la parabola eurocentrismo

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parabola eurocentrica

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  • PICCOLA BIBLIOTHIKI 9

  • Mauro Di Meglio

    La parabola delleurocentrismo

    Grandi narrazionie legittimazione del dominio

    occidentale

    Asterios EditoreTrieste

  • Prima edizione: marzo 2008

    Asterios Editore un marchio editoriale di Servizi Editoriali srlVia Donizetti, 3/a34133 Trieste

    tel: 0403403342 - fax: 0406702007e-mail: [email protected]

    www.asterios.it

    I diritti di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento totale o parziale

    con qualsiasi mezzo sono riservati.

    ISBN: 978-88-95146-04-1

  • A Faruk

  • Indice

    Introduzione, 11

    CAPITOLO 1.

    LEUROPA AL CENTRO, 17

    La resistibile ascesa delleurocentrismo, 17

    Discipline e disciplinamento, 28

    Il liberalismo sostenibile, 43

    CAPITOLO 2.

    IL MIRAGGIO DELLA MODERNIZZAZIONE, 59

    Il manifesto del mondo libero, 59CAPITOLO 3.

    The Empire Strikes Back, 103Bibliografia, 159

  • Introduzione

    Leurocentrismo un problema. Con connotazioni perlo-pi negative, il crescente ricorso a questo termine haunito, a partire dalla seconda met del XX secolo, unavariet di critiche rivolte a una visione del mondo accusa-ta di considerare, con pretese universalistiche ma di fattoin unottica unilaterale, lEuropa, o lOccidente, come prin-cipale protagonista e come centro della storia e della civil-t. Il duplice addebito rivolto ai saperi eurocentrici stato, da un lato, di aver rappresentato la supremazia con-quistata dallOccidente sul resto del mondo nel corso degliultimi secoli in termini di necessit e inevitabilit, tacen-do, assieme ai lati oscuri di questa superiorit, ogni carat-tere contingente e casuale delle vicende storiche; e, dallal-tro, di aver contribuito, attraverso una dinamica di legitti-mazione circolare e cumulativa, allesercizio e al consoli-damento di questo dominio nelle sue forme sia materialiche intellettuali.Limplicita, quando non esplicita, virtuosit spirituale

    conferita allOccidente da questa narrazione della storiadel mondo apre la strada al primo dei due possibili signifi-cati attribuibili allidea di una parabola delleurocentri-smo. Questi saperi si propongono infatti, in primo luogo,come storia verosimile, che ambisce, in analogia con leparabole evangeliche, a esprimere in modo metaforico unaverit o a illustrare un insegnamento morale. Ma, al tempostesso, e dalla prospettiva odierna, la parabola delleuro-centrismo anche, in unaccezione del tutto diversa, la sto-ria della traiettoria di ascesa prima, e di declino poi, dellavitalit e dellefficacia di questi stessi saperi nel sosteneree nel legittimare il ruolo dominante dellOccidente sullascena mondiale; una traiettoria peraltro incomprensibilese considerata disgiuntamente tanto dalle aspirazioni e

  • LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO12

    dalle promesse universalizzanti, rivelatesi poi illusorie,proprie dei saperi eurocentrici intesi come parabola dalcontenuto morale, quanto dallinterruzione del processo direciproco rafforzamento fra dominio materiale e intellet-tuale e dal mutamento, occorso negli ultimi decenni, neirapporti e negli equilibri di potere su scala mondiale.La storia dei saperi sociali, nella prospettiva dalla quale

    si guarda qui ad essa, lungi dallessere una marcia raziona-le ed epistemologicamente fondata di progressiva bonificadellignoranza, viene cos intesa come un aspetto di un picomplessivo processo costitutivo di un sistema storico edellinestricabile intreccio fra la strutturazione delle istitu-zioni del modo di organizzazione e lelaborazione, ecostante riconfigurazione, di un modo di rappresentazio-ne, ossia di una realt virtuale che mira a individuare edefinire, secondo una logica di rispecchiamento, le dina-miche del processo costitutivo, ma che, al tempo stesso, ne suo elemento essenziale e strutturale, offrendo rispostealle contingenze e ai bisogni organizzativi delle diversecollettivit e orientando il loro modo di pensare il mondoe le loro strategie di azione.Troppo spesso intese feticisticamente, a partire da una

    oggettivazione dei processi della loro produzione, le dina-miche dei saperi sociali quale che sia il grado di scienti-ficit al quale questi aspirano o che pi o meno generosa-mente si attribuiscono non soggiacciono mai esclusiva-mente, e nemmeno prioritariamente, ad una logica di veri-fica della loro adeguatezza a dar conto dei fenomeni stu-diati, n si esauriscono in un insieme di osservazioni everifiche sperimentali o di procedure matematiche o logi-co-formali. Parafrasando Marx e le sue riflessioni sulcarattere di feticcio della merce e sul suo arcano, questoatteggiamento esprime ci che si potrebbe definire fetici-smo delle idee, secondo il quale, nella produzione deisaperi, quelli che appaiono come espressione di dinamicheoggettive o scientifiche di corrispondenza fra realte teoria, sulla base della convalida o, al contrario, dellaconfutazione di ipotesi e teorie, e dunque di rispecchia-mento fedele e adeguato dei processi storici, o come esitodi processi interni di verifica della coerenza e della logi-ca di questi saperi, sono soltanto soltanto? lespressio-

  • INTRODUZIONE13

    ne del carattere sociale del lavoro di produzione dei saperistessi e dunque dei rapporti sociali determinati che esisto-no fra gli uomini stessi.Le modalit di rappresentazione del mondo, oltre a svol-

    gere la funzione manifesta di comprensione delle dinami-che reali, sono chiamate a compiti al tempo stesso diprogettazione, creazione, gestione e legittimazione delleforme istituzionali concrete, secondo una dinamica direciproco rafforzamento. Visti in questa prospettiva, isaperi storico-sociali si configurano non solo come realtvirtuale, ma anche, si potrebbe dire, come virtualitreale, nel loro ruolo attivo di costruzione del modo diorganizzazione. Le loro dinamiche, e la loro intelligibilit,sono dunque inseparabili dallo sviluppo delle condizionicontraddittorie da cui sono emersi e di cui sono parte inte-grante, operando anche come strumento di legittimazionedei rapporti di forza e della distribuzione ineguale deibenefici nel presente.Formulati in risposta a esigenze diverse e a molteplici

    livelli di specificit, questi saperi assumono, ad un elevatolivello di astrazione, le sembianze di grandi narrazioni,ossia di metastorie che ambiscono, istituendo dei nessi frala variet degli eventi e attribuendo coerenza alla succes-sione delle forme organizzative, a dare un senso alla sto-ria nel suo insieme, costituendo la trama generale attra-verso la quale individui e gruppi trovano una collocazionenella storia grazie a un passato ben definito e a un futuroprevedibile. Si tratta di costruzioni mitologiche, ossia dimiti storiografici, di fatto non suscettibili di verifica o diconfutazione, che, al pari del discorso scientifico e razio-nale, mirano, offrendo un modello interpretativo dellestrutture, degli andamenti ciclici e degli eventi di un datosistema storico-sociale (cfr. Wallerstein, 1991a), a com-prendere e a spiegare il mondo attraverso il ricorso allanarrazione e, inoltre, a fornire una risposta allesigenza diorganizzazione simbolica della realt (cfr. McNeill, 1986).Certo, la storia dei saperi sociali ci pone di fronte a una

    tale variet di formulazioni che ogni tentativo di rubricareuna parte pi o meno consistente di esse nei termini dicornici cognitive e di categorie classificatorie cos generaliespone inevitabilmente al rischio di semplificazioni, che

  • LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO14

    sembrano ridurre in modo ingeneroso e fuorviante la com-plessit della storia che ambiscono a rappresentare. E tut-tavia, a motivare e a legittimare una riflessione di questogenere non solo la convinzione nellutilit di analisi deisaperi sociali, e della loro storia, condotte su ciascuno deidiversi possibili livelli di concettualizzazione, ma anche laconvinzione che la rottura delle dinamiche di rafforzamen-to delle strutture cognitive che scaturiscono dallintrecciofra questi diversi livelli di astrazione sia possibile, o quan-to meno pi agevolmente praticabile, solo a condizione diriconoscere, al di l dei molteplici processi che hanno por-tato alla loro articolazione, il potere coercitivo e limitante in termini di domande intellettualmente legittime, dicategorie analitiche, di approcci metodologici e tecniche diricerca, cos come della formulazione di strategie di azioneda parte delle diverse collettivit delle cristallizzazioniteoriche ai livelli di astrazione pi elevati.La tesi dellavvento di una condizione postmoderna,

    con il suo scetticismo nei confronti delle metanarrazioni,espresse una potente forma di critica e di disillusione neiconfronti della credibilit delle grandi narrazioni eurocen-triche, con le loro visioni universalizzanti e le loro pro-messe di progresso, prosperit, libert, eguaglianza e giu-stizia, cos come della loro funzione di legittimazione deisaperi e delle istituzioni sociali. Al tempo stesso, la rifles-sione postmoderna afferm limpossibilit di analizzare emettere in discussione una grande narrazione, e di inter-rogarsi sulla volont di cambiarla, a meno di riconoscere lasua esistenza e il contributo dato da tutti alla sua struttu-razione, alla sua efficace applicazione e alla sua sopravvi-venza. In questo senso, il postmodernismo la verit nega-tiva della modernit, uno smascheramento delle sue prete-se mitiche, lideologia di una specifica epoca storicadellOccidente, in cui gruppi umiliati e offesi cominciano arecuperare qualcosa della loro storia e del loro modo diessere. Ed qui che risiede il merito pi prezioso di que-sto indirizzo (Eagleton, 1996, p. 42).Tuttavia, lincredulit nei confronti delle grandi narra-

    zioni si trasform ben presto nella proclamazione dellaloro fine, e nella loro sostituzione ad opera di una plurali-t di rivendicazioni di sapere eterogenee, di formazioni

  • INTRODUZIONE15

    discorsive e di giochi linguistici. Come sentenzi Lyotard,[l]a funzione narrativa perde i suoi funtori, i grandi eroi,i grandi peripli ed i grandi fini. Essa si disperde in unanebulosa di elementi linguistici narrativi, ma anche deno-tativi, prescrittivi, descrittivi, ecc., ognuno dei quali veico-la delle valenze pragmatiche sui generis. Ognuno di noivive ai crocevia di molti di tali elementi. Noi non formiamodelle combinazioni linguistiche necessariamente stabili,n le loro propriet sono necessariamente comunicabili(Lyotard, 1979, p. 6). Lobiezione nei confronti di un certomodo di strutturare concettualmente la storia si trasformcos nellobiezione verso la sua strutturazione concettualetout court. Ma questo atteggiamento pone dei problemi.Non si tratta semplicemente dellesito paradossale e

    autocontraddittorio che rende la narrazione della mortedella metanarrazione essa stessa pi grandiosa della mag-gior parte delle narrazioni che vorrebbe consegnare allo-blio (Osborne, 1995, p. 157), quanto del misconoscimentodella coesistenza di cambiamento e di continuit nei pro-cessi storici e delle loro plurali temporalit e, al tempostesso, della impossiblit di formulare un qualsiasi signifi-cato storico senza ricorrere ad una pi ampia visione delpassato: La storia diverrebbe altrimenti una raccoltaincoerente di infinite micronarrazioni prive di ogni legamee impossibili da raccontare, e gli studiosi si troverebberonella condizione del famoso neonato descritto da WilliamJames, che, per mancanza di facolt concettuali e discri-minatorie, percepiva il mondo come una grande, inesauri-bile e animata confusione (Bentley, 2003, p. 48).Peraltro, come ha osservato Edward Said, anche laddove ilriferimento ad esse viene negato, le grandi narrazionirestano in piedi, anche se la loro concretizzazione e realiz-zazione stata rimandata, o messa in letargo, o snaturata(Said, 1995 [1978], p. 347).Ci che Said intendeva ricordare che le cornici cogniti-

    ve delle quali ci serviamo per interpretare e attribuiresignificato ai processi storici costituiscono un elementodecisivo, per quanto di certo non lunico elemento, nelle-dificazione di architetture istituzionali ineguali, e dunqueinvitava a fare ritorno allo studio delle grandi narrazioni,dal momento che, per quanto nella storiografia non possa

