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1 LA PERFORMANCE DELLE IMPRESE MANIFATTURIERE DELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA 2010-2012 di Stefano Cenni e Riccardo Ferretti Dicembre 2013

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LA PERFORMANCE DELLE IMPRESE MANIFATTURIERE DELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA 2010-2012

di Stefano Cenni e Riccardo Ferretti Dicembre 2013

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Introduzione 3 1. Le imprese manifatturiere reggiane nel triennio 2010-12: analisi dei risultati di bilancio 10

Sintesi 10 1.1. Il campione nel suo complesso 19

1.1.1 Le principali voci di stato patrimoniale e conto economico................ 19 1.1.2. Dimensioni aziendali ........................................................................ 21 1.1.3. Redditività e costi ............................................................................. 22 1.1.4. Struttura finanziaria ......................................................................... 25 1.1.5. Flussi finanziari ................................................................................ 28

1.2. La ripartizione dimensionale (per classe di addetti) 32 1.2.1. Dinamica del fatturato ...................................................................... 32 1.2.2. Redditività e costi ............................................................................. 33 1.2.3. Struttura finanziaria ......................................................................... 38 1.2.4. Flussi finanziari ................................................................................ 45

1.3. La ripartizione settoriale 49 1.3.1. Dinamica del fatturato ...................................................................... 50 1.3.2. Redditività e costi ............................................................................. 52 1.3.3. Struttura finanziaria ......................................................................... 61 1.3.4. Flussi finanziari ................................................................................ 70

Appendice 1 – Descrizione del campione 76 2. Le risposte al questionario 79

Sintesi 80 2.1 Informazioni generali sulle imprese (sezione A del questionario) 91

2.1.1 Anagrafica ......................................................................................... 91 2.1.2 Consistenza della forza di lavoro ....................................................... 95 2.1.3 Struttura produttiva dell’industria ..................................................... 97

2.2 Strategie di crescita, internazionalizzazione ed export (sezione B del questionario) 103 2.3 Strategie di innovazione (sezione C del questionario) 110 2.5 Dati di bilancio: previsioni 2013 e 2014 (sezione D del questionario) 119 2.6 Finanza e credito (sezione E del questionario) 125

2.6.1 Decisioni di finanziamento .............................................................. 125 2.6.2 Garanzie collettive........................................................................... 129 2.6.3 Rapporti con le banche .................................................................... 132

2.7 Cluster analysis 142

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Introduzione In questo studio, che costituisce un parziale aggiornamento dell’analoga

indagine risalente al 2011 e relativa al triennio 2007-2009, ci poniamo le stesse domande di allora. Qual è stata la performance economico-finanziaria delle imprese manifatturiere reggiane? Quanto hanno inciso le dimensioni aziendali e il settore di attività? Si intravede un legame fra risultati e strategie? Quanto sono utili le informazioni extra-contabili (sulle strategie di crescita, sull’innovazione, sulla governance…) per dar conto delle diversità nella capacità di reazione alla crisi? Quale la condizione del rapporto banca-impresa? Come nel 2011 abbiamo cercato di rispondere a tali domande analizzando, innanzitutto, i dati di bilancio del triennio successivo, 2010-2012. Informazioni prevalentemente qualitative sulle strategie, sulla governance, sui risultati attesi per il 2013-14, sulle scelte di finanziamento e i rapporti con le banche sono stati acquisiti tramite la somministrazione di un nuovo questionario a un campione di imprese associate a Industriali Reggio Emilia.

Il rinnovato interesse per queste domande discende dal mancato ritorno ad una stabile crescita dell’economia italiana: infatti se il Pil ai prezzi di mercato è aumentato dell’1,9% (1,3% in volume) nel 2010 e dell’1,7% (solo 0,4% in volume) nel 2011, nel 2012 si è invece ridotto dello 0,8% (e di ben il 2,4% in volume) ed è atteso in calo anche nel 2013. Inoltre le difficoltà delle banche nella provvista all’ingrosso, in particolare sulle scadenze non brevi, e la loro accresciuta avversione al rischio, dovuta alla continua crescita delle partite anomale, si è riverberata sulle scelte di affidamento. Nel 2012 il credito alle imprese è diminuito per la seconda volta dall’inizio della crisi finanziaria e ha continuato a farlo anche successivamente (Banca d’Italia, Relazione per l’anno 2012, Tav. 14.6). I prestiti bancari sono scesi del 2,5% nei dodici mesi terminanti a marzo del 2013: la contrazione è stata più severa per le piccole imprese e nel comparto manifatturiero, ovvero in comparti e settori di imprese che costituiscono l’ossatura del tessuto imprenditoriale reggiano. Diversamente dal passato la dinamica negativa ha riguardato, seppure con minore intensità, anche imprese in condizioni finanziarie più equilibrate (cfr. Rapporto sulla stabilità finanziaria, n. 5, 2013). La riduzione dei prestiti bancari è stata causata sia dal calo degli investimenti da parte delle imprese, sia dall’adozione di politiche creditizie restrittive da parte degli intermediari, attribuibili in larga misura all’incertezza della situazione economica generale e all’elevata rischiosità di specifici settori e imprese. Nel 2012, infine, anche se lievemente i tassi bancari sono risultati più elevati rispetto al precedente biennio. L’aumento del costo medio del credito, in particolare sulle operazioni a breve termine, è stato maggiore per le imprese con meno di 20 addetti: rispetto al 2008 il differenziale con le aziende medio-grandi si è ampliato in tutti i settori di attività economica, in particolare nella manifattura.

In questa congiuntura problematica, i ricavi delle imprese manifatturiere reggiane, dopo una ripresa del fatturato nel biennio 2010-11, nel 2012, nonostante

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il calo del Pil nominale, non hanno fatto registrare contrazioni significative. Il ritorno alla crescita del fatturato, dopo i crolli del 2009, è stato guidato dalle imprese maggiori che si sono meglio difese nel 2012, quando la recessione si è intensificata. Metà dei settori ha registrato una crescita del fatturato, di entità apprezzabile, però, solo in due di essi.

Diversamente da quanto accaduto nel 2007-2009, solo gli investimenti in immobilizzazioni finanziarie hanno mostrato una dinamica sostenuta. Il finanziamento degli investimenti è stato assicurato prevalentemente dall’aumento dei mezzi propri e dall’autofinanziamento: il rafforzamento patrimoniale iniziato nel 2007-2009 è proseguito, sebbene con minore intensità, anche nel triennio 2010-12, accompagnato dal contenimento dei debiti, soprattutto di quelli non finanziari. Le Micro e Piccole imprese continuano a finanziarsi quasi esclusivamente a breve scadenza: solo nelle Grandi la quota dei debiti finanziari scadente entro l’esercizio è scesa al 50%.

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2007 2008 2009 2010 2011 2012

Indici di indebitamento

TA/PN DebFin/PN

Con l’inasprirsi della crisi nel 2012 stimiamo che le imprese reggiane, per

assicurare non solo il servizio dei debiti in essere ma anche il loro rimborso (in parte imposto dal sistema bancario), abbiano ridotto al minimo il fabbisogno di finanziamento del circolante: per realizzare tale operazione, in presenza di un flusso comunque positivo di investimenti, esse hanno anche dovuto attingere a proventi di natura straordinaria e al rafforzamento dei mezzi propri, precedentemente menzionato.

La redditività industriale misurata attraverso il ROA-Return On Assets, sempre positiva nel triennio, è calata principalmente nel 2012; anche la redditività netta dei mezzi propri (ROE) è scesa, ma in modo marginale anche grazie alla limitata variabilità del peso delle imposte, attestata stabilmente attorno al 50%. La

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quasi totalità dei settori ha comunque chiuso in utile in ciascuno degli anni considerati.

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2007 2008 2009 2010 2011 2012

Indici di redditività

ROA ROS ROE

Appare però in aumento la quota di imprese in perdita (cioè con ROE

negativo) e anche di quelle con redditività industriale negativa (cioè con ROA/ROS negativo): i valori 2012 si collocano a metà strada fra i minimi del 2007 e i massimi del 2009. L’occupazione, inoltre, non pare destinata a salire: il rapporto tra costi del lavoro e costi totali di produzione risulta infatti stabile, al 20%, come nel triennio precedente, e il ricorso agli ammortizzatori sociali è ritornato ai livelli del 2009.

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Quota di ROE e ROA (ROS) negativi

ROE negativi ROA e ROS negativi

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Gli oneri finanziari hanno registrato un incremento di oltre il 20% nel triennio nonostante la sostanziale stabilità dell’indebitamento complessivo: in particolare, l’aumento avvenuto nel 2012 pare dovuto in larga parte all’incremento del costo dei debiti. Nonostante i ricavi in crescita, il rapporto tra oneri finanziari e fatturato ha fatto segnare un cospicuo aumento, che risulta ancora superiore per il rapporto tra Oneri finanziari ed Ebitda (con l’Ebitda in calo nel periodo). Inoltre il rapporto “Debiti finanziari/Ebitda” è aumentato in misura molto più accentuata di quello con i debiti totali al numeratore: anche se il livello dell’indicatore si mantiene ben al di sotto delle 5 volte, soglia generalmente considerata di criticità, la percentuale di imprese con troppi debiti finanziari in confronto alla generazione di reddito industriale (rapporto “Debiti finanziari/Ebitda” superiore a 5 volte o negativo) è sensibilmente cresciuta, pur rimanendo inferiore ai livelli record del 2009.

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Sostenibilità debiti

DebFin/Ebitda (sx) OF/Ebitda (dx) DebFin/Ebitda >5 o neg (dx)

Solo nelle Grandi imprese la quota di reddito industriale lordo assorbita

dagli oneri finanziari non è aumentata in modo significativo: la minore sostenibilità del debito delle imprese più piccole è provata anche dal rapporto “Debiti Totali/Ebitda”, che in tutti gli anni supera sensibilmente quello delle imprese medio-grandi. Tre settori sono riusciti a contenere o a ridurre l’incidenza degli oneri finanziari sul reddito industriale lordo (“Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”, “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Altre manifatture), solo uno quella sui ricavi (“Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”); infine soltanto tre settori sono stati in grado di ridurre il rapporto “Debiti finanziari/Ebitda” (“Tessile e abbigliamento”, “Chimica, gomme e materie plastiche” e “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”).

Le informazioni extra-contabili acquisite tramite il questionario hanno consentito alcuni approfondimenti. Dall’incrocio fra le caratteristiche strutturali e

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gli indicatori reddituali, le imprese meno performanti appaiono quelle non appartenenti a gruppi (autonome), di piccola o media dimensione, operanti nel comparto dei beni di consumo (più nel 2011 che nel 2012) e inserite in filiere produttive nel ruolo di puro fornitore. Molti di questi elementi strutturali (piccola o media dimensione, non appartenenza a gruppi, produzione di beni intermedi e di consumo) caratterizzano peraltro anche le imprese che maggiormente riducono i debiti finanziari nel 2012. L’analisi dei dati economico-finanziari 2011 e 2012 evidenzia una correlazione positiva e statisticamente significativa della quota export sia con il margine sulle vendite che con il rendimento dei mezzi propri in entrambi gli anni.

La proprietà familiare continua ad essere l’assetto proprietario prevalente e a mostrare una elevata chiusura al top management esterno. Le imprese familiari tendono ad essere più dotate di mezzi propri, meno indebitate verso terzi, con redditività e margini inferiori soprattutto nel biennio 2011-12.

Lo sviluppo per vie interne sul mercato nazionale si conferma la strategia di crescita prevalente, pur in presenza di una maggiore consapevolezza dei limiti di tale strategia (più nel comparto dei beni intermedi e di investimento che in quello dei beni di consumo) e di una ridotta scala aziendale. Per il superamento dei vincoli dimensionali ci si affida non tanto a forme di crescita esterna tradizionali (M&A, consorzi, ATI) quanto ai più recenti contratti di rete capaci di assecondare le esigenze di autonomia ancora largamente presenti fra le PMI, migliorando tuttavia tre criticità: fare innovazione; internazionalizzarsi; accrescere la competitività (si veda in proposito P. Preti e Raffaello Vignali (a cura di), Con-correre per competere. Le reti d’impresa tra territorio e globalizzazione, 2013). Il fenomeno dei contratti di rete è comunque ancora contenuto fra le imprese reggiane; in Regione, le prime province per numero di contratti di rete sono Modena e Bologna (dati RetImpresa).

L’orientamento all’export vede primeggiare i beni d’investimento che superano, nell’ordine, i beni intermedi e quelli di consumo. Le quote di esportazioni più elevate si riscontrano, in media, fra le imprese che negli anni precedenti la crisi del 2008-09 hanno effettuato importanti scelte strategiche e che appaiono più orientate all’innovazione, specialmente di prodotto e di marketing.

Restando in tema di innovazione emerge un maggiore interesse verso le tipologie più legate alla comunicazione interna (innovazione organizzativa e gestionale) e esterna (innovazione di marketing) che non al prodotto o al processo. Quindi un’innovazione votata all’efficienza sul piano operativo e all’efficacia nel rapporto col mercato, in linea con la crescente importanza della componente “servizio”, più in generale delle componenti immateriali, anche in ambito manifatturiero.

L’ostacolo principale sulla via dell’innovazione è sempre rappresentato dalla difficoltà nel reperire personale qualificato. Un difficoltà che non riguarda solo i profili tecnico-scientifici, ma anche quelli gestionali (organizzazione e

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marketing), a ulteriore riprova dell’affermarsi di una cultura di prodotto più ampia.

Le attese per il 2013 vedono una leggera prevalenza delle aziende che prevedono una diminuzione del fatturato rispetto a quelle che si attendono un aumento. Nettamente migliori sono invece la aspettative sulle esportazioni. Se ne desume, per conseguenza, un andamento decisamente negativo del fatturato nazionale. Sostanzialmente equivalente la quota di imprese pessimiste e ottimiste sulla dinamica degli utili, sia operativi, sia netti.

Per il 2014, nonostante il generale ottimismo, i beni di consumo continuano ad avere previsioni di fatturato e utili meno favorevoli di quelle dei beni d’investimento e intermedi, ancora una volta a causa del mercato nazionale. A livello settoriale, continua la sofferenza economica del settore ‘Tessile e abbigliamento’, con previsioni ancora negative per fatturato nazionale e utili, e la neutralità del settore ‘Altre manifatture’, con ottimisti e pessimisti in sostanziale equilibrio. Fra gli ottimisti i settori ‘Alimentari e bevande’ e ‘Metallurgia e prodotti in metallo’ appaiono i più prudenti.

Relativamente alla finanza d’impresa, le risposte delineano una situazione caratterizzata da due elementi di fondo. Da un lato, confermando quanto emerso nella passata rilevazione, le imprese rispondenti attribuiscono alle problematiche finanziarie scarsa rilevanza per il successo aziendale, salvo quando condizioni di debolezza reddituale e patrimoniale non rendano l’accesso al credito più difficile e costoso. Dall’altro, esse denunciano maggiori criticità nell’ottenere dalle banche i finanziamenti desiderati: il razionamento del credito ha interessato nel 2012 un’azienda su quattro del campione, risultando in crescita, sia rispetto agli anni precedenti la crisi finanziaria, quando solo il 12,6% delle imprese della provincia avrebbe desiderato più credito, sia al triennio 2008-10, quando il fenomeno riguardava un’impresa su cinque; questa tendenza si accentua leggermente nel 2013, con l’eccezione delle imprese Grandi. Il razionamento sopportato dalle imprese rispondenti resta comunque inferiore al dato nazionale del settore industria pari al 37,6% nel 2012.

Dall’utilizzo congiunto di informazioni contabili ed extra-contabili, sono emersi cinque raggruppamenti di imprese (cluster) che si differenziano per risultati e profilo strutturale. I profili di questi cinque “modelli” possono essere così sintetizzati:

• i cluster meno performanti sul piano reddituale sono i due a focalizzazione domestica, peraltro i più consistenti per numero di imprese;

• la maggiore dimensione media si riscontra nel gruppo più performante (Best), mentre quella minore ricorre nel gruppo meno performante (Worst) e in quello delle imprese la cui redditività è scesa maggiormente nel triennio (Fallen angel);

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• l’assenza di una relazione univoca fra la destinazione della produzione o l’appartenenza a una filiera e la performance operativa. Più importante appare il posizionamento nell’ambito della filiera, in particolare quello apicale;

• i due cluster più deboli nella performance operativa presentano la maggiore incidenza di imprese che negli anni precedenti la crisi del 2008-09 non avevano effettuato importanti investimenti nella gamma di prodotto, nel marchio o nell’internazionalizzazione produttiva e/o commerciale;

• i cluster più solidi (alta patrimonializzazione e bassa incidenza di debiti e oneri finanziari) sono quelli attribuiscono alle problematiche finanziarie il rilievo minore;

• il numero di banche, medio e mediano, con cui le imprese intrattengono rapporti raggiunge i valori massimi nei due cluster finanziariamente più deboli e minimi nei due cluster finanziariamente più solidi. Questa relazione diretta fra criticità della condizione finanziaria e numero di rapporti bancari lascia supporre che il ricorso a un più ampio numero di banche sia, per l’impresa, un modo per contenere i rischi di razionamento del credito, e per le banche, una strategia per frazionare gli affidamenti e ridurre le perdite in caso di insolvenza del debitore.

Nel complesso, le imprese analizzate hanno migliorato la copertura patrimoniale e gli effetti di una congiuntura nuovamente avversa sono apparsi, in media, meno pesanti di quelli registrati nel biennio 2008-09. I livelli di redditività permangono tuttavia bassi, mentre la quota di imprese in situazione di criticità operativa (redditività industriale negativa) e finanziaria (soggetta a razionamento) torna ad essere non trascurabile. Al momento l’export appare l’elemento più importante nel discriminare i livelli di performance ed è in aumento il numero di imprese a focalizzazione domestica che rischiano un progressivo declino se non si assisterà ad una ripresa della domanda interna. Siamo dunque in presenza di un sistema a due velocità nel quale, per riprendere le parole del Presidente Stefano Landi pronunciate in occasione dell’Assemblea Generale di Unindustria Reggio Emilia, del 26 giugno scorso: «sono sempre più evidenti le difficoltà delle piccole imprese, soprattutto quelle attive sul mercato locale o nazionale». Qualche segnale incoraggiante sul fronte della crescita dimensionale è visibile, ma l’intensità del processo non è del tutto soddisfacente.

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1. Le imprese manifatturiere reggiane nel triennio 2010-12: analisi dei risultati di bilancio

In questa sezione della ricerca si analizzano le performance economiche, finanziarie e patrimoniali delle imprese manifatturiere reggiane nel triennio 2010-2012 (per la descrizione del campione si veda l’Appendice 1), così come emergono dai bilanci d’esercizio o consolidati. Vengono prese in considerazione le statistiche descrittive sia delle principali voci di stato patrimoniale e di conto economico sia di alcuni indicatori di bilancio per il campione nel suo complesso, per le diverse classi dimensionali e per i diversi sotto-settori manifatturieri. Le voci e gli indicatori di bilancio sono tratti dalla banca dati “AIDA” di Bureau Van Dijk; alcuni indicatori sono frutto di nostre rielaborazioni. Il tutto è preceduto da una sintesi dei risultati. Si sottolinea che il campione utilizzato in questa edizione dell’indagine non comprende tutte le imprese incluse in quello della precedente edizione relativo al triennio 2007-2009: non sono pertanto possibili confronti tra valori assoluti (ad es. fatturato complessivo del 2012 rispetto a quello del 2009) ma solo tra i valori relativi (ad es. ROA del 2012 rispetto al ROA del 2009).

Sintesi

Investimenti, fatturato e dimensioni aziendali I dati aggregati – ottenuti cioè consolidando i bilanci – utilizzati nella

precedente edizione di questa indagine e relativi al triennio 2007-2009 avevano evidenziato una notevole crescita in valore assoluto di tutte le tipologie di immobilizzazioni dovuta principalmente alla rivalutazione contabile degli immobili: al contrario nel triennio 2010-2012 solo le immobilizzazioni finanziarie crescono in modo significativo. In presenza di un livello di indebitamento in frazionale aumento in valore assoluto (+1% nel triennio), ma in significativo calo in rapporto sia al totale delle attività (-4%) che al patrimonio (-11%), il finanziamento dei nuovi investimenti pare essere stato assicurato prevalentemente dall’aumento dei mezzi propri e dall’autofinanziamento.

Dopo una significativa ripresa del fatturato nel 2011, nel 2012, nonostante l’intensificarsi della recessione, non si registrano sorprendentemente significative contrazioni dei ricavi. Il prolungarsi della recessione non ha certamente favorito la crescita dimensionale delle imprese reggiane: tuttavia, il processo di “ridimensionamento” sembra giunto a un assestamento, anche se nell’effettuare qualche confronto occorre tenere presente che il campione analizzato in questa edizione dell’indagine non è esattamente lo stesso della precedente edizione (vedere Appendice 1). Rispetto al 2009, comunque, le Piccole e le Medie imprese

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rispetto ai consueti parametri di fatturato1 fanno registrare un modesto aumento della loro quota, mentre quella delle Grandi è sostanzialmente stabile.

Se guardiamo, invece, ai dati individuali delle singole imprese nel periodo 2010-2012 e raggruppiamo queste ultime per classi dimensionali di dipendenti anche in questo caso secondo i consueti parametri2, in tutti i raggruppamenti il valore medio del fatturato supera quello mediano (importo di fatturato che si trova esattamente a metà della distribuzione), rivelando la prevalenza numerica delle imprese di più piccole dimensioni. Il fatturato mediano flette nelle Micro e nelle Grandi, rispettivamente dell’8,1 e del 5,6%, mentre sale nelle Piccole e nelle Medie, rispettivamente, del 3,7 e dell’11,8%. Nel caso delle Micro l’andamento negativo del fatturato anche a livello di valor medio induce a ritenere che si tratti di imprese a rischio di uscita dal mercato, nel medio termine. I valori mediani dei tassi di crescita risultano, tranne per le Grandi, migliori di quelli medi a dimostrazione di una maggiore dinamicità, in ciascuna classe dimensionale, delle imprese più piccole (e non più grandi, come nell’indagine precedente). Il ritorno alla crescita del fatturato, dopo i crolli del 2009, è stato guidato dalle imprese maggiori: inoltre, come del resto era accaduto anche nel 2009, le imprese più grandi sembrano anche aver retto meglio all’inasprimento della crisi recessiva nel 2012.

Se guardiamo ai dati individuali delle singole imprese e le raggruppiamo invece per settore di attività emergono differenze marcate nella dinamica del fatturato. Metà dei settori registra una crescita del fatturato (“Alimentari e bevande”, “Chimica, gomma e materie plastiche”, “Metallurgia e prodotti in metallo”, “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”), di entità significativa solo in “Alimentari e bevande” (quasi +20%) e in “Metallurgia e prodotti in metallo” (+6%); i rimanenti settori fanno segnare, invece, cali contenuti salvo “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (-9%) e “Altre manifatture” (-11%).

Quanto alla correlazione fra dinamica del fatturato e numero dei dipendenti, nella precedente indagine (2007-2009) all’interno di ciascun settore tale dinamica, sia nei singoli anni che nel triennio, non presentava correlazioni statisticamente significative con la dimensione (numero di dipendenti), fatta eccezione per “Alimentari e bevande” e, in misura più sfumata, “Chimica, gomma e materie plastiche”, settori nei quali dimensione e variazione del fatturato erano positivamente correlate. Nella nuova edizione dell’indagine (2010-2012) le eccezioni sono costituite, per le variazioni sul triennio, da “Metallurgia e prodotti in metallo” e “Altre manifatture”; sulle variazioni annuali, invece, nel 2011 presenta una correlazione positiva e statisticamente significativa nuovamente 1 Micro fino a 2 milioni di fatturato, Piccole da 2 a 10 milioni, Medie da 10 a 50 milioni, Grandi da 50 milioni e oltre. E’ bene precisare che in tutte le classificazioni dimensionali successive si utilizza il numero di dipendenti. 2 Micro imprese, fino a 9 addetti; Piccole imprese, da 10 a 49 addetti; Medie imprese, da 50 a 249 addetti; le Grandi imprese, 250 addetti e oltre.

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“Metallurgia e prodotti in metallo”, cui si aggiunge “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”; nel 2012, invece, solo “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” presenta una correlazione positiva e staticamente significativa con la classe dimensionale.

Redditività e costi A livello di dati aggregati la redditività industriale (ROA-Return On

Assets), sempre positiva nel triennio, cala principalmente nel 2012 in presenza di una dinamica opposta delle sue due determinanti, redditività delle vendite-ROS (in calo) e rotazione delle vendite (in crescita), con la seconda che evidentemente non riesce a compensare la dinamica sfavorevole della prima. Anche la redditività netta dei mezzi propri (ROE) scende ma in modo marginale, grazie anche alla limitata variabilità del peso delle imposte che si attesta attorno al 50%. In tutti gli anni considerati i valori mediani di ROS, ROA e ROE risultano solo leggermente inferiori ai corrispondenti valori calcolati con i dati aggregati, lasciando intravedere una significativa riduzione, rispetto al passato, del differenziale di redditività e marginalità a favore delle imprese più grandi: infatti, la correlazione fra indicatori di redditività e dimensione misurata mediante il fatturato, benché sempre positiva, non risulta quasi mai statisticamente significativa.

Diversamente dall’indagine precedente il modesto deterioramento reddituale non è stato accompagnato da un significativo incremento della percentuale di società con i conti “in rosso”, che fa registrare variazioni contenute nel triennio; risulta, invece, in rapido aumento la quota di imprese con marginalità negativa già a livello di gestione industriale. Diversamente dal 2007-2009 solo poco più del 12% delle imprese in perdita, in ciascun anno, paga comunque imposte contro il 21% del 2009 (e il 7,8% del 2007).

Oltre alla sostanziale tenuta del fatturato e al modesto restringimento dei margini, i dati individuali segnalano modeste variazioni della produttività del lavoro e una sostanziale stabilità dell’incidenza sui ricavi dei costi, sia del lavoro che totali. Il fatto che nelle imprese manifatturiere reggiane il costo del lavoro continui a rappresentare, in perfetta continuità con l’indagine precedente, solo un quinto circa dei costi di produzione conferma l’ampio ricorso alla esternalizzazione e la partecipazione a filiere produttive.

Ripartendo i dati aggregati per classi dimensionali la redditività operativa lorda – EBITDA o MOL –, comunque misurata, si conferma ovunque decrescente nel tempo: la caduta degli indicatori è tuttavia concentrata nel 2012 e appare molto marcata solo nelle Micro imprese. In questo caso la ragione del maggior declino nella redditività industriale va ricercata nella marginalità delle vendite (ROS), in netta caduta. Diverso nelle classi è, invece, l’andamento della rotazione delle vendite: vero punto debole di Micro (dove assume i valori più minimi) e delle Grandi (che seguono le Micro a poca distanza), cala nelle Micro e Piccole imprese amplificando l’effetto del calo del ROS sul ROA, mentre cresce nelle

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Medie e nelle Grandi, contrastandolo. Diversamente dal triennio precedente, nel 2010-2012 il ROE fa registrare modeste oscillazioni.

Come nella precedente edizione di questa indagine, sui dati aggregati la classe con i ROS, i ROA e i ROE più elevati è quella delle Medie, seguita in due anni su tre dalle Grandi, seguite a breve distanza dalle Piccole; le Micro mostrano i valori di gran lunga più bassi degli indicatori di redditività, comunque sempre positivi. La caduta generalizzata di ROA e ROS trova parziale conferma nei dati individuali: infatti, non sono più le Medie a primeggiare (con l’eccezione del 2012) ma le Piccole, a dimostrazione del fatto che sono soprattutto le Piccole di minori dimensioni e le Medie più grandi a spiccare per redditività operativa lorda. La quota di imprese in perdita già a livello di redditività industriale lorda appare in rapida crescita, soprattutto tra le Grandi e le Piccole.

Anche il ROE mediano fa registrare una caduta generalizzata in tutte le classi di imprese, in modo particolare nuovamente tra le Micro e le Grandi: il calo è dovuto, nel caso delle Piccole e delle Medie, anche al minor ricorso alla leva finanziaria che, riducendosi, influenza appunto negativamente il ROE. Le imprese con i ROE più elevati sono le Piccole, seguite dalle Medie e dalle Grandi. Sono le Medie (e non più le Grandi) a mostrare in tutti gli anni considerati la minore incidenza delle imposte sull’utile lordo. Solo tra le Medie imprese, inoltre, cresce nel triennio 2010-2012 la quota di imprese in perdita che pagano imposte, mentre l’incidenza delle imprese con ROE negativo (cioè in perdita) registra cali solo tra le Micro e le Piccole.

Si osserva, inoltre, un generale miglioramento del valore aggiunto per dipendente, il cui andamento denota in ciascuno degli anni considerati una chiara relazione diretta con le dimensioni, che diventa di tipo inverso con i due indicatori di efficienza produttiva (rapporto “Costi totali di produzione/Ricavi” e “Costi del personale/Ricavi): le imprese con la maggior produttività del lavoro e la minore incidenza dei costi sono dunque le Grandi.

Come nel 2007-2009, l’analisi settoriale dei dati aggregati del 2010-2012 evidenzia che la quasi totalità dei settori chiude in utile in ciascuno degli anni considerati: la redditività dei mezzi propri subisce un vero e proprio tracollo solo in “Lavorazione di minerali non metalliferi (-156%), “Tessile e abbigliamento” (-148%), “Alimentari e bevande” (-68%); in controtendenza si muovono unicamente “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (+80%) e “Altre manifatture” (addirittura + 331%). Una dinamica simile mostrano i ROS e ROA consolidati che, come nell’indagine precedente, si mantengono ugualmente positivi in tutti gli anni e i settori, senza eccezioni: i tassi di diminuzione, però, sono generalmente inferiori a quelli registrati dal ROE. Le tendenze a livello aggregato trovano conferma anche nei dati disaggregati con una differenza: in tutti i settori, senza eccezioni, e in tutti e tre gli anni del periodo 2010-2012 l’impresa mediana chiude in utile. Tali dati evidenziano, inoltre, come il rapporto

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d’indebitamento (Debiti totali/Patrimonio netto) aumenti solo in “Alimentari e bevande” e “Chimica, gomme e materie plastiche”.

In metà dei settori, infine, si registrano miglioramenti degli indicatori di produttività del personale e di efficienza economica. La variabilità tra i settori del rapporto tra Costi totali di produzione e Ricavi è contenuta, mentre se si considera il rapporto tra Costi del personale e i Ricavi le differenze tra i settori si rivelano significative: la graduatoria si polarizza con, a un estremo (alta incidenza dei costi), “Metallurgia e prodotti in metallo”, “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” e “Lavorazione di minerali non metalliferi” e “Chimica, gomme e materie plastiche” e, all’altro (bassa incidenza), “Alimentari e bevande” e “Tessile e abbigliamento”.

Struttura finanziaria Nel triennio 2010-2012 è proseguito, anche se con intensità dimezzata, il rafforzamento patrimoniale iniziato nel 2007-2009: dal lato del passivo i dati aggregati evidenziano il contenimento dei debiti totali (commerciali e finanziari), che nel periodo considerato fanno registrare un incremento in valore di un solo punto percentuale e un continuo aumento dei mezzi patrimoniali, che crescono complessivamente di un 10% abbondante, con variazioni sempre positive in ciascun anno (anche se il grosso dell’incremento si verifica nel 2012). Come nel 2007-2009, il contenimento dei debiti totali in valore e la loro riduzione in rapporto al totale delle attività e al patrimonio netto è avvenuta prevalentemente attraverso la contrazione dei debiti non finanziari.

La ripartizione dimensionale dei dati aggregati, come nell’edizione precedente dell’indagine, mette in luce, a partire dalle Piccole, una debole relazione tra patrimonializzazione e dimensioni che va riducendosi di intensità passando ai dati disaggregati. Nei singoli raggruppamenti dimensionali le mediane degli indicatori di patrimonializzazione, la cui distanza dai corrispondenti valori misurati sui dati aggregati non si è ridotta, risultano inferiori ai valori calcolati con i dati aggregati, segnalando che in ciascuna classe sono le imprese più grandi a mostrare i livelli di capitalizzazione più elevati. L’aumento del grado di capitalizzazione misurato sui dati aggregati è avvenuto in modo generalizzato ma con intensità diversa nelle diverse classi dimensionali, mentre i valori mediani evidenziano, al contrario, un arretramento delle Micro e delle Grandi, a riprova di un andamento in controtendenza delle imprese più piccole nei due raggruppamenti citati. Sui dati aggregati sorprendentemente sono le Micro a guidare la graduatoria per livello di patrimonializzazione (e non le Grandi come in passato), ma su quelli disaggregati le Micro scivolano in fondo alla graduatoria raggiungendo le Piccole: tra le Micro, quindi, sono più numerose le imprese che si stanno indebolendo rispetto a quelle che si stanno irrobustendo.

La struttura finanziaria delle imprese di minori dimensioni si conferma tendenzialmente più fragile anche perché, venendo alla struttura

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dell’indebitamento, si è invertito il processo di riduzione della quota di debiti a breve termine iniziato nel 2007-2009. Limitando l’attenzione ai soli debiti finanziari di un sotto-campione di circa 430 imprese per le quali sono disponibili i relativi dati, si nota come la quota mediana a breve termine cresca più rapidamente di quella misurata sui dati aggregati. Le Micro e Piccole imprese si finanziano quasi esclusivamente a breve scadenza: solo nelle Grandi la quota dei debiti finanziari scadente entro l’esercizio scende al 50%.

I debiti esclusivamente finanziari coprono il 18% circa dell’attivo, in calo di due punti rispetto al triennio precedente. In tutti gli anni considerati sono le Grandi imprese a mostrare, di gran lunga, la massima incidenza dei debiti finanziari e, quindi, a caratterizzarsi per una maggiore capacità di reperire finanziamenti esterni; all’estremo opposto della graduatoria si collocano non sorprendentemente le Micro.

A livello consolidato la durata dei crediti e dei debiti commerciali, dopo le ampie oscillazioni registrate nel triennio 2007-2009, non evidenzia nel 2010-2012 particolari variazioni. Nelle diverse classi dimensionali si registrano simili riduzioni delle durate mediane dei crediti e dei debiti commerciali, concentrate nel 2011. Poiché in tutti i raggruppamenti, sebbene in misura diversa, cresce la durata mediana delle scorte, aumenta complessivamente la durata del ciclo commerciale: quest’ultima è sistematicamente superiore nelle Medie imprese e minima, come nell’indagine precedente, nelle Piccole. Viene meno, inoltre, la relazione inversa tra ampiezza temporale del credito commerciale, ricevuto e concesso, e classe dimensionale (più corta nelle Piccole imprese e più lunga nelle imprese Medie e Grandi), nonché tra durata delle scorte e dell’intero ciclo commerciale e classe dimensionale rilevata nel 2007-2009.

Anche nel 2010-2012 tutti i settori, con l’eccezione di “Alimentari e bevande” e di “Lavorazione di minerali non metalliferi”, hanno registrato un aumento del grado di patrimonializzazione ovvero una riduzione del ricorso al debito, anche se con intensità diverse. Diversamente dal triennio precedente solo in tre settori (“Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”, “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Altre manifatture”) è proseguita la riduzione della quota a breve termine dei debiti complessivi. In base ai dati disaggregati l’intensità dello sforzo di ricapitalizzazione è stato massimo nelle imprese di “Tessile e abbigliamento”, seguite da “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” e “Lavorazione di minerali non metalliferi”.

In netta continuità con la precedente indagine, i dati aggregati indicano in “Alimentari e Bevande” e “Altre manifatture” i settori meno capitalizzati, mentre con quelli disaggregati ai settori anzidetti si aggiunge “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”. Come nel 2007-2009, all’estremo opposto della graduatoria si colloca “Tessile e abbigliamento” seguito a buona distanza da “Lavorazione di minerali non metalliferi” e “Metallurgia e prodotti in metallo”. Sui dati disaggregati, invece, si registra una modesta variabilità dei livelli di

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patrimonializzazione, sempre con “Tessile e abbigliamento” in testa alla graduatoria.

Nella metà dei settori scende l’incidenza dei debiti finanziari: come nel 2007-2009 l’impresa mediana di “Tessile e abbigliamento” non fa sostanzialmente ricorso a tale fonte di finanziamento che è, invece, sistematicamente massimo in “Lavorazione di minerali non metalliferi”, tallonato da “Alimentari e bevande”. Con riferimento alla scadenza dei debiti finanziari a breve, i dati disaggregati fanno segnare un aumento della relativa quota in sette settori su otto, mentre se guardiamo ai debiti totali i settori sono uno in meno. In ciascun settore le imprese di minori dimensioni risultano maggiormente dipendenti dal credito a breve rispetto a quelle più grandi: se guardiamo ai debiti totali, l’impresa mediana di “Tessile e abbigliamento” è indebitata esclusivamente a breve, ma la situazione non è molto diversa nei rimanenti settori, tutti stabilmente al di sopra del 90% in ciascuno degli anni del periodo 2010-2012.

Mentre nel 2007-2009 cresceva, in tutti i settori, la durata dei debiti commerciali, nel 2010-2012 si registra una riduzione generalizzata (con la sola eccezione di “Chimica, gomme e materie plastiche”) della durata sia dei debiti che dei crediti commerciali. La durata delle scorte, al contrario, cala in tre settori (“Tessile e abbigliamento”, “Chimica, gomme e materie plastiche”, “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”) favorendo una riduzione della durata del ciclo commerciale; nei rimanenti settori l’effetto netto delle riduzioni della durata di crediti e debiti commerciali e dell’aumento di quella delle scorte è, invece, quello di un aumento della durata del ciclo commerciale (con la sola eccezione di “Altre manifatture”).

Flussi finanziari

Così come gli anni 2007-2009, pur non avendo peggiorato l’equilibrio finanziario statico, avevano avuto effetti negativi sull’equilibrio dinamico – cioè sulla congruità fra flussi di reddito e cassa e l’indebitamento –, anche gli anni 2010-2012 presentano un quadro simile.

Gli oneri finanziari registrano un incremento di oltre il 20%, pur in presenza di una sostanziale stabilità dell’indebitamento complessivo misurato sui dati aggregati: in particolare, l’aumento avvenuto nel 2012 pare dovuto in larga prevalenza all’incremento del costo dei debiti. Nonostante il fatturato in crescita, il rapporto tra oneri finanziari e fatturato fa segnare un cospicuo aumento, che risulta ancora superiore per il rapporto tra Oneri finanziari ed Ebitda (in calo nel periodo). Nei dati individuali, l’incidenza mediana degli oneri finanziari sul fatturato ha una dinamica analoga ma con “velocità doppia” e livelli inferiori a quelli misurati sui dati aggregati; anche la quota mediana di Ebitda assorbita dagli oneri finanziari risulta stabilmente inferiore.

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Il rapporto “Debiti/Ebitda” mostra una ridotta variabilità e pare essersi stabilizzato appena sotto le 7 volte dopo aver toccato le 8 volte nel 2009. La sostenibilità dei debiti, tuttavia, viene solitamente valutata considerando i soli debiti finanziari: il valore mediano del rapporto “Debiti finanziari/Ebitda”, relativamente al sotto-insieme del campione per il quale sono disponibili i dati di dettaglio sulla composizione dei debiti, aumenta tra 2010 e 2012 da 2,26 a 2,53 volte (+12%). Tale variazione è molto più accentuata di quella registrata dai debiti totali (+0,1%), mentre il livello dell’indicatore si mantiene ben al di sotto delle 5 volte, soglia generalmente considerata di criticità: il suo incremento è riconducibile al calo dell’Ebitda. Per avere un quadro più approfondito della situazione abbiamo calcolato la percentuale di imprese i cui debiti finanziari sono almeno 5 volte l’Ebitda (positivo) e la percentuale di imprese con debiti finanziari che hanno un Ebitda negativo. Complessivamente se nel 2010 il 31% delle imprese aveva troppi debiti in confronto alla generazione di reddito industriale, nel 2012 il 39% delle imprese si trova in questa condizione: questi valori sono comunque inferiori a quelli del 2009, quando il 44,3% delle imprese aveva troppi debiti, ma molto distanti da quelli pre-crisi del 2007 (23,5%).

In questo quadro di contenimento dell’indebitamento, complessivo e finanziario, si può stimare che con l’inasprirsi della crisi nel 2012 le imprese reggiane, per poter assicurare non solo il servizio dei debiti in essere ma anche il loro rimborso (per ben 158 milioni di euro), abbiano ridotto al minimo il fabbisogno di finanziamento del circolante. Per realizzare tale operazione, in presenza di un flusso comunque positivo di investimenti, le imprese hanno anche dovuto attingere a proventi di natura straordinaria e al rafforzamento dei mezzi propri, precedentemente menzionato.

Come nel triennio 2007-2009 gli effetti della crisi sulla sostenibilità dinamica del debito non risultano omogenei nelle diverse classi dimensionali di imprese. Nel 2010-2012 solo nelle Grandi la quota di reddito industriale lordo assorbita dagli oneri finanziari non aumenta in modo significativo, anche se i tassi di crescita sono notevolmente inferiori a quelli del triennio 2007-2009. Micro e, in misura meno accentuata, Piccole imprese continuano a mostrare una capacità di fronteggiare gli oneri finanziari con la propria generazione di reddito caratteristico inferiore a quella delle imprese medio-grandi. La minore sostenibilità del debito delle imprese più piccole è provata anche dal rapporto “Debiti Totali/Ebitda”, che in tutti gli anni supera sensibilmente quello delle imprese medio-grandi. Mentre nell’indagine precedente questo valeva anche per la percentuale di imprese in situazione di criticità, cioè con un rapporto “Debiti finanziari/Ebidta” pari almeno a 5 volte oppure negativo (in presenza però di debiti finanziari), in questa edizione la quota delle Grandi imprese in condizioni critiche supera il 50%; risulta, invece, inferiore e abbastanza simile nelle rimanenti classi dimensionali.

Passando alla ripartizione per settori, tre di essi (“Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”, “Fabbricazione di macchine, apparecchi e

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veicoli”, “Altre manifatture”) riescono a contenere o a ridurre l’incidenza degli oneri finanziari sul reddito industriale lordo, solo uno (“Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”) quella sui ricavi. In metà dei settori (“Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione, “Altre manifatture”, “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”, “Metallurgia e prodotti in metallo”) le imprese riescono a ridurre anche il proprio indebitamento in rapporto all’Ebitda.

Confrontando i dati aggregati con quelli disaggregati emergono le maggiori difficoltà delle imprese più piccole nel ridurre l’incidenza degli oneri finanziari: se nell’edizione precedente si era rilevato, sia sui dati aggregati che su quelli disaggregati, un buon numero di settori in grado di ridurre, anche in modo notevole, l’incidenza degli oneri finanziari (con le imprese più piccole talvolta più dinamiche delle più grandi in tale processo), nel 2010-2012 i casi di successo sono soltanto due. Il rapporto mediano “Debiti finanziari/Ebitda” registra (tolto il caso “anomalo” di “Tessile e abbigliamento” in cui l’impresa mediana non ha debiti finanziari) solo due casi di riduzione: “Chimica, gomme e materie plastiche” e “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”. Si assiste, infine, a un notevole incremento della quota di imprese caratterizzate da elevato rischio finanziario: a fine 2012 circa un’impresa su due in “Altre manifatture”, “Lavorazione di minerali non metalliferi” e “Alimentari e bevande” (dove aumenta enormemente la quota di imprese con Ebitda negativo) è caratterizzata da un rischio finanziario elevato, una su tre circa nei rimanenti settori.

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1.1. Il campione nel suo complesso

1.1.1 Le principali voci di stato patrimoniale e conto economico

Nella Tabella 1.1 è riportato l’andamento delle principali voci di stato patrimoniale e di conto economico del campione: si tratta di dati ottenuti sommando i valori di tutte le imprese esaminate (“dati aggregati” d’ora in avanti), pertanto la loro dinamica rispecchia soprattutto quella delle imprese di maggiore scala.

Tabella 1.1 - Imprese manifatturiere reggiane: principali voci economico-patrimoniali. Campione di 525 imprese (dati aggregati).

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Consistenze (mln €) Variazioni %

Immobilizzi materiali 1.782,0 1.787,2 1.791,1 -0,2 -0,3 -0,5 Immobilizzi immateriali 540,2 530,3 519,6 2,1 1,9 4,0 Immobilizzi finanziari 420,8 292,8 270,8 8,1 43,7 55,4 CCN

2.378,0 2.138,2 2.138,2 0,0 11,2 11,2

Patrimonio netto 3.662,7 3.415,1 3.319,3 2,9 7,3 10,3 Totale debiti 4.730,0 5.023,3 4.684,6 7,2 -5,8 1,0 Flussi (mln €) Valore della produzione 9.264,5 9.305,4 8.506,5 9,4 -0,4 8,9 Ricavi delle vendite 9.148,3 9.098,4 8.377,5 8,6 0,5 9,2 Ebitda 702,0 724,9 695,8 4,2 -3,2 0,9 Utile netto 172,6 163,0 165,2 -1,3 5,9 4,5 Oneri finanziari 102,6 95,6 85,1 12,4 7,3 20,6 Totale imposte 153,4 175,2 164,6 6,4 -12,5 -6,9 Imposte su Utile lordo (%) 47,0 51,8 49,9 3,8 -9,2 -5,8 Flusso di cassa gestione 488,2 473,6 464,9 1,9 3,1 5,0 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Partendo dalle consistenze, mentre nell’indagine precedente relativa al triennio 2007-2009 tutte le tipologie di immobilizzazioni avevano fatto registrare una notevole crescita, nel periodo 2010-2012 solo quelle finanziarie mostrano una dinamica significativa, concentrata nel 2012; le immobilizzazioni immateriali, invece, segnano un modesto incremento, del 2% per anno, mentre quelle materiali risultano in costante, frazionale diminuzione. Va sottolineato che il marcato incremento delle immobilizzazioni finanziarie è riconducibile agli ingenti investimenti effettuati da due sole imprese (una piccola e una media azienda): escludendo queste due osservazioni dal campione (dati non riportati), nel 2012 la variazione percentuale delle immobilizzazioni finanziarie si riduce al +2,3% e, nel triennio, al +10,7%. Mantenendo nel campione le due imprese anzidette l’incremento percentuale delle immobilizzazioni finanziarie (+55,4%) risulta nettamente superiore all’espansione del capitale circolante netto (+11,2%). Al netto, invece, dei due “outliers” (dati non riportati), nel 2012 l’aumento del CCN

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(+12,4%) domina quello delle immobilizzazioni finanziarie (+2,3%); anche nel 2011 le immobilizzazioni finanziarie fanno registrare un discreto incremento rispetto all’anno precedente (+8,1%), a fronte di un CCN stavolta invariato.

Dal lato del passivo i dati aggregati, in continuità con l’indagine precedente, evidenziano un positivo contenimento dei debiti totali (commerciali e finanziari): nel periodo considerato fanno registrare un incremento di un solo punto percentuale, frutto di un primo aumento nel 2011, del 7,2%, e di un successivo calo, nel 2012, del 5,8%. Al contenimento dei debiti e in presenza, come detto, di un flusso positivo di nuovi investimenti in immobilizzazioni immateriali e finanziarie corrisponde, come nel triennio 2007-2009 (ma stavolta non per ragioni contabili, legate alla rivalutazione degli immobili del 2008), un costante incremento dei mezzi patrimoniali: questi ultimi crescono stabilmente nel triennio 2010-2012 complessivamente di un 10% abbondante, con variazioni sempre positive in ciascun anno anche se il grosso dell’incremento si verifica nel 2012 (+7,3%), in corrispondenza del simultaneo calo dei debiti totali (-5,8%). La copertura dei nuovi investimenti pare quindi essere stata assicurata, almeno a livello aggregato, dal capitale di rischio e dall’autofinanziamento: infatti anche il flusso di cassa della gestione risulta in aumento nel triennio considerato (+5%) e, in modo particolare, nel 2012 (+3,1%).

Passando dalle consistenze ai flussi, dopo una significativa ripresa nel 2011 sia del valore della produzione (+9,4%) che dei ricavi delle vendite (+8,6%), nel 2012 nonostante l’intensificarsi della recessione non si registrano significative contrazioni: infatti, i valori di entrambi i flussi fanno registrare minime oscillazioni, addirittura di segno positivo per i ricavi delle vendite (+0,5%). Sul fronte della generazione di reddito, dopo un discreto incremento nel 2011 del margine operativo lordo (Ebitda) (+4,2%) e di un leggero calo dell’utile netto (-1,3%), nel 2012 è l’Ebitda a registrare una diminuzione (-3,2%) in presenza di un significativo aumento dell’utile netto (+5,9%) dovuto sia a proventi di natura straordinaria sia al calo delle imposte, tanto in valore assoluto quanto in percentuale dell’utile lordo.

Interessante è l’andamento degli oneri finanziari, che registrano un incremento di oltre il 20% nel triennio pur in presenza, come detto poco fa, di una sostanziale stabilità dell’indebitamento complessivo (finanziario e non) misurato sui dati aggregati. Gli oneri finanziari crescono sia nel 2011, in misura più marcata (+12,4%), che nel 2012 (+7,3%). L’aumento del 2011 avviene in presenza di un parallelo aumento dei debiti (totali), mentre quello del 2012 è accompagnato da un calo dell’indebitamento complessivo (-5,8%): si può quindi ritenere che l’incremento registrato nel 2012 sia dovuto prevalentemente a un incremento dei tassi praticati alle imprese che, unitamente alla stretta creditizia, ha certamente stimolato il processo di ricapitalizzazione di cui abbiamo fatto cenno in precedenza.

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1.1.2. Dimensioni aziendali

L’indagine precedente, utilizzando i consueti parametri di fatturato3, aveva evidenziato come la crisi non avesse favorito la crescita dimensionale delle imprese manifatturiere reggiane: infatti a fine 2009 l’incidenza delle Medie e Grandi aziende sul totale del campione risultava inferiore a quella del 2007.

Nel triennio 2010-2012 il processo di “ridimensionamento” sembra arrivare a un assestamento, anche se nell’effettuare qualche tentativo di confronto occorre tenere presente che il campione analizzato in questa indagine non è lo stesso: comprende, infatti, 525 delle 683 imprese oggetto della precedente rilevazione e, quindi, non è alimentato da nuovi ingressi. La sua composizione, pertanto, riflette parzialmente le migrazioni tra le diverse classi dimensionali delle 683 imprese utilizzate nell’indagine sul 2007-2009. Con questa avvertenza, a fine 2012 il peso delle Micro imprese pare stabilizzarsi al 17%, quello delle Piccole al 55%, delle Medie al 21% e, infine, delle Grandi al 7%: rispetto all’indagine precedente le Piccole e le Medie imprese fanno registrare un modesto aumento della loro quota sul totale dei due campioni, mentre quella delle Grandi è sostanzialmente stabile.

Il fatturato medio4 aumenta stabilmente nel periodo considerato, passando dai 16,2 milioni del 2010 ai 17,5 milioni del 2011 e, infine, ai 17,7 milioni del 2012; quello mediano, invece, dopo essere cresciuto a 5,4 milioni dai circa 5 del 2010, cala nell’ultimo anno attestandosi a 5,1 milioni: la crescita della produzione è stata, quindi, trainata dalle imprese più grandi che complessivamente anche nell’indagine precedente avevano retto meglio ai colpi della crisi. Inoltre, nel 2010-2012 il fatturato mediano sale molto meno di quello medio (3,1 contro 9,3%): in particolare, mentre nel 2011 il fatturato mediano sale in misura cospicua (+8,7%) e sostanzialmente identica al fatturato medio (+8,5%), nel 2012 il primo accusa un sensibile calo (-5,2%) col secondo ancora in ulteriore, frazionale aumento. Le imprese maggiori sembrano dunque aver retto meglio anche al recente inasprimento della crisi recessiva, come era del resto accaduto nel 2009: la correlazione fra classe di fatturato e andamento delle vendite, tuttavia, è positiva e statisticamente significativa solo nel 2012, mentre risulta negativa e sempre statisticamente significativa nel 2011.

