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La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Studente/essa
Natasha Haddad
Corso di laurea
Economia aziendale
Tipo di documento
Tesi di Bachelor
Luogo e data di consegna
Manno, 7 ottobre 2019
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Titolo: La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il
ruolo dei consulenti nel processo di investimento Autore: Natasha Haddad Relatore: Prof.ssa. Helen Moggi Tesi di Bachelor in Economia aziendale Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Manno, 7 ottobre 2019 “L’autore è l’unico responsabile di quanto contenuto nel lavoro”
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Ringraziamenti
Ringrazio la Professoressa Helen Moggi, relatrice di questa tesi per avermi fatto prendere conoscenza del tema della finanza comportamentale e per avermi appoggiata durante la stesura del presente lavoro di tesi e avermi saputo consigliare e indirizzare.
Ringrazio i cinque consulenti che si sono messi a disposizione per le interviste, per avermi dedicato il loro tempo ed avermi trasmesso le loro conoscenze ed esperienze lavorative.
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Abstract
Le teorie economiche classiche hanno come soggetto l’homo oeconomicus: un soggetto razionale, senza etica ne sentimenti, che compie ogni azione allo scopo di massimizzare la propria utilità. A partire dagli anni Settanta è nata una nuova branca dell’economia, che si contrappone a quella classica. Si tratta della finanza comportamentale: scienza che studia il processo decisionale dell’individuo in situazioni di incertezza. Daniel Kahneman e Amos Tversky sono stati i fautori di questi nuovi studi e gli ideatori della teoria del prospetto. La collaborazione di economisti e psicologi ha portato alla luce delle distorsioni cognitive, dette bias, a cui l’essere umano è quotidianamente soggetto. Si tratta di falle mentali che non permettono la corretta percezione e l’elaborazione delle informazioni in modo razionale, ma comportano per il soggetto economico una percezione della realtà dei fatti distorta. La prima parte della presente tesi è volta all’analisi teorica della finanza comportamentale, la quale è servita come base per verificare se queste distorsioni si verificano effettivamente anche nel comportamento degli investitori. Dopo l’esposizione dei concetti teorici della finanza comportamentale è stato ripreso il concetto di consulenza di investimento e attraverso interviste a consulenti attivi sulla piazza finanziaria ticinese si è cercato di formulare delle raccomandazioni volte ai consulenti per limitare l’effetto che l’irrazionalità ha sul comportamento degli investitori e sulle loro decisioni di investimento.
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Indice
1. Introduzione ..................................................................................................................... 1
1.1.Domanda di ricerca e obiettivi ........................................................................................... 2
1.2.Metodologia ....................................................................................................................... 2
2. Teorie economiche classiche: l’homo oeconomicus .................................................. 3
2.1.Economia ........................................................................................................................... 3
2.2.L’homo oeconomicus ......................................................................................................... 4
3. L’economia comportamentale ....................................................................................... 6
3.1.Sistema 1 e sistema 2 ....................................................................................................... 6
3.1.1. Effetto alone ...................................................................................................... 9
3.2.La teoria del prospetto ..................................................................................................... 10
3.2.1. L’avversione alle perdite ................................................................................. 11
3.2.2. I punti di riferimento ........................................................................................ 14
3.2.3. La ponderazione delle probabilità ................................................................... 15
3.2.4. La funzione di utilità ........................................................................................ 16
3.3.Bias comportamentali ...................................................................................................... 17
3.3.1. La legge dei piccoli numeri ............................................................................. 17
3.3.2. L’effetto ancoraggio ........................................................................................ 19
3.3.3. Eccessiva fiducia e la capacità di controllo ..................................................... 20
3.3.4. L’effetto gregge ............................................................................................... 22
3.3.5. Bias della disponibilità ..................................................................................... 24
3.3.6. L’inerzia ........................................................................................................... 24
3.3.7. Effetto framing ................................................................................................. 25
3.3.8. La contabilità mentale ..................................................................................... 25
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
4. Differenze tra la teoria classica e la finanza comportamentale ................................ 27
4.1.Considerazioni di equità .................................................................................................. 27
4.2.Razionalità limitata .......................................................................................................... 28
4.3.Percezione del rischio ..................................................................................................... 28
5. La consulenza finanziaria ............................................................................................. 30
5.1.Preparazione della gestione di investimento ................................................................... 32
5.1.1. Conoscenza del cliente ................................................................................... 32
5.1.2. Elaborazione delle informazioni raccolte ........................................................ 32
5.2.Decisione di investimento ................................................................................................ 33
5.3.Dopo la decisione di investimento ................................................................................... 34
6. Interviste a consulenti della piazza finanziaria ticinese ............................................ 35
6.1.Elementi emersi dalle interviste ....................................................................................... 35
6.1.1. Elementi emersi riguardanti la prima fase del colloquio di consulenza ........... 36
6.1.2. Elementi emersi riguardanti la seconda fase del colloquio di consulenza ...... 37
6.1.3. Elementi emersi riguardanti la terza fase del colloquio di consulenza ............ 39
6.2.Raccomandazioni ai consulenti ....................................................................................... 39
7. Conclusioni .................................................................................................................... 41
8. Bibliografia ..................................................................................................................... 42
Allegati................................................................................................................................... 45
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Indice delle figure
Figura 1: Attivazione del Sistema 1- Kahneman, D. (2012). Pensieri lenti e veloci ................. 7
Figura 2: Conflitto tra i due sistemi - elaborazione propria sulla base di Kahneman D. (2012) Pensieri lenti e veloci ........................................................................................................ 9
Figura 3: Il comportamento nei confronti dei profitti - elaborazione propria sulla base di Kahneman, D., & Tversky, A. (1976). Prospect Theory: An Analysis of Decison under Risk ........................................................................................................................................ 12
Figura 4: Comportamento assunto in base ai punti di riferimento - elaborazione propria sulla base di Kahneman, D., & Tversky, A. (1976). Prospect Theory: An Analysis of Decison under Risk ....................................................................................................................... 15
Figura 5: La funzione di utilità - www.igorvitale.org (https://www.igorvitale.org/la-prospect-theory-di-tversky-e-kahneman/) consultato il 15.08.2019 ............................................... 16
Figura 7: atteggiamenti nei confronti del rischio - elaborazione dell'autrice ........................... 17
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La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
1. Introduzione
Le teorie economiche classiche hanno come soggetto l’homo oeconomicus ovvero un soggetto individualista dotato di perfetta razionalità, poco incline a farsi influenzare da processi di tipo emotivo e che ha a disposizione una completa informazione. Si tratta di un individuo tendenzialmente avverso al rischio che prende le sue decisioni in modo da poter massimizzare la sua utilità.
A partire dagli anni Settanta si inizia a capire che i soggetti economici reali non sono effettivamente dotati di completa razionalità e di complete informazioni: il processo decisionale implica sensazioni, emozioni e paure. Questo avviene anche nelle decisioni di investimento, le quali risultano influenzate principalmente da fattori esterni non economici e dal modo soggettivo di percepire le informazioni. Nasce così lo studio dell’economia comportamentale. I principali fautori di questa branca dell’economia sono Amos Tversky e Daniel Kahneman i quali hanno svolto diversi studi ed esperimenti per analizzare il comportamento delle persone e il loro processo decisionale (Neocogita srl., 2017). Questa branca dell’economia applica ed utilizza gli studi della psicologia per sviluppare una comprensione del processo decisionale nelle scelte finanziarie (Byrne & Utkus, Behavioural finance, 2013).
Studi dimostrano che vi sono delle deviazioni comportamentali degli investitori dagli assunti della prospettiva economica standard: sono state infatti individuati più di 180 bias cognitivi che caratterizzano il comportamento dell’essere umano; si tratta di errori di percezione ed elaborazione delle informazioni che distorcono in modo significativo le scelte del soggetto sia a livello finanziario che non (Neocogita srl., 2017). L’errore cognitivo è una deviazione dalle assunzioni di razionalità che non può essere evitato con lo studio e l’apprendimento, bensì si tratta dell’elaborazione e dell’interpretazione dei dati esterni sulla base della propria struttura cognitiva che si modifica in base alle proprie esperienze precedenti (Rizzello & Spada, 2008).
Gli errori cognitivi, detti bias, derivano dalla tendenza che la nostra mente e il nostro cervello hanno di acquisire ed elaborare informazioni utilizzando determinate regole intuitive, dette euristiche: si tratta dunque di falle decisionali e di valutazione commesse a causa di regole preimpostate che il nostro cervello ha per l’elaborazione dei dati (Rangone, 2012).
Lo studio dell’economia comportamentale ha portato alla conferma che le decisioni di investimento, e in generale il processo decisionale, sono fortemente influenzati da eventi esterni a cui l’individuo è sottoposto e dal metodo soggettivo e personale che essi hanno di elaborazione dei dati recepiti. Le ricerche approfondite negli ultimi vent’anni cercano di capire se è possibile eliminare, controllare o ridurre l’effetto degli errori cognitivi che vengono commessi sistematicamente.
Chi lavora nel mondo della finanza, e più in particolare chi è a diretto contatto con l’investitore finale, riscontra quotidianamente questi comportamenti. Il compito del consulente finanziario è quello di accompagnare i propri clienti nella decisione di investimento cercando di limitare la loro irrazionalità e dandogli una visione oggettiva della situazione (Neocogita srl., 2017).
Come imposto dalle direttive della FINMA tutte le banche e gli intermediari finanziari hanno creato dei processi di consulenza dettagliati secondo i quali il consulente dovrebbe riuscire a capire non solo quali sono le possibilità e le conoscenze finanziarie del cliente, ma anche quale è la sua tolleranza al rischio, la sua disponibilità ad investire e quali sono gli obiettivi di investimento. Questo processo permette poi di costruire una proposta di investimento che sia conforme alle necessità e agli obiettivi del cliente specifico.
Durante tutto il corso di bachelor abbiamo studiato modelli economici teorici che avevano come soggetto l’homo oeconomicus, il quale abbiamo capito che non è un soggetto
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rappresentativo della realtà. Questa tesi vuole andare a conoscere ed approfondire il vero soggetto dell’economia analizzandone il comportamento. Verrà inoltre fatta un’analisi della relazione che intercorre tra l’investitore e l’intermediario finanziario nel momento della consulenza per capire se e in che modo è possibile limitare gli errori che intercorrono nelle scelte di investimento a causa della sbagliata elaborazione delle informazioni.
1.1. Domanda di ricerca e obiettivi
Il presente elaborato parte dalla seguente domanda di ricerca:
“Come la percezione e l’elaborazione delle informazioni esterne influiscono sulle scelte degli investitori? In che modo i consulenti riescono a limitare, ridurre o eliminare l’influsso degli errori cognitivi nel processo decisionale dei clienti?”
Per poter arrivare ad una risposta alla domanda di ricerca posta, sono stati fissati i seguenti obiettivi intermedi:
• Comprendere le caratteristiche e le differenze dei modelli economici tradizionali e quelli dell’economia comportamentale
• Comprendere ed analizzare il processo di consulenza svolto dai consulenti • Comprendere ed analizzare le principali bias degli investitori • Elaborare delle raccomandazioni che possano limitare l’effetto delle “trappole mentali”
1.2. Metodologia
Per poter comprendere le caratteristiche e le differenze dei modelli economici tradizionali e quelli dell’economia comportamentale svolgerò un’analisi desk: mi appoggerò esclusivamente a fonti secondarie per la ricerca di informazioni. Partirò dall’analisi delle teorie economiche tradizionali e dell’homo oeconomicus per poi arrivare all’analisi e l’esposizione della teoria comportamentale, dei bias e delle euristiche cognitive.
Per poter comprendere ed analizzare il processo di consulenza mi baserò principalmente su fonti primarie: svolgerò diverse interviste o sottoporrò questionari a consulenti attivi sulla piazza finanziaria ticinese in diverse banche nei settori private e nel retail banking.
La parte dedicata all’analisi del processo decisionale degli investitori verrà redatta principalmente secondo fonti secondarie; per capire quali sono le bias principali dei clienti mi baserò sulle informazioni fornite dai consulenti durante le interviste.
Per poter arrivare a delle conclusioni, e quindi ad elaborare delle raccomandazioni che possano limitare l’effetto delle “trappole mentali” mi appoggerò a tutte le informazioni raccolte fino a quel punto, dunque sia di tipo primario che secondario e ne trarrò dei risultati.
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2. Teorie economiche classiche: l’homo oeconomicus
2.1. Economia
La parola “economia” racchiude un’innumerevole quantità di concetti, di teorie e di sfaccettature. Si può parlare di economia privata, di economia pubblica, di economia finanziaria, di economia politica. L’analisi economica si fonda però sempre su principi e basi comuni che vengono poi applicati alle diverse questioni e teorie. “Alcuni di questi principi riguardano le scelte individuali, perché l’economia, in primo luogo, si occupa delle scelte degli individui” (Krugman & Wells, 2013, p. 5): la decisione su cosa fare e su cosa non fare.
Lionel Robbins, nel saggio sulla natura e il significato della scienza economica (1932) dà come definizione di economia lo studio della “condotta umana come relazione tra scopi e mezzi scarsi per usi alternativi” (Gioia & Perri, 2002, p. 9). Il problema dell’economia classica è quello di definire come allocare nel migliore dei modi le risorse nei diversi usi possibili. Questo problema nasce dal fatto che il mondo economico è caratterizzato da un duplice aspetto: da un lato ci sono gli individui che prendono scelte in base ai loro desideri e bisogni che sono illimitati, dall’altra ci sono invece le risorse usate per soddisfare le esigenze e i desideri che sono limitate.
Se si guarda il problema a livello di istituzioni basta pensare che nessuno Stato e nessuna società può costruire strade, parchi, scuole e autostrade in maniera illimitata così come non si possono finanziare politiche sociali o economiche illimitatamente. Si devono infatti stabilire dei paletti dati da priorità, bisogni ed esigenze dei membri della società e dai limiti economici e materiali che questa può avere. Allo stesso modo in un’economia famigliare ogni individuo dispone di risorse limitate date dal reddito e dal patrimonio. Queste risorse devono essere impiegate nel migliore dei modi così da poter raggiungere la massima utilità. L’impiego del reddito e della disponibilità che ogni individuo ha è dato da scelte che quest’ultimo prende per soddisfare i propri illimitati bisogni e desideri (Krugman & Wells, 2013). Dovendo prendere delle decisioni, ogni singolo soggetto deve avere delle priorità, e l’impiego delle risorse andrà prima a soddisfare i bisogni indispensabili ovvero quelli che procurano livelli di soddisfazione più alti, e con il resto del reddito si andranno a soddisfare quelli che procurano livelli di soddisfazione più bassi.
L’economia si occupa dunque di problemi di allocazione, qualsiasi problema che implica una scelta può essere considerato un problema economico. Per esempio, può essere considerato un quesito dal punto di vista economico il problema di come uno studente dovrebbe ripartire le varie ore? di studio (risorsa scarsa) attribuendole alle materie in modo da massimizzare i voti raggiunti agli esami.
Per poter classificare i bisogni secondo il livello di soddisfazione dato, la teoria economica classica dice che l’individuo valuta le sue esigenze e prende le conseguenti decisioni con un criterio di razionalità. “In questo senso l’economia può semplicemente essere definita come la scienza che studia il comportamento razionale dell’uomo, teso al perseguimento del massimo
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livello di soddisfazione possibile compatibilmente con le risorse a propria disposizione” (Gioia & Perri, 2002, p. 11)
2.2. L’homo oeconomicus
Come vedremo durante la presente tesi la visione classica del soggetto economico non è condivisa da tutti gli studiosi. Vengono infatti messe in discussione 3 principali elementi: l’oggetto della ricerca che si è costruito isolato dal contesto sociale, la procedura analitica utilizzata e l’ipotesi del soggetto economico razionale. La presente tesi metterà in discussione proprio il soggetto economico classico, chiamato homo oeconomicus, che è considerato come un essere individualista, razionale ed egoista, in grado di scegliere l’opzione che massimizza il suo profitto in quanto ha a disposizione tutte le informazioni necessarie per prendere la miglior scelta dal punto di vista economico.
Una spiegazione che faccia capire la ragione per cui gli studiosi hanno deciso di stereotipare il soggetto dell’economia costruendo modelli e teorie su un essere che poi non si rivela reale è stata data da Manuel di Pareto nel 1909, il quale sostiene che “il corpo concreto comprende il corpo chimico, il corpo meccanico, il corpo geometrico, ecc.; l’uomo reale comprende l’homo oeconomicus, l’homo ethicus, l’homo religiosus ecc. Insomma, considerare questi differenti corpi, questi differenti uomini equivale a considerare le differenti proprietà del corpo reale, di quest’uomo reale e non mira ad altro che a ritagliare in porzioni la materia da studiare” (Pareto, 1909, p. 18). In poche parole, l’homo oeconomicus è un essere umano senza preferenze, credenze, gusto personale, sentimenti, emozioni, sensazioni, etica e principi. La domanda che nasce spontanea è: come è possibile che l’economia, scienza che studia gli scambi, le scelte e prende in considerazione il livello di soddisfazione e i bisogni dei soggetti economici non tenga presente che questi ultimi nella vita reale non sono razionali? Lo si può constatare nella vita di tutti i giorni che l’ipotesi di razionalità è irreale e puramente teorica: basti pensare al lavoro degli influencer i quali hanno come obiettivo quello di suggestionare le scelte di acquisto dei loro seguaci. Se fossimo tutti degli homo oeconomicus non avremmo alcun bisogno di farci consigliare o influenzare da terze persone.