  • verificarsi una vera e propria presa del potere, si pu alme-no tentare di mostrare, in una prospettiva di demistifica-zione, quali interessi materiali sono in gioco nella praticastoriografica, quale ideologia e quale metodo vengonoadottati, quali gruppi avanzano, quali retrocedono, qualisono spiazzati e quali infine sconfitti (Said, 1988, p. 22).Una grande narrazione inequivoca verosimilmenteimpossibile. tuttavia necessario, nello spirito di una cri-tica ricorrente e immanente, indagare le pretese di veritche ciascuna grande narrazione afferma, provando a sve-larne, dalle molteplici prospettive storicamente determi-nate, i contenuti e gli intenti mistificatori, e a riconoscereil diverso e ineguale contributo da esse dato alla costruzio-ne di un mondo in cui libert ed eguaglianza siano unaprospettiva concreta per tutti e non un privilegio di pochi.

  • CAPITOLO 1.LEUROPA AL CENTRO

    mai esistito un dominio che non sia apparso naturale a coloro che lo esercitavano?

    [John Stuart Mill. The Subjection of Women]

    e il mondo coloniale si crede intellettuale e il mondo coloniale si crede spirituale

    [Paolo Conte. India]

    La resistibile ascesa delleurocentrismo

    Vi in effetti una diseguaglianza storiografica fra lEuropa e ilresto del mondo. Avendo inventato il mestiere dello storico,lEuropa se n avvalsa a proprio vantaggio. Eccola tutta prontaa testimoniare, a rivendicare, con la sua chiarezza, mentre lastoria della non-Europa appena agli inizi e comincia a farsi.Finch lequilibrio delle conoscenze e delle interpretazioni nonsar ristabilito, lo storico esiter a recidere il nodo gordianodella storia del mondo, ossia la genesi della superiorit euro-pea. cos che Fernand Braudel, nel descrivere i giochi delloscambio del mondo moderno, lemergere e il consolidamentodi alcuni vantaggi e in seguito talune superiorit, e quindi, dal-laltra parte, inferiorit e poi assoggettamenti fra lOccidente egli altri continenti, sottolinea linestricabile intreccio tra lemanifestazioni materiali e le espressioni intellettuali dei pro-cessi di creazione e di costante, seppur mutevole, rinnovamen-to delle diseguaglianze storiche (Braudel, 1979, p. 105).A partire dagli inizi del XIX secolo, laffermazione della supe-

    riorit europea sul resto del mondo sollecit una riflessione siste-matica nel mondo dei saperi storico-sociali, la produzione deiquali venne metodicamente indirizzata alla ricerca di formulazio-ni in grado di rendere conto di quella che venne percepita e con-

  • cettualizzata sempre pi come specificit dellOccidente e dellesue istituzioni, con lintento di legittimarne il divario di ricchezzae di potere rispetto agli altri popoli e, con qualche difficolt in pi,alle grandi civilt non occidentali. Il dominio economico e poli-tico europeo si accompagn dunque alla progressiva imposizionedi unegemonia intellettuale e di una grande narrazione della sto-ria mondiale. I termini della questione sono quelli formulati poiparadigmaticamente da Max Weber, nei primi anni del XX seco-lo, nella Premessa al suo lavoro su LEtica protestante e lo spiri-to del capitalismo, con lesaltazione, appena esitante, di un capi-talismo liberato dalle sue inquietudini, dai suoi pentimenti, einsomma dalla sua cattiva coscienza (ibidem, p. 572):

    I problemi di storia universale saranno inevitabilmente e legitti-mamente trattati da chi figlio del moderno mondo culturaleeuropeo con questa impostazione problematica: quale concatena-mento di circostanze ha fatto s che proprio sul terrenodellOccidente, e soltanto qui, si siano manifestati fenomeni cultu-rali che pure almeno secondo quanto amiamo immaginarci stavano in una linea di sviluppo di significato e validit universa-le? (Weber, 1920, vol. 1, p. 3).

    Se tutto lOccidente si era misurato, nel corso dellOttocento,con il problema della ridefinizione della civilt occidentale,giungendo ad una grande narrazione condivisa nelle sue lineegenerali pur naturalmente in presenza di una specifica sofi-sticazione delle singole analisi e di molteplici problematizzazio-ni che avevano investito ogni loro dettaglio gi in tutto il XVIIIsecolo la ricchezza dei contributi dei saperi sociali europei, a cuipoi attinsero con diversi gradi di eclettismo le elaborazioni delsecolo successivo, diedero forma e sostanza a una complessatrama di conoscenze che, combinando un approccio storico eun approccio filosofico alla rappresentazione del mondo filosofico nel senso di indagine sul cambiamento sistemico e pur in presenza di versioni diverse delluniversalismo e dellamodernit occidentale, deline una nuova definizione dellasituazione nei termini di una visione della storia come narra-zione illuminata dei cambiamenti sistemici della civilt.1

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO18

    1. Si tratta di storie filosofiche, in quanto argomentano in termini di analisiorganizzativa anzich limitarsi alla mera narrazione, e di storie della societ, inquanto assumono il sistema nella sua dimensione diacronica. [] Gli scozzesi-ingle-si fondano sulle storie civili una ricostruzione della dinamica sistemica che ha pro-

  • Queste narrazioni illuminate, di fatto un complesso di molte-plici narrazioni combinate a livello di macronarrazione, raccon-tavano lemergere, a partire dal XVI secolo e come fuoriuscitadallepoca oscura e barbara del cosiddetto millennio cristia-no2 degli ordini politici, sociali e culturali nei quali gli stori-ci illuminati ritenevano di trovarsi e a cui applicarono il ter-mine Europa, una nuova condizione che aveva sostituito lemonarchie, i papati, gli imperi e i disordini feudali del passato.Queste storie, sorvolando sulle guerre di religione del XVI e XVIIsecolo, narravano dellemergere di un sistema di stati sovranilegati da trattati e dai commerci, in cui le autorit erano ingrado di esercitare la loro funzione di governo e di condurreuna politica estera indipendente senza subire linterferenzadella monarchia papale o dellanarchia confessionale. Questosistema di stati era inoltre rafforzato da, e poteva essere consi-derato la manifestazione visibile di, un sistema culturale dimodi di agire che aveva cementato le relazioni sia tra gli euro-pei illuminati che tra gli stati europei.Le narrazioni illuminate configurarono sia una storiografia

    dello stato sia una storiografia della societ, assumendo qualepunto di arrivo ideale il sistema europeo nellarticolazioneche esso aveva assunto, grosso modo, fra la guerra di successio-ne spagnola degli inizi del XVIII secolo e le rivoluzioni america-na e francese.3 Sebbene, come strumento euristico, applicabiliin linea di principio a tutte le societ umane, o a nessuna di esse

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO19

    dotto il centro delleconomia-mondo. I francesi-continentali, inseguendo gli inglesi,cercano di colmare il divario con strategie razionaliste e scientiste dello sviluppo, dacui derivano le strategie illuministe dello sviluppo e delle riforme. [] Le affinitsono di oggetto, come ad esempio nel caso di Montesquieu, Hume, Voltaire, Turgot,Smith e numerosi altri, che provano a tracciare la storia delle istituzioni giuridichee politiche, dei progressi intellettuali e morali, dellorigine della ricchezza dellenazioni. La storia della societ e lanalisi delle distinzioni di rango o della struttu-razione di classe, sono presenti in quasi tutti gli esponenti della cultura settecente-sca, insieme ad un primo ambizioso tentativo di rifondare lidentit storicadellEuropa (Lentini, 2003, pp. 111-112 e 117).2. Il millennio cristiano definito da Edward Gibbon, nella sua History

    of the Decline and Fall of the Roman Empire [1776-1788], nei termini dibarbarism and religion, lepoca in cui le province di lingua latina delleximpero romano erano considerate dominate da poteri feudali - le cui origi-ni risalivano alle invasioni barbariche - e dallautorit ecclesiale, e soprat-tutto papale, sulle questioni secolari, esercitata dalla chiesa romana inassenza di una sovranit civile dellimpero. Su Gibbon, si veda il magistra-le lavoro di Pocock (1999a e 2003).3. Sulle Enlightened Narratives si vedano Pocock, 1999b e OBrien,

    1997.

  • in particolare, queste storie teoriche del progresso dellasociet assunsero dunque un carattere marcatamente occi-dentale, escludendo di fatto gli orientali, considerati sogget-ti servili del dispotismo (cfr. Pocock, 2004), e configurandosiessenzialmente come progresso della societ in Europa, senzaperaltro ignorare del tutto i processi di espansione nei conti-nenti asiatico, americano e africano, e trovarono momenti disintesi di particolare rilievo nella prefigurazione di un paradig-ma storico della modernizzazione nellopera di David Humeprima e Adam Smith poi.Ogni processo di costruzione dellidentit, peraltro, compor-

    ta un duplice movimento. Unoperazione di riduzione attraver-so cui si taglia via la molteplicit e si emargina lalterit; e, altempo stesso, unoperazione di incorporazione, volontaria omeno, dellalterit stessa (Remotti, 1996). E lidea di Europanon sfugge a questa regola. Anchessa deve formarsi per con-trapposizione, in quanto c qualcosa che non Europa, eacquista le sue caratteristiche e si precisa nei suoi elementi proprio attraverso un confronto con questa non-Europa(Chabod, 1964, p. 23). E sebbene per questo ruolo di non-Europa, sin dal V-IV secolo a.C., sia stata scelta lAsia, sullabase del criterio fondamentale di differenziazione della libertpolitica ellenica contrapposta alla tirannide asiatica (cfr.Mazzarino, 1989 [1947]), ci troviamo, come prevedibile, difronte a una storia niente affatto lineare, dove gli spazi con-trapposti vengono ripetutamente costruiti e ricostruiti (cfr.Rossi, 2007), accogliendo ed escludendo di volta in volta ele-menti culturali attribuiti a popoli e paesi diversi sulla base diesigenze organizzative e congiunturali.4

    Il rapporto fra lidea di Europa e lidea di Asia, e in particolaredi Cina, ha dunque assunto nel corso del tempo una molteplicitdi configurazioni stereotipiche, in cui la Cina stata alternativa-mente rappresentata come impero ricco e potente, dai primiviaggiatori; stato modello anche per i cristiani, secondo i gesui-ti; statica e immutabile, nella visione degli storici e dei filosofi

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO20

    4. Lidentit europea, stato sottolineato, si forgiata dapprima [inopposizione] allAsia colta ma dispotica; in seguito allIslam o ai popoli checontinuavano a giungere dalle steppe dellAsia centrale (come i tartari e iturchi); da ultimo, nellet dellespansionismo coloniale e delle missioni,allAmerica, allOceania e allAfrica, abitate da genti ignare della vera civil-t o del vero Dio oppure da trib di selvaggi (Bodei, 1995, p. 51).

