la frontera...rossa” dei banda bassotti, un gruppo punk rock di roma molto impegnato in politica....
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La Frontera
La mia vita con gli Argies
Una storia di amicizia, punk rock e globalizzazione
Arrigo Bernardi
2015
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Ho conosciuto gli Argies nell'autunno del 2000. Nell'ottobre di
quell'anno sono stato contattato dal cantate David via email. Al
tempo avevo finito da poco di suonare con una band di
hardcore punk, i Miriamplace, e uno dei nostri dischi era
arrivato in Argentina tra le mani di David che stava
organizzando il primo tour europeo della band.
Il messaggio era amichevole e sgrammaticato, e ha attirato
subito la mia attenzione anche se a quel tempo, tra la band e
una fanzine online che facevo, di email da parte di gruppi che
cercavano aiuto per i tour ne ricevevo parecchie. Il messaggio
diceva che erano insieme da una quindicina d'anni, avevano
suonato parecchio in America Latina e che volevano suonare il
più possibile in Europa. Devo confessare che al tempo la mia
conoscenza della scena punk in America latina si limitava ai
brasiliani Ratos de Porao anche se sotto sotto sapevo che c'era
di più. Risposi a David che avrei fatto il possibile per
organizzare uno show o due nella mia zona e ricevetti dopo
qualche settimana un cd demo. All'interno del cd tra le altre
canzoni ce n'era una che conoscevo già, si trattava di “Luna
Rossa” dei Banda Bassotti, un gruppo punk rock di Roma molto
impegnato in politica.
Anzi a dire il vero la canzone originale è stata composta da
Claudio Bernieri e incisa da Yu Kung, un gruppo folk milanese
nei primi anni settanta, e racconta in maniera poetica e toccante
la strage di Piazza Fontana a Milano.
Il giorno 12 dicembre del 1969 un gruppo di neofascisti veneti
depositò una bomba ad orologeria nell'atrio della Banca
Nazionale dell'Agricoltura provocando 18 morti e 88 feriti.
Questa fu la prima di una lunga serie di stragi che
insanguinarono l'Italia in quella che fu poi definita la strategia
della tensione. Una strategia mirata a promuovere l'adozione di
leggi repressive nei confronti dei movimenti che reclamavano
condizioni sociali più giuste durante quei mesi, definiti poi
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l'autunno caldo. Con il supporto dei servizi segreti italiani e
statunitensi le indagini furono sistematicamente insabbiate e
ancora oggi i colpevoli non sono stati condannati anche se i
loro nomi sono noti a tutti. Uno di questi, Giovanni Ventura,
neofascista della mia città, Treviso, morirà libero e imprenditore
molti anni dopo a Buenos Aires.
Ascoltai un po' di volte la canzone a volume via via sempre più
alto e decisi che avrei fatto del mio meglio per aiutarli.
L'inizio del tour era previsto per la primavera successiva,
mancavano ancora diversi mesi e c'era tutto il tempo per
spargere la voce tra gli amici che potevano avere agganci con
locali o centri sociali dove far esibire la band. Sono stato
coinvolto nella scena punk rock da quando ero un giovanissimo
adolescente e negli anni sono entrato in contatto con molte
realtà dell'autogestione musicale nella mia zona e nel resto del
paese. In passato il punk infatti si era sempre tenuto più o
meno al di fuori dei circuiti commerciali e professionistici, in
gran parte per la sua innata attitudine anti-commerciale, che
metteva sopra a tutto la partecipazione personale degli
appassionati e la gestione diretta da parte del pubblico di quello
scambio di informazioni, sensazioni e cultura che era
rappresentato dal momento del concerto o dalla produzione e
distribuzione di dischi e cassette. Un po' anche per la
partecipazione numericamente esigua che normalmente i
concerti e le produzioni punk riscuotevano. Ma a dire il vero
questo aspetto stava cambiando: gruppi americani come
Offspring, Green Day , NOFX, Bad Religion e Rancid
cominciavano a vendere moltissimi dischi e a girare l'Europa
secondo gli standard che di solito erano riservati alle star
dell'Heavy Metal o del Rock più tradizionale. Anche in Italia
varie band provenienti dal circuito del punk rock attiravano
l'attenzione dell'industria musicale, anche se la loro tendenza
era comunque quella di mantenere un legame con l'etica della
contro-cultura alternativa, intervenendo sui prezzi, sui luoghi
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dove svolgere gli spettacoli o aderendo a campagne
informative.
Io, dopo molti anni passati come attivista a vario titolo,
suonando con band, scrivendo, organizzando e dandomi in
generale un po' da fare, stavo alleggerendo il mio impegno e
cercando di dedicarmi alla mia crescita personale e
professionale. Avevo raggiunto i 30 anni, avevo concluso gli
studi, assolto gli obblighi di leva militare facendo il servizio civile
alternativo nell'assistenza sociale, e avevo intrapreso da
qualche anno delle iniziative che mi portavano vicino ai miei
interessi e alle mie passioni.
Nel mondo e finalmente anche in Italia esplodeva la
comunicazione digitale e la sensazione era quella di
un'accelerazione in tutti i campi. La ricerca di opportunità era a
quel punto un obbligo.
L'anno Duemila, nella mia immaginazione di bambino, si era
plasmato, come per molti miei coetanei su di un immaginario
tecnologico e moderno, ma anche in qualche modo libertario ed
egualitario. Negli ultimi decenni precedenti la fine del ventesimo
secolo la cifra 2000 di per sé evocava un futuro prossimo,
radicale e migliore. Grandi film e programmi televisivi come
“2001 Odissea nello Spazio” e “Spazio 1999” suggerivano un
immediato futuro di viaggi interstellari, amicizia tra i popoli,
automatizzazione del lavoro, redistribuzione del reddito e
riscoperta di cultura, socialità, benessere diffuso, integrazione
razziale e culturale.
Ma alla prova dei fatti i dati concreti sembravano differenti. I
repentini cambiamenti tecnologici con la diffusione di massa
dell'informatica avevano subito portato ad una bolla speculativa
che aveva tritato in pochi giorni capitali, persone ed aziende,
oltre a distruggere l'illusione che il nuovo mercato avrebbe
giocato con regole nuove. La cosiddetta dot-com bouble ovvero
la bolla speculativa basata sui nuovi servizi digitali riverberava
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una luce preoccupante su quella che si definiva con entusiasmo
la New Economy.
A livello politico il 2001 si apriva con l'elezione in odore di brogli
di George Bush Junior a presidente degli Stati Uniti d'America.
Il figlio allora 55enne dell'omonimo presidente che negli anni
novanta aveva riaperto il fronte bellico americano con la prima
guerra del golfo contro l'Iraq di Saddam Hussein, rischiando di
travolgere il mondo intero, appena scampato alla Guerra
Fredda, in un conflitto planetario.
Con il suo sorriso texano che riecheggiava il ghigno duro e
compiaciuto del suo ispiratore Ronald Reagan, testimoniava
che il ventunesimo secolo non avrebbe avuto regole di ingaggio
diverse dai secoli che lo avevano preceduto.
In un'Italia più che mai in sintonia con gli USA, lo stesso anno
vedevamo eleggere Silvio Berlusconi per il suo secondo
mandato di governo. Il magnate immobiliare e televisivo aveva
costruito una solida immagine di politico, dopo un primo
governo di prova. Il suo partito, Forza Italia, ormai stabilmente il
primo per voti nel paese, era saldamente legato alla destra
radicale che, dopo la dissoluzione del blocco cattolico
democratico, incarnava lo spirito antagonista alla sinistra,
maggioritario nel paese. Con loro si apprestava a disegnare il
progetto di convivenza sociale per gli anni a venire.
Più modestamente nella mia città sedeva come Sindaco per il
secondo mandato, ormai da due anni, Giancarlo Gentilini, un ex
bancario della Lega Nord che si era reso celebre per le sue
politiche populiste e sopratutto per le sue esternazioni violente
e minacciose contro immigrati, donne, omosessuali, oppositori
e minoranze in genere, e per i suoi continui appelli al
tradizionalismo, ricordando una versione ridicola del Klu Klux
Klan.
C'erano tutti i presupposti per un peggioramento delle
condizioni che difatti non avrebbe tardato a venire.
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I miei contatti non riuscirono a produrre che un solo concerto,
presso un locale in collina non lontano dalla città, un posto a
dire il vero molto bello, immerso nei boschi e con una rampa da
skate nel giardino. Quando arrivai al locale nel pomeriggio mi
stupì molto di trovare già presente nel parcheggio il furgone
della band. Tenete conto che allora gli Argies viaggiavano
senza navigatore satellitare né telefono cellulare, usando
soltanto mappe cartacee e telefoni pubblici per raggiungere la
destinazione. Aggiungete a questo che la moneta unica
europea non era ancora arrivata e la maggior parte dei paesi
visitati non aderiva al patto di Schengen, richiedendo quindi una
sosta alla dogana per controllo documenti e non di rado per una
perquisizione del veicolo.
Entrato nel locale ho trovato la band alle prese con la
preparazione del palco. Finalmente conoscevo di persona
David e gli altri del gruppo. La formazione era a quattro: basso,
doppia chitarra, voce e batteria. Il classico combo rock. A loro si
univa un giovane roadie dai capelli lunghi e dai tratti indio,
Mariano, con il compito di allestire il banchetto dei dischi e delle
magliette. Gustavo ed Hector, rispettivamente chitarra e
batteria, avevano più o meno la mia età e seguivano la band
già da un po', mentre al basso c'era Andrè, più giovane e anche
lui capellone.
Il concerto, di fronte ad un centinaio di persone, fu intenso e mi
colpi molto. Il suono era solido ed energico, un punk rock non
troppo veloce, venato da influenze in levare dal reggae allo ska
e con un marchio personale latino. Il genere era quello che si
definiva, in omaggio al titolo dell'ultimo disco nella carriera dei
Clash, Combat Rock. In effetti il parallelo con i Clash veniva
spontaneo, vuoi per le sonorità, vuoi per la formazione a quattro
o ancora per un paio di canzoni loro che gli Argies avevano
infilato in scaletta, ma anche per una certa similitudine tra David
e il cantante Joe Strummer, una somiglianza che prescindeva
da quella fisica che pure era innegabile. C'era in lui qualcosa
che riecheggiava la capacità indiscussa di Strummer nel creare
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un'intesa immediata ed empatica con chi lo ascoltava, aldilà
delle differenze di sesso, provenienza ed esperienza,
trasmettendo immediatamente la rabbia e la gentilezza, la
preoccupazione e l'entusiasmo contenute nelle sue canzoni.