3 Micro fino a 2 milioni di fatturato, Piccole da 2 a 10 milioni, Medie da 10 a 50 milioni, Grandi da 50 milioni e oltre. E’ bene precisare che in tutte le classificazioni dimensionali successive si utilizza il numero di dipendenti. 4 Per media si intende, in questo caso, la media aritmetica semplice.

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Tabella 1.2 - Imprese manifatturiere reggiane: ripartizione per classi dimensionali di fatturato e dimensione media. Campione di 525 imprese.

2012 2011 2010 2012 2011 2010 Numero imprese Composizione %

Micro 90 71 85 17,1 13,5 16,2 Piccole 288 295 293 54,9 56,2 55,8 Medie 112 124 114 21,3 23,6 21,7 Grandi 35 35 33 6,7 6,7 6,3 Totale 525 525 525 100,0 100,0 100,0 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Fatturato (mln €) Variazioni % Media 17,67 17,54 16,17 8,5 0,7 9,3 Mediana 5,14 5,43 4,99 8,7 -5,2 3,1 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

1.1.3. Redditività e costi

Nel paragrafo 1.1.1 è emersa una sostanziale tenuta dell’equilibrio economico del comparto manifatturiero reggiano: cerchiamo ora di capire quale ruolo abbiano giocato la gestione operativa (margini e rotazione), la gestione finanziaria (leva e costo del debito), la gestione extra-caratteristica e le imposte.

La Tabella 1.3 riporta alcuni indici di bilancio su base aggregata, cioè sommando i dati di tutte le imprese esaminate (la stessa logica della Tabella 1.1). La redditività lorda operativa (ROA), sempre positiva nel triennio, scende monotonicamente passando dal 4,60% del 2010, al 4,55% del 2011, al 4,26% del 2012, con una caduta dell’1,1% nel 2011 e del 6,2% nel 2012 (-7% nel triennio).

Il ROA è il prodotto fra il margine reddituale sulle vendite (ROS) e il tasso di rotazione delle vendite (Vendite/Totale attivo). I due indicatori mostrano un andamento divergente nel 2010-2012, con il ROS che cala (dal 4,63% del 2010 al 4,13% nel 2012) e il tasso di rotazione delle vendite che invece aumenta, monotonicamente (da 99,34% a 101,94%, a 103,18%): il prodotto dei due ossia il ROA scende in modo meno marcato del ROS poiché la maggior rotazione delle vendite non riesce a compensare del tutto il calo del ROS.

La redditività netta dei mezzi propri (ROE), diversamente da quella lorda operativa (ROA), scende in modo marginale passando dal 4,98% del 2010, al 4,78% del 2011, al 4,71% del 2012: a tale andamento contribuisce certamente la limitata variabilità del peso delle imposte, che si attesta nel periodo sempre nei pressi del 50%. Nella Tabella 1.3, più precisamente, riportiamo un indicatore inverso del carico tributario (T), aspetto di particolare importanza considerata l’elevata imposizione fiscale gravante sulle imprese italiane: detto indicatore è costituito dal complemento a 1 del rapporto percentuale tra utile netto e utile prima delle imposte: quindi più T è alto, minore è il peso delle imposte.

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Per interpretare l’andamento del ROE facciamo ricorso alla sua scomposizione additiva, grazie alla quale è possibile identificare il contributo della gestione operativa (ROA), dello spread fra redditività operativa e costo dei debiti, della leva finanziaria e della gestione extra-corrente, il tutto al netto delle imposte.

Tabella 1.3 - Imprese manifatturiere reggiane: analisi equilibrio economico. Campione di 525 imprese (indici su dati aggregati). 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % ROA 4,26 4,55 4,60 -1,1 -6,2 -7,2 ROS 4,13 4,46 4,63 -3,6 -7,3 -10,7 Rotazione vendite 103,18 101,94 99,34 -2,6 -1,2 -3,7 T = (1 - peso imposte) ^ 52,95 48,25 50,08 -3,7 9,8 5,7 Analisi del ROE Variazioni ROE 4,71 4,78 4,98 -0,19 -0,07 -0,26 ROA x T 2,26 2,19 2,30 -0,11 0,06 -0,04 (OF-PF)/D x T ° -0,75 -0,55 -0,44 Spread: ROA x T - [(OF-PF) / D x T] 1,51 1,65 1,86 -0,21 -0,13 -0,35 Leva: D / Patrimonio netto 1,45 1,65 1,58 0,07 -0,19 -0,12 (Saldo extra x T) / Patrimonio netto * 0,26 -0,12 -0,25 0,13 0,37 0,51 Valori % Effetto ROA x T -56,6 90,8 -16,8 Effetto Spread x T (a parità di Leva) -173,5 -311,5 -207,2 Effetto Leva 60,5 -405,2 -68,9 Effetto Extra x T 69,7 525,9 192,9 ^ Peso imposte = Imposte / Utile pre imposte. ° D = Totale attivo - Patrimonio netto. * Saldo Extra = Rettifiche attività finanziarie + Proventi e oneri straordinari. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Considerata la citata scarsa variabilità del peso delle imposte, la sostanziale tenuta del ROE nel 2011 in presenza di una contrazione del ROA e dello spread è dovuta a un maggiore utilizzo della leva finanziaria e al contribuito della gestione straordinaria; nel 2012, invece, solo quest’ultima si contrappone all’influsso negativo di tutte le rimanenti determinanti del ROE (ROA, spread, leva finanziaria, peso imposte).

La Tabella 1.4 offre ulteriori approfondimenti riferiti ai valori individuali delle predette variabili anziché a quelli aggregati. Innanzitutto in tutti gli anni considerati i valori mediani di ROS, ROA e ROE risultano inferiori ai corrispondenti valori aggregati della Tabella 1.3 (equivalenti a medie ponderate dei singoli indicatori), lasciando intravedere un differenziale di redditività e marginalità a favore delle imprese più grandi5. Per il ROE lo scarto tra media e mediana si attesta a circa 0,30 punti percentuali nel 2010 e 2012 e a 0,11 punti nel 2011: le differenze di redditività tra impresa media e mediana risultano quindi 5 Si preferiscono le mediane alle medie in quanto meno distorte dai numerosi outliers.

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marginali, dimostrando come non vi siano evidenti vantaggi a favore delle imprese di maggiori dimensioni. Per il ROA il differenziale è leggermente superiore attestandosi a circa 1,2 punti percentuali nel 2010 e 2012, con una riduzione a 0,7 punti nel 2011, mentre per il ROS passa da 1,37% nel 2010, a 0,66% nel 2011, a 1,23% nel 2012: possiamo quindi concludere che, in termini di redditività lorda operativa, trova conferma un vantaggio delle imprese di maggiori dimensioni, come nell’indagine precedente, ma di entità inferiore al passato.

Analizzando le variazioni percentuali si osserva come ROS, ROA e ROE mediani peggiorino più dei corrispondenti valori medi nel 2012 (e nel periodo complessivamente considerato) ma non nel 2011, in cui ROA e ROS mediani fanno registrare entrambi, in controtendenza rispetto all’andamento generale, un incremento (rispettivamente +11,6 e +10,4%). Tale incremento consente di quasi azzerare il calo del ROE mediano tra 2012 e 2011 quando quello medio, invece, cade del 4% circa.

La correlazione fra indicatori di redditività e dimensione misurata mediante il fatturato, benché sempre positiva, non risulta mai statisticamente significativa. Utilizzando, invece, la classe di fatturato come proxy delle dimensioni aziendali (ossia il fatturato in versione categorizzata) il coefficiente di correlazione con il ROS risulta statisticamente significativo in tutti gli anni considerati; la correlazione con il ROA, generalmente di segno positivo, è invece significativa solo nel 2012, mentre quella col ROE si conferma non significativa in termini statistici.

Tabella 1.4 - Imprese manifatturiere reggiane: indici di redditività e produttività. Campione di 525 imprese.

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni %

ROE mediana 4,40 4,67 4,69 -0,3 -5,8 -6,1 ROE negativi 23,62 22,10 26,29 -15,9 6,9 -10,2 Rapporto di indebitamento ° mediana 3,28 3,52 3,47 1,4 -6,8 -5,5 ROA mediana 3,09 3,82 3,42 11,6 -19,1 -9,6 ROS mediana 2,90 3,60 3,26 10,4 -19,4 -11,0 ROA e ROS negativi 23,24 17,90 15,81 13,2 29,8 47,0

Imprese in perdita che pagano imposte § 12,19 12,76 12,38 3,1 -4,5 -1,5 VA pro capite mediana 57.885 58.105 54.640 6,3 -0,4 5,9 Costi di produzione / Ricavi mediana 97,18 97,10 97,10 -0,0 0,1 0,1 Costo personale / Ricavi mediana 20,74 20,00 20,73 -3,5 3,7 0,1 Il ROE e il rapporto di indebitamento sono calcolati escludendo le imprese con patrimonio netto negativo. ° Rapporto di indebitamento = Totale attivo / Patrimonio netto. § Imprese in perdita = imprese con utile netto ante imposte negativo. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Diversamente dall’indagine precedente il (modesto, stavolta) deterioramento reddituale non è accompagnato da un significativo incremento

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dalla percentuale di società con i conti “in rosso”: nel 2012 detta percentuale si attesta al 23,6%, con variazioni contenute nel triennio, rimanendo ben lontana dai livelli pre-crisi del 2007 quando solo il 15,4% delle imprese presentava un bilancio in perdita. Risulta, invece, in rapido aumento la quota di imprese con marginalità negativa già a livello di gestione industriale (aziende con ROA e ROS negativi): anche in questo caso restano lontani i livelli pre-crisi (7,9%), attestandosi nel 2012 tale quota a un livello circa triplo (23,2%). Rispetto all’indagine precedente la fiscalità non pare avere (per ora) accentuato le conseguenze dell’inasprimento della crisi: poco più del 12% delle imprese in perdita, in ciascun anno, paga comunque imposte, contro il 21% del 2009 (e il 7,8% del 2007).

I dati individuali evidenziano, oltre alla sostanziale tenuta del fatturato e al modesto restringimento dei margini, modeste variazione della produttività del lavoro: infatti il valore aggiunto per addetto mediano è diminuito di poco nel 2012, passando da 58.105 a 57.885 euro dopo essere in precedenza cresciuto: a inizio periodo, infatti, risultava pari a 54.640 euro. Sul fronte dell’efficienza economica a fine periodo l’incidenza sui ricavi dei costi, sia del lavoro che totali, risulta pressoché immutata con i primi che, dopo essere prima calati nel 2011, sono successivamente cresciuti in eguale misura. Come verificato nell’indagine precedente, nelle imprese manifatturiere reggiane il costo del lavoro rappresenta solo un quinto circa dei costi di produzione, a conferma dell’ampio ricorso alla esternalizzazione e della partecipazione a filiere produttive.

1.1.4. Struttura finanziaria A livello aggregato nel 2012 l’attivo delle imprese manifatturiere reggiane

è finanziato per il 41% da mezzi propri, per il 53% da debiti e per il 6% circa da altre passività (Tabella 1.5). Dal 2010 l’incidenza del patrimonio è cresciuta del 5% (+1,9 punti) mentre i debiti totali (commerciali e finanziari) sono scesi del 4% (-2,2 punti). Grazie all’opposta dinamica di patrimonio e debiti, il loro rapporto è migliorato del 9,3% passando dal 70,9% del 2010, al 77,4% del 2012, dopo essere sceso al 68% nel 2011. E’ quindi proseguito nel triennio 2010-2012, anche se con minore intensità, l’impegnativo rafforzamento patrimoniale iniziato nel 2007-2009 di cui avevamo dato conto nell’indagine precedente: anche in quel periodo, infatti, l’incidenza del patrimonio era cresciuta, ma a un ritmo doppio di quello del 2010-2012 (+10% vs. +5%) giustificato dai livelli di partenza contenuti (35% per il rapporto “Patrimonio netto/Totale attivo”).

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Tabella 1.5 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di struttura finanziaria. Campione di 525 imprese (dati aggregati).

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni %

Patrimonio netto / Totale attivo 40,74 37,80 38,83 -2,7 7,8 4,9 Debiti / Totale attivo 52,61 55,60 54,81 1,4 -5,4 -4,0 Altre passività / Totale attivo 6,66 6,61 6,36 3,9 0,7 4,7 Patrimonio netto / Debiti 77,43 67,98 70,86 -4,1 13,9 9,3 Debiti a breve / Debiti 80,68 78,59 80,62 -2,5 2,7 0,1 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Si è, invece, apparentemente interrotto il processo di riduzione della quota di debiti a breve termine: si attestava al 79% nel 2009, valore intorno al quale ha oscillato nel triennio 2010-2012 salendo all’81% a fine periodo. In presenza, come abbiamo visto, di un indebitamento totale in frazionale aumento in valore assoluto ma in costante e continua flessione in termini relativi, la mancata crescita della quota dei debiti totali a medio-lungo termine chiama in causa il sistema bancario e le sue difficoltà, negli ultimi anni, a fare provvista obbligazionaria a scadenza protratta. Pur considerando che stiamo parlando di debiti totali, inclusivi dei debiti commerciali, non c’è dubbio che, con l’allentarsi della crisi del debito sovrano e il riattivarsi della raccolta obbligazionaria, il sistema bancario dovrà impegnarsi a favorire l’allungamento della scadenza del debito (almeno) della clientela corporate di migliore qualità.

La Tabella 1.6, riportando i valori mediani, consente di apprezzare la struttura finanziaria pesando allo stesso modo tutte le imprese, indipendentemente dalla loro dimensione. Da questo punto di vista nel triennio 2010-2012 sia la riduzione dei debiti (-4,4%) che l’accrescimento patrimoniale (+5,2%) risultano molto simili a quelli misurati sui dati aggregati, a dimostrazione che anche per le imprese di dimensioni inferiori alla media il processo di ricapitalizzazione è proseguito, con un’intensità molto inferiore al 2007-2009 ma non molto diversa dalla media generale.

Il rapporto mediano tra Patrimonio netto e Totale attivo, attestato a fine 2009 al 28,4%, è salito al 29,6% a fine 2012 aumentando di 1,2 punti. Visti i progressi allineati alla media generale detto rapporto, che era nel 2007-2009 molto inferiore a quello calcolato con i dati aggregati, resta sensibilmente inferiore (29,6% contro 40,7% nel 2012; 28,1% contro 38,8% nel 2010). La copertura patrimoniale dell’attivo presenta una relazione positiva e statisticamente significativa sia con la classe dimensionale che con il fatturato in tutti gli anni esaminati: trova quindi ulteriore conferma la maggiore fragilità finanziaria delle imprese più piccole, già rilevata nell’indagine precedente.

Si veda ulteriormente il rapporto mediano “Patrimonio netto/Debiti” che, pur salendo di quasi l’11% nel triennio, resta di oltre 26 punti più basso di quello

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aggregato (24 nel triennio precedente): 51,1% contro 77,4% nel 2012. La maggiore fragilità dell’impresa mediana è legata anche a un peso dell’indebitamento a breve superiore alla media (93% circa nel 2012 contro 80,6% nel 2012) e in aumento, diversamente da quello dell’impresa media, dopo il sensibile miglioramento nel triennio 2007-2009. Non deve sorprendere, del resto, che siano proprio le imprese di dimensioni più piccole a trovare maggior difficoltà ad aumentare la scadenza del proprio passivo, quando le banche razionano il credito e faticano a finanziarsi sulle durate non brevi.

Tabella 1.6 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di struttura finanziaria. Campione di 525 imprese.

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori mediani % Variazioni %

Patrimonio netto / Totale attivo 29,59 27,91 28,14 -0,8 6,0 5,2 Debiti / Totale attivo 58,28 61,36 60,99 0,6 -5,0 -4,4 Di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo §

17,69 18,59 17,73 4,8 -4,8 -0,3

Altre passività / Totale attivo 8,69 8,11 8,00 1,4 7,2 8,7

Patrimonio netto / Debiti 51,14 44,96 46,06 -2,4 13,7 11,0 Debiti a breve / Debiti 93,13 92,24 91,05 1,3 1,0 2,3 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 49,62 57,92 55,69 4,0 -14,3 -10,9 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi §

82,55 80,66 74,75 7,9 2,3 10,4

Durata ciclo commerciale § 149 149 149 0,3 -0,3 0,0 Durata crediti commerciali § 129 116 129 -10,2 11,3 0,0 Durata scorte § 136 131 136 -3,7 3,8 0,0 Durata fornitori § 115 105 115 -8,3 9,0 0,0 § campione parziale. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Guardando ai dati delle singole imprese si riesce ad avere qualche informazione sui debiti di natura strettamente finanziaria (verso banche e altri finanziatori terzi): un’analisi aggregata risulta infatti impraticabile in quanto il dettaglio dei debiti finanziari non è disponibile per tutte le 525 imprese del campione ma solo per un sotto insieme più ristretto, comunque sempre superiore alle 430 unità. I debiti finanziari coprono il 18% circa dell’attivo, in calo di due punti rispetto al triennio precedente; un peso in marginale riduzione nel 2010-2012 (-0,3%), ma con eguali variazioni di segno opposto nei singoli anni: +4,8% nel 2011 e -4,8% nel 2012. Anche nel 2010-2012 come nel 2007-2009 la riduzione dei debiti totali appare prevalentemente imputabile ai debiti non finanziari: il peso di quelli finanziari è, infatti, cresciuto più dei debiti complessivi nel 2011, anno di attenuazione della crisi, per poi ridiscendere quasi nella stessa misura (-4,8% vs. -5%) nel 2012.

In proporzione al patrimonio i debiti finanziari aumentano del 4% nel 2011 per poi ridursi del 14,3% nel 2012, con un calo complessivo del 10,9% nel

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triennio: il livello del rapporto a fine 2012 (49,6%) è inferiore di 6 punti a quello di inizio periodo (55,7%), proseguendo la tendenza vista nell’indagine precedente, quando il miglioramento era stato però più marcato (calo di 30 punti: dal 93% del 2007 al 63% del 2009). Anche i debiti finanziari, inoltre, vedono risalire la quota a breve termine e in misura notevolmente superiore a quanto osservato per i debiti totali (+10,4% contro +2,3% nel triennio), a dimostrazione della fortissima dipendenza dal credito a breve termine dell’impresa mediana del campione.

Sul fronte dei crediti e dei debiti commerciali dopo le ampie oscillazioni verificatesi nel triennio 2007-2009, nel triennio 2010-2012 la durata mediana di entrambi non mostra variazioni: si registra, tuttavia, per entrambe le durate, prima, una diminuzione (rispettivamente da 129 a 116 giorni e da 115 a 105 giorni) e, poi, un eguale aumento, che porta appunto i valori di fine periodo a coincidere esattamente con quelli iniziali. Il medesimo andamento mostra la durata media delle scorte determinando, complessivamente, una durata del ciclo commerciale invariata in tutti e tre gli anni considerati, pari a 149 giorni.

Le imprese paiono reagire all’allentamento della crisi, nel 2011, accelerando l’incasso dei crediti, resistendo alla medesima accelerazione impressa dai fornitori ai tempi di incasso dei debiti commerciali e ottimizzando il magazzino: questa politica non consente, tuttavia, di accorciare la durata dell’intero ciclo commerciale. La riacutizzazione della recessione nel 2012 determina il ritorno alle condizioni iniziali senza che, tuttavia, la durata del ciclo commerciale ne risenta, rimanendo appunto invariata a 149 giorni.

1.1.5. Flussi finanziari Così come i primi anni di crisi, pur non avendo peggiorato l’equilibrio

finanziario statico avevano avuto effetti negativi sull’equilibrio dinamico, cioè sulla congruità fra flussi di reddito e cassa e l’indebitamento, anche gli anni più recenti si caratterizzano per un bilancio simile. In particolare, se nel triennio precedente nonostante la flessione delle vendite, almeno rispetto al fatturato il peso degli oneri finanziari era rimasto sui livelli iniziali, nel 2010-2012 nonostante il fatturato in crescita il rapporto tra le due variabili fa segnare un cospicuo incremento, del 10,4%; frutto di un + 3,6% nel 2011 e di un +6,6% nel 2012. Nel triennio più recente gli oneri finanziari in rapporto alla generazione di reddito industriale, misurata dall’Ebitda, fanno segnare una crescita del 19,5%, passando dal 12,22% nel 2010, al 13,18% nel 2011, per toccare il 14,61% nel 2012. Detto rapporto aveva fatto segnare una crescita ben più marcata nel triennio precedente, di oltre il 47%.

Il rapporto “Debiti/Ebitda”, al contrario, mostra una certa stabilità nel 2010-2012 sebbene su livelli preoccupanti: oltre 6,7 volte. Aveva però toccato le 8 volte nel 2009, con una crescita addirittura del 78% nel 2007-2009: dunque detto rapporto pari essersi stabilizzato appena sotto le 7 volte.

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Tabella 1.7 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di equilibrio finanziario dinamico. Campione di 525 imprese (dati aggregati).

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni %

Oneri finanziari / Ebitda (%) 14,61 13,18 12,22 7,8 10,8 19,5 Oneri finanziari / Fatturato (%) 1,11 1,04 1,00 3,6 6,6 10,4 Debiti / Ebitda (volte) 6,74 6,93 6,73 2,9 -2,8 0,1 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

L’analisi dei dati individuali ci restituisce un quadro simile ma dalle tinte un po’ più forti (Tabella 1.8): infatti l’incidenza mediana degli oneri finanziari sul fatturato ha una dinamica analoga a quella sui dati aggregati ma con “velocità doppia” (+20% vs. 10%) anche se i livelli sono inferiori (0,82% contro 1,11% nel 2012). Nel 2010-2012, invece, la quota mediana di Ebitda assorbita dagli oneri finanziari è stabilmente inferiore passando da 10,1% nel 2010, a 10,7% nel 2011, a 13,8% nel 2012, con un notevole incremento (+29%) rispetto all’anno precedente. Nel triennio 2007-2009, invece, fino al 2008 il rapporto mediano “Oneri finanziari/Ebitda” era risultato superiore, divenendo invece nel 2009 sensibilmente inferiore (15,58% contro 18,08%): questa inversione di tendenza era dovuta alle modalità di calcolo più che a una maggiore virtù delle imprese medio-piccole. Detta modalità giustifica probabilmente anche oggi il minor livello mediano degli indicatori: nel computo della mediana, infatti, si sono forzatamente escluse tutte le imprese con Ebitda negativo (circa il 15% nel 2009, circa il 9% nel 2010 e 2011, il 12,8% nel 2012), mentre ciò non è stato necessario nel computo del valore aggregato.

La sostenibilità dei debiti viene solitamente valutata considerando i soli debiti finanziari e non i debiti totali. In quest’ottica il valore mediano del rapporto “Debiti finanziari/Ebitda”, relativamente al sotto-insieme del campione per il quale sono disponibili i dati di dettaglio sulla composizione dei debiti, aumenta tra 2010 e 2012 da 2,26 a 2,53 volte, con un incremento del 12%. Tale variazione è molto più accentuata di quella registrata dai debiti totali (+0,1%), mentre il livello dell’indicatore si mantiene ben al di sotto delle 5 volte, soglia generalmente considerata di criticità. Poiché tuttavia, come si è detto, il livello dei debiti non ha fatto segnare particolari aumenti, l’incremento dell’indicatore è riconducibile al calo dell’Ebitda.

Per avere un quadro più approfondito della situazione abbiamo calcolato la percentuale di imprese i cui debiti finanziari sono almeno 5 volte l’Ebitda (positivo) e la percentuale di imprese con debiti finanziari che hanno un Ebitda negativo: nel 2012 il primo gruppo costituisce il 26% delle imprese per cui è disponibile il dettaglio dei debiti (era il 29,4% nel 2009), in crescita del 15% dal 22,7% del 2010; il secondo gruppo conta, invece, il 13% delle imprese con il dettaglio dei debiti, in crescita del 49% dall’8,6% del 2010. Complessivamente se nel 2010 il 31% delle imprese aveva troppi debiti finanziari in rapporto alla

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generazione di reddito industriale, nel 2012 il 39% delle imprese si trova in questa condizione: questi valori sono comunque inferiori a quelli del 2009, quando il 44,3% delle imprese aveva troppi debiti ma ancora molto distanti da quelli pre-crisi del 2007 (23,5%).

Tabella 1.8 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di equilibrio finanziario dinamico. Campione di 525 imprese.

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni %

Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 13,82 10,73 10,11 6,1 28,8 36,7 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,82 0,74 0,68 8,3 10,9 20,1 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§

2,53 2,31 2,26 2,1 9,5 11,8

Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) §

26,10 25,14 22,67 10,9 3,8 15,1

Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) §

12,76 8,95 8,57 4,4 42,6 48,9

^ Escluse imprese con Ebitda negativo. § campione ridotto. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

La Tabella 1.9 riporta, infine, una ricostruzione del rendiconto finanziario aggregato (escludendo dal campione le due imprese responsabili dell’anomalo incremento delle immobilizzazioni finanziarie nel 2012 e, quindi, degli investimenti nel triennio 2010-2012): come detto il dettaglio dei debiti non è disponibile per tutte le imprese, per cui i dati relativi alla variazione del capitale circolante netto operativo, ai finanziamenti da soci e ai debiti verso finanziatori esterni sono parziali.

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Tabella 1.9 - Imprese manifatturiere reggiane: rendiconto finanziario. Campione di 523 imprese (dati aggregati).

2012 2011

Flusso di circolante della gestione 461,8 443,8 - Variazione CCN 15,3 289,6 Flusso di cassa della gestione 446,5 154,2 - Imposte 141,9 162,1 Flusso di cassa netto della gestione * 304,6 -7,9 - Investimenti 151,3 114,2 - Oneri finanziari al netto proventi 75,2 64,7 Saldo proventi e oneri straordinari 26,6 3,6 = Fabbisogno (-) / Surplus (*) finanziario 104,9 -183,2

Forme di copertura + Aumenti patrimonio 41,2 -67,3 + Finanziamenti da soci -4,6 6,8 Fabbisogno (-) Surplus (+) esterno 141,5 -243,7 Aumenti debiti -157,9 219,2 Altre passività -3,6 30,4

Saldo di cassa -20,1 5,9 * Diverge da quella della Tabella 1.1 di fonte AIDA per la diversa modalità di calcolo. Diversa è anche la composizione del capitale circolante netto. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

L’elemento più rilevante che emerge da quest’analisi è l’intervento sul circolante operativo realizzato nel 2012: da forma di impiego per quasi 289 milioni nel 2011 assorbe solo circa 15 milioni di euro nel 2012, consentendo di mantenere il flusso di cassa della gestione corrente quasi fermo al livello del flusso di circolante della gestione. L’inasprirsi della crisi nel 2012 non ha consentito, come nel 2009, di generare addirittura liquidità addizionale, ma almeno di ridurre il fabbisogno di finanziamento del circolante a livelli trascurabili: pertanto il flusso di cassa netto (di imposte) della gestione risulta positivo nel 2012 per 305 milioni (era negativo per 8 nel 2011).

Rispetto al 2011, inoltre, sono aumentati in misura significativa gli investimenti e gli oneri finanziari netti ma anche, e in misura superiore, il saldo di proventi e oneri straordinari, passando così da un fabbisogno finanziario di circa 183 milioni nel 2011 a un surplus di 105 milioni nel 2012. Quest’ultimo, unitamente al rafforzamento dei mezzi propri precedentemente menzionato, ha consentito non solo di finanziare gli investimenti in capitale fisso ma anche di rimborsare, attingendo in misura limitata alla cassa, debiti verso finanziatori esterni per ben 158 milioni (se ne erano contratti di nuovi per 219 milioni nel 2011) e verso soci per 4,6 milioni di euro.

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1.2. La ripartizione dimensionale (per classe di addetti) In questa sezione si analizzano le performance di bilancio per classe

dimensionale assumendo quale parametro il numero di dipendenti medio nel triennio 2010-2012. Diversamente dall’indagine precedente nella nostra analisi figurano anche le imprese con meno di 10 addetti (Micro): non si tratta, tuttavia, come già detto di imprese neo-costituite, ma di aziende già presenti nel campione utilizzato inizialmente che hanno cambiato gruppo a seguito della riduzione delle proprie dimensioni. Le classi considerate in questa indagine sono pertanto quattro e non tre: le Micro imprese, fino a 9 addetti; le Piccole imprese, da 10 a 49 addetti; le Medie imprese, da 50 a 249 addetti; le Grandi imprese, 250 addetti e oltre.

1.2.1. Dinamica del fatturato

In base ai valori mediani, più rappresentativi di quelli medi, nel periodo 2010-2012 diversamente dal 2007-2009 non emerge una relazione univoca tra dimensione e variazione del fatturato: infatti flette solo il fatturato mediano delle Micro e delle Grandi, rispettivamente dell’8,1 e del 5,6% mentre quello delle Piccole e delle Medie cresce, rispettivamente, del 3,7 e dell’11,8%. Nel caso delle Micro l’andamento negativo sia a livello di mediana che di media induce a ritenere che si tratti appunto di imprese a rischio di uscita dal mercato, nel medio termine. Va inoltre sottolineato che i valori mediani dei tassi di crescita risultano, tranne per le Grandi, migliori di quelli medi, a dimostrazione di una maggiore dinamicità, in ciascuna classe dimensionale, delle imprese più piccole (e non più grandi, come nell’indagine precedente). Le Grandi si discostano, come detto, da questo andamento poiché mentre appunto il fatturato mediano cala, quello medio cresce costantemente e di ben il 15% nel triennio: in questa classe dimensionale, pertanto, al contrario nelle imprese più grandi i ricavi generalmente crescono, mentre nelle meno grandi calano.

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Tabella 1.10 - Imprese manifatturiere reggiane: dinamica fatturato per classe dimensionale. Campione di 525 imprese.

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori (mln €) Variazioni % Micro

Media 2,47 2,73 2,74 -0,4 -9,3 -9,7 Mediana 1,70 2,00 1,85 8,6 -15,3 -8,1

Piccole Media 5,42 5,75 5,31 8,2 -5,8 2,0 Mediana 3,94 4,32 3,81 13,6 -8,7 3,7

Medie Media 33,65 33,87 31,06 9,0 -0,7 8,3 Mediana 18,90 19,03 16,90 12,6 -0,7 11,8

Grandi Media 189,71 178,79 164,93 8,4 6,1 15,0 Mediana 115,45 125,90 122,33 2,9 -8,3 -5,6 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Passando dalle variazioni ai livelli, in tutte le classi il valore medio del fatturato supera quello mediano rivelando una distribuzione asimmetrica schiacciata sulle imprese di minori dimensioni. La differenza percentuale fra media e mediana, massima nella classe delle Medie e minima in quella delle Piccole, non mostra particolari oscillazioni nel triennio 2010-2012, con l’eccezione delle Grandi in cui passa dal 35 al 64%: va tuttavia tenuto presente che le classi delle Grandi e delle Micro contano solo alcune decine di casi ciascuna, rendendo i valori medi meno stabili e significativi. Sempre nel triennio il divario di fatturato mediano fra Piccole e Micro e tra Medie e Piccole è aumentato rispettivamente del 25 e 10%, passando da 1,1 e 3,4 volte del 2010 a 1,3 e 3,8 volte del 2012; si è invece ridotto del 18% il divario fra Grandi e Medie, che resta comunque il più ampio (oltre 5 volte a fine 2012).

1.2.2. Redditività e costi

Nei dati aggregati (Tabella 1.11) la redditività operativa lorda comunque misurata (ROA o ROS) diminuisce, nel triennio, in tutte le classi dimensionali: la caduta degli indicatori è tuttavia concentrata nel 2012 e appare molto marcata solo nelle Micro (poco meno del 50%), a conferma delle condizioni di difficoltà nelle quali versa questa classe di imprese: la causa del maggior declino nella redditività industriale patito dalle Micro imprese è da ricercare nella marginalità delle vendite (ROS), in netta caduta (-46% contro il -13% delle Grandi e il -11% delle Medie). Nelle Piccole e Medie la caduta del ROA è simile e più contenuta (circa l’8%). Diverso nelle classi è, invece, l’andamento della rotazione delle vendite, che si riduce nelle Micro e Piccole amplificando l’effetto del calo del ROS sul ROA,

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mentre cresce nelle Medie e nelle Grandi contrastando le ricadute negative del calo del ROS. Tabella 1.11 - Imprese manifatturiere reggiane: equilibrio economico per classe dimensionale. Campione di 525 imprese (indici su dati aggregati).

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Micro

ROA 1,23 2,61 2,43 7,62 -52,75 -49,15 ROS 1,49 2,93 2,77 5,51 -48,96 -46,15 Rotazione vendite 82,61 89,23 87,48 2,00 -7,42 -5,57 T = (1 - peso imposte) ^ 29,45 35,98 12,78 181,59 -18,14 130,52 ROE 1,13 2,33 0,38 1,95 -1,20 0,75

Piccole

ROA 3,25 4,58 3,55 29,10 -29,03 -8,37 ROS 3,30 4,38 3,51 24,93 -24,77 -6,02 Rotazione vendite 98,60 104,51 101,13 3,34 -5,66 -2,50 T = (1 - peso imposte) ^ 38,97 49,65 33,95 46,24 -21,52 14,77 ROE 3,03 6,69 2,95 3,74 -3,66 0,08

Medie

ROA 5,70 6,59 6,24 5,66 -13,58 -8,69 ROS 4,95 5,68 5,53 2,67 -12,89 -10,57 Rotazione vendite 115,18 116,09 112,81 2,91 -0,79 2,10 T = (1 - peso imposte) ^ 60,80 59,17 60,50 -2,19 2,75 0,50 ROE 7,82 9,07 8,77 0,30 -1,24 -0,95

Grandi

ROA 3,79 3,06 3,97 -23,00 23,87 -4,61 ROS 3,90 3,38 4,48 -24,48 15,45 -12,82 Rotazione vendite 97,05 90,45 88,70 1,96 7,30 9,41 T = (1 - peso imposte) ^ 48,68 18,93 43,21 -56,19 157,18 12,66 ROE 3,19 0,85 3,19 -2,34 2,34 0,01 ^ Peso imposte = Imposte / Utile pre imposte. ° D = Totale attivo - Patrimonio netto. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Diversamente da ROA e ROS, nel triennio 2010-2012 il ROE fa registrare modeste oscillazioni dovute in generale a un miglioramento nel 2011 e a un peggioramento nel 2012: aumenta nelle Micro e nelle Piccole, cala nelle Medie, mentre resta costante nelle Grandi. La minore oscillazione del ROE rispetto al 2007-2009 è certamente dovuta alla bassa variabilità del peso delle imposte (nel 2010-2012 ma non, come si vede in tabella 1.11, nei singoli anni): solo nella classe delle Micro, che mostra peraltro la massima incidenza fiscale, quest’ultima fa registrare un’ampia riduzione; cali comunque significativi anche se di minore entità si verificano nelle Piccole e nelle Grandi, mentre l’incidenza delle imposte sull’utile lordo resta sostanzialmente invariata nelle Medie. Se nel triennio precedente l’efficienza fiscale era risultata massima nelle Grandi, in questo sono

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le Medie a mostrare in tutti gli anni considerati la minore incidenza delle imposte sull’utile lordo, seguite appunto (tranne nel 2011) dalle Grandi.

Passando dalle variazioni ai livelli, come nel triennio precedente la classe con i ROS, i ROA e i ROE più elevati è quella delle Medie, seguita in due anni su tre dalle Grandi e, a breve distanza, dalle Piccole; le Micro mostrano i valori di gran lunga più bassi, comunque sempre positivi. La correlazione positiva tra dimensioni e redditività, rilevata peraltro solo per il ROS nell’indagine precedente, non trova conferma neppure nel triennio 2010-2012. Anche negli ultimi tre anni il punto debole delle Grandi è rappresentato dalla rotazione delle vendite, sensibilmente inferiore in ciascun anno a quella delle altre imprese, Medie in testa; fanno eccezione le Micro, che condividono con le Grandi il medesimo punto debole.

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Tabella 1.12 - Imprese manifatturiere reggiane: indici di redditività e produttività per classe dimensionale. Campione di 525 imprese.

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Micro

ROE mediana 3,12 2,15 4,32 -50,24 45,08 -27,81 ROE negativi 17,78 33,33 28,89 15,38 -46,67 -38,46 Rapporto di indebitamento ° mediana 3,26 3,04 3,17 -4,11 7,41 3,00 ROA mediana 1,92 3,04 3,28 -7,19 -36,91 -41,44 ROS mediana 1,73 2,66 2,71 -1,69 -34,86 -35,96 ROA e ROS negativi 31,11 31,11 22,22 40,00 0,00 40,00

Imprese in perdita che pagano imposte § 13,30 28,90 13,30 117,29 -53,98 0,00 VA pro capite mediana 45,07 49,18 41,53 18,41 -8,35 8,52 Costi di produzione / Ricavi mediana 97,81 97,65 97,97 -0,33 0,16 -0,17 Costo personale / Ricavi mediana 25,46 24,48 25,86 -5,34 4,00 -1,55

Piccole ROE mediana 4,56 5,46 4,93 10,88 -16,57 -7,49 ROE negativi 23,74 19,83 27,09 -26,80 19,72 -12,37 Rapporto di indebitamento ° mediana 3,39 3,68 3,74 -1,60 -7,88 -9,36 ROA mediana 2,99 4,23 3,53 19,84 -29,25 -15,21 ROS mediana 2,88 3,76 3,32 13,46 -23,58 -13,30 ROA e ROS negativi 22,91 16,20 15,36 5,45 41,38 49,09

Imprese in perdita che pagano imposte § 11,20 11,20 14,20 -21,13 0,00 -21,13 VA pro capite mediana 54,85 56,59 51,85 9,13 -3,07 5,79 Costi di produzione / Ricavi mediana 97,16 96,38 96,99 -0,62 0,80 0,18 Costo personale / Ricavi mediana 21,08 20,52 21,13 -2,89 2,73 -0,24

Medie ROE mediana 4,15 3,65 4,46 -18,26 13,66 -7,09 ROE negativi 24,51 23,53 23,53 0,00 4,17 4,17 Rapporto di indebitamento ° mediana 2,84 3,01 2,97 1,52 -5,65 -4,22 ROA mediana 3,20 3,57 3,18 11,98 -10,33 0,41 ROS mediana 2,76 3,15 3,39 -7,24 -12,36 -18,71 ROA e ROS negativi 18,63 17,65 14,71 20,00 5,56 26,67

Imprese in perdita che pagano imposte § 15,70 10,80 5,90 83,05 45,37 166,10 VA pro capite mediana 65,85 64,50 62,26 3,59 2,10 5,77 Costi di produzione / Ricavi mediana 97,07 98,35 97,70 0,66 -1,30 -0,65 Costo personale / Ricavi mediana 19,55 18,61 18,88 -1,43 5,05 3,55

Grandi ROE mediana 4,01 3,42 4,82 -29,02 17,25 -16,78 ROE negativi 30,00 30,00 20,00 50,00 0,00 50,00 Rapporto di indebitamento ° mediana 2,72 2,48 2,55 -2,75 9,68 6,67 ROA mediana 2,93 3,05 3,05 -0,21 -3,70 -3,90 ROS mediana 3,11 3,38 3,10 9,24 -8,06 0,44 ROA e ROS negativi 35,00 20,00 15,00 33,33 75,00 133,33

Imprese in perdita che pagano imposte § 10,00 15,00 10,00 50,00 -33,33 0,00 VA pro capite mediana 73,92 70,74 65,03 8,79 4,49 13,67 Costi di produzione / Ricavi mediana 96,45 98,75 96,56 2,27 -2,32 -0,11 Costo personale / Ricavi mediana 18,24 17,80 18,88 -5,72 2,47 -3,39 Il ROE e il rapporto di indebitamento sono calcolati escludendo le imprese con patrimonio netto negativo. ° Rapporto di indebitamento = Totale attivo / Patrimonio netto. § Imprese in perdita = imprese con utile netto ante imposte negativo. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

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La caduta generalizzata di ROA e ROS trova parziale conferma nei dati mediani (Tabella 1.12): infatti anziché in calo i ROA delle Medie e il ROS delle Grandi registrano nel triennio un frazionale miglioramento. Appare inoltre in rapida crescita, soprattutto tra le Grandi e le Piccole, la quota di imprese in perdita già a livello di redditività industriale lorda, che tra le Micro e le Grandi tocca a fine periodo i valori massimi. Come in precedenza sono le Micro a registrare veri e propri tracolli per entrambi gli indicatori di redditività industriale.

Rispetto all’indagine precedente non sono più le Medie a primeggiare nei valori mediani dei livelli (con l’eccezione del 2012) ma le Piccole, a dimostrazione del fatto che sono soprattutto le Piccole di minori dimensioni e le Medie più grandi a spiccare per redditività operativa lorda. Le Grandi, al contrario, contendono alle Micro l’ultimo posto della graduatoria: questo risultato affonda le sue radici nella bassa rotazione delle vendite, essendo il ROS vicino ai massimi e, come già detto, in frazionale miglioramento.

Anche il ROE mediano, non sorprendentemente, fa registrare una caduta generalizzata in tutte le classi di imprese, in modo particolare nuovamente tra le Micro e le Grandi. Il calo è dovuto non solo, come già detto, a una riduzione del ROA (solo nelle Medie migliora) ma, nel caso delle Piccole e delle Medie, anche al minor ricorso alla leva finanziaria. Quest’ultima, al contrario, sale nelle Micro e nelle Grandi, contrastando efficacemente il calo del ROA solo nelle seconde: infatti, passando ai livelli, il maggior utilizzo della leva finanziaria consente alle Grandi di evitare l’ultimo posto della graduatoria restando a ridosso delle Medie, che seguono le Piccole per redditività dei mezzi propri. Agli estremi opposti della graduatoria troviamo dunque le Piccole e le Micro, che si confermano di gran lunga le meno redditizie del campione: a questo risultato contribuisce certamente anche la scarsa efficienza fiscale precedentemente menzionata, dimostrata anche dalla massima diffusione tra le Micro delle imprese in perdita che pagano imposte (salvo nel 2012).

Sempre a questo proposito vale la pena di notare che nel triennio la quota di imprese in perdita che pagano imposte cresce solo tra le Medie, senza che tuttavia ciò abbia effetti significativi sul ROE mediano: è vero che le Medie non sono più, come nell’indagine precedente, le migliori per redditività dei mezzi propri, ma seguono comunque le Piccole a breve distanza. E’ interessante notare, inoltre, che l’incidenza delle imprese con ROE negativo (in perdita) registra cali solo tra le Micro e le Piccole che, a inizio periodo, erano tendenzialmente le classi con la maggior presenza di aziende con i conti in rosso: vi era quindi, inizialmente, una relazione inversa tra dimensioni e incidenza delle imprese in perdita che, tuttavia, a fine periodo risulta ribaltata.

Venendo, infine, agli indicatori di produttività del lavoro e di efficienza economica si osserva un generale miglioramento del valore aggiunto per dipendente, che raggiunge la massima intensità nelle Grandi imprese: come nell’indagine precedente in ciascuno degli anni considerati si nota una chiara

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relazione diretta tra dimensioni e produttività, per cui a migliorare più di tutte la produttività del lavoro sono le imprese che già capeggiavano la relativa graduatoria. Rispetto all’efficienza e, quindi, all’incidenza sui ricavi dei costi, totali e del solo personale, solo la seconda mostra una qualche variabilità nel triennio, aumentando nelle Medie, riducendosi nelle Grandi e, in maniera meno evidente, nelle Micro. Emerge in questo caso una chiara relazione inversa con le dimensioni aziendali, per cui le imprese più efficienti sono quelle di maggiori dimensioni: nell’indagine precedente solo l’incidenza dei costi totali manifestava, in due anni su tre, una relazione inversa con le dimensioni aziendali.

1.2.3. Struttura finanziaria

In merito alla struttura delle fonti di finanziamento i dati aggregati della Tabella 1.13 mettono in luce che l’aumento del grado di patrimonializzazione, già evidenziato in precedenza, è proseguito in tutte le classi dimensionali sebbene con intensità diversa. Nel triennio 2010-2012 il maggiore sforzo è stato compiuto dalle Piccole (+8,6%) che nell’indagine precedente si segnalavano per il minor livello del rapporto “Patrimonio netto/Totale attivo”: l’incremento anzidetto è, tuttavia, concentrato nel 2012 (+10,1%), dopo un leggero calo nel 2011 (-1,4%). Le Medie seguono le Piccole (+5,4%) e anche in questo caso l’aumento del grado di patrimonializzazione è riferibile al solo 2012 (+6,1%). Micro e Grandi fanno segnare nel triennio un incremento inferiore e simile tra loro, di poco superiore al 3%, del grado di capitalizzazione: nelle prime l’aumento è distribuito tra 2011 e 2012, mentre nelle seconde segue lo stesso andamento visto nelle Piccole e nelle Medie, essendo il prodotto di un (corposo) aumento nel 2012 (+8,4%) che segue il (vistoso) calo nell’anno precedente (-4,9%).

Rispetto ai livelli trova conferma l’evidenza, già rilevata nella precedente indagine, in base alla quale il grado di patrimonializzazione cresce tendenzialmente con la classe dimensionale: infatti (a partire dalle Piccole) il rapporto tra Patrimonio netto e Totale attivo cresce con le dimensioni aziendali, passando nel 2012 dal 34,7% delle Piccole (32% nel 2010), al 42% delle Medie (40% nel 2010), al 42,6% delle Grandi (41% nel 2010). Come nell’indagine precedente, quindi, Medie e Grandi mostrano i valori più alti, molto vicini tra loro, mentre le Piccole si caratterizzano per una minore solidità patrimoniale e un leggero recupero rispetto alle Medie (lo scarto si riduce di 0,6 punti, a 7,3 nel 2012 dai 7,9 del 2010). C’è, tuttavia, anche una rilevante novità: la nuova classe delle Micro, non presente nell’indagine precedente, si colloca sistematicamente in tutti gli anni al primo posto per patrimonializzazione, passando dal 43,6% del 2010 al 45,2% del 2012. Sembrerebbero pertanto proprio le imprese di minori dimensioni, con fatturato e redditività in forte calo nel triennio, quelle caratterizzate dal maggior grado di copertura patrimoniale in coerenza, in qualche modo, col maggior rischio che la loro condizione presenta: in realtà come

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vedremo più avanti tale risultato non vale per tutte le Micro, ma solo per quelle di dimensioni maggiori.

Le Micro fanno registrare, inoltre, la maggior riduzione dell’indebitamento totale, che in rapporto al totale delle attività scende del 5,6% nel triennio, contro il -5,1% delle Piccole, il -4,6% delle Medie e il -3,3% delle Grandi: come per il grado di patrimonializzazione la riduzione è concentrata nel 2012 dopo un 2011 segnato da un incremento, significativo solo per le Grandi. Anche in questo caso si registra una relazione tendenzialmente monotona, (debolmente) calante al crescere delle dimensioni e, quindi, di segno opposto a quella tra grado di patrimonializzazione e dimensioni. Dunque mentre il grado di patrimonializzazione aumenta al crescere delle dimensioni, il rapporto tra Debiti totali e Totale attivo cala. Sempre a partire dalle Piccole, però: infatti sono le Micro a segnare sistematicamente il minimo livello di indebitamento (45% nel 2012). E’ appunto dalle Piccole che la relazione inversa con le dimensioni si instaura, passando dal 57% delle Piccole al 52% delle Medie e delle Grandi.

L’andamento divergente del Patrimonio netto e dei Debiti in rapporto al Totale attivo determina una significativa crescita in tutte le classi dimensionali del rapporto tra i primi due, che fa segnare nel triennio incrementi percentuali del 10% tra le Micro e le Medie, del 14,5% nelle Piccole e del 6,6% tra le Grandi, per lo più concentrati nel 2012. Il livello maggiore di questo indicatore si registra nuovamente tra le Micro dove addirittura supera il 100% a fine 2012, collocandosi su livelli inferiori alla pari e tendenzialmente crescenti al crescere delle dimensioni, sempre a partire dalla classe delle Piccole (nel 2012: 61,1%, 81,3%, 82,8%). Patrimonio su Totale attivo e Patrimonio su Debiti totali presentano una debole correlazione positiva in tutti gli anni del triennio sia con la classe di dipendenti sia con il fatturato: tuttavia solo quella tra “Patrimonio/Totale attivo” e fatturato è statisticamente significativa.

Tornando all’indebitamento e, in particolare, alla sua scadenza va sottolineata l’inversione di tendenza rispetto al triennio precedente che aveva visto la riduzione della componente a breve termine a vantaggio di quella a medio-lungo termine. Solo le Grandi riescono a ridurre ulteriormente l’incidenza del credito a breve, ma solo nel 2011 perché nel 2012 anche per loro riprende a crescere; al contrario, le Piccole e le Medie (+2%) ma soprattutto le Micro (+12%) vedono aumentare, principalmente nel 2011, la quota dei debiti totali con scadenza entro l’esercizio.

In termini di livelli non è possibile identificare un chiaro legame con le dimensioni: certamente le Grandi dipendono meno delle altre imprese dal credito a breve scadenza che comunque rappresenta sempre circa i tre quarti del totale. Quote ancora più elevate si registrano tra le Piccole (81-83% nel triennio) e le Medie (86-88%), mentre le Micro presentano valori leggermente inferiori ma meno stabili nel tempo (74-83%), anche a causa della minore numerosità della classe.

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Va, infine, segnalato un modesto incremento (tranne che nelle Medie) del peso delle “Altre passività”, soprattutto tra le Micro (+12% nel triennio) e le Grandi (+9%): l’importanza di questa fonte di finanziamento cala al crescere delle dimensioni aziendali senza mostrare una particolare variabilità nel tempo (nel 2012 si passa dal 10% delle Micro al 6% delle Grandi).

Tabella 1.13 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di struttura finanziaria per classe dimensionale. Campione di 525 imprese (dati aggregati).

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Micro

Patrimonio netto / Totale attivo 45,2 44,6 43,6 2,4 1,2 3,6 Debiti / Totale attivo 44,8 45,7 47,5 -3,7 -1,9 -5,6 Altre passività / Totale attivo 10,0 9,7 8,9 8,3 3,4 11,9 Patrimonio netto / Debiti 100,8 97,7 91,9 6,3 3,2 9,7 Debiti a breve / Debiti 83,4 79,4 74,3 6,9 5,1 12,3

Piccole

Patrimonio netto / Totale attivo 34,7 31,5 32,0 -1,4 10,1 8,6 Debiti / Totale attivo 56,8 60,2 59,8 0,7 -5,8 -5,1 Altre passività / Totale attivo 8,5 8,2 8,2 0,4 3,3 3,7 Patrimonio netto / Debiti 61,1 52,3 53,4 -2,0 16,9 14,5 Debiti a breve / Debiti 83,4 84,1 81,4 3,3 -0,9 2,4

Medie

Patrimonio netto / Totale attivo 42,0 39,6 39,9 -0,7 6,1 5,4 Debiti / Totale attivo 51,7 54,0 53,9 0,3 -4,4 -4,1 Altre passività / Totale attivo 6,3 6,3 6,3 1,4 -1,0 0,4 Patrimonio netto / Debiti 81,3 73,3 74,0 -1,0 11,0 9,9 Debiti a breve / Debiti 88,1 88,0 86,1 2,2 0,1 2,3

Grandi

Patrimonio netto / Totale attivo 42,6 39,3 41,3 -4,9 8,4 3,1 Debiti / Totale attivo 51,5 54,8 53,2 2,9 -6,0 -3,3 Altre passività / Totale attivo 5,9 5,9 5,4 8,9 0,1 9,0 Patrimonio netto / Debiti 82,8 71,8 77,6 -7,6 15,4 6,6 Debiti a breve / Debiti 73,4 68,5 76,2 -10,0 7,1 -3,6 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

I dati mediani (Tabella 1.14) forniscono un quadro diverso, in particolare con riferimento alle Micro. Intanto il trend di ulteriore irrobustimento patrimoniale è confermato solo per le Piccole (+7%) e, in minor misura, per le Medie (+3%), mentre il rapporto mediano “Patrimonio netto/ Totale attivo” flette nel triennio del 3 e 4%, rispettivamente, per Micro e Grandi, a dimostrazione del minor dinamismo delle imprese della coda sinistra della distribuzione. La corrispondente riduzione del rapporto tra Debiti Totali e Totale attivo, di conseguenza, riguarda ancora Piccole (-5%), Medie (-4%) e, sorprendentemente, anche le Micro (-3%) a causa di un rilevante aumento del peso delle Altre

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passività. Non riguarda più, invece, le Grandi per le quali il peso dei Debiti totali resta costante: anche in questo caso determinante è l’aumento dell’incidenza delle “Altre passività”. In rapporto ai Debiti Totali il Patrimonio netto continua, quindi, a crescere nelle Piccole e nelle Medie imprese (+10 e +6% nell’ordine), mentre è sostanzialmente stabile nelle Micro e flette nelle Grandi (-4%).