  • ottocenteschi; isolata dal resto del mondo, secondo gli imperia-listi la Kipling; barbarica, dai missionari evangelici; minac-ciosa e diabolica, nella sua veste comunista (cfr. Dawson, 1967 eIsaacs, 1980); una variet di concezioni la cui successione, ocoesistenza, ha rispecchiato cambiamenti pi della storia intellet-tuale e dello sguardo europei che della societ cinese.E tuttavia, ancora nel corso di pressoch tutto il XVIII secolo,

    prima che il declino dellOriente asiatico e la concomitante ecosiddetta rivoluzione industriale producessero quella che stata definita la grande divergenza (cfr. Pomeranz, 2000), lapercezione dominante che lEuropa aveva dellOriente, e anco-ra una volta della Cina in particolare, presentava connotazionipositive, e lidea che quello fosse un modello da imitare era benradicata in buona parte dei pensatori del tempo, che ne ricono-scevano il primato dal punto di vista della civilt, dellecono-mia, della politica e della tecnologia.5 E, ancora fino alla fine delSettecento, gli europei guardavano, oltre che allOriente incui era compreso il mondo islamico che iniziava a Baghdad ,anche al Sud il Sud islamico, dal Maghreb allEgitto comesedi della cultura classica e centri culturali maggiormenteavanzati (cfr. Bernal, 1987).Questo atteggiamento faceva s che i saperi storico-sociali

    europei settecenteschi, come gi quelli dei secoli precedenti,problematizzassero e fluidificassero il confine tra civilt e bar-barie, e concepissero il processo di avanzamento della civiltcome risultato di uno scambio e di un reciproco contributo trale diverse culture, pur indotti dalla scoperta di altre forme diorganizzazione materiale e culturale a rivedere il proprio passa-to e ad elaborare una nuova narrazione con lEuropa come suocentro e come suo punto di arrivo (cfr. Elliott, 1970). Al con-

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO21

    5. Nel corso del Settecento, alcune delle figure di spicco dellIlluminismoeuropeo guardavano alla Cina in cerca di ispirazione morale, di principiguida per lo sviluppo delle istituzioni e di argomenti a sostegno delle tesiche stavano loro a cuore, tesi che spaziavano dallassolutismo illuminatoalla meritocrazia alla base agricola delleconomia nazionale (Adas, 1989, p.79; si veda anche Hung, 2003). E, come ha sottolineato Andre GunderFrank, Adam Smith, che riprese ci che Hume aveva sostenuto due decenniprima, stato lultimo dei grandi teorici sociali (in Occidente) a ricono-scere che lEuropa era una ritardataria nella corsa alla ricchezza dellenazioni. La Cina un paese molto pi ricco di qualsiasi parte dEuropa,scrisse ancora nel 1776. E non ebbe sentore di alcun mutamento in questorapporto, n di star scrivendo agli inizi di quella che si sarebbe chiamatarivoluzione industriale (Frank, 1998, p. 13).

  • tempo, negli stessi secoli, le tradizioni dei saperi cinese,musulmana e indiana riuscirono a resistere alla sfida prove-niente dallesterno, traendo vantaggio dagli europei e rifiutan-do di prestare attenzione agli elementi discrepanti delle nuoveinformazioni. E quando alcuni sedicenti pensatori illuministi... iniziarono ad abbandonare del tutto la cornice cristiana deisaperi giunta fino a loro, in Asia i guardiani della verit eredi-tata non se ne lasciarono impressionare (McNeill, 1995, p. 10).Certo, sin dallera delle grandi esplorazioni doltreoceano,

    la raccolta e la classificazione di conoscenze relative tanto almondo naturale che a quello degli uomini si erano costante-mente intensificate. Ma lo sguardo attraverso cui gli europeiosservavano il mondo non escludeva, ed anzi accoglieva,anche i saperi altri, incorporando cos nella propria visioneuna variet pi o meno ampia di saperi locali (cfr. Boorstin,1983), senza porre a se stessi, e soprattutto senza imporre aglialtri, il problema della coesistenza di sistemi di conoscenzealternativi.6 Queste storie erano dunque ovviamente e inevita-bilmente etnocentriche, nel loro porre lEuropa specular-mente a ogni altra rappresentazione prodotta dalla prospetti-va di altri luoghi e tempi al centro della narrazione, ma nonancora eurocentriche.Ci che si intende qui per eurocentrismo non cio sempli-

    cemente linsieme dei preconcetti a partire dai quali gli occi-dentali hanno rappresentato gli altri popoli, preconcetti comu-ni ad ogni visione del mondo e che costituiscono gli inevitabililimiti dei loro orizzonti percettivi e concettuali. Come ha sot-tolineato Samir Amin, leurocentrismo un fenomeno speci-ficamente moderno, che fece la sua comparsa solo nel XIX seco-lo. In questo senso, esso costituisce una dimensione della cul-tura e dellideologia del mondo capitalista moderno (Amin,1989, p. vii).7

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO22

    6. possibile osservare, dalla prospettiva odierna, che leurocentrismoe il sinocentrismo, solo per citare due esempi, sono coesistiti per secoli bea-tamente inconsapevoli delle rispettive affermazioni di essere il centro delmondo, perch in termini ideologici, anche se non solo in termini ideologi-ci, abitavano in mondi differenti, come la gran parte delle popolazioni delglobo. Fu la loro incorporazione in un unico mondo a sollevare la questio-ne del centro, che tuttora persiste (Dirlik, 2003, p. 112)7. Frequenti sono tuttavia le interpretazioni delleurocentrismo in unac-

    cezione pi neutra, come una delle tante forme di centrismo. questo ilpunto di vista, fra gli altri, di Rmi Brague, che guarda ad esso come a undifetto che [lEuropa] condivide con tutte le culture, senza alcuna eccezio-

  • Fu appunto nel corso del XIX secolo che i termini della que-stione cambiarono significativamente, come conseguenza dellavisibile conquista di potere su scala globale da partedellEuropa e dellesercizio di un suo effettivo dominio politicoed economico sul resto del mondo. Pochi nutrivano dubbi sullatraiettoria di ascesa da parte dellEuropa, o dellOccidente, ele propensioni anche critiche della riflessione precedentelasciarono cos il posto ad attitudini decisamente eurocentri-che: [lo] sforzo di gettare sullEuropa uno sguardo per cos diredallesterno, riconoscendo i contributi delle diverse culture allacausa dellavanzamento della civilt, non sopravvive alla marciairresistibile dellespansionismo coloniale. Giunto al trionfo pla-netario, lOccidente liberale ritiene di identificarsi in modo per-manente con la causa della civilt e della libert. A partire daquesta assoluta e immodificabile preminenza vediamo unliteesclusiva, la ristretta comunit dei liberi, formulare in modoesplicito la pretesa, fino a quel momento ignota e inaudita, diesercitare una dittatura planetaria sul resto del pianeta(Losurdo, 2005, p. 310).Leurocentrismo si palesa dunque come una recente costru-

    zione mitologica della storia dellEuropa e del mondo, cheaccompagna e sostiene The Rise of the West, secondo la famo-sa e fortunata formulazione di William H. McNeill (1963),offrendo e imponendo una nuova versione del duplice processodi esclusione e di inclusione dellaltro che caratterizza le dina-miche costitutive dellidentit. I saperi eurocentrici provvedonodapprima ad escludere il resto del mondo dalla narrazione,costruendo una rappresentazione autosufficiente della genesi edello sviluppo dellEuropa. E, contestualmente, ad includerlo,attraverso una sua classificazione sistematica in termini di dif-ferenza e di distanza, che anche subalternit, rispetto almodello.Sostenuta dal primato economico, politico e, last but not

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO23

    ne, e anche con tutti gli esseri viventi. A suo avviso, [c]i che distingue ilcentrismo europeo da altri esempi dello stesso atteggiamento di naturapuramente quantitativa. Il fatto che lEuropa abbia conquistato il mondointero ha necessariamente dovuto ingrandire la visione europea delle cosefino a conferirle dimensioni gigantesche. [...] Cos dunque, se dovessi direse lEuropa eurocentrica con un s o un no senza sfumature, riconoscereisenza mezzi termini che leurocentrismo esistito, e continua a esistere. Malo riconoscerei come unevidenza banale, e che non merita attenzione(Brague, 1992, pp. 197-199).

  • least, militare,8 questa cultura dominante invent unOccidente eterno, unico sin dal momento delle proprie origini.Questo costrutto arbitrario e mitico ebbe come sua controparteuna concezione egualmente artificiale dellAltro (gli Orienti olOriente), analogamente edificato su basi mitiche. Il risultatodi questa visione eurocentrica la nota versione della storiaoccidentale una progressione che dallantica Grecia procedeattraverso lantica Roma e lEuropa cristiana dellepoca feudalefino allEuropa capitalistica (Amin, 1989, pp. 89-90). Inizicos a formarsi un consenso intorno allidea che lEuropa fosseuna civilt unica che, sin dallantichit greca, o tuttal pi apartire dallepoca medievale o rinascimentale, si era differen-ziata da ogni altra civilt.Tuttavia, affinch una tale visione fosse storiograficamente

    sostenibile, fu necessario apportare alcune correzioni semplifi-catrici alle prospettive interpretative ancora diffuse fino al XVIIIsecolo. La Cristianit, annessa arbitrariamente allEuropa,venne elevata, con limpiego di una concezione immutabiledella religione, a fattore principale nel mantenimento dellacoesione culturale europea; e lantica Grecia venne rimossa dalcontesto in cui si era formata e sviluppata, lOriente, per annet-tere in modo analogo lellenismo allEuropa (ibidem, pp. 90-106). Era, questultima, la costruzione del mito delle origini,delle radici pi profonde della civilt occidentale moderna,quello che pi di ogni altro venne organizzato sulla lunga dura-ta. Alleredit greca venne ricondotta la predisposizionedellEuropa alla razionalit, e la Grecia antica venne eletta(assieme a Israele) a societ-culla della civilt occidentale eassunta come riferimento fondamentale e pi profondo nel pro-cesso di costituzione della sua identit.