Canzoni che colpivano subito. Anche non conoscendo lo
spagnolo il messaggio riusciva ad arrivare a tutti i presenti, e
parlava di unità, giustizia, impegno personale e fratellanza
universale. Birra fresca e sudore a fiotti cementarono il patto di
amicizia che nasceva quella sera tra Treviso e gli Argies.
Dopo il concerto ci rifugiammo a casa mia sistemandoci per la
notte. Il giorno dopo era prevista la visita della vicina Venezia.
Nei giorni precedenti al concerto il mio lavoro era andato a farsi
benedire. A quel tempo infatti stavo lavorando come consulente
per una grossa azienda di distribuzione di abbigliamento che
aveva cercato di creare una sussidiaria che si occupasse di
commercio elettronico, ma più che altro con l'obbiettivo di
quotarsi in borsa e raggranellare investimenti. Ma come negli
Stati Uniti, anche in Italia ormai il gioco dei primi tempi non
funzionava più e gli investitori chiedevano di vedere le carte
non accontentandosi della presenza della parola Internet sul
biglietto da visita. Il tentativo di quotazione fallì e nel giro di
qualche settimana fummo tutti congedati. Era primavera e non
avevo più un lavoro. La sensazione di libertà ebbe il
sopravvento sul senso di precarietà e, preparato lo zaino, chiesi
a David se potevo accompagnarli per le ultime date del tour.
Restava una settimana circa attraverso il nord Italia, la Francia
e la Spagna. Fu un'accoglienza davvero calorosa: nonostante
la stanchezza di diverse settimane schiacciati in cinque in un
minivan attraverso migliaia di chilometri, gli Argies accettarono
con entusiasmo la mia richiesta e la mattina della partenza
liberarono l'ultimo sedile disponibile nel minivan. Chiusa la porta
di casa partimmo in un'atmosfera di gioia e conquista alla volta
di Torino.
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Ospiti dello storico centro sociale El Paso, una villa occupata,
gli Argies divisero il palco con i Los Fastidios, una band di
vecchi amici da Verona che di lì in poi avrebbero incontrato
innumerevoli volte sui palchi d'Europa. Le occupazioni erano
uno scenario abbastanza nuovo per gli argentini, non
esistevano infatti realtà simili nella grande Buenos Aires da cui
venivano e anche per i ragazzi di Torino era abbastanza
inusuale ospitare una band dall'America latina. Oltretutto la
provenienza degli Argies evocava di per sé stessa uno scenario
di lotte per i diritti civili e di antagonismo all'oppressione che
predisponeva, come avrei avuto modo di verificare di lì in poi
molte volte, ad un'accoglienza solidale e calorosa. Il tour poi si
chiamava “The latin call”, a sottolineare l'identità della band, e
questo portava con se anche una serie di luoghi comuni su ciò
che poteva significare venire dal sud del mondo: il più temuto di
tutti era il cibo piccante! Come mi confidarono, spesso erano
accolti con un ristoro inteso a farli sentire a casa loro, basato su
pietanze piccanti che la maggior parte dei componenti
detestavano, ma che ricevevano con gratitudine e con
entusiasmo simulato, per non sembrare scortesi, soffrendo con
stoicismo.
Un paio di giorni dopo ci trovavamo sperduti tra le montagne
della Francia del sud alla ricerca della fantomatica comune di
La Valette. Disponevamo di scarne indicazioni e di un numero
di telefono a cui non rispondeva mai nessuno. Attraverso
paesini di montagna sempre più piccoli e un panorama sempre
più boschivo battemmo ogni locale pubblico alla ricerca di
un'indicazione riuscendo alla fine a raggiungere il piccolo centro
che doveva essere il punto di raccolta. Si trattava di poche case
alle pendici di un monte dove tutto sembrava potesse accadere
tranne una festa all'aperto con diverse band di punk rock.
Provvidenzialmente un anziano del luogo riuscì a farci capire
più che altro a gesti che l'unica cosa simile a quello che
cercavamo di descrivere con le nostre scarse conoscenze di
francese poteva accadere in fondo ad un sentiero in mezzo al
bosco, sul quale ci avventurammo perplessi con il nostro mini-
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van di marca francese. Alcuni chilometri dopo, su una strada
sterrata nel mezzo della selva, poco prima di disperare, ad un
bivio apparì un cartello che indicava la fine della Francia e
l'ingresso nel territorio della libera comunità di La Valette.
Sospiro di sollievo. Comunque ancora poco convinti
continuammo nella direzione indicata, superando poco dopo
una statua in legno, un Tiki havaiano. Poco dopo la boscaglia si
allargava in una radura improvvisamente popolata da furgoni di
ogni forma e colore e da diversi ragazzi intenti a scaricare
strumenti, molti di loro con capigliature da moicani. Eravamo
arrivati.
Scaricato il furgone e affidata la strumentazione all'unico mezzo
attrezzato per proseguire lungo il sentiero stretto e ripido che si
arrampicava verso la cima, proseguimmo a piedi insieme a
quella processione variopinta e internazionale. Ci aspettava
una palazzina in parte diroccata che scoprimmo essere la sede
degli uffici di una miniera abbandonata occupata da un pugno
di attivisti, aperta per l'occasione ad una folla di amici e
sostenitori. Il concerto si teneva su un piccolo palco arrangiato
in maniera molto artigianale e con molta fantasia, e l'alloggio
per la band era ricavato in una grotta naturale, ridipinta ed
arredata in maniera accogliente e surreale. Si riuscivano a
vedere le stelle e si sentiva grufolare il nostro vicino, un maiale
selvatico dal colore scuro. Cosa ci facesse lì mi risulta ancora
un mistero dato che tutti gli abitanti sembravano aver
abbracciato l'alimentazione vegetariana, comunque la sua
sistemazione era decorosa e pittoresca almeno quanto la
nostra. Il senso di libertà che mi pervadeva mi dava una sorta di
tranquilla e intima soddisfazione e di serena euforia.
Molti chilometri dopo eravamo a Barcellona, in tempo per un
concerto che non ci sarebbe stato. Telefonando agli
organizzatori da una cabina di fronte al piccolo squat chiuso e
tempestato di scritte che avrebbe dovuto ospitarci, scoprimmo
che la serata era stata annullata per motivi che non ricordo.
Quindi il primo tour europeo degli Argies si chiudeva lì.
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Con un giro turistico alle ramblas ed al barrio gotico,
accompagnato dalle immancabili caňas y tapas, si
consumavano le ultime ore in compagnia degli Argies. Di lì a
poco loro sarebbero ripartiti alla volta di Madrid per restituire il
mini-van a noleggio e imbarcarsi per il viaggio di ritorno. Ma
ancora una sorpresa ci aspettava prima di separarci. Mariano,
che quel giorno compiva vent'anni, annunciò a me e agli altri
compagni di viaggio che non intendeva fare ritorno a Buenos
Aires e aveva deciso di fermarsi a Barcellona per cercare
fortuna in Europa, abbandonando i suoi studi di giornalismo e il
suo povero quartiere dal quale capiva che gli sarebbe stato
difficile raggiungere gli obbiettivi che desiderava per la sua vita.
Abbracciammo quindi i nostri compagni che mi affidavano il
giovane roadie e riprendevano il viaggio che li avrebbe portati
all'aeroporto Pistarini di Buenos Aires. Tutti i giornali in quei
giorni davano la notizia di come l'aeroporto fosse
completamente bloccato da uno sciopero ad oltranza dei
lavoratori preoccupati dalla crisi disastrosa che si stava
profilando per tutta l'Argentina.
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Una volta a Treviso sono tornato alla mia vita quotidiana e alle
mie preoccupazioni, accompagnato dall'energia che quei giorni
di libertà mi avevano regalato e da tutti gli stimoli che sentivo
per quella nuova amicizia con i ragazzi dell'altro emisfero.
Oltretutto dopo un paio di settimane è arrivato Mariano. Non era
riuscito a trovare un lavoro o un alloggio a Barcellona e aveva
accettato il mio invito a stare da me per vedere se il nordest
italiano poteva portargli più fortuna. In quei giorni ho migliorato
molto la mia conoscenza della lingua spagnola e della storia
politica dell'Argentina e del sud America, anche perché Mariano
è un gran chiacchierone e le nostre conversazioni duravano
fino a notte fonda.
Gli argomenti di discussione non ci mancavano, le notizie in
quel periodo assomigliavano al cielo prima di un temporale, era
un continuo ammassarsi di nubi sempre più scure e lampi
squarcianti che saettavano a cadenza sempre più ravvicinata.
Lo sciopero all'aeroporto di Buenos Aires era solo il prologo di
una crisi politica ed economica che stava avvolgendo
l'Argentina. La moneta, il peso, che era legato saldamente al
dollaro da un rapporto di cambio alla pari, perdeva valore di ora
in ora. Dopo poche settimane le banche vietarono i prelievi.
Milioni di argentini dovevano lasciare i loro risparmi a un destino
di svalutazione brutale. Infatti non passò molto prima che la
moneta fosse svincolata dal cambio alla pari con il dollaro,
perdendo nel giro di pochi minuti gran parte del suo valore.
L'intera classe media del paese si trovava di colpo sul lastrico.
Nel breve arco temporale tra dicembre 2001 e gennaio 2002 il
Paese vede sostituirsi tra loro cinque presidenti in due
settimane ad un ritmo tra il comico e lo psichedelico.
Dopo un breve periodo di panico e di shock il popolo argentino
reagì, da un lato con la rabbia che si riversava nelle strade e
nei cortei, dall'altro con l'autogestione e le iniziative di economia
e lavoro dal basso.