Rispetto alla natura dei debiti (campione parziale), con riferimento al rapporto tra Debiti finanziari e Totale delle attività si osservano nel triennio marginali oscillazioni (in aumento per le Medie: +1,1%; in calo per le Piccole e Grandi: -1,3% e -0,2%): fanno eccezione le Micro nelle quali si registra un aumento a due cifre (+14%). In rapporto al Patrimonio, vista la crescita del denominatore osserviamo, invece, una generalizzata riduzione del rapporto “Debiti finanziari/Patrimonio netto”, più marcata per le Micro (-27%), minore ma comunque significativa per Piccole (-17%) e Medie (-18%); marginale risulta, invece, la riduzione registrata dalle Grandi (-3%).

Rispetto alla durata dei debiti, i dati mediani confermano una riduzione con la sola eccezione delle Grandi: nelle altre classi la quota dei debiti a breve sul totale dei debiti aumenta nel triennio in modo molto simile (+3% nelle Micro, +1% nelle Piccole, +2% nelle Medie). Limitando, invece, l’attenzione ai soli Debiti finanziari, la riduzione della durata media dell’indebitamento risulta più marcata e in calo (anziché in aumento) anche nelle Grandi: infatti la quota dei debiti finanziari a breve cresce del 15% nelle Micro, del 13% nelle Piccole, dell’8% nelle Medie e, come detto, anche nelle Grandi (+2%).

Venendo ai livelli, una prima differenza significativa riguarda la classe delle Micro: passando ai valori mediani, infatti, il grado di patrimonializzazione scende drammaticamente al punto che la classe non è più la prima per solidità. A fine triennio le Micro precedono soltanto le Piccole e di un solo punto (29,5 vs. 28,5%), a dimostrazione che il primato sui dati aggregati dipendeva da una patrimonializzazione notevolmente superiore delle imprese della coda di destra della distribuzione. Nel triennio 2010-2012 le Grandi imprese tornano a essere stabilmente le più capitalizzate, come nell’indagine precedente, ma con un rapporto mediano “Patrimonio netto/Totale attivo” a fine 2012 (35%) sostanzialmente allineato a quello delle Medie. I dati mediani, pertanto, vedono polarizzarsi, da un lato, Micro e Piccole e, dall’altro, Medie e Grandi, distanziate di 5-6 punti percentuali. Passando dai dati aggregati a quelli disaggregati, quindi, la debole relazione diretta tra solidità patrimoniale e dimensioni si attenua, ma recupera in qualche modo “alla regola” anche le Micro imprese.

Guardando ai livelli del rapporto “Patrimonio netto/Totale attivo”, come al solito le medie (ponderate) calcolate sui dati aggregati risultano superiori, segnalando che in ciascuna classe dimensionale sono le imprese più grandi a mostrare i livelli di patrimonializzazione più elevati. Nel triennio fra le diverse classi dimensionali lo scarto tra medie e mediane aumenta in modo contenuto,

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confermandosi molto ampio solo tra le Micro dove si commisura a quasi 16 punti: nelle altre classi, al contrario, è ridotto a 5-7 punti. Il differenziale tra i valori mediani delle classi contigue, invece, come già detto vede a fine 2012 rispettivamente Micro e Piccole, da un lato, e Medie e Grandi, dall’altro, su posizioni simili, quando all’inizio del triennio la distanza era di circa 3 punti. In frazionale riduzione, invece, è il divario tra Medie e Piccole (da 7,1 a 6,2 punti).

Anche in rapporto ai Debiti totali le Grandi imprese mostrano di gran lunga il miglior grado di patrimonializzazione che passa dal 64% del 2010 al 71% del 2011 al 61% del 2012, anno in cui vengono superate dalle Medie col 63%. In generale sono le Piccole a mostrare i rapporti inferiori (43% nel 2010, 42 nel 2011, 47% nel 2012), superate solo dalle Micro (56% nel 2010, 54% nel 2011, 56% nel 2012). I valori medi superano largamente quelli mediani, in modo molto marcato tra le Micro, a ulteriore dimostrazione che in questa classe convivono imprese con una solidità notevolmente diversa tra loro e, in particolare, molto superiore tra le Micro più grandi. Lo scarto tra medie e mediane risulta in aumento nelle rimanenti classi di imprese, a riprova di un crescente divario, in ciascuna classe dimensionale, tra imprese più piccole e più grandi: solo tra le Grandi, tuttavia, tale scarto mostra una marcata variabilità passando da 13 punti nel 2010 a 0,4 punti nel 2011 a ben 21 punti nel 2012.

Il livello di indebitamento, misurato dal rapporto tra Debiti Totali e Totale attivo, risulta massimo in tutti gli anni considerati nelle Piccole (63% nel 2010 e 2011, 60% nel 2012) e minimo in due anni su tre (2010 e 2011) nelle Grandi (57% nel 2010, 56% nel 2011): in quei due anni sono sorprendentemente le Micro a contendere alle Grandi il primato di imprese meno indebitate (57% nel 2010 e 2011) che conseguono finalmente nel 2012 (55%). La capacità delle Micro di risultare allo stesso tempo “poco” patrimonializzate e “poco” indebitate, quanto meno in una valutazione comparativa, dipende dal contributo delle “Altre passività”, il cui peso risulta più che doppio (11-14%) rispetto a quello delle Grandi imprese (5%). Rispetto alle Micro, Piccole e Medie fanno segnare valori leggermente superiori del rapporto “Debiti Totali/Totale attivo” compresi, nei tre anni considerati, rispettivamente, tra il 60 e il 63% e il 57 e il 63%.

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Tabella 1.14 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di struttura finanziaria per classe dimensionale. Campione di 525 imprese.

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori mediani % Variazioni % Micro

Patrimonio netto / Totale attivo 29,49 32,68 30,49 7,2 -9,7 -3,3 Debiti / Totale attivo 55,20 56,91 56,99 -0,1 -3,0 -3,1 Di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 15,44 18,05 13,54 33,3 -14,5 14,0 Altre passività / Totale attivo 13,62 13,12 10,97 19,6 3,8 24,1

Patrimonio netto / Debiti 55,87 54,20 56,32 -3,8 3,1 -0,8 Debiti a breve / Debiti 95,46 93,68 92,38 1,4 1,9 3,3 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 31,14 54,83 42,71 28,4 -43,2 -27,1 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 91,00 83,56 79,05 5,7 8,9 15,1

Piccole

Patrimonio netto / Totale attivo 28,53 26,53 26,66 -0,5 7,5 7,0 Debiti / Totale attivo 59,99 63,39 62,95 0,7 -5,4 -4,7 Di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 18,92 19,64 19,17 2,4 -3,7 -1,3 Altre passività / Totale attivo 9,42 8,66 8,60 0,7 8,7 9,5

Patrimonio netto / Debiti 46,99 41,39 42,68 -3,0 13,5 10,1 Debiti a breve / Debiti 93,31 93,57 92,25 1,4 -0,3 1,1 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 53,57 62,31 64,61 -3,6 -14,0 -17,1 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 86,68 85,06 76,54 11,1 1,9 13,3

Medie

Patrimonio netto / Totale attivo 34,78 32,24 33,75 -4,5 7,9 3,0 Debiti / Totale attivo 56,68 59,91 57,32 4,5 -5,4 -1,1 Di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 16,19 16,54 16,00 3,3 -2,1 1,1 Altre passività / Totale attivo 6,63 6,26 6,40 -2,1 5,9 3,6

Patrimonio netto / Debiti 63,47 56,54 59,90 -5,6 12,3 6,0 Debiti a breve / Debiti 91,02 91,68 89,27 2,7 -0,7 2,0 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 40,23 49,27 48,91 0,7 -18,4 -17,8 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 73,25 74,02 68,05 8,8 -1,0 7,6

Grandi

Patrimonio netto / Totale attivo 35,25 39,78 37,24 6,8 -11,4 -5,4 Debiti / Totale attivo 56,83 56,08 56,83 -1,3 1,3 0,0 Di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 29,01 31,84 29,07 9,5 -8,9 -0,2 Altre passività / Totale attivo 5,36 5,40 4,95 9,0 -0,6 8,3

Patrimonio netto / Debiti 61,47 71,34 64,25 11,0 -13,8 -4,3 Debiti a breve / Debiti 78,37 76,20 83,30 -8,5 2,8 -5,9 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 67,33 71,56 69,55 2,9 -5,9 -3,2 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 54,20 52,20 53,01 -1,5 3,8 2,2 § campione parziale. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Risultati piuttosto diversi si ottengono analizzando il rapporto tra i soli Debiti finanziari e il Totale attivo: in tutti gli anni considerati, infatti, sono le Grandi imprese a mostrare di gran lunga la massima incidenza (compresa tra il 29

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e il 32%) e, quindi, a caratterizzarsi per una maggiore possibilità di reperire finanziamenti esterni. Agli estremi opposti della graduatoria si situano le Micro, che in due anni su tre (2010 e 2012) fanno registrare il minor ricorso a questa fonte di finanziamento (rapporto compreso tra il 14 e il 18% nei tre anni considerati). Su livelli simili, solo leggermente superiori, si collocano le Medie (16-17%) e le Piccole (19-20%). Questi risultati trovano sostanziale conferma rapportando i Debiti finanziari al Patrimonio netto, con le Grandi a guidare la graduatoria, molto staccate dalle altre, in tutti e tre gli anni (67-72%) e le Micro a chiuderla in due anni su tre: 2010 (43%) e 2012 (31%). Su livelli intermedi, ma in questo caso ben diversificati, si collocano Medie (40-49%) e Piccole (54-65%).

L’indebitamento finanziario è quasi esclusivamente a breve nelle Micro e Piccole Imprese: nelle prime il rapporto tra Debiti finanziari vs. terzi a breve e Debiti finanziari vs. terzi è, come detto in aumento, dal 79% del 2010 al 91% del 2012; nelle seconde aumenta dal 77 all’87%. Una minore dipendenza dal credito a breve mostrano le Medie (l’indice passa dal 68 al 73%) ma è solo nelle Grandi che il rapporto mediano tra Debiti finanziari a breve e Debiti finanziari scende verso un più equilibrato 50% (52-54% nel periodo considerato).

Tabella 1.15 - Imprese manifatturiere reggiane: indicatori di ciclo commerciale per classe dimensionale. Campione di 525 imprese.

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Giorni - Valori mediani Variazioni % Piccole

Durata ciclo commerciale (gg) § 142 134 133 1,4 5,7 7,1 Durata crediti commerciali (gg) § 119 120 135 -10,6 -1,2 -11,7 Durata scorte (gg) § 131 113 123 -7,9 16,0 6,8 Durata fornitori (gg) § 106 107 116 -7,8 -1,0 -8,8

Medie

Durata ciclo commerciale (gg) § 167 162 162 0,3 2,5 2,8 Durata crediti commerciali (gg) § 101 106 114 -6,6 -4,9 -11,1 Durata scorte (gg) § 167 155 145 7,3 7,7 15,6 Durata fornitori (gg) § 100 104 111 -6,6 -3,1 -9,5

Grandi

Durata ciclo commerciale (gg) § 152 149 149 0,3 1,7 2,1 Durata crediti commerciali (gg) § 111 116 129 -10,2 -4,1 -13,9 Durata scorte (gg) § 139 131 136 -3,7 5,9 2,0 Durata fornitori (gg) § 102 105 115 -8,3 -2,8 -10,8 § campione parziale. I dati relativi alla classe Micro non vengono riportati in quanto il sotto-campione ha una numerosità troppo ridotta. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

I dati sulla durata di crediti e debiti commerciali nelle diverse classi dimensionali (Tabella 1.15) mostrano nel triennio simili riduzioni, concentrate nel 2011: la durata dei crediti commerciali cala di poco più dell’11% nelle Piccole e

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Medie6 e di circa il 14% nelle Grandi; la durata dei debiti verso fornitori si riduce in misura leggermente inferiore (Piccole: -9%; Medie: -10%; Grandi: -11%). Poiché in tutte le classi dimensionali, sebbene in misura diversa (Piccole: +7%; Medie: +16%; Grandi: +2%), cresce la durata delle scorte, aumenta complessivamente la durata del ciclo commerciale: l’incremento è massimo nelle Piccole imprese (+7% corrispondente a 9 giorni) e più contenuto e simile (+2-3%) tra le Medie e le Grandi (corrispondente, rispettivamente, a 5 e 3 giorni).

Con riferimento ai livelli, la durata del ciclo commerciale è sistematicamente superiore nelle Medie imprese (167 giorni a fine 2012), a causa di una maggior durata delle scorte, e minima nelle Piccole (142 giorni) che si avvantaggiano, oltre che della minore durata delle scorte anzidetta, di una maggior dilazione dei pagamenti verso fornitori. Anche nell’indagine precedente le Piccole si erano dimostrate le più efficienti nel minimizzare la durata del ciclo commerciale, sebbene quest’ultima fosse aumentata tra il 2007 e il 2009 molto più che nelle altre classi: esattamente gli stessi risultati si ritrovano, come abbiamo visto, anche nel triennio 2010-2012. Al contrario non trova più conferma l’esistenza di una relazione inversa tra ampiezza temporale del credito commerciale, ricevuto e concesso, e classe dimensionale (più corta nelle Piccole imprese e più lunga nelle imprese Medie e Grandi), nonché tra durata delle scorte e dell’intero ciclo commerciale e classe dimensionale. Le Medie presentano i valori minimi della durata di crediti e debiti commerciali e quella massima delle scorte; le Piccole i valori massimi della durata di crediti e debiti commerciali e i valori minimi della durata delle scorte.

1.2.4. Flussi finanziari

Anche nel triennio 2010-2012, come nel precedente, gli effetti della crisi sulla sostenibilità dinamica del debito non risultano omogenei fra le diverse classi dimensionali. La quota di reddito industriale lordo assorbita dagli oneri finanziari (Tabella 1.16) aumenta, più che nelle Grandi (+9%), nelle Micro e nelle Medie (+30% nel triennio) nonché nelle Piccole (+27%): nel 2007-2009 erano state invece le Piccole a registrare gli incrementi minori. Gli aumenti registratisi nel triennio 2010-2012 sono, tuttavia, notevolmente inferiori a quelli verificatisi nel 2007-2009 (Piccole: +38%; Medie: +53%; Grandi: +47%): nelle Micro e nelle Piccole, inoltre, il peggioramento è riconducibile al solo 2012, mentre nelle Medie è distribuito equamente nei due anni; nelle Grandi, infine, il peggioramento è tutto riconducibile al 2011 anziché al 2012.

Anche il peso degli oneri finanziari sul fatturato cresce notevolmente nelle Piccole (20%) e Medie (+19%), mentre resta sostanzialmente invariato nelle Micro (+0,8%) e nelle Grandi (-0,2%): nelle Piccole, come per il rapporto “Oneri 6 Le Micro non vengono considerate poiché il numero di imprese della classe per le quali sono disponibili i dati riportati in Tabella 1.15 è troppo ridotto per produrre statistiche significative.

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finanziari/Ebitda” il peggioramento è tutto nel 2012 mentre nelle Medie si distribuisce nei due anni, con prevalenza però del 2011.

Il rapporto tra Debiti ed Ebitda, infine, cresce notevolmente solo nelle Micro (+29%) a causa del radicale peggioramento dell’indicatore nel 2012; cresce, invece, in misura modesta nelle Piccole e Medie (+3%) sempre per via del peggioramento registrato nel 2012; cala, infine, nelle Grandi (-4%) che, al contrario, sperimentano un notevole aumento nel 2011 più che compensato dal calo nel 2012.

Passando ai livelli, sui dati aggregati le Micro imprese mostrano la maggiore incidenza (salvo nel 2011) degli Oneri finanziari sull’Ebitda (15,9% nel 2010; 14,7% nel 2011; 20,7% nel 2012) e il più elevato rapporto “Debiti/Ebitda” che in tutti gli anni supera sensibilmente quello delle Medie e delle Grandi imprese: nel 2012 11,8 volte, contro 6-7 volte. Sempre nel 2012 le Piccole toccano le 8,7 volte, collocandosi pertanto in posizione intermedia. Micro e, in misura meno accentuata, Piccole mostrano quindi una capacità di fronteggiare gli oneri finanziari con la propria generazione di reddito caratteristico inferiore a quella delle imprese Medio-Grandi: questa stessa evidenza si trovava anche nella precedente edizione dell’indagine. Il rapporto tra Oneri finanziari e Fatturato mostra, invece, una minore variabilità tra le classi: è massimo nelle Grandi imprese (e costante a 1,15%) e minimo (in due anni su tre) nelle Micro (0,92-0,95%). Tabella 1.16 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di equilibrio finanziario dinamico per classe dimensionale. Campione di 525 imprese (dati aggregati).

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Micro

Oneri finanziari / Ebitda (%) 20,72 14,71 15,90 -7,5 40,9 30,3 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,96 0,92 0,95 -2,7 3,6 0,8 Debiti / Ebitda (volte) 11,75 8,15 9,08 -10,2 44,1 29,3

Piccole

Oneri finanziari / Ebitda (%) 16,97 12,88 13,37 -3,6 31,7 26,9 Oneri finanziari / Fatturato (%) 1,12 0,95 0,94 1,7 17,7 19,8 Debiti / Ebitda (volte) 8,71 7,79 8,44 -7,7 11,8 3,2

Medie

Oneri finanziari / Ebitda (%) 13,50 11,67 10,41 12,1 15,6 29,6 Oneri finanziari / Fatturato (%) 1,05 0,98 0,89 10,1 7,9 18,8 Debiti / Ebitda (volte) 5,75 5,57 5,61 -0,7 3,3 2,5

Grandi

Oneri finanziari / Ebitda (%) 14,49 14,88 13,30 11,9 -2,6 8,9 Oneri finanziari / Fatturato (%) 1,15 1,15 1,15 -0,2 -0,0 -0,2 Debiti / Ebitda (volte) 6,69 7,84 6,94 13,1 -14,7 -3,5 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

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Nelle Micro e nelle Grandi imprese i dati mediani (Tabella 1.17) fanno segnare più ampie escursioni dei rapporti “Oneri finanziari/Ebitda” e “Oneri finanziari/Fatturato”: questi risultati fanno presupporre che le imprese nella coda di destra (le più grandi) siano meglio riuscite a contenere la crescita degli Oneri finanziari rispetto alle imprese nella coda di sinistra (le più piccole). Qualche differenza di rilievo rispetto ai dati aggregati si ravvisa, tuttavia, per le Medie: infatti il rapporto mediano “Oneri finanziari/Ebitda” risulta sostanzialmente invariato in corrispondenza, invece, di un ampio aumento del dato aggregato (+30%); al contrario il rapporto mediano “Oneri finanziari/Fatturato” mostra un incremento (+33%) notevolmente superiore a quello misurato sui dati aggregati (+19%). Nelle Medie si ravvisa, pertanto, una diversa attitudine delle imprese della coda di sinistra e di destra nel contenere gli Oneri finanziari in rapporto a Ebitda e Fatturato, con le più piccole in vantaggio nel tenere sotto controllo il primo rapporto e le più grandi in vantaggio nel contenere il secondo. Nel valutare questo risultato occorre tener presente che il quoziente “Oneri finanziari/Ebitda” è stato calcolato escludendo le imprese con Ebitda negativo: nelle Medie imprese, tuttavia, l’incidenza di questi casi è costantemente minima conferendo al risultato una qualche credibilità. Minori scostamenti si riscontrano, infine, nella classe delle Piccole, sempre comunque con i valori mediani che crescono più dei corrispondenti valori medi ponderati, a riprova di una maggiore difficoltà delle imprese della coda di sinistra nel contenere l’incidenza degli oneri finanziari.

Nelle classi meno numerose (Micro e Grandi) anche il rapporto tra Debiti finanziari ed Ebitda fa segnare ampie escursioni, superiori a quelle del rapporto “Debiti/Ebitda” calcolato sui dati aggregati: nelle Micro, infatti, aumenta nel triennio di ben il 106% e nelle Grandi del 39% a fronte di incrementi nelle Piccole del 5% e nelle Medie del 4%. E’ il caso di rammentare, inoltre, che sui dati aggregati il rapporto “Debiti totali/Ebitda” delle Grandi diminuiva, mentre quello con i Debiti finanziari al denominatore aumenta, come appena detto, del 39%. Di nuovo occorre tenere conto che questo secondo rapporto è stato calcolato escludendo in ciascun anno le imprese con Ebitda negativo, pari al 5% nel 2012, 15% del 2011, 10% nel 2010. La ridotta incidenza, in particolare a fine periodo, di questi casi conferisce una certa solidità al risultato trovato, che può essere spiegato con la maggior capacità delle grandi imprese di accedere a finanziamenti esterni anche in presenza di fenomeni di razionamento del credito.

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Tabella 1.17 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di equilibrio finanziario dinamico per classe dimensionale. Campione di 525 imprese.

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Micro

Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 17,55 10,77 8,54 26,1 63,0 105,5 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,87 0,69 0,69 0,2 25,5 25,7 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 3,17 2,23 1,54 44,5 42,4 105,9 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 20,00 22,22 8,89 150,0 -10,0 125,0 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 20,00 13,33 11,11 20,0 50,0 80,0

Piccole

Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 13,26 10,53 10,06 4,6 26,0 31,8 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,76 0,68 0,67 0,9 11,9 12,9 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 2,57 2,17 2,45 -11,6 18,9 5,1 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 24,58 23,74 22,07 7,6 3,5 11,4 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 13,41 8,38 8,94 -6,2 60,0 50,0

Medie

Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 11,36 10,81 11,27 -4,1 5,1 0,8 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,86 0,86 0,65 33,3 0,0 33,3 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 1,88 2,38 1,81 31,5 -20,9 4,0 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 30,39 28,43 30,39 -6,5 6,9 0,0 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 8,82 7,84 5,88 33,3 12,5 50,0

Grandi

Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 13,82 10,73 10,11 6,1 28,8 36,7 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,82 0,74 0,68 8,2 11,0 20,1 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 3,95 4,12 2,85 44,8 -4,0 39,0 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 45,00 40,00 25,00 60,0 12,5 80,0 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 5,00 15,00 10,00 50,0 -66,7 -50,0

^ Escluse imprese con Ebitda negativo. § campione ridotto. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Passando ai livelli, le mediane risultano inferiori alle medie calcolate con i dati aggregati, a dimostrazione della maggior capacità delle imprese più piccole, in ciascuna classe dimensionale, di contenere l’incidenza degli oneri finanziari nonché il rapporto tra Debiti finanziari ed Ebitda: si tratta probabilmente di un’imposizione più che di una scelta, dovuta all’impossibilità di contrarre ulteriori finanziamenti, in particolare bancari.

Gli Oneri finanziari non mostrano grande variabilità tra le classi, in rapporto né all’Ebitda né al fatturato. Il primo dei due quozienti, calcolato sempre escludendo le imprese con Ebitda negativo, risulta massimo nelle Medie nel 2010 e 2011 (11,2 e 10,8% circa), mentre nel 2012 sono le Micro a toccare il livello più elevato sfiorando il 18%. Al contrario, la classe con il valore minimo cambia ogni anno: Micro nel 2010 (9%), Piccole nel 2010 (10,5%) e Medie nel 2012 (11,4%).

Nel periodo 2010-2012 le imprese con Ebitda negativo sono aumentate in tutte classi dimensionali (salvo tra le Grandi, come visto poco sopra): dell’80% tra le Micro, del 50% tra le Piccole, del 50% tra le Medie. In particolare a fine

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periodo il 20% delle Micro, il 25% delle Piccole, il 9% delle Medie presentava un Ebitda negativo: pertanto per le classi delle Micro e delle Piccole i valori mediani del rapporto “Oneri finanziari/Ebitda” e “Debiti finanziari/Ebitda” potrebbero risentire dell’esclusione dei casi di Ebitda negativo, riducendo la comparabilità fra i valori mediani e aggregati dei due quozienti.

Il rapporto mediano “Oneri finanziari/Fatturato”, per costruzione più facilmente confrontabile con quello medio, risulta massimo nelle Micro nel 2010 (0,7%), e nelle Medie nel 2011 (0,9%) e nel 2012 (0,9%) a pari merito con le Micro. Risulta, invece, minimo nelle Piccole nel 2011 e 2012 (0,7 e 0,8% rispettivamente) e nelle Medie nel 2010 (0,7%).

Restringendo il campo ai soli debiti finanziari (campione ridotto), diversamente dall’indagine precedente la graduatoria di sostenibilità vede le Grandi sorprendentemente sempre all’ultimo posto anziché al primo come accadeva nel triennio 2007-2009. Il rapporto tra Debiti finanziari ed Ebitda, infatti, tocca costantemente il suo valore massimo proprio nelle Grandi, passando da 2,9 volte del 2010 a 4 nel 2012; nel triennio 2007-2009 le Grandi, invece, mostravano quasi sempre i valori minimi (in particolare 1,89 volte nel 2009). Le rimanenti classi dimensionali, in tutti gli anni del periodo 2010-2012, si collocano stabilmente al di sotto delle 2,6 volte, con l’eccezione delle Micro che nel 2012 superano quota 3. Come nell’indagine precedente le Medie si collocano quasi sempre al secondo posto; le Piccole e le Micro cambiano continuamente di posizione da un anno all’altro.

Se nell’indagine precedente i posizionamenti sopra menzionati si estendevano anche alla percentuale di imprese in situazione di criticità cioè con un rapporto “Debiti finanziari/Ebidta” pari almeno a 5 volte oppure negativo (in presenza però di debiti finanziari), in questa edizione la quota di tali imprese risulta piuttosto simile tra le classi, almeno nel 2011 e 2012: fanno eccezione le Grandi con oltre il 50% dei casi dovuto, tuttavia, al gruppo delle imprese fortemente indebitate (rapporto superiore Debiti finanziari / Ebitda superiore a 5 volte).

1.3. La ripartizione settoriale In questa sezione si analizzano le performance di bilancio per settore di

attività: anche in questo caso, diversamente dall’indagine precedente, vengono considerate le imprese con meno di 10 addetti (Micro).

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1.3.1. Dinamica del fatturato

In tutti i settori e in ciascun anno del periodo 2010-2012 l’impresa mediana ricade, secondo la classificazione dimensionale riferita al fatturato7, nella categoria delle Piccole imprese (Tabella 1.18): rispetto all’indagine precedente fa eccezione il settore “Alimentari e bevande” limitatamente agli anni 2011 e 2012, nei quali l’impresa mediana del settore passa alla classe delle Medie. Non si tratta di un risultato sorprendente dato che, come si è visto nel paragrafo precedente, oltre la metà delle imprese ricade in questa classe. Tale risultato non è tuttavia confermato per l’impresa media8 che appartiene stabilmente alla classe delle Medie. Nella precedente indagine, invece, faceva eccezione “Tessile e Abbigliamento” in cui prevaleva, seppur di poco, la Grande impresa: tale risultato potrebbe dipendere dall’assenza nel campione di una grande impresa del settore che, invece, era presente nella versione precedente dell’indagine.

7 Micro fino a 2 milioni di fatturato, Piccole da 2 a 10 milioni, Medie da 10 a 50 milioni, Grandi da 50 milioni e oltre. 8 Per media si intende, in questo caso, la media aritmetica semplice.

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Tabella 1.18 - Imprese manifatturiere reggiane: dinamica fatturato per settore. Campione di 525 imprese.

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori (mln €) Variazioni % Alimentari e bevande Media 23,09 22,66 21,51 5,3 1,9 7,4 Mediana 11,33 10,45 9,46 10,5 8,5 19,8 Tessile e abbigliamento Media 43,41 45,10 42,88 5,2 -3,8 1,2 Mediana 6,67 7,83 6,69 17,1 -14,9 -0,3 Chimica, gomme e materie plastiche Media 8,77 9,11 8,59 6,0 -3,8 2,0 Mediana 4,35 4,43 4,29 3,3 -1,9 1,4 Lavorazione di minerali non metalliferi Media 20,90 20,35 18,31 11,1 2,7 14,2 Mediana 6,51 7,45 6,54 13,8 -12,6 -0,5 Metallurgia e prodotti in metallo Media 11,47 11,99 10,24 17,1 -4,3 12,0 Mediana 3,47 3,84 3,27 17,7 -9,8 6,1 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazioneMedia 14,22 14,15 13,48 5,0 0,5 5,5 Mediana 4,57 4,78 5,02 -5,0 -4,3 -9,1 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli Media 22,84 21,73 20,12 8,0 5,1 13,5 Mediana 6,35 7,06 6,27 12,6 -10,1 1,2 Altre manifatture Media 16,61 16,65 16,28 2,3 -0,3 2,0 Mediana 4,46 4,83 5,00 -3,4 -7,6 -10,7 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Anche nella ripartizione settoriale, dunque, il valore medio del fatturato supera quello mediano, ma in modo molto più marcato rispetto a quanto accade nella distribuzione per classi dimensionali: sono, cioè, più numerose le imprese con fatturato inferiore alla media di quelle con fatturato superiore. Come nell’indagine precedente tale media risulta compresa, grosso modo, tra il doppio e il quadruplo della mediana con la solita eccezione del settore “Tessile e abbigliamento” in cui la media a fine 2012 è 6,5 volte la mediana. Come nel triennio 2007-2009 sia l’impresa media che quella mediana tendono ad assumere dimensioni maggiori, oltre che in “Tessile e abbigliamento”, in “Alimentari e bevande”, “Lavorazione di minerali non metalliferi” e “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”.

Venendo alla dinamica del fatturato, sull’orizzonte triennale e in base ai valori mediani solo metà dei settori registra una crescita (“Alimentari e bevande”, “Chimica, gomma e materie plastiche”, “Metallurgia e prodotti in metallo” e “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”), significativa solo in “Alimentari e bevande” (quasi +20%) e in “Metallurgia e prodotti in metallo” (+6%). I rimanenti settori fanno segnare cali contenuti salvo “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (-9%) e “Altre manifatture” (-11%). Nell’indagine

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precedente, al contrario, tutti i settori erano in calo tranne “Alimentari e bevande”, non sorprendentemente data la ridotta correlazione col ciclo di tale settore; all’estremo opposto, il settore in maggiore difficoltà era “Metallurgia e prodotti in metallo” (-39%) che, invece, nel triennio 2010-2012 appare in relativa salute, seguito a breve distanza da “Tessile e abbigliamento” (-33%) che contiene i danni nell’ultimo triennio.

Guardando alle variazioni annuali, nel 2011 solo “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” e “Altre manifatture” denunciano, nei valori mediani, una contrazione del fatturato (rispettivamente del 5 e 3,4%): nei rimanenti settori il fatturato mediano cresce, con tassi di variazione a due cifre (salvo in “Chimica, gomme e materie plastiche”). L’anno 2012, in cui la crisi si inasprisce, vede al contrario una generalizzata contrazione dei fatturati, particolarmente marcata in “Tessile e abbigliamento” (-15%), “Lavorazione di minerali non metalliferi” (-13%), “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Metallurgia e prodotti in metallo”: fa eccezione al solito “Alimentari e bevande” (+8,5%).

Nella precedente indagine all’interno di ciascun settore la dinamica del fatturato, sia nei singoli anni che nel triennio, non presentava correlazioni statisticamente significative con la dimensione (classe di dipendenti), fatta eccezione per “Alimentari e bevande” e, in misura più sfumata, “Chimica, gomma e materie plastiche” nei quali dimensione e variazione del fatturato erano positivamente correlate. Nella presente versione dell’indagine le eccezioni sono costituite, per le variazioni sul triennio, da “Metallurgia e prodotti in metallo” e “Altre manifatture”, in cui la correlazione è positiva e intorno al 25%; sulle variazioni annuali, invece, nel 2011 presenta una correlazione positiva e statisticamente significativa nuovamente “Metallurgia e prodotti in metallo” (18%), cui si aggiunge “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (37%); nel 2012, invece, solo “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” presenta una correlazione positiva e staticamente significativa con la classe dimensionale di appartenenza (22%).

1.3.2. Redditività e costi

Nei dati aggregati (Tabella 1.19) come nella precedente edizione dell’indagine ciascun settore chiude in utile in ogni anno: fanno eccezione nel 2012 “Tessile e abbigliamento” e “Lavorazione di minerali non metalliferi” (nell’indagine precedente l’unica eccezione fu costituita da “Metallurgia e prodotti in metallo”, nel 2009). Il ROE aggregato, pur mostrando una notevole variabilità sia nel tempo che tra i settori, si mantiene costantemente positivo in tutti gli anni considerati.

Nel 2010-2012 come nel 2007-2009 la redditività dei mezzi propri subisce un vero e proprio tracollo in “Lavorazione di minerali non metalliferi (-156%), “Tessile e abbigliamento” (-148%), “Alimentari e bevande” (-68%) e, in minor

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misura, “Chimica, gomme e materie plastiche” (-25%) e “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (-17%), mentre “Metallurgia e prodotti in metallo” contiene i danni (-1,2%). In controtendenza e con tassi di aumento notevoli si muovono soltanto “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (+80%) e “Altre manifatture” (addirittura + 331%).

Una dinamica simile mostrano i ROS e ROA aggregati che, come nell’indagine precedente, si mantengono ugualmente positivi in tutti gli anni e i settori, stavolta senza eccezioni: i tassi di diminuzione, inoltre, sono generalmente inferiori a quelli registrati dal ROE, la cui maggior volatilità dipende dalle oscillazioni delle rimanenti determinanti (leva finanziaria, spread tra ROA e costo del debito, incidenza dei componenti straordinari di reddito). Va però sottolineato che nel triennio in due settori (“Metallurgia e prodotti in metallo” e soprattutto “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”) il ROA si muove in controtendenza rispetto al ROE ossia cresce (rispettivamente dell’1,5 e 22%), mentre ovviamente aumenta nei soli due settori (“Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Altre manifatture”) nei quali il ROE è risultato crescente in controtendenza (+14 e +60% rispettivamente nel triennio).

I maggiori cali di ROS e ROA si verificano in “Tessile e abbigliamento” e “Lavorazione di minerali non metalliferi” (-65% circa) nonché in “Alimentari e bevande” (-40% per il ROS, -43% per il ROA), seguiti a notevole distanza da “Chimica, gomme e materie plastiche” (-18%). Come già detto in precedenza il ROA è costituito dal prodotto di ROS e rotazione delle vendite: quest’ultimo quoziente risulta in aumento, per lo più lieve, nel triennio (“Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”: +10%; “Metallurgia e prodotti in metallo”: +8%; “Lavorazione di minerali non metalliferi”: + 7%; Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli: + 5%; “Alimentari e bevande: +4%), con l’eccezione di “Altre manifatture” in cui flette marginalmente (-0,4%). L’aumento della rotazione delle vendite non è stato quindi, sufficiente a contrastare gli ampi cali della marginalità delle vendite, trascinando con sé al ribasso anche il ROA.

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Tabella 1.19 - Imprese manifatturiere reggiane: equilibrio economico per settore. Campione di 525 imprese (indici su dati aggregati).

2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Alimentari e bevande ROA 2,86 3,52 5,01 -29,8 -18,8 -43,0 ROS 2,15 2,64 3,62 -27,2 -18,3 -40,5 Rotazione vendite 75,32 74,87 72,19 3,7 0,6 4,3 T = (1 - peso imposte) ^ 45,54 47,13 62,76 -24,9 -3,4 -27,4 ROE 2,77 3,67 8,61 -57,4 -24,3 -67,8 Tessile e abbigliamento ROA 2,08 4,22 5,90 -28,5 -50,8 -64,8 ROS 1,68 3,49 4,84 -27,9 -52,0 -65,4 Rotazione vendite 124,17 120,90 121,91 -0,8 2,7 1,9 T = (1 - peso imposte) ^ -473,29 54,33 40,65 33,7 -971,1 -1264,4 ROE -1,65 4,76 3,47 37,1 -134,8 -147,7 Chimica, gomme e materie plastiche ROA 3,64 4,78 4,42 8,0 -23,7 -17,6 ROS 4,02 5,12 4,92 4,2 -21,6 -18,3 Rotazione vendite 124,17 120,90 121,91 -0,8 2,7 1,9 T = (1 - peso imposte) ^ 55,69 59,49 59,69 -0,3 -6,4 -6,7 ROE 4,57 6,79 6,11 11,2 -32,7 -25,2 Lavorazione di minerali non metalliferi ROA 1,43 3,39 4,06 -16,4 -57,7 -64,6 ROS 1,76 4,35 5,31 -18,1 -59,6 -66,9 Rotazione vendite 81,60 78,03 76,47 2,0 4,6 6,7 T = (1 - peso imposte) ^ -172,95 38,77 49,84 -22,2 -546,1 -447,0 ROE -2,01 2,39 3,61 -33,8 -184,0 -155,6 Metallurgia e prodotti in metallo ROA 3,95 5,27 3,89 35,4 -25,0 1,5 ROS 3,56 4,68 3,77 23,9 -23,9 -5,7 Rotazione vendite 110,95 112,64 103,12 9,2 -1,5 7,6 T = (1 - peso imposte) ^ 56,72 58,73 58,72 0,0 -3,4 -3,4 ROE 4,71 7,28 4,76 52,9 -35,3 -1,2 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione ROA 8,72 6,51 7,14 -8,8 33,9 22,1 ROS 8,68 6,93 7,84 -11,6 25,2 10,7 Rotazione vendite 100,47 94,00 91,06 3,2 6,9 10,3 T = (1 - peso imposte) ^ 63,21 50,77 67,47 -24,7 24,5 -6,3 ROE 12,42 6,99 15,01 -53,4 77,6 -17,2 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli ROA 5,28 4,56 4,64 -1,7 15,8 13,8 ROS 5,74 5,07 5,29 -4,0 13,2 8,6 Rotazione vendite 91,91 89,85 87,75 2,4 2,3 4,8 T = (1 - peso imposte) ^ 59,93 40,65 39,48 3,0 47,4 51,8 ROE 7,03 3,91 3,91 0,1 79,7 79,9 Altre manifatture ROA 4,60 4,04 2,87 40,4 14,1 60,2 ROS 3,19 2,76 1,98 38,9 15,7 60,8 Rotazione vendite 144,32 146,45 144,87 1,1 -1,5 -0,4 T = (1 - peso imposte) ^ 56,29 37,46 25,77 45,4 50,2 118,5 ROE 7,87 3,82 1,83 109,2 106,0 331,0 ^ Peso imposte = Imposte / Utile pre imposte. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Nella Tabella 1.19, come nella corrispondente versione per classi dimensionali, riportiamo l’indicatore inverso del carico tributario (T): quindi più T è alto minore è il peso delle imposte. Come nel triennio precedente anche nel 2010-2012 T fa segnare cali anche piuttosto clamorosi, come in “Tessile e abbigliamento” (-1264%) e “Lavorazione di minerali non metalliferi” (-447%) nei quali le imposte addirittura sorpassano in valore assoluto l’utile ante imposte.

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Fanno eccezione nel triennio più recente i due settori in cui il ROE è crescente (“Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”: +52%; “Altre manifatture”: +119%), che però si caratterizzavano nel 2010 per i più bassi valori dell’indicatore T. Sintetizzando, quindi, nonostante il perdurare della crisi l’incidenza delle imposte aumenta in particolare modo negli unici due settori in perdita a fine 2012 (“Tessile e abbigliamento” e “Lavorazione di minerali non metalliferi”), con modeste riduzioni solo in “Metallurgia e prodotti in metallo” (-3%), “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione (-6%) e “Chimica, gomme e materie plastiche” (-7%).

Passando dalle variazioni ai livelli, nei tre anni considerati la classe con gli indicatori di redditività aggregati tendenzialmente più elevati e stabili è, diversamente dall’indagine precedente, “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” che per tutti e tre gli indici (ROS, ROA e ROE) si distanzia nettamente dai rimanenti settori; seguono “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Metallurgia e prodotti in metallo”. All’estremo opposto della graduatoria si trovano, invece, “Lavorazione di minerali non metalliferi” (in perdita nel 2012, ultimo per ROA e ROS nel medesimo anno) e “Tessile e abbigliamento” (in perdita nel 2012 nonché ultimo per ROS e penultimo per ROA).

Le tendenze sopra evidenziate a livello aggregato trovano conferma anche nei dati mediani (Tabella 1.20) con una prima differenza di rilievo: in tutti i settori, in tutti e tre gli anni, l’impresa mediana chiude in utile. Non vi sono quindi eccezioni diversamente da quanto rilevato con i dati aggregati. Gli indicatori mediani di redditività fanno ugualmente registrare diminuzioni generalizzate con poche eccezioni, comunque diverse da quelle rilevate sui dati aggregati: in particolare, nel triennio il ROA aumenta solo in “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (+7%) e “Metallurgia e prodotti in metallo” (+2%), pur in presenza di un ROS in evidente calo (deve quindi essere significativamente cresciuta la rotazione delle vendite). Il ROE, invece, aumenta solo in “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” ma in modo veramente notevole (+73%).

Rispetto alle diminuzioni rilevate sui dati aggregati, quelle di ROS e ROA sui dati mediani sono più ampie in tre settori su otto (“Alimentari e bevande”, “Chimica, gomme e materie plastiche”, “Metallurgia e prodotti in metallo”), segnalando che tendenzialmente sono le imprese più grandi a contenere meglio il calo della redditività industriale lorda. Per il ROE l’evidenza è analoga, poiché solo in due settori i valori mediani mostrano cali superiori (“Metallurgia e prodotti in metallo” e “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”).

I rapporti di indebitamento fanno segnare riduzioni in sei settori su otto (in controtendenza solo “Alimentari e bevande” e “Chimica, gomme e materie plastiche”): il minor ricorso nel 2010-2012 alla leva finanziaria amplifica

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ovviamente l’effetto negativo del calo della redditività industriale lorda su quella netta.

Passando ai livelli dei tre indicatori di redditività e prendendo come riferimento le imprese mediane, le più redditizie si trovano tendenzialmente in “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (primo per ROS e ROE in due anni su tre, primo per ROA nel 2012 e secondo nel 2011), seguite da “Chimica, gomme e materie plastiche” (primo per ROS in due anni su tre e per ROA nel 2011) e, su posizioni simili, da “Metallurgia e prodotti in metallo” (secondo per ROA e ROS nel 2012 e per ROE e ROA nel 2011) e “Tessile e abbigliamento” (secondo per ROE nel 2012, secondo per ROS nel 2010 e in genere almeno terzo nei rimanenti casi). All’estremo opposto della graduatoria troviamo “Alimentari e bevande”, “Lavorazione di minerali non metalliferi” e “Altre manifatture”: quest’ultimo settore vanta, inoltre, il primato della minor incidenza di imprese in perdita che pagano imposte.

I livelli di indebitamento (Debiti totali/Patrimonio netto), come già detto, sono in calo solo in “Alimentari e bevande” e “Chimica, gomme e materie plastiche”, mentre i settori che complessivamente nel 2010-2012 fanno stabilmente maggior ricorso alla leva finanziaria risultano “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Altre manifatture”, sempre al primo o al secondo posto in ciascuno dei tre anni analizzati. Solo per “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”, quindi, il ricorso decrescente alla leva finanziaria non ha effetti negativi rilevanti sul livello relativo del ROE. All’estremo opposto della graduatoria per livello di indebitamento troviamo, invece, “Tessile e abbigliamento”, costantemente ultimo. Le imprese più indebitate a fine periodo appartengono al settore “Alimentari e bevande” (3,59) seguite appunto da “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (3,39) e da “Altre manifatture” (3,31). A breve distanza troviamo i rimanenti settori che si collocano sempre su valori superiori a 3: l’unico settore a mostrare un rapporto di indebitamento inferiore a 3 è “Tessile e abbigliamento” (1,99). Vale la pena di evidenziare che dei due settori in cui cresce il ricorso alla leva finanziaria, neppure quello con i livelli più elevati di ROA e ROS (“Chimica, gomme e materie plastiche”) figura ai primi posti della classifica per ROE: il maggior ricorso alla leva non ha consentito al settore anzidetto di scalare posizioni nella classifica anzidetta.

La Tabella 1.20, inoltre, mette in evidenza come nel triennio 2010-2012 la quota di imprese con i conti in rosso cresca enormemente solo in “Alimentari e bevande” (+175%) e “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (+140%), mentre un incremento significativo ma notevolmente inferiore si verifica in “Lavorazione di minerali non metalliferi” (+14%). Gli straordinari aumenti in “Alimentari e bevande” e “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” dipendono fondamentalmente dall’esplosione della quota di imprese in perdita che pagano imposte, più che triplicata in “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (+253%) e quasi triplicata in “Alimentari e bevande” (+198%);

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risulta al contrario in vistoso calo in “Tessile e abbigliamento” (-67%), “Altre manifatture (-57%) e Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli (-41%).

Rispetto al 2010 risulta, invece, in crescita in tutti settori la quota di imprese in perdita già a livello di redditività industriale lorda: la loro incidenza addirittura raddoppia in “Chimica, gomme e materie plastiche” e “Lavorazione di minerali non metalliferi” (+100%) e registra incrementi non molto distanti in “Alimentari e bevande” (+80%) e “Tessile e abbigliamento” (+74%). Nei rimanenti settori l’aumento è comunque molto rilevante, superiore al 30%.

Rispetto ai livelli, il settore con la maggior incidenza di imprese con i conti in rosso è stabilmente “Lavorazione di minerali non metalliferi” (primo nel 2012 e 2012, secondo nel 2010): tale settore vanta anche il primato della quota di imprese in perdita che pagano imposte, mentre l’incidenza delle imprese con redditività industriale lorda negativa è massima in “Tessile e abbigliamento” nel 2011 e 2012.

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Tabella 1.20 - Imprese manifatturiere reggiane: indici di redditività e produttività per settore. Campione di 525 imprese. 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Alimentari e bevande ROE mediana 2,49 3,02 8,00 -62,3 -17,4 -68,9 ROE negativi 34,40 25,00 12,50 100,0 37,6 175,2 Rapporto di indebitamento ° mediana 3,57 3,49 3,33 4,8 2,1 7,1 ROA mediana 2,18 2,86 4,75 -39,8 -23,7 -54,1 ROS mediana 1,80 2,31 3,11 -25,9 -21,9 -42,1 ROA e ROS negativi 28,10 25,00 15,60 60,3 12,4 80,1 Imprese in perdita che pagano imposte ^ 18,80 15,60 6,30 147,6 20,5 198,4 VA pro capite mediana (mgl Euro) § 70,42 65,07 65,68 -0,9 8,2 7,2 Costi di produzione / Ricavi mediana 98,68 98,58 96,36 2,3 0,1 2,4 Costo personale / Ricavi mediana 10,17 9,95 11,29 -11,9 2,2 -9,9 Tessile e abbigliamento ROE mediana 5,99 5,30 5,99 -11,6 13,1 -0,1 ROE negativi 21,10 21,10 26,30 -19,8 0,0 -19,8 Rapporto di indebitamento ° mediana 1,99 2,36 2,50 -5,6 -15,7 -20,4 ROA mediana 2,99 3,64 3,65 -0,3 -17,7 -17,9 ROS mediana 2,70 3,20 3,95 -19,1 -15,6 -31,8 ROA e ROS negativi 36,80 26,30 21,10 24,6 39,9 74,4 Imprese in perdita che pagano imposte ^ 5,30 10,50 15,80 -33,5 -49,5 -66,5 VA pro capite mediana (mgl Euro) § 51,28 49,14 52,23 -5,9 4,4 -1,8 Costi di produzione / Ricavi mediana 94,92 97,64 96,70 1,0 -2,8 -1,8 Costo personale / Ricavi mediana 14,64 14,25 14,41 -1,1 2,7 1,6 Chimica, gomme e materie plastiche ROE mediana 4,94 4,67 5,66 -17,4 5,8 -12,6 ROE negativi 22,70 22,70 22,70 0,0 0,0 0,0 Rapporto di indebitamento ° mediana 3,19 3,19 2,82 13,1 0,2 13,3 ROA mediana 2,92 4,64 4,05 14,4 -37,1 -28,0 ROS mediana 2,46 4,48 3,98 12,6 -45,1 -38,2 ROA e ROS negativi 18,20 13,60 9,10 49,5 33,8 100,0 Imprese in perdita che pagano imposte ^ 15,90 13,60 9,10 49,5 16,9 74,7 VA pro capite mediana (mgl Euro) § 53,33 56,35 57,99 -2,8 -5,4 -8,0 Costi di produzione / Ricavi mediana 97,59 95,38 97,16 -1,8 2,3 0,4 Costo personale / Ricavi mediana 22,18 20,75 20,74 0,0 6,9 6,9 Lavorazione di minerali non metalliferi ROE mediana 1,91 1,84 2,57 -28,3 3,7 -25,7 ROE negativi 34,00 34,00 29,80 14,1 0,0 14,1 Rapporto di indebitamento ° mediana 3,13 3,42 3,49 -2,0 -8,3 -10,2 ROA mediana 1,55 3,68 2,92 26,2 -58,0 -47,0 ROS mediana 2,14 3,96 2,86 38,7 -46,1 -25,2 ROA e ROS negativi 29,80 25,50 14,90 71,1 16,9 100,0 Imprese in perdita che pagano imposte ^ 21,30 27,70 14,90 85,9 -23,1 43,0 VA pro capite mediana (mgl Euro) § 62,84 64,11 63,55 0,9 -2,0 -1,1 Costi di produzione / Ricavi mediana 97,88 96,04 97,11 -1,1 1,9 0,8 Costo personale / Ricavi mediana 21,44 21,77 22,74 -4,3 -1,5 -5,7 Il ROE e il rapporto di indebitamento sono calcolati escludendo le imprese con patrimonio netto negativo. ° Rapporto di indebitamento = Totale attivo / Patrimonio netto. § Imprese in perdita = imprese con utile netto ante imposte negativo. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

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Venendo, infine, agli indicatori di produttività del personale e di efficienza economica, in metà dei settori si registrano miglioramenti. Il Valore aggiunto pro capite mediano cresce soprattutto in “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (+13%) seguito da “Metallurgia e prodotti in metallo (+8%) e “Alimentari e bevande” (+7%). Tra i settori che registrano riduzioni, la più marcata nel triennio è in “Chimica, gomme e materie plastiche” (-8%). Il rapporto tra Costi totali di produzione e Ricavi registra, invece, modeste oscillazioni nel triennio, facendo segnare un aumento massimo del 2,4% in “Alimentari e bevande” e una riduzione, sempre massima, dell’1,8% in “Tessile e abbigliamento”. Variazioni più ampie subisce il rapporto tra i Costi del personale e i Ricavi: cala del 10% in “Alimentari e bevande” e del 6% in “Lavorazione di minerali non metalliferi”; aumenta al contrario del 7% sia in “Chimica, gomme e materie plastiche” che in “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”.

