si erano impadroniti e che ave-vano fortificato… La guerra fu così conclusa: i pirati furono cacciati ovunquedal mare in non più di tre mesi, e Pompeo catturò, tra le molte altre, novantanavi dotate di speroni di bronzo».

In totale furono necessari poco più di sei mesi per preparare e portare acompimento la guerra, tra la fine del dell’inverno del 67 e l’estate del 66 a.C.

Un fenomeno così vasto, che ha lasciato tracce voluminose nelle paroledegli autori antichi, non ha prodotto però la stessa mole di testimonianzearcheologiche. Alcune le possiamo riscontrare nell’iconografia della ceramicaantica, in particolare la famosa coppa attica a vernice nera B 436 del BritishMuseum, dipinta intorno al 510 a.C., dove assistiamo all’attacco di una naveda guerra ai danni di un’imbarcazione commerciale (fig. 3).

Nella prima scena si nota la feluca pirata, bassa e filante sull’acqua, con laprua a testa di cinghiale, che termina nel terribile muso-sperone. Tutti i rema-tori sono seduti ai loro banchi, intenti nello spasimo della voga per lanciare lanave alla massima velocità e raggiungere la preda: un lento e ingombrantenaviglio commerciale, che procede a velatura ridotta. Nella seconda immagineil mercantile ha invece la grande vela quadrata completamente spiegata nell’e-stremo tentativo di fuga, mentre gli assalitori non sono più al loro posto, alcuni

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3. - Kylix attica a figure nere (c.510 a.C.). British Museum, Lon-don; (da Casson 1995).

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4. - Nike di Samotracia (200-180a.C.). Musée du Louvre, Paris; (daPomey 1997).

li vediamo ora in piedi, intenti ad armeggiare con la velatura e l’albero mae-stro; forse hanno desistito dall’attacco? L’insieme della rappresentazione èstata convincentemente spiegata da L. Casson: in combattimento una navedoveva muoversi con molta più agilità rispetto alla navigazione di crociera, perpoter sfruttare appieno le potenzialità offensive del rostro, quindi era insuffi-ciente, per non dire pericoloso, affidarsi alla sola forza del vento. In genere uncomandante, che si accingeva all’attacco, ordinava di abbassare albero e vela-tura per abbandonarli sulla spiaggia, poiché a bordo non c’era posto per alber-gare simili attrezzature.

Per soddisfare le proprie esigenze, i pirati idearono allora una singolaresoluzione tecnica, che sarà ripresa in seguito anche dalla regolare marina daguerra: trasformarono la classica galea a due banchi di rematori nella hemiolia,la “uno e mezzo”. Questo tipo di nave permetteva loro di navigare durante

l’inseguimento sia con le vele che con la propulsione aremi, ma quando la preda era raggiunta e l’azione d’ab-bordaggio pronta, metà dei rematori dei banchi superiori,quelli tra l’albero e la poppa, abbandonavano il loro postoe fissavano i remi; così non solo si lasciava un ampio spa-zio dove riporre albero e velatura, ma una dozzina diuomini in più era pronta per l’abbordaggio.

È questo il momento “fotografato” nella secondascena in cui si vedono alcuni dei pirati in piedi, intentinell’imbracare le vele e nell’abbattere l’albero, prontiall’attacco. Se confrontiamo la rappresentazione dell’he-miolia nelle due immagini, noteremo che nella seconda iremi della parte di poppa sono disposti su un’unica lineae non su due come nella prima immagine, proprio perchéquelli arretrati dei banchi superiori sono stati tolti.

La grande nemica della hemiolia era la triemioliaricordata in molte fonti antiche; creata nei cantieri di Rodiproprio per dare la caccia alle navi pirata, rappresentavauno sviluppo della hemiolia come indica il nome stesso.In realtà non è ancora chiaro quale fosse la disposizionedei rematori, cioè se si trattasse di una trireme che, accin-gendosi all’abbordaggio, si trasformava in una due emezzo, oppure una soluzione sempre di uno e mezzo, macon due rematori per ogni livello; in ogni caso il sistemadell’abbattimento dell’albero rimaneva analogo a quelloutilizzato dai pirati.