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C'era in Europa, in America Latina e nel mondo intero, una
sensazione di sgomento verso un'economia che cambiava, ma
solo nei suoi meccanismi di sfruttamento e diseguaglianza,
cercando di renderli ineluttabili e indistruttibili. Ma c'era anche
un fermento di discussione, una pretesa da parte dei lavoratori
di intervenire nel dibattito imponendo dei punti fermi.
Con questo spirito centinaia di migliaia di persone da tutto il
mondo parteciparono al contro-vertice che a metà luglio di
quell'anno si svolgeva a Genova, in contemporanea all'incontro
dei leader del mondo occidentale, il G8.
La sera precedente ai due giorni di raduno e protesta del
movimento, si svolse presso lo stadio di Genova un
indimenticabile concerto di Manu Chao, l'artista ispanico
francese che per molti anni aveva guidato i Mano Negra. La
band di Parigi ha rappresentato per tutti gli anni ottanta e
novanta la continuazione del lascito culturale dei Clash in
termini di internazionalismo e multiculturalismo. Come loro
rivendicando la cittadinanza del mondo intero. Il loro stile, una
mescola di rocknroll con influenze stilistiche provenienti da tutto
il mondo, chiamato Pachanca, è divenuto la colonna sonora
della chiusura del ventesimo secolo. Quel concerto, nell'animo
degli organizzatori, dei partecipanti e degli artisti, doveva
affermare e saldare uno spirito corale di rivendicazione e di
uguaglianza fra tutti i lavoratori del mondo, che quel giorno
erano lì rappresentati.
Poche ore dopo la partenza del corteo, la mattina successiva,
iniziò la carica: brutale, spietata e omicida. Le migliaia di agenti
presenti, membri di tutti i corpi di polizia esistenti in Italia,
caricarono da subito il corteo con ogni arma a loro disposizione,
disperdendolo per le vie e i vicoli di Genova e iniziando in quel
momento una caccia all'uomo che sarebbe durata fino a notte
fonda con l'omicidio di Carlo Giuliani, e ripresa il mattino
seguente con metodi ancora più brutali e sistematici. Non fu
risparmiato nessuno: ragazzini, donne, uomini, religiosi e
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giornalisti, luoghi sacri, aree neutrali o ospedali. La polizia,
libera di agire a discrezione, senza nessun vincolo di legge o di
buon senso ma anzi aizzata da rappresentanti di governo e
dirigenti dell'ordine pubblico, represse, con una brutalità senza
precedenti per il paese, ogni forma di espressione politica, non
concedendo ai manifestanti nemmeno la fuga ma braccandoli
per giorni dentro e fuori la città finché ciascuno non fosse stato
ferito, brutalizzato o arrestato. Non doveva restare traccia della
volontà di opporsi al programma economico che pochi metri più
in là i padroni del mondo stavano decidendo al chiuso della
Zona Rossa, la parte della città isolata dalle alte inferriate e
destinata al G8.
La massiccia diffusione di immagini fotografiche e video che
seguì a quei giorni, testimonianza della inedita diffusione di
apparecchiature video digitali che iniziava allora, non giocò,
come si poteva pensare, a ristabilire la verità sugli avvenimenti
ma al contrario, testimoniando l'accaduto e l'impunità dei
responsabili, fu un ulteriore strumento di terrore e repressione
della protesta. Ognuno dei dirigenti responsabili delle violenze
venne premiato dallo Stato negli anni successivi con alti
incarichi di polizia, fino ai vertici.
Le nuvole continuavano ad addensarsi e a farsi più buie.
Nel frattempo io e altri amici avevamo intrapreso una nuova
avventura. Avevamo fondato una Cooperativa per la
realizzazione di impianti per lo skateboard, da molti anni una
mia passione insieme alla musica. Iniziammo a fornire le
amministrazioni pubbliche a cui i giovani cittadini si rivolgevano,
dato che quello sport stava prendendo sempre più piede.
Stabilimmo la nostra sede all'interno di un campeggio nella
vicina città balneare di Lignano Sabbiadoro, realizzando lì un
nuovo skatepark, scenario per gare, raduni e manifestazioni
anche a carattere internazionale.
Anche Mariano trovò il suo primo impiego europeo all'interno di
quel campeggio divenendone il custode notturno. L'estate, le
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novità nelle nostre vite, gli amori, la rabbia e la musica ci
davano una sensazione di coraggio e determinazione. Ci
facevamo strada nel nuovo millennio.
Verso la metà di settembre ci aspettava un nuovo
ammonimento alla nostra baldanzosa e arrogante gioventù.
Stavo guidando per le strade di Vicenza in cerca di una sede
invernale per la costruzione delle nostre rampe e dalla radio
arrivavano notizie concitate e incomprensibili. L'unico dato certo
era che parlavano di New York e di un attentato. L'insicurezza
che sembrava essersi impossessata dei cronisti dava il senso di
una notizia così grossa che quasi non riuscivano a trovare il
modo di darla. Stavo giusto passando davanti alla grande
caserma dell'esercito americano a Vicenza, la Ederle, ma non
notai particolari movimenti. Arrivai a casa di un amico giusto in
tempo per accendere la televisione e vedere crollare in diretta
le due torri del centro di Manhattan, una dopo l'altra.
L'undici settembre del 2001 segna una frontiera, un limite
storico che inaugura un periodo di paura, una sensazione di
fastidio e pessimismo nei confronti del futuro. Il nemico ci odia e
chi lo mette in dubbio è un traditore. Come molti secoli prima,
l'occidente è minacciato dall'oriente e non esiste una posizione
di mezzo. O sei con noi o stai con loro.
Pochi mesi dopo in Italia la famosa giornalista Oriana Fallaci,
che in gioventù era stata simbolo di emancipazione e
progressismo, scrive il manifesto programmatico dell'odio verso
il diverso, seppellendo per sempre gli ideali della generazione
che aveva cantato gli anni sessanta e settanta.
Continuavo a tenermi in contatto con David e a tenermi
aggiornato sulle mosse degli Argies che, ritornati in Argentina,
progettavano nuovi tour e scrivevano nuove canzoni. A
dicembre era prevista una piccola tournée nell'area di San
Paolo in Brasile. Mi mancava la compagnia di quei nuovi amici
e l'idea di condividere altre esperienze con loro in un territorio
così diverso da quello a cui ero abituato mi attirava in maniera
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irresistibile. Fatti due conti decisi di partire per il Brasile e mi
affrettai a cercare un biglietto aereo dal costo sostenibile.
Prima di incontrare gli Argies a San Paolo passai alcuni giorni a
Rio de Janeiro, a casa di alcuni amici che avevo conosciuto sul
lavoro l'anno prima. Il Brasile mi appariva come una terra
benedetta dove le precarie condizioni economiche di una parte
della popolazione si incrociavano con una modernità molto più
avanzata di quello che mi aspettavo e con un'umanità
prorompente fatta di cordialità, allegria diffusa, voglia di
divertirsi e leggerezza ma anche sensibilità e profondità
d'animo. E la musica che riempiva ogni spazio e ogni momento
interpretava tutto questo con le sue diverse sfumature.
San Paolo è una delle città più popolate del mondo con circa 18
milioni di abitanti, tra la zona centrale e le periferie connesse in
un sistema di megalopoli. Le tre provincie che circondano la
capitale sono San Andrè, San Bernardo e San Caetano e
insieme formano l'area detta ABC Paolista. La mia destinazione
era Mauà, una cittadina della provincia di San Caetano, dove
avrei incontrato gli Argies. L'appuntamento era per le dieci di
sera alla stazione delle corriere. Avevo avuto abbastanza
avvertimenti sulla pericolosità e la violenza del crimine in
Brasile da aver superato lo stato di paranoia ed essere entrato
in uno stato di incredulità. Tuttavia man mano che mi
addentravo nella periferia della città, guardando dal finestrino
della mia comoda corriera turistica, quello che vedevo mi
portava una certa inquietudine. Tutto sommato ero un ragazzo
di provincia e quella era una metropoli di stampo industriale.
Fu un vero sollievo riconoscere il sorriso di David che mi
aspettava sulla banchina della stazione al mio arrivo. Insieme a
lui Daniel, il nostro contatto locale, un vecchio amico degli
Argies. Daniel suona la batteria con 88Não, strano nome dal
recondito significato antifascista. Per tutti, qui a Mauà, è il
leader della scena punk, un punto di riferimento in ogni
difficoltà. Mi accoglie dicendo che se sono amico di David sono
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suo fratello, il resto dei ragazzi mi dirà che se sono amico di
Daniel sono uno di loro.
Una rapida presentazione e scambio di abbracci e siamo già in
macchina per le strade della città. Mi portano a vedere un po' di
vita locale e a bere qualche birra. Quello che non manca di
sicuro da queste parti oltre all'ospitalità è il sense of humor.
Infatti dopo un po' di locali via via sempre più preoccupanti, mi
nominano copilota di Paolino, un ragazzo di colore piuttosto
cicciotto, molto simpatico, completamente ubriaco, e con una
pistola automatica che spunta con evidenza dalla cintura dei
pantaloni. Fa il poliziotto e nel dopolavoro la security in un
nightclub, dove lo incontriamo. “Eu policia punky rocky” mi dice
subito con un grande sorriso per mettere in chiaro le cose.
Salgo in macchina con lui per raggiungere finalmente la casa
dove io e gli Argies saremo ospitati durante la nostra
permanenza a San Paolo. Continua a parlare gesticolando e
mimando conflitti a fuoco, ridendo e chiedendomi se mi
piacciono vari gruppi, tutti del punk rock classico. Mentre guida,
in una mano continua a stringere una lattina di birra da mezzo
litro, un'altra l'ha data a me. Ad un certo punto guarda nello
specchietto e decide, senza alcuna evidenza, che siamo seguiti
da una macchina di nazi, estrae la pistola e continua a guidare
così, con la lattina in una mano e la pistola nell'altra.
Arrivati ad una casa bassa con grandi inferiate, in una strada
laterale di case tutte uguali, frena, scende, apre la porta,
attraversa la stanza, entra in un piccolo bagno e lasciando la
porta aperta vomita rumorosamente nel water. Nella stanza ci
sono già David e Daniel, e un bel po' di gente tra membri di
Argies, 88Não e amici vari. Tutti scoppiano a ridere e si
presentano, mi mettono in mano una birra e mi riempiono di
abbracci e pacche sulle spalle. Io sono un po' impietrito, ma
pian piano mi sciolgo: ho superato la mia iniziazione per la
scena punk dell'ABC paolista.