Passando ai livelli, il settore che nel triennio registra sistematicamente la migliore produttività del lavoro è “Alimentari e bevande” (in aumento da 65.680 euro nel 2010 a 70.420 nel 2012) tallonato da “Lavorazione di minerali non metalliferi” (l’indicatore è in leggero calo dai 63.550 migliaia di euro del 2010 ai 62.840 del 2012); agli estremi opposti della graduatoria si colloca, invece, “Altre manifatture” (49.000 euro nel 2012).

Molto contenuta è la variabilità tra i settori del rapporto tra Costi totali di produzione e Ricavi: nei due anni finali del periodo 2010-2012 è massimo in “Alimentari e Bevande” (poco sotto il 99%), seguito da “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (primo nel 2010, terzo nel 2011 e terzo nel 2012 con valori compresi tra il 97,7 e il 98,7%) e “Altre manifatture” (terzo nel 2010, secondo nel 2011 nel 2012 con valori compresi tra il 97,9 e il 98,5%). Il settore più efficiente varia di anno in anno (“Alimentari e bevande” nel 2010; “Chimica, gomme e materie plastiche” nel 2011; “Tessile e abbigliamento” nel 2012), con valori dell’indicatore, tuttavia, non molto distanti da quelli massimi (96,4% nel 2010, 95,4% nel 2011, 94,9% nel 2012). Complessivamente nel triennio “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” pare essere il settore con il livello più stabile ed elevato di efficienza produttiva, valutata rispetto all’incidenza dei costi totali. Se si considerano, invece, solo quelli del personale le differenze tra i settori si rivelano maggiormente significative e la graduatoria si polarizza con, a un estremo, “Metallurgia e prodotti in metallo” (23%-25%), “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” e “Lavorazione di minerali non metalliferi” (21-23%) seguiti da “Chimica, gomme e materie plastiche” (21-22%); all’altro estremo, “Alimentari e bevande” (10-11%) e “Tessile e abbigliamento” (14-15%).

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Tabella 1.20 – continua Campione di 525 imprese. 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Metallurgia e prodotti in metallo ROE mediana 3,75 6,05 4,24 42,6 -38,0 -11,6 ROE negativi 22,80 22,10 31,70 -30,3 3,2 -28,1 Rapporto di indebitamento ° mediana 3,20 3,51 3,55 -1,1 -8,8 -9,9 ROA mediana 3,56 4,36 3,49 25,0 -18,5 1,9 ROS mediana 3,14 4,06 3,55 14,4 -22,8 -11,6 ROA e ROS negativi 21,40 15,90 16,60 -4,2 34,6 28,9 Imprese in perdita che pagano imposte ^ 11,70 11,00 12,40 -11,3 6,4 -5,6 VA pro capite mediana (mgl Euro) § 56,20 58,52 52,18 12,2 -4,0 7,7 Costi di produzione / Ricavi mediana 96,55 96,46 96,66 -0,2 0,1 -0,1 Costo personale / Ricavi mediana 24,40 22,83 24,71 -7,6 6,9 -1,3 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione ROE mediana 3,94 5,31 8,14 -34,7 -25,8 -51,6 ROE negativi 27,30 25,00 11,40 119,3 9,2 139,5 Rapporto di indebitamento ° mediana 3,06 3,31 3,65 -9,2 -7,7 -16,2 ROA mediana 2,61 3,85 3,92 -1,7 -32,3 -33,5 ROS mediana 2,12 3,47 3,72 -6,8 -38,8 -42,9 ROA e ROS negativi 25,00 22,70 18,20 24,7 10,1 37,4 Imprese in perdita che pagano imposte ^ 15,90 11,40 4,50 153,3 39,5 253,3 VA pro capite mediana (mgl Euro) § 52,99 53,26 55,96 -4,8 -0,5 -5,3 Costi di produzione / Ricavi mediana 98,37 97,66 98,66 -1,0 0,7 -0,3 Costo personale / Ricavi mediana 22,91 23,25 21,33 9,0 -1,5 7,4 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli ROE mediana 6,93 6,69 4,01 66,6 3,6 72,6 ROE negativi 17,90 14,90 29,10 -48,8 20,1 -38,5 Rapporto di indebitamento ° mediana 3,31 3,67 3,74 -1,9 -9,8 -11,5 ROA mediana 3,79 4,22 3,53 19,5 -10,2 7,3 ROS mediana 3,37 4,02 3,45 16,7 -16,3 -2,4 ROA e ROS negativi 21,60 12,70 15,70 -19,1 70,1 37,6 Imprese in perdita che pagano imposte ^ 9,70 10,40 16,40 -36,6 -6,7 -40,9 VA pro capite mediana (mgl Euro) § 60,83 60,56 53,69 12,8 0,4 13,3 Costi di produzione / Ricavi mediana 95,28 96,48 96,35 0,1 -1,2 -1,1 Costo personale / Ricavi mediana 19,04 18,70 19,96 -6,3 1,8 -4,6 Altre manifatture ROE mediana 3,16 2,43 4,18 -41,9 30,1 -24,4 ROE negativi 23,30 25,00 25,00 0,0 -6,8 -6,8 Rapporto di indebitamento ° mediana 3,39 3,66 3,69 -0,7 -7,4 -8,0 ROA mediana 2,01 2,63 2,29 14,8 -23,6 -12,4 ROS mediana 1,86 2,06 2,11 -2,3 -9,6 -11,7 ROA e ROS negativi 21,70 21,70 16,70 29,9 0,0 29,9 Imprese in perdita che pagano imposte ^ 5,00 10,00 11,70 -14,5 -50,0 -57,3 VA pro capite mediana (mgl Euro) § 49,00 47,10 48,31 -2,5 4,0 1,4 Costi di produzione / Ricavi mediana 98,51 97,90 97,85 0,1 0,6 0,7 Costo personale / Ricavi mediana 19,34 18,15 18,61 -2,5 6,6 3,9 Il ROE e il rapporto di indebitamento sono calcolati escludendo le imprese con patrimonio netto negativo. ° Rapporto di indebitamento = Totale attivo / Patrimonio netto. § Imprese in perdita = imprese con utile netto ante imposte negativo. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

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1.3.3. Struttura finanziaria

In netta continuità con la precedente indagine, i dati aggregati della Tabella 1.21 indicano in “Alimentari e Bevande” e “Altre manifatture” i settori meno capitalizzati (rapporto “Patrimonio netto/Totale attivo” intorno ai 30 punti percentuali nel 2010-2012); all’estremo opposto della graduatoria si collocano, come nel 2007-2009, “Tessile e Abbigliamento” (“Patrimonio netto/Totale attivo” superiore al 50%) e, più staccati, “Lavorazione di minerali non metalliferi” e “Metallurgia e prodotti in metallo” (con valori compresi tra il 40 e il 45% circa). I risultati non si modificano in maniera sostanziale utilizzando l’indice “Patrimonio netto/Debiti”, rispetto al quale va sottolineato che “Tessile e Abbigliamento” continua a caratterizzarsi come unico caso in cui detto rapporto assume sistematicamente valori superiori al 100%. Tabella 1.21 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di struttura finanziaria per settore. Campione di 525 imprese (dati aggregati). 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Alimentari e bevande Patrimonio netto / Totale attivo 29,18 28,67 31,16 -8,0 1,8 -6,4 Debiti / Totale attivo 65,74 66,44 63,78 4,2 -1,1 3,1 Altre passività / Totale attivo 5,09 4,89 5,06 -3,4 4,1 0,6 Patrimonio netto / Debiti 44,38 43,15 48,85 -11,7 2,9 -9,1 Debiti a breve / Debiti 85,58 84,54 81,74 3,4 1,2 4,7 Tessile e abbigliamento Patrimonio netto / Totale attivo 54,66 51,54 51,86 -0,6 6,0 5,4 Debiti / Totale attivo 39,22 41,51 41,40 0,3 -5,5 -5,3 Altre passività / Totale attivo 6,13 6,95 6,74 3,1 -11,9 -9,1 Patrimonio netto / Debiti 139,37 124,17 125,27 -0,9 12,2 11,3 Debiti a breve / Debiti 96,64 97,20 94,08 3,3 -0,6 2,7 Chimica, gomme e materie plastiche Patrimonio netto / Totale attivo 42,07 41,83 41,01 2,0 0,6 2,6 Debiti / Totale attivo 50,50 51,09 51,85 -1,5 -1,2 -2,6 Altre passività / Totale attivo 7,43 7,08 7,14 -0,8 4,9 4,0 Patrimonio netto / Debiti 83,32 81,88 79,10 3,5 1,8 5,3 Debiti a breve / Debiti 78,56 77,19 76,28 1,2 1,8 3,0 Lavorazione di minerali non metalliferi Patrimonio netto / Totale attivo 39,25 39,48 42,90 -8,0 -0,6 -8,5 Debiti / Totale attivo 52,77 53,67 51,30 4,6 -1,7 2,9 Altre passività / Totale attivo 7,98 6,85 5,80 18,2 16,5 37,7 Patrimonio netto / Debiti 74,39 73,57 83,63 -12,0 1,1 -11,1 Debiti a breve / Debiti 85,26 85,18 84,15 1,2 0,1 1,3 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Nel 2007-2009 tutti i settori avevano registrato un aumento del grado di patrimonializzazione (rapporto “Patrimonio netto/Totale attivo”) ovvero una riduzione del ricorso al debito (rapporto “Debiti/Totale attivo): tale evidenza trova conferma anche nel 2010-2012 con l’eccezione di “Alimentari e bevande” (-6,4%) e di “Lavorazione di minerali non metalliferi” (-8,5%). Fanno segnare i maggiori

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incrementi “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (+19,2%) e “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (+12%), seguiti a notevole distanza da “Tessile e abbigliamento” (+5,4%). Rapportando il Patrimonio netto ai Debiti totali anziché al Totale attivo si ottengono risultati simili.

Tabella 1.21 – continua. Campione di 525 imprese (dati aggregati). 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni %

Metallurgia e prodotti in metallo Patrimonio netto / Totale attivo 44,83 41,06 43,38 -5,3 9,2 3,3 Debiti / Totale attivo 49,40 53,36 50,86 4,9 -7,4 -2,9 Altre passività / Totale attivo 5,78 5,58 5,77 -3,3 3,6 0,2 Patrimonio netto / Debiti 90,74 76,95 85,29 -9,8 17,9 6,4 Debiti a breve / Debiti 88,58 88,89 86,97 2,2 -0,4 1,9

Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione Patrimonio netto / Totale attivo 43,27 38,11 36,32 4,9 13,5 19,2 Debiti / Totale attivo 50,48 55,61 57,90 -4,0 -9,2 -12,8 Altre passività / Totale attivo 6,25 6,28 5,78 8,5 -0,4 8,1 Patrimonio netto / Debiti 85,73 68,53 62,72 9,3 25,1 36,7 Debiti a breve / Debiti 79,48 78,45 82,50 -4,9 1,3 -3,7

Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli Patrimonio netto / Totale attivo 39,98 35,10 35,73 -1,8 13,9 11,9 Debiti / Totale attivo 53,20 57,78 57,34 0,8 -7,9 -7,2 Altre passività / Totale attivo 6,82 7,12 6,93 2,7 -4,2 -1,6 Patrimonio netto / Debiti 75,14 60,76 62,31 -2,5 23,7 20,6 Debiti a breve / Debiti 71,41 65,80 72,76 -9,6 8,5 -1,9

Altre manifatture Patrimonio netto / Totale attivo 30,93 30,30 30,30 -0,0 2,1 2,1 Debiti / Totale attivo 61,95 62,58 63,07 -0,8 -1,0 -1,8 Altre passività / Totale attivo 7,13 7,12 6,62 7,5 0,1 7,6 Patrimonio netto / Debiti 49,93 48,42 48,04 0,8 3,1 3,9 Debiti a breve / Debiti 86,66 87,67 88,48 -0,9 -1,2 -2,1 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Oltre al rafforzamento patrimoniale, nel 2007-2009 si era assistito a una riduzione generalizzata della dipendenza dal debito a breve termine (rapporto “Debiti a breve/Debiti”). Nel 2010-2012 tale riduzione prosegue solo per tre settori: “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (-3,7%), “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Altre manifatture” (-2%); per i rimanenti, al contrario, la quota dei debiti a breve riprende a salire, anche se in misura modesta: il massimo incremento si verifica in “Alimentari e bevande” (+4,7%).

Venendo ai livelli, i dati aggregati confermano che la dipendenza dal credito a breve resta molto elevata in tutti i settori: è massima sistematicamente in tutti gli anni del periodo 2010-2012 in “Tessile e abbigliamento”, la cui impresa media si finanzia sostanzialmente solo a breve termine (97% nel 2011 e 2012), seguito da “Metallurgia e prodotti in metallo” (89% nel 2011 e 2012) e da “Altre

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manifatture” (88% nel 2011, 87% nel 2012). Nel 2010-2012 solo l’impresa mediana in “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” registra valori dell’indicatore prossimi al 70%, con un minimo del 66% nel 2011. Tabella 1.22 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di struttura finanziaria per settore. Campione di 525 imprese. 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10

Valori mediani % Variazioni % Alimentari e bevande Patrimonio netto / Totale attivo 28,07 26,10 30,05 -13,1 7,5 -6,6 Debiti / Totale attivo 64,76 63,40 64,81 -2,2 2,1 -0,1 di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 25,35 26,41 25,50 3,6 -4,0 -0,6 Altre passività / Totale attivo 7,28 6,32 6,87 -8,0 15,2 6,0 Patrimonio netto / Debiti 41,91 39,70 46,43 -14,5 5,6 -9,7 Debiti a breve / Debiti 92,61 92,37 91,54 0,9 0,3 1,2 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 92,79 83,19 76,57 8,6 11,5 21,2 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 88,36 83,79 79,63 5,2 5,5 11,0 Tessile e abbigliamento Patrimonio netto / Totale attivo 43,33 38,37 37,69 1,8 12,9 15,0 Debiti / Totale attivo 31,63 35,69 44,53 -19,9 -11,4 -29,0 di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 0,01 0,15 0,06 150,0 -93,3 -83,3 Altre passività / Totale attivo 6,00 5,79 6,19 -6,5 3,6 -3,1 Patrimonio netto / Debiti 131,77 119,47 76,05 57,1 10,3 73,3 Debiti a breve / Debiti 99,96 99,94 99,94 0,0 0,0 0,0 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 0,00 0,00 0,04 -100,0 -100,0 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 64,37 85,55 81,69 4,7 -24,8 -21,2 Chimica, gomme e materie plastiche Patrimonio netto / Totale attivo 31,35 31,44 35,52 -11,5 -0,3 -11,7 Debiti / Totale attivo 54,41 54,30 53,48 1,5 0,2 1,7 di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 13,99 16,74 13,26 26,2 -16,4 5,5 Altre passività / Totale attivo 8,22 8,12 8,05 0,9 1,2 2,1 Patrimonio netto / Debiti 64,12 55,46 68,47 -19,0 15,6 -6,3 Debiti a breve / Debiti 92,75 89,93 89,80 0,1 3,1 3,3 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 34,85 37,10 32,51 14,1 -6,1 7,2 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 81,55 77,15 74,72 3,3 5,7 9,1 Lavorazione di minerali non metalliferi Patrimonio netto / Totale attivo 31,20 28,83 27,93 3,2 8,2 11,7 Debiti / Totale attivo 62,76 66,42 65,04 2,1 -5,5 -3,5 di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 27,48 26,02 26,53 -1,9 5,6 3,6 Altre passività / Totale attivo 7,13 7,00 6,60 6,1 1,9 8,0 Patrimonio netto / Debiti 48,22 44,87 40,49 10,8 7,5 19,1 Debiti a breve / Debiti 93,57 93,68 91,05 2,9 -0,1 2,8 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 101,84 111,19 82,52 34,7 -8,4 23,4 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 89,99 84,67 77,69 9,0 6,3 15,8 § campione parziale. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

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I dati mediani di struttura finanziaria (Tabella 1.22) confermano in buona misura i risultati ottenuti con quelli aggregati. Se con questi ultimi solo “Alimentari e bevande” e “Lavorazione di minerali non metalliferi” facevano segnare arretramenti nel grado di capitalizzazione, al contrario con i dati mediani le imprese del secondo settore fanno registrare un significativo incremento (+12% nel triennio); sui dati mediani appare al contrario in netta diminuzione anziché in aumento “Chimica, gomme e materie plastiche” (-12%). Ricapitolando rapportando il Patrimonio netto al Totale attivo nel triennio i maggiori incrementi vengono conseguiti dall’impresa mediana di “Tessile e Abbigliamento” (+15%), seguita da quella di “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” e appunto di “Lavorazione di minerali non metalliferi”.

“Tessile e Abbigliamento” fa segnare anche il maggior calo del rapporto “Debiti/Totale attivo” (-29%) seguito però stavolta non da “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (-3,8%) e “Lavorazione di minerali non metalliferi” (-3,5%), come sui dati aggregati, ma da “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (-4,7%) e “Altre manifatture” (-4%), a dimostrazione di una diversa dinamica del fenomeno, nei settori anzidetti, nelle imprese delle diverse classi dimensionali.

Rapportando al Patrimonio netto i Debiti totali, i maggiori incrementi si registrano nuovamente in “Tessile e abbigliamento” (+73%) seguito da “Metallurgia e prodotti in metallo” (+31%) e da “Lavorazione di minerali non metalliferi” (+ 19%); trova inoltre conferma il calo del livello di patrimonializzazione dell’impresa mediana in “Alimentari e bevande” (-9,7%) e “Chimica, gomme e materie plastiche” (-6,3%).

Come nell’indagine precedente le mediane degli indici di patrimonializzazione risultano quasi sempre inferiori (e quelle degli indici di indebitamento totale superiori), talvolta notevolmente, ai corrispondenti valori calcolati sui dati aggregati, a dimostrazione della presenza, in ciascun settore, di un numero sufficiente di grandi imprese (più capitalizzate delle imprese di minori dimensioni) in grado di far divergere notevolmente i livelli degli indicatori aggregati da quelli mediani.

In base ai dati disaggregati, nel 2010-2012 le imprese meno capitalizzate (indice “Patrimonio netto/Totale attivo”) sono in “Altre manifatture” (25-28%) seguite da “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (27-29%) e “Alimentari e bevande” (26-30%), la cui impresa mediana a fine 2012 è la meno capitalizzata in assoluto (28,1% contro il 28,5% di “Altre manifatture” e il 29,1% di “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”). Non si ravvisano, perciò grandi differenze quanto meno in termini di graduatoria “ai piani bassi”: anche in base ai dati aggregati, infatti, “Alimentari e Bevande” e “Altre manifatture” figuravano tra i settori meno patrimonializzati.

Qualche differenza emerge, invece, utilizzando il rapporto “Debiti totali/Totale attivo”: infatti in due anni su tre (il 2010 e il 2011) fanno massimo

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ricorso all’indebitamento le imprese di “Lavorazioni di minerali non metalliferi” che non figurano tra le imprese ad alta leva, seguite da “Alimentari e bevande”: la ragione di tale insolito risultato dipende probabilmente dal ricorso meno importante alle “Altre passività” come fonte di finanziamento. Tabella 1.22 – continua. Campione di 525 imprese. 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10

Valori mediani % Variazioni % Metallurgia e prodotti in metallo Patrimonio netto / Totale attivo 30,53 28,39 27,92 1,7 7,5 9,3 Debiti / Totale attivo 56,43 59,65 58,52 1,9 -5,4 -3,6 di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 18,50 18,83 18,94 -0,6 -1,8 -2,3 Altre passività / Totale attivo 9,79 9,03 9,33 -3,2 8,4 4,9 Patrimonio netto / Debiti 57,71 48,22 43,94 9,7 19,7 31,3 Debiti a breve / Debiti 93,13 91,23 88,49 3,1 2,1 5,2 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 54,65 58,78 73,52 -20,0 -7,0 -25,7 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 77,46 77,00 66,76 15,3 0,6 16,0 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione Patrimonio netto / Totale attivo 31,38 27,97 27,69 1,0 12,2 13,3 Debiti / Totale attivo 56,66 55,66 58,90 -5,5 1,8 -3,8 di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 13,68 11,49 6,67 72,3 19,1 105,1 Altre passività / Totale attivo 9,17 9,72 9,01 7,9 -5,7 1,8 Patrimonio netto / Debiti 56,54 48,43 46,43 4,3 16,7 21,8 Debiti a breve / Debiti 96,44 95,94 97,97 -2,1 0,5 -1,6 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 31,97 27,53 17,86 54,1 16,1 79,0 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 82,43 80,71 77,62 4,0 2,1 6,2 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli Patrimonio netto / Totale attivo 29,11 26,96 26,67 1,1 8,0 9,1 Debiti / Totale attivo 61,43 64,21 64,49 -0,4 -4,3 -4,7 di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 13,36 17,97 16,08 11,8 -25,7 -16,9 Altre passività / Totale attivo 8,19 7,16 7,52 -4,8 14,4 8,9 Patrimonio netto / Debiti 46,00 39,06 41,92 -6,8 17,8 9,7 Debiti a breve / Debiti 91,93 91,66 90,41 1,4 0,3 1,7 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 40,33 61,45 43,48 41,3 -34,4 -7,2 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 80,12 78,91 72,63 8,6 1,5 10,3 Altre manifatture Patrimonio netto / Totale attivo 28,45 25,05 26,36 -5,0 13,6 7,9 Debiti / Totale attivo 62,19 64,28 64,77 -0,8 -3,3 -4,0 di cui: Debiti fin. vs. terzi / Totale attivo § 18,97 18,05 18,85 -4,2 5,1 0,6 Altre passività / Totale attivo 9,06 8,92 7,88 13,2 1,6 15,0 Patrimonio netto / Debiti 45,24 40,09 42,63 -6,0 12,8 6,1 Debiti a breve / Debiti 92,01 94,12 92,68 1,5 -2,2 -0,7 Debiti fin. vs. terzi / Patrimonio netto § 55,38 68,97 69,17 -0,3 -19,7 -19,9 Debiti fin. vs. terzi a BT / Debiti fin. vs. terzi § 86,05 82,53 77,64 6,3 4,3 10,8 § campione parziale. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

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All’estremo opposto della classifica per capitalizzazione si collocano stabilmente, come nell’indagine precedente, le imprese di “Tessile e abbigliamento” (38-43%), seguite a buona distanza da quelle di “Chimica, gomme e materie plastiche” (31-35%) e, su livelli analoghi tra loro, da quelle di “Lavorazione di minerali non metalliferi”, “Metallurgia e prodotti in metallo” e “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (28-31%). Anche in questo caso vi sono similitudini con la graduatoria basata sui dati aggregati che vedeva al primo posto “Tessile e Abbigliamento” e, più staccati, “Lavorazione di minerali non metalliferi” e “Metallurgia e prodotti in metallo” (ma non “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”). Guardando alla graduatoria per livello di indebitamento si confermano meno indebitate le imprese di “Tessile e abbigliamento” seguite da quelle di “Chimica, gomme e materie plastiche”.

Utilizzando il rapporto “Patrimonio netto/Debiti” si ottengono risultati sostanzialmente analoghi, sia nelle posizioni di vertice che di coda della graduatoria.

Rispetto alla scadenza media dell’indebitamento totale, anche nei dati mediani come in quelli aggregati si registra una generalizzata inversione di tendenza rispetto al trend di aumento rilevato nell’indagine precedente: fanno eccezione due settori (“Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”: -1,6%; “Altre manifatture”: -0,7%) nei quali si verifica una frazionale riduzione della quota dei Debiti a breve, un po’ più ampia sui dati aggregati (rispettivamente -3,7% e -2,1%). L’inversione di tendenza rispetto all’indagine precedente è più marcata, sui dati mediani, per “Metallurgia e prodotti in metallo” (+5,2%), mentre sui dati aggregati, come si è visto poco sopra, l’incremento era massimo in “Alimentari e bevande”.

Se si guarda ai livelli, le mediane risultano sistematicamente superiori alle medie ponderate, segnalando la maggior dipendenza relativa dal credito a breve termine, in ciascun settore, delle imprese della coda di sinistra rispetto a quelle della coda di destra. Come nell’indagine precedente l’impresa mediana in “Tessile e abbigliamento” è indebitata esclusivamente a breve, ma la situazione non è molto diversa nei rimanenti settori, tutti stabilmente al di sopra del 90% in ciascuno degli anni considerati.

Limitando l’attenzione al sotto-campione di imprese per le quali sono disponibili i dati di dettaglio sulla composizione dei debiti, sia il rapporto tra Debiti finanziari e Totale attivo sia quello con il Patrimonio netto al denominatore fanno segnare una riduzione nella metà dei settori: non sono tuttavia sempre gli stessi, perché si verificano andamenti divergenti in “Alimentari e bevande” e “Altre manifatture”. I cali più marcati del primo dei due quozienti si registrano in “Tessile e abbigliamento” (-83%) caratterizzato, tuttavia, da livelli prossimi allo zero, seguito a lunga distanza da “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (-17%). I cali più evidenti del secondo quoziente si verificano sempre in “Tessile e abbigliamento” (-100%, da valutare con le medesime avvertenze di cui

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sopra) e in “Metallurgia e prodotti in metallo” (-26%). Al contrario, gli incrementi in rapporto al Totale attivo sono poco marcati, se si eccettua quello avvenuto in “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (+105%). In rapporto al Patrimonio netto, al contrario, visto l’andamento divergente dei due denominatori si registrano notevoli aumenti sempre in “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (+79%), seguito a lunga distanza da Lavorazione di minerali non metalliferi (+23%) e “Alimentari e bevande” (+21%).

Venendo ai livelli di utilizzo, come nell’indagine precedente l’impresa mediana in “Tessile e abbigliamento” non fa sostanzialmente ricorso al debito finanziario rendendo poco affidabili anche le stime dell’incidenza della componente a breve di tale indebitamento (che, infatti, oscilla dal 64 all’86% nel periodo 2010-2012). Identici rispetto all’indagine precedente sono anche i settori seguenti nella graduatoria: “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (7-14% in rapporto al Totale attivo; 18-32% in rapporto al Patrimonio) e “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (13-18% in rapporto al Totale attivo; 40-61% in rapporto al Patrimonio). Il ricorso ai debiti finanziari è, invece, sistematicamente massimo in “Lavorazione di minerali non metalliferi” (26,5-27,5% in rapporto al Totale attivo; 83-111% in rapporto al Patrimonio), tallonato da “Alimentari e bevande” (25-26% in rapporto al Totale attivo; 77-93% in rapporto al Patrimonio).

Con riferimento alla scadenza dei debiti finanziari a breve i dati disaggregati fanno segnare un calo della relativa quota solo in “Tessile e abbigliamento”: l’incremento massimo si registra in “Metallurgia e prodotti in metallo” e in “Lavorazione di minerali non metalliferi” (+16%). Nel 2010 e 2011 l’impresa più dipendente dal debito finanziario a breve termine risulta quella di “Tessile e abbigliamento”, che nel 2012 viene raggiunta e superata da quella di “Alimentari e bevande”. All’estremo opposto della graduatoria sempre nel 2010 e 2011 figura, invece, “Metallurgia e prodotti in metallo” che nel 2012 cede il posto a “Tessile e abbigliamento”.

Venendo alla durata di crediti e debiti commerciali e scorte, nella precedente indagine si era assistito a un’estensione pressoché generalizzata delle stesse, più ampia per quelle di debiti commerciali e scorte, e quindi a un aumento generalizzato della durata del ciclo commerciale (con l’eccezione di “Tessile e abbigliamento”). L’effetto dell’allungamento dei tempi di pagamento dei fornitori era stato in sostanza più che compensato dalla maggior durata delle scorte e, secondariamente, dalle maggiori dilazioni di pagamento concesse ai clienti. La Tabella 1.23 evidenzia, invece, nel 2010-2012 una riduzione generalizzata (fa eccezione “Chimica, gomme e materie plastiche”) della durata sia dei debiti che dei crediti commerciali, normalmente superiore per questi ultimi. La durata delle scorte, al contrario, cala in tre soli settori (“Tessile e abbigliamento”, “Chimica, gomme e materie plastiche”, “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”) favorendo una riduzione della durata del ciclo commerciale (con la solita eccezione di “Chimica, gomme e materie plastiche”, in cui crescendo la durata dei

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crediti commerciali, la riduzione della durata delle scorte non basta a determinare una riduzione della durata del ciclo commerciale). Nei rimanenti settori l’effetto netto delle riduzioni della durata di crediti e debiti commerciali e dell’aumento di quella delle scorte è, invece, un aumento della durata del ciclo commerciale con la sola eccezione di “Altre manifatture” (la durata delle scorte aumenta, infatti, in modo marginale, dell’1,3% nel triennio). I settori in cui l’aumento della durata del ciclo commerciale è più significativo sono “Alimentari e bevande” (+15,4%), “Lavorazione di minerali non metalliferi” (+14,8%) e “Metallurgia e prodotti in metallo” (+12,6%), mentre la riduzione più significativa avviene in “Altre manifatture” (-9,4%), seguito da “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (-7,6%) e “Tessile e abbigliamento” (-7,3%).

Guardando ai livelli la durata dei crediti e dei debiti commerciali è massima in tutti gli anni considerati in “Lavorazione di minerali non metalliferi” (149-159 giorni per i crediti, 113-124 giorni per i debiti), mentre la durata minima dei crediti commerciali si registra in “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (93-107) seguito a ruota da “Alimentari e bevande” (99-116) e quella dei debiti commerciali ancora in “Alimentari e bevande” (76-83).

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Tabella 1.23 - Imprese manifatturiere reggiane: indicatori di ciclo commerciale per settore. Campione di 525 imprese. 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Alimentari e bevande Durata ciclo commerciale (gg) § 108 112 94 19,6 -3,5 15,4 Durata crediti commerciali (gg) § 99 103 116 -11,2 -4,6 -15,3 Durata scorte (gg) § 91 71 52 37,0 28,1 75,5 Durata fornitori (gg) § 76 80 83 -3,2 -5,4 -8,4 Tessile e abbigliamento Durata ciclo commerciale (gg) § 182 181 196 -7,9 0,7 -7,3 Durata crediti commerciali (gg) § 107 121 127 -5,0 -11,5 -15,9 Durata scorte (gg) § 150 163 178 -8,2 -8,2 -15,7 Durata fornitori (gg) § 90 81 106 -23,2 10,9 -14,8 Chimica, gomme e materie plastiche Durata ciclo commerciale (gg) § 131 117 122 -4,5 12,7 7,6 Durata crediti commerciali (gg) § 121 115 118 -2,4 5,2 2,7 Durata scorte (gg) § 119 111 129 -14,5 7,7 -7,9 Durata fornitori (gg) § 100 96 112 -13,9 3,9 -10,5 Lavorazione di minerali non metalliferi Durata ciclo commerciale (gg) § 220 186 192 -2,8 18,1 14,8 Durata crediti commerciali (gg) § 149 159 159 -0,1 -6,4 -6,5 Durata scorte (gg) § 195 170 177 -4,2 15,2 10,4 Durata fornitori (gg) § 113 115 124 -7,5 -1,1 -8,5 Metallurgia e prodotti in metallo Durata ciclo commerciale (gg) § 154 134 137 -1,7 14,5 12,6 Durata crediti commerciali (gg) § 115 128 139 -8,4 -9,5 -17,1 Durata scorte (gg) § 154 129 136 -4,9 19,4 13,5 Durata fornitori (gg) § 106 113 120 -6,3 -6,0 -11,9 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione Durata ciclo commerciale (gg) § 140 162 152 6,7 -13,4 -7,6 Durata crediti commerciali (gg) § 109 114 118 -3,5 -4,3 -7,6 Durata scorte (gg) § 120 144 151 -4,9 -16,8 -20,8 Durata fornitori (gg) § 104 107 105 1,5 -3,1 -1,6 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli Durata ciclo commerciale (gg) § 183 162 177 -8,3 12,5 3,2 Durata crediti commerciali (gg) § 93 98 107 -8,6 -4,6 -12,8 Durata scorte (gg) § 193 170 173 -1,7 13,3 11,4 Durata fornitori (gg) § 104 105 116 -9,5 -0,9 -10,4 Altre manifatture Durata ciclo commerciale (gg) § 122 126 135 -6,2 -3,4 -9,4 Durata crediti commerciali (gg) § 129 127 142 -10,7 1,6 -9,3 Durata scorte (gg) § 132 95 130 -27,1 38,8 1,3 Durata fornitori (gg) § 100 103 110 -6,5 -2,7 -9,0 § campione parziale. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

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1.3.4. Flussi finanziari

Nei dati aggregati (Tabella 1.24) del triennio 2010-2012, come in quelli del 2007-2009, gli effetti della crisi sulla sostenibilità dinamica del debito non risultano omogenei nei diversi settori. Con riferimento all’incidenza degli oneri finanziari sul reddito industriale lordo è possibile individuare tre settori (diversi da quelli del 2007-2009) nei quali essa non cresce: cala, anzi, in “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (-3,8%) e, marginalmente, in “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (-0,6%), mentre resta invariata in “Altre manifatture”. Nei rimanenti settori il rapporto “Oneri finanziari/Ebitda” risulta invece crescente, particolarmente in “Tessile e abbigliamento” (+234%) che si caratterizza, però, costantemente per i livelli minimi del rapporto, “Lavorazione di minerali non metalliferi” (+71%) e “Alimentari e bevande” (+68%). E’ interessante notare come anche in questo caso nessuno dei settori anzidetti risultasse al top della crescita nell’indagine precedente, con la quale pertanto non vi sono analogie almeno dal punto di vista della dinamica del fenomeno.

Se si valuta, invece, l’incidenza degli oneri finanziari sui ricavi un solo settore (diversamente dai tre dell’indagine precedente) fa segnare un rapporto in frazionale flessione (“Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli”: -0,1%), mentre in tutti gli altri l’incidenza aumenta: fatta eccezione per “Tessile e abbigliamento”, in cui come in precedenza si registrano incrementi stratosferici (+112%) partendo però dai livelli iniziali minimi, i maggiori incrementi si registrano in “Alimentari e bevande” (+26%) e “Chimica, gomme e materie plastiche” (+21%).

Passando ai livelli, sempre in base ai dati aggregati l’incidenza massima degli oneri finanziari sull’Ebitda si registra in due anni su tre (2011 e 2012) in “Alimentari e bevande” (23,9% a fine 2012 tallonato da “Lavorazione di minerali non metalliferi” col 23,5%), mentre nell’indagine precedente i settori con gli indicatori più elevati erano risultati “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Metallurgia e prodotti in metallo”. In rapporto al fatturato l’incidenza massima si rileva, sempre in due anni su tre (2010 e 2012), ancora in “Lavorazione di minerali non metalliferi” (1,62% a fine 2012). Su livelli non molto distanti si colloca, per entrambi i rapporti, “Altre manifatture” (Oneri finanziari/Ebitda 19,6% a fine 2012, stabile nel periodo; Oneri finanziari/Fatturato: 1,31% a fine 2012) e, limitatamente al secondo quoziente, “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione (Oneri finanziari/Fatturato: 1,31% a fine 2012) e “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (1,29% a fine 2012). Anche nell’indagine precedente il livello più elevato del quoziente “Oneri finanziari/Fatturato” era in “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” seguito da “Chimica, gomme e materie plastiche”.

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Tabella 1.24 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di equilibrio finanziario dinamico per settore. Campione di 525 imprese (dati aggregati). 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Alimentari e bevande Oneri finanziari / Ebitda (%) 23,88 19,30 14,22 35,7 23,7 67,9 Oneri finanziari / Fatturato (%) 1,17 1,02 0,93 9,7 14,8 26,0 Debiti / Ebitda (volte) 10,12 9,44 7,06 33,7 7,2 43,4 Tessile e abbigliamento Oneri finanziari / Ebitda (%) 5,89 4,10 1,77 131,7 43,9 233,5 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,26 0,21 0,12 69,4 25,2 112,0 Debiti / Ebitda (volte) 7,34 6,92 5,00 38,3 6,0 46,6 Chimica, gomme e materie plastiche Oneri finanziari / Ebitda (%) 11,89 10,17 8,38 21,3 16,9 41,8 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,96 0,91 0,79 14,4 6,1 21,4 Debiti / Ebitda (volte) 6,86 6,13 6,08 0,8 11,9 12,8 Lavorazione di minerali non metalliferi Oneri finanziari / Ebitda (%) 23,51 15,28 13,74 11,2 53,8 71,1 Oneri finanziari / Fatturato (%) 1,62 1,40 1,42 -1,5 15,9 14,1 Debiti / Ebitda (volte) 9,39 7,52 6,50 15,7 24,8 44,5 Metallurgia e prodotti in metallo Oneri finanziari / Ebitda (%) 10,31 8,45 8,67 -2,6 22,0 18,9 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,69 0,64 0,61 5,7 7,2 13,3 Debiti / Ebitda (volte) 6,65 6,22 7,02 -11,4 6,9 -5,3 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione Oneri finanziari / Ebitda (%) 10,59 13,24 11,00 20,3 -20,0 -3,8 Oneri finanziari / Fatturato (%) 1,31 1,46 1,27 15,4 -10,2 3,7 Debiti / Ebitda (volte) 4,05 5,35 5,52 -3,0 -24,4 -26,7 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli Oneri finanziari / Ebitda (%) 14,31 14,39 14,40 -0,1 -0,5 -0,6 Oneri finanziari / Fatturato (%) 1,29 1,28 1,29 -0,9 0,8 -0,1 Debiti / Ebitda (volte) 6,43 7,23 7,29 -0,8 -11,2 -11,9 Altre manifatture Oneri finanziari / Ebitda (%) 19,60 19,55 19,59 -0,2 0,3 0,0 Oneri finanziari / Fatturato (%) 1,31 1,19 1,14 4,4 10,1 15,0 Debiti / Ebitda (volte) 6,41 7,01 7,48 -6,2 -8,5 -14,2 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Sempre in base ai dati aggregati, se nell’indagine precedente un solo settore (“Alimentari e Bevande”) riduceva il proprio indebitamento totale in rapporto al margine lordo industriale (rapporto “Debiti/Ebitda”), in questa edizione l’operazione riesce alla metà dei settori: “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione (-26,7%), “Altre manifatture” (-14,2%), “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (-11,9%) e “Metallurgia e prodotti in metallo” (-5,3%). I rimanenti quattro settori nei quali, invece, il grado di indebitamento cresce fanno segnare variazioni più ampie rispetto alle riduzioni (in valore assoluto), sempre superiori al 40% in “Alimentari e bevande”, “Tessile e abbigliamento” e “Lavorazione di minerali non metalliferi” e pari al 12,8% in “Chimica, gomme e materie plastiche”.

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Passando dalle variazioni ai livelli, in due anni su tre (2011 e 2012) il settore maggiormente indebitato risulta “Alimentari e bevande” (9,4-10,1 volte l’Ebitda), seguito (nei medesimi anni) da “Lavorazione di minerali non metalliferi” (7,5-9,4 volte): nell’indagine precedente, al contrario, le prime tre posizioni della graduatoria erano occupate da “Metallurgia e prodotti in metallo”, “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”. All’estremo opposto della classifica troviamo sempre nel 2010-2012 “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (4,1-5,4 volte) che, come appena ricordato, figurava tra i settori più indebitati nella precedente indagine che vedeva, invece, meno indebitato di tutti il settore “Tessile e abbigliamento”. A fine 2012 tutti i settori tranne “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” mostrano un rapporto superiore a 5 volte; negli anni precedenti nessuno dei settori scende sotto tale soglia. Nel 2007-2009 erano, invece, meno rari i casi di indice inferiore a 5: in particolare “Tessile e abbigliamento” mostrava sistematicamente in tutti gli anni un rapporto oscillante intorno alle 3 volte (oggi 7,3 volte).

In base ai dati disaggregati cioè ai valori mediani (Tabella 1.25), diversamente da quanto rilevato su quelli aggregati solo un settore (anziché tre) registra un calo del rapporto tra Oneri finanziari ed Ebitda (“Chimica, gomme e materie plastiche”: -2,7%) e del rapporto tra Oneri finanziari e fatturato (“Lavorazione di minerali non metalliferi”: -4,2%): in tale settore, pertanto, le imprese della coda di sinistra della distribuzione dimensionale sembrano far meglio di quelle della coda di destra. Tale risultato, per il primo indicatore, potrebbe dipendere dalla modalità di calcolo che vede l’esclusione dei casi di imprese con Ebitda negativo, più frequenti tra quelle di piccola taglia. Tuttavia in tale settore la quota di tali imprese, pur in forte aumento nel periodo 2010-2012, è stabilmente minima (una su dieci nel 2012, due su cento circa nel 2010 e 2011). Più in generale la quota di imprese con Ebitda negativo cresce dovunque tranne in “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”, raggiungendo la massima diffusione in “Tessile e Abbigliamento” (più di una su quattro a fine 2012), “Lavorazione di minerali non metalliferi” (17%) e “Alimentari e bevande” (16%).

Inoltre, se con i dati aggregati “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”, “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Altre manifatture” non registravano aumenti del rapporto “Oneri finanziari/Ebitda” e “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” neppure di “Oneri finanziari/ Fatturato”, con i dati mediani al contrario anche in questi settori si rileva un cospicuo peggioramento, a dimostrazione che qui sono le imprese di minore taglia ad affrontare le maggiori difficoltà.

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Tabella 1.25 - Imprese manifatturiere reggiane: principali indicatori di equilibrio finanziario dinamico per settore. Campione di 525 imprese. 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Alimentari e bevande Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 16,31 12,57 9,62 30,6 29,8 69,6 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,81 0,63 0,72 -12,9 29,5 12,8 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 3,75 3,77 2,92 29,2 -0,5 28,6 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 31,30 37,50 37,50 0,0 -16,5 -16,5 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 15,60 12,50 3,10 303,2 24,8 403,2 Tessile e abbigliamento Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 0,54 0,57 0,40 44,9 -4,9 37,8 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,15 0,16 0,12 31,2 -5,4 24,1 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 0,00 0,00 0,00 -100,0 -100,0 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 10,50 5,30 10,50 -49,5 98,1 0,0 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 26,3 26,3 21,1 24,6 0,0 24,6 Chimica, gomme e materie plastiche Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 8,12 7,97 8,35 -4,6 1,9 -2,7 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,69 0,63 0,62 1,0 8,8 9,9 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 2,04 1,94 2,21 -12,4 5,2 -7,8 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 25,00 27,30 25,00 9,2 -8,4 0,0 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 9,10 2,30 2,30 0,0 295,7 295,7 Lavorazione di minerali non metalliferi Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 19,81 14,64 16,16 -9,4 35,4 22,6 Oneri finanziari / Fatturato (%) 1,23 1,29 1,29 0,6 -4,8 -4,2 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 5,46 3,29 3,47 -5,4 66,2 57,1 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 40,40 23,40 27,70 -15,5 72,6 45,8 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 17,00 12,80 8,50 50,6 32,8 100,0 ^ escluse imprese con Ebitda negativo. § campione ridotto. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Gli incrementi dei rapporti “Oneri finanziari/Ebitda” e “Oneri finanziari/Fatturato” rilevati sui dati mediani sono superiori ai corrispondenti aggregati in: “Metallurgia e prodotti in metallo”, “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”, “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e “Altre manifatture”; quasi sempre inferiori: in “Alimentari e bevande” (unica eccezione il rapporto “Oneri finanziari/Ebitda”), “Tessile e Abbigliamento”, “Chimica, gomme e materie plastiche” (qui, però, come già detto il rapporto mediano “Oneri finanziari/Ebitda” cala) e “Lavorazione di minerali non metalliferi” (anche in questo caso il rapporto mediano “Oneri finanziari/Fatturato” non cresce ma cala). Se, pertanto, nell’indagine precedente si era rilevato, sia sui dati aggregati che su quelli mediani, un discreto plotone di settori in grado di ridurre, anche in modo notevole, l’incidenza degli oneri finanziari (con le imprese più piccole talvolta più dinamiche delle più grandi in tale processo), nel 2010-2012 i casi “virtuosi” sono solo due.

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Tabella 1.25 – continua Campione di 525 imprese. 2012 2011 2010 11-10 12-11 12-10 Valori % Variazioni % Metallurgia e prodotti in metallo Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 12,26 11,04 10,28 7,4 11,0 19,3 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,87 0,74 0,73 2,0 17,5 19,9 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 2,44 2,64 2,40 10,0 -7,5 1,7 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 20,70 23,40 15,20 53,9 -11,5 36,2 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 11,00 5,50 6,90 -20,3 100,0 59,4 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 11,50 4,82 8,40 -42,7 138,7 36,8 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,56 0,43 0,49 -11,9 30,7 15,1 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 1,66 0,85 0,55 54,2 96,2 202,6 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 25,00 22,70 13,60 66,9 10,1 83,8 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 11,40 13,60 11,40 19,3 -16,2 0,0 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 11,43 11,38 11,14 2,1 0,4 2,6 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,95 0,84 0,68 23,7 12,8 39,5 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 2,03 2,22 2,60 -14,4 -8,7 -21,9 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 23,10 23,90 24,60 -2,8 -3,3 -6,1 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 11,90 7,50 9,70 -22,7 58,7 22,7 Altre manifatture Oneri finanziari / Ebitda (%) mediana ^ 23,82 14,81 12,87 15,0 60,9 85,1 Oneri finanziari / Fatturato (%) 0,77 0,66 0,57 14,5 16,9 33,9 D. fin. v. terzi / Ebitda (volte) mediana ^§ 3,51 2,70 2,73 -1,1 29,8 28,5 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda > 5 (%) § 38,30 33,30 33,30 0,0 15,0 15,0 Imprese con D. fin. v. terzi / Ebitda < 0 (%) § 13,30 11,70 11,70 0,0 13,7 13,7 ^ escluse imprese con Ebitda negativo. § campione ridotto. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Limitando l’attenzione al sotto-campione di imprese per il quale sono disponibili i dati di dettaglio sulla composizione dei debiti, anche il rapporto “Debiti finanziari/Ebitda” registra (tolto il caso “anomalo” di “Tessile e abbigliamento” in cui l’impresa mediana non ha debiti finanziari) solo due casi di riduzione: “Chimica, gomme e materie plastiche” (il calo, del 7,8%, è coerente con quello precedentemente evidenziato del rapporto “Oneri finanziari/Ebitda”) e “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (-22% circa). In questo secondo caso, essendo in aumento l’incidenza degli oneri finanziari nonostante un minor ricorso al relativo debito, si deve ritenere che sia stato dominante l’effetto dell’aumento dei tassi praticati alle imprese del settore. Gli incrementi maggiori di questo indicatore, calcolato sempre escludendo le imprese con Ebitda negativo, si registrano in “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (+203%), che partiva però dai livelli più bassi (tolto il solito caso “anomalo” di “Tessile e abbigliamento”), seguito da “Lavorazione di minerali non metalliferi” (+57%) che, al contrario, era a fine 2010 il settore più indebitato in rapporto all’Ebitda.

Passando dalle variazioni ai livelli, il rapporto “Oneri finanziari/Ricavi” denota una minor variabilità rispetto a quello tra Oneri finanziari ed Ebitda, come

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nell’indagine precedente. I settori che nel 2010-2012 denotano la maggiore incidenza degli oneri finanziari sul reddito industriale lordo sono, in due anni su tre: “Altre manifatture” (14,8% nel 2011, 23,8% nel 2012), “Lavorazione di minerali non metalliferi” (14,6% nel 2011, 19,8% nel 2012) e “Alimentari e bevande” (12,6% nel 2011, 16,3% nel 2012). I primi due settori figuravano tra i più indebitati anche nell’indagine precedente, con “Lavorazione di metalli non metalliferi” che però precedeva “Altre manifatture” a fine 2009. Rispetto ai ricavi, invece, la graduatoria è esattamente identica a quella dell’indagine precedente: il settore più indebitato è “Lavorazione di metalli non metalliferi” (1,2% nel 2012, 1,7% nel 2009), seguito da “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” (0,84 nel 2011, 0,95% nel 2012) e “Metallurgia e prodotti in metallo” (0,74% nel 2011, 0,87% nel 2012).

Va sottolineato che le mediane dei due indicatori risultano sempre inferiori alla rispettive medie (ponderate) calcolate utilizzando i dati aggregati, con la sola eccezione di “Metallurgia e prodotti in metallo”: in altri termini, le imprese di maggiori dimensioni, in ciascun settore, denotano una superiore incidenza degli oneri finanziari rispetto alle aziende più piccole.

La Tabella 1.25 dà infine conto di un incremento generalizzato della quota di imprese caratterizzate da un elevato rischio finanziario (quota di imprese con rapporto “Debiti finanziari/Ebitda” maggiore di 5 o negativo ovvero con Ebitda negativo): le variazioni più evidenti si registrano in “Lavorazione di minerali non metalliferi” (+59%), “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione” (+46%) e “Metallurgia e prodotti in metallo” (+43%). Delle due quote la dominante è generalmente e largamente quella delle imprese con rapporto superiore a 5. A fine 2012 circa un’impresa su due in “Altre manifatture”, “Lavorazione di minerali non metalliferi” e “Alimentari e bevande” è caratterizzata da un rischio finanziario elevato, una su tre circa nei rimanenti settori.

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Appendice 1 – Descrizione del campione Il campione principale dell’indagine è costituito da 525 delle 683 imprese

di piccole, medie e grandi dimensioni con sede legale nella provincia di Reggio Emilia utilizzato nella precedente indagine, realizzata nel 2011 e relativa al triennio 2007-2009. Il campione originario era stato formato a partire dall’elenco delle imprese registrate presso la Camera del Commercio, dell’Industria e dell’Artigianato, costituite come società per azioni o società a responsabilità limitata, che risultavano attive9 all’inizio del mese di febbraio del 2011 e la cui attività economica rientra nella sezione “C. Attività manifatturiere” dello schema di classificazione ATECO 2007 di ISTAT. Da questo elenco nel 2011 erano state selezionate le imprese che, in ciascun esercizio tra il 2007 e il 2009, avevano riportato a bilancio ricavi delle vendite almeno pari a € 750 mila e il cui numero medio di dipendenti, calcolato sullo stesso periodo, non era inferiore a dieci unità.

A settembre 2013 di tali 683 imprese 27 erano scomparse perché inattive o in fallimento mentre per 131 non si disponeva del bilancio per l’intero triennio 2010-12. Quarantacinque di tali imprese (pari all’8,6%) a seguito della riduzione dell’occupazione avvenuta tra il 2007 e il 2009, nel triennio 2010-2012 ricadono oggi nella classe delle Micro: tale tipologia di imprese non era considerata nell’indagine del 2011, il cui campione era costituito solo da PMI e grandi imprese.

I dati anagrafici e di bilancio delle imprese utilizzati nelle analisi sono stati ricavati dalla banca dati AIDA di Bureau van Dijk.

Tabella I – Distribuzione del campione per dimensione.

Classe dimensionale Numero di dipendenti Numero di casi Percentuale Micro Meno di 10 45 8,6 Piccole Da 10 a 49 358 68,2 Medie Da 50 a 250 102 19,4 Grandi Oltre 250 20 3,8 Totale 525 100,0 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA

La composizione del campione per classe dimensionale è riportata nella Tabella I. La dimensione dell’impresa è definita in base al numero medio di dipendenti nel triennio 2010-2012. Sono “Micro” le imprese per cui la media è inferiore a 10 dipendenti, sono “Piccole” le imprese per cui la media è compresa tra 10 e 49 dipendenti, sono “Medie” quelle per cui il valore è compreso tra 50 e 249 dipendenti, sono “Grandi” quelle con una media uguale o superiore a 250

9 Oltre alle imprese inattive o cessate, sono stati esclusi i casi soggetti a una qualsiasi procedura di insolvenza oppure in corso di liquidazione.

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dipendenti10. Circa il 9% delle imprese del campione sono Micro, poco meno del 70% sono Piccole, un quinto Medie e poco meno del 4% sono Grandi.