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO24

    8. Sul ruolo delle innovazioni introdotte in Europa nellarte della guerra - unarivoluzione militare che, a partire dal XVI secolo, comport una crescita massi-cia del potenziale umano, un cambiamento profondo nella tattica e nella strategiae un intenso impatto della guerra sulla societ - e sulla loro rilevanza nellaffer-mazione della superiorit europea sugli altri popoli, si veda Parker, 1988. La suatesi che la chiave del successo occidentale sul resto del mondo fra la met del XVIe la met del XVIII secolo dipese da questi miglioramenti nellabilit di condurre laguerra. Lascesa dellOccidente e la creazione della prima egemonia globaledella storia vengono cos ricondotte in larga misura allesercizio della forza e alnetto spostamento dellequilibrio militare a favore degli europei. Per una criticaalla mono-dimensionalit della tesi di Parker, e per una considerazione del ruolodella superiorit militare accanto ad altri fattori, si veda Thompson, 1999.

  • Ci, a sua volta, richiese unoperazione di invenzione dellan-tica Grecia, di rimozione delle rilevanti radici afroasiatiche dellasua cultura, con laffermazione, a partire dalla seconda met delXIX secolo, di un modello ariano che riconosceva esclusiva-mente le influenze indoeuropee. UnAtena nera, dunque (cfr.Bernal, 1987). Gli stessi greci, come ha mostrato Martin Bernal,erano ben consapevoli dei debiti contratti con altre popolazionidel Mediterraneo, e in particolare con quelle che abitavanolEgitto e la Fenicia: Il modello antico era la concezione con-venzionale tra i Greci del periodo classico ed ellenistico, secon-do la quale la cultura greca era sorta in seguito alla colonizzazio-ne, attorno al 1500 a.C., di Egizi e Fenici, che avevano civilizza-to i nativi. Inoltre, anche successivamente, i prestiti dalle cultu-re del vicino oriente erano stati numerosi e frequenti per i Greci(ibidem, p. 1). E questa visione della storia greca si conservanche durante il Rinascimento, quando, grazie al recupero del-leredit dellepoca greco-romana, si afferm quel senso dellaprospettiva storica ignoto agli uomini del Medioevo (cfr. Burke,1969): La rinascita degli studi greci nel XV secolo produsseamore per la letteratura e per la lingua greca e identificazionecon i Greci, ma nessuno mise mai in questione che i Greci fosse-ro stati allievi degli Egizi, per i quali cera un interesse eguale, senon pi appassionato (Bernal, 1987, p. 29).A partire dalla seconda met del XIX secolo, si impose invece

    un modello ben diverso della storia greca, un modello che con-cepiva la Grecia antica come essenzialmente europea o ariana,negando lesistenza di insediamenti egizi e mettendo in dubbiogli insediamenti fenici.9 Limportanza del ruolo colonizzatore ecivilizzatore svolto in Grecia dagli egizi e dai fenici venne manmano negato: Lantico Egitto, che nel XVIII secolo era statovisto come parallelo assai prossimo della Cina, soffr gli stessieffetti generati dal bisogno di giustificare la crescente espansio-ne europea in altri continenti e i maltrattamenti inflitti allepopolazioni indigene. Entrambi furono rigettati nella preistoriaper servire da solida e inerte base allo sviluppo dinamico dellerazze superiori, gli Ariani e i Semiti (ibidem, p. 36). Alla finedel XIX secolo la vitalit culturale degli egizi era stata del tutto

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO25

    9. Nella variante estrema del modello ariano - dominante durante i duepicchi di antisemitismo dellultimo decennio del XIX secolo e degli anniventi e trenta del XX secolo - linfluenza culturale fenicia venne addiritturanegata (Bernal, 1987, pp. 457-497).

  • sterilizzata: essi erano ora visti in conformit alla contempora-nea concezione europea degli Africani: giocondi, amanti delpiacere, infantilmente vantoni e in essenza materialisti (ibi-dem, p. 37).A motivare, secondo Bernal, labbandono del modello antico

    della storia greca fu lincompatibilit con lemergente ideologiadel progresso:

    Il modello antico non aveva gravi deficienze interne, o debolezze dipotere esplicativo. Fu rigettato per ragioni esterne. Per romantici erazzisti del XVIII e XIX secolo era affatto intollerabile che la Grecia,concepita non solo come epitome dellEuropa ma come sua purainfanzia, fosse il risultato della mistura tra europei nativi e coloniz-zatori africani e semiti. Il modello antico doveva quindi essere rifiu-tato e sostituito con qualcosa di pi accettabile (ibidem, pp. 2-3).

    In altri termini, il modello antico era di intralcio alla coeren-za della visione progressiva della storia e al suo corollario razzi-sta. Se la filosofia e la civilt avevano avuto origine in Grecia,era dunque necessario che la cultura greca fosse essenzialmen-te europea. Gli africani neri dovevano essere tenuti il pi lon-tano possibile dalla civilt europea. A questo compito assolseil modello ariano, che [rese] la storia della Grecia e dei suoirapporti con lEgitto e il Levante conformi alla visione delmondo del XIX secolo e, specificamente, al sistematico razzismodel secolo (ibidem, pp. 37 e 553).10

    Esclusione e inclusione, si detto. Ma inclusione subordina-ta al primato della civilt europea. Leurocentrismo non dun-

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO26

    10. Bernal, ben consapevole del suo tentativo di rovesciare la storia dellacivilt occidentale e dei principi sulla base dei quali essa stata scritta, sol-lecita il rigetto del modello ariano e la sua sostituzione col modello anticoriveduto, il quale accetta che ci sia una base di realt nelle storie dellecolonizzazioni egizia e fenicia della Grecia incluse nel modello antico. Nesposta tuttavia un po allindietro linizio, alla prima met del II millennioa.C. Concorda inoltre col modello antico nel concepire la civilt greca comerisultato delle fusioni di culture prodotte da tali colonizzazioni e di prestitisuccessivi da culture del Mediterraneo orientale. Daltra parte, del modelloariano accetta, ma per sottoporla a verifica, lipotesi di invasioni - o infil-trazioni - dal Nord da parte di popoli di lingua indo-europea avvenute indeterminati periodi nel corso del IV o III millennio a.C. Il modello anticoriveduto afferma per che queste prime popolazioni parlavano una linguaaffine indo-ittita che ha lasciato scarsa traccia nel greco e che, ad ognimodo, non pu essere usata per spiegare i molti elementi non indo-europeidella lingua successiva (Bernal, 1987, p. 2).

  • que riducibile esclusivamente, e nemmeno principalmente,allinvenzione dellEuropa e, specularmente, dellOriente, ocomunque dellAltro11 dal momento che ha anche, e soprat-tutto, implicato un processo di catalogazione e organizzazionedei popoli di tutto il mondo, delle loro pratiche culturali e delleloro esperienze secondo modalit che spesso sono andate aldi l della loro immaginazione e del loro controllo, almeno nellamisura in cui essi non hanno attivamente preso parte a questoprocesso in uno schema temporale in cui lEuropa rappre-sentava il culmine del progresso. questa attivit, e i principiorganizzativi che in essa si esprimono, a costituire il livellopi fondamentale delleurocentrismo (cfr. Dirlik, 2003).

    Discipline e disciplinamento

    Alla realizzazione sistematica di questo compito, di questonuovo controllo sul mondo, contribu in maniera decisiva lacrescente rilevanza dei saperi storico-sociali, che proprio a par-tire dalla met del XIX secolo vennero istituzionalizzati formal-mente come discipline, con specifiche denominazioni, riven-dicazioni metodologiche e di competenze. La denominazionedelle emergenti discipline delle scienze sociali e i principi teori-ci ed epistemologici su cui era basata questa divisione del lavo-

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO27

    11. Nella formulazione subito classica di Edward Said: Prendendo iltardo secolo XVIII quale approssimativo limite cronologico, lorientalismopu essere studiato e discusso come linsieme delle istituzioni createdallOccidente al fine di gestire le proprie relazioni con lOriente, gestionebasata oltre che sui rapporti di forza economici, politici e militari, anche sufattori culturali, cio su un insieme di nozioni veritiere o fittiziesullOriente. Si tratta, insomma, dellorientalismo come modo occidentaleper esercitare la propria influenza e il proprio predominio sullOriente(Said, 1995 [1978], p. 13). La lunga durata e la coerenza di questo discorso,precisa Said, ne fanno tuttavia qualcosa in pi di una mera collezione dimistificazioni, n esso pu essere ridotto al frutto di un preordinato dise-gno imperialista occidentale o considerato la traduzione di una mera poli-tica di forza. E tuttavia esso rappresenta pi una espressione del dominioeuroamericano che un discorso obiettivo sullOriente, e si costituito inpresenza di un confronto impari con varie forme di potere: potere politico,rappresentato nella forma pi pura da istituzioni coloniali e imperiali;potere intellettuale, per esempio istituti di ricerca e patrimoni di conoscen-ze in campi quali la linguistica comparata, lanatomia e le scienze politiche;potere culturale, sotto forma di ortodossia e canoni di gusto, sistemi divalori e stili di pensiero; potere morale, costituito da nozioni generali su ciche noi possiamo fare e capire, e gli altri non riescono a fare, o capire,quanto noi (ibidem, pp. 21-22).

  • ro intellettuale riflettevano il trionfo su scala mondiale delli-deologia liberale, espressione culturale della egemonia relativa-mente incontrastata della Gran Bretagna sul mondo nel perio-do centrale del XIX secolo (cfr. Wallerstein, 1991a).12 Di fatto, li-deologia liberale, a partire dal precetto, peraltro pi formaleche sostanziale, di non interferenza dello stato nelleconomia,afferm lesistenza, perlomeno nel mondo moderno, di tredistinte, e autonome, sfere dellagire umano, ciascuna con unalogica separata il mercato (o leconomia), lo stato (o la politi-ca) e la societ (o la cultura) il cui studio venne ad essereoggetto rispettivamente delleconomia, della scienza politica edella sociologia. Accanto ad esse, la storia divenne lo studio delpassato europeo; lantropologia si afferm come lo studio dellecosiddette societ primitive che non disponevano di testimo-nianze scritte, svolgendo, al di l del relativismo di facciata, unruolo rilevante nel sostegno al colonialismo (cfr. Leclerc, 1972;Asad, 1973; Lewis, 1973 e Lanternari, 1974), mentre le civiltraffinate della Cina, dellIndia e del mondo arabo-islamicodivennero loggetto di indagine dellorientalismo (cfr.Wallerstein, 1995b).La loro istituzionalizzazione accademica fu lenta e irregolare

    e and di pari passo con la rinascita delle universit in quasitutti i paesi occidentali,13 e venne realizzata attraverso listitu-

