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LA PEDAGOGIA SPECIALE NELLA PROSPETTIVA STORICA BREVI CENNI

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LA PEDAGOGIA SPECIALE NELLA PROSPETTIVA STORICA

BREVI CENNI

ALCUNE PREMESSE …Guardare alle origini della Pedagogia speciale presuppone treapprofondimenti:

1) EPISTEMOLOGICO: - chiarire l’oggetto di studio e l’ambito di intervento - definire i rapporti tra Pedagogia speciale, Pedagogia generale e altre scienze dell’educazione e dell’uomo

2) STORICO-SOCIALE: ricostruire l’evoluzione dell’approccio alla diversità da parte della società e da parte del pensiero pedagogico

3) ISTITUZIONALE, SCOLASTICO e NORMATIVO. Occorre ricostruire: - gli sviluppi della scuola italiana dagli inizi del Novecento ad oggi - l’intima relazione tra la Pedagogia speciale e la Pedagogia generale

Si tratta di una ricerca critica e storiografica tuttora poco esplorata, e quindi più faticosa.

La storia della pedagogia speciale è vittima di un pregiudizio: l’educazione speciale viene considerata un supplemento operativo della pedagogia generale.

Gli attuali studiosi di storia della pedagogia speciale si occupano soprattutto di ricostruire le teorie e i metodi educativi rivolti agli anormali sensoriali.

Per ragioni soprattutto culturali, appare più complessa la ricostruzione storica dell’educazione degli anormali fisici e psichici.

Nonostante questo, il materiale bibliografico è molto vasto.Non è possibile una sua trattazione esaustiva, ma una sua riorganizzazione in base a circoscritte linee tematiche.

PERCHÉ GUARDARE ALLA STORIA DELLA PEDAGOGIA SPECIALE, E QUINDI ALLA STORIA DELLA PEDAGOGIA GENERALE?

“(…) la pedagogia non è scienza d’oggi; essa ha un passato, ha una storia, e la trattazione nostra sarebbe incompiuta, se (…) nulla dicesse della storia dell’educazione e della pedagogia”.

“La storia della pedagogia così trattata è un campo di critica, unvero laboratorio per meditare e riprovare le sue idee. Il pedagogistaè messo in grado da tale storia di distinguere facilmente verità ederrori; di facilmente distinguere ciò che è permanente nell’ordineeducativo e ciò che è evanescente (…). Per i maestri egl’insegnanti, tale storia è quasi la guida alla coscienza piena della loro professione. Dirò ancora che su questa cultura storica generale della pedagogia, le storie speciali della pedagogia stessa e le monografie pedagogiche trovano un nuovo campo e un nuovo indirizzo (…)”.(S. De Dominicis, La Scienza Comparata dell’Educazione, Storia della Pedagogia, Giuseppe Damiano Editore, Milano 1913, pp. 5, 13)

Dunque, per individuare negli orientamenti del presente alcune tracce innovative del passato.

LA NASCITA DELLA PEDAGOGIA MODERNA E LA SCOPERTA DELL’INFANZIAPer molti secoli …

“L’infanzia era vista come una fase della vita segnata dall’irrequietezza edall’instabilità, potenzialmente pericolosa non tanto in sé, quanto negli esitifuturi nella misura in cui non veniva inquadrata e disciplinata”. Si era diffuso pertanto un modello educativo “centrato sull’obbedienza, sulprincipio del decoro, sull’autocontrollo del corpo, dei gesti e delle parole,del risparmio, del perdono, ma anche della giusta punizione impartita a chi sbaglia”.(G. Chiosso, Alle origini di Mompiano. L’esperienza agazziniana nella realtà sociale ed educativa di fine secolo, in “Pedagogia e vita”, 1994, n. 3, p. 64)

Era diffusa una visione negativa e impersonale dell’infanzia,costruita per rispondere al modello dell’individuo adulto, che, abolendo qualsiasi specificità, costringe “l’educazione di ciascuno a ciò che, di fatto, l’adulto e la società, per la sola ragione che sono più forti del singolo individuo in crescita, la riducono (…)”.(G. Bertagna, Pedagogia «dell’uomo» e pedagogia «della persona umana»: il senso di una differenza, pp. 26, 27)

Dal ‘700 in poi, il rinnovamento culturale, sociale e istituzionale accompagna la nascita della pedagogia moderna, che contribuisce gradualmente alla diffusione di una nuova visione dell’infanzia, espressione di particolari esigenze.

JEAN-JACQUES ROUSSEAU (1712-1778)

- riconoscimento della centralità del soggetto che apprende;- educazione naturale e “autobiografica”: rispettosa dei ritmi dello sviluppo psicofisico;- critica all’educazione tradizionale.

“I più sapienti si fissano su ciò che è necessario che l’uomo sappia, senza tener conto di quello che i fanciulli sono in grado di imparare. Nel fanciullo essi cercano sempre l’uomo, senza pensare a quello che egli è prima di essere uomo. (…)Cominciate dunque con lo studiar meglio i vostri allievi, perché, senza alcun dubbio, voi non li conoscete affatto”.(J. J. Rousseau, Emilio, Zanichelli, Bologna 1955, pp. 2, 3)

JOHANN HEINRICH PESTALOZZI (1746 – 1817)

Educazione popolare: rivolta alle classi più povere e tesa alla formazioneintegrale di ognuno.