La Tabella II mostra la suddivisione del campione per tipologia di attività economica prevalente. I settori di attività, otto in totale, sono stati definiti riaccorpando i ventidue gruppi fra cui è ripartita la divisione “Attività manifatturiere” della classificazione ATECO 2007, così come illustrato nella Tabella III. In origine il riaccorpamento era stato compiuto al fine di ridurre il numero di categorie utilizzate per descrivere l’attività delle imprese, in modo che ciascuna di esse avesse numerosità sufficiente a garantire significatività alle analisi statistiche, cercando al contempo di mettere in risalto gli ambiti produttivi caratteristici della manifattura in provincia di Reggio Emilia: tale approccio è stato mantenuto nella nuova edizione dell’indagine anche se il suo significato dal punto di vista statistico è venuto parzialmente meno.

Tabella II – Distribuzione del campione per attività economica. Settore di attività Numero di casi Percentuale Alimentari e bevande 32 6,1 Tessile e abbigliamento 19 3,6 Chimica, gomma e materie plastiche 44 8,4 Lavorazione di minerali non metalliferi 47 9,0 Metallurgia e prodotti in metallo 145 27,6 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione 44 8,4 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli 134 25,5 Altre manifatture 60 11,4 Totale 525 100,0 Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

La prevalenza delle imprese del campione opera nell’ambito metalmeccanico: il 26% appartiene al settore “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e una quota di poco superiore, il 28% circa, a quello della “Metallurgia e prodotti in metallo”. Il 9% delle imprese appartiene al settore ceramico (sostanzialmente coincidente con “Lavorazione di minerali non metalliferi”) e circa l’8% a quello chimico e della gomma-plastica. Il 30% del campione è distribuito sui restanti quattro settori, di cui “Altre manifatture” ha carattere residuale e comprende l’11% di imprese non altrimenti collocate.

10 Per “dipendenti” si intendono i dirigenti, gli operai, gli impiegati e gli apprendisti che hanno un rapporto di lavoro subordinato con la società. Si noti che la classificazione adottata differisce da quella Eurostat, in base a cui la dimensione è determinata rispetto al numero di addetti, cioè contando sia i dipendenti sia coloro che ricoprono ruoli imprenditoriali in azienda. Viceversa, le soglie numeriche che individuano le classi sono omogenee a quelle Eurostat.

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Tabella III – Raccordo tra settori di attività economica e gruppi di ATECO 2007. Settore di attività economica Gruppi di ATECO 2007 Alimentari e bevande 10. Industrie alimentari

11. Industria delle bevande

Tessile e abbigliamento 13. Industrie tessili

14. Confezione di articoli di abbigliamento; confezione di articoli in pelle e pelliccia

15. Fabbricazione di articoli in pelle e simili Chimica, gomma e materie plastiche 20. Fabbricazione di prodotti chimici

21. Fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici

22. Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche

Lavorazione di minerali non metalliferi

23. Fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi

Metallurgia e prodotti in metallo 24. Metallurgia

25. Fabbricazione di prodotti in metallo (esclusi macchinari e attrezzature)

Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione

26. Fabbricazione di computer e prodotti di elettronica e ottica; apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi

27. Fabbricazione di apparecchiature elettriche ed apparecchiature per uso domestico non elettriche

Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli

28. Fabbricazione di macchinari ed apparecchiature

29. Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi

30. Fabbricazione di altri mezzi di trasporto Altre manifatture 16. Industria del legno e dei prodotti del legno e

sughero (esclusi mobili); fabbricazione di articoli in paglia e materiali da intreccio

17. Fabbricazione di carta e prodotti di carta

18. Stampa e riproduzione di supporti registrati

31. Fabbricazione di mobili

32. Altre industrie manifatturiere

33. Riparazione, manutenzione e installazione di macchine ed apparecchiature

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2. Le risposte al questionario Questa sezione è dedicata alle risposte raccolte tramite un questionario,

specificamente predisposto, somministrato nel maggio 2013 a un campione di 219 imprese manifatturiere reggiane aderenti a Unindustria Reggio Emilia, ottenuto a partire dalle 260 imprese destinatarie del questionario della precedente indagine (maggio 2011)11. Il nuovo questionario è composto da un numero minore di domande, la quasi totalità delle quali a risposta chiusa. La maggiore facilità di compilazione ha permesso di accrescere il numero di rispondenti, salito da 101 a 135 imprese, così come il tasso di risposta, salito dal 38,8% al 61,6%. Le imprese rispondenti, a cui va il nostro più sentito ringraziamento, formano il campione effettivo su cui è stata condotta l’analisi delle risposte12. La copertura del campione effettivo rispetto alla popolazione esaminata nel capitolo precedente è del 25,7% (135 su 525), con sensibili disomogeneità tra settori di attività economica e tra classi dimensionali che non permettono di considerarlo statisticamente rappresentativo della realtà provinciale.

Il nuovo campione di rispondenti ha anche una stratificazione dimensionale, settoriale, produttiva e proprietaria diversa da quella del campione di rispondenti della precedente rilevazione: da un lato, maggior peso delle imprese Medie (32,6% contro 20,2%) e Grandi (9,6% contro 3,8%), così come del settore ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli (33,3% contro 26,8%) e delle imprese produttrici di beni intermedi (48,9% contro 40,4%); dall’altro, minor peso del settore ‘Metallurgia e prodotti in metallo’ (19,3% contro 25,3%), delle imprese produttrici di beni di consumo (30,4% contro 40,4%) e della proprietà familiare (55,6% contro 64,4%). L’attuale gruppo di rispondenti e il precedente hanno in comune appena 62 imprese. Ciò induce a non effettuare sistematici confronti fra le due rilevazioni, segnalando solo differenze o similitudini di particolare interesse.

Il questionario indaga principalmente la dimensione finanziaria della gestione d’impresa: la rilevanza delle problematiche finanziarie, l’accesso a garanzie consortili, i rapporti con le banche incluso il razionamento del credito e la ristrutturazione del debito. Tuttavia, sono state inserite anche alcune domande sugli aspetti produttivi, strategici e di governance, per cogliere eventuali connessioni con la situazione economico-finanziaria, nonché sulle previsioni relative ai bilanci 2013 e 2014.

11 Sono state rimosse le imprese non più attive o associate. 12 Si precisa che le 135 imprese partecipanti non hanno sempre risposto a tutte le domande formulate, inoltre, per l’anno 2012 sono disponibili i bilanci di 108 delle 135 imprese rispondenti.

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Sintesi

Sezione A. Informazioni generali sull’impresa Il campione di rispondenti è composto al 90% da imprese di piccola e

media dimensione: la metà delle imprese non ha più di 39 dipendenti (media 2010-11). Oltre la metà delle imprese ha proprietà familiare (55%) e appartiene al settore metalmeccanico (53%). Le imprese di altri settori hanno pesi che variano dal 5% del tessile al 12% della gomma-plastica. Circa metà delle imprese produce beni intermedi, il 30% beni di consumo e il 21% beni di investimento; si osserva una relazione diretta fra la classe dimensionale e la quota di imprese produttrici di beni intermedi (dal 61,5% delle Grandi, al 52,3% delle Medie, al 44,9% delle Piccole), mentre per beni d’investimento e beni di consumo la relazione è inversa (nei beni d’investimento si passa dal 15,4% delle Grandi, al 20,5% delle Medie, al 21,8% delle Piccole; nei beni di consumo dal 23,1% delle Grandi, al 27,3% delle Medie, al 33,3% delle Piccole). La metà delle imprese dichiara di avere rapporti di filiera, in prevalenza come fornitore. Il 30% dei rispondenti è parte di un gruppo, per metà come controllata e per metà come controllante; tra queste ultime solo il 14% è di nazionalità estera (molto meno della precedente rilevazione). La quota di imprese appartenenti a gruppi è minima fra le Piccole (solo il 14%) e massima fra le Grandi (ben il 77%).

Il triennio 2010-2012 vede una crescita degli indicatori reddituali nel 2011 e una caduta degli stessi nel 2012. Il recupero di redditività del biennio 2010-11 non ha comunque riportato né la redditività dei mezzi propri, né il margine sulle vendite ai livelli del 2007. Per contro, la contrazione della redditività dovuta alla recessione del 2012 è risultata inferiore a quella prodotta dalla crisi del 2009. In questo contesto, le imprese meno performanti appaiono quelle autonome, di piccola o media dimensione, produttrici di beni di consumo (più nel 2011 che nel 2012) e nella posizione di base (solo fornitore) della filiera produttiva. A titolo di memoria, si ricorda che nella precedente rilevazione, le più penalizzate dalla recessione del 2009 erano risultate le imprese produttrici di beni intermedi, appartenenti a gruppi e con ruoli di fornitore e committente nelle filiere produttive.

In generale, si osserva una buona tenuta dei livelli patrimoniali, un andamento a “U” rovesciata della dipendenza dai finanziamenti di terzi e una moderata crescita del peso degli oneri finanziari. Le imprese più patrimonializzate sono quelle appartenenti a gruppi, di grande dimensione, produttrici di beni intermedi e nelle posizioni di vertice delle filiere. Le imprese di gruppo, grandi, produttrici di bene intermedi presentano anche la maggiore incidenza dei debiti finanziari, così come le imprese nelle posizioni intermedie e di base delle filiere. La riduzione dei debiti finanziari nel 2012 è particolarmente visibile fra le imprese piccole e medie, autonome, produttrici di beni intermedi e di consumo.

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Gli effetti del ciclo economico sono evidenti anche nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali, che ha interessato ben il 36,3% delle imprese rispondenti nel 2009, l’anno peggiore della crisi13. Il biennio 2010-11 vede una riduzione del fenomeno sia per la ripresa dell’attività economica, sia, probabilmente, per l’esaurimento dei periodi per cui è stato possibile fruire degli ammortizzatori. Nel 2012, col ritorno di una pesante fase recessiva, il ricorso agli ammortizzatori sociali riacquista un livello prossimo a quello del 2009. Nel 2013 la percentuale manifesta invece un lieve miglioramento, rimanendo comunque su valori elevati a testimoniare la prosecuzione della congiuntura negativa. Per le imprese Grandi, il fenomeno ha una frequenza superiore alla media nel biennio 2009-10 e inferiore nei restanti anni, con un andamento in controtendenza nel 2013. La lettura di questi dati indica, come già emerso nella precedente rilevazione, che la flessibilità nella gestione della forza lavoro è maggiore tra le imprese Grandi piuttosto che tra le PMI.

Le imprese del campione forniscono un interessante spaccato della realtà in tema di assetti proprietari e di governance. Sul primo fronte, si rileva un’incidenza della proprietà familiare in linea con la media nazionale. Sul secondo, all’interno del campione, le imprese a controllo familiare hanno leader aziendali di età equivalente a quella delle altre imprese, ma con un gender gap meno accentuato; la presenza di leader esterni al gruppo familiare è inoltre trascurabile e molto inferiore a quella di leader esterni al gruppo di controllo nelle altre imprese. La proprietà familiare continua dunque a caratterizzarsi per una elevata chiusura al top management esterno.

Per quanto riguarda le modalità che regolano la successione, il modello di pianificazione del passaggio generazionale più utilizzato è ancora quello della cooptazione delle nuove generazioni; differentemente dalla precedente rilevazione, l’inserimento graduale prevale su quello diretto. Praticamente nulla risulta la possibilità di affidare a manager esterni la guida dell’azienda. Si conferma quindi la vocazione delle imprese familiari ad avere coincidenza tra proprietà e management anche nella pianificazione del passaggio generazionale, in controtendenza rispetto all’esperienza nazionale.

Sul piano strutturale, le imprese familiari del campione si differenziano dalle altre soprattutto per una dimensione inferiore e una diversa ripartizione settoriale, con una maggiore presenza relativa nella “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e nella “Chimica, gomma e materie plastiche” e una minore incidenza nei comparti delle “Altre manifatture” degli “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”. Leggeri differenze a favore delle imprese familiari riguardano la quota di export e l’introduzione di innovazioni.

13 E’ utile rimarcare che nella rilevazione precedente, il ricorso agli ammortizzatori sociali in quello stesso anno era dichiarato da più della metà dei rispondenti; esiste dunque la possibilità che il nuovo campione di rispondenti sia interessato dal survivorship bias.

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Sul piano della performance economico-finanziaria, le imprese familiari appaiono maggiormente dotate di mezzi propri, meno indebitate verso terzi, ma con redditività e margini inferiori soprattutto nel biennio 2011-12.

Sezione B. Strategie di crescita, internazionalizzazione ed export Le imprese che non avevano adottato prima della crisi importanti scelte

strategiche quali l’ampliamento della gamma di prodotto, il rafforzamento del marchio o della presenza su mercati esteri, mostrano segnali di miglioramento a partire dal 2011. Ciò può indicare una capacità di reazione da parte delle imprese che erano state colte meno preparate dalla prima manifestazione della crisi nel biennio 2008-09, ma anche la necessità di rivisitare continuamente la propria strategie per mantenerne l’efficacia.

Un tratto dominante degli effetti del perdurare della crisi riguarda il ripensamento delle strategie e dei percorsi di crescita delle imprese rispondenti. Con intensità più o meno marcata emerge, dalla prima alla seconda fase della crisi, una maggiore consapevolezza dei limiti delle strategie volte unicamente al presidio del mercato nazionale attraverso la crescita interna (che tuttavia, rimane la strategia più diffusa). Emergono anche segnali di una maggiore consapevolezza dei limiti e dei vincoli posti dalla ridotta dimensione aziendale, da superare non tanto tramite forme di crescita esterna tradizionali (M&A, consorzi, ATI) quanto mediante i più recenti contratti di rete (interesse a cui probabilmente non è estraneo l’impegno divulgativo e formativo promosso dall’Associazione). Questo fenomeno emergente è ancora più rilevante per le imprese familiari, mentre non tocca, come ovvio, le imprese di grande dimensione che paiono le più decise nel perseguire con crescente determinazione strategie di internazionalizzazione produttiva e/o commerciale.

A differenza della precedente rilevazione, la presenza di un manager esterno alla famiglia proprietaria o agli azionisti di controllo non pare avere inciso molto nell’indirizzare la strategia verso l’internazionalizzazione: al contrario sono proprio le imprese con “capo azienda” interno ad avere optato maggiormente per l’espansione all’estero piuttosto che quella in ambito nazionale. L’influenza dei manager esterni riguarda invece una certa preferenza verso forme di crescita esterne. Con tutta la prudenza del caso, si potrebbe dunque ipotizzare che i manager esterni siano più rapidi nello sperimentare nuovi indirizzi strategici.

L’abbandono delle strategie di crescita per linee interne e sul mercato nazionale ha riguardato le imprese produttrici di beni di investimento e di beni intermedi. Quelle produttrici di beni di consumo hanno invece mantenuto la centralità strategica della presenza sul mercato interno.

Alla crescente importanza strategica del processo di internazionalizzazione si associa un peso delle esportazioni effettivamente in aumento per tutte le categorie di imprese. In ciascun anno del triennio 2011-13 le imprese familiari presentano un’incidenza delle esportazioni superiore a quella delle altre imprese.

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La quota di export e la sua dinamica sono direttamente correlate alla dimensione aziendale.

Le imprese produttrici di beni di investimento si dimostrano le più export oriented, seguite da quelle produttrici di beni intermedi e da quelle produttrici di beni di consumo. Il comparto dei beni d’investimento realizza anche l’incremento più consistente. Livelli e dinamiche della quota di export sono in piena sintonia con il ruolo della strategia di internazionalizzazione e le sua evoluzione nel tempo dei tre comparti.

Le quote di export più elevate sono associate alle imprese che prima della crisi hanno puntato su strategie di internazionalizzazione produttiva, seguite da quelle che hanno investito sul marchio o che hanno rinnovato la gamma di prodotti. Molto più distanziate troviamo le imprese che hanno perseguito altri indirizzi strategici. Le imprese che prima del 2008 non hanno assunto rilevanti decisione strategiche, quali appunto l’internazionalizzazione o gli investimenti sul marchio o sulla gamma produttiva, presentano tuttavia nel corso dell’ultimo triennio il miglioramento più consistente della quota di fatturato realizzata sui mercati esteri, lasciando intravedere una capacità di reazione, seppure ritardata, .

Si riscontra un’associazione fra innovazione (specialmente di prodotto e di marketing) e quota di export.

L’analisi dei dati economico-finanziari 2011 e 2012 evidenzia una correlazione positiva e statisticamente significativa della quota export sia con il margine sulle vendite che con il rendimento dei mezzi propri in entrambi gli anni.

Sezione C. Innovazione La crisi economica continua a incoraggiare l’introduzione di innovazione

nelle sue diverse forme. Per il presente e il futuro (biennio 2013-14) si osserva, in continuità con la precedente rilevazione, una crescita delle tipologie di innovazione meno utilizzate in passato. Si avverte un maggiore interesse per investimenti meno legati agli aspetti strettamente produttivi e più orientati alla comunicazione interna (innovazione organizzativa e gestionale) e esterna (innovazione di marketing): efficienza sul piano operativo ed efficacia nel rapporto col mercato. Un’evoluzione a cui può non essere estranea la crescente importanza della componente “servizio” anche in ambito manifatturiero.

In prospettiva futura, l’incremento dell’innovazione organizzativa appare un trend generalizzato, anche se più intenso nelle Medie e Grandi imprese, mentre quello dell’innovazione di marketing riguarda soprattutto le Piccole imprese. Nelle Grandi si osserva inoltre un andamento in controtendenza dell’innovazione di processo, che diventa la tipologia di innovazione più frequente in questa classe dimensionale.

In conformità alle attese, l’innovazione di marketing è più presente nel comparto dei beni di consumo, mentre raggiunge il livello minimo nel comparto

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dei beni intermedi. I beni di consumo si distinguono anche per maggiore innovazione organizzativa e maggiore quota di imprese che dichiara di non avere introdotto alcun tipo di innovazione. Nel biennio 2011-12, l’attenzione all’innovazione di prodotto è particolarmente accentuata fra le imprese produttrici di beni d’investimento, mentre quella verso l’innovazione di processo primeggia fra le imprese produttrici di beni intermedi. Per il 2013-14 l’incremento dell’innovazione di marketing interessa tutti i comparti, in particolare quello dei beni intermedi, mentre l’incremento dell’innovazione organizzativa e gestionale si osserva nei beni intermedi e di investimento ma non nei beni di consumo. Al trend riflessivo dell’innovazione di processo si sottraggono invece i beni d’investimento. Tutte queste variazioni hanno l’effetto di avvicinare i tre comparti nella distribuzione delle tipologie di innovazione.

La difficoltà nel reperire personale qualificato continua ad essere il principale ostacolo ai processi d’innovazione. Seguono in ordine d’importanza: le difficoltà di riorganizzazione aziendale, le difficoltà nel reperire i finanziamenti, una dimensione aziendale insufficiente, le difficoltà di relazionarsi con centri di ricerca e università. La rilevanza dei diversi ostacoli varia in base alla tipologia di innovazione che si vuole introdurre, alle dimensioni aziendali e alla destinazione della produzione. Nel complesso, queste evidenze indicano la necessità di approfondire il rapporto fra imprese e istituzioni formative (università e istruzione tecnica) in merito alle professionalità richieste dal mondo del lavoro. I dati inducono a ritenere sicuramente centrale l’intervento sulle competenze tecnico-produttive. Tuttavia, il ruolo dei problemi connessi alla riorganizzazione aziendale, da un lato, e il fatto che la rilevanza delle difficoltà nel reperimento di personale adeguatamente qualificato e nei rapporti con i centri di ricerca e le università sia particolarmente alta nelle innovazioni di marketing, dall’altro, testimoniano che l’esigenza di un maggiore coordinamento deve interessare anche competenze più strettamente aziendalistiche.

Sezione D. Previsioni sui Bilanci 2013 e 2014 Il 2013 vede una leggera prevalenza delle aziende che prevedono una

diminuzione del fatturato rispetto a quelle che si attendono invece un aumento. Nettamente migliori sono invece la aspettative sulle esportazioni. Se ne desume, per conseguenza, un andamento decisamente negativo del fatturato nazionale. Sostanzialmente equivalente la quota di imprese pessimiste e ottimiste sulla dinamica degli utili, sia operativi, sia netti. Per la struttura finanziaria emergono attese di una certa riduzione dei debiti, più pronunciata per quelli finanziari a breve termine. Evidente la tendenza al rafforzamento patrimoniale. Tenuto conto che nel 2013 è prevista una caduta del PIL inferiore a quella del 2012, ma ancora significativa (-1,8% secondo l’ufficio studi Confindustria e -1,7% secondo il Governo nella nota di aggiornamento del Def), il quadro che emerge dal campione è meno negativo di quanto ci si sarebbe potuti attendere.

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Decisamente positive le attese per il 2014 in tutte le variabili considerate. Nel conto economico, le imprese che prevedono un aumento di fatturato, esportazioni e utili prevalgono ampiamente su quelle che prevedono una riduzione. Nelle fonti di finanziamento, si accentua la tendenziale riduzione dei debiti finanziari, sia a breve che a medio-lungo termine, così come l’incremento dei mezzi patrimoniali. I debiti verso fornitori sono viceversa piuttosto stazionari.

Le previsioni delle imprese familiari non si discostano molto da quelle dell’intero campione. Qualche differenza invece fra le classi dimensionali: per il 2013 previsioni su fatturato e reddito neutre dalle Piccole e negative dalle Medie e soprattutto Grandi imprese (fatta eccezione per le esportazioni); previsioni sulla struttura finanziaria positive, specie dalle Grandi imprese; per il 2014 aspettative di aumento di fatturato e utili decisamente superiori a quelle di riduzione, con saldi più ampi nella classe delle Medie ad eccezione delle esportazioni per le quali il gap più elevato si riscontra nella classe delle Grandi, patrimonializzazione in generale aumento, con intensità crescente al crescere della classe dimensionale.

In base alla destinazione della produzione, le imprese che prevedono nell’anno in corso la diminuzione del fatturato sono prevalenti nel comparto dei beni di consumo, a causa però delle vendite sul mercato nazionale visto che per le esportazioni questo comparto è quello con le previsioni più favorevoli. Riguardo gli utili, al cauto ottimismo dei produttori di beni intermedi si affianca il tendenziale pessimismo degli altri comparti, più accentuato nei beni d’investimento. In termini di struttura finanziaria, le maggiori tensioni sono previste nel comparto dei beni d’investimento per aspettative di incremento dei debiti finanziari, in controtendenza rispetto agli altri comparti, e per attese di incremento del patrimonio inferiori a quelle degli altri comparti.

Per il prossimo anno, pur in un ritrovato generale ottimismo, i beni di consumo continuano ad avere previsioni di fatturato meno favorevoli di quelle dei beni d’investimento e intermedi, ancora una volta a causa del mercato nazionale. Identiche considerazioni possono essere fatte per le previsioni di crescita degli utili, con i beni di consumo in ultima posizione e i beni di investimento in prima. Continua anche la crescita generalizzata dei mezzi propri con la differenza che le previsioni meno ottimistiche passano dal comparto dei beni di investimento a quello dei beni di consumo, d’altronde le imprese produttrici di beni di consumo denotano anche il minor ottimismo sulla dinamica degli utili.

Dal punto di vista settoriale, emergono attese notevolmente differenziate. Un 2013 positivo per il conto economico è previsto da ‘Alimentari e bevande’, ‘Chimica, gomma e materie plastiche’, ‘Lavorazione di minerali non metalliferi’, ‘Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione’. Previsioni negative invece per ‘Tessile e abbigliamento’, ‘Metallurgia e prodotti in metallo’, ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’ e neutre per ‘Altre manifatture’. Le esportazioni sono l’unica variabile con aspettative di aumento per tutti i settori, in particolare per ‘Lavorazione di minerali non metalliferi’ e ‘Alimentari e bevande’.

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Tendenzialmente i settori più ottimisti sul fronte dei flussi sono anche quelli che prevedono una riduzione dei debiti finanziari e i maggiori incrementi patrimoniali.

Nel 2014 continua la sofferenza economica del settore ‘Tessile e abbigliamento’, con previsioni ancora negative per fatturato nazionale e utili, e la neutralità del settore ‘Altre manifatture’, con ottimisti e pessimisti in sostanziale equilibrio. Fra gli ottimisti i settori ‘Alimentari e bevande’ e ‘Metallurgia e prodotti in metallo’ appaiono i più prudenti. ‘Altre manifatture’ a parte, per il prossimo anno tutti i settori vedono prevalere le imprese che prevedono di ridurre i loro debiti finanziari a MLT, spesso anche quelli a breve. Sul fronte patrimoniale i settori meno ottimisti sono ‘Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione’, ‘Metallurgia e prodotti in metallo’ e ‘Altre manifatture’.

Sezione E. Finanza e Credito I risultati del questionario delineano una situazione caratterizzata da due

elementi di fondo. Da un lato, confermando quanto emerso nella passata rilevazione, le imprese rispondenti attribuiscono alle problematiche finanziarie scarsa rilevanza per il successo aziendale, salvo quando condizioni di debolezza reddituale e patrimoniale non rendano l’accesso al credito più difficile e costoso. Dall’altro, maggiori criticità nell’ottenere dalle banche i finanziamenti desiderati: il razionamento del credito ha interessato nel 2012 un’azienda su quattro del campione, risultando in crescita, sia rispetto agli anni precedenti la crisi finanziaria, quando solo il 12,6% delle imprese della provincia avrebbe desiderato più credito, sia al triennio 2008-10, quando il fenomeno riguardava un’impresa su cinque; questa tendenza si accentua leggermente nel 2013, con l’eccezione delle imprese Grandi. Il razionamento sopportato dalle imprese rispondenti resta comunque inferiore al dato nazionale del settore industria pari al 37,6% nel 2012.

Più in dettaglio, le risposte del questionario, anche incrociate con i dati di bilancio, offrono le seguenti evidenze.

L’incidenza delle problematiche finanziarie appare solo lievemente superiore a quella della precedente rilevazione: il 13,5% dell’intero campione ritiene ‘molto’ e il 28,6% ‘abbastanza’ rilevanti tali aspetti, contro valori rispettivamente del 12,4% e del 27,8% nel maggio 2011. Questa sensibilità dipende più dal fattore dimensionale che da quello proprietario. Sommando i giudizi ‘molto’ e ‘abbastanza’ emerge infatti una chiara relazione inversa fra la rilevanza attribuita alle problematiche finanziari e la classe dimensionale, con le Piccole al 45,5%, le Medie al 39,5% e le Grandi al 30,8%.

Le imprese che ritengono ‘per nulla’ rilevanti le problematiche finanziarie sono nettamente più redditizie e solide rispetto a quelle che invece giudicano tali problematiche ‘molto’ rilevanti. Ciò caratterizza anche le imprese per le quali le problematiche finanziarie sono ‘poco’ importanti rispetto a quelle che invece le considerano ‘abbastanza’ importanti, ma in misura meno netta e più negli

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indicatori reddituali che negli indicatori di equilibrio finanziario. Sufficientemente marcate sono infine le differenze nei dati di bilancio fra le categorie ‘abbastanza’ e ‘molto’. Il grado di importanza attribuita alle problematiche finanziarie appare dunque una proxy della salute economico-finanziaria dell’impresa. D’altra parte, ciò evidenzia come la sensibilità verso gli aspetti finanziari della gestione aziendale emerga non come elemento fisiologico ma in presenza di criticità. Va comunque rilevato come le differenze nella performance economico-finanziaria fra le quattro categorie di rispondenti si siano ridotte nel corso del triennio, con l’eccezione del peso dell’indebitamento finanziario e dei connessi oneri per le imprese che manifestano la maggiore sensibilità alle problematiche finanziarie, come se tali problematiche si esaurissero nella disponibilità e nel costo del credito.

Solo il 18% dei rispondenti valuta insufficiente il livello del proprio patrimonio. Nel complesso, le imprese manifestano si dimostrano capaci di leggere e autovalutare il proprio livello di solidità patrimoniale, forse aiutate in tal senso dalle banche affidanti. Nel 2010 e nel 2011 le imprese che dichiarano una capitalizzazione insufficiente presentano margini sulle vendite e redditività dei mezzi propri decisamente inferiori alle altre; questo gap viene tuttavia recuperato nel 2012.

Oltre il 40% delle imprese del campione ha usufruito di garanzie collettive dal 2008 a oggi, con il valore minimo fra le Grandi (30,8%) e massimo fra le Medie (62,5%). Queste ultime presentano anche il valore più elevato per quanto riguarda la quota di imprese che ha aumentato il ricorso alle garanzie collettive durante questi anni di crisi: ben il 60% contro una media del 40%. La frequenza sia del ricorso alle garanzie collettive, sia dell’incremento del loro peso durante gli anni della crisi è maggiore tra le imprese che si ritengono poco patrimonializzate e che giudicano importanti gli aspetti finanziari per le sorti aziendali. L’esatto contrario di quanto riscontrato nella rilevazione del 2011. Le imprese che hanno ottenuto garanzie collettive presentano una minore redditività, un peggiore margine sulle vendite, un minore livello di patrimonializzazione, una maggiore incidenza dei debiti finanziari e degli oneri finanziari, rispetto alle imprese che invece non ne hanno usufruito.

Si riduce il numero di rapporti bancari ma perde peso anche la quota di affidamenti della banca principale. La pratica del multiaffidamento appare dunque in contrazione ma, forse per le condizioni del mercato creditizio, non si rafforza il modello house bank. Le imprese che hanno come referente principale una banca con sede nel territorio tendono a ottenere da questa una quota media di affidamenti tendenzialmente maggiore. La relazione con la banca principale si conferma piuttosto stabile nel tempo, ma si rilevano comportamenti molto eterogenei. Negli ultimi 3 anni (2010-2012) solo il 13,1% delle imprese rispondenti risulta avere cambiato la banca di riferimento, contro il 21,3% del triennio precedente (2007-2009), con un ritorno a livelli simili a quelli ante crisi (11,8%). Alcuni indizi portano a ritenere che nella recente fase recessiva, la

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sostituzione della banca principale non sia motivata tanto dalla ricerca di migliori condizioni di finanziamento da parte di imprese solide, quanto dalla necessità di sottrarsi a situazioni di razionamento del credito.

In questa seconda fase recessiva è aumentata la quota di imprese che dichiara ‘difficile’ o quasi impossibile’ la ricerca di un altro istituto nel caso in cui fosse richiesto il rientro delle posizioni debitorie in essere, raggiungendo rispettivamente il 23,7% (era il 19,3%) e l’8,9% (era l’1,4%). A corredo di questo risultato si segnala che nel 2012 e nella prima parte del 2013 solo dieci delle imprese rispondenti, pari al 7,6% del campione, hanno ricevuto una richiesta di rimborso anticipato. Secondo un’indagine nazionale il 10,3% delle imprese industriali avrebbe ricevuto dai propri finanziatori richieste di rimborso anticipato del debito nel 2012, in crescita rispetto al 7,9% del 2011. Le imprese che ritengono ‘facile’ sostituire la banca di riferimento sono quelle caratterizzate da una migliore redditività, un miglior margine sulle vendite, una più elevata capitalizzazione, oltre che da più contenuti indici relativi all’incidenza dei debiti finanziari sul totale attivo e degli oneri finanziari sul fatturato.

Sul razionamento, l’appartenenza settoriale pare incidere più della variabile dimensionale. Per entrambi gli anni considerati, il settore in maggiore sofferenza è senza dubbio quello della ‘Lavorazione di minerali non metalliferi’ con quattro aziende razionate su dieci. Le imprese oggetto di razionamento nel biennio 2012-13 mostrano quozienti di bilancio peggiori rispetto alle imprese non oggetto di restrizioni creditizie già negli anni precedenti. Il razionamento è principalmente il risultato del rifiuto della banca a concedere ulteriore credito. Sono comunque frequenti anche i casi nei quali è il rifiuto dell’impresa a concedere un aumento delle garanzie o accettare tassi d’interesse giudicati eccessivi che preclude l’accesso a nuovo credito. La percentuale delle imprese che hanno proceduto alla ristrutturazione del debito bancario dopo il 2007 è limitata a meno del 15%.

Cluster analysis Grazie all’utilizzo congiunto di alcuni quozienti di bilancio e di alcune

risposte del questionario le imprese rispondenti sono state raggruppate in cinque cluster che si differenziano per risultati e profilo strutturale. Due gruppi riguardano imprese fortemente export oriented e altri due quelle con fatturato quasi esclusivamente domestico. Le imprese con fatturato equamente diviso fra mercato interno e mercato estero ricadono in un unico gruppo.

Il primo elemento che emerge dall’osservazione dei cinque gruppi è che i cluster meno performanti sul piano reddituale sono i due a focalizzazione domestica, peraltro i più consistenti per numero di imprese. Uno dei due gruppi (Worst) aveva margini e redditività deboli già nel 2010, mentre l’altro li ha visti peggiorare progressivamente nel corso del triennio. Questo secondo gruppo ha mantenuto un equilibrio finanziario decisamente migliore rispetto a quello

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dell’altro e quindi appare composto da Fallen angel. Dei due cluster con forte orientamento all’export, uno presenta indici di bilancio, tanto reddituali quando patrimoniali, ai vertici del campione in tutti gli anni del triennio (Best), mentre l’altro ha una redditività decisamente inferiore e una solidità finanziaria non particolarmente brillante (Average-weak): la prima in linea con la redditività del cluster con export al 50%, la seconda in linea con la bassa patrimonializzazione e l’alto indebitamento del Worst. Il cluster delle imprese con fatturato equilibrato fra mercato interno e mercati esteri mostra indicatori reddituali in costante crescita (Average-strong), nonostante la recessione del 2012.

Il secondo elemento riguarda la scala aziendale, la maggiore dimensione media si riscontra nel gruppo Best, mentre quella minore ricorre nei gruppi Fallen angel e Worst. Abbastanza simile, su valori intermedi, la composizione dimensionale dei cluster Average-weak e Average-strong.

Il terzo elemento è l’assenza di una relazione univoca fra la destinazione della produzione o l’appartenenza a una filiera e la performance operativa. Più importante appare il posizionamento nell’ambito della filiera, in particolare quello apicale. Guardando ai settori, emerge la ridotta incidenza di ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’, nei cluster Worst (7,1%) e Fallen angel (13,6%) in contrapposizione al peso ben maggiore che tale settore riveste nei rimanenti cluster (45,5% nei Best, 68,8% negli Average-weak, 46,2% negli Average-strong). D’altra parte, i cluster Worst e, in minor misura, Fallen angel presentano la maggiore concentrazione di imprese dal settore ‘Alimentari e bevande’: 28,6% il primo e 13,6% il secondo.

Il quarto elemento riguarda gli orientamenti strategici. Si nota come i due cluster più deboli nella performance operativa si differenzino dagli altri per la maggiore incidenza di imprese che negli anni precedenti la crisi del 2008-09 non avevano effettuato importanti investimenti nella gamma di prodotto, nel marchio o nell’internazionalizzazione produttiva e/o commerciale. L’analisi cluster presenta quindi al riguardo un quadro diverso da quello del capitolo precedente, nel quale non era emersa alcuna associazione fra i risultati reddituali e l’avere intrapreso negli anni ante-crisi strategie di gamma, marchio e/o internazionalizzazione. Non si può escludere che tale difformità sia dovuta al fatto che l’analisi cluster è condotta su 90 imprese, mentre quella precedente ha riguardato 135 imprese. Passando alle politiche di innovazione nel biennio 2011-12, un elemento significativo è la maggiore attenzione all’innovazione di prodotto mostrata dai cluster più performanti.

Il quinto elemento è la notevole sintonia fra la solidità finanziaria (alta patrimonializzazione e bassa incidenza di debiti e oneri finanziari) e il rilievo attribuito alle problematiche finanziarie: la rilevanza è mediamente ridotta nei cluster Best e Fallen angel, un po’ più alta nel cluster Average-strong, sensibilmente maggiore nei cluster Average-weak e Worst. Anche l’analisi cluster

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conferma come la rilevanza delle problematiche finanziarie risulti una proxy dello stato di salute dell’equilibrio finanziario.

L’ultima considerazione tocca il fenomeno del multi-affidamento. Il numero di banche, medio e mediano, con cui le imprese intrattengono rapporti raggiunge i valori massimi nei due cluster finanziariamente più deboli e minimi nei due cluster finanziariamente più solidi. Questa relazione diretta fra criticità della condizione finanziaria e numero di rapporti bancari lascia supporre che il ricorso a un più ampio numero di banche sia, per l’impresa, un modo per contenere i rischi di razionamento del credito, e per le banche, una strategia per frazionare gli affidamenti e ridurre le perdite in caso di insolvenza del debitore. Da notare che il numero di banche non mostra una chiara relazione con la dimensione media dei vari cluster come invece era emerso nell’analisi delle singole risposte al questionario.

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2.1 Informazioni generali sulle imprese (sezione A del questionario)

2.1.1 Anagrafica Il campione di rispondenti appartenenti all’industria manifatturiera della

provincia di Reggio Emilia è composto per il 57,8% da imprese di piccole dimensioni, cioè che contano tra i 10 e i 49 dipendenti, per il 32,6% da imprese Medie (da 50 a 249 dipendenti) e per il 9,6% da imprese Grandi (con 250 dipendenti o più). Sotto il profilo dell'attività economica, più della metà delle imprese rientra nei settori ‘Metallurgia e prodotti in metallo’ (19,3%) e ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’ (33,3%). L’11,9% delle imprese si occupa di ‘Chimica, gomma e materie plastiche’ mentre la quota di imprese che operano negli ‘Alimentari e bevande’ è dell’8,9%. Seguono la ‘Lavorazione di minerali non metalliferi’ (attività riconducibile in parte al comparto ceramico) e le ‘Altre manifatture’ con il 7,4% ciascuna. Gli ‘Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione’ e il ‘Tessile e abbigliamento’ sono una frazione relativamente contenuta del totale, rispettivamente, il 6,7% e il 5,2% (Tabella 2.1).

Tabella 2.1 – Ripartizione settoriale. Frequenza risposte (%).

Intero campione Imprese familiari Alimentari e bevande 8,9 9,3 Tessile e abbigliamento 5,2 5,3 Chimica, gomma e materie plastiche 11,9 13,3 Lavorazione di minerali non metalliferi 7,4 6,7 Metallurgia e prodotti in metallo 19,3 20,0 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione 6,7 4,0 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli 33,3 37,3 Altre manifatture 7,4 4,0

Domanda A4 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Le imprese di proprietà familiare rappresentano una quota ancora maggioritaria dell’industria manifatturiera, pari al 55,6%. Esse sono quasi esclusivamente imprese di Piccola e Media dimensione (90,7%) e hanno una ripartizione settoriale diversa da quella generale: più presenti nella ‘Chimica, gomma e materie plastiche’ e nella ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’ e meno presenti negli ‘Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione’ e nelle ‘Altre manifatture’.

Rispetto al campione analizzato nel precedente capitolo, quindi, le imprese rispondenti hanno una maggiore scala aziendale, una sovra esposizione al settore ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’ e una sotto esposizione al settore ‘Metallurgia e prodotti in metallo’. Presentano anche indici di bilancio generalmente migliori in ciascuno degli anni considerati: redditività del capitale proprio e copertura patrimoniale più elevati, margini molto simili, debiti e oneri finanziari leggermente inferiori (Tabella 2.2).

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La performance per classi dimensionali vede le Grandi prevalere per ROE e ROS, fenomeno non osservato nel campione più ampio del capitolo precedente (Tabella 2.2). Le Piccole superano le Medie per redditività ma non per margine sulle vendite come nel campione più ampio. Va precisato che il sensibile calo di ROE e ROS delle Grandi nel 2012 è in larga misura un effetto dovuto alla parzialità dei dati 201214. In effetti, per le Grandi il ROE e il ROS mediani del campione chiuso aumentano dal 2011 al 2012 anziché diminuire. Gli altri indicatori hanno invece livelli e dinamiche del tutto simili nei due campioni chiuso e aperto. Le Grandi prevalgono su Medie e Piccole anche per patrimonializzazione (in misura molto più netta di quanto rilevato nel capitolo precedente), ma al tempo stesso risultano più indebitate verso creditori finanziari e gravate da maggiori oneri finanziari, come nel campione generale.

Tabella 2.2 –Alcuni indicatori di bilancio: ripartizione dimensionale. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Campione complessivo 5,06 6,95 5,45 Piccole 4,95 7,29 5,87 Medie 3,33 5,84 5,08 Grandi 8,56 8,11 4,52 ROS Campione complessivo 3,24 3,64 2,70 Piccole 2,99 3,46 2,53 Medie 3,49 3,91 2,59 Grandi 7,29 7,67 5,11 Patrimonio / Totale attivo Campione complessivo 36,4 34,0 33,8 Piccole 31,9 31,3 31,1 Medie 38,6 35,9 37,5 Grandi 42,7 42,9 43,1 Debiti finanziari verso terzi / Totale attivo Campione complessivo 16,8 18,4 16,5 Piccole 15,7 16,3 12,7 Medie 16,6 19,9 13,4 Grandi 27,5 32,5 25,7 Oneri finanziari / Fatturato Campione complessivo 0,70 0,71 0,79 Piccole 0,56 0,61 0,65 Medie 0,75 0,95 0,95 Grandi 0,78 1,02 1,12

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

La maggior parte delle imprese manifatturiere rispondenti ha natura autonoma (69,6%); le imprese che sono parte di un gruppo sono il 30,4% del totale, equamente ripartite tra imprese capogruppo, 51,2%, e imprese controllate, 48,8% (Tabella 2.3). Tra queste ultime, il controllo è in capo a una società italiana 14 Si ricorda che alla data di redazione di questo studio il bilancio 2012 risultava disponibile solo per 108 delle 135 imprese rispondenti.

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nell’85,7% delle occorrenze (era il 62,4% nella precedente rilevazione). La proporzione di imprese appartenenti a un gruppo è relativamente minore tra quelle a proprietà familiare (28%), ma tutte nella posizione di impresa capogruppo con sede in Italia.

Tabella 2.3 – Appartenenza a gruppi. Frequenza risposte (%).

Intero campione Imprese familiari Autonome 69,6 72,0 Facenti parte di un gruppo 30,4 28,0

Capogruppo 51,2 38,1 Controllata 48,8 61,9

Di cui: Controllata da capogruppo italiana 85,7 100,0 Controllata da capogruppo estera 14,3 0,0

Domande A3e A6.1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Tabella 2.4 – Appartenenza a gruppi e classe dimensionale. Frequenza di risposte (%). Autonome Facenti parte di un gruppo Totale Piccole 85,9 14,1 100,0 Medie 54,5 45,5 100,0 Grandi 23,1 76,9 100,0

Domanda A3 del questionario e banca dati AIDA. Fonte: nostre elaborazioni.

Esaminando la distribuzione dimensionale per natura dell’impresa (Tabella 2.4) si osserva che tra le imprese Piccole prevalgono ampiamente le autonome (85,9%), tra le imprese Medie prevalgono di misura le autonome (54,5%), mentre fra le imprese Grandi è maggioritaria l’appartenenza a un gruppo (76,9%).

Durante il periodo 2010-2012, la natura dell’impresa segna importanti differenze sotto il profilo dell’equilibrio statico e di quello dinamico (Tabella 2.5). Nel 2010 la redditività mediana delle imprese che appartengono a gruppi risultava leggermente maggiore di quanto fosse quella delle imprese autonome; ciò trova riscontro sia riguardo alla redditività del capitale proprio (5,37% contro 5,06%), sia riguardo alla marginalità sulle vendite (3,51% contro 3,03%).

Le imprese incluse in un gruppo apparivano più solide anche sotto il profilo della struttura del capitale, essendo più patrimonializzate di quelle autonome (38,6% contro 35,2%), ma lievemente più dipendenti dai finanziamenti di terzi (16,9% del totale attivo contro 16,6%) e con una maggiore incidenza degli oneri finanziari sul fatturato (0,99% contro 0,61%).

Nel 2011 la redditività di entrambi i gruppi di imprese migliora, ma il progresso è più ampio per le imprese appartenenti a gruppi: per esse il ROE mediano sale dal 5,37% al 9,38% mentre per le autonome dal 5,06% al 5,76%. Anche nel ROS si osserva un andamento analogo, sebbene meno pronunciato: per le imprese di gruppo si passa dal 3,51% al 4,42%, mentre per le autonome dal 3,03% al 3,36%. La più favorevole dinamica del ROE rispetto al ROS non è dovuta a differenze nell’evoluzione della leva che, al contrario, diminuisce per le

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imprese di gruppo e aumenta per quelle autonome: infatti, la patrimonializzazione delle prime sale al 40,5% e quella selle seconde scende al 31,7%. Le ragioni vanno dunque ricercate nella capacità delle imprese di gruppo di ottimizzare il tasso di rotazione delle vendite, la fiscalità e/o le componenti straordinarie. Diventa più netta la minore dipendenza dai finanziamenti di terzi delle imprese autonome (il differenziale raggiunge i quattro punti percentuali) accompagnata da una minore incidenza degli oneri finanziari.

Tabella 2.5 –Autonome vs appartenenti a gruppi: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Autonome 5,06 5,76 5,02 Facenti parte di un gruppo 5,37 9,38 7,06 ROS Autonome 3,03 3,36 2,43 Facenti parte di un gruppo 3,51 4,42 3,40 Patrimonio / Totale attivo Autonome 35,2 31,7 32,6 Facenti parte di un gruppo 38,6 40,5 42,7 Debiti finanziari verso terzi / Totale attivo Autonome 16,6 16,7 12,7 Facenti parte di un gruppo 16,9 20,7 18,8 Oneri finanziari / Fatturato Autonome 0,61 0,64 0,61 Facenti parte di un gruppo 0,99 1,00 1,02

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Nel 2012 le imprese di gruppo si mantengono più redditizie delle imprese autonome sia nel ROE che nella marginalità, pur riducendo il vantaggio in un contesto di reddito e margini in flessione. Si allargano invece le differenze nella composizione del passivo, con le imprese di gruppo che accrescono il divario di patrimonializzazione e il divario di dipendenza dai debiti finanziari: lo scarto passa da 8,8 a 10,1 punti nel primo caso e da 4 a 6,1 punti nel secondo15. Il fatto che la sensibile riduzione nell’incidenza dei debiti finanziari sperimentata sia dalle imprese di gruppo sia, soprattutto, dalle imprese autonome, non abbia prodotto un calo altrettanto marcato del peso degli oneri finanziari può indicare una crescita nel costo dei finanziamenti. A questo proposito, resta l’interrogativo se la maggiore contrazione dei debiti finanziari manifestata dalle imprese autonome sia una scelta strategica oppure la conseguenza di un diverso atteggiamento degli enti finanziatori, in primo luogo delle banche.

L’analisi del triennio 2010-12 conferma sostanzialmente la superiore sensibilità al ciclo economico delle imprese di gruppo rispetto a quelle autonome, con redditività e margini che migliorano in maggior misura negli anni di congiuntura positiva (2007, 2010 e 2011) e che invece peggiorano più 15 Il campione chiuso delle 108 imprese il cui bilancio è disponibile in tutti gli anni del triennio mostra andamenti analoghi a quelli descritti nel testo.

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marcatamente negli anni di congiuntura negativa (2008, 2009 e 2012). La crisi del 2012 non ha tuttavia portato le imprese di gruppo a sotto performare quelle autonome come era invece accaduto nel 2009.

2.1.2 Consistenza della forza di lavoro Alla fine del 2010 le imprese rispondenti avevano in media 121 dipendenti

(Tabella 2.7).16 La prevalenza di imprese Piccole (58%) nel campione spiega il valore mediano di 51 dipendenti, notevolmente inferiore alla media. Il numero medio di dipendenti tra le imprese a proprietà familiare è pari a 99, più basso del 18% rispetto all'intero campione nonostante la maggiore frequenza di imprese di dimensioni Medie e Grandi tra di esse (il 45,3% contro il 42,2% dell’intero campione); il valore mediano è invece allineato a quello dell’intero campione.

Nel 2011 si osserva una flessione sia del numero medio che del numero mediano di dipendenti. Per il sotto insieme delle imprese familiari la contrazione riguarda il dato mediano ma non quello medio che anzi aumenta a 111. La ripartizione dimensionale evidenzia una situazione sostanzialmente stazionaria nelle classi Piccole e Medie e una maggiore dinamicità nella classe delle Grandi con un calo del valore medio da 643 a 596 (-7,3%) e un aumento del valore mediano da 451 a 485 (+7,5%). Questi andamenti sono da valutare con cautela considerando che il numero di imprese per le quali è disponibile il dato sui dipendenti passa dalle 103 del 2010 alle 129 del 2011.

Tabella 2.7 – Numero dipendenti. 2010 2011 2012

Intero campione Media 121 98 93 Mediana 51 40 45

Imprese familiari Media 99 111 87 Mediana 51 44 47

Piccole Media 26 26 27 Mediana 23 23 29

Medie Media 95 98 93 Mediana 77 77 75

Grandi Media 643 596 455 Mediana 451 485 406

Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA. Osservazioni: 106 nel 2010, 132 nel 2011 e 94 nel 2012.

Nel 2012 l’aumento del valore mediano si contrappone alla riduzione del valore medio per il campione complessivo, per le imprese familiari e per quelle Piccole; entrambi i valori sono invece in calo per Medie e soprattutto Grandi.

16 Si ricorda che questo dato non riguarda le microimprese (cioè quelle con 9 dipendenti o meno) non presenti fra i rispondenti.

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Guardando alle sole imprese con bilancio disponibile in ciascun anno del triennio (campione chiuso), il 2012 presenta medie e mediane in crescita sul 2011 sia a livello complessivo, sia nelle imprese familiari, sia nelle classi Piccole e Medie. Tanto per il campione aperto, quanto per quello chiuso vale la cautela precedentemente espressa visto che il numero di imprese per le quali è presente nella banca dati il numero di dipendenti varia sensibilmente da un anno all’altro.

Gli effetti del ciclo economico sull’impiego di forza lavoro sono più evidenti se si guarda all’utilizzo degli ammortizzatori sociali in ciascun anno del settennio (Tabella 2.8). Tra il 2007 e il 2009 il ricorso alla CIG, ai contratti di solidarietà e alle altre forme di sostegno congiunturale al lavoro dipendente è cresciuto considerevolmente: all’inizio del periodo solo il 2% delle imprese faceva ricorso a tali strumenti, mentre nel 2009 il loro utilizzo ha riguardato oltre un terzo di esse (36,3% contro il 52,5% della precedente rilevazione). Durante il biennio seguente le percentuali si riducono al 25,9% nel 2010 e al 23,7% nel 2011; se, da un lato, tale diminuzione coincide con la ripresa dell’attività economica iniziata nella seconda metà del 2009, dall’altro è ragionevole supporre che una parte di essa sia dovuta semplicemente all’esaurimento dei periodi per cui è stato possibile fruire degli ammortizzatori. Il 2012 vede un nuovo picco degli ammortizzatori sociali impiegati dal 35,6% dei rispondenti, col ritorno di una pesante fase recessiva. Nel 2013 si osserva un lieve miglioramento, con la frazione di imprese facenti ricorso agli ammortizzatori sociali in diminuzione al 29,6%; un dato comunque elevato a testimoniare la prosecuzione della congiuntura negativa.

Tabella 2.8 – Ricorso alla CIG, a contratti di solidarietà o ad altre forme analoghe. Frequenza risposte (%).