Molti degli studiosi moderni hanno riconosciuto il tipodi nave rodia in alcuni monumenti, dei quali il più famo-so è indubbiamente la cosiddetta Nike di Samotracia. Sitratta di una statua di vittoria alata montata sulla prua diuna nave da guerra, una triemiolia appunto, che DemetrioPoliorcete offrì al santuario panellenico dopo la vittoria diSalamina di Cipro nel 306 a.C. sui Tolomei (fig. 4) .

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6. - Relitto di Spargi in corso discavo (prima metà I sec. a.C.); (daPallarés, «Bollettino d’arte» sup-pl. al n. 37-38, 1986).

Un valido supporto per lostudio della pirateria puòessere ricercato anche nel-l’archeologia subacquea, che,con uno sviluppo considere-

vole negli ultimi quarant’anni, ha permesso di far luce su vari aspetti dellanavigazione antica, dal commercio alle tecniche di costruzione navale e più ingenerale sul rapporto tra l’uomo e il mare. Come è noto i reperti che abitual-mente si rinvengono sui relitti di navi antiche sono quelli più resistenti, perloro natura, all’azione degli agenti marini, in particolar modo: anfore, cerami-che, pietre, marmi e alcuni metalli. Molto rari sono anche gli oggetti di usopersonale ed eccezionali sono i resti umani; nonostante ciò sin dall’inizio dellericerche sottomarine furono ritrovate su alcuni relitti delle armi: elmi, spade,giavellotti e corazze il cui impiego in base alla funzione commerciale dellenavi, rimaneva oscuro. D’altra parte in alcune situazioni i reperti si prestano aspiegazioni anche contraddittorie, ad esempio la presenza di una preziosacorazza anatomica di I sec. d.C. sul relitto B della Cueva del Jarro in Andalu-sia, potrebbe segnalare la presenza a bordo di un alto ufficiale in trasferimentoo fare parte del carico; però nonostante casi particolari sembra evidente un filoconduttore che lega i ritrovamenti.

Già all’inizio degli anni Ottanta P.A. Gianfrotta pubblicava un lavoro, chemetteva in evidenza la pertinenza delle armi ai marinai stessi o ad un gruppo diarmati presenti a bordo con lo specifico compito di difendere i convogli.

D’altra parte non mancano certo le testimonianze di autori antichi qualiPolluce (VII,139) o passi del Digesto (IV,9,1,3), che parlano di personale dibordo con mansioni di vigilanza come i nauphilakes o i dietarii di età tardoan-

tica; o di vere e proprie scor-te, sia in mare per difenderead esempio i preziosi riforni-menti granari dall’Egitto o lenavi mercantili che veleggia-vano nel Mar Rosso, sia interra per le carovane cheattraversavano i deserti.

In questa ottica il recupe-ro più sorprendente è statoquello di un elmo concrezio-nato con parte di una calottacranica, su una nave onerarianaufragata alla fine del IIsec. a.C vicino all’isola diSpargi, nell’arcipelago dellaMaddalena (fig. 5). L’imbar-cazione trasportava un caricocomposto essenzialmente dianfore contenenti vino dell’I-

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5. - Elmo romano concrezionatocon parte di calotta cranica dal re-litto di Spargi (prima metà I sec.a.C.). Museo archeologico navale“Nino Lamboglia”, Isola dellaMaddalena (SS); (foto Sopr. Arch.Sassari e Nuoro).

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talia meridionale e ceramica a vernice nera e di altro tipo (fig. 6). Si sono rin-venuti anche i frammenti di un secondo elmo, una punta di lancia e alcune bor-chie appartenenti probabilmente a una corazza; ma è soprattutto la presenzadel cranio umano con il suo elmo che ha fornito un’indicazione precisa, graziealla quale possiamo ipotizzare che l’imbarcazione sia naufragata in seguito adun combattimento, considerato che un pesante elmo bronzeo non è un oggettocomunemente indossato durante la navigazione per ripararsi dalla pioggia etanto meno dal sole.