Solo un’educazione che coinvolga contemporaneamente “mente, cuore emano” fondendosi con le concrete e specifiche esperienze di vita,permetterebbe ad ogni uomo di svolgere ed esercitare l’amore e la fede, il pensiero e i sensi. (J. H. Pestalozzi, Il canto del Cigno, La Nuova Italia, Venezia 1928, pp. 7 e sg.)

“ (…) Scopo finale dell’educazione non è già quello di perfezionare le nozioni scolastiche, bensì quello di preparare alla vita (…). Noi non abbiamoalcun diritto di limitare a qualsiasi uomo la possibilità di sviluppare tutte le proprie facoltà. (…) La grande varietà di doti e d’inclinazioni, di progetti e di tendenze, che s’incontra tra gli uomini, è già di per sé prova sufficiente della necessità di tale diverso trattamento”.(J. H. Pestalozzi, Madre e figlio, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 145.)

“La sentenza: chi è nato a mangiar fieno, si nutra di fieno, non vale per noi. Non esiste per noi ceto umano che sia nato per vivere soltanto in modo animalesco. Crediamo che le sublimi doti dell’umana natura si trovino in ogni ceto e in ogni condizione sociale”.(J. H., Pestalozzi, L’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1946, pp. 29, 30)

FRIEDRIC FRÖBEL (1782 – 1852)

Nuova educazione, rivolta allo sviluppo integrale di ognuno e impegnata arispondere alle necessità culturali e professionali di una nuova nazione.

“Allo spirito dell’uomo è stato dato, come suo strumento, il corpo; e quindi il corpo umano, allo stesso modo che lo spirito umano, esige uno svolgimentocompiuto sotto tutti i rispetti, rispondente alla sua natura ed alla sua essenza.(…) Di conseguenza un principio affatto speciale guida la nostra attività: che una vera educazione, in armonia con l’essenza dell’uomo, deve unificareintimamente il pensare ed il fare, il conoscere e l’agire, il sapere e il potere”.(F. Froebel, L’educazione dell’uomo e altri scritti, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1960, p. 248)

Armonizzazione delle diverse dimensioni del bambino attraverso il gioco, riconosciuto come un diritto dell’infanzia, che necessita di luoghi e strumenti adatti.

“Il gioco è la manifestazione più pura e spirituale dell’uomo. (…) I giuochi di questa età sono i germi dell’intera vita futura, poiché in essi si svolge e si mostra tutto l’uomo nelle sue disposizioni più delicate, nel suo sentimento intimo”.(Ivi, pp. 43, 44 )

L’EDUCAZIONE SENSORIALE ALLE RADICI DELL’EDUCAZIONE SPECIALE

ROUSSEAUPrecursore anche di una iniziale definizione dell’educazione sensoriale.

“All’inizio della vita, quando la memoria e l’immaginazione sono ancora inattive, il bambino è attento solo a ciò che colpisce immediatamente i suoi sensi; costituendo le sensazioni il primo materiale delle sue conoscenze, offrirgliele in un ordine adeguato significa preparare la sua memoria a fornire un giorno nello stesso ordine al suo intelletto” (J. J. Rousseau, Emilio o Dell’educazione, cit., p. 48)

Tale principio è stato adottato dalla maggior parte di coloro che per primi si sono occupati dell’educazione della disabilità sensoriale, fisica e mentale: “(…) La più grande importanza della educazione dei sensi è sempre, anche nel deficiente, in ciò, che attraverso l’esercizio dei sensi possiamo fare un esercizio vero e proprio di attività psichiche che, perfezionando i poteri sensoriali, contribuiscono, insieme, a un perfezionamento mentale del soggetto”. (G. Calò, Pedagogia degli anormali,Università Editrice, Firenze 1946, pp. 147, 148)

FRÖBEL

Notevoli influenze del suo pensiero sull’educazione sensoriale degli anormali sensoriali, fisici e mentali. Ispirerà infatti molti dei metodi utilizzati per l’educazione sensoriale dei bambini “anormali”:

“I giuochi froebeliani – chiarisce ancora Calò, proseguendo il discorso iniziato con Rousseau – sono già mezzo validissimo per la educazione dei sensi, perché offrono all’attività pratica, costruttiva, per quanto elementare, del bambino un mezzo che, interessandolo enormemente, richiama la sua attenzione sulle proprietà della materia di cui si serve e sulle qualità degli oggetti. (…) Tutta la esercitazione dei sensi deve in principio assumere la forma di giuoco, perché, rispondendo così alla inclinazione e alla più spontanea forma di attività del bambino, contribuisce a migliorare effettivamente quelle attività mentali che si vogliono sviluppare”.(G. Calò, Pedagogia degli anormali, Lezioni di Scuola Magistrale Ortofrenica, cit., pp. 150)

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Ad esempio, Montesano e Montessori utilizzano il materiale e il metodo fröbeliani per l’educazione dei “deficienti” e per la loro formazione professionale.