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO28

    12. Sulla centralit del liberalismo nellemergere della teoria sociale delXIX secolo in Europa e negli Stati Uniti, si veda anche Seidman, 1983. Sulladefinizione e sui mutevoli confini dellantropologia, invece, Stocking, 1995.Per un analisi delle loro vicende anche nel corso del XX secolo, Wallersteinet al., 1996 e Ross, 2003.13. Dopo lespansione di cui le universit beneficiarono in Europa dalla

    met del XVI fino alla met del XVII secolo - in termini sia del numero deglistudenti che della stabilit economica e del prestigio sociale - esse subiro-no una fase di declino e di difficolt finanziarie. Le nuove accademie dellearti e delle scienze assunsero la funzione di creazione della conoscenza, e lafunzione principale che rimase alle universit fu quella dellinsegnamento.A partire dalla fine del XVIII e dagli inizi del XIX secolo, grazie alla rivolu-zione universitaria tedesca, che ebbe il suo inizio con la fondazionedellUniversit di Berlino nel 1810, esse recuperarono il loro prestigio cul-turale e affermarono gradualmente la loro superiorit su sedi istituzionalialternative per la ricerca e la creazione del sapere; in questo processo, lostato giunse a esercitare una crescente influenza sul sistema dellistruzione.La scienza sociale venne istituzionalizzata, nel corso del XIX secolo, attra-verso la differenziazione della struttura universitaria europea tradizionale,che, alla fine del XVIII secolo, era ancora in larga misura organizzata nellequattro facolt tradizionali di teologia, medicina, legge e filosofia. In que-sto processo, [l]a facolt di teologia fu ridimensionata e qualche voltaspar o fu sostituita da un semplice dipartimento di studi religiosi nellam-

  • zione, nelle principali universit, di cattedre, dipartimenti ecorsi di laurea e inoltre con la creazione di riviste specializzate,associazioni nazionali e poi internazionali di studiosi e di siste-mi di catalogazione delle biblioteche in base alle emergenti divi-sioni disciplinari, che contribuirono a tracciare i confini deirispettivi campi intellettuali offrendo un mezzo di comunica-zione e di libera discussione a tutti coloro che erano disposti arispettare i canoni del dibattito accademico.14

    A dare impulso a questo processo furono le conseguenze suscala sistemica degli eventi rivoluzionari francesi. Pi che intermini politici, o economici, la rivoluzione francese e il suoseguito napoleonico produssero infatti una fondamentale tra-sformazione nelle strutture ideologiche del sistema-mondomoderno, una nuova consapevolezza della storia e una nuovaconcezione dellordine sociale (Sewell, 1985, p. 84), lasciandoin eredit lidea che il cambiamento politico fosse normale ecostante e, assieme a questa, quella secondo cui la sovranitrisiedeva nel popolo, ora unica fonte di legittimazione di unsistema politico. Negli stessi anni, la ribellione della gens decouleur ad Haiti, prima rivoluzione nera nel sistema-mondo,con la conquista dellabolizione della schiavit; il tentativoirlandese di conquistare lindipendenza dalla Gran Bretagna; lacomparsa sulla scena politica mondiale dellEgitto, con il tenta-tivo, seppur neutralizzato, di modernizzazione e di industria-lizzazione guidato da Mohammad Ali; e, infine, la decolonizza-zione delle Americhe, produssero un punto di svolta nella poli-tica mondiale (cfr. Wallerstein, 1989a, cap. 1): Il cambiamento

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO29

    bito della facolt di filosofia. La facolt di medicina conserv il suo ruolo dicentro di preparazione in una specifica sfera professionale, ora definita nel-linsieme come conoscenza scientifica applicata. Era principalmente nellafacolt di filosofia (e in misura minore nella facolt di legge) che si doveva-no costruire le moderne strutture del sapere. Sia gli studiosi delle arti chequelli delle scienze naturali sarebbero entrati a far parte di questa facolt(che in molte universit rimase strutturalmente unificata, ma in altre sud-divisa) e qui avrebbero costituito le loro molteplici strutture disciplinariautonome (Wallerstein et al., 1996, pp. 13-14). La letteratura sulla cresci-ta delle universit e sulla trasformazione delle istituzioni dellistruzionesuperiore nei paesi occidentali abbondante. Tra gli altri si vedano, Ben-David e Zloczower, 1962; Veysey, 1965; Ringer, 1969; Clark, 1973; Stone,1974; Oleson e Voss, 1976; Verger, 1986; Jarausch, 1983; Geiger, 1986;Soffer, 1987; Tribe, 1992.14. Per un resoconto dettagliato di questo processo di istituzionalizzazio-

    ne nelle varie discipline e nei vari paesi, si vedano Lee, 1994 e Porter eRoss, 2003.

  • politico costante e di breve periodo era inevitabile, e il mito sto-rico, coltivato dai precedenti sistemi-mondo e, fino a un certopunto, dalla stessa economia-mondo capitalistica, secondo ilquale il mutamento politico era eccezionale, spesso di brevedurata e normalmente indesiderabile, non era pi proponibile.Solo accettando la normalit del cambiamento la borghesiamondiale aveva la possibilit di contenerlo e rallentarlo(Wallerstein, 1989b, p. 23).Il passo logicamente successivo fu la creazione di nuove isti-

    tuzioni deputate a contenere e organizzare il cambiamento, pertimore che le masse popolari potessero conquistare il potere,nel centro come nella periferia del sistema. In questo senso, latriade ideologica ottocentesca conservatorismo, liberalismo esocialismo venne deliberatamente e collettivamente elabora-ta come base per la formulazione di obiettivi politici consape-voli, e la scienza sociale,15 cos come prese forma nel XIX secolo,frutto di un significativo investimento sociale ed elaborata daun corpo collettivo di individui situati allinterno di strutturespecifiche e con obiettivi specifici, si rivolse allo studio empiri-co del mondo sociale con lintento di comprendere il cambia-mento normale e influire in tal modo su di esso.Anche se in modo problematico rispetto alla crescente rile-

    vanza del divorzio tra quelle che in seguito vennero ad esseredefinite come le due culture (cfr. Snow, 1963 [1959]), ovverotra la cultura degli scienziati e la cultura degli uomini di lettere,tra scienza e studi umanistici, tra la ricerca del vero e la ricercadel buono e del bello (cfr. Wallerstein, 1999), ed anzi costituen-do uno dei principali ambiti di contestazione di questa divisio-ne,16 le emergenti discipline delle scienze storico-sociali rivendi-

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO30

    15. Sullemergere degli stessi termini di scienza sociale e scienze sociali, sivedano Senn, 1958; Iggers, 1959; Baker, 1969 e Shapiro, 1984.16. Wolf Lepenies ha mostrato, con particolare ma non esclusivo riferimento al

    caso della sociologia, come le scienze storico-sociali abbiano costituito uno deiprincipali ambiti di contestazione della divisione tra le due culture - una divisio-ne che pu essere fatta risalire al dualismo cartesiano tra materia e pensiero,mondo fisico e mondo sociale/spirituale - oscillando continuamente tra latteg-giamento scientifico caratteristico delle scienze naturali e latteggiamento erme-neutico del regno della letteratura, e come questo divorzio non abbia seguito unandamento lineare e costante, ma sia stato caratterizzato da differenze nel ritmoin cui ebbe luogo nelle diverse discipline; questo processo non coinvolse peraltrotutte le discipline, e quelle che ne furono coinvolte vennero toccate con diversigradi di intensit (Lepenies, 1985).

  • carono di incarnare, nelle loro attivit di conoscenza, un approc-cio scientifico che, a detta dei loro praticanti, avrebbe permes-so loro di conseguire un tipo e un livello di elaborazione qualita-tivamente diverso, e superiore, rispetto a quello che aveva con-traddistinto i saperi occidentali del passato, o altri saperi delpresente, in vario modo qualificati come pre-scientifici.Sebbene alcune di esse economia, sociologia e scienza poli-

    tica assunsero, nel complesso, le connotazioni di disciplineprevalentemente nomotetiche, utilizzando quasi esclusivamen-te dati relativi al presente e, modellate quanto pi possibile sul-lesempio della scienza fisica, aspirando alla scoperta delle leggiuniversali che si riteneva governassero le diverse sfere dellagi-re umano, mentre altre storia, antropologia e orientalismo vennero istituite come discipline prevalentemente idiografiche,ciascuna dedicata allo studio dei fenomeni nella loro singolari-t, comunque tutte ambirono a conquistare uno statuto discientificit.Anche la storia, pur privilegiando un approccio idiografico

    allo studio del passato, si istituzionalizz quale disciplinaanche grazie a una salda convinzione nel proprio caratterescientifico, convinzione che gener una netta divisione tra glistorici di professione e latteggiamento letterario dei dilettan-ti. Certo, gli storici ritenevano che la loro attivit di conoscen-za differisse da quella degli scienziati della natura, in quantorivolta alla comprensione dei significati che si esprimevanonelle intenzioni che gli uomini e le donne davano al proprioagire concreto, come pure dei valori e delle usanze che davanocoesione alle societ; ma condividevano nondimeno con iprimi lottimismo secondo cui una ricerca metodologicamentecontrollata, basata su dati empirici, avrebbe reso possibile unaconoscenza oggettiva, e lidea che la verit consistesse nellacorrispondenza del sapere a un mondo reale e oggettivo (cfr.Iggers, 1997).Da un lato, lenfasi sullautoconsapevolezza degli esseri

    umani, sulla loro autonomia e imprevedibilit, e dunque sullaunicit di tutti gli eventi e sulla impossibilit di operare genera-lizzazioni, ne sosteneva lorientamento idiografico. Dallaltro, laprincipale motivazione della loro posizione anti-nomotetica fuil loro essere in cerca della scienza: Gli storici erano ossessio-nati dallimmagine che avevano della filosofia e da ci che veni-va chiamata la filosofia della storia. Essi si erano ribellati con-

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  • tro la filosofia, ritenuta deduttiva, speculativa, e dunque imma-ginaria o magica. Nella loro lotta per liberarsi dalle pressionisociali dellagiografia, perseverarono nellessere empirici, nel-lindividuare le fonti degli eventi reali. Essere nomoteticisignificava teorizzare e quindi speculare. Significava esseresoggettivi, e quindi andare al di l di ci che era conoscibile o,peggio, raccontare la realt in modo inesatto e pregiudizievole(Wallerstein, 1996, pp. 12-13).La rivoluzione storiografica associata al nome di Leopold von

    Ranke enfatizz lo studio del passato wie es eigentlich gewesenist come era realmente accaduto e presupponeva unarigorosa astensione dai giudizi di valore (cfr. Ranke, 1973).Sebbene a partire da una concezione della scienza diversa daquella degli scienziati della natura, gli storici si unirono cos adessi nella loro lotta contro la speculazione filosofica, ossia meta-fisica. Il loro rifiuto della filosofia fu duplice: in primo luogo,asserirono il primato della scienza in opposizione alle formemedievali del sapere; e, in secondo luogo, rifiutarono la filoso-fia nella misura in cui essa implicava la ricerca di schemi gene-rali e di leggi del mondo sociale.Eppure, al tempo stesso, secondo Ranke, un approccio stori-

    co rigoroso, lungi dal rivelare la relativit e quindi lassenza disenso etico dellesistenza, rifletteva un mondo di significato edi valori, quali si esprimevano nelle intenzioni storiche degliesseri umani e nei valori e nelle usanze che davano coesionealle loro societ. Il suo appello per uno studio del passatocome era realmente accaduto non si riferiva a una sua rap-presentazione puramente fattuale, ma al passato nella suaessenza, quale realt pi profonda soggiacente ai fenomenistorici concreti (Manicas, 1987, p. 119):17 il modo imparzialedi guardare alle cose per il quale Ranke si schier rivelava ineffetti il carattere etico delle istituzioni sociali cos come esse sierano sviluppate storicamente. Sebbene Ranke sostitu lap-proccio filosofico hegeliano con un approccio storico, egli eradaccordo con Hegel nel credere che gli stati politici esistenti,nella misura in cui erano lesito dello sviluppo storico, costi-tuissero energie morali, idee di Dio. Lapproccio imparzialeal passato [] rivelava quindi di fatto, secondo Ranke, lordine

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO32

    17. Nelle parole di Ranke, lo storico semplicemente lorgano dello spi-rito generale che parla attraverso di lui e assume una forma reale (citato inIggers, 1983, p. 77).