Nel 1979 il sociologo inglese Richard Titmuss fu il primo a portare l’attenzione sul comportamento adottato dalla popolazione inglese nella donazione del sangue che porta l’evidenza di quanto l’essere umano non sia effettivamente privo di etica, di principi e caratterizzato da piena razionalità: Titmuss notò come la promessa di pagamento per la donazione del sangue facesse diminuire il numero di donazioni e la qualità del sangue donato rispetto a quando la donazione era fatta da volontari. Il soggetto che prima era motivato a donare il sangue per valori etici e sociali come l’aiuto del prossimo, la solidarietà e forse anche per l’autostima, non si sentiva più soddisfatto a fare lo stesso gesto se questo avveniva contro pagamento. Questo perché la corrispondenza in denaro faceva diminuire la sua considerazione sociale, e quindi non avrebbe più donato (Titmuss, 1970). Questo comportamento è l’evidenza empirica che non sempre, e non tutti, siamo homo oeconomicus, perché se lo fossimo, tutti noi andremmo a donare il sangue contro pagamento e soprattutto nessuno di noi lo farebbe senza ricevere in cambio una ricompensa monetaria.
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Detto questo, non stiamo né smentendo né contraddicendo le teorie economiche classiche. È però importante specificare che queste ultime parlano di homo oeconomicus, e quindi trattano la dimensione materiale del benessere umano, senza tenere in considerazione quella spirituale, perché come sostenne Pigou “oggetto dell’economia del benessere è l’indagine delle influenze predominanti attraverso le quali sia possibile aumentare il benessere economico del mondo e di un paese determinato” (Pigou, 1920, p. 2). Con “benessere economico” intendeva la componente del benessere che può essere espressa come valore monetario.
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3. L’economia comportamentale
La finanza comportamentale è la scienza che si occupa di prendere le intuizioni della psicologia e le applica al processo decisionale finanziario (Byrne & Utkus, Behavioural finance, 2013, p. 3).
Abbiamo appena visto la base e gli assunti delle teorie economiche classiche. Agli inizi degli anni Settanta alcuni psicologi ed economisti hanno unito le loro ricerche e le loro conoscenze per arrivare a sviluppare nuove teorie che rispecchiassero maggiormente la realtà: nasce così lo studio dell’economia comportamentale. Fautori di questa branca dell’economia sono Amos Tversky e Daniel Kahneman (premio Nobel dell’economia nel 2002): due psicologi israeliani i quali hanno collaborato per anni fondando le basi di questa nuova scienza. Kahneman e Tversky sono arrivati a sviluppare nuove teorie che danno spiegazione del processo decisionale dell’essere umano in condizione di incertezza.
L’economia comportamentale dimostra come gli investitori manchino di razionalità in maniera sistematica esibendo ciò che viene definita razionalità limitata. Si veda come la maggior parte degli investitori creino le proprie aspettative di investimento in base alle performance appena passate degli investimenti. Questa visione è in contrasto con la realtà economica nella quale periodi di reinvestimento elevati portano a valutazioni meno favorevoli e di conseguenza a rendimenti inferiori nei periodi successivi. I soggetti economici sono limitati nella loro capacità di prendere decisioni a causa della non completa informazione disponibile, della quantità limitata di tempo che hanno per prendere le proprie decisioni e soprattutto a causa dalle loro reazioni emotive. Queste sono le principali ragioni che portano gli investitori, e in generale le persone a prendere decisioni in modo irrazionale. La psicologia ha localizzato nei comportamenti umani dei processi mentali che tutti noi usiamo per prendere delle decisioni: “euristica è una definizione tecnica, e sta a indicare una semplice procedura che aiuta a trovare risposte adeguate, anche se spesso imperfette, a quesiti difficili. Il termine da cui trae origine ha la stessa radice di eureka ed è il verbo greco heurískein, trovare” (Kahneman D. , Pensieri lenti e veloci, 2012, p. 132). Le Euristiche sono regole che portano il nostro cervello a compiere degli errori sistematici, detti bias. Lo studio del comportamento umano ha portato alla luce più di 180 bias cognitivi che la nostra mente compie nella vita quotidiana e in ogni processo decisionale (Neocogita srl., 2017). Nei capitoli a seguire verranno approfonditi gli errori cognitivi maggiormente riscontrati durante il processo decisionale degli investitori, dunque nel mondo finanziario.
3.1. Sistema 1 e sistema 2
Keith Stanovich e Richard West furono i primi a coniare le espressioni sistema 1 e sistema 2 per descrivere il sistema di elaborazione delle informazioni del nostro cervello. Dedicarono infatti decenni della loro vita a capire che cosa rende certi individui più propensi di altri nel commettere errori sistematici di giudizio. Stanovich pubblicò le sue intuizioni in un saggio intitolato Rationality and the Reflective Mind (2011). Una delle conclusioni a cui è giunta è che
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“un’elevata intelligenza non rende le persone immuni da bias” (Kahneman D. , Pensieri lenti e veloci, 2012, p. 64). L’errore cognitivo non deve infatti essere percepito come stupidità o come mancata attenzione, ma come un processo automatico commesso dal nostro cervello che si impegna a decodificare ed elaborare informazioni esterne per arrivare a trarre delle conclusioni.
Daniel Kahneman nel libro “Pensieri lenti e veloci” (2012) espone le teorie e le scoperte frutti di anni di studio e di ricerca svolti da lui e da Amos Tversky. In tutta la prima parte del libro viene ripreso il concetto di sistema 1 e sistema 2:
• Sistema 1: è la parte del cervello che opera in fretta e automaticamente, con poco sforzo e nessun controllo volontario;
• Sistema 2: è la parte del cervello che indirizza l’attenzione verso le attività mentali impegnative che richiedono attenzione (come per esempio calcoli complessi).
L’utilizzo di un sistema piuttosto che dell’altro dipende non solo dalla situazione in cui l’individuo si trova o dalla tipologia di problema, ma anche dalla sua propensione personale ad adottare un sistema piuttosto che l’altro (Kahneman D. , 2012, p. 23-30). Quando ci troviamo davanti ad una situazione o ad una scelta il primo ad intervenire è sempre il sistema 1, quello che ci indica le emozioni, le sensazioni originate spontaneamente: si tratta della parte più irrazionale del nostro cervello che si affida all’istinto. Le operazioni automatiche sono generate dal sistema 1, ma in alcuni casi il sistema 2 prende il sopravvento prevalendo sugli impulsi automatici e sull’istinto che ci dà il sistema 1.
Di seguito si riporta un esempio per chiarire il modo di agire e interagire dei due sistemi: osserviamo l’immagine 1:
Figura 1: Attivazione del Sistema 1- Kahneman, D. (2012). Pensieri lenti e veloci
Con la stessa velocità con la quale abbiamo capito che la donna nella fotografia ha i capelli neri, abbiamo dedotto che è arrabbiata. Il colore dei capelli però è un dato di fatto in quanto basta guardare l’immagine. Per capire il suo stato d’animo invece è intervenuto il nostro sistema 1 che, in base alle esperienze passate, ha collegato l’espressione del soggetto rappresentato alle nostre esperienze passate nelle quali abbiamo visto espressioni simili. Siamo dunque arrivati tutti alla stessa conclusione: la donna nella fotografia è arrabbiata.
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Diamo ora un’occhiata alla seguente operazione:
14 X 27 = ?
Il sistema 1 non può aiutarci in quanto alla maggior parte di noi la risposta non viene immediata. Certo non è un calcolo troppo difficile e probabilmente prendendosi un po’di tempo ci si avvriverebbe facilmente alla soluzione. Il tempo che ci prendiamo per la risoluzione è quello che serve al sistema 2 per intervenire e risolvere la situazione a cui il sistema 1 non può dare risposta.
Nella seguente tabella troviamo alcuni esempi riportati nel libro di Kahneman “Pensieri lenti e veloci” (2012) di azioni che vengono svolte dal sistema 1 e rispettivamente dal sistema 2:
Sistema 1 Sistema 2
• Notare che un oggetto è più lontano di un altro
• Orientarsi verso la sorgente di un suono improvviso
• Fare la faccia disgustata davanti a un’immagine orribile
• Rispondere a 2+2=? • Leggere parole sui cartelloni • Guidare la macchina sulla strada a
destra • Capire frasi semplici
• Prepararsi al colpo di pistola dello starter in una cosa
• Concentrare l’attenzione sui clown del circo
• Concentrarsi sulla voce di una particolare persona in una stanza affollata
• Cercare una donna con i capelli bianchi in mezzo a un gruppo di persone
• Frugare nella memoria per riuscire a identificare un suono molto strano
• Mantenere un passo più veloce di quello che riesce naturale
• Controllare l’adeguatezza del nostro comportamento in una situazione sociale
• Contare quante volte compare la lettera “A” in una pagina di un testo
• Dare a qualcuno il proprio numero di telefono
Tra i due sistemi si possono creare dei conflitti in quanto il sistema 2 è molto pigro e spesso bisogna insistere per farlo intervenire: esistono compiti che comprendono azioni che normalmente svolgiamo con il sistema 1, ma la cui complessità richiede l’intervento del sistema 2. La figura 2 è un altro esempio illustrato dal libro di Kahneman “Pensieri lenti e veloci” (2012) che rende esaustiva la spiegazione del conflitto dei due sistemi. L’esercizio consiste nello scorrere entrambe le colonne dicendo a voce altra se ciascuna parola è scritta
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in carattere maiuscolo o minuscolo. Una volta eseguito questo compito si scorrono di nuovo le colonne e si specifica se ciascun termine si trova a sinistra o a destra del centro.
Figura 2: Conflitto tra i due sistemi - elaborazione propria sulla base di (Kahneman D. , 2012)
Eseguendo l’esercizio si può vedere come il nostro sistema 1 ci porta a dire ad alta voce quello che leggiamo nell’immagine, mentre il sistema 2 ci porta a risolvere l’esercizio, dunque in alcuni casi dobbiamo dire ad alta voce l’inverso di quello che c’è scritto nell’immagine. Questo è il conflitto tra le due parti. (Kahneman D. , Pensieri lenti e veloci, 2012, p. 32).
3.1.1. Effetto alone
Un bias molto comune descritto da Kahneman nel libro Pensieri lenti e veloci (2012) che viene usato dalla nostra mente per forgiare la nostra idea delle persone e in generale delle situazioni è l’effetto alone: se ci piace il modo di fare di una persona, troveremo molto probabilmente piacevole anche il suo aspetto e la sua voce. Questo accade grazie al sistema 1, che ci dà una visione del mondo semplificata, in base ai suoi collegamenti e alle sue facilitazioni. L’interpretazione di una situazione o di una persona è data dall’emozione annessa alla prima impressione. Solomon Asch, uno psicologo polacco fece un esperimento che ha conservato la sua attualità: lui presentò verbalmente due soggetti, con gli stessi aggettivi ma indicati in sequenze differenti a delle persone, dopo di che chiese a queste dei commenti sulla personalità dei due soggetti:
• Soggetto 1: intelligente, industrioso, impulsivo, critico, ostinato, invidioso • Soggetto 2: invidioso, ostinato, critico, impulsivo, industrioso, intelligente
La maggior parte delle persone descrissero il soggetto 1 come più positivo rispetto al soggetto 2, questo per il semplice fatto che le persone prestano più attenzione e danno più peso ai primi aggettivi rispetto agli ultimi. Una volta sentiti i primi aggettivi, che per il soggetto 1 sono positivi, quelli che seguono negativi vengono addirittura visti in concezione positiva. Questo accade proprio a causa dell’effetto alone che tende a sopprimere l’ambiguità e a darci un’immagine della realtà soggettiva e alterata (Asch, 1946). L’ordine in cui riceviamo informazioni su una qualsiasi situazione è spesso determinato dal caso, tuttavia questo ordine è molto importante
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in quanto è quello che conta: l’effetto alone fa sì che diamo molta più importanza alle prime informazioni rispetto alle ultime.
La parte 1 del cervello elabora dunque la maggior parte delle informazioni a cui siamo sottoposti quotidianamente e ci fornisce uno scenario generale. L’obiettivo e dunque il successo del sistema 1 è quello di riuscire a dare una coerenza alla storia che riesce a costruire in base alle informazioni che gli vengono fornite. Non dà alcun peso alla quantità o alla qualità di queste informazioni: se queste sono scarse, il sistema 1 vuole comunque raggiungere il proprio obiettivo, dunque salta alle conclusioni sulla base delle informazioni che gli si presentano davanti, scarse o compete che essi siano. Il sistema 2 non interviene in quanto come detto in precedenza è molto pigro e per intervenire ha bisogni di tempo e di stimoli. Il processo del sistema 1 facilita la realizzazione della coerenza e della fluidità cognitiva. Spiega perché siamo in grado di pensare in fretta. La maggior parte delle volte la storia coerente che mettiamo insieme è sufficientemente simile alla realtà, dunque le nostre conseguenti azioni non sembrano sconsiderate. L’effetto alone è uno dei principali motivi che può spiegare diverse bias che tratteremo in seguito, come quella dell’eccessiva sicurezza, dell’effetto farming e della disattenzione per la probabilità a priori (Kahneman D. , Pensieri lenti e veloci, 2012, p. 118).
3.2. La teoria del prospetto
La teoria dell’utilità attesa è la base economica per lo studio delle decisioni umane. Si tratta di una teoria elaborata negli anni Quaranta da John Von Neuemann e da Oskar Morgentern e presuppone che il soggetto di studio, ovvero l’homo oeconomicus abbia dei comportamenti ottimizzanti e di completa razionalità. Si dice che l’individuo prenda le proprie decisioni in modo da massimizzare la propria utilità.
Daniel Kahneman e Amos Tversky hanno in seguito sviluppato la teoria del prospetto, che si pone come teoria alternativa a quella dell’utilità attesa in quanto ha come oggetto lo stesso studio, ovvero il processo decisionale dell’essere umano in condizioni di incertezza, ma il soggetto di questa teoria non è più l’homo oeconomicus bensì l’essere umano con sentimenti, soggettività, paure e incertezze. La teoria del prospetto mette la lente di ingrandimento sulle decisioni prese in condizioni di rischio, ovvero in situazioni in cui è conosciuta o si può stimare la probabilità associata a determinati eventi (Rumiati & Bonini, 2001, p. 13). I due psicologi israeliani volevano arrivare a spiegare come mai le scelte effettuate dagli esseri umani si discostano sistematicamente da quelle previste dalla teoria dell’utilità attesa. La risposta sta nel fatto che l’essere umano e in particolare l’investitore ha delle emozioni, delle esperienze, delle sensazioni e soprattutto delle paure. “La psicologia della decisione mostra come le scelte da parte degli individui non avvengono seguendo il principio economico della massimizzazione dell’utilità, bensì evidenzia come gli uomini siano irrazionali in modo sistematico e replicabile, cioè seguono dei modelli o comportamenti automatici che dipendono da come il problema decisionale viene loro presentato” (Pironti, 2012, p. 92).
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La teoria del prospetto è costituita da tre elementi principali: l’avversione alle perdite, i punti di riferimento e la ponderazione delle probabilità.
3.2.1. L’avversione alle perdite
Kahneman e Tversky attraverso lo studio del comportamento di un campione di persone, hanno svolto dei test nei quali i soggetti devono prendere delle scelte per le quali è data a sapere la probabilità associata agli esiti possibili. L’aspetto innovativo di questa teoria è che si basa su evidenze empiriche date da esperimenti di psicologia. Questi studi hanno portato alla dimostrazione di quanto l’essere umano sia soggettivo e percepisca le informazioni e i dati in modo poco razionale. Le conclusioni a cui sono giunti i due psicologi sono state pubblicate nell’elaborato intitolato “Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk” (1979).
Si parla di avversione alle perdite quando si fa riferimento al comportamento degli esseri umani che tendono a percepire e dunque trattare in modo diverso gli utili dalle perdite. La condotta che viene assunta in rapporto ai guadagni, come dimostrato da Kahneman e Tversky è quella di scegliere un guadagno più basso ma certo, rispetto ad uno maggiore possibile ma non assicurato (Kahneman & Tversky , 1979, p. 265). Gli individui hanno poca propensione ad assumersi rischi quando la probabilità di ottenere un guadagno passa da certa a probabile, in quanto l’agente economico percepisce questo peggioramento di probabilità in modo molto negativo. Non si ha però la stessa reazione quando la possibilità di ottenere un guadagno passa da probabile a poco meno che probabile, in questo caso l’impatto negativo del peggioramento della probabilità è minimo. Per arrivare a questa conclusione i due fautori della teoria del prospetto hanno condotto degli esperimenti studiando le scelte prese dai soggetti economici sia quando si rapportano ad un guadagno sia quando si rapportano ad una perdita.
Kahneman e Tversky hanno selezionato un campione di persone e lo hanno messo davanti a due opzioni. La scelta A prevedeva un guadagno di duemilacinquecento dollari con una probabilità del 33%, di duemilaquattrocento dollari con una probabilità del 66% e di un guadagno nullo con una probabilità dell’1%. La scelta B prevedeva un guadagno certo di duemilaquattrocento dollari. Da questo esperimento è risultato che ben l’82% delle persone che hanno partecipato all’esperimento (72 persone totali) hanno scelto l’opzione B, ovvero quella del guadagno certo.