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Io e gli Argies eravamo alloggiati a casa di Annapaola e Sergio,
uno dei due chitarristi di 88Não. Un paio di stanze per dormire e
una stanza con gli strumenti, dove provavano diversi gruppi del
quartiere, erano a nostra disposizione. La casa bassa, su due
piani, con un piccolo cortile, completamente protetta da
inferriate, assomiglia a tutte le altre della strada su cui è
disposta, e anche a quelle delle strade intorno.
Il bassista di 88Não, Josè, è argentino. Suonava il basso con
Argies nel loro tour in Brasile di un paio di anni prima e, rapito
da quella atmosfera, aveva deciso di stabilirsi a Maùa, vivendo
e lavorando con Daniel e la sua famiglia. Era la nostra guida
naturale.
Il quartiere era diviso in maniera netta da un rigagnolo d'acqua
che scorreva a tre isolati dalla nostra casa ed era attraversato
da un ponticello. Di qua la nostra zona, il quartiere, di là la
favela. Non che il quartiere potesse dare l'idea di un posto ricco
o particolarmente moderno, ma c'erano comunque asfalto sulle
strade e case in muratura. Di là strade in terra battuta,
abitazioni precarie e qualche baracca. Di qua mi era concesso
circolare anche se sempre in compagnia di gente del posto, di
là era assolutamente vietato andare. Questo stando alle regole
dettate il primo giorno dai miei nuovi amici. La pressione che mi
avevano messo i ragazzi era tale che anche in una mattinata di
sole con le bancarelle del mercato che si allungavano fino al
ponte, non me l'ero sentita di attraversarlo. Al di là
dell'inquietudine, mi sarebbe sembrato di offenderli tradendo la
loro fiducia dopo quanto si erano raccomandati. Oltre al ponte
era la terra di nessuno dove neanche la loro amicizia poteva
proteggermi. Eppure da lì venivano donne, bambini, famiglie
con la borsa della spesa. E anche diversi ragazzi del nostro
gruppo.
Per i concerti ci muovevamo appunto in gruppo, una compagnia
numerosa, maschile e femminile, con un'età variabile tra gli otto
18
e i quarant'anni. Per dieci giorni abbiamo occupato la casa,
partendo al pomeriggio per andare a suonare in qualche posto
della sterminata provincia di San Paolo: bar, clubs, centri sociali
o cortili all'aperto. Normalmente insieme ad altri gruppi della
scena come 88Não, le Stokolma77, Tercera Clase, o i
Matalanamao, che venivano dal nordest del paese ed erano in
tour come noi.
Una banda di punk in pantaloni mimetici e tshirt, con la pelle di
ogni sfumatura tra il nero e il bianco. Ragazze e ragazzi,
uomini, donne e bambini.
Quasi sempre c'erano delle armi con noi. Le pistole erano molto
diffuse, quasi tutti ne avevano una a casa, sembrava una
consuetudine inevitabile. “Sei italiano? Guarda io ho una
Beretta!” mi ha detto una volta un ragazzo mostrandomi la sua
semiautomatica di origine italiana. La violenza era qualcosa di
temuto e atteso come un fatto ineluttabile che prima o poi
sarebbe arrivato. Per fortuna non mi capitò mai di incontrarla
per tutto il tempo della mia permanenza. Con grigliate, partite di
pallone e musica invece ho avuto a che fare in ogni momento.
A San Paolo ho scoperto una comunità e un modo di vivere il
punk rock completamente diverso da quello a cui ero abituato.
Erano tanti anni che ero coinvolto nella scena. Ero già stato
all'estero, oppure in contatto con realtà molto distanti dalla mia.
Nella corrispondenza con punk cubani, cinesi o dei paesi
dell'est negli anni 80 e 90 avevo trovato la mia stessa passione
e tanti altri sentimenti che conoscevo bene, eppure avevo
sentito come nelle loro vite concetti quali guerra, oppressione,
pressione sociale, potessero avere significati diversi da quelli
che io gli davo. Ma la scena di Mauà stava aggiungendo
sensazioni nuove.
In Italia il punk aveva vissuto varie fasi. Superata rapidamente
la prima ondata della fine degli anni settanta, legata alle
tendenze britanniche e importata da molti artisti che si
agganciavano al nuovo stile soprattutto in un'ottica
19
commerciale, era arrivata la seconda ondata dei primi anni
ottanta. Molto più radicale. La militanza era intesa in senso
totale, come adesione non solo ad uno stile estetico o artistico,
ma come condivisione di scelte di vita e di lotta e saldamente
legata ai movimenti politici della generazione precedente. Una
generazione che era stata fortemente scossa da due fenomeni
che in particolare l'avevano segnata fino a distruggerla: la lotta
armata e l'eroina.
Il punk raccoglieva la bandiera della lotta per una società
libertaria e paritetica attraverso la pratica dell'autogestione.
Dalla musica, che era il sottofondo della condivisione e dello
scambio sociale e che andava gestita in proprio
nell'organizzazione dei concerti, nella produzione e
distribuzione discografica, nella creazione dell'arte, fino
all'abitare, al viaggiare, al crearsi una cultura che rifiutasse ogni
schema rimettendo in discussione tutti gli aspetti della vita.
Ma la scena punk non era certo un giardino di rose distaccato
dalla realtà, e gli anni ottanta, le lotte e le sconfitte avevano
eroso fino al profondo l'idealismo e l'energia. Gli anni novanta
erano trascorsi in un dividersi e frazionarsi del movimento. Chi
era tornato verso una visione strettamente legata all'estetica e
alla musica, con relativa caccia, più che al successo, ad una
mediocre sistemazione economica. Chi aveva sposato l'anima
autodistruttiva e nichilista, che pure era sempre stata una
componente, in chiave più o meno di provocazione. Altri si
erano chiusi in un sotto-mondo settario ed esclusivo in cui i
codici diventavano sempre più ermetici e la non perfetta
aderenza era considerata alla stregua di tradimento.
L'ossessiva osservanza dei codici restava l'aspetto fondante da
cui dipartivano visioni a volte assolutamente contrastanti con
concetti quali creatività, cittadinanza globale,
autodeterminazione. Prendevano la scena elementi come il
maschilismo, la discriminazione e a volte apertamente il
fascismo, che seppur latenti da sempre ai margini del
20
movimento erano stati fino ad allora tenuti fuori con forza.
Assistevamo alla polverizzazione della scena.
Paradossalmente, dal mio punto di vista erano proprio i gruppi
più diffusi e commerciali che, continuando a veicolare almeno
gli elementi più basilari del pensiero ribelle, mantenevano la
connessione con i ribelli sparpagliati nel resto del mondo.
Essere lì affianco ai miei nuovi amici brasiliani mi introduceva
ad una realtà inedita per i miei standard di occidentale.
Ritrovavo il senso di uno stare insieme attraverso il punk che
altro non era che il nostro naturale modo di esprimere la musica
e la cultura popolari.
L'ultimo concerto del tour lo facciamo a Guarujà, bellissima
spiaggia del litorale Paolista. Gli 88Nao mi invitano a suonare
un pezzo con loro sul palco. Il giorno dopo abbracci, saluti,
qualche lacrima e si torna in Italia.
Da quel viaggio portavo con me, oltre a molte altre cose, la
consapevolezza che il mio incontro con gli Argies
rappresentava l'inizio di una nuova fase della mia vita.
E infatti non passa troppo tempo prima di avere la possibilità di
incontrare ancora David e gli altri ragazzi. Nel mese di luglio,
dopo esserci accordati via email, ho l'opportunità di farli
suonare nel locale che ho preso in gestione a Bibione, sul
litorale veneto. Nel grande cortile centrale di un vecchio centro
commerciale in decadenza, con i miei soci abbiamo allestito un
bar completo di rampe per lo skateboard e di un palco dove
passeranno una cinquantina di band in poco più di due mesi.
Gli Argies sono tra i primi, poi suoneranno moltissimi artisti tra
cui Slackers, Asian Dub Foundation, Derozer, Kaos One, Tania
Stephens e tantissimi altri del rock, del reggae, del punk e dello
ska. Una sera anche gli argentini Attaque77. Anche loro sono
stati a suonare a Mauà e quando gli dico che ci sono stato con
gli Argies non riescono a crederci... “quindi tu hai visto che
cos'è!?” mi dicono.
21
L'estate passa veloce lasciandoci più squattrinati di prima ma
ricchi di nuove esperienze.
Alla fine della stagione faccio ancora in tempo a prendermi
qualche giorno e a raggiungere gli Argies per due o tre date tra
Germania e Repubblica Ceca.
Non smetteranno più, gli Argies, di fare un tour in Europa ogni
anno, preferibilmente iniziando in primavera e finendo in
autunno. Dei tour lunghissimi, con ottanta o novanta o anche
più di cento date schiacciate in tre mesi o poco più, e
sparpagliate per un percorso disordinato di oltre trentamila
chilometri. Sempre con David alla guida, sempre con pochissimi
giorni liberi.
Non avere giorni liberi significa anche ridurre al minimo le
spese. Quando suoni infatti un paio di pasti e il pernottamento
sono assicurati, di norma anche un rimborso spese ed un
compenso. Ma questo non è fondamentale. Seguendoli mi
accorgo infatti che non sono certo i miraggi del denaro e della
fama che li motivano. I motivi sono diversi, più profondi, più
appaganti. Le migliaia di chilometri non sono mai un problema,
anzi, c'è la volontà di raggiungere i luoghi più lontani, di
incontrare il maggior numero di persone, di conoscere ogni tipo
di cultura e di modo di vivere. Di attraversare la maggiore
quantità di frontiere possibili. E dove non ci portano i concerti ci
porta la voglia di conoscere. Spesso il tour prende delle
deviazioni impreviste solo per visitare luoghi fuori dal percorso
ma che tutti vogliono vedere. Un esempio su tutti, il campo di
concentramento di Auschwitz, in Polonia.