“Così gli esercizi di intreccio che generalmente sono fatti con striscioline di carta, nell’istituto diretto dallo scrivente si fanno invece sopra appositi telai, nei quali striscie di stoffa colorata, tese nella stessa direzione, formano come l’ordito attraverso cui il bambino fa passare, intrecciandole, altre striscie (…). Si passa pian piano dal metodo froebeliano modificato a quello comune, poi al lavoro manuale educativo e infine ai lavori professionali. Così si fanno eseguire lavori d’intreccio in paglia e in corda, lavori in cartonaggio e in fil di ferro, lavori di tessitura, confezioni di scope (…)”. (G. Montesano, Assistenza dei deficienti, amorali e minorenni delinquenti, Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi, Milano 1913, p. 41)

I metodi e lo specifico materiale didattico ideati dai primi educatori dei disabili (sensoriali, fisici e mentali) si inseriscono nel medesimo orizzonte filosofico e culturale, collocabile tra l’Empirismo e il Sensismo.

Il Sensismo permette “di dare espressione alle idee, facendo appropriare le parole alle immagini e le forme corrette ai legami delle sensibili cose. (…) Nell’educazione sensoriale… non è questione d’educare ciechi a vedere, né i sordi a udire…, ma di coltivare tutte le facoltà, sottoponendole a un unico processo educativo. (…) Non ci sono, in massima, né fanciulli normali, né fanciulli anormali: tutti sono suscettibili d’educazione; tutti possono pervenire a un grado più alto della loro perfettibilità efficiente”.(E. Giansiracusa, Efficacia e limiti del sensismo nell’educazione e nell’arte, Edizioni «Siculorum Gymnasium», Milano 1940, p. 40-56)

I primi a beneficiare di questo modo di pensare sono i ciechi e i sordomuti, attraverso l’educazione di quei sensi ritenuti in grado di sostituire e compensare, nella conoscenza della realtà, il senso mancante o danneggiato.

LE PIÙ LONTANE ORIGINI DELLA PEDAGOGIA SPECIALEL’evoluzione del concetto di integrazione della diversità nella società enella cultura occidentali:

- PERIODO GRECO-ROMANO: rifiuto se non soppressione della diversità (Sparta)- PERIODO MEDIEVALE: la diversità viene allontanata e rinchiusa in luoghi speciali (lebbrosari)- ‘600 e inizi ‘700: dalla paura per le malattie infettive alla paura per la malattia mentale; isolamento dei pazzi in luoghi di internamento insieme

ai criminali- ‘700 (TARDO ILLUMINISMO): necessità di superare questi pregiudizi; maggiore fiducia nella razionalità umana; iniziale presa in carico della disabilità da parte della scienza e delle istituzioni.

Fin dal XVI secolo, i primi a ricevere qualche attenzione in senso riabilitativo ed educativo sono soprattutto i disabili sensoriali (sordomuti e ciechi).

L’ANORMALITÀ SENSORIALE

DAL CONTESTO EUROPEO ALLA SITUAZIONE ITALIANA

1. L’EDUCAZIONE DEI SORDOMUTI

TOMMASO PENDOLA (1800 – 1883)Ricostruisce la storia dei primi tentativi e dei primi istituti rivolti all’educazionedei sordomuti.

“Io non chiamo a testimonii gli uomini di ricco censo, ai quali spesso non èsacrificio sovvenire con le lemosine: interrogo il pio benefattore che poverodi fortuna, ma ricco di carità patria e di scienza ha consacrato tutto sé stesso al miglioramento del sordo-muto (…). Un lento e pietoso lavoro di rigenerazione si preparava in silenzio a favore del sordo-muto su diversi punti del globo. Uomini eletti, e quasi tutti ministri della religione di Cristo, tentarono di aprire con generosi sforzi i sentieri dell’intelligenza alla classe dei più bisognosi tra i creati da Dio”(T. Pendola, Sulla educazione dei sordomuti in Italia, Tip. Del R. Istituto dei Sordo-Muti, Siena 1855, pp. 1, 28, 29)

Tra questi preziosi tentativi, Pendola ricorda soprattutto:

- GIROLAMO CARDANO (1500): il primo sostenitore dell’educazione dei sordomuti attraverso la lettura e la scrittura.

- L’ABATE DE L’ÉPÉE (seconda metà 1700): “Non pensò che a riflettere maturamente sui mezzi, con i quali supplire all’udito e alla lingua parlata; e nel linguaggio dei gesti trovò la pietra angolare conveniente a sostenere l’intellettuale edificio del sordo-muto” (T. Pendola, Sulla educazione dei sordomuti in Italia, Ed. Sordomuti, Siena 1858, pp. 30, 31)

Fonda il primo istituto pubblico per sordomuti.

Si rende conto dell’ulteriore isolamento sociale che il linguaggio dei segni apportava alla vita dei sordomuti. Abbina all’apprendimento del linguaggio dei segni quello della scrittura alfabetica.

- SAMUEL HEINICKE (seconda metà 1700): Proibisce nell’istituto che dirige il linguaggio dei segni e promuove il metodo orale, fondato sull’insegnamento della parola attraverso l’uso della parola.