Lo stesso campione è poi stato messo di fronte ad altre due opzioni: selezionando l’opzione C avevano la possibilità di avere un guadagno nullo con il 67% di probabilità e un guadagno di duemilacinquecento dollari con il 33% delle probabilità, mentre scegliendo l’opzione D avrebbero avuto la possibilità di ottenere un guadagno di duemilaquattrocento dollari con una probabilità del 34% e un guadagno nullo con il 66% di probabilità. Risultò che l’83% del campione ha scelto l’opzione C.
A fronte di un guadagno certo di duemilaquattrocento dollari (opzione B scelta dall’82% del campione), l’opzione D dava la stessa possibilità di guadagno ma con una probabilità più bassa (34%), questa diminuzione di eventualità da certa a probabile dell’esito della scelta ha portato i partecipanti del test a selezionare l’opzione C che proponeva un guadagno maggiore, ma con probabilità leggermente più bassa.
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La figura sottostante rappresenta i due test eseguiti con le opzioni a disposizione e i risultati ottenuti:
Figura 3: Il comportamento nei confronti dei profitti - elaborazione propria sulla base di (Kahneman & Tversky , 1979)
Da notare come nel primo test, l’opzione B scelta dall’82% del campione risulta irrazionale in quanto attraverso la risoluzione matematica (indicata nella figura 3) l’utilità attesa dell’opzione A (che sarebbe stata scelta da un soggetto irrazionale) sia più alta rispetto a quella dell’opzione B.
Per quanto riguarda le possibilità di ottenere una perdita Kahneman e Tversky hanno svolto un altro esperimento che si fonda sempre sulle probabilità che una certa situazione si verifichi: ad un campione di 95 persone è stato chiesto di scegliere tra una possibile perdita di quattromila dollari con l’80% di probabilità (opzione A) e una perdita certa di tremila dollari (opzione B). In questo caso il 92% del campione ha preferito rischiare di perdere quattromila dollari che perderne sicuramente tremila. Anche in questo caso vi è l’evidenza dell’irrazionalità degli agenti economici che scelgono l’opzione B che rappresenta un’utilità attesa più bassa (di meno tremiladuecento dollari), rispetto all’opzione A che incorpora un’utilità attesa di meno tremila dollari.
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In un secondo momento agli stessi soggetti è stato chiesto di scegliere tra la possibilità di perdere quattromila dollari con una probabilità del 20% (opzione C) e la possibilità del 25% di perderne tremila (opzione D). È risultato che il 58% del campione ha deciso di rischiare di perdere tremila dollari con il 25% di probabilità. In questo secondo caso vediamo come la maggior parte delle persone scelgono l’opzione che presenta l’eventualità di perdere meno ma con più probabilità, rispetto all’opzione di perdere di più ma con meno probabilità.
Figura 4: Il comportamento nei confronti delle perdite - elaborazione propria sulla base di (Kahneman & Tversky , 1979)
Da questi esperimenti ne risulta che i soggetti economici sono indotti ad essere avversi al rischio quando prevedono possibilità di guadagni: preferiscono un guadagno certo più basso rispetto a un guadagno potenziale più alto. Se invece si tratta di perdite sono più propensi a rischiare: scelgono di correre il rischio di perdere di più rispetto alla certezza di perdere di meno (Kahneman & Tversky , 1979, p. 268).
È proprio su questi esperimenti e su queste conclusioni che si fonda uno dei concetti fondamentali della teoria del prospetto: vi è un’asimmetria del comportamento dei soggetti che dipende da cosa stanno trattando: perdita o guadagno. Le perdite per essi sono più minacciose dei guadagni. Diversi studi sulla finanza comportamentale dimostrano che gli investitori attribuiscono più del doppio del peso alle perdite rispetto ai guadagni (Byrne & Utkus, Behavioural finance, 2013): la perdita di un certo importo crea infatti maggiore disutilità rispetto all’utilità che verrebbe creata da un guadagno dello stesso importo. Ecco perché hanno un atteggiamento avverso al rischio quando si trovano di fronte a possibili vincite e sono propensi al rischio quando si trovano di fronte a possibili perdite (Rasiel, 2019).
In termini pratici, si consideri un investitore che acquista un titolo pagandolo mille dollari. Se questo titolo arriva ad un valore di millecinquecento dollari l’investitore sarà tentato di
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bloccarne il profitto vendendolo ed incassando la differenza, se al contrario il valore del titolo dovesse scendere a cinquecento dollari, l’investitore sarà tentato di mantenere la posizione nella speranza che questo riacquisti il valore iniziale: questo è un comportamento che si sviluppa a causa dell’eccessivo dolore che causa una perdita rispetto alla gioia arrecata da un guadagno (Byrne & Utkus, 2013).
3.2.2. I punti di riferimento
Le persone valutano gli esiti di una decisione in base a diversi fattori come al modo in cui una situazione viene presentata, a quale è la posta in gioco, a quale è il proprio patrimonio totale e all’eventualità di affrontare perdite o guadagni.
Un comportamento che è stato empiricamente dimostrato da Kahneman e Tversky è quello dell’isolation effect: si tratta di un bias che porta gli individui a considerare una componente isolata per risolvere un problema o per prendere una decisione invece di considerare la situazione nel suo insieme. Per dimostrare questa tipologia di comportamento hanno preso un campione di 70 persone e le hanno messe di fronte a 2 scelte: vincere mille dollari con una probabilità del 50% oppure vincerne solo cinquecento con una probabilità del 100%. Indipendentemente dalla scelta presa, prima di giocare i partecipanti avrebbero ricevuto mille dollari. Il risultato è stato che l’84% delle persone ha optato per la seconda scelta, ovvero vincita certa. Verificando le due opzioni a disposizione in modo matematico vediamo però come nelle due scelte il guadagno atteso è identico (vedi figura 5).
In un secondo momento allo stesso campione di persone è stato detto che avrebbero ricevuto duemila dollari e che avrebbero poi dovuto scegliere tra una perdita possibile di mille dollari con il 50% di possibilità e una perdita sicura di cinquecento dollari con il 100% di probabilità. Questa volta il 69% del campione ha scelto la prima opzione, decidendo quindi di rischiare. (Kahneman & Tversky , 1979, p. 268)
La figura 5 riassume l’esperimento appena spiegato:
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Figura 4: Comportamento assunto in base ai punti di riferimento - elaborazione propria sulla base di (Kahneman & Tversky , 1979)
Notiamo come tutte e quattro le opzioni generassero dei guadagni previsti identici di millecinquecento dollari ma nonostante questo, nel primo esperimento la maggior parte ha preferito non rischiare (scegliendo l’opzione B) mentre nel secondo esperimento il 69% del campione ha deciso di correre il rischio di perdere di più scegliendo l’opzione C. Questo ci fa capire che i partecipanti, al momento della presa di decisione non hanno tenuto in considerazione il bonus iniziale (di mille dollari nel primo caso e di duemila dollari nel secondo caso). Possiamo dunque sostenere che gli individui non vedono un guadagno come un incremento del loro patrimonio totale, ma lo considerano come singolo evento (Rasiel, 2019): la loro visione della situazione globale cambia a dipendenza dalla loro prospettiva e da come percepiscono i singoli eventi in modo individuale e non nel loro complesso.
3.2.3. La ponderazione delle probabilità
La ponderazione delle probabilità descrive il modo in cui il soggetto economico concepisce le probabilità. A causa della legge dei piccoli numeri che verrà approfondita nei capitoli a seguire e a causa di altri fattori le persone tendono ad interpretare in modo errato le probabilità e a distorcerne il significato: davanti ad un esito con bassa probabilità si tende a sopravvalutare la bassa probabilità di realizzazione dell’evento mentre davanti ad un’alta probabilità che un
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evento si realizzi si dente a dubitare e a enfatizzare l’incertezza dell’evento. Questo atteggiamento è strettamente correlato all’avversione al rischio e spiega perché molte persone acquistano biglietti della lotteria: tendono a sotto ponderare l’alta probabilità della perdita. La prova empirica della sovra ponderazione della probabilità di perdita è invece data dall’altissimo numero di assicurazioni su eventi non certi e poco probabili che ogni giorno i soggetti economici sottoscrivono.
3.2.4. La funzione di utilità
Sulla base dei comportamenti esposti finora, possiamo dare una rappresentazione della nuova funzione dell’utilità secondo la teoria del prospetto, questa riproduzione tiene presente degli assiomi e dei bias psicologici responsabili della poca razionalità del soggetto economico.
Figura 5: La funzione di utilità – tratta da (Igorvitale, 2019)
Come possiamo evincere dal grafico la funzione di utilità cambia per i guadagni e le perdite: quando un soggetto economico sta trattando un guadagno la funzione presenta pendenza positiva. Più i guadagni aumentano, meno la pendenza dell’utilità e grande: ogni guadagno aggiuntivo avrà infatti un impatto minore sull’utilità rispetto al guadagno precedente. Anche per le perdite vediamo come la disutilità causata dalle prime perdite è molto maggiore rispetto a quelle che vengono dopo: la pendenza della curva diminuisce infatti all’aumentare delle perdite. In poche parole, i soggetti economici sentono maggiormente sia le prime perdite che portano un’alta disutilità, che i primi guadagni che portano una grande utilità.
Dal grafico rappresentato nella figura 6 e dagli esperimenti esposti nel presente capitolo si può evincere come i soggetti assumano un comportamento avverso al rischio davanti ai guadagni, si veda come la pendenza della curva nella parte destra del grafico è inferiore rispetto a quella di sinistra, mentre quando si trovano davanti a delle perdite il comportamento del soggetto diventa propenso al rischio. Se parliamo di soggetti investitori che hanno nel proprio portafoglio dei titoli, secondo la teoria del prospetto questi saranno propensi a vendere il titolo non appena questo avrà fruttato il guadagno aspettato, mentre se il titolo sta perdendo, l’investitore sarà poco propenso a venderlo: lo terrà nel deposito nella speranza che questo recuperi il suo
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valore iniziale ed eventualmente frutti dei guadagni in quanto il fatto di vendere e chiudere una perdita da un senso di dispiacere troppo grande.
Nell’ambito della teoria del prospetto il comportamento dei soggetti economici nei confronti dei rischi può essere riassunto nel seguente modo:
Figura 6: atteggiamenti nei confronti del rischio - elaborazione dell'autrice
Visti i comportamenti appena descritti su cui si basa la teoria del prospetto, è possibile arrivare alla conclusione che se parliamo di finanza, gli investitori tenderanno a creare dei portafogli con una più elevata concentrazione del rischio di quella che possono realmente tollerare, questo a causa della propensione al rischio in merito alle perdite. Per quanto riguarda l’asset allocation, ci saranno importi inferiori investiti nel mercato azionario a causa della propensione all’avversione al rischio. È dunque molto importante capire che si la teoria del prospetto può descrivere le effettive prassi di investimento dei soggetti, ma dall’altra bisogna notare che tali comportamenti sono contrari ad una buona gestione degli investimenti.
Nel presente capitolo abbiamo trattato solo alcuni dei comportamenti che caratterizzano l’aspetto irrazionale degli investitori; di seguito approfondiremo i bias che risultano essere più rilevanti per il mondo degli investimenti.
3.3. Bias comportamentali
Come spiegato nell’introduzione i bias sono errori di percezione ed elaborazione delle informazioni che distorcono in modo significativo le scelte del soggetto sia a livello finanziario che non (Neocogita srl., 2017). Esistono bias cognitivi che sono errori sistematici di pensiero dovuti alla sbagliata memorizzazione delle informazioni, alla disattenzione oppure alla selezione di informazioni nel momento in cui queste vengono fornite. Esistono inoltre bias emotivi che sono legati alle emozioni, alle sensazioni e alle intuizioni e non ai fatti (esempio avversione alle perdite e eccessiva fiducia).
3.3.1. La legge dei piccoli numeri
La legge dei piccoli numeri è un difetto cognitivo secondo il quale i soggetti tendono a considerare delle informazioni estrapolate da un campione piccolo e non indicativo di osservazioni come dato certo e rappresentativo della realtà; questo accade nonostante tutti sappiamo o possiamo immaginare che i campioni grandi sono più attendibili di quelli piccoli.
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Quando ci troviamo di fronte a dei dati il nostro sistema 1, ovvero il primo che interviene nell’analisi delle informazioni per arrivare a conclusioni che spesso risultano affrettate, interviene e crea delle connessioni causali tra eventi anche quando la relazione è falsa o insensata. Si tratta di un difetto cognitivo che porta le persone a credere che un piccolo numero di informazioni possa dare un’idea generale della situazione.
Per poter avere dati veritieri è necessario che chi analizza le informazioni prenda un campione sufficientemente ampio per riuscire a ridurre il rischio di errore nelle conclusioni. Questa osservazione potrebbe risultare palese ed inutile se non fosse che Jacob Cohen in un articolo pubblicato nel 1962 nella rivista “Journal of Abnormal and Social Psychology” ha messo l’accento su come gli psicologi nei loro esperimenti scelgano campioni così piccoli da esporsi ad un rischio del 50% di non riuscire a confermare le proprie ipotesi (Cohen, 1962). In base a come viene esposto il risultato di un test il nostro cervello elabora l’informazione a proprio modo, e siccome il nostro Sistema 1 non è in grado di distinguere i gradi di credenza e men che meno è in grado di mettere in dubbio dati, il soggetto economico ha la tendenza ad arrivare a conclusioni errate basate su dati poco realistici. “La legge di piccoli numeri è la manifestazione di un bias generale che favorisce la certezza rispetto al dubbio” (Kahneman D. , 2012, p. 152).
Per capire meglio il modo in cui reagisce il nostro cervello quando si parla di dati statistici verrà riportato un esempio esposto nel libro “Pensieri lenti e veloci” di Kahneman (2012). Tutti sappiamo che il sesso del primo bambino della giornata nato in un ospedale non condizionerà il sesso del secondo bambino nato nello stesso ospedale. Kahneman nell’esperimento prende come esempio il sesso di sei bambini nati uno dietro l’atro nello stesso centro pediatrico. Abbiamo detto che la sequenza di maschi e femmine che può nascere è puramente casuale e non è condizionata dalle nascite precedenti o antecedenti. Consideriamo ora le seguenti sequenze possibili: MMMFFF, FFFFFF, MFMMFM. Sono tutte sequenze ugualmente probabili? Il nostro Sistema 1 ci porta a dire di no in quanto le prime due sequenze ci sembrano poco frequentemente realizzabili, mentre la terza è l’unica che ci sembra effettivamente casuale. La verità è invece che tutte e tre le sequenze hanno la stessa probabilità di realizzarsi. Il nostro istinto tende a creare dei modelli che siano coerenti con il nostro modo di vedere le cose. Non ci aspettiamo di vedere delle sequenze regolari come FFFFFF in un processo composto da eventi casuali: secondo Kahneman quando individuiamo quella che può essere una regola, subito respingiamo l’idea che il processo sia davvero casuale (Kahneman D. , 2012, p. 153-154). Il soggetto economico fatica a capire la casualità degli eventi, e questo crea conseguenze importanti in quanto vengono individuate delle configurazioni là dove non esistono.
Un altro esempio che ci fa capire quanto la nostra mente venga deviata ed abbia una percezione errata della realtà è palesata nel mondo dello sport: quante volte si pensa che durante una partita di pallacanestro un giocatore abbia “la mano fatata” soltanto perché realizza più canestri consecutivi? Quando questo avviene l’intera partita viene modificata sulla credenza che questo giocatore sia momentaneamente baciato dalla fortuna: i compagni di squadra del “fortunato” saranno incentivati a passargli maggiormente la palla per fargli realizzare nuovi canestri, mentre la squadra avversaria accrescerà la difesa su di esso. Nessuno si chiede però quante partite e quante annate si sono dovute aspettare perché questo
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giocatore arrivasse a fare così tanti canestri di fila. È vero che alcuni giocatori sono più precisi e più allenati di altri, ma “la sequenza di tiri mancati o andati a segno soddisfa tutti i test di casualità” (Kahneman D. , 2012, p. 156).
Come precisa Kahneman, la tendenza che tutti abbiamo è quella di vedere schemi particolari nella casualità. Se seguiamo la nostra intuizione e se lasciamo lavorare solo il Sistema 1 spesso e volentieri sbagliamo e classifichiamo erroneamente eventi casuali come sistematici. Il soggetto economico fatica ad ammettere che la maggior parte degli eventi della nostra vita e quelli osservati siano effettivamente casuali. Dunque, la legge dei piccoli numeri ci porta principalmente a commettere due errori: il primo è quello di dare troppa fiducia a campioni piccoli: diamo più importanza al messaggio rispetto all’attendibilità delle informazioni, questo ci porta ad avere una visione sbagliata del mondo esterno che però ci risulta coerente con le nostre idee. Il secondo errore è quello di faticare a capire gli eventi casuali in quanto sono in contrasto con il nostro intuito.
3.3.2. L’effetto ancoraggio
L’effetto ancoraggio si verifica quando i soggetti, dovendo assegnare un valore ad una quantità ignota partono da un determinato valore disponibile. Questo effetto è uno dei più assodati e riconosciuti dalla psicologia sperimentale, ed è fortemente usato per influenzare il comportamento dei soggetti economici.