La nazione di gran lunga più ospitale per quanto riguarda il
numero di concerti e il trattamento della band è la Germania, a
cui vengono riservati sempre molti show. Ma altri paesi si fanno
largo nel cuore degli Argies per la loro ospitalità e il loro calore
e diventano anno dopo anno punti di riferimento dai quali
nascono relazioni durature per la band. Polonia, Repubblica
Ceca, Ungheria, Slovenia, Croazia, Serbia, Romania, tutti quei
22
paesi che fino al 1989 venivano definiti di “oltre cortina”, ovvero
gravitanti nell'orbita della Repubblica Sovietica di Russia,
oppure facenti parte del cosiddetto socialismo “non allineato”. In
questi paesi, nonostante il messaggio ribelle e anticonformista
del punk fosse censurato in quanto antisociale, da sempre c'è
stata una grande attenzione per la socialità popolare e per la
creatività individuale. Questo ha prodotto una grande passione
per il rock e per la musica dal vivo in generale e un'abbondanza
di spazi e di occasioni per suonare. Aggiungeteci che ci sono le
birre migliori d'Europa e che, come dice l'attuale bassista degli
Argies Ilan, “le donne che incontri per strada sono più belle di
quelle che vedi nelle pubblicità” ed è facile capire come mai i
tour degli Argies gli hanno sempre dedicato una buona
percentuale delle date disponibili.
E diventerà un'abitudine anche per me ogni estate cercare di
trovare qualche giorno libero per potermi unire alla famiglia e
viaggiare attraverso l'Europa, cercando di rendermi utile con il
banchetto dei dischi e delle magliette, scaricando il furgone o
semplicemente scattando foto.
Un'altra abitudine della band, che si ripete quasi ogni anno,
saranno i cambi di formazione. Non è facile ogni anno prendersi
tre o quattro mesi e partire per l'Europa. Quasi tutti rinunciano
al lavoro cercandone un altro al ritorno, ma in Argentina, un po'
come in tutto il resto del mondo, non è sempre facile trovare un
lavoro e a volte, trovato quello giusto, non ci si vuole rinunciare.
E poi ci sono le fidanzate, le mogli, i figli e tutto quello che nella
vita può succedere.
E infatti al terzo tour europeo arriva il terzo differente bassista, e
questa volta mi trovo davanti Josè, il bassista di 88Nao che ha
deciso di mollare il Brasile e tornare in Argentina. Anche se non
resterà a casa a lungo. Poco dopo il suo ritorno David gli
propone di rientrare negli Argies e partire per il tour. E' stata
una vera gioia riabbracciarlo in Italia dopo i giorni passati
23
insieme in Brasile e poter condividere un po' del viaggio
europeo di quell'anno.
Ci trovavamo bene io e Josè, e così come per me era stato
prezioso poter contare su di lui per capire il Brasile, così si
stava dimostrando importante per lui poter contare su di me per
capire l'Europa. Parlando venne fuori che quella versione del
pezzo della Banda Bassotti che mi aveva stupito tanto trovare
nel disco degli Argies era dovuta ad un viaggio che suo fratello
aveva fatto a Roma, portando quel disco che poi Josè aveva
fatto sentire a David.
Alla fine del tour io e Josè parliamo un po', in Argentina non ha
un lavoro che lo aspetta e quello che è riuscito a mettere
insieme il tour basta appena per comperare il biglietto di ritorno
che non ha potuto comperare insieme all'andata come gli altri.
La decisione è presto presa, Josè si ferma a Treviso stando un
po' da me per cercare casa e lavoro fino al prossimo tour degli
Argies.
24
4
Josè, a differenza di Mariano, ha un passaporto europeo così
come molti altri argentini e come molti dei componenti che si
sono succeduti negli Argies. Il suo è spagnolo, grazie alle
origini del padre. Infatti negli ultimi anni è stato concesso a tutti
gli argentini che possano dimostrare un parente diretto
europeo, di richiedere il passaporto al paese di appartenenza.
Un passaporto italiano, spagnolo, tedesco, svizzero significa
poter circolare liberamente in Europa per viaggio o per lavoro, e
praticamente tutti gli argentini (tranne il povero Mariano)
riescono a ricostruire la loro discendenza europea, che nella
maggior parte dei casi risale al massimo a tre o quattro
generazioni precedenti.
Con Josè si ferma a casa mia anche Carlita, il primo furgone
europeo di proprietà degli Argies, dalla personalità
spiccatamente femminile. Un vecchio Ford Transit a cui
togliamo i sedili e che diventa ottimo compagno di scorribande
per il montaggio di skateparks e rampe che in quei mesi
portiamo un po' in tutta Italia. Josè si rende utile anche per
questo lavoro grazie alla sua manualità ed esperienza. È un
ottimo metalmeccanico e nel giro di qualche settimana riesce a
trovare un lavoro stabile in una carrozzeria affianco a casa mia,
e con il nuovo stipendio affitta una camera in un appartamento
di amici.
In questi mesi Josè impara l'italiano e fa nuove conoscenze, si
integra a perfezione nella mia comunità e vive l'esperienza di
una nuova esistenza, dopo Rosario, la sua città natale
argentina, e dopo Mauà, ai confini dell'area di San Paolo in
Brasile, a Treviso, nel veneto italiano.
Con l'arrivo della primavera riparte il nuovo tour degli Argies e
per Josè, rispolverato il basso, questa esperienza finisce. Un
primo concerto a Treviso in un piccolo bar e ancora una volta i
miei amici partono per una lunghissima serie di concerti in tutta
Europa, forti di un nuovo disco che è stato registrato nel
25
frattempo in Argentina. Li rivedrò un mese dopo in Romania a
Timisoara grazie ad un volo discount da venticinque euro
andata e ritorno. Un'altra occasione regalatami dalla band per
conoscere un paese dove non sono mai stato, di incontrare
vecchi e nuovi amici e di vivere il punk rock in un contesto
nuovamente inedito.
Dopo il tour Josè torna in Argentina chiudendo la sua parentesi
italiana e lasciandomi il ricordo e la consapevolezza, di aver
diviso del tempo con un vero amico e una persona di grande
valore.
Il 2006 è per me un anno particolare. Alla fine di maggio, nel
giorno del mio compleanno, sono a casa, fuori è parcheggiato
un furgone pieno zeppo di legna, sto per partire per Barcellona
dove costruiremo il nostro primo skatepark spagnolo. Abbiamo
deciso di viaggiare di notte e sto aspettando la sera per
passare a prendere il mio socio. All'improvviso ricevo una
telefonata dal mio amico Christian, è molto concitato e mi dice
che Stefano sta male, ha perso conoscenza e lo stanno
portando via in ambulanza. Stefano è un amico fraterno,
compagno di mille battaglie, vecchio rude boy con un paio
d'anni più di me, amante del reggae, del punk, dello ska e della
musica in generale. Per noi è un eroe, un maestro e un fratello
maggiore. È anche un grafico eccezionale e ha fondato Broke,
uno dei primi marchi di abbigliamento street d'Italia, nei primi
anni novanta. Ha avuto un ictus. Quella sera parto per
Barcellona dall'ospedale di Treviso dove abbiamo sperato tutti
insieme che riprendesse conoscenza. Morirà dopo il mio ritorno,
dieci giorni più tardi, senza avere mai ripreso coscienza.
Quel giorno siamo tutti all'ospedale, così come nei giorni
precedenti, in attesa di novità. Quando si sparge la notizia
incominciano ad arrivare amici da tutta la città. Tra abbracci e
lacrime quel pomeriggio il vecchio bar di fronte all'ospedale
chiude senza che sia rimasto niente da bere sugli scaffali.
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Nei giorni successivi, ancora storditi da quello che ci è
successo, ci ritroviamo tutte le sere a casa di qualche amico. La
maggior parte di noi vive, io compreso, così come Stefano, nel
quartiere di Fiera. Un quartiere operaio, noto per il suo spirito
popolare e ancora orgoglioso dell'essere stato un'anomalia
antifascista all'interno della città che invece tra gli anni venti e
gli anni quaranta del novecento aveva convintamente sostenuto
il regime di Mussolini. Inoltre era per tradizione il quartiere dei
rocker. Passiamo le serate ascoltando musica, bevendo birra e
cucinando carne alla brace. E guardando le partite del mondiale
di calcio che è iniziato nel frattempo. In un crescendo di
successi, assistiamo increduli alla vittoria dell'Italia, campione
del mondo del 2006. Sarà la mia ultima estate nel quartiere di
Fiera. A ottobre infatti mi trasferisco a vivere in campagna
lasciando la città e la casa che ha ospitato tanti amici e che da
qualche anno è diventata il punto di raccolta per la partenza dei
tour degli Argies.
Il tour quell'anno inizia più tardi, in pieno inverno. I ragazzi si
raggruppano ancora a casa mia, ma è tutto più scomodo. La
stazione dei treni più vicina dista venti chilometri e non ci sono
autobus. Io poi mi sono appena insediato nella casa nuova e
sono poco organizzato. Il furgone è cambiato e la formazione
anche è tutta nuova, nessun componente da Buenos Aires
forse per la prima volta. Ci sono Christian alla batteria e
Herman al basso, dalla città di Rosario di cui è originario anche
David, e Julian alla chitarra che viene dalla provincia di
Missiones, all'estremo nord del paese, al confine con il Brasile.
Io non riesco a muovermi e raggiungere i ragazzi durante la
prima parte del tour, ma dopo un paio di settimane ricevo una
telefonata. Mi chiama Mariano, che dopo aver cambiato
qualche lavoro nel settore turistico ed essersi stabilito in una
località di montagna in provincia di Belluno al seguito della sua
ragazza, è riuscito ad ottenere il permesso di soggiorno
temporaneo. La sua ragazza nel frattempo, ironia della sorte, si
è trasferita lì dove la sua avventura era iniziata: a Barcellona. Al
27
telefono Mariano mi spiega che il tour si sta allungando grazie
ad alcune richieste di concerti che si sono aggiunte all'ultimo
momento e la durata richiesta sfora di dieci giorni quella
prevista, portando la coda del tour in Italia, Francia e Spagna. Il
problema è che il chitarrista Julian ha il biglietto per il ritorno già
fissato e spostarlo costerebbe molto. La proposta è quindi che
io mi prepari una quindicina di canzoni nelle due settimane che
mancano al loro passaggio per Treviso e poi prenda il posto di
Julian per le ultime date del tour.