Si diffondono due scuole contrapposte:

1) Scuola francese (metodo dei segni): l’educazione ha il fine di proteggere i sordomuti, spesso poveri e abbandonati, dai pericoli morali a cui sono esposti.

2) Scuola tedesca (metodo orale): l’apprendimento della lingua parlata, più difficile e laborioso, presuppone il fine di migliorare l’integrazione dei sordomuti nella società.

TOMMASO PENDOLA (1800 – 1883)

Inizialmente, rifiuta il secondo metodo, consapevole dei limiti della sola comunicazione verbale, spesso vuota e fredda, perché ridotta al significato letterale della parola.

“Il linguaggio mimico deve considerarsi come la vera lingua del sordo-muto. Il difetto delle funzioni dell’udito di questo infelice non lo priva delle prerogative proprie dell’uomo. L’anima sua è dotata di facoltà razionali al pari dell’anima del parlante; ed è resa intelligente dall’idea al pari degli altri uomini. Nella sua unione col corpo prova il bisogno di esprimere i sentimenti provocati dalla facoltà sua istintiva; e inmancanza delle parole si trova costretta ad imprimere un movimento in quelle membra, che la natura ha destinato a far le veci dell’organo dell’umana voce”. (T. Pendola, Sulla educazione dei sordomuti in Italia, cit., p. 242)

A distanza di quasi trent’anni, Pendola cambia prospettiva, alla luce degli esiti del metodo orale nella vita dei ragazzi da lui stesso educati e inseriti in varie realtà professionali.

“I gesti non sono tutti compresi, e ne abbiamo prova eloquente nella passata esperienza. Usciti questi infelici dalle nostre scuole colla sola istruzione della scrittura e del gesto, trovarono con difficoltà accesso alle officine, ora perché il gesto non era inteso dai manifattori, ora perché la scrittura o non era ancora conosciuta dagli uomini della plebe, o non poteva con facilità e sempre adoperarsi. E quante volte udimmo dirci dalle famiglie, alle quali i nostri alunni erano consegnati; noi non intendiamo più i loro gesti? Il mezzo dunque più comune, più facile e più conveniente è la viva parola della nazione”(T. Pendola, “Dell’educazione dei sordo-muti in Italia”, anno V, Tipografia sordo-muti, Siena 1876, pp. 218-220)

Édouard Séguin (1812 – 1880) ricorda il potoghese Péreire, dal quale riprende, per affrontare l’educazione degli “idioti”, il principio ispiratore del suo metodo.

JACOB-RODRIGUES PÉREIRE (metodo labiale) (1715 – 1780)

“ (…) Péreire s’era posto dallo stesso mio punto di vista, che date funzioni possono essere restituite là dove mancano, e in questo senso era inventore in tutta l’accezione della parola”. (E. Séguin, L’idiota, L’educazione degli idioti metodo e pratica, Vol. II, Armando Editore, Roma 2002, pp. 11, 13)

Péreire mette a punto un metodo educativo fondato sulla lettura “labiale” della parola, grazie al quale il sordomuto “resta privo d’un senso, l’udito, ma non di una facoltà, la parola; resta sordo, ma le parole che non sente, le vede e si trova sullo stesso piano di tutta la specie umana parlante e pensante. (…) La possibilità di educare gli idioti si fonda, ne convengo, su un’ipotesi molto meno ardita, ma comunque analoga. Per gli idioti, il problema dell’educazione non consiste nel sostituire un modo di percezione insolito a modi di percezione che non esistono; risiede semplicemente nella possibilità di regolare l’uso dei sensi, di moltiplicare le nozioni, di render feconde le idee, i desideri, le passioni (…)”. (Ivi, p. 13)

2. L’EDUCAZIONE DEI CIECHI

Le rappresentazioni e la condizione dei ciechi nel passato:

- MEDIOEVO: la loro sorte è nelle mani dei benefattori della carità cristiana;

- INIZI ETÀ MODERNA: ai ciechi viene attribuita una sensibilità mistica.

- SECONDA METÀ XVII SECOLO: celebrato come il secolo della rivoluzione ottica; si sperimentano tecniche palliative della cecità, mediante il senso del tatto.

- XVIII SECOLO: diffusione del sensismo. Locke, Diderot, Condillac e Berkeley concepiscono l’esperienza sensoriale al centro dei processi cognitivi; per primi accennano nelle loro opere all’educazione dei ciechi (Il problema di Molyneux).

NEL CONTESTO EUROPEOGià dal XVI secolo, si possono individuare alcuni studiosi e educatori di rilievo, veri precursori dell’educazione dei ciechi:

Juan Louis Vivès (1492 – 1540) Diffonde l’idea che i poveri, dei quali i ciechi rappresentano una partecospicua, possano accedere ad una serie di lavori intellettuali, artistici emanuali.