Potremmo quindi ipotizzare una scena simile a quella dipinta sulla coppadel British Museum sopra descritta: la nave dopo aver fatto rotta lungo le costetirreniche dell’Italia centrale stava entrando nelle bocche di Bonifacio, per poirisalire la costa corsa sino alla Provenza o per proseguire verso la penisola ibe-rica, quando fu attaccata da un gruppo di pirati sardi, così a bordo si ingaggiòun cruento combattimento, seguito dall’affondamento della nave. L’uomo conl’elmo ne sarebbe appunto rimasto vittima, anche se rimane difficile capire sein qualità di membro dell’equipaggio, l’esito negativo lo renderebbe più proba-bile, o al contrario come assalitore.

Anche gli evidenti segni d’urto riscontrati in alcune parti dello scafo, diffi-cilmente imputabili a ostacoli naturali, lascerebbero pensare che la nave diSpargi sia stata abbordata e speronata. L’affondamento può essere consideratouna precauzione dei pirati per eliminare il corpo del reato, dopo essersi impos-sessati degli oggetti più preziosi e facilmente smerciabili, e aver deciso la sortedei prigionieri: soppressione, rapimento per ottenere un riscatto o venditacome schiavi.

Una situazione simile è ipotizzabile anche per il relitto di Kyrenia. Ottopunte di lancia e alcune punte di freccia vennero riconosciute, dopo accuratiesami, all’interno di conglomerati ferrosi ritrovati sull’imbarcazione affondatanelle acque cipriote alla fine del IV sec. a.C.; in molte delle armi si riscontraro-no tracce di lacci in cuoio che passavano anche sotto lo scafo. Così si è pensa-to che le punte si fossero incastrate nella fiancata della nave prima dell’affon-damento. La nave dopo l’inseguimento era stata colpita dai predoni con lancelegate al guinzaglio per facilitare le operazioni di abbordaggio.

È interessante che un naufragio reso sospetto da tali circostanze sia avvenu-to a Cipro, proprio di fronte alle coste della Cilicia.

Scenari simili dovevano essere molto frequenti, tanto che i romanzi e i rac-conti di avventura dell’antichità traboccano di esempi. Nel romanzo di AchilleTazio Leucippe e Clitofonte (III, 20), la nave assalita viene colata a picco e inaufraghi uccisi. Nelle Etiopiche di Eliodoro (I, 3), i pirati si limitano a portarevia dalla nave catturata oro, argento, pietre preziose e drappi di seta trascuran-do il resto. Sempre nelle Etiopiche (V, 23-27) dopo essersi impossessati di unanave mercantile, i predoni si sbarazzano della loro imbarcazione per non desta-re sospetti nei porti dove intendevano recarsi a vendere il bottino sotto le men-tite spoglie di innocenti marinai. Nei Racconti d’Efeso (I, 13-14), i pirati s’im-padroniscono della nave sulla quale viaggiano i protagonisti, trasbordano sol-tanto la parte più preziosa del carico con pochi ostaggi e poi bruciano la nave.

L’elmo di Spargi è sicuramente il ritrovamento più significativo, proprio

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per quell’immagine di combattimento quasi “istanta-nea” che sembra restituirci; ma un’altra situazionecruenta è ipotizzabile grazie ad un secondo elmo rin-venuto nelle acque di Populonia, nel golfo di Baratti,all’interno del quale rimanevano frammenti ossei(fig. 7). L’arma è databile intorno al V sec. a.C. e vasottolineato che la sua presenza sul fondale può esse-re dovuta a molteplici fattori, ma non va taciuta latestimonianza di Diodoro Siculo (XI, 88,4-5), chericorda due scorrerie dei Siracusani condotte contro ipirati Tirreni datate nel 453-2 a.C. proprio in questeacque e all’isola d’Elba.