Quello che succede è che quando ci viene posta una domanda e nella formulazione di quest’ultima vi è un suggerimento, una risposta implicita o noi abbiamo una lontana idea della soluzione, la nostra mente è portata a partire dal numero che ci è stato fornito. Il processo che avviene nel nostro cervello è quello di valutare l’assurdità o l’esattezza del dato fornito e in base a quello che ci sembra logico, ci sarà un aggiustamento fatto dal Sistema 2: la nostra risposta sarà più alta o più bassa del numero inizialmente focalizzato e l’esito sarà totalmente condizionato da questa ancora in quanto il nostro Sistema 1 fa di tutto per costruire un mondo in cui l’ancora è la risposta corretta al quesito.
Arriviamo ad un esempio per capire l’effetto: se ci viene posta la seguente domanda: “Gandhi aveva più di centoquattordici anni quando morì?” probabilmente tutti noi troviamo poco reale che Gandhi sia vissuto fino a centoquattordici anni. Sappiamo che la risposta centoquattordici è sbagliata e che probabilmente la soluzione sarà inferiore a questo numero. Il nostro Sistema 1 però nel frattempo ha già creato nel nostro subconscio l’immagine di una persona molto anziana. Saremo dunque probabilmente tentati di attribuire un numero alto come anni vissuti da questo personaggio.
L’effetto ancoraggio è uno dei pochi effetti psicologici che sono effettivamente misurabili. Kahneman riporta nel libro Pensieri lenti e veloci (2012) un esempio inquietante di come l’effetto ancoraggio non influenza soltanto chi viene preso alla sprovvista da una domanda che non compete le proprie conoscenze ma anche persone esperte. Fu fatto un esperimento nel quale fu data la possibilità a degli agenti immobiliari di visitare un immobile, in seguito fu dato loro un opuscolo informativo con informazioni sull’immobile e il suo prezzo finale; metà degli agenti aveva però un prezzo ufficiale più alto del prezzo finale mentre all’altra metà ne aveva
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uno più basso. Una volta che gli agenti ebbero dato il loro prezzo, gli fu chiesto quale elemento avesse condizionato la loro decisione finale. Nessuno di loro indicò che il prezzo finale scritto sull’opuscolo gli avesse influenzati. I risultati però parlavano chiaro: l’effetto ancoraggio era del 41%. Da notare che la stessa situazione fu posta a degli studenti di economia e commercio, i quali non avevano nessuna capacità di valutazione immobiliare. Qui l’effetto ancoraggio risultò leggermente più alto, ovvero del 48% e gli studenti ammisero che la loro valutazione era stata influenzata dal prezzo dato dall’opuscolo informativo (Kahneman D. , 2012).
Da questo esempio possiamo evincere quanto sia inquietante e grande l’effetto che un’ancora può avere sul nostro processo decisionale. Una scoperta fondamentale sull’ancoraggio è che le ancore che sono palesemente casuali, sono spesso efficaci tanto quanto lo sono le ancore che danno informazioni plausibili: è stato fatto in merito un esperimento con dei giudici tedeschi con molti anni di esperienza lavorativa alle spalle. Fu sottoposto a questi giudici il caso di una donna che era stata sorpresa mentre rubava in diversi negozi; dopo avere letto il dossier fu chiesto loro di lanciare dei dadi truccati che ad ogni lancio davano come risultato 3 o 9 (si tratta dunque di un ancora casuale). Dopo il lancio del dado veniva chiesto ad ogni giudice se avrebbero imputato un numero di mesi di carcere superiore o inferiore al numero che dava il dado. Ne risultò che chi aveva ottenuto come risultato del lancio del dado 9 avrebbe imputato otto mesi di carcere, mentre chi aveva ottenuto 3 ne avrebbe imputati solo cinque. Da questo esperimento è stato calcolato un effetto di ancoraggio del 50% e anche in questo caso stiamo parlando professionisti che vengono influenzati nel proprio lavoro quotidiano da ancore puramente casuali che non hanno a che vedere con l’attività in questione (Kahneman D. , 2012, p. 168).
Nick Epley e Tom Gilovich riuscirono a dimostrare come è possibile limitare l’effetto ancoraggio: se nel momento in cui viene fornita l’ancora il soggetto scuote la testa questo è meno propenso ad aggrapparsi a questa riposta rispetto al soggetto che annuisce nel momento in cui l’ancora viene pronunciata (Epley & Gilovich, 2001). Adam Galinsky e Tomas Mussweiler proposero diversi modi per riuscire a resistere all’effetto ancoraggio nelle trattative: quando viene proposta un ancora, il soggetto economico deve cercare nella propria memoria degli argomenti per smentire quest’ultima, si va dunque ad attivare il Sistema 2 del nostro cervello che deve trovare la razionalità e deve andare ad esaminare in modo obiettivo la situazione (Galinsky & Mussweiler , 2001, p. 576-669). Si tratta però di comportamenti che richiedono molta attenzione e un particolare impegno nell’individuare ancore che vanno poi a deviare il nostro comportamento.
3.3.3. Eccessiva fiducia e la capacità di controllo
Attraverso diversi studi della psicologia si è notato il trend dell’essere umano ad avere una fiducia ingiustificata in sé stessi e ad avere una visione gonfiata delle proprie capacità: il 90% delle persone sostiene infatti di guidare meglio della media. Questo semplice dato ci dà una visione generale di quanto le persone possano avere una visione distorta di sé stessi e delle proprie capacità (Byrne & Utkus, Behavioural finance, 2013). Se il 90% dei guidatori ritiene di saper guidare meglio della media, vuole dire che solo il 10% dovrebbe essere sotto quest’ultima, il che è matematicamente impossibile.
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Ad un gruppo di studenti è stato chiesto quanti giorni avrebbero avuto bisogno nel migliore e nel peggiore dei casi per completare la propria tesi. Il risultato fu di 33 giorni nel miglio dei casi e di quarantaquattro nella peggiore delle ipotesi. La realtà dei fatti è stata che il numero di giorni medio usato da questi studenti per completare il loro elaborato è stato di cinquantacinque giorni.
L’eccessiva fiducia in campo finanziario può portare a decisioni sbagliate. Si tende a valutare la propria situazione finanziaria migliore di quella che è, questo porta a decisioni di investimento che non rispecchiano il proprio profilo di rischio (Krugman & Wells, 2013, p. 250-251). Un altro rischio che si presenta a causa di questa bias è quello di sovrastimare la propria capacità di prevedere l’andamento dei mercati finanziari, questo può portare ad un’eccessiva negoziazione che causa alte commissioni e ad una conseguente riduzione del profitto (Byrne & Utkus, Behavioural finance, 2013). L’economista Odean ha dimostrato come gli investitori che hanno un’eccessiva fiducia in sé stessi e nelle proprie conoscenze abbiano nel complessivo delle performance inferiori a causa del grande numero di transazione fatte sulla borsa. Questo accade perché gli agenti economici tendono a dare maggior peso alle proprie convinzioni rispetto alle informazioni a disposizione o alle opinioni di terze persone. (Barber & Odean, 1999). In termini pratici gli esseri umani tendono a vedere il mondo in termini positivi anche dopo avere preso decisioni sbagliate, questo porta degli effetti benevoli sul recupero della fiducia in sé stessi e dei mercati, ma allo stesso tempo può portare effetti dannosi sulle decisioni di investimento.
La sopravvalutazione delle proprie capacità e conoscenze in ambito economico porta gli investitori a credere di poter prevedere il futuro, le proprie decisioni di investimento vengono prese in base a queste presupposte conoscenze. La teoria tradizionale raccomanda la diversificazione degli investimenti in asset, valute e mercati. Non potendo però gli investitori avere la capacità di conoscere l’andamento di tutto il mercato mondiale, questi sono portati ad investire solo in quei mercati di cui pensano di poter prevedere il futuro creando così un portafoglio non sufficientemente diversificato. Si va così ad aumentare il rischio di perdita; l’eccessiva confidenza è strettamente legata ad un altro bias che ne è la conseguenza, ovvero quello della capacità di controllo: il soggetto economico pensa di avere più controllo negli investimenti rispetto a quello che ha realmente. In uno studio riportato nell’European Economic (1998) Review svolto su investitori affluent, viene riportato come questi ultimi credevano che la loro capacità di selezione dei titoli fosse un fattore fondamentale per la performance del proprio portafoglio. La realtà dei fatti era però che erano troppo ottimisti: non consideravano infatti l’effetto del mercato complessivo che in quel momento era in una fase di rialzo e per questo i loro investimenti fruttavano buone performance. Gli investitori attribuivano i profitti dei loro investimenti alla loro capacità di stock picking e non a fattori più ampi che nella realtà dei fatti avevano influenzato positivamente tutti i mercati finanziari (De Bondt, 1998). In conclusione, si può dire che l’eccessiva fiducia in sé stessi porta gli investitori a prendersi i meriti di investimenti andati bene, pensando che la propria capacità di selezionare titoli dal mercato sia superiore alla media, e per quanto riguarda invece gli investimenti andati male che portano una perdita al portafoglio, questo viene attribuito alla sfortuna. Questo processo mentale è problematico in quanto non consente un auto feed back negativo che invece sarebbe molto utile per la presa di decisioni future.
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La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
3.3.4. L’effetto gregge
L’appartenenza ad un gruppo è un sentimento al quale le persone sono comunemente molto sensibili: neuroscienziati hanno dimostrato come il rifiuto sociale e l’esclusione dal gruppo comportino a livello celebrale l’attivazione di aree del cervello che solitamente vengono attivate quando si prova del dolore fisico (Gironde, 2010, p. 104). Si tratta di un aspetto al quale siamo tutti particolarmente sensibili: spesso siamo disposti ad accantonare i nostri pensieri e i nostri desideri per non risultare diversi dalla massa e a seguire quelli degli altri per sentirci accettati dalla società. Questo modo di agire diventa ancora più rilevante se in passato abbiamo avuto esperienze in cui siamo riusciti ad andare contro corrente per rispettare le nostre ideologie contraddicendo quelle della massa ma il nostro operato si è infine rivelato sbagliato (Shiller, 2015). L’effetto gregge è un comportamento che porta il soggetto a compiere delle azioni che possono andare anche contro le proprie credenziali pur di seguire il comportamento del gruppo. Questo atteggiamento viene assunto per poter provare il senso di appartenenza ad un gruppo e perché sbagliare da solo risulta più brutto che sbagliare assieme. Il fatto di commettere degli errori che però altre persone stanno commettendo con me crea un senso di conforto nella tristezza dell’errore.
Si tratta dunque di un comportamento che viene assunto a causa di informazioni raccolte da fonti esterne. I canali di trasmissione di informazioni sono molteplici: se una volta l’unico modo di raccogliere notizie era il passaparola oggi, con l’avvento della tecnologia risulta molto facile reperire informazioni attraverso internet, giornali, televisione, radio e i media in generale. Gli studi dimostrano però che il canale più efficace rimane sempre il passaggio di informazioni da una persona all’altra. Nel 1985 Shiller e Pound hanno condotto un esperimento per determinare quale canale di informazione influenza maggiormente gli investitori. Distribuirono un questionario ad un campione di persone nel quale veniva chiesto che cosa avesse influenzato la loro ultima transazione borsistica. Il risultato fu che solo il 6% del campione attribuiva il merito ai giornali; la maggior parte degli investitori aveva agito in base a informazioni avute attraverso comunicazioni dirette con altre persone (Shiller, 2015, p. 170-180). Si pensi all’insider trading, ovvero alla divulgazione di informazioni, di dominio non pubblico, che vengono sfruttate per effettuare operazioni borsistiche traendo vantaggio dalla loro conoscenza anticipata. Questo comportamento è punito penalmente e vi sono organi appositi che controllano e monitorano i mercati finanziari con lo scopo di scovare possibili casi di insider trading. Questo perché il passaggio di informazioni anche solo tra due persone può causare gravi danni sia ad un singolo titolo che a interi mercati a causa dell’effetto gregge. Si pensi al crollo dei mercati finanziari accaduto nel 1987. I giornali riportarono l’informazione del crollo dei mercati unicamente il martedì mattina. Eppure, il fatidico giorno del crollo fu il giorno prima: il famoso lunedì nero. L’economista Shiller attraverso un questionario ha potuto constatare che l’81% degli investitori del suo campione aveva appreso del crollo in corso prima delle cinque del pomeriggio del lunedì, questo perché avevano parlato in media con sette persone di ciò che stava accadendo. Visto che i giornali riportarono informazioni inerenti il crollo unicamente il giorno successivo, le notizie principali furono trasmesse attraverso passaparola tra un investitore e l’altro (Shiller, 2015, p. 180).
Si può pensare alla trasmissione di informazioni come ad un virus al quale viene attribuito un tasso di trasmissione: se una persona ha un’informazione e ne parla con sette persone che a
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loro volta ne parleranno con altre sette possiamo immaginare come il tasso di propaganda di informazione cresca esponenzialmente. Pensiamo ora al gioco “il telefono senza fili”, la prima persona inventa una frase e la sussurra all’orecchio di quella accanto che a sua volta dovrà dire ciò che ha sentito alla persona che segue; l’esperienza ci insegna che più la frase iniziale è complicata e più persone partecipano al gioco, maggiore é la probabilità che all’ultima persona verrà riportata una frase completamente diversa da quelle che era stata detta inizialmente. Possiamo pensare che il passaggio di informazioni attraverso il passaparola funzioni nello stesso modo: quando un individuo riceve un’informazione, a dipendenza dalla sua percezione di quest’ultima andrà a riportare il dato ad un’altra persona personalizzandolo ed esponendolo in modo soggettivo in base a come lui stesso lo ha percepito. Ne segue che spesso le informazioni non sono puramente veritiere e obiettive e che il passa parola, principale canale di informazione, è un mezzo di informazione molto pericoloso e impreciso.
Ma vediamo un esempio storico di effetto gregge che portò ad una delle prime bolle speculative: quella dei tulipani avvenuta tra il 1636 e il 1637. Oggi risulta assurdo, ma in quegli anni il bulbo di un tulipano arrivò ad avere il prezzo di una casa. Come fu possibile? A causa dell’effetto gregge: nel 1600 il tulipano era un bene simbolico acquistato da famiglie benestanti, negli anni a seguire la volontà di possedere questo bene per raggiungere uno status symbol coinvolse anche le persone di ceto medio con capacità economiche limitate. Iniziò così l’incremento della domanda di bulbi di tulipani e il conseguente aumento del suo prezzo; intervennero investitori esteri che iniettarono liquidità in questo mercato crescente. Il commercio dei tulipani crebbe così tanto che vennero introdotte piattaforme di scambio specializzate e vennero sviluppate normative per regolamentare questo scambio. La fiducia degli investitori inizialmente era molto forte in quanto tutti riuscivano a trarre beneficio dall’andamento positivo, gli elevati guadagni erano un grosso incentivo ad investire specialmente per le fasce più basse della popolazione. Vi era una credenza generale che la passione per i tulipani sarebbe durata nei decenni e che gli investimenti sarebbero stati sempre fruttiferi. Si arrivò al punto che molti investitori decisero di svendere le proprie proprietà ed i propri terreni per investire al più presto una maggiore quantità di massa monetaria nel mercato dei tulipani. Ad un certo punto ci si rese conto del livello a cui si era arrivati. Iniziò così la preoccupazione che la grande euforia che aveva contagiato tutto il mercato non potesse continuare per sempre. Con la progressiva espansione di questa preoccupazione i prezzi iniziarono a scendere e si creò così panico generale che portò a sua volta ad un definitivo crollo dei prezzi. Moltissimi investitori nobili e commercianti furono così confrontati alla rovina finanziaria (Mackay , 2013).
Questo esempio ci fa capire come il comportamento di un gruppo di persone può portarci a compiere azioni che possono poi risultare assurde: ad oggi tutti sappiamo che attribuire lo stesso valore ad una casa e al bulbo di un tulipano è assurdo. Eppure in quel momento di euforia risultava una cosa logica e sensata. Svendere la propria abitazione per avere liquidità immediata da investire in questo mercato sembrava giusto perché tutti lo facevano. Restare obiettivi e razionali in un mondo dove dobbiamo e vogliamo sentirci parte di un gruppo e parte della società risulta dunque particolarmente difficile, e la tendenza è quella di seguire il comportamento della massa per non risultare una persona diversa dalle altre.
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3.3.5. Bias della disponibilità
L’availability bias è stata definita da Kahneman e Tversky come “il processo di giudicare la frequenza in base alla facilità con cui gli esempi ci vengono in mente” (Kahneman & Tversky, 1973, p. 207-232). Le decisioni vengono dunque prese in base alle informazioni in proprio possesso, ovvero quelle facilmente reperibili. Un esempio di questa bias è quando nel 2008 dopo la crisi finanziaria dei subprime Franking Templeton ha condotto un sondaggio presso vari investitori ai quali è stata chiesta una previsione sull’andamento dell’indice S&P 500 per i tre anni a venire, la maggior parte delle risposte prevedeva un andamento al ribasso o piatto a causa del bombardamento di tutte le informazioni negative che concernevano i mercati finanziari. La realtà dei fatti è stata che nel 2009 lo S&P 500 Index ha avuto une performance del 23.45%, nel 2010 del 15.06% e nel 2011 2.11% (SlickCharts, 2019).