“Mentre Vivés anticipa l’opportunità di rendere i ciechi utili alla societàattraverso lo studio, la musica o il lavoro manuale, altri due umanisti, PedroMexia e Girolamo Cardano, evocano – qualche anno dopo – la possibilità di insegnare loro a scrivere per mezzo di tavolette dove sono incise le lettere dell’alfabeto”.(Z. Weygand, Les aveugles dans la société française, du Moyen Age au siècle de Louis Braille, Ed. Valèro et Fils, Bruxelles 1943, p. 42)

Entrambi si riferiscono al medesimo metodo, in merito al quale però Cardano sottolinea i limiti e le difficoltà derivanti dagli eccessivi sforzi che esso richiede. Con questa constatazione, Cardano denuncia un ulteriore ritardo nell’accesso dei ciechi alla cultura scritta.

PADRE FRANCESCO LANA-TERZI (1631 – 1687)Dimostra per la prima volta “come un cieco dalla nascita possa, nonsoltanto imparare a scrivere, ma anche a nascondere i suoi segreti sottoforma di una combinazione di cifre, e a capire la risposta mediante la stessacombinazione” (Estratto citato nel testo della Weygand dall’opera di P. de Lana, Esposizione di qualche invenzione nuova che precede l’Arte magistrale, stampata a Brescia nel 1670)

VALENTIN HAÙY (1745 – 1822)Il sistema di codici e di cifre escogitato dal padre bresciano verrà utilizzato eperfezionato da Valentin Haùy con i suoi allievi della Regia Istituzione dei Giovani Ciechi, da lui stesso fondata a Parigi nel 1785 “con il triplice scopo di istruire alla lettura e alla scrittura, di insegnare la musica o il lavoro, per una completa formazione umana e sociale dei giovani non vedenti”.(E. Ceppi, I minorati della vista, Storia e metodi delle scuole speciali, cit., p.42)

La tecnica insegnata da Haùy consiste nel fissare su tavolette cerate caratteri in rilievo.

Tale tecnica non consente ai piccoli allievi della scuola di leggere conrapidità; l’esplorazione della parola richiedeva tempi lunghi .

LOUIS BRAILLE (1809 – 1852)Allievo della scuola di Haùy, il giovane prodigio Louis Braille perfeziona esnellisce il metodo del suo benefattore.

Nel 1821 viene ispirato dall’invenzione del sistema di scrittura notturna messoa punto dal capitano francese Charles Barbier de la Seine per facilitare la trasmissione dei messaggi codificati durante le operazioni militari.

Braille crea nel 1824 un vero alfabeto a partire da una combinazione possibile di sei punti in rilievo. Nonostante le resistenze iniziali, manifestate soprattutto dagli educatori vedenti costretti ad utilizzare un metodo di scrittura e di lettura completamente diverso da quello tradizionale, attualmente il codice Braille “è universalmente adottato in tutte le scuole per ciechi del mondo, essendoormai riconosciuta da tutti la sua perfetta aderenza alle esigenze della percezione tattile”.(E. Ceppi, I minorati della vista, Storia e metodi delle scuole speciali, cit., p. 49)

LA SEGNOGRAFIA BRAILLEBraille intuisce l’esigenza di rinunciare a riprodurre la forma delle lettere per i ciechi dall’alfabeto. Il senso del tatto deve infatti seguire percorsi ricettivi e cognitivi differenti rispetto alla vista.

Per ciascuna delle lettere, Braille introduce una morfologia innovativa, basata su sei punti disposti geometricamente: ogni carattere alfanumerico corrisponde a una specifica composizione di sei punti su un’area predefinita.La casella Braille è costituita da un rettangolo verticale caratterizzato da dimensioni fisse: base mm 3, altezza mm 6. La scelta di queste dimensioni deriva dalla necessità di percepire con un’unica esplorazione digitale il contenuto delle caselle. Il polpastrello non dovrà mai muoversi in senso verticale ma solo ed esclusivamente in senso orizzontale, seguendo la direzione della riga. (www.ipovedenti.it/index.htm)

IN ITALIA

L’esperienza francese diffonde “la convinzione che l’assistenza ai ciechi potesse progredire da semplice protezione sociale a forme più propriamente pedagogiche. La storia dei vari Istituti italiani (…) vede come comune denominatore (…) l’acquisizione da parte dei bambini non vedenti della lettura, della scrittura e di un’istruzione elementare, mentre, fattisi ragazzi e poi adulti, essi venivano avvicinati all’apprendimento di un’arte o di un mestiere. Una costante risulta sempre l’insegnamento della musica e lo studio di uno strumento musicale (…)”.(T. Zappaterra, Da Valentin Haüy a Louis Braille. Genesi e riferimenti storici della pedagogia dei non vedenti, in «L’integrazione scolastica e sociale», Vol. 8, n. 1, febrraio 2009, p. 17)

Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 vengono pubblicati e diffusi importanti opere e periodici dedicati alla ricerca medica ed educativa.

Si assiste ad un progressivo rinnovamento nell’educazione dei ciechi.

AUGUSTO ROMAGNOLI (1879 – 1946)Docente di filosofia, cieco dal primo mese di vita. Si avvicina alle opere dei filosofi spiritualisti e degli esponenti dell’attivismo pedagogico. Riflettendo sulla propria condizione, esprime la necessità di dimostrare a se stesso e agli altri che l’intelligenza ed il pensiero non sono prigionieri della minorazione.