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Intero campione 2,2 10,4 36,3 25,9 23,7 35,6 29,6 Imprese familiari 1,3 10,7 33,3 21,3 21,3 32,0 26,7 Grandi 0,0 0,0 46,2 30,8 15,4 15,4 23,1

Domanda A5 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Le imprese a proprietà familiare presentano, nell’arco del settennio, una frequenza di ricorsi agli ammortizzatori poco inferiore a quella media. Per le imprese Grandi, il fenomeno ha una frequenza superiore alla media nel biennio 2009-10 e inferiore nei restanti anni, con un andamento in controtendenza nel 2013. La lettura di questi dati assieme a quelli sull’occupazione di lavoro dipendente (Tabella 2.7) indica, come nella precedente rilevazione, che la flessibilità nella gestione della forza lavoro è maggiore tra le imprese Grandi piuttosto che tra le PMI; infatti, le prime paiono meglio in grado di adeguare l’impiego effettivo di lavoro alla congiuntura economica, sia sfruttando gli ammortizzatori sociali sia attraverso assunzioni e licenziamenti.17 17 Va evidenziato che dal computo dei dipendenti sono esclusi i lavoratori interinali e quelli legati all’azienda da contratti di collaborazione coordinata e continuativa, mentre sono inclusi i soci e i proprietari che lavorano in azienda.

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2.1.3 Struttura produttiva dell’industria

Guardando alla struttura del campione rispetto alla destinazione della produzione (Tabella 2.9), si osserva un certo equilibrio fra imprese che producono beni finali (51% circa), cioè destinati all'investimento (20,7%) o al consumo (30,4%), e imprese che producono beni intermedi (48,9%); la produzione di beni di investimento è relativamente meno frequente tra le imprese familiari (17,3%).

Tabella 2.9 – Destinazione economica prevalente della produzione. Frequenza risposte (%).

Intero campione Imprese familiari Beni di investimento 20,7 17,3 Beni di consumo 30,4 32,0 Beni intermedi 48,9 50,7 Totale 100,0 100,0

Domanda A7 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Si riscontra una relazione diretta fra dimensione e incidenza dei beni intermedi (dal 61,5% delle Grandi, al 52,3% delle Medie, al 44,9% delle Piccole), mentre per beni d’investimento e beni di consumo la relazione è inversa: nei beni d’investimento si passa dal 15,4% delle Grandi, al 20,5% delle Medie, al 21,8% delle Piccole; nei beni di consumo dal 23,1% delle Grandi, al 27,3% delle Medie, al 33,3% delle Piccole.

La Tabella 2.10 mostra l’evoluzione della redditività, della struttura patrimoniale e dell’incidenza degli oneri finanziari tra il 2010 e il 2012 per i tre insiemi di imprese formati in base alla destinazione prevalente della produzione.

Il 2010 è un anno di recupero della redditività rispetto al 2009 per tutti i comparti. I miglioramenti più significativi sono messi a segno dai beni d’investimento e dai beni intermedi, particolarmente colpiti dalla crisi dell’anno precedente. I beni di consumo si confermano come il comparto dagli indicatori reddituali più elevati (ROE all’8% e ROS al 3,55% contro il 4,30% e il 3,29% dei beni d’investimento e il 4,03% e il 3,03% dei beni intermedi), ma con una marginalità sulle vendite stagnante in netta controtendenza. Le imprese del comparto confermano anche la contenuta dipendenza dai finanziamenti di terzi (14,6% in rapporto all’attivo contro il 14,8% dei beni d’investimento e il 21% dei beni intermedi) e la bassa incidenza degli oneri finanziari sul fatturato (0,38%); viene invece meno la primazia sul grado di patrimonializzazione, superato da quello degli altri comparti (33,2% contro il 35,8% dei beni d’investimento e il 37,4% dei beni intermedi).

Il recupero di redditività e margini prosegue nel 2011 con l’eccezione dei produttori di beni di consumo. Se i beni d’investimento e intermedi vedono il ROE mediano salire a circa il 7,5% da livelli poco superiori al 4%, i beni di consumo ne accusano il dimezzamento dall’8% al 3,8%. Il ROS mostra un

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andamento analogo a testimonianza della dicotomia fra mercato nazionale e mercati esteri che penalizza i comparti più domestici come, appunto, i beni di consumo.

Tabella 2.10 – Destinazione della produzione: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Beni di investimento 4,30 7,43 6,60 Beni di consumo 8,01 3,81 3,71 Beni intermedi 4,03 7,46 8,27 ROS Beni di investimento 3,29 4,07 2,53 Beni di consumo 3,55 2,70 2,67 Beni intermedi 3,03 3,68 2,85 Patrimonio / Totale attivo Beni di investimento 35,8 30,2 29,6 Beni di consumo 33,2 34,0 32,2 Beni intermedi 37,4 35,9 39,8 Debiti fin. v. terzi / Totale attivo Beni di investimento 14,8 18,4 18,2 Beni di consumo 14,6 15,3 12,4 Beni intermedi 21,0 20,7 16,2 Oneri finanziari / Fatturato Beni di investimento 0,78 0,83 0,95 Beni di consumo 0,38 0,65 0,56 Beni intermedi 0,74 0,84 0,81

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Sul fronte della solidità finanziaria, sempre nel 2011, le imprese produttrici di beni di consumo, nonostante la caduta della redditività, riescono a mantenere patrimonializzazione e dipendenza dai finanziamenti di terzi sui livelli dell’anno precedente, pur dovendo sopportare un significativo incremento dell’incidenza degli oneri finanziari (dallo 0,38% allo 0,65%). Gli altri due comparti mostrano un aumento degli oneri finanziari e una riduzione della patrimonializzazione; quest’ultima particolarmente evidente nel comparto dei beni d’investimento e dovuta, almeno in parte, all’espansione dei debiti finanziari il cui peso passa dal 14,8% al 18,4%.

La congiuntura negativa del 2012 colpisce in modo differenziato i tre comparti. I beni di investimento manifestano un sensibile calo del ROE (dal 7,43% al 6,6%) e del margine sulle vendite (dal 4,07% al 2,53%). I beni di consumo mantengono redditività e margini sostanzialmente sui livelli del 2011. I beni intermedi aumentano il ROE (dal 7,46% all’8,27%) pur registrando una flessione del ROS (dal 3,68% al 2,85%). Limitando l’analisi al campione chiuso delle 108 imprese i cui bilanci sono disponibili per tutti gli anni del triennio emerge un quadro parzialmente diverso. Nei beni di investimento si conferma la flessione dei margini (scesi dal 3,83% del 2011 al 2,53% del 2012), ma il ROE mediano sale (dal 4,32% al 6,6%). Nei beni di consumo aumentano entrambi gli

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indicatori (il ROE passa dal 2,73% al 3,71% e il ROS dal 2,36% al 2,67%). Nei beni intermedi trova invece conferma il miglioramento del ROE (dall’8,19% all’8,27%) e il peggioramento del ROS (dal 3,88% al 2,85%).

Nella struttura finanziaria, solo i beni intermedi riescono ad accrescere la copertura patrimoniale dell’attivo (dal 35,9% al 39,8%). L’incidenza dei debiti finanziari resta pressoché inalterata nei beni di investimento (dal 18,4% al 18,2%), mentre si riduce nei beni di consumo (dal 15,3% al 12,8%) e nei beni intermedi (dal 20,7% al 16,2%). Questi andamenti trovano un riflesso nel peso degli oneri finanziari che sale solo per le imprese produttrici di beni d’investimento. Il campione chiuso mostra dinamiche sostanzialmente analoghe.

Complessivamente si può affermare che nell’arco del triennio, in termini reddituali, il comparto più penalizzato è quello dei beni di consumo, che patisce la congiuntura avversa su ROE e margini più nel 2011 che nel 2012. Al contrario, beni di investimento e beni intermedi risentono della crisi solo nel 2012 sotto forma di una contrazione della marginalità che però non pare penalizzare la redditività dei mezzi propri. Sul lato delle fonti di finanziamento, sono i beni intermedi ad evidenziare l’evoluzione più favorevole: da un lato, sono l’unico comparto a migliorare la patrimonializzazione rispetto al 2010; dall’altro, presentano il calo più pronunciato dei debiti finanziari (quasi cinque punti percentuali). Da questo punto di vista, il comparto meno virtuoso è quello dei beni di investimento che vede ridursi la copertura patrimoniale, aumentare (o quantomeno non diminuire nel campione chiuso) l’indebitamento finanziario e registrare il peso più elevato degli oneri finanziari.

Tabella 2.11 – Rapporti di filiera. Frequenza risposte (%).

Intero campione

Imprese familiari

Altre imprese

Grandi

Nessuno 48,9 54,7 42,1 46,2 Solo fornitore 25,9 24,0 28,1 23,1 Fornitore e committente 20,0 18,7 21,1 23,1 Solo committente 5,2 2,6 8,7 7,6 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Domanda A8 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Poco meno della metà delle imprese (48,9%) non ha rapporti di filiera (Tabella 2.11). Tra le imprese che operano in filiere produttive, la condizione maggioritaria è quella di solo fornitore (25,9% del totale); seguono le condizioni di fornitore e committente (20% del totale) e, con peso marginale, di solo committente (5,2%). La percentuale di imprese che non opera in filiera è superiore tra le imprese familiari rispetto alle altre (54,7% contro 42,1%); anche in questo caso prevalgono quelle che operano solo come fornitore (24% del totale imprese familiari), mentre sono relativamente meno frequenti le condizioni di fornitore e committente (18,7% delle imprese familiari) e soprattutto di solo committente (2,6% delle imprese familiari). Le Grandi mostrano una situazione non molto

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dissimile da quella dell’intero campione, con una quota di imprese senza rapporti di filiera leggermente inferiore al dato medio (46,2% contro 48,9%) e una maggiore presenza nelle posizioni intermedie e apicali della filiera (23,1% contro 20% nella condizione di fornitore e committente e 7,6% contro 5,2% nella condizione di solo committente). Fra le Medie il posizionamento di filiera prevalente è quello intermedio (solo fornitore 18,2%; fornitore e committente 27,3%; solo committente 6,8%), mentre fra le Piccole prevale quello di base (solo fornitore 30,8%; fornitore e committente 15,4%; solo committente 3,8%). Quindi esiste una relazione positiva fra dimensione e ruolo apicale all’interno della filiera.

La posizione delle imprese nella filiera appare correlata con la destinazione prevalente della produzione (Tabella 2.12). Rispetto al dato medio, le imprese produttrici di beni di consumo sono più frequenti nel ruolo di solo committente (71,4% contro 30,4%) e fra le imprese che dichiarano di non avere rapporti di filiera (40,3% contro 30,4%), mentre sono meno frequenti nella categoria del solo fornitore (20% contro 30,4%). Le imprese che producono beni d’investimento non presentano situazioni particolari se non la totale assenza dalla qualifica di solo committente. I beni intermedi sono invece sopra media nella posizione di solo fornitore (57,1% contro 48,9%) e sotto media nella posizione di solo committente (28,6% contro 48,9%).

Tabella 2.12 – Rapporti di filiera e destinazione della produzione. Frequenza risposte (%).

Rapporti di filiera Destinazione prevalente della produzione

Totale Beni di investimento Beni di consumo Beni intermedi

Nessuno 21,2 30,3 48,5 100,0 Solo fornitore 22,9 20,0 57,1 100,0 Fornitore e committente 22,2 33,3 44,4 100,0 Solo committente 0,0 71,4 28,6 100,0 Totale 20,7 30,4 48,9 100,0

Domande A7 e A8 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

In termini comparativi, l’analisi delle performance aziendali conferma nel 2010 quanto riscontrato nel 2009, cioè la criticità dei ruoli intermedi nelle filiere (Tabella 2.13): le imprese che si dichiarano contemporaneamente fornitrici e committenti presentano i peggiori livelli di ROE e ROS. La redditività dei mezzi propri vede ai vertici i ruoli di ‘solo fornitore’ (8,79%) e ‘solo committente’ (8,56%)18 seguiti dalle imprese senza rapporti di filiera (5,13%) e ultime le imprese ‘fornitrici e committenti’ (2,01%). La marginalità sulle vendite risulta particolarmente elevata nella categoria ‘solo committente’ (8,48%) seguita dalle categorie ‘solo fornitore’ (3,70%) e ‘senza rapporti di filiera’ (3,51%) e in ultima posizione la categoria ‘fornitore e committente’ (2,62%).

18 Si ricorda che il gruppo di imprese ‘solo committente’ è composto solamente da 7 unità.

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Differenze significative si riscontrano anche nella solidità finanziaria. La composizione delle fonti di finanziamento mostra un consistente distacco fra le categorie ‘solo fornitore’ e ‘fornitore e committente’, da un lato, e quelle ‘solo committente’ e ‘nessun rapporto di filiera’, dall’altro: le prime molto meno patrimonializzate e più dipendenti dai debiti finanziari delle seconde. Rispetto a questi elementi sorprende, in negativo, l’alto peso degli oneri finanziari delle imprese ‘solo committenti’ (vista la ridotta incidenza dei debiti finanziari) e, in positivo, il basso peso degli oneri finanziari delle imprese ‘solo fornitrici’ (vista la maggiore incidenza dei debiti finanziari), indizio di differenze nel costo dei finanziamenti o più probabilmente di ridotta rappresentatività dei valori di indebitamento finanziario a fine anno rispetto alla loro consistenza media.

Tabella 2.13 –Rapporti di filiera: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Nessuno 5,13 7,71 4,51 Solo fornitore 8,79 5,84 4,08 Fornitore e committente 2,01 5,91 6,55 Solo committente 8,56 9,26 6,63 ROS Nessuno 3,51 3,26 2,09 Solo fornitore 3,70 3,64 1,89 Fornitore e committente 2,62 3,76 3,60 Solo committente 8,48 7,59 6,87 Patrimonio / Totale attivo Nessuno 40,7 37,8 37,4 Solo fornitore 26,6 27,8 36,3 Fornitore e committente 28,6 24,2 27,8 Solo committente 52,1 52,4 62,9 Debiti fin. v. terzi / Totale attivo Nessuno 13,5 16,0 11,7 Solo fornitore 22,2 21,2 18,8 Fornitore e committente 24,6 24,6 30,6 Solo committente 10,3 14,6 11,8 Oneri finanziari / Fatturato Nessuno 0,54 0,66 0,61 Solo fornitore 0,58 0,62 0,67 Fornitore e committente 0,88 1,03 1,12 Solo committente 0,83 0,62 1,41

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Nel 2011 le imprese ‘fornitrici e committenti’ migliorano considerevolmente il loro ROE, quasi triplicandolo dal 2% al 5,91%, mentre le imprese ‘solo fornitrici’ lo peggiorano passando dall’8,8% al 5,8%. In progresso anche il ROE delle altre categorie: le imprese senza rapporti di filiera dal 5,13% al 7,71% e le imprese ‘solo committenti’ dall’8,56% al 9,26%. Ad eccezione delle imprese contemporaneamente fornitrici e committenti, il ROS manifesta una flessione generalizzata, più accentuata per le imprese ‘solo committenti’, che

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comunque mantengono una marginalità ben superiore a quella delle altre categorie: 7,59% contro valori dal 3,26% al 3,76%. Sebbene in attenuazione, continuano le differenze di patrimonializzazione e dipendenza dai debiti finanziari già menzionate, mentre l’incidenza degli oneri finanziari si porta su livelli piuttosto omogenei con l’eccezione delle imprese ‘fornitrici e committenti’ il cui dato supera ampiamente quello delle altre categorie.

Il 2012 presenta una caduta di margini e redditività da cui si salvano solo le imprese ‘fornitrici e committenti’ che, a fronte di un ROS in modesta flessione (la più contenuta fra i vari sotto gruppi), vedono un miglioramento del ROE dal 5,91% al 6,55%. Si mantiene la maggiore patrimonializzazione e la minore dipendenza dall’indebitamento finanziario delle imprese ‘solo committenti’ o prive di rapporti di filiera, sebbene soltanto le prime sperimentino un sensibile incremento della copertura patrimoniale (dal 52,4% al 62,9%). Incremento che osserviamo anche nelle categorie ‘solo fornitore’ (in parte dovuto alla diversità fra campione aperto e campione chiuso) e ‘fornitore e committente’. Quest’ultima categoria è peraltro l’unica ad aumentare l’indebitamento finanziario; in proposito va precisato che il netto decremento dell’incidenza dei debiti finanziari manifestato dalle imprese prive di rapporti di filiera (dal 16% all’11,7% è totalmente dovuto alle differenze di composizione del campione chiuso rispetto a quello aperto). Sul versante degli oneri finanziari, in un trend di generale aumento degli stessi, torna a sorprendere che le imprese ‘solo committenti’, nonostante il basso ricorso all’indebitamento finanziario, siano la categoria con il più alto peso degli oneri finanziari (1,41% contro, ad esempio, l’1,12% dei ‘fornitori e committenti’ che però hanno un indebitamento finanziario quasi triplo) con effetti negativi sul ROE.

Complessivamente questi dati indicano che le imprese collocate in posizioni intermedie della filiera, principali vittime della crisi 2008-09, hanno saputo reagire, riuscendo a difendere margini e redditività meglio delle altre categorie in occasione del ritorno a una congiuntura negativa nel 2012. Ai progressi nella performance economica si accompagna tuttavia una struttura finanziaria meno solida rispetto alle altre imprese, con il più basso livello di copertura patrimoniale e il più alto livello di indebitamento finanziario. In termini reddituali, la categoria più colpita dalla recente crisi parrebbe quella dei ‘solo fornitori’ con un dimezzamento di ROE e ROS fra il 2010 e il 2012; in realtà, per quanto attiene al ROE, questo risultato è fortemente influenzato dalla parzialità del campione 2012: infatti, nel campione chiuso il ROE passa dal 4,66% del 2010 al 4,08% del 2012, con una flessione molto più contenuta. Da queste dinamiche emerge una situazione 2012 in cui profittabilità del capitale proprio e soprattutto margini crescono più ci si avvicina al vertice della filiera (condizione molto diversa sia da quella del 2007 che da quella del 2009 osservate nella precedente rilevazione), con le imprese senza rapporti di filiera su livelli simili a quelli dei ‘solo fornitori’.

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2.2 Strategie di crescita, internazionalizzazione ed export (sezione B del questionario)

Negli anni precedenti l’inizio della crisi, oltre i due terzi delle imprese rispondenti hanno perseguito strategie significative (Tabella 2.14): principalmente di ampliamento e di diversificazione correlata della propria gamma di prodotto (52,6%); più defilati gli investimenti sul marchio (23%) e l’internazionalizzazione produttiva (18,5%). Meno di un terzo ha puntato su strategie di altro tipo. Quest’ultima percentuale raggiunge il livello più elevato fra le Piccole imprese (41%), mentre si riduce al 21,1% fra le imprese familiari e si annulla fra le Grandi imprese. Solo fra le Grandi, inoltre, l’internazionalizzazione produttiva prevale sugli investimenti nel marchio (53,8% contro 15,4%), mantenendo comunque anch’esse al primo posto le strategie di prodotto (61,5%).

Tabella 2.14 – Negli anni precedenti la crisi la Sua impresa ha realizzato… Ammesse risposte multiple. Frequenza risposte (%).

Intero campione

Imprese familiari

Grandi

Rilevanti variazioni nella gamma dei prodotti offerti 52,6 56,0 61,5 Maggiore investimento sul marchio 23,0 30,7 15,4 Internazionalizzazione produttiva 18,5 24,0 53,8 Nessuna delle precedenti 31,1 21,3 0,0

Domanda B1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Tabella 2.15 – Strategie pre-crisi: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Gamma, Marchio, Internazionalizzazione 5,21 5,68 5,33 Altre 4,88 8,26 8,27 ROS Gamma, Marchio, Internazionalizzazione 3,05 3,48 2,64 Altre 3,53 4,07 2,76 Patrimonio / Totale attivo Gamma, Marchio, Internazionalizzazione 36,0 34,8 35,6 Altre 36,7 31,9 32,1 Debiti fin. v. terzi / Totale attivo Gamma, Marchio, Internazionalizzazione 17,1 20,7 18,30 Altre 15,5 15,4 9,58 Oneri finanziari / Fatturato Gamma, Marchio, Internazionalizzazione 0,72 0,74 0,83 Altre 0,68 0,62 0,64

§ campione parziale. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

Se nel 2010 le imprese che hanno modificato la gamma di prodotto e/o hanno investito sul marchio o su mercati extra domestici nei periodi precedenti la crisi, conseguono ancora risultati economici (ROE) leggermente migliori rispetto alle imprese che invece hanno intrapreso altre strategie, la situazione si inverte dal

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2011 sia nel ROE che nel ROS (Tabella 2.15); nel campione chiuso ciò si verifica anche nel 2010.

Emerge dunque una capacità di reazione da parte delle imprese che erano state colte meno preparate dalla prima manifestazione della crisi nel biennio 2008-09. Traspare anche la necessità di rivisitare continuamente la propria strategia per mantenerne l’efficacia.

Sotto il profilo finanziario, se nel 2010 i due insiemi di imprese presentano valori simili, nel 2011 le imprese che avevano introdotto importanti mutamenti strategici negli anni precedenti l’inizio della crisi (quali appunto l’introduzione di rilevanti variazioni nella gamma dei prodotti offerti, un maggiore investimento sul marchio, l’internazionalizzazione produttiva) presentano una dipendenza da debiti finanziari e un’incidenza degli oneri finanziari in crescita rispetto all’altro gruppo: nel primo indicatore il differenziale passa da 1,6 a 5,3 punti, nel secondo il differenziale passa da 0,04 a 0,12 punti. Inverso invece l’andamento relativo della patrimonializzazione. Nel 2012 tutti questi differenziali conoscono un ulteriore ampliamento.

Tabella 2.16 – Strategia di crescita prevalente. Frequenza risposte (%).

Intero campione Imprese familiari

Grandi

2008-10

2011-13

2008-10

2011-13

2008-10

2011-13

Per linee interne in ambito nazionale 60,6 52,6 52,7 47,3 50,0 46,2 Consorzi con altre imprese 0,8 1,5 1,4 1,4 0,0 0,0 Associazioni temporanee di imprese 1,5 0,8 1,4 0,0 0,0 0,0 Per incorporazione o acquisizione di altre imprese mantenendo il controllo

7,6 6,8 5,4 5,4 41,7 30,8

Entrando in un gruppo più grande 0,0 1,5 0,0 0,0 0,0 0,0 Contratti di rete rimanendo autonomi 0,8 5,3 0,0 8,1 0,0 0,0 Tramite internazionalizzazione produttiva e/o commerciale

19,7 23,3 27,0 27,0 8,3 23,1

Tramite altri tipi di accordi commerciali e di collaborazione con altre imprese

9,1 8,3 12,2 10,8 0,0 0,0

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Domanda B3 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Un tratto dominante degli effetti del perdurare della crisi riguarda il ripensamento delle strategie e dei percorsi di crescita delle imprese rispondenti (Tabella 2.16). Con intensità più o meno marcata emerge, dalla prima alla seconda fase della crisi, una maggiore consapevolezza dei limiti delle strategie volte unicamente al presidio del mercato nazionale attraverso la crescita interna (che tuttavia, rimane la strategia prevalente o forse, per alcuni versi, la “non strategia” prevalente). Emergono anche segnali di una maggiore consapevolezza dei limiti e dei vincoli posti dalla ridotta dimensione aziendale, da superare non tanto tramite forme di crescita esterna tradizionali (M&A, consorzi, ATI) quanto mediante i più

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recenti contratti di rete (interesse a cui probabilmente non è estraneo l’impegno divulgativo e formativo promosso da Unindustria). Questo fenomeno emergente è ancora più rilevante per le imprese familiari, mentre non tocca, come ovvio, le imprese di grande dimensione che paiono le più decise nel perseguire con crescente determinazione strategie di internazionalizzazione produttiva e/o commerciale (la frequenza passa dall’8,3% del triennio 2008-10 al 23,1% del triennio 2011-13).

A differenza della precedente rilevazione, la presenza di un manager esterno alla famiglia proprietaria o agli azionisti di controllo non pare avere inciso molto nell’indirizzare la strategia verso l’internazionalizzazione: al contrario sono proprio le imprese con “capo azienda” interno ad avere optato maggiormente per l’espansione all’estero piuttosto che quella in ambito nazionale (Tabella 2.17)19. L’influenza dei manager esterni riguarda invece una certa preferenza verso forme di crescita esterne: le imprese con manager esterni sono le prime ad interessarsi ai contratti di rete e ricorrono più frequentemente alle Associazioni Temporanee d’Impresa e alle M&A (sia come bidder che come target). Con tutta la prudenza del caso, si potrebbe dunque ipotizzare che i manager esterni siano più rapidi nello sperimentare nuovi indirizzi strategici.

Tabella 2.17 – Strategie di crescita e manager esterno. Valori percentuali.

Strategie di crescita Manager esterno 2008-10 Manager esterno 2011-13 No Sì No Sì

Nazionale per linee interne 59,8 65,0 51,3 60,0 Formando consorzi 0,9 - 1,8 - Formando ATI 0,9 5,0 - 5,0 M&A come bidder 7,1 10,0 6,2 10,0 Entrando in un gruppo - - 0,9 5,0 Contratti di rete - 5,0 6,2 - Internazionalizzazione 22,3 5,0 24,8 15,0 Altre forme di accordo 8,9 10,0 8,8 5,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Domande B3 e A6.3 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

L’abbandono delle strategie di crescita per linee interne e sul mercato nazionale ha riguardato le imprese produttrici di beni di investimento (dal 56% al 46,2%) e soprattutto di beni intermedi (dal 56,1% al 43,9%) (Tabella 2.18). Le prime dichiarano di essersi orientate verso l’internazionalizzazione, che sale dal 28% al 42,3%, mentre le seconde verso i contratti di rete, che salgono da zero al 9,1%.

Le società produttrici di beni di consumo non hanno invece dato luogo a ripensamenti particolari circa la centralità strategica della presenza sul mercato interno, indicata come prioritaria dal 70,7% dei rispondenti in entrambi i trienni.

19 Va precisato che le imprese con leader aziendale esterno sono solo 20 su 135. Gli aspetti di governance sono approfonditi nel successivo paragrafo 2.4.

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Nel periodo più recente si annulla la crescita tramite fusione e acquisizione e aumenta la quota che privilegia l’internazionalizzazione (dal 14,6% al 19,5%).

Tabella 2.18 – Strategie di crescita per destinazione prevalente della produzione. Valori percentuali.

2008-2010 Destinazione prevalente della produzione

Totale Beni di

investimento Beni di

consumo Beni

intermedi Strategie di crescita 2008-10

Nazionale per linee interne 56,0 70,7 56,1 60,6 Formando consorzi - - 1,5 0,8 Formando ATI - - 3,0 1,5 M&A come bidder 8,0 4,9 9,1 7,6 Entrando in un gruppo - - - - Contratti di rete - 2,4 - 0,8 Internazionalizzazione 28,0 14,6 19,7 19,7 Altre forme di accordo 8,0 7,3 10,6 9,1

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 Strategie di crescita 2011-13

Nazionale per linee interne 46,2 70,7 43,9 52,6 Formando consorzi - - 3,0 1,5 Formando ATI - - 1,5 0,8 M&A come bidder 7,7 - 10,6 6,8 Entrando in un gruppo - - 3,0 1,5 Contratti di rete - 2,4 9,1 5,3 Internazionalizzazione 42,3 19,5 18,2 23,3 Altre forme di accordo 3,8 7,3 10,6 8,3

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 Domande A7 e B3 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Alla crescente importanza strategica del processo di internazionalizzazione si associa un peso delle esportazioni effettivamente in aumento per tutte le categorie di imprese (Tabella 2.19). La quota media di export sul fatturato passa dal 38,5% al 42,6% per il campione nel suo complesso, dal 40,7% al 45,9% per le imprese familiari e dal 54,9% al 61,2% per le Grandi imprese. In ciascun anno del triennio 2011-13 le imprese familiari presentano un’incidenza delle esportazioni superiore a quella delle altre imprese: 40,7% verso 35,6% nel 2011; 43,6% verso 36,6% nel 2012; 45,9% verso 37,3% nel 2013; con un differenziale salito dai 5 punti del 2011 agli 8,6 punti del 2013. La quota di export è direttamente correlata al fattore dimensionale: i valori più elevati riguardano le Grandi, a seguire le Medie (46,7% nel 2011, 47,3% nel 2012, 49,9% nel 2013) e infine le Piccole (30,7% nel 2011, 34,2% nel 2012, 35% nel 2013). Anche sul piano dinamico, sono le Grandi a conseguire il progresso maggiore: 6 punti in più contro i 3 punti delle Medie e i 4,3 punti delle Piccole.

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Tabella 2.19 – Quota delle esportazioni sul fatturato totale. Valori percentuali.

2011 2012 2013E Intero campione

Media 38,5 41,1 42,6 Mediana 34,0 40,0 43,0 Max 100,0 100,0 100,0 Deviazione standard 32,1 32,1 32,6

Imprese familiari Media 40,7 43,6 45,9 Mediana 35,0 45,0 50,0 Max 97,0 96,0 97,0 Deviazione standard 33,1 32,8 32,9

Grandi Media 54,9 58,9 61,2 Mediana 70,0 70,0 70,0 Max 80,0 79,0 82,0 Deviazione standard 28,1 22,0 21,6

Domanda B2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

L’analisi dell’export per destinazione prevalente della produzione sottolinea come le imprese produttrici di beni di investimento siano le più export oriented, con valori fra il 44% del 2011 e il 50% del 2013, seguite da quelle produttrici di beni intermedi, con valori dal 41% al 44%, e da quelle produttrici di beni di consumo, con valori fra il 31% e il 36% (Tabella 2.20). Il comparto dei beni d’investimento realizza anche l’incremento più consistente: 5,4 punti contro 4,5 punti dei beni di consumo e 3,2 punti dei beni intermedi. Livelli e dinamiche della quota di export appaiono del tutto in sintonia con il ruolo della strategia di internazionalizzazione e le sua evoluzione nel tempo dei tre comparti (Tabella 2.18).

Tabella 2.20 – Quota export per Destinazione prevalente della produzione. Valori medi e mediani (%).

2011 2012 2013E Beni di investimento 44,4 / 57 48,2 / 55 49,8 / 60 Beni di consumo 31,4 / 20 33,8 / 23 35,9 / 26 Beni intermedi 40,6 / 35 42,8 / 45 43,8 / 50 Totale 38,5 / 34 41,1 / 40 42,6 / 43

Domande A7 e B2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Anche la scomposizione settoriale rivela ampie differenze sul peso dell’export (Tabella 2.21). Sopra o vicini alla media del campione troviamo la ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’ con valori medi attorno al 60%, gli ‘Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione’, con valori medi attorno al 50%, e la ‘Lavorazione di minerali non metalliferi’ con valori medi attorno al 40%. Non molto sotto media figurano il ‘Tessile e abbigliamento’, con valori medi attorno al 35%, e la ‘Chimica, gomma e materie plastiche’, con valori medi attorno al 30%. Più distanti la ‘Metallurgia e prodotti in metallo’, con valori medi attorno al 25%, gli ‘Alimentari e bevande’ e le ‘Altre manifatture’, con valori

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medi attorno al 18-19%. I settori in maggiore progresso sono la ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’, con un incremento di 5,8 punti e il ‘Tessile e abbigliamento’, con un incremento di 5,5 punti.

Tabella 2.21 – Quota export per settore. Valori medi e mediani (%).

2011 2012 2013E Alimentari e bevande 17,2 / 9,0 17,9 / 10,0 20,1 / 10,0 Tessile e abbigliamento 30,8 / 26,5 36,3 / 35,5 36,3 / 34,5 Chimica, gomma e plastiche 31,0 / 21,0 30,4 / 19,0 31,3 / 20,0 Lavorazione minerali non met. 36,9 / 30,0 38,4 / 30,0 41,0 / 35,0 Metallurgia e prod. in metallo 21,7 / 10,5 25,0 / 11,0 25,9 / 11,0 Apparecchi elettrici, elettronici 47,3 / 52,0 48,8 / 62,0 50,8 / 65,0 Fabbricazione macchine 58,5 / 70,0 63,0 / 70,0 64,3 / 70,0 Altre manifatture 19,1 / 10,0 17,9 / 10,0 18,6 / 11,5

Domande A7 e B2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

L’analisi dei dati economico-finanziari 2011 e 2012 evidenzia una correlazione positiva e statisticamente significativa della quota export sia con il ROS che con il ROE in entrambi gli anni. Ciò contribuisce a dare un’indicazione del ruolo che le esportazioni svolgono nelle politiche di vendita delle imprese, sia sotto il profilo della marginalità e della contribuzione alla copertura dei costi fissi, sia sotto il profilo della stabilizzazione e ampliamento delle potenzialità di differenziazione e discriminazione dei prezzi.

Le quote di export più elevate sono associate alle imprese che prima della crisi hanno puntato su strategie di internazionalizzazione produttiva, seguite da quelle che hanno investito sul marchio o che hanno rinnovato la gamma di prodotti (Tabella 2.22). Molto più distanziate troviamo le imprese che hanno perseguito altri indirizzi strategici. Queste ultime presentano tuttavia il miglioramento più consistente nel corso dell’ultimo triennio (+5,1 punti nella quota di export media).

Tabella 2.22 – Quota export per tipologia di strategia pre-crisi. Valori percentuali.

Innovazione 2011 2012 2013E 2011 2012 2013E Mediana Media

Rilevanti variazioni nella gamma dei prodotti offerti

50,0 50,0 50,0 43,9 45,2 46,3

Maggiore investimento sul marchio

49,0 50,0 55,0 47,7 49,4 51,7

Internazionaliz.ne produttiva

62,7 65,0 67,0 51,6 54,2 56,2

Nessuna delle precedenti

10,0 15,0 15,0 27,3 31,0 32,4

Domande B1 e B2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

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Analizzando le strategie di innovazione, è possibile notare come le imprese che hanno posto in essere investimenti in innovazione di prodotto e di marketing presentino livelli di export superiori a quelli delle imprese che hanno perseguito interventi innovativi di processo o di natura organizzativa e gestionale (Tabella 2.23) e soprattutto a quelli delle imprese che non hanno innovato. La graduatoria in base ai migliori progressi nel triennio vede al primo posto le innovazioni di processo (+5,8 punti), al secondo le innovazioni di marketing (+4,5 punti), al terzo le innovazioni di prodotto (+3,5 punti), al quarto le innovazioni organizzative (+3,1 punti), all’ultimo le imprese che non hanno apportato innovazioni (+2,8 punti). Naturalmente la contestualità dei fenomeni rende difficoltoso individuare il rapporto di causa-effetto; certo è che innovazione (specialmente di prodotto e di marketing) e presenza sui mercati esteri vanno di pari passo.

Tabella 2.23 – Quota export per tipologia di innovazione nel biennio 2011-12. Valori percentuali.

Innovazione 2011 2012 2013E 2011 2012 2013E Mediana Media

Di prodotto 50,0 50,0 55,0 44,2 46,3 47,7 Di processo 35,0 45,0 50,0 37,8 41,3 43,6 Organizzativa-gestionale

26,0 38,0 45,0 39,3 40,2 42,4

Di marketing 52,0 56,0 60,0 45,9 48,2 50,4 Nessuna 20,0 20,0 20,0 24,6 27,1 27,4

Domande B1 e B2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

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2.3 Strategie di innovazione (sezione C del questionario) La crisi economica continua a incoraggiare l’introduzione di innovazione

nelle sue diverse forme (Tabella 2.24). I dati evidenziano come ben nove aziende su dieci abbiano introdotto innovazioni del biennio 2011-12: in testa l’innovazione di prodotto (69,4%), poi di processo (49,3%), poi organizzativa e gestionale (38,8%), infine di marketing (26,1%). Per il presente e il futuro (biennio 2013-14) si osserva, in continuità con la precedente rilevazione, una crescita delle tipologie di innovazione meno utilizzate in passato: quella organizzativa e gestionale sale al 50,7%, guadagnando il secondo posto preceduta dall’innovazione di prodotto, mentre quella di marketing sale al 35,1%. Si avverte dunque un maggiore interesse per investimenti meno legati agli aspetti strettamente produttivi e più orientati alla comunicazione interna (organizzazione e gestione) e esterna (marketing): efficienza sul piano operativo ed efficacia nel rapporto col mercato. Un’evoluzione a cui può non essere estranea la crescente importanza della componente “servizio” anche in ambito manifatturiero.

Tabella 2.24 – Tipi di innovazione introdotti. Ammesse risposte multiple Frequenza risposte (%).

Tipo di innovazione Biennio 2011-12

Biennio 2013-14

Intero campione Di prodotto 69,4 63,4 Di processo 49,3 45,5 Organizzativa-gestionale 38,8 50,7 Di marketing 26,1 35,1 Nessuna innovazione 7,5 9,7

Imprese familiari Di prodotto 72,0 65,3 Di processo 54,7 49,3 Organizzativa-gestionale 42,7 54,7 Di marketing 26,7 34,7 Nessuna innovazione 8,0 9,3

Domande A6.1 e C1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Questo trend interessa anche le imprese familiari che tuttavia manifestano livelli di innovazione di prodotto, di processo e organizzativa superiori alla media in entrambi i bienni analizzati.

Dalla scomposizione dimensionale emerge come nel biennio 2011-12 l’assenza di innovazione sia positivamente correlata alla dimensione: se solo il 5,2% delle Piccole imprese dichiara di non avere introdotto alcuna innovazione, fra le Medie e le Grandi la frequenza sale al 9,1% e al 15,4% rispettivamente (Tabella 2.25). In prospettiva, tuttavia, la situazione si capovolge. Sempre nel biennio 2011-12 le Piccole si distinguono per una minore ricorso all’innovazione di prodotto e una più accentuata sensibilità all’innovazione organizzativa; le Medie per l’innovazione di prodotto e di processo; le Grandi per l’innovazione di

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111

prodotto e di marketing. In chiave evolutiva, l’incremento dell’innovazione organizzativa appare un trend generalizzato, anche se più intenso nelle Medie e Grandi imprese, mentre quello dell’innovazione di marketing riguarda soprattutto le Piccole imprese. Nelle Grandi si osserva inoltre un andamento in controtendenza dell’innovazione di processo, che aumenta dal 46,2% al 69,2% diventando la tipologia di innovazione più frequente in questa classe dimensionale.

Tabella 2.25 – Tipi di innovazione introdotti per classe dimensionale. Ammesse risposte multiple Frequenza risposte (%).

Tipo di innovazione Biennio 2011-12

Biennio 2013-14

Piccole Di prodotto 63,6 57,1 Di processo 45,5 39,0 Organizzativa-gestionale 41,6 49,9 Di marketing 28,6 41,6 Nessuna innovazione 5,2 10,4

Medie Di prodotto 77,3 75,0 Di processo 56,8 50,0 Organizzativa-gestionale 38,6 56,8 Di marketing 20,5 25,0 Nessuna innovazione 9,1 9,1

Grandi Di prodotto 76,9 61,5 Di processo 46,2 69,2 Organizzativa-gestionale 23,1 38,5 Di marketing 30,8 30,8 Nessuna innovazione 15,4 7,7

Domanda C1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

In conformità alle attese, l’innovazione di marketing è più presente nel comparto dei beni di consumo, con un peso del 39% nel biennio 2011-12 e del 46,3% nel biennio successivo, e raggiunge il livello minimo nel comparto dei beni intermedi, con un peso del 16,7% nel biennio 2011-12 e del 28,8% nel biennio successivo (Tabella 2.26). I beni di consumo si distinguono anche per altri due elementi: a) maggiore innovazione organizzativa; b) maggiore quota di imprese che non innova, in particolare nel biennio 2013-14 (nei beni di investimento tale quota è pari a zero). Nel biennio 2011-12, l’attenzione all’innovazione di prodotto è particolarmente accentuata fra le imprese produttrici di beni d’investimento (77,8%), mentre quella verso l’innovazione di processo primeggia fra le imprese produttrici di beni intermedi (57,6%).

Nell’anno in corso e nel successivo, l’incremento dell’innovazione di marketing interessa tutti i comparti, in particolare quello dei beni intermedi (da 16,7% a 28,8%), mentre l’incremento dell’innovazione organizzativa e gestionale vede in controtendenza i beni di consumo (da 46,3% a 36,6%). Il decremento

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dell’innovazione di processo vede invece in controtendenza i beni d’investimento (da 29,6% a 40,7%). Tutte queste variazioni hanno l’effetto di avvicinare i tre comparti nella distribuzione delle tipologie di innovazione.

Tabella 2.26 – Tipi di innovazione introdotti per destinazione della produzione. Ammesse risposte multiple Frequenza risposte (%).

Tipo di innovazione Biennio 2011-12

Biennio 2013-14

Beni di investimento Di prodotto 77,8 66,7 Di processo 29,6 40,7 Organizzativa-gestionale 37,0 55,6 Di marketing 29,6 33,3 Nessuna innovazione 0,0 0,0

Beni di consumo Di prodotto 68,3 65,9 Di processo 48,8 34,1 Organizzativa-gestionale 46,3 36,6 Di marketing 39,0 46,3 Nessuna innovazione 9,9 17,1

Beni intermedi Di prodotto 66,7 60,6 Di processo 57,6 54,5 Organizzativa-gestionale 34,8 57,6 Di marketing 16,7 28,8 Nessuna innovazione 9,1 9,1

Domande A7 e C1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Tabella 2.27 – Incidenza dei seguenti ostacoli ai processi di innovazione: intero campione. Frequenza risposte (%): per niente; poco; abbastanza; molto.

Poco Abbastanza o Molto

Difficoltà nel reperire personale qualificato 26,1 54,5 Difficoltà di riorganizzazione aziendale 35,1 41,0 Difficoltà nel reperire finanziamenti 23,1 31,4 Dimensione aziendale insufficiente 27,6 22,4 Difficoltà nel relazionarsi con centri di ricerca/università 27,7 16,2 Altro 0,7 6,6

Domanda C2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

I principali ostacoli ai processi d’innovazione (Tabella 2.27) riguardano in primo luogo, come nella precedente rilevazione, la difficoltà nel reperire personale qualificato: tale difficoltà è segnalata come elevata dal 54,5% dei rispondenti per l’intero campione. La rilevanza di questo problema è confermata anche da indagini che coinvolgono altre province della regione (Camera di Commercio Forlì-Cesena 2009). Seguono come importanza tra le difficoltà rilevate: le difficoltà di riorganizzazione aziendale (41%), le difficoltà nel reperire i finanziamenti (31,4%), una dimensione aziendale insufficiente (22,4%) e le difficoltà di relazionarsi con centri di ricerca e università (16,2%). Altri ostacoli

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sono segnalati solo dal 6,6% dei rispondenti e spaziano da vincoli del sistema paese (burocrazia, fisco, rigidità del mercato del lavoro) a ostacoli più congiunturali e specifici (calo degli ordini, difficoltà a esportare).

Le imprese familiari (Tabella 2.28) non si discostano sensibilmente dai dati medi, se non per le difficoltà nel reperimento di personale qualificato indicate come ‘abbastanza o molto rilevanti’ dal 61,3% dei rispondenti rispetto a una media del 54,5%. Leggermente inferiori le difficoltà di finanziamento e superiori quelle dovute all’insufficiente dimensione e nel rapporto con centri di ricerca e università.

Tabella 2.28 – Incidenza dei seguenti ostacoli ai processi di innovazione: imprese familiari. Frequenza risposte (%): per niente; poco; abbastanza; molto.

Poco Abbastanza o Molto

Difficoltà nel reperire personale qualificato 22,7 61,3 Difficoltà di riorganizzazione aziendale 33,3 41,3 Difficoltà nel reperire finanziamenti 26,7 28,0 Dimensione aziendale insufficiente 32,0 25,3 Difficoltà nel relazionarsi con centri di ricerca/università 30,6 18,0 Altro 1,3 9,3

Domande A6.1 e C2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Tabella 2.29 – Incidenza dei seguenti ostacoli ai processi di innovazione in base al tipo di innovazione realizzata nel biennio 2011-12. Frequenza risposte (%): abbastanza o molto.

Innovazione Prodotto Processo Organiz. Marketing Difficoltà nel reperire personale qualificato 58,1 62,1 55,8 60,0 Difficoltà di riorganizzazione aziendale 43,0 42,4 42,3 37,1 Difficoltà nel reperire finanziamenti 29,1 34,8 25,0 40,0 Dimensione aziendale insufficiente 20,5 22,8 30,8 31,4 Difficoltà nel relazionarsi con centri di ricerca/università

18,9 12,6 14,0 23,6

Altro 6,5 7,5 13,5 8,6 Domande C1 e C2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Il collegamento fra ostacoli e tipologie di innovazione rivela alcuni elementi interessanti (Tabella 2.29). Il reperimento di personale qualificato è la criticità più sentita indipendentemente dal tipo di innovazione realizzata, sebbene con qualche differenza fra innovazione di processo (62,1%) e organizzativa (55,8%). I problemi di riorganizzazione aziendale sono al secondo posto, con percentuali molto simili (42-34%), per tutte le tipologie di innovazione eccetto per quella di marketing dove figurano al terzo posto (con il 37,1%). In questa tipologia di innovazione sono le difficoltà di finanziamento a occupare la seconda posizione con il 40%, un livello sensibilmente diverso da quello delle altre tipologie che varia dal 34,8% dell’innovazione di processo al 25% dell’innovazione organizzativa, passando dal 29,1% dell’innovazione di prodotto.

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La dimensione aziendale è invece un fattore di ostacolo più nelle innovazioni organizzative e di marketing (31% circa) che nelle innovazioni di prodotto e di processo (21-23%), forse a indicare l’esistenza di costi fissi negli investimenti in comunicazione interna ed esterna. L’ostacolo dimensionale non pare peraltro scoraggiare le imprese a introdurre questo genere di innovazioni: come illustrato più sopra (Tabella 2.25), sia i livelli che le tendenze vedono particolarmente attive proprio le Piccole imprese. Anche le difficoltà di relazione con il mondo della ricerca istituzionale sono variegate: maggiori per le innovazioni di marketing (23,6%) e di prodotto (18,9%), minori per le innovazioni organizzative (14%) e di processo (12,6%).

Che la dimensione sia percepita come un freno all’innovazione da parte dei rispondenti è comunque confermato dalla suddivisione delle risposte in base alla classe di addetti (Tabella 2.30). Da un lato, il picco di indicazioni circa la rilevanza della dimensione quale ostacolo all’innovazione si riscontra proprio fra le Piccole imprese, con il 27,3%, per scendere al 18,2% fra le Medie e al 7,7% fra le Grandi. Dall’altro, queste ultime presentano anche le frequenze più basse per tutti gli ostacoli tranne le difficoltà di riorganizzazione aziendale. La classe delle Medie è invece quella che attribuisce maggiore rilevanza alle difficoltà di reperimento di personale qualificato (63,7%) e di riorganizzazione aziendale (54,5%). La dimensione, infine, sembra incidere poco sui rapporti con centri di ricerca e università e per nulla sul reperimento dei finanziamenti destinati a investimenti in innovazione.

Tabella 2.30 – Incidenza dei seguenti ostacoli ai processi di innovazione in base alla dimensione aziendale. Frequenza risposte (%): abbastanza o molto.

Dimensione Piccole Medie Grandi Difficoltà nel reperire personale qualificato 52,0 63,7 38,5 Difficoltà di riorganizzazione aziendale 33,8 54,5 38,5 Difficoltà nel reperire finanziamenti 31,2 31,8 30,8 Dimensione aziendale insufficiente 27,3 18,2 7,7 Difficoltà nel relazionarsi con centri di ricerca/università

14,9 18,7 15,4

Altro 8,9 4,5 0,0 Domanda C2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Anche l’incrocio fra ostacoli all’innovazione e la destinazione della produzione offre spunti di riflessione. (Tabella 2.31). Innanzitutto, per i rispondenti produttori di beni di consumo le difficoltà legate al reperimento di personale qualificato non rappresentano l’ostacolo principale all’innovazione: questa difficoltà occupa il secondo posto con il 39% di segnalazioni, rispetto a livelli del 60% nei comparti dei beni di investimento e intermedi. Quindi l’ostacolo del personale qualificato, prioritario nelle innovazioni di marketing (Tabella 2.30), non è tale nel marketing dei beni di consumo, ma in quello dei beni di investimento e intermedi. Per i beni di consumo la difficoltà principale è rappresentata dai problemi di riorganizzazione aziendale connessi all’introduzione

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di innovazioni (41,5%), problemi al secondo posto nei beni d’investimento (51,8%) e al terzo nei beni intermedi (36,4%).

Le difficoltà di finanziamento sono relativamente più importanti nei beni intermedi (37,9%) e meno nei beni di consumo (24,4%), mentre la dimensione aziendale è relativamente più rilevante nei beni di consumo (26,8%) e meno nei beni di investimento (14,8%). Più omogenee e generalmente al fondo della graduatoria le indicazioni circa le difficoltà di relazione con centri di ricerca e università.

Tabella 2.31 – Incidenza dei seguenti ostacoli ai processi di innovazione in base alla destinazione della produzione. Frequenza risposte (%): abbastanza o molto.

Ostacoli all’innovazione Beni di Investimento Consumo Intermedi

Difficoltà nel reperire personale qualificato 59,2 39,0 62,1 Difficoltà di riorganizzazione aziendale 51,8 41,5 36,4 Difficoltà nel reperire finanziamenti 25,9 24,4 37,9 Dimensione aziendale insufficiente 14,8 26,8 22,7 Difficoltà nel relazionarsi con centri di ricerca/università

18,5 17,5 14,3

Altro 14,3 7,3 3,0 Domande A7 e C2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Il complesso di queste evidenze suggerisce l’approfondimento del rapporto fra imprese e istituzioni formative (università e istruzione tecnica) in merito alle professionalità richieste dal mondo del lavoro. I dati della Tabella 2.31 inducono a ritenere sicuramente centrale l’intervento sulle competenze tecnico-produttive. Tuttavia, il ruolo dei problemi connessi alla riorganizzazione aziendale, da un lato, e il fatto che la rilevanza degli ostacoli connessi al reperimento di personale adeguatamente qualificato e nei rapporti con i centri di ricerca e le università sia particolarmente alta nelle innovazioni di marketing (Tabella 2.29), dall’altro, testimoniano che l’esigenza di un maggiore coordinamento deve interessare anche competenze più strettamente aziendalistiche.

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2.4 Aspetti di governance (sezione A.6 del questionario)

Le imprese familiari rappresentano il 56,8% del campione (Tabella 2.32), quota significativa e allineata al dato nazionale del 56,9% al 31.12.2010 (AUB 2012), riferito però alle sole imprese Medio-Grandi. Nelle imprese reggiane l’età media del leader aziendale è di circa 54 anni, indipendentemente dal carattere familiare o meno del controllo. Ancora bassa la quota femminile nei ruoli di leadership pari al 9% nelle imprese familiari e all’1,8% nelle altre: il legame di parentela facilita dunque l’erosione del gap di genere. La quota di leadership femminile delle imprese familiari reggiane è comunque in linea con il 9,1% delle imprese familiari a livello nazionale (AUB 2012).

Tabella 2.32 – Proprietà familiare e tratti anagrafici del leader aziendale. Incidenza imprese a proprietà familiare 56,8% Età media del leader aziendale (anni): imprese familiari 54,0 Età media del leader aziendale (anni): altre imprese 54,1 Età mediana del leader aziendale (anni): imprese familiari 55,0 Età mediana del leader aziendale (anni): altre imprese 55,0 Quota femminile dei leader aziendali: imprese familiari 9,0% Quota femminile dei leader aziendali: altre imprese 1,8% Quota di leader aziendali esterni al gruppo familiare (imprese familiari) 2,7% Quota di leader aziendali esterni agli azionisti di controllo (altre imprese) 31,6%

Domande A6.1, A6.2 e A6.3 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Molto significativo risulta il dato concernente la quota di leader aziendali esterni al gruppo familiare che è pari al 2,7%. Per la media nazionale (AUB 2009) l’81% delle imprese familiari prevede, in termini di modello di vertice, un leader familiare a fronte di una quota circa pari al 20% di leader aziendali esterni. Pertanto, le aziende familiari reggiane presentano ancora una certa chiusura al management esterno. Nel caso delle altre imprese, la quota del management esterno al gruppo di controllo è pari al 31,6%.