  • esistente secondo il volere di Dio (Iggers, 1997, p. 26).18

    In Ranke e nella storiografia ottocentesca, dunque, il rifiutodi una filosofia della storia che presupponeva uno schema distoria universale si accompagnava nondimeno alluso di unaconcezione unilineare del tempo e allidea che la storia posse-desse uno sviluppo e una coerenza interni, ossia che la storiamoderna, almeno quella, muovesse in una direzione precisa, eche in essa una posizione privilegiata fosse occupata dallespe-rienza dellOccidente. Non necessariamente, e non da tutti,questo sviluppo veniva concettualizzato in termini di progresso,ma la maggior parte degli storici operavano con una nozione dimodernizzazione o di razionalizzazione che assicuravacoerenza al divenire storico. Nellinsieme, nella storia delmondo moderno, lOccidente godeva di uno statuto privilegia-to, cosicch la storia del mondo coincideva con loccidentalizza-zione (o leuropeizzazione).Centrale, nel processo di professionalizzazione del mestiere

    di storico, fu cos la tensione, solo apparentemente paradossa-le, tra, da un lato, lethos scientifico della professione, con larichiesta di rigida oggettivit e lastensione da ogni giudizio divalore, e, dallaltro, il ruolo politico e culturale svolto dagli sto-rici. Il legame e la dipendenza istituzionale e finanziaria deglistudi storico-sociali dai finanziamenti statali delle rinnovateuniversit sancirono una stretta interdipendenza tra la discipli-na storica e le esigenze politiche e culturali, sia interne che glo-bali, dei nascenti stati nazionali. Come stato sottolineato, lostorico anche un fenomeno sociale, il prodotto e, nello stessotempo, linterprete pi o meno consapevole della societ a cuiappartiene: in questa veste che egli si accosta ai fatti del pas-sato (Carr, 1961, p. 41).Un orientamento storico, o storicista, si impose e funse da

    modello, nel corso della seconda met del XIX secolo, per la pro-fessionalizzazione della storia come disciplina nella maggiorparte dei paesi europei, oltre che negli Stati Uniti e inGiappone, e venne trasformato nel principio organizzativo ditutte le scienze, delluomo e della natura: fu pi di una filoso-fia della storia. Esso implicava unintera filosofia di vita, una

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO33

    18. Sulla coesistenza apparentemente contraddittoria nel pensiero diRanke di una fede trascendente e di una passione per le verit particolari -ovvero sulla coesistenza di universalit e individualit intese come antino-mie dellesistenza - si veda Krieger, 1975 e 1977.

  • combinazione unica di una concezione della scienza, e in parti-colare delle scienze delluomo o della cultura, e di una conce-zione dellordine sociale e politico. [] Considerata in questaprospettiva, la storia divenne lunico modo attraverso cui stu-diare le questioni umane (Iggers, 1997, p. 29).19

    Fu dunque questa nuova classificazione e spiegazione scien-tifica del mondo di cui si fecero artefici la storia e le altre scien-ze sociali, strettamente connessa alla formula politica dellostato-nazione in termini sia di risposte a bisogni organizzati-vi che di elaborazione degli assunti e delle categorie analitichespaziali e temporali utilizzate a costituire il momento fonda-tivo delleurocentrismo, frutto di una spinta e di uno sforzosenza precedenti di organizzazione della conoscenza del mondoin un insieme sistematico, attraverso la catalogazione sistema-tica delle societ umane e delle loro modalit di organizzazionee la loro ricollocazione nel passato, per giungere a una spiega-zione olistica delle loro diversit. La storia, assieme alle altrescienze sociali, con le sue pretese di verit basate sui proprimetodi, con i suoi assunti spaziali e temporali, le sue unit dianalisi e le sue categorie analitiche, in definitiva la sede pifondamentale delleurocentrismo (Dirlik, 2003, p. 110).I saperi storico-sociali si organizzarono cos privilegiando

    specifici assunti temporali e spaziali. Dal punto di vista delleconcettualizzazioni del tempo, la duplice influenza esercitatasulle scienze sociali dalla fisica newtoniana e dalla teoria delle-voluzione simboleggiata dallopera di Darwin,20 condusse allaf-fermazione, prevalente per quanto non incontrastata, di unanuova logica dei rapporti tra passato, presente e futuro. La mar-ginalizzazione della cronosofia ciclica lasci il posto a quella

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO34

    19. Sul significato dello storicismo, si vedano inoltre Ankersmit, 1995 eIggers, 1995.20. NellInghilterra vittoriana, lidea di evoluzione progressiva funse da

    catalizzatore di mutamenti paralleli negli atteggiamenti verso la storia del-lumanit, le origini delluomo e lo sviluppo della vita sulla terra (cfr.Bowler, 1989, 1996 e 2003), costituendo il tema comune ai dibattiti checaratterizzarono la storia, lantropologia, larcheologia, la geologia e la bio-logia, e questo sebbene, secondo alcuni, lo stesso Darwin, alla cui opera idiversi ambiti intellettuali facevano riferimento, considerasse la propriateoria - nella quale la selezione naturale, attorno a cui si organizzava unprocesso di discendenza con modificazione, assumeva tuttal pi i contor-ni di una teoria per ladattamento locale e non di una dottrina dellavanza-mento evolutivo e progressivo in generale - come una sfida diretta allavisione sviluppista della storia della vita (cfr. Gould, 1977).

  • che considerava il tempo dei processi storici come lineare e pro-gressivo, aprendo la strada a tutte quelle filosofie della storiache presentavano i diversi campi della cultura e della civiltcome manifestazioni di un principio unico che si pu chiamarespirito o in altro modo: principio che, sulla base di una spintainterna, progredisce in maniera lineare, cumulativa e irreversi-bile (Pomian, 1984, p. 61). Questo cambiamento, sostenuto dai continui sviluppi scienti-

    fici e tecnologici e dalla conseguente fiducia nelle capacit dicontrollo e di dominio delluomo sulla natura, gener una ten-sione verso il futuro colma di speranza e diffuse la convinzioneche, dal punto di vista del benessere materiale, il futuro sareb-be sicuramente stato migliore del passato. Ci port, tuttavia,solo a un apparente privilegiamento della dimensione tempora-le, dal momento che la centralit pressoch esclusiva accordataal tempo lineare che fiss come universali la direzione e lo-biettivo del cambiamento fin con il negare la molteplicit deiritmi temporali dei processi storici e, assieme a questa, lo stes-so principio di variazione della temporalit considerato caratte-ristico dellera moderna.21 Il tempo lineare impose cos la pro-pria tirannia, con profonde conseguenze sulla strutturazionelogica delle grandi narrazioni prodotte:

    Il tempo lineare, cumulativo e irreversibile, coincide a tal punto coltempo della storia che i popoli presso i quali non se ne coglie trac-cia diventano puramente e semplicemente popoli senza storia:Naturvlker. Lidentificazione del tempo della storia col tempolineare, cumulativo e irreversibile spiega anche leurocentrismo. Etalvolta, allinterno stesso della storia europea, spiega: la divisionetra popoli storici e quelli che non lo sono; il sentimento di supe-riorit generato dal confronto tra presente e passato; la fiducia nelfuturo. [...] Restituisce nuova importanza alla cronologia, il cuicarattere lineare ne fa un quadro nel quale basta collocare gli avve-nimenti per evidenziare la logica interna del divenire storico. Iltempo lineare consente inoltre di istituire una gerarchia degli

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO35

    21. Secondo Koselleck, nellepoca moderna, [i]l tempo non si acconten-ta di restare la forma nella quale si svolgono tutte le storie; acquista essostesso una qualit storica. Dunque la storia non si compie pi nel tempo,ma grazie al tempo. Il tempo acquista un carattere dinamico, poich diven-ta una forza della storia stessa. Lesperienza moderna della storia produr-rebbe cos concetti di tempo teoreticamente arricchiti, in base ai quali lastoria intera deve essere interpretata secondo una struttura temporale(Koselleck, 1979, pp. 276 e 289).

  • avvenimenti, privilegiando quelli che si crede generino cambia-menti irreversibili. Ispira la scelta che si opera tra i candidati alruolo di protagonisti della storia: storia unicamente creata dagliagenti del progresso (Pomian, 1984, pp. 75-76).

    Contestualmente, la scienza storico-sociale ottocentesca,anche come conseguenza, negli ultimi decenni del secolo, dellacrescente importanza della questione nazionale e della molti-plicazione dei movimenti nazionalisti (cfr. Hobswawm, 1991),come pure del riconoscimento, da parte di pressoch tutti i rag-gruppamenti ideologici, del ruolo sostanziale e ineludibile deglistati nella elaborazione e nella realizzazione delle rispettivestrategie politiche,22 fin con loptare per assunti spaziali cheenfatizzavano ben oltre il dovuto la dimensione statale dei pro-cessi di cambiamento, di fatto rimuovendo dal quadro connes-sioni e processi che travalicavano i confini nazionali.Lo stato-nazione, concettualizzato nei termini di struttura

    autonoma dotata di una logica di sviluppo prevalentementeinterna, fu elevato, attraverso una incorporazione dello statali-smo (cfr. Taylor, 1996) e la creazione di una trappola territoria-le (cfr. Agnew, 1994), a principale soggetto spaziale della storiae a unit di analisi della teoria sociale, e le discipline delle scien-

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    22. Nel prendere posizione rispetto alla antinomia intellettuale tra societ estato, le tre ideologie affermatesi nel corso del XIX secolo - conservatorismo, libe-ralismo e marxismo - si schierarono dalla parte della societ e si dichiararono, cia-scuna a proprio modo, avversarie dello stato: i conservatori considerandolo comelo strumento nelle mani di chi intendeva minare le strutture sociali che essi repu-tavano fondamentali - famiglia, comunit, chiesa, monarchia; i liberali ritenendo-lo un ostacolo al perseguimento degli interessi dellindividuo, da loro eletto a ele-mento costitutivo della societ; i marxisti, infine, denunciando lo stato in quantoespressione degli interessi degli strati privilegiati pi che del benessere generaledella societ - nullaltro che un comitato che amministra gli affari comuni di tuttala classe borghese, secondo la nota formula del Manifesto del Partito Comunista(Marx & Engels, 1974, p. 102). Questo, tuttavia, solo in teoria. In pratica, infatti,ciascuna ideologia ebbe bisogno, e fece ricorso, allo stato per la realizzazione delproprio programma. E tutte, con diverse giustificazioni, condussero, soprattuttodopo il 1848, a un rafforzamento delle strutture statali: i conservatori guardandoad esse come a meccanismi sostitutivi o integrativi delle istituzioni tradizionali agaranzia della moralit; i liberali considerandole come lunico meccanismo ingrado di garantire il ritmo costante e la giusta direzione del processo di cambia-mento; i marxisti, infine, al di l del lirismo internazionalista dellappello allunio-ne dei proletari di tutto il mondo, considerando la conquista del potere statalecome un passo obbligato nel conseguimento dei loro obiettivi di trasformazione -rivoluzionaria o riformista - della societ (cfr. Wallerstein, 1995a).