Nel 1912, viene incaricato dalla Regina Margherita di educare un gruppo di bambine non vedenti, cresciute fino ad allora nell’Ospizio per ciechi da lei fondato, ma privo di stimoli adeguati.

Si tratta quindi dell’occasione ideale per sperimentare - la sua concezione dell’educazione. Il suo modello è “una scuola attiva, operativa, fondata sul ripristino di una sana attività fisica e sulla intensa stimolazione della curiosità e dell’intelligenza”. (E. Ceppi, I minorati della vista, Storia e metodi delle scuole speciali, cit., p. 30)

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- La consapevolezza delle raffinate risorse conoscitive dei ciechi, “non per finezza del tatto e dell’udito, (…) ma per l’arte di toccare e di udire; e ben più lo saranno, quando l’arte riflessa li formerà dai più teneri anni e aggiungerà agli stimoli della natura i suoi sforzi più sapienti” (A Romagnoli, Pagine vissute di un educatore cieco, Ed. Unione Italiana Ciechi, Firenze 1944)

Imposta un metodo educativo attento soprattutto alle difficoltà di orientamento che i bambini ciechi manifestano sin da quando imparano a camminare, non tanto per il deficit di cui sono portatori, quanto piuttosto per un atteggiamento troppo protettivo dei familiari e degli educatori, che li priva degli stimoli necessari ai liberi movimenti

“Chi crederebbe che la difficoltà maggiore non consista nell’insegnar loro a leggere o a conteggiare, e nemmeno ad acquistare tutte le cognizioni possibili per mezzo della parola o dei libri, ma a correre e a giocare, a fare quelle cose che gli altri ragazzi non hanno bisogno di chi loro le insegni, bensì di chi sia capace di moderarli? Eppure anche oggi, (…) i poveri bimbi ciechi in tutti gli istituti nostri, (…) appena entrano si fanno sedere ai banchi della prima classe elementare, o al più di una classe preparatoria; e poco o tanto si pensa a migliorare i libri di testo o i procedimenti delle lezioni di cose, ma non si affronta la loro deficienza in ciò che ha di essenziale e di più deleterio, cioè nell’apatia per il moto e per lo sviluppo fisico sensoriale”. (A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, Zanichelli, Bologna 1924, pp. 9, 10)

Le riflessioni di Romagnoli si concretizzano in interventi graduati volti ad affinare la conoscenza del sé corporeo e dello spazio e per lo più proposti attraverso il gioco e alcune situazioni di collaborazione gruppale.

Nell’istituto di Romagnoli si privilegia un’educazione attenta allo sviluppo dell’autonomia necessaria per una vita futura piena e dignitosa.

“(…) E’ evidente che non erano materie principali la lettura, il calcolo e gli altri insegnamenti della scuola comune. Questi si davano come premio; e forse anche per ciò era rapido il profitto. Materia principale era l’orientamento. Programma minimo per la promozione alla seconda classe: l’andare senza guida per tutte le stanze della casa, in cappella, in ogni parte del giardino (…); per l’ammissione alla terza, scendere dalle scale posteriori fino alle fontane (…). Poi veniva l’esercizio di trovare una maestra o una compagna in un luogo indicato”. (A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., p. 59)

All’interno dell’istituto, le attività didattiche prevedevano:

1) esercizi per l’educazione fisica e per l’educazione muscolare:

Ad esempio, vengono allestite gare di corsa e la corsa dietro un vedente, per assumere la sicurezza dei suoi passi (Romagnoli preferisce questo metodo a quello del “prendere per mano il fanciullo” trascinandolo).Le corse avvengono inizialmente in linea retta e dopo in larghe curve.

Dopo questi esercizi preparatori, l’allievo deve essere in grado di farsi rincorrere prima in linea retta e poi in “serpeggiamenti e giravolte in tutte le direzioni”. A questo punto, i ragazzi “avranno raggiunta ormai l’elasticità e l’attenzione sufficiente per passare senza pericoli alla corsa in luoghi accidentati”.(A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., pp. 20, 23)

Lo svolgimento di ogni esercizio è abbinato anche a particolari stimoli uditivi.

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2) Esercizi per l’orientamento e la discriminazione degli ostacoli

Si propongono giochi di corsa collettiva: “il gioco della mosca cieca, del gatto e del topo, dei carabinieri e dei banditi (…)”.( A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., pp. 25, 29)

Bambine al gioco con il Direttore

3) Esercizi di rappresentazione e della mano:

Si tratta di esercizi volti alla riproduzione di semplici oggetti, mediante il modellamento della plastilina e della creta.Romagnoli ammette tuttavia la difficoltà delle sue educande a riconoscere questi oggetti e soprattutto le modalità concrete del loro utilizzo.