Quando desideriamo valutare la frequenza di un evento siamo condizionati dunque dalla facilità con cui ci vengono in mente degli esempi di questo evento: più esempi abbiamo maggiore valuteremo sua periodicità di realizzazione. Paul Slovic, Sarah Lichtenstein e Barch Fischhof fecero degli studi sul bias della disponibilità: in un esperimento chiesero a dei volontari di considerare delle cause di morte abbinate ed indicare la causa più frequente e il rapporto di frequenza, emersero dei dati che dimostrano come le persone attribuiscono un’alta frequenza a eventi semplicemente perché ne hanno sentito spesso parlare. Dai test fatti è emerso che nonostante gli ictus provochino quasi il doppio dei decessi di tutti gli incidenti messi assieme, l’80% del campione giudicava più probabile la morte accidentale, il tornado è stato considerato come una causa di morte più frequente dell’asma anche se nella realtà la morte per asma è venti volte più frequente che quella per tornado. La morte per fulminazione è stata considerata meno frequente che la morte per botulismo nonostante a fatti reali quest’ultima è ben 52 volte più frequente. (Kahneman D. , 2012, p. 184). La conclusione è chiara: queste stime sono condizionate dal modo e dalla frequenza con cui i media trattano le informazioni e da come noi le percepiamo e ci ricordiamo queste ultime.
3.3.6. L’inerzia
L’inerzia è quel sentimento di incertezza e di confusione sul come procedere. L’essere umano ha una tendenza innata a guardare verso il futuro, ogni volta che prendiamo una decisione pensiamo a delle conseguenze. Il fatto è che abbiamo la capacità di conoscere il passato ma non il futuro: quando prendiamo una decisione nella nostra mente costruiamo i diversi scenari che la scelta potrebbe comportare. Il desiderio umano di evitare rimpianti guida le nostre scelte e la paura di sbagliare ci porta a temporeggiare o a prorogare il momento della decisione.
L’inerzia può essere un grande ostacolo ad un’ottimale pianificazione finanziaria in quanto impedisce agli investitori di prendere decisioni di investimento nel momento più opportuno. Se per esempio un investitore sta valutando di portare delle modifiche al proprio portafoglio, però non è certo di quello che vuole fare, tenterà di temporeggiare per vedere l’andamento dei mercati a causa della sua personale incertezza e indecisione. Questo comportamento fa sfumare opportunità di investimento fatte nel momento più opportuno. Per evitare questo tipo di comportamento si tende sempre di più ad assumere un pilota automatico, ovvero un sistema che ribilancia automaticamente gli investimenti, così facendo non vi sono momenti di dubbio
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per l’investitore e si va a ridurre anche la bias dell’eccessiva fiducia in sé stessi (Byrne & Utkus, Behavioural finance, 2013).
3.3.7. Effetto framing
L’effetto framing, noto in italiano come effetto inquadramento è una trappola mentale che porta i soggetti economici a percepire ed interpretare le informazioni in base a come queste vengono esposte. In particolare, si può essere influenzati attraverso: l’effetto contrasto, l’ordine di esposizione dei dati e attraverso la rappresentazione del rischio. Con effetto contrasto si intende che un prodotto può risultare più interessante se paragonato ad un’alternativa apparentemente simile ma meno intrigante. Kahneman nel libro Pensieri lenti e veloci (2012), espone come l’ordine in cui dei dati vengono forniti influenza le informazioni che vengono realmente percepite: l’effetto alone fa sì che il nostro cervello dia maggiore peso alle prime informazioni comunicateci rispetto alle ultime (Kahneman D. , 2012, p. 111). L’altro fattore che influenza le decisioni percepite è la rappresentazione del rischio: basti pensare ad un dottore che deve informare un paziente sulla percentuale di successo che può avere un dato intervento: se il medico parla del 60% di probabilità successo dell’intervento, questo dato ci sembra positivo, se invece parliamo della possibilità del 40% di insuccesso dell’operazione la nostra visione cambia in quanto ci sembra un numero eccessivo, ed è possibile che molte persone che avrebbero accettato l’intervento sapendo che avevano il 70% delle possibilità di successo, al pensiero del 30% di possibilità di insuccesso lo rifiutino.
3.3.8. La contabilità mentale
La teoria finanziaria raccomanda di trattare tutti i nostri investimenti in modo globale come un portafoglio, così come i rischi devono essere considerati nel loro complesso: non risulta efficace considerare utili, perdite e rischi di ogni singolo asset in quanto bisogna tenere presente la globalità degli investimenti considerando che la perdita del singolo titolo viene compensata con gli utili di un altro e di conseguenza vale lo stesso discorso per i rischi.
Il processo mentale umano però fa molto attrito con questa raccomandazione, gli investitori tendono infatti a concentrarsi in modo considerevole sull’andamento di ogni singola posizione in portafoglio, di conseguenza al momento della revisione di quest’ultimo si presentano inutili e ingiustificati allarmismi per la scarsa o negativa performance di un singolo titolo nonostante la tendenza globale del portafoglio sia positiva. Questa trappola mentale è accentuata dal fatto che gli esseri umani tendono a fare calcoli mentali quando si parla di denaro e rischio: abbiamo la tendenza a dare un budget ad ogni nostro impegno finanziario futuro e ad investire in base a questo budget aumentando il rischio per avere performance maggiori quando abbiamo degli obiettivi finanziari elevati e diminuendo il rischio quando si tratta di obiettivi più bassi. Creare diversi obiettivi finanziari suddivisi in base alle nostre esigenze finanziarie porta l’investitore a non prendere in considerazione la globalità degli investimenti ma a calcolarla in base a questi obiettivi, rendendo così gli investimenti poco ottimali.
Lo studio della contabilità mentale, contrariamene a quanto proposto dalla teoria del prospetto, sostiene che le nostre spese siano influenzate dalla provenienza del denaro: studi dimostrano che i soggetti raggruppano e categorizzano in diversi gruppi sia le diverse spese effettuate che
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i fondi e i ricavi in base alla loro provenienza. Questo principio della contabilità mentale viola il principio di fungibilità delle teorie economiche tradizionali secondo il quale il denaro presenta la caratteristica di perfetta sostituibilità. Richard Thaler propone un esempio che chiarisce questo concetto: egli dovendosi recare in Svizzera per presenziare ad un congresso aveva deciso di cogliere l’occasione di visitare il paese con sua moglie. Per limitare l’impatto emotivo dovuto alla spesa del viaggio con la moglie, egli si rese conto che trovava conforto nel fatto che a fine congresso avrebbe ricevuto una ricompensa monetaria che gli sarebbe bastata per coprire le spese della vacanza che seguiva. Se questo compenso gli fosse stato accreditato una settimana prima, quando era ancora negli Stati Uniti, i soldi spesi per la vacanza in Svizzera gli avrebbero arrecato molto più dispiacere rispetto a quello provato ricevendoli a fine congresso. Nel caso specifico le spese assunte hanno avuto un impatto inferiore a livello psicologico in quanto l’economista ha formato a livello mentale un conto legato all’impegno lavorativo svolto, fonte di guadagno dal quale sono poi state dedotte le spese della vacanza (Thaler , 1999, p. 183-184).
La fonte dei guadagni influenza la rapidità con cui si spende un determinato ammontare di denaro: gli economisti Shefrin e Thaler hanno ipotizzato che ci sia una classifica delle diverse fonti di denaro a disposizione ordinata sulla base del livello di tentazione a spenderli. I soldi che vengono spesi con maggiore disinvoltura occupano il posto più alto della scala e sono quelli che prendono la forma più liquida come il denaro contante e quello depositato su conti correnti e privati, mentre il denaro depositato su conti maggiormente vincolati come i conti risparmio o depositi titoli occupano il secondo posto della classifica. Al terzo posto abbiamo il denaro volto al rimborso dei prestiti ipotecari in quanto vi è una forte preferenza e tendenza al rimborso del prestito prima della pensione. La quarta ed ultima categoria, ovvero quella che presenta il rischio minimo di tentazione di essere speso è quella volta ai fondi pensionistici (Thaler , 1999). Per quanto riguarda gli investimenti si è notata la tendenza che l’individuo ha a definire la tipologia di investimento in base alla fonte del reddito e alla tipologia e frequenza di consumo: il denaro derivante dal reddito da lavoro viene solitamente investito in prodotti meno rischiosi, gli incassi da vincite o da “stipendi tantum” come bonus o gratifiche sono solitamente dedicati a investimenti più speculativi.
Vediamo dunque come vi è una tendenza a creare dei compartimenti mentali ai quali vengono attribuite entrate in base alla loro fonte e uscite in base al loro scopo. Questi bacini che vengono poi considerati individualmente, quando invece le teorie economiche tradizionali ci dicono che per un’ottimizzazione del portafoglio è necessario tenere in considerazione la globalità del portafoglio come anche la totalità del patrimonio e delle spese future.
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4. Differenze tra la teoria classica e la finanza comportamentale
Come detto in precedenza la maggior parte dei modelli economici ipotizza che gli individui prendano le proprie decisioni in modo razionale con l’obiettivo di ottenere il massimo profitto dal punto di vista economico dalle scelte prese. I comportamenti esposti finora però ci dimostrano che l’essere umano non è poi così lineare e scontato: invece di agire in base alla funzione dell’utilità come degli esseri calcolatori programmati spesso compiono scelte che portano a dei risultati con profitto economico inferiore a quello che avrebbero potuto ottenere. La ragione di queste scelte è spiegata dall’economia comportamentale, scienza che da una spiegazione al modo in cui le presone prendono realmente e non teoricamente le loro decisioni economiche. (Krugman & Wells, 2013, p. 249)
Le teorie classiche non tengono presente che il miglior risultato economico potrebbe non coincidere con il miglior risultato possibile che considera non solo di questioni finanziarie bensì anche di etica, di soddisfazione personale, disponibilità fisica ed economica, di integrazione personale e sociale. Paul Krugman e Robin Wells nel loro libro “Microeconomia” parlano di tre ragioni principali “per cui si potrebbe preferire un risultato economico subottimale: considerazioni di equità, razionalità limitata e avversione al rischio”.
4.1. Considerazioni di equità
In molte occasioni si può vedere come l’essere umano ha sì a cuore il risultato economico ma tiene anche in considerazione l’etica e l’equità. “Il termine etica si riferisce ai principi del giusto e sbagliato che governano la condotta di una persona, i membri di una professione o le azioni di un’organizzazione” (Hill, 2008, p. 128-130). L’etica è un valore che sempre più sta prendendo spazio nella nostra società e che sempre più influenza le scelte di consumo e le scelte economiche degli individui. Basti pensare tutti gli scandali che hanno colpito le multinazionali dagli anni Novanta in poi, primo tra tutti quello di Nike la quale esternalizzando la sua produzione e non controllando più la catena del prodotto non si è accorta che vendeva in paesi sviluppati beni prodotti nel terzo mondo da sfruttamento di manodopera minorile e da persone sottopagate. Questo colosso della moda non ha mai violato le leggi dei paesi in cui produceva, in quanto semplicemente in queste nazioni il mercato del lavoro è poco regolamentato. Nonostante ciò quando il pubblico è venuto a sapere da dove provenissero i prodotti acquistati e non trovando morale il comportamento dell’azienda e ha iniziato a fare pressione perché le cose cambiassero; e così è stato. Negli anni a seguire Nike capì che comportarsi eticamente richiedeva uno sforzo maggiore rispetto alla semplice legalità: ha infatti poi introdotto regole conformi alla morale comune, un codice di condotta e ha dovuto lavorare molto per poter ripulire la propria immagine. Questo esempio fa capire come, nonostante l’acquisto di palloni da calcio di Nike potrebbe portare una persona a raggiungere un buon risultato economico, questa non lo acquista in quanto va oltre alla scelta di ottimizzazione del benessere. (Hill, 2008, p. 126-127)
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Un altro esempio della considerazione di equità è la semplice mancia che viene lasciata al cameriere che serve al ristorante. Non essendoci alcuna legge in Svizzera che obblighi i clienti a lasciare una ricompensa, il vero homo oeconomicus che prende scelte razionali non si priverebbe mai del potere economico dato dai soldi a cui rinuncia per lasciare una mancia per riconoscere il buon servizio fatto dal cameriere. Eppure, secondo le norme della nostra società lasciare la mancia è un’abitudine data, come lo è anche fare un regalo o dare in dono qualcosa ad una persona che ci sta a cuore, sacrificando il proprio beneficio economico a favore di quello di una terza persona, senza che questa ci dia niente (di economico) in cambio (Krugman & Wells, 2013, p. 249-250).
4.2. Razionalità limitata
Gli economisti hanno formulato il concetto di razionalità limitata per spiegare le scelte prese che non permettono di raggiungere il massimo profitto economico ma comportano decisioni ottimali (o quasi) per l’individuo. Queste posizioni vengono prese in quanto l’essere umano capisce che lo sforzo che deve essere fatto per poter massimizzare il profitto economico (costo-opportunità, quantità marginali, impegno intellettuale) sono troppo difficili ed onerosi per essere presi in considerazione da chi sta prendendo una decisione, dunque vengono trascurati e si arriva ad una conclusione che sia comunque soddisfacente. Un banale esempio che viene largamente sfruttato dal commercio è quello dei prezzi dei beni venduti nei negozi: quante volte abbiamo visto prezzi di beni e servizi che terminano in 95? La mente umana porta il cliente a dare molto più peso alla prima cifra del prezzo, dunque se vediamo un bene che costa 2.95 franchi la nostra razionalità limitata ci porta a pensare che questo sia molto più a buon mercato rispetto ad un bene che costa 3.00 franchi, nonostante la differenza sia di solo 5 centesimo (Krugman & Wells, 2013, p. 250).
Gli psicologi imputano il comportamento irrazionale a sei errori comunemente commessi nel prendere decisioni:
1. L’errata percezione dei costi-opportunità; 2. L’eccessiva sicurezza di sé; 3. Le aspettative irrealistiche sui comportamenti futuri; 4. La diversa contabilizzazione del denaro; 5. L’avversione alle perdite; 6. La predilezione per lo status quo.
4.3. Percezione del rischio
Le teorie economiche tradizionali ipotizzano che l’homo oeconomicus prenda decisioni nella piena conoscenza di ciò che il futuro ha in serbo per lui. Non vi è incertezza sul futuro come non esiste la possibilità che un evento esterno si realizzi causando una perdita al posto del profitto economico atteso. Se queste ipotesi di conoscenza del futuro e di certezza fossero
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realistiche le assicurazioni non avrebbero alcun margine di manovra e non avrebbero senso di esistere, invece solo negli Stati Uniti ogni anno vengono riscossi dalle compagnie assicurative oltre i 1'000 miliardi di dollari di premi pagati per coprire il rischio che qualche cosa accada. Basti pensare ai disastri ambientali, terremoti, uragani e tsunami accaduti negli ultimi due decenni per capire che siamo perennemente in situazioni di incertezza caratterizzate da rischi. Solo nel 2005 in America si sono scatenati 3 fortissimi uragani che hanno distrutto e devastato intere città causando miliardi di dollari di danni e numerosi morti e feriti. Secondo l’Insurance Information Institute questo è stato il peggior anno per le assicurazioni che a causa di disastri ambientali hanno subito delle perdite cumulate di circa 50 miliardi di dollari. Possiamo quindi affermare con evidenza che qualsiasi scelta presa è caratterizzata da un rischio, pertanto gli individui possono anche rinunciare a compiere una scelta che li porterebbe a massimizzate il proprio profitto dal punto di vista economico soltanto perché questa cela un rischio troppo elevato per essere presa. Ogni soggetto ha una propria avversione al rischio che sarebbe “la disponibilità a rinunciare a parte del proprio beneficio economico al fine di evitare una potenziale perdita” (Krugman & Wells, 2013, p. 250). In generale gli individui non amano il rischio e sono disposti a pagare per evitarlo, infatti quando questi si trovano davanti all’incertezza scelgono l’opzione che gli assicura il maggior livello di utilità attesa, ovvero il valore atteso dell’utilità totale, data l’incertezza futura (Krugman & Wells, 2013, p. 542-544)
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5. La consulenza finanziaria
Kahneman e Ripe descrivono il processo di consulenza come “l’attività prescrittiva il cui obiettivo principale consiste nel guidare gli individui nel processo decisionale nel loro migliore interesse” (Kahneman & Ripe, 1998). Si tratta di un canale di comunicazione e di uno strumento con il quale più di ogni altro si è in grado di arginare gli errori sistematici che possono suggestionare le scelte di investimento.
Attraverso il processo di consulenza traspare l’educazione finanziaria e comportamentale del cliente e vi è un passaggio di informazioni fondamentali a quest’ultimo per poter permettere una presa ottimale di scelte di investimento. Questo processo presenta però dei limiti di efficacia che possono essere superati unicamente attraverso una corretta comunicazione verbale e un corretto passaggio di informazioni tra investitore e consulente e viceversa. Si parla di tecniche di “debiasing” quando si fa riferimento ad azioni intraprese allo scopo di rendere gli individui consapevoli degli errori cognitivi ai quali sono soggetti nel corso di un processo decisionale (Linciano, 2012). La consulenza finanziaria dovrebbe avere come scopo quella di informare il cliente sulle possibili scelte a sua disposizione come anche sui rischi che comportano queste scelte. Inoltre, il consulente dovrebbe aiutare il cliente a correggere o indirizzare le proprie aspettative e accompagnarlo nelle decisioni di investimento in base alle sue esigenze e ai suoi obiettivi finanziari di lungo termine.