La classe dimensionale con la maggiore presenza di capi azienda esterni alla famiglia o al gruppo di controllo è quella delle imprese Medie, con il 18,6%, seguono le Grandi, con il 15,5%, e le Piccole, con il 12,8%.

Se si considerano alcuni indicatori di bilancio (Tabella 2.33), emerge che della ripresa del 2011 hanno beneficiato le imprese non familiari che incrementano il ROE mediano dal 5,09% al 9,24% e il ROS dal 3,49% al 4,10%. Nello stesso periodo le imprese a proprietà familiare sperimentano una flessione in entrambi gli indicatori: il ROE scende dal 5,42% al 3,81% e il ROS dal 3% al 2,92%. Nel 2012 i differenziali di redditività e margini si riducono leggermente, ma restano favorevoli alle imprese non familiari. Andamenti confermati nel campione chiuso. C’è da chiedersi se questo andamento contrapposto sia effettivamente dovuto al diverso assetto proprietario o piuttosto ad altre cause come la dimensione e il settore. Il fattore dimensionale parrebbe da escludere in quanto le imprese familiari sono prevalentemente Piccole e Medie, ma dalla Tabella 2.2 si è visto che dal 2010 al 2011 la redditività e il margine sulle vendite

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per queste classi non sono diminuiti ma aumentati. Forse più rilevante il fattore settoriale alla luce del sotto peso delle imprese familiari nei comparti ‘Altre manifatture’ e ‘Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione’, che hanno avuto dinamiche di ROE e ROS superiori alla media; d’altra parte, anche i settori in sovra peso, ‘Chimica, gomme e materie plastiche’ e soprattutto ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’, sono andati meglio della media, seppure in misura inferiore.

Le imprese con struttura proprietaria di tipo familiare appaiono tuttavia leggermente più solide dal punto di vista finanziario: maggiore patrimonializzazione (39,7% contro 31,3% nel 2010, 38% contro 31,6% nel 2011 e 39,1% contro 32,7% nel 2012) e minore incidenza degli oneri finanziari (0,64% contro 0,79% nel 2010, 0,68% contro 0,84% nel 2011, 0,72% contro 0,94% nel 2012). Si osserva anche un minore indebitamento finanziario ma solo fino al 2012 (15,5% contro 20,2% nel 2010, 17,1% contro 20,5% nel 2011 e 17,1% contro 13,3% nel 2012).

Tabella 2.33 – Familiari vs non familiari: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Familiari 5,42 3,81 4,08 ROE Non familiari 5,09 9,24 9,01 ROS Familiari 3,00 2,92 2,31 ROS Non familiari 3,49 4,10 3,34 Patrimonio / Totale attivo Familiari 39,7 38,0 39,1 Patrimonio / Totale attivo Non familiari 31,3 31,6 32,7 Debiti finanziari v. terzi / Totale attivo Familiari 15,5 17,1 17,1 Debiti finanziari v. terzi / Totale attivo Non familiari 20,2 20,5 13,3 Oneri finanziari / Fatturato Familiari 0,64 0,68 0,72 Oneri finanziari / Fatturato Non familiari 0,79 0,84 0,94

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

La dimensione aziendale, in termini di fatturato, risulta inferiore per le imprese familiari (Tabella 2.34): 7,4 milioni contro 8,3 milioni nel 2010 e 8,7 milioni contro 9,1 milioni nel 2011 e 7,5 contro 8,4 nel 2012. Entrambi i gruppi aumentano la dimensione mediana nel 2011 e la riducono nel 2012 ma le variazioni delle imprese familiari, in positivo e in negativo, sono più ampie (tanto nel campione aperto quanto in quello chiuso).

Tabella 2.34 – Familiari vs non familiari: fatturato e classe di dipendenti. 2010 2011 2012

Fatturato: Familiari (valore mediano) mln di € 7,446 8,740 7,453 Fatturato: Non familiari (valore mediano) mln di € 8,301 9,063 8,414

Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA.

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Come già osservato, in aggiunta alla minore dimensione, le imprese familiari mostrano una diversa ripartizione settoriale (Tabella 2.35) con una maggiore presenza relativa nella “Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli” e nella “Chimica, gomma e materie plastiche” e una minore incidenza nei comparti delle “Altre manifatture” degli “Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione”.

Tabella 2.35 – Familiari vs non familiari: ripartizione settoriale. Settori Familiari Altre

Alimentari e bevande 9,3 8,8 Tessile e abbigliamento 5,3 5,3 Chimica, gomma e materie plastiche 13,3 10,5 Lavorazione di minerali non metalliferi 6,7 8,8 Metallurgia e prodotti in metallo 20,0 17,5 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione 4,0 10,5 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli 37,3 26,3 Altre manifatture 4,0 12,3

Domande A4 e A6.1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Per quanto riguarda le modalità che regolano la successione all’interno delle imprese familiari (Tabella 2.36), l’indagine condotta nella provincia di Reggio Emilia conferma, quanto emerso dal rapporto AUB: il modello di pianificazione del passaggio generazionale più utilizzato è quello della cooptazione delle nuove generazioni, in primo luogo con la modalità dell’inserimento graduale (40,3%) e quindi con quella dell’inserimento tout court (30,6%).

Tabella 2.36 – Imprese familiari: modello di pianificazione del passaggio generazionale. Ammesse fino a due risposte. Frequenza risposte (%).

Cooptazione (ingresso dei figli o altri famigliari, terminati gli studi, senza esperienze lavorative)

30,6

Graduale cooptazione (ingresso dei figli o altri famigliari dopo una fase di esperienza all’estero o all’esterno del gruppo familiare con precedente o successivo apprendistato in azienda)

40,3

La guida dell’azienda verrà affidata a manager esterni 1,4 Non sono state espressamente previste regole d’ingresso per i familiari 1,4 Altro / non rispondo 26,3

Domanda A6.4 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Poco rilevanti risultano sia la possibilità di affidare a manager esterni la guida dell’azienda, 1,4%, sia la mancanza di regole esplicite di ingresso per i familiari (entrambe indicate solo dall’1,4% dei rispondenti). Viene confermata quindi la vocazione delle imprese familiari ad avere coincidenza tra proprietà e management. Si segnala, comunque, che, a differenza delle imprese del nostro campione, la tendenza ad affidarsi a manager esterni nei passaggi generazionali è in crescita a livello nazionale (AUB), probabilmente anche in relazione alla crisi.

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2.5 Dati di bilancio: previsioni 2013 e 2014 (sezione D del questionario) Il 2013 vede una leggera prevalenza delle aziende che prevedono una

diminuzione del fatturato rispetto a quelle che si attendono invece un aumento: 29,5% contro 25,2% (Tabella 2.37). Nettamente migliori sono invece la aspettative sulle esportazioni previste in aumento dal 41,4% delle imprese contro il solo 10,2% che ne prevede la riduzione. Se ne desume, per conseguenza, un andamento molto negativo del fatturato nazionale. Sostanzialmente equivalente la quota di imprese pessimiste e ottimiste sulla dinamica degli utili, sia operativi, sia netti. Per la struttura finanziaria emergono attese di una certa riduzione dei debiti, più pronunciata per quelli finanziari a breve termine: in diminuzione per il 24,6% delle imprese e in aumento per il 14,3%. Evidente la tendenza al rafforzamento patrimoniale: il patrimonio netto è visto in aumento dal 36,6% del campione e in calo dal 16%. Tenuto conto che nel 2013 è prevista una caduta del PIL non molto inferiore a quella osservata nel 2012, il quadro che emerge dal campione è meno negativo di quanto ci si sarebbe potuti attendere.

Tabella 2.37 – Previsioni 2013 e 2014: intero campione. 2013

variazione sul 2012 2014

variazione sul 2013 Diminuzione Aumento Diminuzione Aumento

Dati di Conto Economico Fatturato 29,5 25,2 11,8 48,0 Esportazioni 10,2 41,4 5,7 52,0 Utile operativo 27,7 28,5 13,7 43,5 Utile netto 29,5 26,4 12,2 42,3

Dati di Stato Patrimoniale: passivo e netto Debiti verso fornitori 18,6 13,2 13,1 15,6 Debiti finanziari a BT * 24,6 14,3 24,4 12,6 Debiti finanziari a MLT * 24,0 21,5 28,4 17,2 Patrimonio netto 16,0 36,8 8,5 39,8

*Debiti finanziari: obbligazioni convertibili e non, debiti verso soci, debiti verso banche, debiti verso altri finanziatori. Breve termine: scadenti entro l’esercizio successivo. Medio e lungo termine: scadenti oltre l’esercizio successivo. Domanda D1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Decisamente positive le attese per il 2014 in tutte le variabili considerate. Nel conto economico, le imprese che prevedono un aumento di fatturato, esportazioni e utili prevalgono ampiamente su quelle che prevedono una riduzione: il gap varia da un minimo di 30 punti circa per gli utili a un massimo di 46,3 punti per l’export. Nelle fonti di finanziamento, si accentua la tendenziale riduzione dei debiti finanziari, sia a breve sia a medio-lungo termine, così come l’incremento dei mezzi patrimoniali. I debiti verso fornitori sono viceversa piuttosto stazionari: oltre il 70% dei rispondenti ritiene, infatti, che non vi saranno variazioni, mentre la restante parte si divide equamente fra chi prevede un aumento e chi una contrazione.

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Le previsioni delle imprese familiari non si discostano molto da quelle dell’intero campione (Tabella 2.38). Guardando al 2013 le differenze più sensibili riguardano il fatturato e i debiti verso fornitori: nel primo caso, le imprese a controllo familiare si rivelano più pessimiste visto che le attese di riduzione superano quelle di crescita di 11 punti (34% contro 23%), rispetto a un gap medio di 4 punti; nel secondo caso, viene pronosticata una lieve maggiore riduzione dei debiti verso fornitori con un gap di 7,2 punti contro un differenziale medio di 5,4 punti. Nel 2014 le differenze principali riguardano i debiti finanziari per i quali le imprese familiari prevedono un gap a favore delle attese di riduzione sensibilmente superiore a quello dell’intero campione: 18,6 punti contro 11,8 punti nei debiti a breve e 16 punti contro 11,2 punti nei debiti a MLT.

Tabella 2.38 – Previsioni 2013 e 2014: imprese familiari. 2013

variazione sul 2012 2014

variazione sul 2013 Diminuzione Aumento Diminuzione Aumento

Dati di Conto Economico Fatturato 33,8 23,0 9,7 47,2 Esportazioni 12,7 45,1 5,7 55,7 Utile operativo 29,2 26,4 11,6 40,6 Utile netto 29,2 25,0 8,7 40,6

Dati di Stato Patrimoniale: passivo e netto Debiti verso fornitori 18,6 11,4 13,4 14,9 Debiti finanziari a BT * 27,5 11,6 28,5 7,6 Debiti finanziari a MLT * 23,1 20,0 32,8 14,1 Patrimonio netto 14,7 35,3 6,2 40,0

*Debiti finanziari: obbligazioni convertibili e non, debiti verso soci, debiti verso banche, debiti verso altri finanziatori. Breve termine: scadenti entro l’esercizio successivo. Medio e lungo termine: scadenti oltre l’esercizio successivo. Domanda D1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

La ripartizione per classi di dipendenti (Tabella 2.39) mette in luce, per l’anno corrente, un’inattesa relazione inversa fra previsioni di fatturato e dimensione aziendale: con pessimisti e ottimisti in sostanziale equilibrio nelle Piccole e con i primi che prevalgono sui secondi nelle Medie e soprattutto nelle Grandi. Relazione opposta nelle previsioni di export, dove prevalgono sempre gli ottimisti ma con un gap che si amplia al crescere della dimensione. Quindi la contrazione del fatturato interno colpisce maggiormente le Medie e Grandi imprese. Sul fronte degli utili, la previsione delle Grandi continua ad essere negativa (la riduzione è pronosticata dal 50% e oltre delle imprese mentre solo un terzo pronostica l’aumento) in contrapposizione alla situazione più equilibrata delle Medie e delle Piccole (dove attese di riduzione e aumento tendono ad equivalersi). Sul fronte delle fonti di finanziamento le previsioni sono ancor più variegate. Nei debiti di fornitura le aspettative di riduzione superano quelle di aumento fra le Piccole imprese, si equivalgono fra le Medie e risultano inferiori fra le Grandi. Le Medie presentano un equilibrio anche per i debiti finanziari, contro attese di riduzione per i soli debiti a breve delle Piccole e anche dei debiti a

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MLT delle Grandi. Tutte le classi prevedono un miglioramento patrimoniale, più accentuato nelle Medie e soprattutto nelle Grandi. In sintesi, previsioni sui flussi neutre per le Piccole e negative per Medie e soprattutto Grandi imprese (fatta eccezione per le esportazioni); previsioni sulla struttura finanziaria positive, specie per le Grandi imprese.

Tabella 2.39 – Previsioni 2013 per classe dimensionale. Piccole Medie Grandi (-) (+) (-) (+) (-) (+)

Dati di Conto Economico Fatturato 26,0 28,6 31,8 22,7 50,0 16,7 Esportazioni 9,5 35,1 11,9 42,9 8,3 75,0 Utile operativo 26,7 28,0 23,3 27,9 50,0 33,3 Utile netto 27,0 27,0 25,6 23,3 58,3 33,3

Dati di Stato Patrimoniale: passivo e netto Debiti verso fornitori 23,0 9,5 14,0 16,3 8,3 25,0 Debiti finanziari a BT* 26,0 9,6 16,7 19,0 45,5 27,3 Debiti finanziari a MLT* 18,5 17,1 25,0 25,0 54,5 36,4 Patrimonio netto 16,7 20,8 14,6 51,2 16,7 83,3

*Debiti finanziari: obbligazioni convertibili e non, debiti verso soci, debiti verso banche, debiti verso altri finanziatori. Breve termine: scadenti entro l’esercizio successivo. Medio e lungo termine: scadenti oltre l’esercizio successivo. Domanda D1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Tabella 2.40 – Previsioni 2014 per classe dimensionale. Piccole Medie Grandi (-) (+) (-) (+) (-) (+)

Dati di Conto Economico Fatturato 9,6 46,6 11,9 50,0 25,0 50,0 Esportazioni 5,7 49,2 7,3 61,0 0,0 75,0 Utile operativo 16,9 40,8 7,3 48,8 16,7 41,7 Utile netto 14,3 41,4 7,3 43,9 16,7 41,7

Dati di Stato Patrimoniale: passivo e netto Debiti verso fornitori 18,8 13,0 7,3 14,6 0,0 33,3 Debiti finanziari a BT* 26,9 9,0 19,5 14,6 27,3 27,3 Debiti finanziari a MLT* 24,6 15,4 32,5 15,0 36,4 36,4 Patrimonio netto 11,9 23,9 2,6 53,8 8,3 83,3

*Debiti finanziari: obbligazioni convertibili e non, debiti verso soci, debiti verso banche, debiti verso altri finanziatori. Breve termine: scadenti entro l’esercizio successivo. Medio e lungo termine: scadenti oltre l’esercizio successivo. Domanda D1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Il 2014 presenta sui flussi previsioni di aumento decisamente superiori a quelle di riduzione, con saldi più ampi nella classe delle Medie ad eccezione delle solite esportazioni per le quali il gap più elevato si riscontra nella classe delle Grandi (Tabella 2.40). Grandi e Medie prevedono una evoluzione più favorevole del credito di fornitura, mentre la riduzione dei debiti finanziari è indicata da Piccole e Medie; le prime soprattutto nei debiti a breve e le seconde soprattutto

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nei debiti a MLT. Patrimonializzazione in generale aumento, con intensità crescente al crescere della classe dimensionale.

Suddividendo le imprese in base alla destinazione della produzione, le imprese che prevedono nell’anno in corso la diminuzione del fatturato sono prevalenti nel comparto dei beni di consumo, a causa però delle vendite sul mercato nazionale visto che per le esportazioni questo comparto è quello con le previsioni più favorevoli (Tabella 2.41). Considerando gli utili, al cauto ottimismo delle imprese produttrici di beni intermedi si affianca il tendenziale pessimismo degli altri comparti, più accentuato nei beni d’investimento. In termini di struttura finanziaria, le maggiori tensioni sono previste nel comparto dei beni d’investimento per aspettative di incremento dei debiti finanziari, in controtendenza rispetto agli altri comparti, e per attese di incremento del patrimonio inferiori a quelle degli altri comparti (forse riflesso del maggior pessimismo sulla dinamica degli utili).

Tabella 2.41 – Previsioni 2013 per destinazione della produzione. Beni investimento Beni consumo Beni intermedi (-) (+) (-) (+) (-) (+)

Dati di Conto Economico Fatturato 25,9 29,6 41,5 29,3 24,6 21,5 Esportazioni 11,5 38,5 5,0 52,5 12,9 35,5 Utile operativo 29,2 20,8 34,1 29,3 23,1 30,8 Utile netto 29,2 16,7 35,0 25,0 26,2 30,8

Dati di Stato Patrimoniale: passivo e netto Debiti verso fornitori 20,0 20,0 20,0 10,0 17,2 12,5 Debiti finanziari a BT* 16,7 33,3 20,5 5,1 30,2 12,7 Debiti finanziari a MLT* 18,2 31,8 24,3 18,9 25,8 19,4 Patrimonio netto 25,0 29,2 21,1 31,6 9,5 42,9

*Debiti finanziari: obbligazioni convertibili e non, debiti verso soci, debiti verso banche, debiti verso altri finanziatori. Breve termine: scadenti entro l’esercizio successivo. Medio e lungo termine: scadenti oltre l’esercizio successivo. Domanda D1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Per il prossimo anno (Tabella 2.42), pur in un ritrovato generale ottimismo, i beni di consumo continuano ad avere previsioni di fatturato meno favorevoli di quelle dei beni d’investimento e intermedi, ancora una volta a causa del mercato nazionale. Identiche considerazioni possono essere fatte per le previsioni di crescita degli utili, con i beni di consumo in ultima posizione e i beni di investimento in prima.

L’attesa espansione del fatturato giustifica un, seppur minore, aumento del credito di fornitura, risorsa a cui però non prevedono di attingere i produttori di beni di consumo. Per i debiti finanziari si confermano le tendenze del 2013, con il comparto dei beni di investimento che non prevede tanto riduzioni dell’indebitamento finanziario quanto una ricomposizione, comunque positiva, a favore della componente a MLT. Riduzioni invece attese nei beni di consumo e intermedi. Continua anche la crescita generalizzata dei mezzi propri con la

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differenza che le previsioni meno ottimistiche passano dal comparto dei beni di investimento a quello dei beni di consumo (d’altronde le imprese produttrici di beni di consumo denotano anche il minor ottimismo sulla dinamica degli utili).

Tabella 2.42 – Previsioni 2014 per destinazione della produzione. Beni investimento Beni consumo Beni intermedi (-) (+) (-) (+) (-) (+)

Dati di Conto Economico Fatturato 8,0 52,0 17,5 40,0 9,7 51,6 Esportazioni 8,3 54,2 5,0 57,5 5,1 47,5 Utile operativo 4,3 47,8 22,5 40,0 11,5 44,3 Utile netto 4,3 43,5 23,1 38,5 8,2 44,3

Dati di Stato Patrimoniale: passivo e netto Debiti verso fornitori 17,4 21,7 12,8 10,3 11,7 16,7 Debiti finanziari a BT* 28,6 23,4 17,9 7,7 27,1 11,9 Debiti finanziari a MLT* 25,0 30,0 26,3 13,2 31,0 15,5 Patrimonio netto 9,1 45,5 13,5 29,7 5,1 44,1

*Debiti finanziari: obbligazioni convertibili e non, debiti verso soci, debiti verso banche, debiti verso altri finanziatori. Breve termine: scadenti entro l’esercizio successivo. Medio e lungo termine: scadenti oltre l’esercizio successivo. Domanda D1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Tabella 2.43 – Previsioni 2013 per settore: saldo aumenti e diminuzioni (%) Alim Tess Chim Mine Metal Elet Macch Altre Saldo Saldo Saldo Saldo Saldo Saldo Saldo Saldo

Dati di Conto Economico Fatturato +33,3 -85,7 +12,5 0,0 -15,4 +11,1 -2,4 -20,0 Esportazioni +50,0 +28,6 +25,0 +66,7 +17,4 +37,5 +32,5 +10,0 Utile operativo +41,6 -85,7 +37,5 +40,0 -19,3 +25,0 -12,1 0,0 Utile netto +27,2 -71,4 +37,5 +30,0 -23,1 +25,0 -17,0 0,0

Dati di Stato Patrimoniale: passivo e netto Deb. v. fornitori -8,3 -14,3 -13,3 +10,0 -11,5 -12,5 +2,5 -10,0 Deb. fin. BT* -25,0 -16,7 0,0 0,0 -12,0 0,0 -12,0 -10,0 Deb. fin. MLT* -9,1 -16,7 +6,7 -33,3 +8,7 -16,6 +2,4 -10,0 Patrimonio netto +41,7 +14,4 +46,7 +50,0 0,0 -12,5 +20,0 +10,0

*Debiti finanziari: obbligazioni convertibili e non, debiti verso soci, debiti verso banche, debiti verso altri finanziatori. Breve termine: scadenti entro l’esercizio successivo. Medio e lungo termine: scadenti oltre l’esercizio successivo. Domanda D1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Dal punto di vista settoriale, emergono attese notevolmente differenziate. Un 2013 positivo per il conto economico è previsto da ‘Alimentari e bevande’, ‘Chimica, gomma e materie plastiche’, ‘Lavorazione di minerali non metalliferi’, ‘Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione’. Previsioni negative invece per ‘Tessile e abbigliamento’, ‘Metallurgia e prodotti in metallo’, ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’ e neutre per ‘Altre manifatture’ (Tabella 2.43). Le esportazioni sono l’unica variabile con aspettative di aumento per tutti i settori, in particolare per ‘Lavorazione di minerali non metalliferi’ e ‘Alimentari e bevande’.

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Tendenzialmente i settori più ottimisti sul fronte dei flussi sono anche quelli che prevedono una riduzione dei debiti finanziari e i maggiori incrementi patrimoniali. Sul primo aspetto fanno eccezione il settore ‘Tessile e abbigliamento’ che pur molto pessimista sulle prospettive di utile si aspetta comunque una riduzione dei debiti finanziari, e il settore ‘Chimica, gomma e materie plastiche’ che pur ottimista sugli utili non riduce i debiti finanziari (aspettative di nuovi investimenti?). Sul secondo aspetto l’eccezione è rappresentata dal settore ‘Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione’ che nonostante aspettative di utili abbastanza favorevoli è l’unico con un gap negativo per le previsioni sui mezzi propri.

Tabella 2.44 – Previsioni 2014 per settore: saldo aumenti e diminuzioni (%) Alim Tess Chim Mine Metal Elet Macch Altre Saldo Saldo Saldo Saldo Saldo Saldo Saldo Saldo

Dati di Conto Economico Fatturato +33,3 -28,5 +57,2 +50,0 +28,0 +55,6 +46,3 0,0 Esportazioni +33,3 +42,9 +40,0 +66,7 +40,9 +62,5 +58,5 0,0 Utile operativo +33,3 -28,5 +46,2 +40,0 +16,0 +50,0 +40,0 +11,1 Utile netto +27,3 -28,5 +46,2 +40,0 +20,0 +50,0 +40,0 +11,1

Dati di Stato Patrimoniale: passivo e netto Deb. v. fornitori 0,0 +14,3 +16,7 -10,0 +4,0 -12,5 +2,5 0,0 Deb. fin. BT* -25,0 -16,7 0,0 0,0 -20,9 0,0 -12,9 0,0 Deb. fin. MLT* -18,2 -16,7 -7,7 -20,0 -9,1 -16,6 -10,3 0,0 Patrimonio netto +45,5 +28,6 +61,5 +55,6 +13,1 0,0 +34,2 +11,1

*Debiti finanziari: obbligazioni convertibili e non, debiti verso soci, debiti verso banche, debiti verso altri finanziatori. Breve termine: scadenti entro l’esercizio successivo. Medio e lungo termine: scadenti oltre l’esercizio successivo. Domanda D1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Nel 2014 continua la sofferenza economica del settore ‘Tessile e abbigliamento’, con previsioni ancora negative per fatturato nazionale e utili, e la neutralità del settore ‘Altre manifatture’, con ottimisti e pessimisti in sostanziale equilibrio (Tabella 2.44). Fra gli ottimisti i settori ‘Alimentari e bevande’ e ‘Metallurgia e prodotti in metallo’ appaiono i più prudenti.

‘Altre manifatture’ a parte, per il prossimo anno tutti i settori vedono prevalere le imprese che prevedono di ridurre i loro debiti finanziari a MLT, spesso anche quelli a breve. Decrementi dei debiti a breve sensibilmente superiori a quelli dei debiti a MLT caratterizzano ‘Alimentari e bevande’ e ‘Metallurgia e prodotti in metallo’, i due settori che, come detto, sono anche i più prudenti nel prevedere miglioramenti di fatturato e utili. Prosegue l’ottimismo sugli incrementi patrimoniali con la solita eccezione del settore ‘Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione’, nonostante le positive previsioni di utili; progressi contenuti anche per i settori ‘Metallurgia e prodotti in metallo’ e ‘Altre manifatture’ in coerenza con aspettative di utili positive ma inferiori alla media.

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2.6 Finanza e credito (sezione E del questionario)

2.6.1 Decisioni di finanziamento La prima domanda che è stata posta agli imprenditori, generale e di natura

qualitativa, riguarda la percezione della rilevanza delle problematiche finanziarie, in termini di disponibilità, costo e tipologia di fondi, ai fini del successo complessivo dell’impresa (Tabella 2.45).

Dalle risposte delle imprese, l’incidenza delle problematiche finanziarie appare solo lievemente superiore a quella della precedente rilevazione: il 13,5% dell’intero campione ritiene ‘molto’ e il 28,6% ‘abbastanza’ rilevanti tali aspetti, contro valori rispettivamente del 12,4% e del 27,8% nel maggio 2011. Questa sensibilità dipende più dal fattore dimensionale che da quello proprietario. Sommando i giudizi ‘molto’ e ‘abbastanza’ emerge infatti una chiara relazione inversa fra la rilevanza attribuita alle problematiche finanziarie e la classe dimensionale, con le Piccole al 45,5%, le Medie al 39,5% e le Grandi al 30,8%. Le punte di sensibilità vengono comunque raggiunte fra le imprese Medie con una frequenza della rilevanza massima del 20,9% rispetto al 10,4% delle Piccole e al 7,7% delle Grandi. La proprietà familiare esercita invece un effetto minore: la sensibilità è sì inferiore alla media, ma in misura sfumata: i giudizi ‘abbastanza’ sono il 27% (1,6 punti sotto media) e i giudizi ‘molto’ il 13,5% (1,2 punti sotto media).

Tabella 2.45 – Rilevanza delle problematiche finanziarie (disponibilità, costo e tipologia dei fondi) per il successo della Sua impresa. Voto da 0 a 3 (0=per nulla; 1=poco; 2=abbastanza; 3=molto). Frequenza risposte (%).

Per nulla Poco Abbastanza Molto Intero campione 24,1 33,8 28,6 13,5 Imprese familiari 24,3 36,5 27,0 12,2 Piccole 26,0 28,6 35,1 10,4 Medie 18,6 41,9 18,6 20,9 Grandi 30,8 38,5 23,1 7,7

Domanda E1.1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Non si può pertanto affermare che a distanza di due anni dalla precedente rilevazione l’importanza delle problematiche finanziarie sia diminuita; d’altra parte non si registra nemmeno un significativo aumento.

Diventa quindi interessante approfondire le caratteristiche delle imprese del campione più sensibili agli aspetti finanziari, in particolare valutare quali siano i loro tratti economico-finanziari.

La Tabella 2.46 riporta, per il triennio 2010-2012, i principali indici di bilancio suddivisi in funzione delle risposte delle imprese. Le imprese che ritengono ‘per nulla’ rilevanti le problematiche finanziarie sono nettamente più redditizie e solide rispetto a quelle che invece giudicano tali problematiche ‘molto’ rilevanti: maggiore redditività (ROE), margine sulle vendite (ROS),

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patrimonializzazione (“Patrimonio/Totale attivo); minore incidenza dei debiti finanziari sul complesso delle attività e degli oneri finanziari rapportati al fatturato aziendale. Ciò caratterizza anche le imprese per le quali le problematiche finanziarie sono ‘poco’ importanti rispetto a quelle che invece le considerano ‘abbastanza’ importanti, ma in misura meno netta e più negli indicatori reddituali (ROE e ROS) che negli indicatori di equilibrio finanziario. Abbastanza marcate sono infine le differenze nei dati di bilancio fra le categorie ‘abbastanza’ e ‘molto’.

Tabella 2.46 – Rilevanza delle problematiche finanziarie: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Per nulla 9,68 9,74 8,79 Poco 8,36 9,33 9,03 Abbastanza 0,86 2,88 3,71 Molto -0,88 -1,55 2,12 ROS Per nulla 5,27 7,07 5,05 Poco 4,45 4,13 3,25 Abbastanza 2,65 2,73 2,31 Molto 1,92 1,34 1,93 Patrimonio / Totale attivo Per nulla 47,3 46,5 48,5 Poco 37,7 35,2 32,8 Abbastanza 30,7 29,7 30,7 Molto 13,1 13,7 16,0 Debiti finanziari v. terzi / Totale attivo Per nulla 5,9 4,6 1,6 Poco 19,6 20,7 18,7 Abbastanza 20,5 24,0 18,7 Molto 30,4 30,9 36,7 Oneri finanziari / Fatturato Per nulla 0,35 0,31 0,30 Poco 0,64 0,74 0,86 Abbastanza 0,84 0,82 0,81 Molto 1,12 1,37 1,84

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario (domanda F1.1) e AIDA.

Questa prima relazione tra risposte del questionario e dati oggettivi di bilancio mostra un legame fra attribuzione di rilevanza e situazione economico-finanziaria con profili di debolezza: il grado di importanza attribuita alle problematiche finanziarie appare dunque una proxy della salute economico-finanziaria dell’impresa. D’altra parte ciò evidenzia come la sensibilità verso gli aspetti finanziari della gestione aziendale emerga non come elemento fisiologico ma in presenza di criticità. Va comunque rilevato come le differenze nella performance economico-finanziaria fra le quattro categorie di rispondenti si siano

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ridotte nel corso del triennio (anche nel campione chiuso), con l’eccezione del peso dell’indebitamento finanziario e dei connessi oneri per le imprese che manifestano la maggiore sensibilità alle problematiche finanziarie, come se tali problematiche si esaurissero nella disponibilità e nel costo del credito (in larga parte bancario).

Se dalla generale considerazione sulle problematiche finanziarie si passa all’annoso tema della sotto capitalizzazione, emerge come solo il 18% dei rispondenti ritenga insufficiente il livello del proprio patrimonio (Tabella 2.47). Questo dato si abbassa al 13,5% per le imprese familiari e al 7,7% per quelle Grandi, mentre sale al 20% per le Medie che, del resto, con identica percentuale valutano come ‘molto’ rilevanti le problematiche finanziarie.

Tabella 2.47 – Ritiene la sua azienda sufficientemente patrimonializzata? Frequenza risposte (%).

No Intero campione 18,0 Imprese familiari 13,5 Piccole 18,2 Medie 20,9 Grandi 7,7

Domanda E1.2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Mettendo a confronto tale indicazione con la percezione della rilevanza delle problematiche di natura finanziaria è possibile valutare quanto quest’ultima sia collegata a una situazione di carenza patrimoniale (Tabella 2.48).

In effetti, la quota di imprese che ritiene ‘molto’ rilevanti le problematiche finanziarie è ben il 41,7% fra quelle che affermano di avere un’insufficiente patrimonializzazione e solo il 7,3% fra quelle che ritengono di avere un patrimonio sufficiente. Nella categoria ‘abbastanza’ le due percentuali sono rispettivamente il 41,7 e il 27,5.

Tabella 2.48 – Relazione tra ‘rilevanza problematiche finanziarie’ e ‘autovalutazione della patrimonializzazione’.

in % sul totale risposte Patrimonializzazione sufficiente Rilevanza problematiche finanziarie No Sì Per nulla 4,4 28,4 Poco 12,2 38,6 Abbastanza 41,7 25,7 Molto 41,7 7,3 Totale 100,0 100,0

Domande E1.1 e E1.2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Le imprese sembrano dunque comprendere il peso che una scarsa dotazione di mezzi propri può avere sulla disponibilità, costo e tipologia di fondi. L’esistenza di una quota non marginale di imprese sufficientemente patrimonializzate (33%) che valuta ‘abbastanza’ o ‘molto’ rilevanti le

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problematiche finanziarie suggerisce che le tensioni finanziarie sono funzione anche di altri fattori.

La correttezza della percezione della risposta relativa all’autovalutazione della propria patrimonializzazione trova conferma anche dai dati di bilancio (Tabella 2.49): le imprese che ritengono di avere un sufficiente grado di patrimonializzazione si connotano, durante tutto del triennio 2010-2012, per un migliore profilo patrimoniale e finanziario stante la maggiore copertura da mezzi propri e la minore incidenza dei debiti e oneri finanziari. Più elevati sono anche il ROE e il ROS ma solo nel biennio 2010-11.

Nel complesso, quindi, le imprese reggiane manifestano una buona capacità nel leggere e autovalutare il proprio livello di solidità patrimoniale, forse aiutate in tal senso dalle banche affidanti. Queste evidenze dimostrano inoltre che le imprese con bassa patrimonializzazione, alto indebitamento finanziario e alti oneri finanziari sono riuscite a recuperare il gap di marginalità e redditività proprio nell’anno meno favorevole, il 2012.

Tabella 2.49 – Autovalutazione della patrimonializzazione: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ Giudizio sulla patrimonializzazione ROE Sufficiente 5,76 7,91 5,41 Insufficiente 0,55 1,02 5,45 ROS Sufficiente 3,53 4,18 2,82 Insufficiente 2,27 2,10 2,54 Patrimonio / Totale attivo Sufficiente 40,2 38,2 39,5 Insufficiente 9,63 9,87 14,7 Debiti finanziari v. terzi / Totale attivo Sufficiente 13,5 15,8 13,3 Insufficiente 33,3 34,6 35,3 Oneri finanziari / Fatturato Sufficiente 0,56 0,65 0,69 Insufficiente 1,17 1,49 1,84

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario (domanda F1.5) e AIDA.

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2.6.2 Garanzie collettive

Nell’insieme, più del 40% delle imprese del campione ha usufruito di garanzie collettive dal 2008 a oggi (Tabella 2.50). Il controllo familiare non sembra incidere su questo aspetto avendo tali imprese una frequenza di utilizzo pressoché uguale a quella del campione completo. Più influente è invece la dimensione aziendale, con il valore minimo fra le Grandi (30,8%) e massimo fra le Medie (62,5%). Queste ultime presentano anche il valore più elevato per quanto riguarda la quota di imprese che ha aumentato il ricorso alle garanzie collettive durante questi anni di crisi: ben il 60% contro una media del 40%. Nessun aumento per le Grandi imprese. E’ dunque evidente il ruolo svolto dai consorzi di garanzia per agevolare l’accesso al credito delle imprese, soprattutto di medie e piccole dimensioni.

Tabella 2.50 – Garanzie da enti/consorzi fidi dal 2008 a oggi. Sì (frequenza %) In aumento sul 2007 (%) Intero campione 41,4 40,0 Imprese familiari 41,9 41,9 Piccole 46,8 36,1 Medie 62,5 60,0 Grandi 30,8 0,0

Domande E2.1 e E2.2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Se si mette a confronto il dato relativo all’ottenimento di garanzie con quello relativo alle problematiche finanziarie emerge una discreta coerenza sebbene il 38,2% delle imprese che ritiene ‘per nulla’ o ‘poco’ rilevanti le problematiche finanziarie, abbia comunque ricevuto garanzie, mentre, sul fronte opposto, circa il 28,2% delle imprese che valuta rilevanti le questioni finanziarie (e i cui dati di bilancio ne mostrano anche la maggiore debolezza rispetto alle altre), non abbia beneficiato di garanzie (Tabella 2.51). Il ricorso alle garanzie collettive pare quindi avere interessato prevalentemente, ma non solo, imprese caratterizzate da tensioni finanziarie.

Tabella 2.51 – Relazione tra ‘rilevanza problematiche finanziarie’ e ‘garanzie ricevute da confidi’.

in % sul totale risposte Ricevuto garanzie dal 2008 da confidi? Rilevanza problematiche finanziarie No Sì Per nulla 30,7 14,5 Poco 41,1 23,7 Abbastanza 23,1 36,5 Molto 5,1 25,4 Totale 100,0 100,0

Domande E1.1 e E2.1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Questa considerazione trova fondamento anche nella relazione fra la rilevanza delle problematiche finanziarie e l’aumento delle garanzie: in effetti oltre il 70% delle imprese che ha aumentato tali garanzie rispetto al 2007 valuta ‘abbastanza’ o ‘molto’ rilevanti le problematiche finanziarie (Tabella 2.52). Per le

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imprese che non hanno accresciuto il peso delle garanzie collettive, la rilevanza degli aspetti finanziari si distribuisce in modo all’incirca equivalente fra quelle che la considerano ridotta (‘nulla’ o ‘poco’) e quelle che la giudicano elevata (‘abbastanza’ o ‘molto’), con una leggere prevalenza delle seconde (54,5% contro 45,5%). Le differenze fra il gruppo con garanzie collettive in aumento e l’altro si concentrano nei due livelli estremi di rilevanza: 36,2% contro 18,2% nei giudizi ‘molto’ e 4,5% contro 21,2% nei giudizi ‘per nulla’.

Tabella 2.52 – Relazione tra ‘rilevanza problematiche finanziarie’ e ‘garanzie in aumento’.

in % sul totale risposte Garanzie in aumento rispetto al 2007? Rilevanza problematiche finanziarie No Sì Per nulla 21,2 4,5 Poco 24,3 22,8 Abbastanza 36,3 36,5 Molto 18,2 36,2 Totale 100,0 100,0

Domande E1.1 e E2.2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Lo stesso tipo di esito si vede mettendo a confronto l’autovalutazione della patrimonializzazione con l’utilizzo delle garanzie (Tabella 2.53): la quota di imprese che lamenta un livello patrimoniale insufficiente è più elevata fra quelle che hanno fatto ricorso alle garanzie collettive: 32,7% contro 7,7%. Le imprese che si considerano sufficientemente patrimonializzate sono comunque la maggioranza in entrambi i sotto gruppi: il 67,7% fra le imprese beneficiarie di garanzie collettive e il 92,3% fra quelle non beneficiarie.

Tabella 2.53 – Relazione tra ‘autovalutazione della patrimonializzazione’ e ‘garanzie ricevute da confidi’.

in % sul totale risposte Ricevuto garanzie dal 2008 da confidi? Patrimonializzazione sufficiente No Sì No 7,7 32,7 Sì 92,3 67,7 Totale 100,0 100,0

Domande E1.2 e E2.1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Tabella 2.54 – Relazione tra ‘autovalutazione della patrimonializzazione’ e ‘garanzie in aumento rispetto al 2007’.

in % sul totale risposte Garanzie in aumento rispetto al 2007? Patrimonializzazione sufficiente No Sì No 21,2 50,0 Sì 78,8 50,0 Totale 100,0 100,0

Domande E1.2 e E2.2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Infine dalla relazione esistente tra l’autovalutazione relativa alla propria patrimonializzazione e l’aumento delle garanzie rispetto al 2007 (Tabella 2.54) emerge come la quota di imprese che si ritengono sufficientemente

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patrimonializzate (e che tendono ad esserlo veramente in base ai dati di bilancio) sia più bassa nel gruppo che ha dichiarato un aumento delle garanzie ricevute dai confidi: 50% contro quasi l’80%.

Nel complesso, la frequenza sia del ricorso alle garanzie collettive, sia dell’incremento del loro peso durante gli anni della crisi è maggiore tra le imprese poco patrimonializzate e che ritengono importanti gli aspetti finanziari per le sorti aziendali. L’esatto contrario di quanto riscontrato nella rilevazione del 2011.

L’incrocio dei dati di bilancio con le risposte dei questionari relative all’utilizzo delle garanzie avvalora, al pari con gli altri confronti svolti sui dati economico-finanziari, l’associazione con situazioni di debolezza reddituale e soprattutto patrimoniale e finanziaria (Tabella 2.55). Le imprese che hanno ottenuto garanzie collettive presentano una minore redditività, un peggiore margine sulle vendite, un minore livello di patrimonializzazione, una maggiore incidenza dei debiti finanziari e degli oneri finanziari, rispetto alle imprese che invece non ne hanno usufruito.

Tabella 2.55 – Garanzie consortili: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Non utilizzate 8,56 9,24 7,21 Ottenute 2,01 2,33 2,88 ROS Non utilizzate 3,53 4,77 3,03 Ottenute 2,81 2,77 2,42 Patrimonio / Totale attivo Non utilizzate 40,4 37,4 38,8 Ottenute 31,0 27,8 28,9 Debiti finanziari v. terzi / Totale attivo Non utilizzate 10,0 10,7 8,5 Ottenute 29,2 31,7 30,6 Oneri finanziari / Fatturato Non utilizzate 0,39 0,58 0,59 Ottenute 0,82 1,00 1,07

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario (domanda E2.1) e AIDA.

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2.6.3 Rapporti con le banche

Oggetto delle successive evidenze empiriche è lo stato del rapporto banca-impresa. Gli aspetti indagati sono: il numero di banche affidatarie, la quota di affidamenti della banca principale, la sua identità e la durata della relazione, la facilità di sostituzione della banca principale, il razionamento del credito, la ristrutturazione del debito, la richiesta di rimborso anticipato.

Iniziamo dal multiaffidamento e dalla relazione con la banca principale per valutare l’intensità del rapporto. Come noto, le imprese italiane si distinguono da quelle di altri paesi per un maggiore ricorso al credito bancario nel finanziamento della loro attività Questa specificità non significa che il rapporto con la banca principale sia particolarmente stretto; al contrario, in un confronto europeo, le imprese italiane hanno in media rapporti con un maggior numero di banche e una quota di debito con la banca principale più bassa (Unicredit 2011, p. 56).

A fine dicembre 2012 le imprese del campione intrattenevano rapporti mediamente con 5,5 banche (Tabella 2.56). Tale dato risulta leggermente in calo rispetto alle 6,2 del 2007 rilevate in una precedente ricerca (Bisoni 2010, p.84, Tab. 2.24)20.

Tabella 2.56 – Numero banche a fine 2012. Media Mediana Min Max Dev.Std

Intero campione 5,2 5,0 1 13 2,6 Imprese familiari 5,3 5,0 1 13 2,7 Piccole 4,5 4,0 1 11 2,1 Medie 5,8 5,0 2 13 2,7 Grandi 8,3 8,5 5 12 2,6 Variazione sul 2007 - Frequenze (%) Diminuito Stabile Aumentato Intero campione 20,3 63,9 15,8 Imprese familiari 20,3 62,2 17,6 Piccole 20,8 62,3 16,9 Medie 23,3 67,4 9,3 Grandi 7,7 61,5 30,8

Domanda E3.1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

I valori medi e mediani delle imprese familiari sono sostanzialmente allineati a quelli dell’intero campione, da cui invece si distaccano molto la media e la mediana delle Grandi imprese, 8,3 e 8,5 banche rispettivamente, a conferma di una relazione positiva tra la dimensione dell’impresa e il numero di relazioni bancarie.

20 I due campioni sono diversi considerando che quello del 2007 include tutti i settori produttivi, mentre quello della presente indagine include solo le imprese manifatturiere. Anche la numerosità del campione di imprese reggiane è diversa: 116 imprese per il dato del 2007 e 135 per l’attuale ricerca.

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In termini di evoluzione rispetto al 2007, quasi due imprese su tre hanno mantenuto stabile il numero dei rapporti bancari, mentre una su cinque lo ha ridotto. Le situazioni di aumento del numero di interlocutori bancari sono più frequenti fra le Grandi imprese (30,8%) e meno fra le Medie imprese (9,3%).

Il tema del multiaffidamento è da sempre oggetto di attenzione nelle ricerche e nelle analisi sul rapporto banca-impresa. In particolare, in un’analisi territoriale relativa al Nord Est emergono due interessanti aspetti circa le opinioni del mondo imprenditoriale sul numero delle banche: a) solo il 15,6% delle imprese ha rapporti con 5 o più banche; b) se dal numero di rapporti intrattenuti oggi si passa a considerare il numero di rapporti ritenuto ottimale, le risposte evidenziano una volontà/necessità di razionalizzazione (Fondazione Nord Est 2009, p. 7)21.

Anche il valore medio della quota di affidamenti facente capo alla banca principale si presenta in contrazione rispetto al dato sia del 2007 (Bisoni 2010, p. 86, Tab. 2.25), sia della nostra precedente rilevazione del 2011 (entrambi superiori al 45%), collocandosi intorno al 39% per il campione complessivo e al 38% per le imprese familiari, con un’elevata dispersione in entrambi i gruppi (Tabella 2.57). Quindi, si riduce il numero di rapporti bancari ma perde peso anche la quota di affidamenti della banca principale.

Tabella 2.57 – Quota affidamenti della banca principale a fine 2012. Media Mediana Min Max Dev.Std

Intero campione 39,2 35,0 0,0 100,0 26,2 Imprese familiari 38,2 34,5 0,0 100,0 27,4 Piccole 41,4 38,5 0,0 100,0 29,2 Medie 38,6 35,0 0,0 100,0 20,5 Grandi 28,3 20,0 0,0 70,0 20,6

Domanda E3.2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Le Grandi mostrano valori nettamente inferiori sia nel dato medio che in quello mediano, mentre la concentrazione degli affidamenti nelle Piccole supera, ma di poco, quella nelle Medie. Del resto, in tutti i paesi la quota del debito nei confronti della banca principale diminuisce al crescere della dimensione, segnalando un rapporto meno intenso per le imprese più grandi, anche a causa del maggior numero di rapporti bancari intrattenuti (Unicredit 2011, p. 60).

Tabella 2.58 – Anni di relazione con la banca principale. Media Mediana Min Max Dev.Std

Intero campione 16,8 10 1 60 13,6 Imprese familiari 17,1 10 1 60 14,6 Piccole 16,1 11 1 45 12,6 Medie 19,3 10 3 60 15,8 Grandi 12,9 10 1 40 11,6

21 Occorre tuttavia segnale che anche tale indagine, a differenza della presente, è riferita sia alle imprese manifatturiere sia a quelle di servizi.

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Domanda E3.2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

La relazione con la banca principale si conferma piuttosto stabile (Tabella 2.58), durando in media da circa 17 anni, 10 come valore mediano, frutto comunque di comportamenti molto eterogenei, come dimostra l’alta volatilità (circa 14 anni per l’intero campione). Anche sotto il profilo della durata, sono le Grandi imprese a differenziarsi, con un valore medio ben inferiore, circa 13 anni, ma un identico valore mediano. Alcuni segnali di cambiamento comunque emergono. Negli ultimi 3 anni (2010-2012) solo il 13,1% delle imprese rispondenti risulta avere cambiato la banca di riferimento, contro il 21,3% del triennio precedente (2007-2009), con un ritorno a livelli simili a quelli ante crisi (11,8%, Bisoni 2010, p. 95, Tab. 2.30). Pare pertanto che la sostituzione della banca principale sia stata una scelta o una costrizione più frequente nel periodo di prima manifestazione della crisi.

Tabella 2.59 – Relazione tra ‘autovalutazione della patrimonializzazione’ e ‘stessa banca dal 2009’.

in % sul totale risposte Stessa banca principale dal 2009 Patrimonializzazione sufficiente No Sì No 42,9 17,8 Sì 57,1 82,8 Totale 100,0 100,0

Domande E3.2 e E1.2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Le imprese che hanno cambiato la banca principale nel triennio (2010-12) non si ritengono sufficientemente patrimonializzate in misura sensibilmente superiore a quella delle imprese che hanno mantenuto la stessa banca principale: 42,9% contro 17,8% (Tabella 2.59). Nella precedente rilevazione il passaggio da un banca all’altra aveva riguardato una percentuale ben maggiore di imprese sufficientemente capitalizzate. E’ dunque probabile che in questa seconda fase della crisi, la sostituzione della banca principale non sia motivata tanto dalla ricerca di migliori condizioni di finanziamento da parte di imprese solide, quanto dalla necessità di sottrarsi a situazioni di razionamento del credito.

Per quanto riguarda l’identità della banca principale, la più citata è la Popolare dell’Emilia Romagna, seguita dal Banco Popolare (Bp), da Unicredit, da Credem e da Montepaschi (Tabella 2.60). Si conferma il predominio delle banche con forte radicamento territoriale, vuoi perché con sede nella provincia (Credem) o in province limitrofe (Bper), vuoi perché acquirenti di banche locali22, ma rispetto alla precedente rilevazione va rimarcato, con la più volte ricordata cautela, lo scambio fra le prime due banche in graduatoria, cioè il sorpasso di Bper ai danni di Bp. Come frequenza di citazioni non vi sono sostanziali differenze fra l’intero campione e il sotto gruppo delle imprese familiari, mentre sussistono

22 Per memoria si ricorda che il Banca Popolare ha assorbito il Banco San Geminiano e San Prospero, Unicredit la banca Bipop-Cassa di Risparmio di Reggio Emilia, Montepaschi la Banca Agricola Mantovana già acquirente di Cooperbanca.

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differenze nella ripartizione dimensionale dove nelle due classi maggiori (Medie e soprattutto Grandi) il Banco Popolare riconquista la prima posizione davanti alla Popolare dell’Emilia Romagna.

Le imprese che hanno come banca principale una banca con sede nel territorio (Bper o Cdem) tendono a ottenere da questa una quota media di affidamenti tendenzialmente maggiore. Questo fenomeno si estende anche al Banco Popolare fra le imprese familiari.

Tabella 2.60 – Graduatoria citazioni banca principale a fine 2010. Nome e frequenza risposte (%).

Prima Seconda Terza Quarta Quinta Intero campione Bper 27,2 Bp 26,2 Unic 14,6 Cdem 11,7 Mps 4,9 Imprese familiari Bper 29,6 Bp 22,2 Unic 14,8 Cdem 14,8 Mps 3,7 Piccole Bper 29,7 Bp 21,9 Unic 15,6 Cdem 12,5 Crbo 6,3 Medie Bp 29,0 Bper 25,8 Unic 12,9 Cdem 9,7 Mps 9,7 Grandi Bp 50,0 Bper 12,5 Unic 12,5 Cdem 12,5 Isp 12,5 Quota media affidamenti (%) per banca principale Intero campione Imprese familiari Bp 37,6 43,1 Bper 48,9 43,4 Unic 36,8 25,9 Cdem 43,6 44,1

Bp = Gruppo Banco Popolare. Bper = Banca Popolare dell’Emilia Romagna. Unic = Unicredito. Cdem = Credito Emiliano. Crbo = Cassa di Risparmio di Bologna. Mps = Monte dei Paschi di Siena. Domanda E3.2 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Con la seconda coda della recessione è aumentata la quota di imprese che dichiara ‘difficile’ o quasi impossibile’ la potenziale ricerca di un altro istituto nel caso in cui fosse richiesto il rientro delle posizioni debitorie in essere (Tabella 2.61), raggiungendo rispettivamente il 23,7% (era il 19,3%) e l’8,9% (era l’1,4%). Costante, su valori elevati, il numero di imprese che non sanno o si astengono dal rispondere. La situazione delle imprese familiari ricalca quella media.

Tabella 2.61 – Se la banca principale richiedesse il rientro delle posizioni debitorie in essere, la ricerca di un’altra banca sarebbe… Frequenza risposte (%).