“Bisogna inventare dei giuochi anche per questi esercizi; e istituimmo la fabbrica dei confetti, cioccolatini, ciambelline, pane, maccheroni, e altri simili commestibili, nonché la fabbrica della frutta, rubando il mestiere anche agli alberi. Poi tutta questa grazia di Dio si faceva consolidare e si vendeva il giorno dopo sui banchi della scuola, imparando a contare, moltiplicare e dividere (…). Peraltro si fecero anche servizi da caffé e da tavola, pecorine e gattini, che poi rimasero lungamente in vetrina per compiacere la bambina. Avevano avuto così pochi balocchi, da tenere come oggetti preziosi anche questi abbozzi quasi informi”.( A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., p. 31)

“(…) Dopo gli esercizi di moto, era materia importante d’insegnamento e d’esame l’educazione della mano a toccare e plasmare, al fine pratico di formarsi idee concrete e di rappresentarle. (…) Usammo in parte anche gli esercizi Montessori, d’infilare cilindri di varie grandezze nei fori corrispondenti, di abbottonare cinghie e via dicendo; ma più che avvezzare alla discriminazione delle grandezze, delle forme e dei pesi, il nostro interessamento era di promuovere la formazione di idee d’insieme e di analogie, e di avvezzare a maneggiare e costruire” .

La costruzione di questi oggetti permette inoltre alle allieve di Romagnoli, incapaci di una visione sintetica della realtà, di imparare a distinguere l’essenziale dall’accessorio: “(...) le bambine spesso non riconoscevano una tazza o un altro oggetto comune, solo perché si smarrivano nei frastagliamenti e nei dettagli”.( A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., pp. 67, 79)

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Abbozzi in plastica

Rappresentazione di edifici e di animali

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4) Esercizi per il disegno

“Tornando alle nostre bambine, il disegno, preparato dalla conoscenza tattile degli oggetti e dalla plastica, non era più per esse uno studio astratto, ma la schematizzazione piacevole di ciò che si era rappresentato (…) con la creta. (…) Allora si può dire a una bambina: Disegnami il percorso dalla scuola al refettorio (…). L’associare e tradurre graficamente in segni tattili i movimenti deambulatori è di somma utilità per precisare l’orientamento e afforzare la memoria muscolare. Se poi si ha cura di dire, senza bisogno di insistervi, il nome delle figure geometriche, degli angoli, delle curve che si ha di volta in volta occasione di fare (…), ecco che, senza accorgersi e senza fatica, gli alunni imparano le prime nozioni della geometria”( A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., p. 84)

Bambine intente al disegno e alla plastica

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5) Esercizi per l’apprendimento della lettura e della scrittura

Si utilizzava il sistema Braille.

Casellario Romagnoli.

Tuttora in uso per l’apprendimento del sistema Braille, è un sussidio propedeutico per lo sviluppo della coordinazione bimanuale, l’apprendimento dei rapporti topologici di distribuzione e di ordine, lo sviluppo della prensione, la localizzazione sul piano orizzontale delle relazioni spaziali (agli angolo – riga e fila – alto e basso – ecc.) e la schematizzazione di ambienti noti.

5) Esercizi per l’apprendimento dell’aritmetica e della geometria

Ad esempio, per l’apprendimento del calcolo in colonna, “il sistema più comune nei nostri istituti è una casetta divisa in loculi (…); ogni loculo contiene una certa quantità di tipo, portante in rilievo una cifra o uno dei segni di virgola, di più, di meno ecc.; segni in uso per le operazioni”.( A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., p. 99)

La necessità che l’apprendimento sia fondato sull’esperienza concreta delle allieve non vedenti è avvertita anche rispetto all’apprendimento dei concetti geometrici: “La superficie di un metro quadrato si considererà concretamente, toccando in lungo e in largo una tavola, un foglio di carta (…), un tratto di muro (…)”.( A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., p. 103)

5) Esercizi per l’apprendimento della geografiaQuesti esercizi erano prevalentemente esercizi di topografia ed erano fondamentali affinché le allieve di Romagnoli potessero essere autonome sia nella scuola sia nel loro contesto di vita.

“Allora potevano darsi con frutto questi problemi: Qual è la via più breve per andare dall’Ospizio a Piazza del Popolo, e da questa a S. Giovanni? L’interesse di tali problemi veniva dal fatto, che quando si accompagnavano le ragazze per Roma, le maestre ponevano per patto che esse identificassero le vie da percorrere; chi meglio le indicava, più spesso usciva. (…) Prima di uscire le interessate studiavanoben bene il percorso da fare; si segnavano i loro bravi punti di riferimento, valendosi delle descrizioni lette sul libro di testo o udite da noi: una fontana, un giardino, una piazzetta… Ben inteso, bisognava accontentarsi di una grande approssimazione. Ma era quanto bastava per avvezzarle a stare attente e a coordinare rappresentazioni schematiche con rappresentazioni ricche di tutti gli accessori della realtà”.(A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., pp. 105, 106)

Oltre a questi esercizi, Romagnoli propone anche quelli per l’educazione musicale, l’educazione estetica e religiosa, svoltisoprattutto al secondo biennio della scuola.

L’ATTUALITÀ DEL METODO ROMAGNOLIRomagnoli è uno dei primi educatori attento più alla singola persona, e al suo futuro progetto di vita, che alla eventualità di piegare l’educazione di questa stessa persona affinché diventi utile socialmente.