Altri elmi provengono da svariati relitti comequello d’Albenga, nel quale furono trovati ben seiesemplari (fig. 8). L’elevato numero di reperti lasciasupporre una vera e propria scorta armata giustificatadall’enorme stazza della nave che, con suoi quarantametri di lunghezza e dieci di larghezza, trasportavaun carico complessivo di oltre 270 tonnellate, forma-to da circa diecimila anfore vinarie e da una partita diceramiche di produzione campana.

Con queste cifre la nave di Albenga rimane atutt’oggi il relitto antico più grande del Mediterraneoe può essere identificato con una delle myriagogoi,navi appunto da diecimila anfore, ricordate anche daStrabone (Geografia, III, 3,1).

Nel relitto dell’Isola di Mal di Ventre, ad occiden-te della Sardegna, naufragato tra il I sec. a.C. e lametà del I sec. d.C. si rinvennero duecento glandesplumbeae, proiettili da fionda in piombo (fig. 9). I

reperti però non si trovavanomischiati ai lingotti di piombo checostituivano il grosso del carico, maerano a poppa nei pressi dei materialie dell’attrezzatura di bordo; questaparte delle navi era predisposta perospitare la cabina, e quindi non sipuò escludere che i proiettili facesse-ro parte di una piccola armeria con-trollata dal comandante.

Nella stessa ottica può essere con-siderato un gruppo di elmi in bronzo

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7. - Elmo italico da Populonia (metà V se. a.C.). Museo del Mare delCirceo (Sabaudia); (da Gianfrotta 2001).

8. - Uno dei meno noti elmi del relitto d’Albenga (prima metà I sec.a.C.), si noti la cerniera con ribattino che testimonia un restauro inantico; (il disegno da Lamboglia, «Rivista Studi Liguri» 1964).

9. - Glandes plumbeae dal relitto dell’Isola diMal di Ventre (prima metà I sec. a.C.); (fotoSopr. Arch. di Cagliari).

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11. Parti di catapulta in bronzodal relitto di Mahdia (primametà del I sec. a.C.); (daAA.VV. Das Wrack. Der antikeSchiffsfund von Mahdia,Rheinland-Verlag GmbH·Köln1994).

e in ferro di età repubblicana recuperato in un relittopresso la località di Benicarlò, nel territorio di Valen-cia, che erano custoditi uno sull’altro all’interno di unacassetta lignea (cm150x50x50) praticamente distruttadalle fiamme (fig. 10). Naturalmente poteva trattarsi dioggetti destinati al commercio, ma la loro diversa tipo-logia sembra qualificarli più come armi di uso persona-le.

Un caso sino ad ora unico in contesto subacqueo èil rinvenimento di alcuni elementi di catapulta prove-nienti dal relitto di Mahdia, in Tunisia (fig. 11). Letestimonianze delle fonti sono molto scarse al riguardo,ma non va taciuto che un passo di Senofonte (Econo-mico, VIII, 11) menziona una grande nave da caricofenicia dotata non solo di armi per l’equipaggio, maanche di macchine da lancio da impiegare contro ilnaviglio nemico; inoltre Ateneo (V, 208) ricorda lecatapulte montate da Archimede sulla famosa Syracu-sia di Gerone. È ipotizzabile quindi che per trasportieccezionali o in periodi di particolare pericolo si ricor-resse a strumenti sempre più efficaci: si ricordi che ilnaufragio di Mahdia avviene all’inizio del I sec. a.C. e

la nave aveva un carico particolare con opere d’arte di notevole valore, alcunedi dimensioni contenute e quindi facilmente trafugabili.