Intero campione Imprese familiari Facile 41,5 42,7 Difficile 23,7 25,3 Quasi impossibile 8,9 5,3 Non so / non rispondo 25,9 26,7

Domanda F3.3 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

A corredo di questo risultato si segnala che nel 2012 o nella prima parte del 2013 solo dieci delle imprese rispondenti, pari al 7,6% del campione, hanno ricevuto una richiesta di rimborso anticipato. Secondo un’indagine nazionale il 10,3% delle imprese industriali avrebbe ricevuto dai propri finanziatori richieste

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di rimborso anticipato del debito nel 2012, in crescita rispetto al 7,9% del 2011 (Banca d’Italia 2013, p. 22, Tav.7).

L’esame combinato delle risposte relative alla difficoltà sul rientro delle posizioni debitorie e alla conseguente ricerca di un’altra banca con la situazione economico-finanziaria dà risultati interessanti. Emerge infatti che le imprese che valutano tale ricerca ‘facile’ sono quelle caratterizzate da una migliore redditività, un miglior margine sulle vendite, una più elevata capitalizzazione, oltre che da più contenuti indici relativi all’incidenza dei debiti finanziari sul totale attivo e degli oneri finanziari sul fatturato. Occorre peraltro sottolineare come anche le imprese che affermano di non saper o voler rispondere a questa domanda mostrino una performance reddituale buona e una struttura finanziaria addirittura più solida di quella delle imprese che considerano facile tale ricerca (Tabella 2.62).

Tabella 2.62 – Ricerca di altra banca principale: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Facile 9,51 10,22 9,73 Difficile 0,95 1,41 0,65 Quasi impossibile -0.18 2.03 4,23 Non so / non rispondo / missing 5,59 6,49 6,55 ROS Facile 4,00 5,05 4,12 Difficile 2,55 2,24 1,32 Quasi impossibile 2,74 2,99 2,67 Non so / non rispondo / missing 3,66 3,20 2,97 Patrimonio / Totale attivo Facile 37,2 34,9 34,1 Difficile 31,3 32,5 30,2 Quasi impossibile 13,3 14,4 16,6 Non so / non rispondo / missing 48,5 47,9 53,2 Debiti finanziari v. terzi / Totale attivo Facile 14,0 15,8 12,7 Difficile 28,5 30,3 30,6 Quasi impossibile 29,8 29,9 27,7 Non so / non rispondo / missing 1,9 5,2 0,90 Oneri finanziari / Fatturato Facile 0,58 0,65 0,67 Difficile 0,88 1,08 1,11 Quasi impossibile 1,90 2,27 2,48 Non so / non rispondo / missing 0,31 0,29 0,28

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario (domanda E3.3) e AIDA.

La relazione fra le imprese che valutano ‘difficile’ la sostituzione della banca principale e quelle che lo ritengono ‘quasi impossibile’ appare articolata. Se quest’ultima categoria è costantemente meno patrimonializzata e con una maggiore incidenza degli oneri finanziari dell’altra, presenta viceversa una

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migliore marginalità e un indebitamento finanziario sostanzialmente allineato o leggermente inferiore; la redditività è inoltre superiore nei due anni più recenti.

La coerenza appena evidenziata tra i dati di bilancio e le risposte sulla maggiore/minore facilità della ricerca di un’altra banca, emerge anche se si raffrontano i dati sulla rilevanza delle problematiche finanziarie con quelli della domanda appena commentata (Tabella 2.63). In questo caso quasi l’80% (37,5% e 41,1%) delle imprese che ritiene semplice la ricerca di una nuova banca di riferimento, risponde ‘per nulla’ e ‘poco’ al quesito sulla rilevanza delle problematiche finanziarie; parimenti il 72,7% (38,6% e 34,1%) delle imprese che ammette difficoltà nella ricerca di un’altra banca, sottolinea al tempo stesso la rilevanza (‘abbastanza’ e ‘molto’) delle problematiche finanziarie. La quota delle imprese che ‘non sa’ e/o ‘non risponde’ è formata al 63,3% da imprese poco o nulla sensibili alle problematiche finanziarie.

Tabella 2.63 – Relazione tra ‘rilevanza problematiche finanziarie’ e ‘ricerca di altra banca’.

in % sul totale risposte Ricerca di altra banca Rilevanza problematiche finanziarie

Facile Difficile o Quasi impossibile

Non sa / non risponde

Per nulla 37,5 2,3 30,3 Poco 41,1 25,0 33,3 Abbastanza 17,9 38,6 33,3 Molto 3,6 34,1 3,0 Totale 100,0 100,0 100,0

Domande E1.1 e E3.3 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Un quadro analogo emerge mettendo a confronto la domanda sulla ricerca di un’altra banca con l’autovalutazione della propria patrimonializzazione (Tabella 2.64): la distribuzione delle risposte mostra che le imprese che giudicano ‘facile’ la ricerca di un altro istituto bancario si ritengono scarsamente patrimonializzate solo per l’8,9%, mentre la quota sale al 34,1% fra le imprese che ritengono invece difficoltosa o quasi impossibile la sostituzione della banca principale. Occorre comunque prestare attenzione anche al 65,9% di imprese che comunque valuta difficile tale sostituzione pur in presenza di un’adeguata patrimonializzazione. Il gruppo dei non rispondenti ha una composizione per autovalutazione della consistenza patrimoniale simile a quello che non vede problemi nel passaggio ad altra banca.

Tabella 2.64 – Relazione tra ‘patrimonializzazione sufficiente’ e ‘ricerca di altra banca’.

in % sul totale risposte Ricerca di altra banca Patrimonializzazione sufficiente Facile Difficile o Quasi

impossibile Non so / non

risponde No 8,9 34,1 12,1 Sì 91,1 65,9 87,9 Totale 100,0 100,0 100,0

Domande E1.2 e E3.3 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

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Il razionamento del credito (Tabella 2.65), evento spesso evocato e commentato in questi anni, ha interessato nel 2012 un’azienda su quattro del campione e risulta essere in crescita, sia rispetto agli anni precedenti la crisi finanziaria, quando solo il 12,6% delle imprese della provincia di Reggio Emilia avrebbe desiderato più credito ai tassi di mercato rispetto a quanto ottenuto (Bisoni 2010, p.114, Tab. 2.42), sia al triennio 2008-10 (nella precedente rilevazione il dato era il 20% circa). La tendenza si accentua leggermente nel 2013, con l’eccezione delle imprese Grandi.

Tabella 2.65 – Desiderio di maggiore credito al tasso di interesse concordato. Frequenza risposte (%).

2012 2013 Intero campione 25,0 26,5 Imprese familiari 23,0 24,5 Piccole 21,8 24,7 Medie 31,0 33,3 Grandi 23,1 15,4

Domanda E3.4 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Le imprese familiari si collocano in entrambi gli anni su valori di poco inferiori a quelli medi. Sul fronte dimensionale, a soffrire maggiormente sono le Medie imprese con livelli del 31% nel 2012 e del 33% nel 2013. Nel 2012 il razionamento delle Piccole (21,8%) è analogo a quello delle Grandi (23,1%) mentre peggiora nel 2013 (24,7% contro 15,4%).

Il razionamento sopportato dalla imprese rispondenti è comunque inferiore al dato nazionale del settore industria pari al 37,6% nel 2012 (Banca d’Italia 2013, Tav. G1, p.72).

Sul razionamento, l’appartenenza settoriale pare incidere più della variabile dimensionale (Tabella 2.66). Per entrambi gli anni considerati, il settore in maggiore sofferenza è senza dubbio quello della ‘Lavorazione di minerali non metalliferi’ con quattro aziende razionate su dieci. Su livelli poco oltre la media troviamo nel 2012 ‘Alimentari e bevande’, ‘Tessile e abbigliamento’, ‘Metallurgia e prodotti in metallo’, ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’. Per questi ultimi due settori il 2013 vede qualche mutamento: in meglio per ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’ e in peggio per ‘Metallurgia e prodotti in metallo’. Sempre nel 2012 si collocano sotto media i settori ‘Chimica, gomma e materie plastiche’ e soprattutto ‘Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione’ e ‘Altre manifatture’. I primi due mostrano però sensibili peggioramenti nel 2013.

Tabella 2.66 – Desiderio di maggiore credito al tasso di interesse concordato: ripartizione settoriale. Frequenza risposte (%).

Settori Desiderato maggior credito 2012 2013

Alimentari e bevande 27,3 27,3

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Tessile e abbigliamento 28,6 28,6 Chimica, gomma e materie plastiche 18,8 25,0 Lavorazione di minerali non metalliferi 40,0 40,0 Metallurgia e prodotti in metallo 26,9 34,6 Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione 11,1 22,2 Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli 27,9 23,3 Altre manifatture 10,0 10,0

Domande E3.4 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Le risposte relative all’eventuale razionamento del credito possono essere lette, peraltro, insieme a quelle concernenti la rilevanza delle problematiche finanziarie (Tabella 2.67). I soggetti razionati rappresentano il 72% delle imprese ‘molto’ sensibili alle problematiche finanziarie nel 2012 e l’83,3% nel 2013. Fra le imprese ‘abbastanza’ sensibili i razionati sono il 36,8% nel 2012 e il 39,5% nel 2013. Tutte percentuali ampiamente superiori a quelle delle imprese che dichiarano ‘poco’ o ‘per nulla’ rilevanti gli aspetti finanziari. Ciò conferma ancora una volta come l’importanza della finanza d’impresa venga percepita solo quando l’accesso al credito è difficile o costoso.

Tabella 2.67 – Relazione tra ‘rilevanza problematiche finanziarie’ e ‘desiderato maggior credito’.

Frequenza risposte (%) Desiderato maggior credito nel Rilevanza problematiche finanziarie 2012 2013 Per nulla 0,0 3,2 Poco 12,3 8,9 Abbastanza 36,8 39,5 Molto 72,2 83,3 Totale 25,0 26,5

Domande E3.1 e E3.4 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

A ciò si aggiunga che le imprese oggetto di razionamento mostrano quozienti di bilancio peggiori rispetto alle imprese non oggetto di restrizioni creditizie già negli anni precedenti (Tabella 2.68). Le realtà razionate presentano una redditività inferiore, un più contenuto margine sulle vendite, un minor livello di patrimonializzazione, un’incidenza più elevata dei debiti finanziari e dei connessi oneri. I differenziali più ampi si osservano nel 2011 con l’eccezione degli oneri finanziari per i quali la massima differenza ricorre nel 2012.

Tabella 2.68 – Imprese razionate 2012 vs non razionate: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Razionate 1,08 1,56 3,20 Non razionate 5,92 8,29 7,21 ROS Razionate 2,62 2,51 1,99 Non razionate 3,66 4,18 3,29 Patrimonio / Totale attivo Razionate 13,6 13,9 16,8

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Non razionate 41,3 40,5 42,2 Debiti finanziari v. terzi / Totale attivo Razionate 29,1 29,9 29,0 Non razionate 12,5 15,4 11,6 Oneri finanziari / Fatturato Razionate 1,18 1,45 1,79 Non razionate 0,51 0,60 0,54

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario (domanda E3.4) e AIDA.

Il razionamento è principalmente il risultato del rifiuto della banca a concedere ulteriore credito (Tabella 2.69). Sono comunque frequenti anche i casi nei quali è il rifiuto dell’impresa a concedere un aumento delle garanzie o accettare tassi d’interesse giudicati eccessivi che preclude l’accesso a nuovo credito. Le situazioni legate alle garanzie sono in crescita nel 2013, passando dal 31,4% al 38,9%, mentre quelle legate al costo del credito sono in riduzione, passando dal 34,3% al 27,8%. Una evoluzione coerente con la necessità delle banche di minimizzare l’assorbimento di capitale.

Tabella 2.69 – Motivazione del rifiuto della richiesta di maggior credito. Ammesse risposte multiple. Frequenza risposte (%) – solo imprese razionate.

Intero campione Imprese familiari Rifiuto della banca a dare ulteriori affidamenti 45,7 44,4 Richiesta di garanzie da parte della banca che l’azienda ha rifiutato di concedere

31,4 38,9

Richiesta di tassi troppo onerosi da parte della banca che l’azienda ha rifiutato

34,3 27,8

Altro 8,6 5,6 Domande E3.5 e A6.1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

La percentuale delle imprese che hanno proceduto alla ristrutturazione del debito bancario dopo il 2007 è limitata a meno del 15% (Tabella 2.70). Nella precedente rilevazione era del 20% circa relativamente al periodo 2008-2011. C’è da supporre che il ricorso alla ristrutturazione sia stato più frequente nelle imprese che hanno partecipato all’indagine del 2011 e non a questa, rispetto alle imprese allora assenti e oggi presenti.

Tabella 2.70 – Ristrutturazione debito e richieste di rientro anticipato. Frequenza risposte (%) .

Ristrutturazione Rientro Sì 14,8 7,5 No 74,1 85,9 Non rispondo 11,1 6,6

Domande E3.5 e A6.1 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Inoltre, esiste anche una certa relazione tra l’aver ristrutturato il debito e il giudizio di rilevanza delle problematiche finanziarie, considerato che il 65% delle imprese che ha ristrutturato il debito valuta ‘abbastanza’ o ‘molto’ importanti gli aspetti finanziari, mentre fra quelle che non lo hanno ristrutturato solo il 35%

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esprime tale giudizio (Tabella 2.71). La differenza è particolarmente accentuata per le imprese che ritengono ‘molto’ rilevanti le problematiche finanziarie: esse rappresentano il 45% delle imprese che hanno ristrutturato il debito e solo l’8% delle imprese che non hanno fatto ricorso alla ristrutturazione.

Tabella 2.71 – Relazione tra ‘rilevanza problematiche finanziarie’ e ‘ristrutturazione debito’.

Frequenza risposte (%) Ristrutturazione debito Rilevanza problematiche finanziarie No Sì Per nulla 26,0 5,0 Poco 39,0 30,0 Abbastanza 27,0 20,0 Molto 8,0 45,0 Totale 100,0 100,0

Domande E1.1 e E3.6 del questionario. Fonte: nostre elaborazioni.

Le imprese che hanno proceduto alla ristrutturazione del proprio debito presentano una situazione economico-finanziaria più critica rispetto a quelle che invece non hanno compiuto alcuna ristrutturazione e ciò emerge da diversi indicatori di bilancio relativi alla redditività, al margine sulle vendite, al livello di patrimonializzazione, nonché al peso dei debiti finanziari e degli oneri finanziari (Tabella 2.72). Va peraltro osservato che le imprese che hanno ristrutturato il debito manifestano segni di miglioramento solo nel 2012 e limitatamente a ROE e ROS nonostante almeno una parte delle ristrutturazioni sia avvenuta in anni precedenti.

Tabella 2.72 – Ristrutturazione debito vs non ristrutturazione: alcuni indicatori di bilancio. Valori mediani (%).

2010 2011 2012§ ROE Imprese che hanno ristrutturato il debito bancario 0,81 0,80 4,99 Altre 7,30 8,36 6,63 ROS Imprese che hanno ristrutturato il debito bancario 2,64 2,09 2,64 Altre 3,55 4,13 3,84 Patrimonio / Totale attivo Imprese che hanno ristrutturato il debito bancario 17,2 16,4 16,8 Altre 38,5 37,3 36,0 Debiti finanziari v. terzi / Totale attivo Imprese che hanno ristrutturato il debito bancario 36,9 35,9 36,7 Altre 16,4 16,7 13,4 Oneri finanziari / Fatturato Imprese che hanno ristrutturato il debito bancario 1,43 1,47 1,75 Altre 0,58 0,66 0,69

§ campione parziale di 108 imprese. Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario (domanda E3.6) e AIDA.

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2.7 Cluster analysis Sulla base dei dati ricavati dal questionario e dai bilanci emergono chiare

eterogeneità nelle performance economico-finanziarie e nelle scelte delle singole imprese rispondenti. Logica conseguenza è chiedersi se dietro alla varietà delle performance vi siano “modelli” di percorsi strategici seguiti dalle imprese anch’essi differenti.

In questo paragrafo si cerca di rispondere a questa domanda elaborando alcuni dati del questionario e alcuni indicatori di bilancio mediante Cluster analysis. Con questa tecnica, le imprese rispondenti vengono suddivise in gruppi il più possibile diversi fra loro e il più possibile omogenei al loro interno con riferimento a un predefinito elenco di variabili volte a profilare ciascuna impresa. Nel nostro caso sono state scelte le seguenti variabili:

a) la performance economica nel 2012, rappresentata dal ROS e dal ROA;

b) l’equilibrio finanziario nel 2012, rappresentato dalla patrimonializzazione (“Patrimonio netto / Totale attivo”), dall’incidenza degli Oneri finanziari sul Fatturato;

c) il settore produttivo, rappresentato da una variabile che assume valori da 1 a 8 (1 = Alimentari e bevande; 2 = Tessile e abbigliamento; 3 = Chimica, gomma e materie plastiche; 4 = Lavorazione di minerali non metalliferi; 5 = Metallurgia e prodotti in metallo; 6 = Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione; 7 = Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli; 8 = Altre manifatture);

d) la dimensione aziendale (classe di dipendenti), rappresentata da una variabile che assume valori da 2 a 4 (2 = Piccola; 3 = Media; 4 = Grande);

e) la destinazione economica prevalente della produzione nel 2007, rappresentata da una variabile che assume valori da 1 a 3 (1 = beni di investimento; 2 = beni di consumo; 3 = intermedi);

f) l’appartenenza dell’impresa a una filiera produttiva, rappresentata da una variabile che assume valori da 0 a 3 (0 = non appartenenza a una filiera; 1 = appartenente a filiera come fornitore; 2 = appartenente a filiere come fornitore e committente; 3 = appartenente a filiera come committente)23;

g) l’orientamento all’export, rappresentato dalla quota di fatturato esportata nel 2012;

h) l’avere realizzato importanti interventi strategici prima della crisi (importanti variazioni nella gamma dei prodotti offerti, maggiore investimento sul marchio, internazionalizzazione produttiva), rappresentato da una variabile dicotomica (1 = No; 0 = Sì);

23 L’utilizzo di una variabile dicotomica (1 = appartenenza a filiera; 0 = non appartenenza a filiera) non modifica la composizione dei cluster.

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i) l’assetto proprietario, rappresentato da una variabile dicotomica (1= impresa familiare; 0 = impresa non familiare);

j) informazioni qualitative sulla finanza d’impresa, rappresentate:

1) dall’autovalutazione del grado di patrimonializzazione (1 = Sufficiente; 0 = Insufficiente),

2) dal rilevo attribuito alle problematiche finanziarie (0 = Nullo; 1 = Poco; 2 = Abbastanza; 3 = Molto),

3) dall’avere ottenuto o meno garanzie consortili (1 = Sì; 0 = No), 4) dall’avere ristrutturato o meno il debito bancario (1 = Sì; 0 = No),

5) dall’avere subìto o meno un razionamento del credito nel 2012 (1 = Sì; 0 = No),

6) dalla difficoltà o facilità nella sostituzione della principale banca affidante con altra banca (0 = Facile e Non so / non rispondo; 1 = Difficile; 2 = Quasi impossibile)24.

Il tipo di Cluster analysis adottato (K-Means) ripartisce le imprese in gruppi disgiunti in modo che ogni impresa rientri in un solo cluster e richiede la specificazione a priori del numero di cluster. Questo numero è stato posto pari a sei osservando il dendogramma (albero gerarchico) generato dalla metodologia Hierarchical cluster alla ricerca di un compromesso fra numerosità di gruppi e omogeneità degli stessi. Le variabili che più hanno influito sulla composizione dei cluster sono state il ROA, il ROS, l’incidenza degli Oneri finanziari sul Fatturato, la copertura patrimoniale dell’attivo, la quota di export 2012, i settori, il rilievo attribuito alle problematiche finanziarie, l’autovalutazione della propria patrimonializzazione e la ristrutturazione del debito.

La Tabella 2.73 riporta i valori medi delle variabili sopra elencate relativamente a ciascuno dei sei gruppi ipotizzati. Il cluster 4 è composto da un’unica impresa con redditività industriale e patrimonio entrambi pesantemente negativi e pertanto non sarà oggetto di commento. Tutti gli altri cluster manifestano indicatori di redditività operativa 2012 (ROA e ROS) mediamente positivi, ma su livelli differenziati. Il cluster 1, il meno numeroso, raggruppa i Best performer, i cluster 3 e 6 i Worst performer, e i cluster 2 e 5 gli Average performer. Quali differenze e similitudini caratterizzano questi cinque gruppi?

Le undici imprese del cluster 1 presentano, in media, la migliore situazione reddituale e finanziaria: un margine sulle vendite del 12%, una redditività operativa del 10%, un attivo finanziato al 70,5% da patrimonio, un’incidenza degli oneri finanziari sul fatturato di appena lo 0,30%. Tutti primati

24 L’unione fra le risposte ‘Facile’ e ‘Non so / non rispondo’ è dovuta alle similitudini economico-patrimoniali fra questi due gruppi emerse nell’analisi condotta nel paragrafo precedente.

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già esibiti nei due anni precedenti (Tabella 2.74). Questo gruppo vanta anche la più bassa incidenza dei debiti finanziari verso terzi insieme al cluster 3.

Tabella 2.73 – Cluster analysis: valori medi delle variabili all’interno di ogni gruppo.

Cluster 1 2 3 4 5 6 Ros12 (%) 12,06 3,11 1,11 -34,30 3,80 0,13 Roa12 (%) 10,05 4,61 1,17 -62,19 4,78 1,03 PN/TA_12 (%) 70,52 24,05 55,24 -35,84 36,91 21,05 Ofin su ricavi 12 (%) 0,30 1,46 0,58 1,24 0,90 1,46 Settori 5,09 6,19 5 7 5,92 3,79 Dimensione aziendale 2,82 2,62 2,27 3,00 2,69 2,36 Destinazione produzione 2,45 2,06 2,27 2 2,38 2,25 Filiera 1,45 0,88 0,82 0 0,69 1,14 Quota Export 12 (%) 70 79 12 20 54 8 No interventi strategici pre-crisi (%)

18 12 45 0 8 36

Impresa familiare (%) 64 62 55 0 62 61 Patrimonio sufficiente (%) 100 69 100 0 92 79 Rilievo problematiche finanziarie

0,73 Poco

1,62 Abbasta

nza

0,95 Poco

0 Nullo

1,31 Poco

1,57 Abbasta

nza Ricevuto garanzie dal 2008 (%)

9 44 32 0 31 54

Ristrutturato debito (%)* 9 31 0 100 8 21 Razionato12 (%) 0 31 14 100 31 25 Ricerca altra banca 0,09

Facile 0,69

Difficile 0,27

Facile 0

0,31 Facile

0,46 Facile

Numero imprese 11 16 22 1 13 28 Missing 17

Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario e AIDA.

All’opposto, le ventidue imprese del cluster 3 e le ventotto del cluster 6, manifestano, in media, la peggiore condizione reddituale: un ROS dell’1,1% e dello 0,13%, un ROA dell’1,2% e dell’1%, rispettivamente. I due gruppi di Worst performer, i più numerosi, differiscono fra loro nella struttura finanziaria. Il cluster 3 ha bassa redditività ma solido equilibrio finanziario potendo contare su una patrimonializzazione del 55%, un peso degli oneri finanziari limitato allo 0,58% e ridotto indebitamento finanziario. Il cluster 6, invece, denota una struttura delle fonti di finanziamento più debole: una copertura patrimoniale media del 21%, un peso medio degli oneri finanziari dell’1,5% e un’incidenza mediana dei debiti finanziari del 37%. L’evoluzione temporale degli indicatori (Tabella 2.74) evidenzia come il cluster 3 rappresenti di fatto i Fallen angel, cioè imprese che nel triennio considerato hanno sperimentato una sensibile caduta dei margini e della redditività operativa (il ROA mediano passa dal 3,8% del 2010 all’1,75% del 2012) che ha portato il cluster dalla seconda all’ultima posizione nella graduatoria per redditività. Anche il cluster 6 mostra una flessione negli indicatori di redditività operativa, ma partendo da valori già al limite inferiore del

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campione (il ROA mediano scende dal 2,8% del 2010 al 2% del 2012). La convergenza del cluster 3 verso le modeste performance operative del cluster 6 traspare anche dal ricorso alla CIG (o forme similari): in crescita dal 23% al 36% nel cluster 3 e stazionario al 36% nel cluster 6. I Fallen angel hanno tuttavia saputo difendere la loro solidità finanziaria, mantenendo la patrimonializzazione sui valori del 2010 e migliorando indebitamento e peso degli oneri finanziari. Il cluster 6 evidenzia invece una crescita dei debiti finanziari (dal 34% del 2010 al 36,7% del 2012) e del relativo costo (dallo 0,88% del 2010 all’1,14 del 2012).

Tabella 2.74 – Alcuni indicatori economico-patrimoniali dei Cluster (valori mediani).

Cluster 1 2 3 5 6 Ros10 (%) 12,62 2,99 4.49 3,51 2,61 Ros11 (%) 16,41 3,71 2,70 4,34 2,51 Ros12 (%) 15,45 2,72 1,60 4,82 2,05 Roa10 (%) 8,90 2,98 3,76 2,63 2,76 Roa11 (%) 10,85 3,90 2,85 4,06 2,65 Roa12 (%) 11,16 3,61 1,75 5,57 1,98 PN/TA_10 (%) 67,1 26,4 57,6 37,5 21,7 PN/TA_11 (%) 64,9 26,6 57,0 38,0 23,4 PN/TA_12 (%) 72,5 26,9 57,3 38,8 23,2 DebFin/TA_10 (%) 0,36 33,1 0 12,1 34,0 DebFin/TA_11 (%) 0 29,9 2,1 11,3 37,2 DebFin/TA_12 (%) 0 31,2 0 9,4 36,7 Ofin su ricavi 10 (%) 0,09 1,34 0,33 0,78 0,88 Ofin su ricavi 11 (%) 0,03 1,31 0,33 0,66 0,92 Ofin su ricavi 12 (%) 0,02 1,21 0,23 0,90 1,14 Quota export_11 (%) 77 77,5 7,5 50 8 Quota export_12 (%) 74 80,5 8,5 50 8 Ricorso a Cig_10 (%) 36,4 25,0 22,7 7,7 35,7 Ricorso a Cig_11 (%) 36,4 25,0 22,7 23,1 32,1 Ricorso a Cig_12 (%) 45,5 25,0 36,4 23,1 35,7 Numero imprese 11 16 22 13 28 Missing 17

Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario e AIDA.

Anche i due cluster in posizioni intermedie sul piano della performance operativa presentano differenze patrimoniali e finanziarie, sebbene meno marcate di quelle sopra commentate per i due cluster Worst performer (Tabella 2.73). Il cluster 5 denota infatti una dotazione media di mezzi propri superiore a quella del cluster 2 (36,9% contro 24%), un peso medio degli oneri finanziari inferiore (0,9% contro 1,5%) e un’incidenza mediana dei debiti finanziari anch’essa inferiore (9,4% contro 31%; Tabella 2.74). Anche l’evoluzione temporale degli indicatori operativi mostra delle differenze (Tabella 2.74): ROS e ROA in costante crescita nel triennio per il cluster 5, con andamento a parabola per il cluster 2; detto altrimenti, le imprese del cluster 5 non hanno per nulla risentito della crisi 2012 mentre quelle del cluster 2 ne hanno sofferto leggermente. Sul fronte finanziario si osserva una certa stazionarietà nella struttura del passivo dei

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due gruppi, mentre divergente è il trend del peso mediano degli oneri finanziari: lieve riduzione per il cluster 2 (dall’1,34% del 2010 all’1,21% del 2012) e lieve aumento per il cluster 5 (dallo 0,78% del 2010 allo 0,90% del 2012).

In sintesi, il cluster 1 unisce alti livelli di performance operativa a solidità patrimoniale e finanziaria (Best performer). Il cluster 2 ha una performance operativa intermedia, in leggero deterioramento nel 2012, a cui si affianca una struttura delle fonti di finanziamento con gradi di patrimonializzazione e dipendenza dal credito bancario rispettivamente nella parte bassa e alta del campione (Average-weak performer). Il cluster 5 ha invece una performance operativa anch’essa intermedia, ma in progressivo miglioramento, sostenuta da una consistenza patrimoniale significativa e scarsa dipendenza dal credito bancario (Average-strong performer o Rising star). Il cluster 3 contiene imprese ancora patrimonialmente solide ma con una redditività operativa che si è andata indebolendo nell’ultimo triennio fino a raggiungere i livelli più bassi del campione (Fallen angel). Il cluster 6, infine, raggruppa imprese che già nel 2010 si caratterizzavano per una ridotta redditività industriale e un precario equilibrio finanziario (Worst performer).

I Fallen angel e i Worst performer sono accomunati da una operatività quasi esclusivamente nazionale: nel 2012 la quota di fatturato realizzata all’estero è in media del 12% per i primi e dell’8% per i secondi (Tabella 2.73). Ben più alte le percentuali di export degli altri cluster: 79% per gli Average-weak performer, 70% per i Best performer e 54% per gli Average-strong performer. Si conferma, dunque, l’importanza dei mercati esteri come elemento discriminante del successo industriale. Va comunque notato come questo elemento non sia in grado di spiegare l’ampio differenziale di redditività operativa fra i Best e gli Average-weak; in altri termini, alti livelli di export non garantiscono da soli ROS e ROA a due cifre. Vale inoltre la pena di osservare che i Best presentano, in tutto il triennio, un ricorso alla CIG o forme analoghe molto più alto di quello degli Average-weak: 36,4% contro 25% nel 2010 e nel 2011, 45,5% contro 25% nel 2012 (Tabella 2.74).

Sul piano della scala aziendale, la maggiore dimensione media si riscontra nel gruppo Best, mentre quella minore ricorre nei gruppi Fallen angel e Worst (Tabella 2.73). In effetti, il peso delle Grandi e delle Medie imprese è massimo nel cluster 1 e minimo nei cluster 3 e 6 (Tabella 2.75). Abbastanza simile, su valori intermedi, la composizione dimensionale dei cluster 2 e 5. Esiste quindi una certa associazione fra dimensioni ed export.

Dal punto di vista della destinazione della produzione, sebbene emergano differenze fra i vari cluster, non si evidenziano univoche relazioni con la performance operativa. Ad esempio, se è vero che i due gruppi meno performanti (3 e 6) presentano la più alta incidenza dei beni di consumo, 46% nei Worst e 36% nei Fallen angel (Tabella 2.75), è altrettanto vero che anche nei Best questa incidenza è elevata essendo del 36%. I gruppi Average si caratterizzano per un

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peso superiore alla media del campione nei beni di investimento, soprattutto gli Average-weak (37,5%), e nei beni intermedi, soprattutto gli Average-strong (61,5%).

Tabella 2.75 – Ripartizione dimensionale, settoriale, per destinazione della produzione e per appartenenza a filiera dei Cluster (valori percentuali).

Cluster 1 2 3 5 6 2. Piccole 26,4 50,0 77,3 46,2 67,9 3. Medie 45,5 37,5 18,2 38,5 28,6 4. Grandi 18,2 12,5 4,5 15,4 3,6 1. Alimentari e bevande - 6,6 13,6 7,7 28,6 2. Tessile e abbigliamento 18,2 - - - 3,6 3. Chimica, gomma e materie plastiche 9,1 - 9,1 7,7 17,9 4. Lavorazione di minerali non metalliferi

18,2 6,2 4,5 - 10,7

5. Metallurgia e prodotti in metallo - 6,2 40,9 23,1 17,9 6. Apparecchi elettrici, elettronici e strumentazione

9,1 12,5 9,1 - 3,6

7. Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli

45,5 68,8 13,6 46,2 7,1

8. Altre manifatture - - 9,1 15,4 10,7 1. Beni d’investimento 9,1 37,5 18,2 23,1 14,3 2. Beni di consumo 36,4 18,8 36,4 15,4 46,4 3. Beni intermedi 54,5 43,8 45,5 61,5 39,3 0 = No filiera 27,3 50,0 45,5 61,5 35,7 1 = Sì filiera: fornitore 27,3 18,8 31,8 7,7 21,4 2 = Sì filiera: fornitore e committente 18,2 25,0 18,2 30,8 35,7 3 = Sì filiera: committente 27,3 6,2 4,5 - 7,1 Numero imprese 11 16 22 13 28 Missing 17

Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario e AIDA.

Guardando ai settori (Tabella 2.75), emerge innanzitutto la ridotta incidenza di ‘Fabbricazione di macchine, apparecchi e veicoli’, nei cluster Worst (7,1%) e Fallen angel (13,6%) in contrapposizione al peso ben maggiore che tale settore riveste nei rimanenti cluster (45,5% nei Best, 68,8% negli Average-weak, 46,2% negli Average-strong). D’altra parte, i cluster Worst e, in minor misura, Fallen angel presentano la maggiore concentrazione di imprese dal settore ‘Alimentari e bevande’: 28,6% il primo e 13,6% il secondo. I Fallen angel si caratterizzano inoltre per un peso di ‘Metallurgia e prodotti in metallo’ (40,9%) decisamente superiore alla media; un comparto invece assente fra i Best e assolutamente marginale fra gli Average-weak (6,2%). Nel gruppo Best risultano sopra media i settori ‘Tessile e abbigliamento’ e ‘Lavorazione di minerali non metalliferi’, entrambi con il 18,2% dei casi; settori assenti fra gli Average-strong la cui peculiarità è essere il gruppo con il maggiore peso delle ‘Altre manifatture’ (15,4%).

I Best sono il gruppo più coinvolto in rapporti di filiera: solo il 27,3% delle imprese di questo cluster dichiara di non appartenere a una filiera (Tabella 2.75).

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Questo gruppo presenta anche la maggiore incidenza di imprese al vertice della filiera stessa col ruolo di ‘solo committente’ (27,3%). I due cluster Average manifestano come tratto comune quello di avere le più alte percentuali di imprese estranee a relazioni di filiera: 61,5% negli Average-strong e 50% negli Average-weak; diverso è invece il posizionamento nell’ambito delle filiere: nel primo gruppo la quasi totalità delle imprese di filiera si colloca nella posizione intermedia di ‘fornitore e committente’ (30,8%), mentre nel secondo si riscontra un maggiore equilibrio fra il ruolo di ‘solo fornitore’ (18,8%) e di ‘fornitore e committente’ (25%) e anche una presenza, se pur marginale, di ‘solo committente’ (4,5%). Fra i due cluster con le peggiori performance reddituali è quello dei Worst a mostrare il maggiore coinvolgimento in filiere (solo il 35,7% dei suoi componenti non ha rapporti di filiera contro il 45,5% dei Fallen angel) e un maggior peso delle posizioni intermedie di ‘fornitore e committente’ (35,7% contro 18,2%).

Sul fronte degli assetti proprietari, la situazione dei vari cluster è piuttosto omogenea: la quota di aziende a proprietà familiare è di poco superiore al 60% in tutti i gruppi; il valore inferiore si registra nel cluster 5 (Average-weak) con il 55%.

Passando ad analizzare gli orientamenti strategici, si nota come i due cluster più deboli nella performance operativa si differenzino dagli altri per la maggiore incidenza di imprese che negli anni precedenti la crisi del 2008-09 non avevano effettuato importanti investimenti nella gamma di prodotto, nel marchio o nell’internazionalizzazione produttiva o commerciale (Tabella 2.73): le imprese che dichiarano di avere attuato altri interventi strategici sono il 36% nel cluster 6 (Worst) e ben il il 45% nel cluster 3 (Fallen angel) contro il 18% nel cluster 1 (Best), il 12% nel cluster 2 (Average-weak) e l’8% nel cluster 5 (Average-strong). L’analisi cluster presenta quindi al riguardo un quadro diverso da quello del capitolo precedente, nel quale non era emersa alcuna associazione fra i risultati reddituali e l’avere intrapreso negli anni ante-crisi strategie di gamma, marchio e/o internazionalizzazione. Non si può escludere che tale difformità sia dovuta al fatto che l’analisi cluster è condotta su 90 imprese, mentre quella precedente ha riguardato 135 imprese. A puntare sulla gamma dei prodotti offerti sono soprattutto i cluster 5 (Average-strong) e 2 (Average-weak) con il 76,9% e il 62,4% rispettivamente (Tabella 2.76); questa strategia risulta la più citata anche fra le imprese dei cluster 6 (Worst) e 3 (Fallen angel) sebbene su livelli inferiori (50% e 40,9%). Il cluster 1 (Best) ha invece perseguito con identica intensità strategie di gamma e di marchio, entrambe con il 45,5% di indicazioni. La circostanza che nei due gruppi più export-oriented (1 e 2) la strategia di internazionalizzazione produttiva e commerciale sia la meno citata delle tre opzioni strategiche più rilevanti induce a ritenere che l’espansione all’estero delle imprese dei due gruppi sia un tratto ormai consolidato, soprattutto per il cluster 1.

Ancora in tema di strategie, si osserva come relativamente al biennio 2008-10 la crescita nazionale per linee interne sia la scelta prevalente nei cluster 6

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(Worst) e 3 (Fallen angel) dove raggiunge il 78,6% e il 77,3%, rispettivamente (Tabella 2.76). E’ peraltro probabile che questo indirizzo strategico sia vissuto come una “scelta obbligata” stante dimensioni, tipologia di prodotto, vincoli finanziari e manageriali, che ostacolano la via dell’internazionalizzazione, indicata solo dal 7% delle imprese del cluster 6 e da nessuna delle imprese del cluster 3. Tutto ciò si riflette in una quota di export media attorno al 10%, la più bassa fra i cluster identificati. L’esistenza di un problema dimensionale trova ulteriore supporto nella circostanza che emerge un interesse per la “crescita”, ma tramite forme leggere anziché attraverso operazioni di acquisizione: nel cluster 6 non vi è traccia di acquisizioni in posizione di bidder, mentre gli accordi (nelle varie forme) interessano il 14,3% del gruppo; nel cluster 3 il ricorso alle acquisizioni è l’opzione principale solo per il 4,5% mentre gli accordi lo sono per il 18,1%.

Tabella 2.76 – Ripartizione per strategie e politiche di innovazione dei Cluster (valori percentuali).

Cluster 1 2 3 5 6 Strategie pre crisi: gamma 45,5 62,5 40,9 76,9 50,0 Strategie pre crisi: marchio 45,5 43,8 13,6 38,5 21,4 Strategie pre crisi: inter.ne 18,2 31,2 22,7 30,8 10,7 Strategie pre crisi: altre 18,2 12,5 45,5 7,7 35,7 Strategie crescita 2008-10 Nazionale per linee interne 63,6 31,2 77,3 41,7 78,6 Formando consorzi - - - - 3,6 Formando ATI - - 4,5 - 3,6 M&A come bidder 9,1 18,8 4,5 25,0 - Internazionalizzazione 27,3 50,0 - 25,0 7,1 Altre forme di accordo - - 13,6 8,3 7,1 Innovazione 2011-12 Di prodotto 100,0 87,5 59,1 69,2 57,1 Di processo 36,4 43,8 27,3 61,5 53,6 Organizzativa-gestionale 18,2 31,2 40,9 46,2 50,0 Di marketing 18,2 43,8 13,6 23,1 25,0 Nessuna - 6,2 13,6 - 10,7 Numero imprese 11 16 22 13 28 Missing 17

Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario e AIDA.

La crescita interna in ambito nazionale risulta la scelta ampiamente maggioritaria anche nel cluster 1 (Best) con il 63,6% delle citazioni. Visto il forte orientamento all’export di questo gruppo, ciò potrebbe rivelare un certo interesse a riguadagnare spazi sul mercato nazionale. I pesi della scelta nazionale e di quella internazionale nei due cluster Average sono coerenti con i loro diversi pesi della quota di fatturato esportata all’estero. Interessante notare come le M&A attive raggiungano il peso maggiore nel cluster 5 (Average-strong) a conferma dei tratti dinamici (performance in miglioramento) più sopra rilevati in questo gruppo.

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Passando alle politiche di innovazione nel biennio 2011-12 (Tabella 2.76), un primo elemento significativo è la maggiore attenzione all’innovazione di prodotto mostrata dai cluster più performanti: 100% nel cluster 1 (Best), 87,5% nel cluster 2 (Average-weak) e 69,2% nel cluster 5 (Average-strong) contro il 59,1% nel cluster 3 (Fallen angel) e il 57,1% nel cluster 6 (Worst). Il cluster 1 è particolarmente focalizzato sull’innovazione di prodotto, mentre nei restanti gruppi assumono un certo rilievo anche altre tipologie di innovazione: di processo nei cluster 5 (61,5%), 6 (53,6%) e 2 (43,8%); organizzative e gestionali nei cluster 6 (50%), 5 (46,2%) e 3 (40,9%); di marketing nel cluster 2 (43,8%).

In merito agli aspetti finanziari, emerge una notevole sintonia fra la solidità finanziaria (alta patrimonializzazione e bassa incidenza di debiti e oneri finanziari) e il rilievo attribuito alle problematiche finanziarie (Tabella 2.73): la rilevanza è mediamente ridotta nei cluster 1 (Best) e 3 (Fallen angel), un po’ più alta nel cluster 5 (Average-strong), sensibilmente maggiore nei cluster 2 (Average-weak) e 6 (Worst). Di nuovo, la rilevanza delle problematiche finanziarie risulta una proxy dello stato di salute dell’equilibrio finanziario. In effetti, i cluster 2 e 6 sono anche quelli dove più elevata è l’incidenza dei casi di ristrutturazione del debito, 31% e 21% rispettivamente, di ricorso alle garanzie consortili, 44% e 54% rispettivamente, e dove la sostituzione della banca di riferimento è ritenuta più difficoltosa (si veda il dettaglio nella Tabella 2.77). Le garanzie consortili sono state peraltro utilizzate anche dal 32% delle imprese di un cluster mediamente in buona salute finanziaria quale il numero 3.

Tabella 2.77 – Elementi del rapporto banca-impresa dei Cluster (valori percentuali).

Cluster 1 2 3 5 6 Ricerca altra banca Facile 54,5 43,8 36,4 46,2 42,9 Difficile 9,1 43,8 18,2 15,4 25,0 Quasi impossibile - 12,5 4,5 7,7 10,7 Non so / non rispondo 36,4 - 40,9 30,8 21,4 Numero banche Medio 4,27 6 4,64 4,9 6,3 Mediano 4 5 4,5 5,0 5,5 Quota banca principale* Media 42,5 37,6 59,5 30,3 37,9 Mediana 35 30,0 66,0 30,0 34,0 Ristrutturato debito Sì 9,1 31,2 0 7,7 21,4 No 81,8 68,8 86,4 69,2 75,0 Non rispondo 9,1 - 13,6 23,1 3,6 Numero imprese 11 16 22 13 28 Missing 17

* Solo imprese con debiti finanziari nel 2012. Fonte: nostre elaborazioni su dati del questionario e AIDA.

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La diversa condizione finanziaria dei cluster individuati trova conferma nella auto-valutazione dell’adeguatezza dei mezzi propri. Se la quota delle imprese che si ritengono sufficientemente dotate di capitali propri è del 100% nei cluster 1 e 3, essa scende al 92% nel cluster 5, al 79% nel cluster 6 e al 69% nel cluster 2.

Un’ultima considerazione sul fenomeno del muti-affidamento. Il numero di banche, medio e mediano, con sui le imprese intrattengono rapporti raggiunge i valori massimi nei due cluster finanziariamente più deboli: il 6 con 6,3 banche di dato medio e 5,5 banche di dato mediano, e il 2 con 6 banche di dato medio e 5 banche di dato mediano. A seguire il cluster 5 con 4,9 banche di dato medio e 5 banche di dato mediano, e infine i due cluster finanziariamente più solidi: il 3 con 4,64 banche di dato medio e 4,5 di dato mediano e il 6 con 4,27 banche di dato medio e 4 banche di dato mediano. Questa relazione diretta fra criticità della condizione finanziaria e numero di rapporti bancari lascia supporre che il ricorso a un più ampio numero di banche sia, per l’impresa, un modo per contenere i rischi di razionamento del credito, e per le banche, una strategia per frazionare gli affidamenti e ridurre le perdite in caso di insolvenza del debitore. Da notare che il numero di banche non mostra una chiara relazione con la dimensione media dei vari cluster come invece era emerso nell’analisi condotta nel capitolo precedente. Vale la pena di osservare come la quota di finanziamenti bancari coperta dalla banca di riferimento raggiunga il valore più elevato nel cluster 3 (59,5% media e 66% mediana) e nel cluster 1 (42,5% media e 35% mediana), cioè il secondo e il primo gruppo per solidità finanziaria. La quota minima non si raggiunge tuttavia nei due cluster meno solidi (2 e 6) ma in quello intermedio (5) con valori medi e mediani del 30%, comunque non molto distanti da quelli dei cluster 2 e 6.

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QUESTIONARIO PERFORMANCE FINANZIARIA DELLE IMPRESE REGGIANE A. Informazioni generali sull’impresa A1 Ragione sociale:_________________________________________________

A2 C.F. / P.IVA:____________________________________________________ A3 La società è: Capogruppo operativa Controllata da casa madre operativa estera Controllata da casa madre operativa italiana Autonoma NB. Si definisce “Capogruppo operativa” anche la società controllata da una holding finanziaria che svolga il ruolo di sub-holding operativa. Si definisce invece “Autonoma” anche la società controllata da una holding finanziaria che non controlli altre imprese operative.

A4 Settore di attività prevalente*:_______________________________________ * indicare il codice ATECO 2007 e la descrizione

A5 Ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni, a contratti di solidarietà o ad altre forme analoghe (barrare gli anni in cui vi è stato un effettivo utilizzo)

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

A6.1 La Sua è un’impresa a proprietà familiare? Sì No A6.2 Età e sesso del leader aziendale (se più di uno riferirsi al più giovane) ___ anni

M F

A6.3 Il leader aziendale è un manager/amministratore esterno alla famiglia o alla coalizione di soci persone fisiche che controlla l’impresa? Sì No Se sì da quale anno:_____

A6.4 Se ha risposto No alla domanda precedente, secondo quale modello è stato pianificato il passaggio generazionale? Cooptazione (ingresso dei figli o altri familiari, terminati gli studi, senza esperienze lavorative) Graduale cooptazione (ingresso dei figli o altri familiari, dopo una fase di esperienze all’esterno del gruppo familiare con precedente o successivo apprendistato in azienda) La guida dell’azienda verrà affidata a manager esterni Non sono ancora state espressamente previste regole d’ingresso per i familiari

A7 Destinazione economica prevalente della produzione (una sola risposta) Beni d’investimento (impiegati nel processo produttivo per un periodo superiore a un anno) Beni di consumo (destinati ai consumatori) Beni intermedi (incorporati in altri beni e servizi)

A8 La Sua azienda ha rapporti con committenti e/o fornitori che prevedono una qualche forma di integrazione o collaborazione oppure un vero e proprio contratto di subfornitura? (una sola risposta) Sì, come committente finale Sì, sia come committente che come fornitore Sì, solo come fornitore No

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B. Strategie di crescita, internazionalizzazione ed export B1 Negli anni precedenti la crisi la Sua impresa ha realizzato (ammesse risposte multiple): l’introduzione di rilevanti variazioni nella gamma dei prodotti offerti un maggiore investimento sul marchio l’internazionalizzazione produttiva nessuna delle opzioni indicate

B2 Quota delle esportazioni sul fatturato totale (anche approssimativa; zero decimali) 2011 2012 Stima 2013

Quota export _____% _____% _____%

B3 La crescita della Sua impresa è avvenuta / avverrà prevalentemente (una sola risposta per il triennio 2008-10 e una sola risposta per il triennio 2011-13)

Crescita 2008-10 2011-13 Per linee interne* in ambito nazionale Aderendo o formando consorzi con altre imprese Aderendo o costituendo associazioni temporanee di imprese (ATI) Per incorporazione o acquisizione di altre imprese mantenendo il controllo

Entrando in un gruppo più grande Tramite contratti di rete rimanendo autonomi Tramite internazionalizzazione produttiva e/o commerciale Tramite altri tipi di accordi commerciali e di collaborazione con altre imprese

* Per linee interne si intende la crescita tramite l’incremento della propria attività caratteristica senza acquisizioni, fusioni, o accordi con altre imprese.

C. Innovazione C1 Quali tipi di innovazione sono stati / saranno introdotti nella Sua impresa? (ammesse risposte multiple)

Tipo di innovazione Triennio 2011-12

Biennio 2013-14

Di prodotto Di processo Organizzativa-gestionale Di marketing Nessuna innovazione

C2 In che misura i seguenti aspetti ostacolano i processi di innovazione della Sua impresa? Valutare ciascuna risposta: 0 = per niente; 1 = poco; 2 = abbastanza; 3 = molto

Difficoltà di riorganizzazione aziendale Difficoltà nel reperire finanziamenti Difficoltà nel reperire personale qualificato Difficoltà nel relazionarsi con centri di ricerca/università Dimensione aziendale insufficiente Altro (specificare)

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D. Previsioni 2013 e 2014 D1 Indicate le vostre previsioni per il 2013 e 2014 relativamente alle voci riportate in tabella: 0=resterà stabile; 1=diminuirà; 2=aumenterà

2013 rispetto al 2012 2014 rispetto al 2013 Fatturato Esportazioni Utile operativo Utile netto Debiti totali di cui: verso fornitori di cui: debiti finanziari a b.t.* di cui: debiti finanziari a m.l.t.* Totale patrimonio netto

Considerare il bilancio consolidato se redatto dalla società. *Debiti finanziari: obbligazioni convertibili e non, debiti verso soci, debiti verso banche, debiti verso altri finanziatori. Breve termine: scadenti entro l’esercizio successivo. Medio e lungo termine: scadenti oltre l’esercizio successivo.

E. Finanza e Credito E1 Decisioni di finanziamento E1.1 Quanto incidono le problematiche finanziarie (disponibilità, costo e tipologia dei fondi) sul successo della Sua impresa? Esprima un voto da 0 a 3 (0=per nulla; 1=poco; 2=abbastanza; 3=molto)_____________ E1.2 Ritiene la Sua impresa sufficientemente capitalizzata? Sì No E2 Accesso agevolato al credito E2.1 Dal 2008 ad oggi, la Sua impresa ha ricevuto garanzie da enti/consorzi fidi?

Sì No E2.2 La quota di debiti assistiti da tali garanzie è cresciuta in questi anni di crisi?

Sì No

E3 Rapporti con le banche E3.1 Con quante banche la Sua impresa intratteneva rapporti stabili alla fine del 2012? _________. Tale numero è variato rispetto al 2007?

è aumentato è diminuito è rimasto stabile E3.2 Posto pari a 100% l’indebitamento bancario complessivo (a breve e a medio-lungo termine) alla fine del 2012, qual era la quota detenuta dalla banca principale? _________% [Indicare il nome della banca principale ________________________________________________________] Da quanti anni (circa) questa banca è la sua banca principale? _______anni

E3.3 Se la banca principale richiedesse il rientro delle posizioni debitorie già in essere, la ricerca di un’altra banca sarebbe:

facile difficile pressoché impossibile non so, non rispondo

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E3.4 Nei periodi indicati la Sua impresa avrebbe desiderato una maggiore quantità di credito?

2012 2013 Sì No Sì No

E3.5 Se ha risposto Sì , con quale motivazione la Sua richiesta di maggior credito non è stata soddisfatta? Rifiuto della banca a dare ulteriori affidamenti Richiesta di garanzie da parte della banca che l’azienda ha rifiutato di concedere Richiesta di tassi troppo onerosi da parte della banca che l’azienda ha rifiutato Altro (specificare):……………………………………………………………….

E3.6 A seguito della crisi, avete intrapreso iniziative volte a ristrutturare il debito bancario?

Sì No Non rispondo

E3.7 Avete ricevuto dalle banche richieste di rientro anticipato nel 2012 o nel 2013?

Sì No Non rispondo F3.15 Se ha scelto “Fattori specifici”, ritiene che i modelli di rating adottati dalle banche siano in grado di valutarli adeguatamente quando la Sua impresa chiede credito?

Sì No F3.16 Se la risposta è No, ritiene che le banche siano comunque in grado di valutarli adeguatamente? Sì No