L’educazione finanziaria può però generare un’information overload, ovvero l’incapacità degli investitori di acquisire ed elaborare informazioni ricevute (Lacko & Pappalardo, 2004). Può anche correggere la percezione delle informazioni sanando alcuni errori cognitivi ma generandone dei nuovi come per esempio rafforzare l’atteggiamento di ottimismo, della fiducia di sé e dell’illusione del controllo. Tutto questo porta poi ad una visione distorta della percezione del rischio (Willis, 2008). A tal proposito la Commissione Europea (2010) ha pubblicato un rapporto su dati raccolti da 6'000 risparmiatori retail di 8 paesi europei, dal quale scaturisce l’incompleto passaggio di informazioni tra intermediario finanziario e soggetti destinatari: è emerso che la comprensione dei clienti, delle caratteristiche dei prodotti finanziari nei quali investono e la considerazione di alternative per l’investimento è generalmente molto bassa. In particolare, la decisione di investimento sembrerebbe guidata in gran parte dalla famigliarità con il prodotto e l’intermediario distributore.
L’assistenza dell’intermediario ha dunque lo scopo di educare l’investitore. Attraverso la trasparenza informativa il consulente deve integrare un servizio di consulenza mirato a ridurre gli errori cognitivi e l’emotività cercando di rendere il cliente il più razionale possibile. Per una corretta formulazione di una proposta di investimento il consulente deve profilare il cliente, ovvero capire quale sia la propensione al rischio e la tolleranza alle perdite di quest’ultimo. Per fare ciò il consulente pone al cliente dei questionari i quali racchiudono degli scenari pessimistici e ottimistici per capire come quest’ultimo reagirebbe di fronte a determinate situazioni. Questi supporti hanno lo scopo di distinguere nel processo di profilatura le preferenze oggettive verso il rischio dalla capacità emotiva e dalla capacità finanziaria di assumere rischio (Linciano, 2012) così da poter garantire una rilevazione della tolleranza al
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rischio attendibile che servirà poi a mettere in atto una proposta di investimento personalizzata ed adeguata al consumatore finale.
A tal proposito ogni cliente ha la possibilità di optare per delle scelte individuali di investimento prese in modo autonomo oppure di seguire le proposte di investimento consigliate dal consulente. La scelta viene presa in base a diversi fattori, come le proprie conoscenze dei mercati finanziari, la disponibilità economica, la fiducia in sé stessi e negli intermediari finanziari. Come detto in precedenza il consulente dovrebbe aiutare l’investitore a non incappare nelle trappole mentali che forniscono una visione distorta della realtà, è anche vero però che essendo i consulenti delle persone umane, sono anch’essi soggetti agli errori cognitivi e comportamentali che alimentano uno scostamento delle aspettative e dei risultati effettivamente realizzati. Come accennato infatti nel capitolo sulla finanza comportamentale, non si può escludere che anche i soggetti professionalmente più competenti e con anni di esperienza alle spalle non subiscano distorsioni derivati da effetti di inquadramento e dell’applicazione di trappole mentali che semplificano in modo inesatto problemi complessi (Linciano, 2012).
In generale si è notato come al crescere delle conoscenze finanziarie del cliente aumenterebbe la propensione a prendere decisioni di investimento in autonomia discostandosi così dalle raccomandazioni ricevute dal consulente. Bucker-Koenen e Koenen (2011) hanno notato come la probabilità di accettare le raccomandazioni fatte dal consulente sia negativamente correlata al grado di educazione finanziaria. Si è inoltre notato come altri fattori influiscono sulla propensione a seguire le raccomandazioni di investimento date dal consulente: il grado di fiducia nel corretto funzionamento dei mercati e nelle regole che lo disciplinano è positivamente correlato alla scelta di investimento presa in base alle raccomandazioni dell’intermediario finanziario (Georgarkos & Inderst, 2010), così come sono positivamente correlate le dimensioni del patrimonio da gestire e l’avversione al rischio dell’investitore: maggiore è la fiducia nei mercati, il patrimonio da gestire e più una persona è avversa al rischio maggiori saranno le possibilità che questa si affidi alle raccomandazioni di investimento di un consulente (Gentile, Linciano, & Siciliano, 2006). Al contrario vi è una relazione negativa con la fiducia in sé stessi: maggiore è la fede che un investitore ricopre nelle proprie capacità personali, minore è la probabilità che questo si affidi alle competenze dell’intermediario finanziario (Georgarkos & Inderst, 2010).
Esiste dunque per gli intermediari finanziari molto margine di manovra per accaparrarsi la fiducia degli investitori e lasciare che questi si facciano guidare ed accompagnare nelle loro scelte di investimento. La fiducia va coltivata nel tempo, attraverso un’immagine limpida dell’azienda, attraverso competenze che possono venire esposte durante il processo di consulenza e attraverso un comportamento etico e corretto verso i mercati e verso i clienti. La differenza sostanziale viene espressa durante il colloquio di consulenza: risulta dunque importante approfondirne le diverse fasi.
Il processo di consulenza si divide in tre principali fasi: la prima è quella di preparazione della decisione di investimento, la seconda è quella della decisione di investimento dopo di che segue il feed back e la revisione del portafoglio (Tschümperlin Moggi, 2018).
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5.1. Preparazione della gestione di investimento
La fase della preparazione di investimento si divide in due micro-compiti: è necessario come primo passo conoscere il cliente, ovvero capirne le personalità finanziarie, quali sono le esigenze e gli obiettivi di investimento, quale è la tolleranza al rischio e l’orizzonte temporale. Il secondo micro-compito è quello di elaborazione delle informazioni raccolte e di sviluppo dell’informativa sulla politica di investimento e della strategia del cliente.
In questa prima fase risulta fondamentale fare un’analisi sistematica di tutti i mercati rilevanti e fare un’accurata valutazione delle prospettive di rischio e di rendimento dei diversi scenari rapportandole alle aspettative del cliente. È necessario capire quali sono i desideri del cliente, quali sono i suoi limiti temporali, finanziari, di conoscenza e di capacità di rischio così da poter sviluppare una proposta personalizzata in base alle sue esigenze.
5.1.1. Conoscenza del cliente
La fase di racconta di informazioni comporta un dialogo molto aperto tra consulente e cliente. L’investitore deve dare il maggior numero di informazioni possibili all’intermediario finanziario per permettere a quest’ultimo di poter sviluppare una proposta di investimento adatta dalle proprie caratteristiche. Molte banche e società di investimento per svolgere questa fase del colloquio di consulenza utilizzano come supporto dei questionari i quali hanno come obiettivo la raccolta del maggior numero di informazioni sugli investitori. Per poter elaborare una proposta ottimale è infatti molto importante capire quale è il patrimonio totale del cliente, capire che rapporto quest’ultimo ha con il rischio e in generale con gli investimenti, quali sono le sue esperienze passate in ambito di investimenti e quali sono i suoi obiettivi e le sue spese future. Trattandosi di informazioni molto personali è necessario che il cliente abbia totale fiducia nel consulente e che ci sia uno scambio limpido di informazioni. L’efficacia della consulenza nell’orientare correttamene le scelte degli investitori può incontrare un limite nella modalità e nella tipologia di informazioni acquisite dal consulente per la classificazione del cliente. I questionari sottoposti per profilare il cliente durante questa fase consentono di valutare la capacità economica di sopportazione del rischio ma danno informazioni limitate sulla tolleranza al rischio del cliente stesso (Linciano, 2012).
In questa fase del ciclo di vita della consulenza possono emergere vari bias descritti nei capitoli precedenti. Alcuni sono correlati alla fiducia o all’avversione al rischio degli investitori: il cliente tende a sopravvalutare i rischi conosciuti e a sottovalutare rischi che prima non teneva in considerazione. In questa fase sia il consulente che il cliente devono portare particolare attenzione al modo in cui percepiscono le informazioni per evitare l’effetto framing descritto nel capitolo 3.3.6.
5.1.2. Elaborazione delle informazioni raccolte
Segue dunque la fase di elaborazione delle informazioni nella quale il consulente discute delle varie opzioni di investimento possibili con il cliente. In base alla propensione al rischio, agli obiettivi prefissati e all’orizzonte temporale del cliente il consulente propone le varie opzioni di
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investimento e dei fornitori. Viene così costruito un portafoglio che definisce i rischi da assumere per realizzare gli obiettivi di investimento che rispettino le esigenze concordate.
In questa fase sia il consulente che il cliente possono incappare nell’errore di utilizzare dei rendimenti storici per avere un’idea dell’andamento futuro dei vari assets. Possono inoltre insorgere bias correlati alla capacità di rischio del cliente come un’eccessiva protezione o la tendenza a dare più peso a informazioni che confermano le proprie opinioni ignorando invece le indicazioni che contrastano i propri pensieri. La valutazione degli investimenti dipende sempre dalle esperienze pregresse in situazioni analoghe, sta infatti al consulente riuscire a guadagnarsi la fiducia del cliente e tentare di dimostrare con dati obiettivi che le esperienze passate non per forza influenzano e intaccano quelle future.
La selezione dei titoli deve essere accurata e deve essere fatta in modo da diversificare il più possibile il portafoglio. In questa fase il processo decisionale del cliente è influenzato dall’elevato carico cognitivo dovuto allo sforzo del sistema 2 di memorizzazione delle informazioni fornite. Il cliente si trova dunque in un momento nel quale può incappare in diversi bias comportamentali: tende infatti a selezionare unicamente attivi con i quali ha famigliarità, inoltre l’effetto ancoraggio può portare il cliente a non valutare in modo obiettivo un dato investimento a causa di un’ancora precedentemente creata e presa come punto di partenza per l’analisi dei fatti. Il conservatorismo può inoltre indurre nell’errore di non adeguare le aspettative e le opinioni già formulate sulla base di nuove informazioni. Tutte queste bias, se non gestite fanno sì che il cliente si crei un portafoglio non ottimale per le sue esigenze e possibilità.
5.2. Decisione di investimento
Alla fine della fase precedente si giunge alla formulazione di una strategia che comporta una decisione di investimento. Sia il cliente che il consulente devono avere la stessa visione delle aspettative di rendimento e della misura dei rischi che il soggetto destinato ad acquistare ha. La strategia scelta deve infatti corrispondere alle esigenze del cliente e vi deve essere un accordo tra i due soggetti sugli obiettivi a lungo termine prefissati. A questo punto viene implementato il portafoglio considerato adeguato al cliente. Questa è una fase molto sensibile per quest’ultimo in quanto possono scaturire influenze intrinseche come la paura o l’avidità, la sopravvalutazione di sé e l’illusione del controllo. L’investitore può essere indotto a pensare che non sia il momento giusto di effettuare tali investimenti e il sentimento di paura può far sì che determinati rischi vengano sopravvalutati portando il soggetto economico a chiedere delle coperture più alte rispetto a quelle che il suo profilo di rischio richiede.
Da parte del consulente invece possono insorgere degli errori nell’operato come ritardi nell’inserimento degli ordini di borsa stabiliti con il cliente, il mancato rispetto delle decisioni di investimento o l’insistenza in merito ad azioni di copertura. È dunque molto importante riuscire a tenere una posizione razionale e obiettiva della situazione, informare in anticipo il cliente dei rischi che sta correndo e prepararlo ai diversi scenari che si potrebbero presentare in futuro.
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5.3. Dopo la decisione di investimento
Nella fase finale del ciclo di vita della consulenza viene fornita una continua assistenza al cliente durante il percorso di investimento, questo comporta il monitoraggio e la valutazione regolare della performance globale del portafoglio. Sia le teorie classiche che quelle più nuove sostengono che una delle chiavi del successo di un portafoglio sia la diversificazione.
In caso di scostamenti dalla strategia di investimento concordata con il cliente è possibile che in questa fase sia necessario un ribilanciamento degli investimenti in modo da rispettare sempre il profilo di investimento e di rischio del cliente.
L’intermediario finanziario in questa fase potrebbe essere esposto a delle bias come l’eccessiva negoziazione che causa una riduzione delle performance del cliente dovuta ai costi di transazione oppure l’avversione al rischio che porta a non aprire posizioni in perdita se non al contrario l’eccessiva avidità che insorge con l’aumentare del potenziale di guadagno del portafoglio. In questa fase è inoltre importante verificare che il profilo del cliente sia sempre aggiornato, in quanto quest’ultimo varia con il cambiamento delle fasi di vita del soggetto economico.
Dal canto suo l’investitore può sentire un senso di coinvolgimento con l’investimento, ovvero si sente particolarmente vincolato dalla propria decisione di investimento iniziale non riuscendo ad intraprendere le azioni necessarie nel caso emergano nuove informazioni in contrasto con quelle precedenti.
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6. Interviste a consulenti della piazza finanziaria ticinese
Quando il soggetto economico decide di fare degli investimenti deve affidarsi ad un istituto finanziario che farà da tramite tra lui e la borsa. Il consulente ricopre un ruolo fondamentale nella vita economica dell’investitore in quanto ha lo scopo di accompagnare il proprio cliente nel mondo finanziario, consigliandolo su come impiegare il proprio patrimonio nel modo più opportuno.
Il presente capitolo ha lo scopo di verificare se il comportamento irrazionale degli investitori e le diverse bias descritte finora grazie a supporti teorici vengono effettivamente riscontrati nella vita reale. Per fare questo ho redatto un questionario con l’obiettivo di intervistare 5 consulenti bancari attivi sulla piazza finanziaria ticinese nei settori retail e private banking.
Le domande poste sono state suddivise in base alle fasi di vita del colloquio di consulenza così da poter identificare in quale momento viene riscontrata una maggiore irrazionalità dell’investitore. L’obiettivo dei colloqui non era quello di rispondere necessariamente a tutte le domande, bensì di avere una discussione aperta con i consulenti sul comportamento che riscontrano quotidianamente nei loro clienti.
Le interviste sono state fatte a cinque diversi consulenti, attivi in tre differenti banche. Due di loro sono attivi nel retail come consulenti alla clientela privata, gli altri tre sono attivi nel private banking. Ho deciso di intervistare persone attive nei due settori così da poter avere un punto di vista più generale sul comportamento di diverse tipologie di investitori.
6.1. Elementi emersi dalle interviste
Ho riscontrato nelle risposte date dai cinque consulenti una stessa percezione dei clienti, ovvero di persone irrazionali che tendono a prendere decisioni in modo impulsivo guidati da “emozioni di pancia”.
La situazione attuale dei tassi di interesse negativi è un grande incentivo per gli investitori (soprattutto quelli retail) a trovare soluzioni di investimento alternative che rendano più dello 0% attualmente pagato dai conti risparmio, così come lo è per i clienti private che si trovano in alcuni casi a pagare interessi negativi per il deposito di liquidità su conti correnti.
Uno degli aspetti fondamentali messo in rilievo da tutti e 5 i consulenti è il rapporto di fiducia che si deve istaurare tra cliente e consulente per far sì che le reazioni irrazionali possano essere controllate. Approfondiremo questo argomento nel corso del presente capitolo.
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6.1.1. Elementi emersi riguardanti la prima fase del colloquio di consulenza
Per quanto riguarda la prima fase del colloquio di consulenza sono emerse alcune differenze tra i clienti private e retail: la prima è la visione del proprio patrimonio totale e la seconda è nella fase di profilatura del cliente.
I consulenti A e C attivi nel retail hanno messo in rilievo come la loro tipologia di clientela abbia una visione relativamente chiara del proprio patrimonio totale. Il retail banking si occupa di clientela base con un patrimonio netto non superiore ad un tetto massimo, nella fattispecie non maggiore ai duecentocinquantamila franchi. A questa tipologia di clientela viene offerta una gamma di prodotti altamente standardizzata e facilmente comprensibile. Per quando riguarda gli investimenti la stragrande maggioranza della clientela retail opta per investimenti semplici. Negli ultimi anni le banche attive nel retail puntano molto sui fondi di investimento in quanto vengono ritenuti una buona alternativa di investimento rispetto al conto risparmio. Il fatto che questa tipologia di clientela abbia una visione relativamente chiara del proprio patrimonio totale è probabilmente associata al fatto che solitamente l’attivo di questi soggetti è composto da fondi liquidi, investimenti semplici ed eventualmente da beni immobili come l’abitazione principale. Si tratta dunque di un patrimonio facilmente identificabile e quantificabile. Un fattore fondamentale che permette la chiarezza delle informazioni riguardo al patrimonio totale di questi clienti è che uno dei servizi base offerto dal retail è il credito ipotecario. Prima di poter concedere un prestito la banca deve tassativamente avere una visione generale del patrimonio del cliente per poterne calcolare la sostenibilità. Viene dunque fornita l’ultima tassazione fiscale la quale racchiude tutta la sostanza e tutti i redditi del soggetto.
I consulenti B, D ed E hanno invece risposto negativamente: a loro parere la clientela private fatica ad avere un’helicopter view della loro situazione patrimoniale in quanto solitamente suddivisa in diverse banche, investita in beni mobiliari ed immobiliari ed eventualmente anche in opere d’arte al quale si fatica a dare un valore oggettivo. La complessità del patrimonio di questa tipologia di clientela non aiuta dunque il soggetto stesso ad avere una percezione obiettiva di quello che possiede.