Romagnoli intuisce inoltre l’urgenza che i non vedenti possano essere educati e istruiti a contatto con i loro coetanei vedenti.“L’educazione coi vedenti sarebbe l’ideale, tanto per ragioni economiche quanto per ragioni pedagogiche; e a questa si deve tendere, accostandovisi almeno per gradi, man mano che si riusciranno a dissipare i pregiudizi intorno alla cecità (…). Pare incredibile come i ragazzi con la vista siano pronti ad intuire la nostra condizione, i nostri bisogni e le nostre possibilità. (…) Dovunque un fanciullo cieco si trovi tra fanciulli con la vista, qualche volta questi si prevalgono per la loro superiorità nelle gare o nelle contese, ma in generale si affiatano perfettamente. Anche i bambini ciechi si rendono conto tardi di non essere come gli altri. (…) Così tra gli uni e gli altri fanciulli viene a stabilirsi presso a poco questo rapporto: il cieco concede la sua stima e la sua ammirazione, e crede con ciò di acquistare il diritto a fidarsi e ad essere compiaciuto; il vedente gode di sentirsi necessario e di avere una certa importanza”. (A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., pp. 52-55)

Grazie a Romagnoli, l’educazione dei non vedenti diventa inoltre oggetto di importanti revisioni a livello nazionale, sia da un punto di vista metodologico sia da un punto di vista normativo.

Nei primi anni ’20, l’educatore viene infatti convocato dal Ministero dell’Istruzione pubblica nel primo governo Mussolini per collaborare alla promulgazione della prima legge che rende obbligatoria l’istruzione dei ciechi e dei sordomuti (Riforma Gentile del 1923)

“Se nell’anno della riforma scolastica non ci fosse stata altra conquista che quella del decreto concernente i ciechi (e i sordomuti: altri redenti, non meno cari agli educatori italiani) già sarebbe grandissimo motivo di soddisfazione a chi lavorò con invilla fede al miglioramento didattico. Il Romagnoli e gli altri valorosi, che assistettero il Ministro Gentile e me, in quest’opera, meritavano che sul primo libro intorno ai ciechi che esce dopo la riforma fossero scritte queste parole che consacrano il patto d’alleanza sancito tra i vedenti e i ciechi, per la nuova educazione di quei fanciulli che essendo orfani della luce fisica, debbono perciò acquistare la luce di tutti, l’intelligenza creatrice, vivendo il più possibile intera la vita di tutti”.(G. Lombardo Radice, Introduzione a A. Romagnoli, Ragazzi ciechi, cit., p. VII)

Merito di queste iniziative:- negli sviluppi del pensiero pedagogico- nelle rappresentazioni sociali (l’impedimento biologico non comporta

necessariamente un impedimento a pensare)- nella possibilità che queste persone partecipino alla vita sociale e culturale della società.

Tuttavia permane la suddivisione di due ambiti di competenza:- Disabilità sensoriale (di cui si occupa l’educazione)- Disabilità fisica grave e psichica (di cui si occupa soprattutto la medicina e la psichiatria)

PER (NON) CONCLUDERE…

“Nel mondo moderno, c’è rispetto per l’individuo, i padri vogliono bene ai figli che non potranno mai restituire loro il pane e le carezze: lo Stato stesso, questa entità astratta, sembra che abbia un cuore, e alleva e istruisce degli sventurati a cui mancano sensi e facoltà. Così i ciechi e i sordomuti sono diventati uomini. Ma non ho dovuto guardarmi intorno a lungo per trovare una categoria di sfortunati da compiangere assai più di questi: (…) intendo dire gli idioti”.

E. Séguin, Hygiène et éducation des idiots, Baillière, Paris 1843, pp. 53-54

“Nel Medioevo, e anche in principio dell’evo-moderno, i malati eranoabbandonati a sé stessi e languivano coperti di piaghe tra gli orroridell’infezione: i leprosi erano sfuggiti da tutti, e i loro corpi si decomponevano senza soccorso. Allorquando questi individui infelici cominciarono a destar pietà, anziché schifo e ribrezzo, e ad attirare lacarità dei santi, anziché far fuggire gli egoisti e i paurosi, principiò su vastascala la cura dei morbi, e la fondazione degli ospedali, ove progredì lamedicina e quindi l’igiene. Oggi non esistono più le piaghe smaniose delmedio evo; e le infezioni si combattono con un progressivo successo, neltrionfo della salute fisica. Ebbene ora siamo allo stesso livello del medio evo, rispetto alle piaghe e alle infezioni morali: il fenomeno della criminalità si svolge senza freno e senza soccorso e fino a ieri ci faceva solo ribrezzo e schifo. Ma additata questa piaga morale dalla scienza, richiama la cooperazione di tutti gli uomini a combatterla. Noi ci troviamo dunque nell’epoca degli ospedali peri malati morali, nel secolo della loro cura (…).Noi educatori non dobbiamo dimenticare che abbiamo cominciato l’epoca della salute dello spirito; perché credo che i veri medici e gl’infermieri di questa nuova cura saremo noi”.

M. Montessori, Antropologia pedagogica, Casa Editrice dottor Francesco Vallardi, Milano 1910, p. 7