Avevo da poco ripreso a suonare dopo una pausa piuttosto
lunga. L'avventura con la mia banda Miriamplace, un combo
punk rock dal sound micidiale, si era conclusa nel 1999. Ancora
prima avevo suonato per diversi anni con i Creepshow, legati
ad un suono a metà tra l'hardcore di matrice americana e quello
che aveva distinto i gruppi italiani dai gruppi del resto del
mondo durante gli anni ottanta. La mia nuova band si chiamava
in quel momento Rusty Cage e con la particolarità di un
contrabbasso magistralmente slappato dall'amico Max,
proponeva un suono tipicamente psychobilly sull'esempio delle
band della vecchia scuola del genere, quasi tutte inglesi, come
Meteors, Guanabatz, Frenzy, King Kurt. Io ovviamente portavo
un suono sporco e distorto che bilanciava gli elementi più
tipicamente rockandroll del contrabasso e della voce.
La proposta di partire per un mini tour di dieci date nell'Europa
occidentale in quel rigido inverno in cui mi ero appena trasferito
in campagna, senza troppo preavviso né prevedibilità e in
compagnia degli Argies, finalmente sul palco con loro, mi diede
una forte emozione, un brivido caldo, come qualcosa di
inaspettato ma che sentivo già scritto. Non mi ci vuole molto per
accettare e ridendo stringo il patto con Mariano.
Preparare i pezzi non mi costa molto, David mi manda gli
accordi e le canzoni le conosco già a memoria, ma comunque
sento forte la responsabilità di stare sul palco con la band e per
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sicurezza preparo dei fogli con le sequenze di accordi da tenere
sempre vicino all'amplificatore.
Un paio di settimane dopo gli Argies arrivano, e la prima sera
organizzo un concerto nel centro sociale autogestito che è
finalmente sorto in città, apriamo noi Rusty Cage e chiudono le
danze gli Argies. Il giorno dopo siamo già in furgone, diretti a
Torino come quella prima volta ormai lontana, per l'ultimo
concerto di Julian prima di tornare in Argentina. Poi prendo il
suo posto per i successivi concerti. Firenze, Livorno, Vicenza,
Lugano, Touluse, Santander e infine di nuovo un concerto a
Barcellona che viene disdetto all'ultimo momento quando siamo
già in città.
I concerti scorrono in fretta così come i trasferimenti ma questa
volta il mio ruolo nel tour mi dà una soddisfazione e
un'emozione completamente nuova, rafforzando, se ancora
possibile, il mio legame con la band. Al termine del tour
salutiamo Herman e Christian che ripartono per Rosario e
torniamo a Treviso con un viaggio in furgone lungo la costa
spagnola, francese e italiana, fino ad arrivare alla mia nuova
casa in mezzo alla campagna. David nel frattempo si è
trasferito in Europa dove passa la maggior parte dell'anno.
Durante il viaggio, di sera tardi, quando siamo da poco in Italia,
lungo la costa ligure, la radio ci informa che è morto Augusto
Pinochet, il dittatore cileno, massacratore del suo popolo in
appoggio alle politiche industriali degli Stati Uniti. Celebriamo
l'avvenimento con un brindisi all'autogrill.
Nel 2007 arriva per gli Argies un'opportunità importante e
lungamente attesa. David riesce ad inserire nella
programmazione del tour le prime cinque date inglesi per la
band.
Il rapporto tra gli argentini e gli inglesi è da molti anni teso e non
fraterno. Lo stesso nome della band, Argies, viene da
un'espressione inglese che ha un carattere leggermente
dispregiativo. Era infatti il termine con cui la stampa inglese si
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riferiva agli argentini, abbreviando, con un tono più di
superiorità che di familiarità, il termine corretto che è
Argentines, nel corso della guerra per le isole Falkland, la
tragedia che ha legato il destino dei due paesi.
Nel 1982 l'Argentina attraversava gli anni finali della dittatura
militare che ha lungamente insanguinato il paese, sottoponendo
il popolo ad un periodo di privazione dei più basilari diritti civili
ed esponendo i civili a tutte le violenze e intimidazioni che un
governo criminale sostenuto da interessi stranieri ha voluto
infliggergli durante sette lunghissimi anni.
Sulle sponde opposte dell'oceano atlantico e nell'emisfero nord,
l'Inghilterra stava vivendo i primi anni del governo guidato dalla
primo ministro Margaret Tacher. Un governo che diventerà
celebre per aver trovato un punto di incontro tra pensiero
conservatore ed economia liberale. Un connubio che passerà
sopra la classe operaia inglese come un rullo compressore
regalando alla nazione un nuovo record di disoccupazione.
Molte le sue dichiarazioni ed azioni liberticide come quando nel
1980 cercò di proibire per legge l'uso della parola Sandinista,
l'aggettivo con cui si qualificavano i guerriglieri del Nicaragua in
onore del patriota e rivoluzionario Sandino. Questo ridicolo
tentativo di censura diede ai Clash l'idea per il titolo per il loro
triplo album di quell'anno: Sandinista!
Nel 1982 i due paesi si confrontarono con un comportamento
più adatto a due bulletti ubriachi che a due moderne
democrazie per il possesso delle isole Falkland (las islas
Malvinas per gli argentini.) Un piccolo arcipelago nel mezzo
dell'oceano difronte alla Patagonia, l'enorme regione a sud del
paese. Nelle due isole c'erano un paio di villaggi di pastori e
pescatori, una base militare inglese ed un centro scientifico di
studio del mare antartico.
Il governo militare argentino, a caccia di consenso
nazionalistico, decise di appropriarsi delle isole che erano da
sempre controllate dall'Inghilterra. Il governo inglese da parte
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sua decise immediatamente di intervenire con le forze militari.
Ne nacque quella che fu probabilmente la prima guerra a
coinvolgere direttamente un paese europeo dopo la seconda
guerra mondiale. “Let's start a war (said Maggie one day)” degli
Exploited fu la prima hit punk dedicata all'avvenimento e
cantata dai giovani punk inglesi, sorpresi ed offesi dall'idea
stessa di fare una guerra per un motivo così futile. I punk
argentini non ebbero neanche questa opportunità dato che la
dittatura impediva ogni libera espressione.
La farsa si trasformò presto in tragedia lasciando sul campo
quasi mille giovani vittime tra i due eserciti.
Da allora non corre buon sangue tra i due paesi e per un
inglese dimostrare simpatia per l'Argentina può essere valutato
addirittura come anti-patriottico. Probabilmente anche per
questo nel corso dei loro tour europei diversi gruppi punk inglesi
hanno manifestato amicizia e simpatia per gli Argies. I G.B.H.,
storica band del punk inglese, ad esempio, li ha eletti ad amici
del cuore e tutte le volte che hanno suonato insieme ne è nata
una grande festa.
Un altro episodio che ha rinverdito la rivalità tra le due nazioni è
accaduto durante i mondiali di calcio di Città del Messico del
1986. Quell'anno, durante la partita Argentina contro Inghilterra,
ai quarti di finale, il grande campione Diego Armando Maradona
segna il goal della vittoria con un colpo di testa alquanto
sospetto che alla moviola assomiglia molto di più ad un tocco di
mano. E infatti il campione commenterà ironico che la vittoria è
dovuta all'intervento della mano di Dio. “The Hand of God” si
intitolerà il disco che la band scozzese the Anphetameanies
vorrà condividere con gli Argies.
Con queste premesse gli Argies si presentano all'area doganale
inglese del porto francese di Cales, per imbarcarsi nel traghetto
che li deve portare nel Regno Unito. Al controllo passaporti però
le cose si mettono subito male. Due di loro hanno solo
passaporti argentini e vengono subito separati dagli altri per
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essere perquisiti e interrogati sulle motivazioni per cui vogliono
entrare nel paese. Anche gli altri Argies vengono divisi e a loro
volta interrogati individualmente sui motivi del loro viaggio, una
volta identificati come argentini nonostante i loro passaporti
europei. “Sai cosa significa Argies?” è la domanda che tutti loro
si sentono porre dalla polizia di frontiera. David risponde pronto
in inglese “certo, lo so!” “no, ancora non lo sai” gli risponde la
funzionaria che lo sta interrogando: “Argies significa che non è
prevista nessuna Inghilterra per te”. Le successive sette ore
passano tra perquisizioni e attese in cella, fino a che vengono
rilasciati con un rifiuto formale di ingresso nel Regno Unito.
In realtà gli Argies suoneranno in Gran Bretagna, e lo faranno
nel più grande festival punk d'Europa, il Rebellion Festival di
Blackpool così come nei pub di Londra o della Scozia, solo
dovranno aspettare ancora qualche anno.
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5
Il 24 marzo del 2008 sono a Buenos Aires. Proprio davanti alla
porta della pensione che ho scelto per la mia ultima notte prima
di tornare in Italia, dopo un viaggio di tre settimane attraverso
l'Argentina. Si sta ammassando un grande corteo. Sono con
Nicola, uno dei miei più vecchi e cari amici. È di qualche anno
più giovane di me e ci conosciamo dai tempi in cui si andava in
skate tutti i giorni. Vive come me vicino a Treviso ma è nato a
Cordoba. La sua famiglia si è trasferita in Italia da quando nel
1976 dei militari si presentarono alla porta cercando suo padre.
Non lo trovarono perché era già fuggito in Italia. Sua madre
abbracciati i suoi due bambini lo raggiungerà con il primo aereo
disponibile, in un clima di paura e disperazione con il generoso
aiuto di alcuni amici.
e lui decise di prendere la sera stessa la prima nave per
l'Europa che partiva dal porto di Buenos Aires, e così salvò se
stesso e la sua famiglia.
Il 24 marzo del 1976 anche in Argentina come già in altri paesi
dell'America Latina scattò il Plan Condor, un piano politico e
militare concordato dalle forze armate e dagli industriali sud-
americani con gli apparati militari statunitensi. Il piano
prevedeva la presa del potere da parte dell'esercito in tutti i
principali paesi del continente. L'obbiettivo era di bloccare sul
nascere la diffusione dei diritti dei lavoratori e soffocare nel
sangue e nel terrore qualunque rivendicazione progressista.