Avere una visione corretta della ricchezza totale del cliente è importante per la banca per poter calcolare la quota di patrimonio libero da investire. La profilatura del cliente avviene sempre secondo questionari, i quali hanno l’obiettivo di determinare quanto il cliente può ed è disposto a rischiare. Per la clientela retail ad avere una maggiore influenza sul profilo di rischio è la capacità di rischio, la quale indica la percentuale di patrimonio senza la quale il cliente riuscirebbe a vivere non alterando il proprio stile di vita. Per la clientela private invece la capacità di rischio è sempre molto alta vista l’importanza del loro patrimonio. Si deve dunque prestare particolare attenzione nella determinazione della tolleranza alle perdite la quale rappresenta la parte soggettiva del profilo: il cliente riesce a dormire la notte sapendo che il suo capitale investito è in perdita? Se la capacità e la tolleranza non corrispondono si opta sempre sul profilo più basso dei due in quanto è importante che il cliente non si precluda delle possibilità future a causa di investimenti andati male o che semplicemente non viva serenamente sapendo di essersi assunto rischi che non riesce a tollerare a livello psicologico.
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La fase di profilatura del cliente è fondamentale nel ciclo di vita dell’investimento in quanto è il primo momento in cui si trattano concetti chiave come l’arco temporale, la correlazione tra rischio e rendimento, la volatilità e gli obiettivi di investimento che verranno poi ripresi durante tutto l’arco dell’impiego del capitale. Questi concetti sono necessari a capire a cosa si sta andando in contro. Durante le interviste è stato messo l’accento sul fatto che in questa fase è bene spendere anche più tempo del dovuto per informare e formare il cliente spiegandogli che cosa un investimento comporta. Durante questa parte del colloquio non basta ascoltare le risposte del cliente ma bisogna prestare attenzione alla comunicazione non verbale, alle reazioni e alle espressioni che questo ha quando gli si presentano i diversi scenari e quando gli si pongono le domande. Il profilo di rischio è un dato che va regolarmente aggiornato in quanto cambia con le diverse fasi della vita. È infatti provato che con l’avanzare degli anni la propensione al rischio tende generalmente a diminuire. Quello che i consulenti intervistati hanno notato è che questo profilo può cambiare anche in base alle fasi in cui il mercato si trova: se siamo in una fase di rialzo il cliente è positivo ed esaltato e tendenzialmente sarà propenso ad assumersi più rischio di quello che realmente può sostenere, viceversa in una fase di ribasso dei mercati poche persone saranno stimolate ad investire in modo rischioso. Il consulente in questo caso cerca di tenere un profilo oggettivo che non dovrebbe modificarsi in base a sensazioni di euforia o di sconforto date dalla situazione attuale dei mercati. In questa situazione si riprende e si mette l’accento sull’arco temporale di investimento stabilito spiegando che è vero che per un piccolo periodo i mercati possono trovarsi in una fase di rialzo o perdita ma con il passare del tempo queste fasi si modificano. Con il profilo dell’investitore vengono inoltre stabiliti gli obiettivi di investimento, i quali rappresentano il miglior aggancio da “sfruttare” e ricordare al cliente quando questo ha delle reazioni irrazionali dovute a oscillazioni di mercato, questo lo aiuta a restare sulla giusta strada che lo porterà non solo ad un investimento di successo ma anche ad una stabilità e tranquillità psicologica che gli permetterà di dormire sonni tranquilli.
È inoltre fondamentale che il consulente esponga le informazioni in modo opportuno e comprensibile al cliente per evitare malintesi dovuti ad un’errata percezione delle informazioni da parte di quest’ultimo che ha sempre la tendenza ad assimilare maggiormente le informazioni positive che gli danno un senso di conforto e sicurezza rispetto a quelle negative che gli trasmettono paura e angoscia. Per fare questo vengono spesso usati grafici storici sui quali si mostra la volatilità, l’arco temporale dell’investimento e i possibili scenari futuri; vengono inoltre indicati dati in termini assoluti e non percentuali, così che il cliente prenda maggiormente coscienza e veda la realtà dei fatti nel modo più obiettivo possibile.
6.1.2. Elementi emersi riguardanti la seconda fase del colloquio di consulenza
La selezione dei titoli è stato un argomento trattato maggiormente dai consulenti private durante le interviste. Tutti e tre i consulenti rimarcano la tendenza del cliente a voler investire in prodotti, mercati o aziende già conosciuti. Questo non è però visto come un vero e proprio problema anzi: se il cliente capisce bene e rispetta il concetto di diversificazione del portafoglio per valuta, settori e aree geografiche è giusto considerare gli interessi del cliente. L’investimento non deve essere intrapreso all’unico scopo di creare profitti. Se i capitali investiti vengono posizionati in modo da rispettare l’etica e i principi del consumatore, questo
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probabilmente sarà portato ad avere delle reazioni maggiormente controllate quando il portafoglio perde valore. Durante un’intervista è stato fatto un esempio pratico per spiegare questo fenomeno: pensiamo ad un cliente che impiega il proprio capitale in fondi di investimento che si dedicano alle ricerche sull’oncologia. Quando l’investimento guadagna valore ovviamente questo porta soddisfazione proprio come lo farebbe qualsiasi altro investimento. Se invece l’investimento perde valore, la diminuzione sarà parzialmente compensata dalla soddisfazione personale che l’investitore avrà per avere investito del denaro in buona causa, viene quasi vista come una donazione quindi possiamo dire che il profitto dato dall’investimento non è più unicamente economico ma anche etico. È altresì vero che effettuare investimenti così personali ed emozionali che stimolano la sensibilità del cliente può portare ad un senso di attaccamento che induce a non valutare obiettivamente quando è il giusto momento di vendere o quando è necessario farlo per arginare le perdite o incassare i guadagni. Anche in questo caso può essere un fattore di successo stabilire degli obbiettivi prima che l’investimento venga effettuato così che quando questi sono raggiuti, ci si muova di conseguenza.
Quando viene effettuata la proposta di investimento si mostrano al cliente i diversi scenari futuri: si fa dunque una proiezione del portafoglio del cliente indicando quale è la prospettiva rosea e quale è quella negativa. Tutti e cinque i consulenti mettono in rilievo l’importanza di dedicare il giusto tempo alla prospettiva negativa. Parlare della visione positiva è molto facile: l’investitore ascolta volentieri informazioni rassicuranti e le assimila ed elabora molto facilmente, quando si parla invece della possibilità di perdite il cliente tende a trascurare questo aspetto in quanto lo trova poco realistico; d’altra parte chi investe si aspetta un profitto e non una perdita, altrimenti non correrebbe il rischio. È dunque fondamentale anche in questa fase mostrare rappresentazioni grafiche e parlare in termini assoluti. Durante i colloqui è emerso che in questo momento si riscontra maggiore razionalità nei clienti che hanno già avuto esperienze passate negli investimenti in quanto conoscono già la materia trattata come anche le possibili conseguenze dell’andamento dei mercati e soprattutto conoscono sé stessi e le loro emozioni in momenti critici. Se da questo punto di vista l’esperienza pregressa può essere un aspetto positivo, dall’altra può essere un grande ostacolo: una parte del portafoglio dei consulenti intervistati è caratterizzata da clienti che hanno avuto esperienze negative in passato. Questa tipologia di clienti si divide a sua volta in due categorie:
• Clienti 1: persone che già in passato era restie ad operare sul mercato ma suo tempo sono stati convinti o forzati da terze persone;
• Clienti 2: persone che in passato hanno intrapreso per loro convinzione degli investimenti consapevoli dei rischi che stavano correndo
I clienti 1 sono ad oggi irremovibili: in passato hanno dato fiducia ai mercati o a intermediari finanziari e con un investimento andato a male non si è bruciato solo il capitale investito ma anche la fiducia del cliente che ad oggi e probabilmente anche in futuro è irrecuperabile. Con questa tipologia di persone risulta superfluo o addirittura inutile tentare di discutere su possibili investimenti che si adeguano al loro profilo di rischio in quanto soffrono troppo e vivono con la paura di ricommettere gli errori passati.
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I clienti 2 invece rappresentano una sfida per il consulente in quanto spesso e volentieri con il tempo, dopo svariati incontri si riesce a recuperare la fiducia. Per fare questo è necessario riuscire a stabilire con il cliente un legame di stima reciproca. L’approccio vincente non è quello di dimenticare gli errori commessi in passato ma di riprendere in mano l’accaduto, per esempio i prodotti in cui si aveva investito, analizzarli e scoprire il perché questi sono andati male. Si deve poi trovare una soluzione adatta alle esigenze attuali del cliente per il futuro.
Per evitare ripensamenti dopo la decisione di investimento è indispensabile che il cliente abbia capito a fondo che cosa sta facendo, in cosa sta investendo, quali sono gli obiettivi e quale è l’arco temporale dell’investimento. Visto il grande numero di informazioni e la complessità del tema è molto importante chiedere feed back regolari al cliente, verificare che questo abbia compreso ogni singolo dettaglio. Durante le cinque interviste è emerso un comportamento che molti clienti spesso esternano: dopo la proposta di investimento fatta dal consulente vogliono prendersi del tempo per pensarci, per studiare l’idea e per dormirci sopra. Questo è un aspetto che aiuta il cliente a razionalizzare quello che sta facendo. Spesso e volentieri questo tempo viene preso anche per chiedere consiglio a terze persone, come partner, figli o terze persone. La cosa particolare è che solitamente i clienti che si prendono il giusto tempo per decidere, non hanno poi ripensamenti futuri e accettano con maggiore razionalità gli eventi.
6.1.3. Elementi emersi riguardanti la terza fase del colloquio di consulenza
La fase del feed back o del post investimento è quella che avrei pensato scatenasse la maggior parte delle reazioni irrazionali dei clienti. Durante le interviste è invece emerso che pochissimi clienti hanno comportamenti spropositati davanti a fluttuazioni di mercato. La giustificazione che mi è stata data è che se nelle fasi precedenti l’investimento si è dedicato il tempo necessario al cliente per fargli prendere coscienza di ciò che stava facendo, la fase di revisione si risolve in una semplice discussione dell’andamento attuale dei mercati e delle prospettive future.
Le reazioni emerse sono per lo più quelle dovute ad andamenti positivi dei mercati che portano sensazioni di euforia ai clienti: i cinque consulenti confermano di avere riscontrato spesso il sentimento di avidità nelle fasi rialziste. Il desiderio di volere guadagnare sempre di più quando le cose vanno bene è dunque un elemento parecchio comune tra gli investitori, che si rivelano infatti restii a vendere quando l’obiettivo di investimento iniziale è stato raggiunto. Per alleviare questo sentimento il consulente riprende gli obiettivi previsti a inizio investimento e cerca di indirizzare il cliente verso la scelta più giusta nonché razionale. È anche possibile inserire dei tetti per il valore dell’investimento, che se raggiunti comportano la vendita automatica del titolo in questione.
6.2. Raccomandazioni ai consulenti
Durante le interviste svolte oltre che sentire l’esperienza accumulata negli anni dai consulenti ho voluto mettere l’accento sui metodi che questi hanno di deviare o evitare gli atteggiamenti
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irrazionali degli investitori: le loro tecniche di debiasing. Ne è risultato che tutti e cinque i consulenti intervistati sono d’accordo nell’affermare che l’investitore medio è una persona irrazionale, ma se a questo soggetto vengono forniti i mezzi e le capacità di capire ciò che sta facendo e ciò che sta succedendo, l’oggettività riesce ad emergere e a prevalere sull’irrazionalità. La fase più sensibile del ciclo di vita del colloquio di consulenza al quale il consulente deve prestare particolare attenzione è la prima in quanto vengono stabiliti gli obiettivi di investimento, vengono chiariti concetti fondamentali che verranno poi usati in seguito per razionalizzare il cliente in momenti di pressione nel quale avrà reazioni che lo potrebbero portare a compiere scelte affrettate dovute a errori cognitivi.
È fondamentale dedicare al cliente il tempo che questo necessita per capire i diversi concetti dell’investimento come l’arco temporale, la volatilità, il rischio e la diversificazione. Non a caso durante tutte le interviste è emerso che l’investitore che ha conoscenze in ambito investimenti, che segue i mercati, che è informato a livello macro e microeconomico ha anche una certa razionalità nella presa di decisioni, nel senso che non si lascia prendere da reazioni istintive. È inoltre importante mettere l’accento sugli argomenti che possono indurre il cliente ad avere comportamenti irrazionali, come per esempio la prospettiva negativa dell’investimento. Tutto ciò che risulta negativo alle orecchie del cliente è difficile da ascoltare ma è importante da capire. Trattare con attenzione questi argomenti scomodi portano il cliente a razionalizzare ciò che potrebbe succedere, questo fa sì che in futuro non ci sia margine di incomprensione tra cliente e consulente. Per verificare se le informazioni sono state percepite in modo corretto è spesso utile lasciare che il cliente ci rispieghi che cosa ha capito così che se c’è stata una sbagliata interpretazione delle informazioni, queste emergano subito.
Il cliente deve avere ben chiaro che non si possono realizzare solo scenari positivi ma anche quelli negativi e lui stesso deve essere preparato a reagire nel migliore dei modi. Abbiamo descritto nel capitolo 3.1 il funzionamento del nostro sistema 1 e del sistema 2 e abbiamo appurato che le reazioni irrazionali e le conclusioni affrettate avvengono grazie al sistema 1. Avere delle buone basi di conoscenza ci aiuta a svolgere dei ragionamenti coerenti con la realtà e porta il sistema 1 a recepire e ad elaborare le informazioni in modo corretto. Il sistema 2 ovvero quello razionale è molto pigro e ha bisogno di tempo per intervenire, ecco perché anche dopo avere effettuato una proposta di investimento è bene non forzare il cliente ma se necessario lasciargli il tempo necessario per riflettere e di studiare la proposta. Una volta che il sistema 2 arriva alle proprie conclusioni, se il cliente decide di investire lo farà in modo cosciente.
Ad incorniciare tutti questi comportamenti che dovrebbero indirizzare il cliente verso scelte di investimento razionali vi è la fiducia che il cliente deve avere nei confronti del consulente, questa va guadagnata con il tempo e con la dedizione che il consulente deve avere nei confronti dell’investitore. Quest’ultimo deve percepire il valore aggiunto che l’intermediario gli porta altrimenti non spenderà tempo e denaro per ascoltare i consigli di una persona che non ritiene competente. Quando c’è fiducia, in situazioni di panico o di euforia è probabile che il soggetto economico chieda aiuto alla persona esperta, la quale dovrebbe aiutarlo ad avere un occhio oggettivo. Se non c’è fiducia, il cliente da poco peso alle parole del consulente e questo crea conseguenze negative sull’investimento.
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7. Conclusioni
Per redigere la presente tesi ho voluto dedicare gran parte del tempo e dello spazio all’analisi teorica del comportamento irrazionale del soggetto economico. Questo perché trattandosi di un tema relativamente nuovo e con caratteristiche molto soggettive ho ritenuto interessante prendere in considerazione esempi ed esperimenti ritrovati nella bibliografia che risultano attuali ed esplicativi nonostante alcuni di essi siano stati intrapresi diversi anni fa. Le interviste esposte alla fine della parte teorica sono servite da supporto per verificare se effettivamente esperti del settore riscontrassero nella loro vita lavorativa l’irrazionalità dell’investitore.
La presente tesi è stata pensata con lo scopo analizzare il soggetto economico reale e di capire come la percezione e l’elaborazione delle informazioni esterne influiscono sulle scelte degli investitori. Mi sono poi chiesta in che modo i consulenti riescono a limitare, ridurre o eliminare l’influsso degli errori cognitivi nel processo decisionale dei clienti. Per rispondere a questi quesiti sono partita dall’analisi delle teorie tradizionali mettendo in rilievo la figura dell’homo oeconomicus. Ne è risultato che l’essere razionale che opera in funzione della massimizzazione dei propri profitti è un personaggio puramente teorico che è stato creato con lo scopo enfatizzare ed analizzare il comportamento che l’investitore ideale dovrebbe avere in condizioni di piena informazione. Le teorie tradizionali decidono di accantonare l’anima, lo spirito e le credenziali dell’essere umano che racchiude l’etica, i sentimenti e le emozioni. La finanza comportamentale invece analizza un soggetto completo reale ovvero una persona che sì vuole raggiungere i propri obiettivi economici ma viene continuamente ostacolata dalla propria parte irrazionale influenzata da eventi esteri che ostacolano di continuo la sua mente e il suo processo decisionale.
I sentimenti, l’etica e le opinioni personali non sono i soli fattori che portano il soggetto economico ad esternare la propria irrazionalità: vi è infatti anche la sbagliata percezione delle informazioni, la tendenza che l’individuo che vive in una società ha di volersi sentire parte del gruppo, il bisogno di essere stimato e di stimarsi e così via dicendo.