  • ze sociali, nel loro istituzionalizzarsi, si specializzarono comestudio dei diversi ambiti interni alle singole societ. A partire da questo nazionalismo metodologico (cfr.

    Martins, 1974),23 nella seconda met del XIX secolo la storia delmondo venne cos interamente riscritta assorbendo allinternodi ununica narrazione una variet di storie, di cui si tendeva anegare linterconnessione per costruire una gerarchia tempora-le che presupponeva, teleologicamente, lo stato-nazione comecentro ed esito della storia. In altri termini, i rapporti tralEuropa (e poi lOccidente) e il resto del mondo furono consi-derati s in termini di differenza, ma anche, permettendo altempo di essere assorbito dallo spazio tabulare della classifica-zione, di distanza nello spazio e nel tempo (cfr. Fabian, 1983).La strategia cognitiva che ha pervaso il discorso delle scienzestorico-sociali talmente radicata nei saperi antropologici dapotervi rimanere implicita; esplicitata invece negli altri saperidisciplinari24 dunque stata una persistente e sistematicatendenza a situare i popoli altri spesso gli altri stati-nazio-ne in un altro tempo.I dispositivi di distanziamento utilizzati hanno generato dun-

    que una negazione della coevit che, ovviamente, costituisceun atto politico e di dominio legato allespansione coloniale,oltre che epistemologico. Lassenza dellAltro dal tempo dellariflessione occidentale ha cos svolto un ruolo essenziale nellacostituzione delle modalit della sua presenza in questo discor-so, come oggetto e come vittima: Affinch questo sia potutoaccadere, le societ in espansione, aggressive e oppressive, chein modo impreciso definiamo nel loro insieme Occidente, ave-vano bisogno di Spazio da occupare. A un livello pi profondo eproblematico, si pu affermare che esse avevano bisogno diTempo per sistemarvi gli schemi di una storia a senso unico:progresso, sviluppo, modernit (e le loro immagini speculari innegativo: immobilit, sottosviluppo e tradizione). In breve, lageopolitica affonda le proprie radici ideologiche nella cronopo-litica (ibidem, p. 170).

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO37

    23. Per una critica al nazionalismo metodologico, o stato-centrismo,delle scienze sociali del XX secolo, si vedano Giddens, 1973; Smith, 1979;Wallerstein et al. 1996 e Wimmer e Schiller, 2000. 24. Sebbene riferita principalmente al discorso antropologico, la critica

    mossa da Fabian alle modalit di costruzione dellAltro pu essere legitti-mamente estesa anche alle altre discipline delle scienze storico-sociali, per-mettendo di coglierne linadeguatezza epistemologica.

  • Nel corso della seconda met del XIX secolo, come pure neiprimi decenni del Novecento, la diffusione di storie nazionali-stiche, con lesaltazione dei valori, degli atteggiamenti e dellecredenze ritenuti propri di specifiche nazioni, e del ruolo e degliinteressi di queste ultime rispetto ad altre nazioni o ad altrigruppi variamente definiti, divenne un tratto comune della sto-riografia di gran parte dei paesi occidentali. Questa attitudinefu particolarmente evidente nel caso della Germania,25 dappri-ma in considerazione delle esigenze legate alla lotta per lunitdel paese e poi come strumento di supporto alle ambizioni tede-sche di svolgere un ruolo di primo piano sulla scena mondiale.Un gran numero di storici tra cui Max Lenz, Gustav vonSchmoller, Dietrich Schfer, Hans Delbrck e Otto Hinze ritennero che la Germania stesse adempiendo alla propriamissione mondiale in virt di quella quota appropriata delpotere mondiale che la natura umana e la Provvidenza asse-gnano ai popoli civilizzati e che il suo esercito e la sua flottamilitare le avrebbero assicurato. Contro il monopolio culturaledegli anglosassoni e del mondo russo-moscovita, i professoritedeschi invocarono una politica che avrebbe dovuto mettere alsicuro la particolare eredit politica e culturale della Germania(Fischer, 1967, pp. 8-9).Ma la svolta nazionalistica non fu certo unesclusiva tedesca.

    Molti storici statunitensi come, ad esempio, Alfred T.Mahan, John Fiske, Herbert Baxter Adams, John WilliamBurgess e il pi noto George Bancroft ritenevano infatti chelAmerica [fosse] pi pura, meno corrotta e pi sul sentiero diDio e della religiosit di quanto non lo fosse il mondo malva-gio che era stato lasciato alle spalle, in Europa (Plumb, 1969,pp. 85-86), rafforzando la convinzione nelle particolari virtdegli Stati Uniti, sostenendone in alcuni casi lespansioneimperiale della fine del XIX secolo e ribadendo lorgoglio anglo-sassone e lidea di una superiorit razziale. Nella sua History

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO38

    25. Un ruolo di primo piano fu svolto, accanto al gi citato Leopold von Ranke,dalla politica storica o realistica di Heinrich von Treitschke, il quale, senza alcu-na ambizione di imparzialit - La fredda oggettivit contraria al vero senso sto-rico (citato in Metz, 2005, p. 102) - afferm con candore che: Chi narra la storiatedesca adempie al suo compito solo a met se si limita a illustrare il flusso deglieventi e a trarre schiettamente le proprie conclusioni; costui deve anche sentire inprima persona, e sapere come suscitare nel cuore dei suoi lettori ... la gioia dellaPatria (citato in Dorpalen, 1957, p. 205).

  • of the United States from the Discovery of America, Bancroftrappresent il processo di colonizzazione come la fuga di spiri-ti coraggiosi dalloppressione, caratterizz gli Stati Uniti neitermini di una crociata di patrioti virtuosi e del tutto disinte-ressati in nome delle libert dellumanit civilizzata e descris-se la Costituzione americana come la creazione di un gruppostraordinario di giganti intellettuali, senza eguali nella storiapassata e anche futura.Gli storici britannici non furono da meno nel magnificare i

    successi della loro nazione e del loro popolo, descritto daThomas Babington Macaulay nella sua History of Englandcome il popolo pi grande e pi altamente civilizzato che ilmondo abbia mai conosciuto ... che ha esteso il proprio domi-nio in ogni parte del mondo ... che ha portato la scienza medi-ca, i mezzi di trasporto e di corrispondenza, ogni arte mecca-nica, ogni manifattura e ogni cosa che promuove gli agi delle-sistenza a un livello di perfezione che i nostri avi avrebberoconsiderato magico, che ha prodotto una letteratura che puvantarsi di opere non inferiori a quelle pi grandiose che laGrecia ci ha tramandato, che ha scoperto le leggi che regolanoi corpi celesti, che ha riflettuto con squisito acume sul funzio-namento della mente umana e a cui stato riconosciuto ilruolo di leader nel campo del progresso politico (citato inClive, 1973, p. 422). E un analogo tono di esaltazione dello spi-rito e dei pregiudizi patriottici accompagn la produzione sto-riografica in Francia, Austria, Italia, Spagna e in molti altripaesi occidentali.Le diverse scienze sociali, e la storia in particolare, svolsero

    cos un ruolo attivo nella costruzione e nella legittimazione deirispettivi stati nazionali, rintracciando nella storia passata deidiversi popoli e nel loro supposto legame con i territori nazio-nali una continuit che serv da fondamento per la costruzionedi narrazioni teleologiche destinate inevitabilmente a sfociarenelle forme statuali indipendenti cos come si erano concreta-mente manifestate. La specificit di queste esperienze storichepoggiava sullidentificazione di una serie di elementi costitutividel carattere progressivo della storia europea, che la differen-ziavano da ogni altra esperienza passata o condizione attualedelle strutture politiche o societarie del resto del mondo: unatradizione culturale secolare, che aveva avuto origine nellanti-chit classica e che, dopo linterludio barbarico, aveva riac-

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO39

  • quistato vigore con il Rinascimento e trovava ora il proprio cul-mine; limprenditorialit individuale come motore della forza edel dinamismo economico europeo; la libert come qualit chedefiniva le forme di governo; lequilibrio del potere nei rappor-ti fra un numero circoscritto di stati guida; e, infine, modi dicomportamento civilizzati, intesi come meccanismi regolatividelle forme di interazione sociale pubblicamente accettati (cfr.Woolf, 2003).Come espressioni di un pi generale processo di civilizzazio-

    ne, queste molteplici espressioni nazionalistiche furono coniu-gate per dar vita a unidea di Europa, o di Occidente, comequalcosa in pi di una semplice civilt accanto ad altre civilt,ma come lunica realt civilizzata. Lucien Febvre ha sottoli-neato come il termine civilisation che apparve per la primavolta in Francia, nella seconda met del XVIII secolo (cfr.Starobinski, 1983) nacque al momento giusto [...] quandocominci[] a sprigionarsi dallinsieme dellEncyclopdie lagrande idea della scienza razionale e sperimentale, unica neisuoi metodi e nei suoi procedimenti, sia chessa conquisti lanatura [...], sia che riduca in categorie le societ umane e laloro infinita variet. [...] Prestare orecchio ... ai suggerimenti eai consigli della scienza, significava inoltre orientarsi versolavvenire e sostituire alla nostalgia del passato il fanatismodella speranza (Febvre, 1962 [1930] pp. 20-21). Nellarco di pochi decenni, lidea di civilt si diffuse in tutta

    Europa e, liberandosi delle basi religiose che pure le erano stateattribuite, si trasform nellapoteosi della ragione secolarizzata,lultimo stadio del percorso dellumanit. Il concetto espresse iltrionfo intellettuale della scienza e della tecnologia (cfr. Adas,1989) e dellidea ottimistica e non teologica di un progressocostante nelle condizioni delluomo e nella conoscenza dellanatura. Nella sintesi di Starobinski, il termine venne veloce-mente accettato poich saldava le diverse espressioni di un con-cetto preesistente. Questo concetto includeva nozioni come imiglioramenti del benessere, i progressi dellistruzione, gliatteggiamenti politici, linteresse per le arti e la scienza, la cre-scita del commercio e dellindustria e lacquisizione di benimateriali e di oggetti di lusso. Esso si rifer dapprima al proces-so che rendeva gli individui, le nazioni e lintera umanit civiliz-zata (un termine preesistente) e in seguito allesito cumulativo diquesto processo. Serv da concetto unificante (Starobinski,

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO40

  • 1983, p. 15). In questa formulazione al singolare, lidea di civil-t incarn cos il senso europeo di superiorit sul resto delmondo, divenendo parte integrante dellideologia coloniale eoffrendo uno strumento e un criterio di misura rispetto al qualecomparare tutte le altre societ, un compito al quale si rivolsero,nel corso del XIX secolo, i saperi sociali nelle loro aspirazioniscientifiche (cfr. Mazlish, 2001 e 2004).La storiografia nazionalista di fine Ottocento e inizio