Cile, Bolivia, Brasile e Argentina conobbero una repressione
sanguinaria, vigliacca e crudele che accanendosi in particolare
sui giovani del paese distrusse un'intera generazione della
società civile, garantendo per contro un profitto economico
elevato e duraturo alla classe industriale, ai proprietari terrieri e
ai collaboratori della dittatura.
In Argentina si instaurò una dittatura militare diretta dai massimi
esponenti di Esercito, Marina ed Aviazione: Jorge Videla,
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Eduardo Massera e Orlando Agosti. Nei sette anni che
seguirono si registrarono trentamila sparizioni di civili, uomini e
donne, studenti, lavoratori, artisti, intellettuali, religiosi, chiunque
rientrasse nelle liste degli “indesiderati” per essersi opposto al
regime o semplicemente per essere sospettato di essere di
sinistra. La maggior parte furono assassinati e i loro corpi
sepolti in fosse comuni o dispersi nell'oceano. Si seppe molti
anni dopo che l'esercito organizzava regolari e frequenti voli per
liberarsi dei corpi dei prigionieri lanciandoli in mare dagli aerei,
in moltissimi casi ancora vivi.
La giunta militare poté godere, per tutti gli anni della sua
permanenza, di appoggi internazionali sia negli Stati Uniti che
in Europa. Ricevettero anche l'aiuto diretto di neofascisti italiani
come Stefano Delle Chiaie o di criminali di guerra nazisti come
Klaus Barbie che ebbero il compito di istruire le forze armate
sulle tecniche necessarie per torturare, stuprare ed uccidere
ragazzi e ragazze. Un tocco in più sul curriculum di chi si
definiva difensore di dio, della patria e della famiglia.
Dopo la disfatta dell'esercito argentino nella guerra delle
Falkland contro l'Inghilterra, il regime lasciò il posto ad un
graduale ritorno alla democrazia. Per lungo tempo i crimini
rimasero impuniti e l'esercito continuò a condizionare i governi
successivi finché si arrivò a fare luce su ciò che era realmente
successo e incriminare alcuni dei responsabili. Dopo trent'anni
dall'inizio della dittatura, il 24 marzo divenne la Giornata
Nazionale della Memoria per la Verità e la Giustizia: una
festività nazionale in cui tutti i lavoratori si fermano in modo che
nessuno possa far finta di non ricordare cosa è successo in
quel giorno.
Il corteo si affolla gradualmente fino a riempire tutta la prima
parte dell'Avenida de Majo e la piazza vicina. Piano piano si
aprono i colossali striscioni, arrivano famiglie, gruppi organizzati
e drappelli di gente comune, la gente si incontra, si saluta, si
prepara a sfilare. Quando partiamo siamo pressati gli uni agli
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altri e ci vuole un tempo lunghissimo perché il corteo prenda
forma occupando centinaia di metri dell'enorme viale. Siamo
preceduti dalle Madri della Plaza de Majo, poi vengono militanti
di moltissime associazioni di Buenos Aires e del resto del
paese, poi ancora decine e decine di ragazze vestite
completamente in rosso che danzeranno per tutto il giorno,
mentre sfiliamo, al suono di decine e decine di tamburi, suonati
nello spezzone che segue da ragazzi e ragazze. E poi la gente
comune, non organizzata, che sfila godendo la potenza che
questa presenza collettiva e di massa ci regala, rivendicando
con rabbia ma anche con orgoglio di amare la vita con
ostinazione, contro la morte. Avanziamo seguendo il ritmo dei
tamburi, delle danzatrici e degli slogan. Siamo una marea che
occupa tutto il viale in larghezza e che impiega ore ad
attraversare la dozzina di corsie dell'imponente Avenida 9 de
Julio che incrociamo nel cammino verso Plaza de Majo e il
palazzo del Governo. Due fiumi che si incontrano, come il Rio
Parànà che si getta nello sconfinato Rio della Plata, a pochi
chilometri da noi.
È davvero il modo migliore di salutare il paese, dopo averlo
conosciuto in maniera veloce ma piena di emozioni. La mia
seconda volta in America Latina.
L'Argentina mi aveva accolto in maniera diversa dal Brasile, con
il suo fascino europeo e raffinato.
Due giorni dopo essere arrivato a Buenos Aires sono partito per
Rosario dove suonavano gli Argies. Dopo quattro ore di
corriera, alla stazione prendo un taxi e mi faccio sbarcare
davanti al Sotano, il locale del concerto, mancano due ore
all'inizio. Mi imbatto immediatamente in Tito, il roadie dell'ultimo
tour europeo e poi riabbraccio uno dietro l'altro tutta la band. Al
basso c'è Jose che reincontro con la sua moglie Natalia, incinta
del piccolo Dante. E poi David. Siamo insieme per la prima
volta a casa sua, nella sua città. Assisto all'intervista di una TV
locale e poi al concerto. Il concerto degli Argies nella loro città,
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Rosario. Siamo in pieno centro, a pochi passi dalla casa natale
del Che Guevara.
Il giorno dopo percorriamo la strada per Buenos Aires in
macchina. Mi informo sullo sciopero dei camionisti che sta
creando qualche problema con i blocchi sulle strade e mi faccio
raccontare di tutto quello che vediamo.
Attraversiamo le campagne, sconfinate, distese di mais, di soia,
pascoli immensi ogni tanto attraversati da qualche gaucho a
cavallo. Ai lati delle strade le bandiere rosse e le bottiglie
d'acqua offerte ai santi popolari come il Gauchito Gil e la
Defunta Correa. Per un lungo tratto attraversiamo la periferia e
arriviamo in centro, al locale del concerto. Allo “Speed King” gli
Argies suonano con una storica punk band di amici, i Muerte
Lenta. Il giorno dopo mi dirigo verso Quequen, sulla costa, dove
raggiungo Nicola ed Enrico e passiamo una settimana tra onde,
leoni marini e cavalli, al principio della Patagonia.
Poi ancora Buenos Aires, Rosario, Cordoba, per conoscere le
città, le famiglie e le case degli amici. A Buenos Aires incontro il
padre di Mariano, lo rassicuro sul figlio. Lui è un uomo forte che
ha attraversato molte esperienze ed è solo felice che il suo
ragazzo stia trovando la sua strada in Europa. Mi porta a
visitare la cattedrale di Buenos Aires dove ci sono due grandi
statue della Madonna, una è la riproduzione della Vergine di
Guadalupe del Messico, protettrice dell'America Latina, e l'altra
della Madonna di Bonaria, che dà il nome della città e ne è
protettrice, e il cui originale si trova nell'abbazia di Cagliari, in
Italia. Proprio a Cagliari Davide, un amico sardo, mi aveva
tatuato una vergine di Guadalupe durante un soggiorno per
costruire una rampa. Volevo un'immagine rassicurante, come le
madonnine dipinte dai pescatori nei porti e non pensavo che
anche questo episodio avrebbe avuto un collegamento,
involontario o forse istintivo, con questa storia.
Al ritorno mi rimetto a suonare con i Rusty Cage con
entusiasmo, facciamo diversi concerti, in Italia e qualche volta
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all'estero, componiamo canzoni e dividiamo il palco con delle
ottime band. Produciamo anche un disco con un'etichetta
tedesca.
Intanto ho aperto un negozio che vende abbigliamento e
skateboards, in una cittadina a trenta chilometri da Treviso,
dato che il mercato delle rampe rallenta sempre di più e devo
cercarmi qualcosa di diverso da fare. I Comuni, a cui vendiamo
di solito le nostre rampe per impianti pubblici, sono intrappolati
da bilanci sempre più striminziti per quello che riguarda il
sociale e ci vengono a mancare i nostri principali clienti. Tutti in
giro parlano di crisi, crisi economica, con insistenza. Dopo il
crollo del mercato americano, nel 2008 tutta l'Europa viene
investita da una crisi che continua fino ad oggi. Si contraggono i
consumi, gli stipendi, le pensioni. In realtà il mondo conosce un
periodo senza precedenti di appropriazione delle risorse da
parte del potere finanziario che causa un innalzamento verticale
delle differenze sociali tra la classe lavoratrice e la classe
dirigente.
L'estate successiva non riesco a ritagliarmi del tempo per il tour
e mi devo accontentare di raggiungere gli Argies per una sola
data, grazie al solito provvidenziale volo low cost, a Praga, in un
centro sociale anarchico all'interno di una palazzina in stile
gotico che resisteva, sventolando bandiera nera, circondata da
enormi palazzi residenziali.
Nell'estate del 2010 riesco a stare un po' con la band. La
morosa mi ha lasciato e quindi ho del tempo da perdere...
Li seguo in tre momenti diversi. La prima volta ci incontriamo a
Vienna. Li raggiungo in treno per poi proseguire verso la Serbia
e la Croazia, dove suonano in un festival punk che si tiene in un
campeggio abbandonato sulla costa. Tra i pini marittimi, di
fronte al mare centinaia di ragazzi e ragazze accampati alla
meno peggio, un palco e decine di gruppi che si danno il
cambio per due giorni di fila. Poi ancora un concerto in un bar, il
giorno dopo in un centro sociale, e poi centinaia di chilometri
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per raggiungere Dresda, in Germania, dove gli Argies sono
invitati come ospiti al concerto dei tedeschi Toten Hosen.
David li ha conosciuti mentre erano in tour in Argentina e ne è
nata una bella amicizia. Loro sono famosissimi in Germania e
anche in America Latina, continente dove hanno sempre
suonato dal vivo proprio per il loro amore per il mondo latino. Il
concerto dei Toten Hosen si svolge in una grande sala concerti
in periferia. Lo show è organizzato dal loro fan club e i biglietti
sono esauriti da tempo. Circa seimila persone riempiono la sala
in attesa dei loro idoli. La differenza rispetto ai concerti
autogestiti da cui veniamo è forte, ma lo spirito della band
tedesca si rivela quello punk e popolare che ci ha
accompagnato fino a qui. Dopo il concerto gli Argies li
raggiungono nei camerini per un saluto e qualche foto ricordo.