Infine ricordiamo il ritrovamento di una delle navi di un famoso pirata, omeglio così dipinto dalle fonti a lui ostili e allineate con la storiografia del vin-citore Augusto: ci riferiamo a Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno. Duran-te le guerre civili Sesto combattè Augusto ed Agrippa e, impiegando comebase la Sicilia, operò un blocco navale che tagliava i preziosi approvvigiona-menti granari verso Roma, da qui la similitudine con la strategia attuata daipredoni al tempo del padre e il conseguante marchio politico di pirata. Proprioin Sicilia, nei pressi di Capo Rasocolmo in acque messinesi, sono venuti in

luce i resti della nave, incendiatae affondata probabilmente nelconclusivo scontro di Milazzo efra questi, non solo alcune monetericonducibili ad emissioni diPompeo, ma anche altre piùrecenti ascrivibili a Sesto esoprattutto una laminetta di bron-zo con iscrizione CNP MAGNUS,con chiaro riferimento al GrandePompeo.

In altri relitti di navi mercantilisono state rinvenute delle armi,non solo elmi, ma anche spade,

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10. Elmo romano dal relitto diBenicarló (Castellón) (II - primametà I sec. a.C), (disegno di A.Oliver Foix).

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lance, proiettili da frombola e punte di frecce(figg. 12-14). Le testimonianze riguardano oraquasi tutto il Meditterraneo, grazie anche allo svi-luppo delle ricerche verso il Levante, in particolarenella Turchia meridionale e in Israele, e copronoun ventaglio cronologico che spazia da relitto diUlu Burun in Turchia, datato al XIV sec. a.C. aquello di Favaritx, affondato nelle acque di Minor-ca nel VI se. d.C.

Molto interessante appare anche la suddivisio-ne cronologica: infatti i nuovi dati non solo confer-mano quelli già registrati nel 1981, con il 40% deiritrovamenti datato tra la metà del II e la metà del Isec. a.C., in coincidenza con il periodo più acuto etravolgente della pirateria, stroncato poi dall’inter-vento di Pompeo nel 67 a.C.; ma circa un 20%delle testimonianze sono ascrivibili al I e II sec.d.C. In un epoca in cui il Mediterraneo era divenu-to il Mare Nostrum, vero proprio lago romano cheAugusto aveva posto sotto la tutela della flottaimperiale, ci aspetteremmo che il fenomeno pirati-co scompaia definitivamente e così sembrerebberoindirizzare la maggior parte delle fonti letterari.

La realtà è che la pax marittima esaltata dallapropaganda augustea, pur essendo sostanzialmente

vera, è da intendersi comevittoria sulla grande pira-teria internazionale, terri-bile mezzo di destabilizza-zione politica, ma alcuneinsidie perdurarono tra lepieghe del grande e varie-gato impero romano,soprattutto con valenzelocali in quelle zone doveil fenomeno piratico era dasempre endemico come inCilicia, sul litorale illirico-dalmatico e lungo il litora-le nord africano, in parti-colare nel delta del Nilo.

A conclusione sia con-cessa una riflessioneriguardo fatti drammaticidei giorni nostri. Nono-stante i parallelismi su

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12. Guardamano di gladio dal relitto di Valle Ponti (Comacchio)(seconda metà del I sec. a.C.). La decorazione a sbalzo mostra unacoppia di leoni e una di orsi che si affrontano; (da Berti, FortunaMaris. La nave romana di Comacchio, Bologna 1990).

13. Fodero di gladio dal relitto H della Chrétienne (Saint Raphaël,Var)(inizi I sec. d.C.); (da Santamaria, «Archaeonautica» 1984).

14. Elmo in bronzo con paraguance anatomiche da un relitto dellabaia di Camarina (III-inizi II sec. a.C.); (da Di Stefano, Antichi relittinella baia di Camarina, Ragusa 1991).

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aspetti di epoche differenti siano sempre un azzardo, sono da sottolineare lemisure di sicurezza che stanno discutendo le compagnie aeree di vari paesidopo l’attacco terroristico dell’11 settembre, e che riguardano non solo mag-giori controlli a terra, ma anche la presenza a bordo di personale addestratoalla difesa con o senza armi; quindi vere e proprie scorte contro gli attacchiterroristici che, seppur con tutti i distinguo del caso, richiamano alla memoriale figure dei nauphilakes presenti sulle antiche navi per scongiurare gli attacchidei pirati.

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