    Novecento venne cos utilizzata per giustificare il ruolo sullascena mondiale degli stati europei nei termini di una loro mis-sione civilizzatrice o, nella versione statunitense, di undestino manifesto (Stephanson, 1995) rispetto alle zonemeno fortunate del mondo (cfr. Kennedy, 1973 e Robbins,1990). Ci costitu il compimento di un lungo processo di costru-zione culturale e politica dellEuropa, strutturata, da un lato, suuna peculiare convinzione di ci che costituiva lessenza dellasuperiorit della civilt europea e, dallaltro, su una peculiarevisione del mondo extra-europeo, la cui distanza dal modello nepermetteva la classificazione e ne giustificava lo sfruttamentomateriale.Lidea di una missione civilizzatrice divenne cos un principio

    regolativo dei rapporti interstatali, trovando espressione nellaformulazione, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, di unostandard di civilt, che serv dapprima a garantire il tratta-mento dei cittadini occidentali che si trovavano nei paesi nonoccidentali in base alle norme giuridiche dei paesi di origine, eche fiss poi le condizioni per lammissione e lappartenenzadelle comunit politiche non europee alla societ internaziona-le e per la definizione del loro ruolo in essa. Si trattava della for-malizzazione giuridica e della giustificazione da parte degli statieuropei, al culmine del loro dominio, della possibilit di negareleguaglianza dei diritti agli stati asiatici, africani e dellOceania,divenendo un esplicito principio giuridico e parte integrantedella dottrina del diritto internazionale: coloro che rispettava-no i requisiti dello standard di civilt avevano accesso alla cer-chia degli stati civilizzati, mentre coloro che non si adeguava-no ad essi ne erano esclusi in quanto non civilizzati o addirit-tura barbari, ed erano cos soggetti a trattati ineguali, capi-tolazioni e protettorati che prevedevano norme extraterrito-riali e la cui esistenza era legittimata finch questi paesi non sifossero uniformati agli standard civilizzati, e questo sebbene

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO41

  • le stesse potenze europee spesso non rispettassero quei criteriche esigevano dagli altri (cfr. Gong, 1984).26 La giurisprudenzabasata sul diritto naturale, che era stata associata, almeno inlinea teorica, con un atteggiamento pi compassionevole neiconfronti dei popoli considerati selvaggi o barbarici, lasci ilposto a un positivismo giuridico che, sostenuto dalle basioggettive dellidea della superiorit occidentale offerte daldarwinismo sociale (cfr. Koch, 1984, e Hawkins, 1997)27 e dalrazzismo scientifico (cfr. Hannaford, 1996, cap. 8), contribua fare del diritto internazionale pi uno strumento della politi-ca del potere, e delle sue manifestazioni imperialistiche, cheuna sfida ad esso, sebbene in costante tensione con la suaproiezione universalistica (cfr. Donnelly, 1998).

    Il liberalismo sostenibile

    La storia dei saperi sociali del XIX secolo dunque, nel suo

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO42

    26. Gong identifica cinque requisiti dello Standard of Civilization inInternational Society, cos come esso venne a cristallizarsi nei primi anni del XXsecolo: uno stato civilizzato doveva garantire i diritti fondamentali - ossia la vita,la dignit e la propriet - la libert di spostamento, di commercio e di religione;doveva gestire con una certa efficienza lapparato statale e disporre delle capacitper lorganizzazione della propria difesa; doveva aderire al diritto internazionalecomunemente accettato, incluso il diritto bellico, e doveva possedere un sistemainterno di corti di giustizia e di codici che garantivano giuridicamente tutti coloroche ricadevano nella sua giurisdizione; doveva poi rispettare gli obblighi del sistemainternazionale garantendo adeguati e costanti canali diplomatici; infine, come crite-rio pi soggettivo, doveva conformarsi alle norme e alla prassi della societ interna-zionale civilizzata, che considerava inaccettabili sacrifici umani, poligamia e schia-vit (cfr. Gong, 1984, pp. 14-21). Nella sintesi di Georg Schwarzenberger, che parlinvece di uno Standard of Civilization in International Law, lesame per accertareche uno stato fosse civilizzato e, dunque, avesse il diritto a un pieno riconoscimentoin quanto soggetto internazionale, consisteva, generalmente, nellaccertamento cheil suo governo fosse sufficientemente stabile da assumere impegni vincolanti nelcontesto del diritto internazionale e fosse in grado e disposto a proteggere adegua-tamente la vita, la libert e la propriet dei cittadini stranieri (Schwarzenberger,1955, p. 220). Sulle origini coloniali del diritto internazionale e dello standard dicivilt, si veda Bowden, 2005.27. Il ruolo del darwinismo sociale a sostegno dellatteggiamento imperialistico

    e militaristico occidentale, e britannico in particolare, stato peraltro ridimensio-nato e riletto criticamente come mito di inizio Novecento in risposta ai timorisuscitati dalle implicazioni autoritarie di una scienza sociale basata sulla biologia(cfr. Crook, 1994 e 1999). Di fatto, la declinazione dellopera di Darwin nellambi-to storico-sociale stata molteplice e contraddittoria, e utilizzata a sostegno di pro-getti politici di segno persino opposto (cfr. Crook, 2007).

  • insieme, la storia dellarticolazione pluralistica e tuttaviacoerente di una visione sistemica con una risoluta tendenzauniformante. Le elaborazioni storiche e teoriche prodotte neipaesi centrali delinearono cos, pur in presenza di una dialetti-ca che era espressione delle singole e talvolta confliggenti esi-genze e visioni nazionali, una grande narrazione che ambiva afornire una risposta ai diversi bisogni organizzativi dei singolistati nazionali, come conseguenza dellemergere, al loro inter-no, di una questione sociale imposta dalle trasformazioni pro-duttive e dalle rivendicazioni dei variegati movimenti operai esocialisti e, su scala globale, dei problemi posti dal funziona-mento di una divisione del lavoro ormai mondiale. Le necessitdi comprensione scientifica dei processi di funzionamentodellinsieme si intrecciarono peraltro con esigenze di legittima-zione dei diversi livelli di stratificazione sociale, ancora unavolta sia interni ai paesi del centro che nei rapporti di questiultimi con le zone periferiche.Ci a cui si assiste la strutturazione metodica irrispetto-

    sa della contrapposizione ideologica in via di sistematizzazionetra pensiero liberale e pensiero socialista e poi marxista di uninsieme di principi organizzativi e di norme dellagire pratico ingrado di offrire ai diversi gruppi, sempre pi definiti su basenazionale o di classe, plausibili prospettive di azione nel conte-sto sia della competizione per legemonia tra i paesi centrali siadelle diverse strategie di mobilit ascendente nelle molteplicigerarchie dei benefici della divisione del lavoro. Prende cosforma una visione della storia che offre un ragionevole modellointerpretativo del divenire dei processi di funzionamento del-linsieme e che, al tempo stesso, almeno quando lo si valutaretrospettivamente, si rivela un efficace strumento di conteni-mento delle tensioni derivanti dalle ineguaglianze del sistema,grazie alla progressiva convergenza dei vari soggetti collettiviverso modalit di pensare il mondo e il proprio ruolo in essobasate su una forma sostenibile, oltrech differita nel tempo, diuniversalismo. In questa grande narrazione, che aspirava adabbracciare passato, presente e futuro delle diverse societnazionali, considerate nella loro dimensione statale, ma a par-tire comunque dalla convinzione della specificit e della supe-riorit della civilt occidentale modello di riferimento per isuoi principi organizzativi e metro di valutazione di tutte lealtre esperienze un ruolo decisivo era svolto dalla fiducia nel

    CAP. 1.LEUROPA AL CENTRO43

  • carattere progressivo del divenire storico, espresso nei diversimiti storiografici della transizione verso la modernit.La geocultura che emerse nel corso del XIX secolo, esito della

    confluenza di tre culture nazionali della rappresentazione,quella britannica, quella francese e quella tedesca, e che trovespressione in quella parte del modo di rappresentazione cheassunse il nome di scienza sociale, fu cos, da un lato, costan-temente orientata alla ricerca di un ragionevole compromessotra le esigenze dellincessante accumulazione di capitale e lanecessit delle concessioni alle classi lavoratrici dei paesi cen-trali sotto forma di partecipazione al potere politico e alla divi-sione del plusvalore e, dallaltro, alla produzione di una plau-sibile lettura della realt delle periferie e dei loro rapporti conil centro.La necessit di legittimazione dellassetto sociale complessi-

    vo si espresse nella formulazione di adeguamenti delle struttu-re istituzionali del sistema, con unanalisi della natura delcorpo politico, il cui fine ultimo venne individuato nella pro-duzione razionale, pubblica e formalmente strutturata dileggi redatte con chiarezza [Jeremy Bentham], e con lattesta-zione di fiducia nelle istituzioni liberali e nella centralit poli-tica e sociale della classe media, protagonista della realizzazio-ne di una tendenza, gi in atto e ragionevolmente universaliz-zabile, alla democratizzazione [Alexis de Tocqueville]; dellestrutture sociali, con il riconoscimento della centralit dellenuove forze produttive attraverso la rivendicazione del ruoloattivo e innovativo della borghesia industriale, considerataquale classe produttrice per eccellenza e capace di autogover-no dei propri interessi, e dunque destinata a sostituire leparassitarie lite pre-industriali dei proprietari terrieri[Claude Henri de Saint-Simon], oltrech classe dirigente tito-lare del diritto di comando sul lavoro e sullintera popolazione;e delle strutture ideologiche, con la formulazione di una teoriadel soggetto agente riconosciuto nellindividuo liberale28

    LA PARABOLA DELLEUROCENTRISMO44

    28. Lideologia liberale postula, idealmente, lesistenza e la priorit di un indi-viduo libero e consapevole della propria capacit di sviluppo e autorealizzazione,al punto da considerarlo come elemento primordiale, pi reale o fondamentaledella societ umana, delle sue istituzioni e delle sue strutture (Arblaster, 1984, p.15). Allo stesso tempo, esige che allindividuo venga assegnato un valore moralesuperiore di quello riconosciuto alla societ o ad ogni altra collettivit. In questomodo di pensare, lindividuo viene sempre prima di ogni collettivit sociale, sia

  • mosso dal calcolo dei piaceri e delle pene [Bentham]. Questa esigenza di legittimazione si espresse, ancora, nella

    formulazione di una nuova visione della storia organizzativadella civilt, vista come graduale avvicinamento allepoca indu-striale, dove un ruolo rilevante era attribuito ai progressi scien-tifici dello spirito umano, con la centralit del metodo scientifi-co, del controllo empirico, del primato della tecnica e dellamanipolazione sociale [Saint-Simon]; nella strutturazione teo-rica del sistema di fabbrica quale nuovo centro delle relazioniumane [Charles Babbage & Andrew Ure]. E, infine, nellartico-lazione di un modello evoluzionista e organicista della storiadellumanit con la versione britannica di radicale darwini-smo sociale, in cui il mutamento era segnato dalla lotta per lasopravvivenza e dal prevalere del pi forte e si esprimeva in unpercorso di differenziazioni e integrazioni successive, con unpassaggio, auspicabilmente lento e graduale, dallomogeneoalleterogeneo, dal semplice al complesso, dallindefinito aldefinito [Herbert Spencer]; e la versione mitigata del sociali-smo della cattedra