Il giorno dopo siamo ad un altro festival, il Pod Paru, in un
paesino della Repubblica Ceca. Anche qui, come ci era
successo altre volte, quando pensiamo di esserci persi in
mezzo alle campagne sono i personaggi bizzarri che vediamo
circolare ai lati della strada a indicarci che la nostra
destinazione è raggiunta. Decine di giovani punks a piedi,
automobili e furgoni con adesivi e scritte inequivocabili
convergono verso un grande prato, preceduto da una distesa di
tende da campeggio. Questo festival dura tre giorni e i gruppi si
danno il cambio senza interruzioni per tutte le settantadue ore
di durata. Gli Argies suonano la prima sera, prima dei veterani
inglesi Addicts, difronte a un pubblico entusiasta che balla e si
scontra nella pozza di fango sotto al palco, esprimendo un
senso di liberazione che sembra tanto genuino quanto quello
che possiamo immaginare vedendo i filmati del festival di
Woodstock nell'America degli anni sessanta.
Dopo qualche settimana sono ancora con loro in Austria e
Croazia. Raggiungiamo il centro sociale Monteparadiso, nato
dall'occupazione di una porzione di un'enorme caserma a Pola,
sulla punta estrema della penisola istriana. Da quella prima
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occupazione è nato poi un accordo che ha concesso il resto
della caserma alle associazioni culturali della città Croata,
riempiendo quel gigantesco spazio vuoto di contenuti nuovi.
I ragazzi del Monteparadiso organizzano ogni anno un festival
punk tra i più frequentati tra Croazia, Slovenia e Italia, dove gli
Argies sono ospiti fissi e dove sono già stato anche io negli anni
passati. Ho anche suonato con la mia band Miriamplace alla
prima edizione del festival diversi anni prima, quando si teneva
ancora in un fortino abbandonato, dalla pianta circolare e dalle
mura spesse, ma senza soffitto, collocato su un promontorio
sopra la città. Qualcuno dei più vecchi tra gli organizzatori si
ricorda ancora di noi, sopratutto per il fatto che il cantante e
bassista Max aveva suonato con addosso solo un kimono
rosso.
A settembre raggiungo in treno gli Argies a Langhental, nella
Svizzera tedesca, per godermi le ultime tre date del tour.
Appena arrivato nell'incredibile centro sociale occupato
all'interno di una antica segheria del seicento, al centro della
cittadina di montagna, David mi avvisa che ci sono novità.
Il primo tour asiatico degli Argies è fissato per aprile dell'anno
successivo. Sono previste date in Malesia, Indonesia e
Filippine. Con il suo consueto entusiasmo David mi invita ad
andare con loro. Sarebbe un'occasione irripetibile. Pochissime
band punk hanno suonato da quelle parti, tanto meno con tour
autogestiti.
Decido che devo esserci a qualunque costo e appena posso
compero il biglietto per la tratta principale di andata e ritorno,
con qualche mese d'anticipo. È la prima volta nella mia vita che
pianifico un viaggio tanto prima della partenza. E infatti le cose
prendono una piega imprevista. Proprio in quei mesi decido di
aprire una seconda filiale del mio negozio a Treviso e mi ritrovo
ad affrontare problemi di ogni sorta, non ultimi quelli economici.
Sto cercando di mettere tutte le mie energie nel lavoro e di
mettere a frutto i miei sforzi e decido, con la stessa impulsività
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con cui avevo deciso di partire, di annullare il biglietto aereo e il
viaggio. È triste ma lo vedo come un sacrificio necessario.
Avviso i ragazzi e gli faccio i miei auguri più sentiti per questa
nuova avventura che non posso condividere. Ci si rivedrà subito
dopo, durante il successivo tour europeo, ci diciamo.
Invece passeranno due anni prima che possa incontrare la
band nuovamente. Ci rivediamo nell'estate del 2013, a Motta di
Livenza, nel piccolissimo skatepark vicino al mio unico negozio,
dato che nel frattempo ho chiuso la sede di Treviso. Nel
frattempo ci sono stati due tour europei e due tour asiatici: il
secondo, quell'anno, ha incluso anche la Repubblica Popolare
Cinese. Dopo il concerto nel prato affianco alle rampe, si
fermano un paio di giorni da me, trascorrendo qualche giornata
libera per riposare, rifocillarsi e fare quattro chiacchiere.
Troppe le cose da raccontare, e troppe quelle a cui non ho
potuto assistere in prima persona. La prima volta in un paese
islamico, l'Indonesia, così lontano per abitudini e così
incomprensibile e noioso con i suoi divieti estesi a tutta la
popolazione. La Cina, immensa e immersa in una fase di
cambiamento culturale dalla velocità impetuosa e affascinante. I
mille amici reincontrati e quelli nuovi. E poi le cose personali, le
case, i lavori, gli amori. Passano subito i giorni, in giardino con
la brace accesa e qualche bottiglia di vino, con l'immancabile
gita a Venezia per chi ancora dei ragazzi non l'ha vista e per chi
vuole rivederla.
Non riesco a sapere molto dagli Argies, frastornati dall'infinità di
concerti, ma per fortuna mi tiene aggiornato Mariano che invece
è riuscito a stargli vicino molto spesso. Lui lavora ormai da
tempo a Cortina d'Ampezzo, località celeberrima del turismo
alpino di lusso in Italia, al punto da essere rappresentata ormai
da cinquantanni nella cinematografia internazionale e nazionale
come scenario logico per avventure di alto bordo sulla neve, da
James Bond, l'agente segretto 007, fino alle classiche
commedie italiane con Boldi e De Sica. Proprio in una di queste
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Mariano fa capolino come comparsa nei panni di un
credibilissimo pellerossa americano, durante la sua prima
stagione come lavoratore turistico. La routine delle stagioni
invernali e estive gli lascia scoperto abbastanza tempo in
primavera e in autunno per poter viaggiare, con e senza gli
Argies.
David come sempre è più interessato a domandare che a
raccontare di sé. La sua curiosità è febbrile. Vuole conoscere
tutto quello che può dei posti che vede e delle persone che
incontra. Il suo è un interesse reale, una sete di conoscenza
che riflette il suo amore per la vita e per l'umanità.
Il mio difficile compito è sempre quello di ragguagliarlo ed
aggiornarlo sulla situazione politica in Italia. E diventa ogni
anno più complicato. David mi colpisce sempre per la sua
capacità di ricordare fatti e persone del mio paese, che è anche
quello della famiglia di suo padre. Ma spesso la situazione è
così complicata da farmi rimpiangere i primi anni in cui questa
conversazione è iniziata e in cui ancora riuscivamo a imbrigliare
concetti e strategie in principi di massima come destra e
sinistra. Nel frattempo la rappresentanza politica ha subito varie
metamorfosi introducendo nuove sigle, personaggi e concetti.
Mi ritrovo annaspando a spiegargli che un nuovo governo, nato
da elezioni vinte dalla sinistra istituzionale con quella radicale,
passato attraverso la sfiducia di un nuovo soggetto politico
antagonista di largo successo elettorale, è composto dal
rappresentante della sinistra più moderata in alleanza con la
destra. Tutto questo glielo dico mentre viaggiamo alla volta di
Innsbruck dopo essere stato raccolto fuori dal casello
dell'autostrada di Desenzano, sulla rotta tra Torino e l'Austria,
durante lo spostamento per raggiungere l'ultima data, la
centesima, del tour.
In particolare David, non capisce perché il rappresentante della
sinistra abbia lo stesso cognome di un famoso esponente della
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destra. Devo con tristezza spiegargli che uno è il nipote
dell'altro.
Ancora più ingrato sarà il compito di spiegargli, come dovrò fare
qualche mese dopo, che il governo è ancora cambiato e che gli
equilibri si sono riassestati eliminando vecchie figure e
imponendone di nuove.
Il motivo di incontrarci questa volta è per condividere un
momento di festa e di familiarità, senza concerti di mezzo. Ci
incontriamo a marzo 2014 nel nord della Germania, a ridosso
del confine Olandese. Discutiamo di questo e di altri fatti di
cronaca e politica internazionale. Ma anche del nuovo tour che
è già alle porte e prevede questa volta un intero mese in
Messico, il grande paese latino che gli Argies non hanno
ancora visitato. E poi ci sarà il consueto tour europeo con il suo
susseguirsi di concerti che formano una catena sempre più
lunga, da organizzare e incastrare. E un nuovo disco da
terminare e produrre. E mille incontri, spostamenti e giornate
che restano da scrivere e delle quali so di volere essere una
parte.
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ringraziamenti
Voglio ringraziare di cuore Roberto Cesaro e Emanuele Binelli per il
supporto e l’aiuto nella stesura del racconto, Elisa Serafin per la
traduzione in lingua inglese e spagnola, Maria Esther Vera e Itala
Bertin per la traduzione in lingua spagnola, Chiara Da Riva per la
traduzione in lingua tedesca.
Un ringraziamento speciale a Marianna Pescosta per l’illustrazione di
copertina.
Un sincero ringraziamento va anche a tutti gli amici che mi hanno
ispirato e sostenuto in questi indimenticabili anni.
CONTAtti
Potete raggiungermi a questi indirizzi:
https://www.facebook.com/la.Frontera.my.life.with.the.Argies
ogni contatto è gradito.
Potete trovare maggiori informazioni sugli Argies e sulle loro tourneè,
o comperare i loro dischi, attraverso questi siti internet:
http://www.argies.net
https://www.facebook.com/shows.argies
http://argies.bandcamp.com/
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FOTOS
In cerca di La Valette, Francia 2001
gli Argies sul palco del San Paolo Punk Festival, Brasile 2001
44
Argies Vs. 88Não football match, Brasil 2001
Suono con gli Argies!, Svizzera 2006
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Pod Parou Festival, Repubblica Ceca 2010
Io e qualche Argies a Venezia, Italia 2010
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David incontra gli young punks a Bandung, Indonesia 2012
Gli Argies e Mariano con i kids, Filippine 2012
47
David con una giovane guardia sulla Muraglia Cinese, Cina 2013
Suonando davanti ad un grande pubblico a Gorlice, Polonia 2013
48
Io, gli Argies e alcuni amici dopo il concerto allo skatepark di Motta di Livenza, Italia 2013
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