Vi sono dunque innumerevoli fattori che portano il soggetto economico a compiere delle scelte che tutto sono meno che razionali. Quando gli investitori decidono di operare sul mercato si devono rivolgere ad un intermediario finanziario: entra dunque in gioco il ruolo del consulente finanziario, il quale grazie alle conoscenze e all’esperienza dovrebbe avere un punto di vista più razionale rispetto all’investitore. Questo soggetto esperto ha il compito di accompagnare i propri clienti nelle scelte di investimento attraverso le diverse fasi del colloquio di consulente. I consulenti hanno diversi mezzi a disposizione per fare in modo che la visione dei propri clienti sia il più razionale possibile. Durante le interviste svolte ai consulenti è emerso a più riprese come il soggetto che ha più conoscenze e che ha già avuto a che fare con il mondo degli investimenti riesce a ridurre notevolmente l’irrazionalità che lo caratterizza. Siccome non tutti gli investitori hanno delle basi di conoscenza è importante che il professionista si applichi per colmare queste lacune e trasmetta le informazioni al cliente accompagnandolo così nell’avventuroso mondo degli investimenti.
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45
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Allegati
Allegato 1: Intervista consulente A .................................................................................... 46
Allegato 2: intervista al consulente B ................................................................................ 53
Allegato 3: intervista consulente C .................................................................................... 60
Allegato 4: intervista consulente D .................................................................................... 67
Allegato 5: intervista consulente E ..................................................................................... 77
46
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Allegato 1: Intervista consulente A
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La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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48
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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51
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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e
Ince
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to,
rimor
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sere
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icur
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ella
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dell’o
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i per
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52
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Se
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ento
co
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Se
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poi
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un
sens
o di
resp
onsa
bilit
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diffe
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53
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Allegato 2: intervista al consulente B
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54
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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55
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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56
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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57
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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59
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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60
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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sso
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so
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za p
rima
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e de
i ris
ulta
ti
Pro
pens
ione
e
tolle
ranz
a al
ris
chio
62
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Fase
1.2
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azio
ne d
elle
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Com
e re
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olia
mo
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rmin
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Pers
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o a
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sen
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cent
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do
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lient
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a de
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ma
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Prop
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al
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63
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Le
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può
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e,
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si
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ione
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al
pani
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i cl
ient
i che
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i t
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re.
Que
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he
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tual
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cerc
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di
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he s
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dere
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anzi
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tem
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e
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i cl
ient
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enza
a v
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stire
in
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cati
cono
sciu
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ci
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n i q
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man
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sare
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una
clie
nte
in p
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e, s
i tra
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i una
sig
nora
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circ
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ni
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si
tiene
se
mpr
e m
olto
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nata
su
i m
erca
ti e
ha
una
gran
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espe
rienz
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gli
inve
stim
enti.
Que
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clie
nte
ha u
na fi
glia
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ra n
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t de
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Roc
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la
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ia
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suoi
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vest
imen
ti ho
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che
effe
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uest
i so
no
spes
so
e vo
lent
ieri
corr
elat
i al
se
ttore
fa
rmac
eutic
o. I
noltr
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o se
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stim
enti
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scen
ze
del
clie
nte
64
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Le
cono
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ze
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onal
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zano
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re
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one
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cati,
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Chi
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osce
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un
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e va
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Qua
nto
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nel
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onos
cenz
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i cer
co d
i col
mar
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Con
osce
nze
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ia
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essi
Fase
2: D
ecis
ione
di i
nves
timen
to
Le ra
ccom
anda
zion
i e i
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fetti
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Sol
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stim
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disf
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clie
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efer
isce
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vest
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titol
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ente
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Fidu
cia
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clie
nte
vers
o il
cons
ulen
te
Effe
tto g
regg
e
65
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Dop
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ioni
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Fase
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66
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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67
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Allegato 4: intervista consulente D
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68
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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69
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Fase
1.2
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71
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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72
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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o co
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Que
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chio
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o.
Con
osce
nze
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onal
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essi
73
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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Per
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La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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nte
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l po
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oglio
, ne
l m
omen
to in
cui
gli
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etto
che
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rman
ce
annu
ale
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olto
con
tent
o, e
la
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tro
fine
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clie
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Per
qu
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, so
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qu
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i cl
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che
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dere
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i per
dere
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Per
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e il
sent
imen
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e d
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oria
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pre
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nte
il se
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coin
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tacc
amen
to i
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stifi
cato
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stim
enti
che
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uti
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so
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ente
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ssib
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di
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Pro
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75
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Se
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ento
co
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liato
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men
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un
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me.
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nte
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ce l’
inve
stim
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tut
ti i
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cati
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o m
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spi
egar
e al
cl
ient
e la
si
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e e
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azio
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enta
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imen
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ale
Not
i ch
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imen
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un
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ncor
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ce
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un
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no a
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nder
e co
me
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o di
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rimen
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alut
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ento
l’im
porto
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ialm
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a, a
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l cl
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poi
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ce.
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nte
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goli
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i: è
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clie
nte
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sie
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nsie
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sing
olo
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o ch
e st
a pe
rform
ando
ne
gativ
amen
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uand
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vece
il p
orta
fogl
io h
a un
and
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to p
ositi
vo.
Spes
so è
anc
he b
ene
met
tere
l’a
ccen
to n
on
solo
su
lla
perfo
rman
ce
annu
ale
o di
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eve
perio
do m
a an
che
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uella
dal
l’iniz
io d
ella
ge
stio
ne a
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gi. C
osì f
acen
do il
clie
nte
ha u
na
visi
one
glob
ale
sul d
ove
si s
ta a
ndan
do: è
inut
ile
parla
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arco
te
mpo
rale
lu
ngo
se
poi
il po
rtafo
glio
vie
ne v
alut
ato
unic
amen
te s
u ba
se
annu
a.
Effe
tto a
ncor
aggi
o
76
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
In
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lusi
one,
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ndo
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i cl
ient
i so
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zion
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na in
que
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ranc
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i che
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stito
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onal
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ché
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sì.
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ono
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razi
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nel c
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lent
e e
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anca
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appr
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sba
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ti ne
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vest
imen
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celte
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sia
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che
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e ra
zion
aliz
zano
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tano
che
que
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zion
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lient
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iate
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nte
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ia n
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itali
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ne in
vest
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amen
te n
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ne. Q
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o di
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un m
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ica
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rimon
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vece
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eric
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copr
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que
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ituat
o al
mon
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egli
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stim
enti
finan
ziar
i è a
bitu
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alla
vol
atilit
à.
77
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Allegato 5: intervista consulente E
Con
sule
nte
E at
tivo
da 5
ann
i nel
priv
ate
bank
ing
Dat
a de
ll’int
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29.
09.2
019
Tem
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Dom
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R
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imen
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il
clie
nte
Fase
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nosc
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del
clie
nte
L’in
vest
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ha
un
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78
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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79
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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80
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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81
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
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agno
em
otiv
o e
pers
onal
e.
Inve
stim
enti
emoz
iona
i e
cono
scen
ze
del
clie
nte
Le
cono
scen
ze
pers
onal
i in
fluen
zano
la
re
lazi
one
d’af
fari?
N
oti
che
l’inve
stito
re p
iù in
form
ato
ha
una
tend
enza
a
sopr
avva
luta
re
la
sua
capa
cità
di
se
lezi
one
dei
titol
i o
pens
a di
ess
ere
in
grad
o di
pre
vede
re il
futu
ro
dei m
erca
ti?
Le c
onos
cenz
e se
rvon
o pe
r cap
ire l’a
ndam
ento
dei
m
erca
ti, a
iuta
no a
con
trolla
re le
rea
zion
i ist
intiv
e ch
e un
o pu
ò av
ere
quan
do
vien
e pr
eso
alla
sp
rovv
ista
da
un
’impr
ovvi
sa
inve
rsio
ne
dei
mer
cati.
Non
ti d
anno
per
ò al
cun
aiut
o o
alcu
na
indi
cazi
one
della
cor
retta
sel
ezio
ne d
el t
itolo
e
sopr
attu
tto n
on p
erm
etto
no d
i arri
vare
a p
reve
dere
l’a
ndam
ento
futu
ro d
ei m
erca
ti
Facc
io c
apire
che
pre
vede
re n
on è
pos
sibi
le
prev
eder
e l’a
ndam
ento
dei
mer
cati.
È an
che
vero
che
se
una
pers
ona
ha u
na
scon
side
rata
fid
ucia
nel
le s
ue c
apac
ità,
non
poss
o si
cura
men
te e
sser
e io
a fa
rgli
cam
biar
e id
ea,
anzi
co
ntra
ddire
qu
esta
tip
olog
ia
di
clie
nti p
uò p
orta
re a
una
per
dita
di f
iduc
ia e
di
stim
a da
par
te s
ua n
ei m
iei c
onfro
nti,
dunq
ue
ques
to è
un
aspe
tto m
olto
del
icat
o da
trat
tare
.
Con
osce
nze
pers
onal
i e f
iduc
ia
in s
é st
essi
82
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Fase
2: D
ecis
ione
di i
nves
timen
to
Le ra
ccom
anda
zion
i e i
titol
i ef
fetti
vam
ente
sc
elti
dal
clie
nte
corr
ispo
ndon
o?
Se
non
corr
ispo
ndon
o su
cos
a si
bas
a la
dec
isio
ne f
ilane
de
l cl
ient
e (c
onos
cenz
e pe
rson
ali,
inve
stim
enti
pass
ati,
racc
oman
dazi
oni d
i te
rze
pers
one,
gio
rnal
i,..)?
Pen
so c
he s
e no
n ac
cetta
la m
ia p
ropo
sta
è pe
rché
no
n ca
pisc
e o
non
trova
qua
le v
alor
e ag
giun
to g
li pu
ò da
re q
uello
che
gli
sto
prop
onen
do.
Un’
altra
mot
ivaz
ione
può
ess
ere
che
l’inv
estim
ento
pr
opos
ta v
a co
ntro
del
le s
ue c
rede
nzia
li o
mag
ari
si tr
atta
di u
n in
vest
imen
to g
ià fa
tto in
pas
sato
che
pe
rò
ha
lasc
iato
ne
i ric
ordi
de
l cl
ient
e un
’esp
erie
nza
nega
tiva.
L’ap
proc
cio
con
un c
lient
e uo
mo
o co
n un
clie
nte
donn
a ca
mbi
a, la
don
na q
uand
o m
i da
fiduc
ia s
i fid
a ce
cam
ente
, l’u
omo
inve
ce s
e ti
racc
onta
i fa
tti
suoi
poi
vuo
le v
eder
e qu
ello
che
hai
fatto
per
lui.
Don
ne
sono
m
olto
pr
open
se
a in
vest
imen
ti so
sten
ibili
.
È
indi
spen
sabi
le
spen
dere
tu
tto
il te
mpo
ne
cess
ario
per
spi
egar
e la
pro
post
a al
clie
nte,
pe
rson
alm
ente
chi
edo
rego
larm
ente
dei
feed
ba
ck p
er v
erifi
care
che
il
clie
nte
“res
ti su
l pe
zzo”
e c
apis
ca d
i cos
a st
iam
o pa
rland
o.
Fidu
cia
del
clie
nte
vers
o il
cons
ulen
te
Effe
tto g
regg
e
83
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Dop
o av
ere
pres
o la
de
cisi
one
di
inve
stim
ento
, su
cced
e m
ai c
he i
l cl
ient
e ca
mbi
idea
e n
on v
uole
più
in
vest
ire p
er p
aura
?
Suc
cede
mai
che
il
clie
nte
deci
de
di
ritira
rsi
dall’
inve
stim
ento
in
un
pe
riodo
più
bre
ve d
i qu
ello
st
abili
to?
Si m
i è s
ucce
sso
una
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che
un
clie
nte
aves
se
firm
ato
un m
anda
to e
il gi
orno
dop
o m
i ha
chia
mat
o pe
r dirm
i che
ci a
veva
ripe
nsat
o. D
a li
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ato
il m
io a
ppro
ccio
ver
so i
clie
nti,
nel s
enso
che
se
non
li ve
do d
avve
ro c
onvi
nti d
i una
dec
isio
ne p
resa
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lora
pre
feris
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rmar
mi.
Per
ché
se p
oi q
ualc
osa
va s
torto
que
sti s
ono
i prim
i clie
nti c
he p
erdo
no la
fid
ucia
, non
osta
nte
la d
ecis
ione
fina
le è
sta
ta lo
ro.
Per
evi
tare
rip
ensa
men
ti ch
iedo
spe
sso
feed
ba
ck d
uran
te la
pro
post
a e
verif
ico
che
tutto
si
a ch
iaro
.
Ci s
ono
due
aspe
tti fo
ndam
enta
li pe
r ev
itare
rip
ensa
men
ti:
la
prim
a è
verif
icar
e ch
e il
clie
nte
abbi
a in
chi
aro
la p
ropo
sta,
le
sue
cara
tteris
tiche
, gl
i ob
ietti
vi f
inal
i e
i po
ssib
ili
scen
ari.
La s
econ
da c
osa
fond
amen
tale
è c
he
il “d
ecis
ion
mak
er”
sia
pres
ente
o r
icev
a le
in
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azio
ni p
rima
di p
rend
ere
una
deci
sion
e de
finiti
va: p
er e
sem
pio
se h
o co
me
clie
nte
una
sign
ora
che
solit
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te p
rima
di p
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ere
qual
sias
i de
cisi
one
chie
de c
onsi
glio
a s
uo
mar
ito,
è im
porta
nte
che
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a ch
e le
i m
i co
mun
ichi
le s
ue in
tenz
ioni
fina
li, a
bbia
avu
to
la p
ossi
bilit
à di
con
sulta
rsi
con
lui,
così
fa
evita
re ri
pens
amen
ti in
un
seco
ndo
mom
ento
.
L’im
porta
nte
è no
n fa
re m
ai p
ress
ione
sui
cl
ient
i, la
scia
re il
tem
po d
i cui
han
no b
isog
no
per
rifle
ttere
sul
la d
ecis
ione
fin
ale,
mi
sono
ca
pita
ti pi
ù ca
si p
er i q
uali c
i son
o vo
luti
dive
rsi
mes
i prim
a ch
e il
clie
nte
arriv
asse
dec
iso
a pr
ende
re u
na s
celta
, m
a qu
anto
que
sta
è st
ata
pres
a er
a de
finiti
va.
Ince
rtezz
a, p
aura
, te
mpo
regg
iam
ento
84
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Fase
3: d
opo
la d
ecis
ione
di i
nves
timen
to
Com
e re
agis
cono
i
clie
nti
dopo
una
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di r
ialz
o? H
ai
mai
not
ato
un s
entim
ento
di
avid
ità d
el c
lient
e?
E do
po u
na fa
se d
i per
dita
? H
ai m
ai ri
scon
trato
un
sens
o di
coi
nvol
gim
ento
del
clie
nte
nell’i
nves
timen
to e
ffettu
ato?
Si l’h
o no
tato
l’avi
dità
, ti f
acci
o un
ese
mpi
o: c
ompr
o Ap
ple
a 20
0 pe
rché
mi a
spet
to c
he a
rrivi
a 2
50,
quan
do A
pple
arri
va 2
30 e
ini
zian
o ad
arri
vare
se
gnal
i neg
ativ
i sul
tito
lo,
sare
bbe
il m
omen
to d
i ve
nder
e, lu
i non
ven
de fi
no a
che
non
ragg
iung
e il
suo
obie
ttivo
.
Qua
ndo
inve
ce u
n tit
olo
perd
e la
situ
azio
ne è
di
vers
a, i
o so
no i
l pr
imo
a se
ntire
un
sens
o di
co
invo
lgim
ento
qua
ndo
un ti
tolo
per
de e
facc
io u
na
fatic
a so
vran
natu
rale
a v
eder
lo.
L’es
empi
o pi
ù ba
nale
son
o le
azi
oni U
BS: q
uant
i clie
nti a
bbia
mo
che
hann
o in
dep
osito
azi
oni
della
ban
ca c
he
hann
o ac
quis
tato
a li
velli
mol
to a
lti c
he p
osso
no
arriv
are
fino
a qu
asi
CH
F 70
e o
ggi
inve
ce s
i tro
vano
in p
orta
fogl
io ti
toli
da p
oco
più
di C
HF
11,
e no
nost
ante
que
sto
non
li vo
glio
no v
ende
re. S
ono
pare
cchi
que
sti
clie
nti
e po
sson
o av
ere
svar
iati
mot
ivi,
o at
tacc
amen
ti pe
r prin
cipi
o, o
atta
ccam
enti
pers
onal
i, m
agar
i ha
nno
ricev
uto
ques
ti tit
oli
in
ered
ità,
o pe
r al
tri m
otiv
i, lo
ro h
anno
un
lega
me
affe
ttivo
con
il ti
tolo
in q
uest
ione
e la
ven
dita
non
è
asso
luta
men
te p
resa
in c
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dera
zion
e.
Per
evita
rle
l’avi
dità
de
vi
stab
ilire
degl
i ob
ietti
vi
prim
a di
ef
fettu
are
l’inve
stim
ento
. Pe
rson
alm
ente
nel
mom
ento
in
cui
disc
uto
dell’a
cqui
sto
un ti
tolo
con
un
clie
nte
gli c
hied
o gi
à qu
anto
si a
spet
ta d
i gua
dagn
are.
È a
nche
po
ssib
ile i
nser
ire n
el s
iste
ma
dei
limiti
per
ev
itare
l’a
vidi
tà:
quan
do u
n tit
olo
tocc
a un
va
lore
vie
ne v
endu
to in
aut
omat
ico.
Il lim
ite s
u un
val
ore
più
bass
o di
que
llo c
he
un t
itolo
ha
attu
alm
ente
l’h
o m
esso
mol
to
rara
men
te p
erch
é vu
ole
dire
che
io a
cqui
sto
pens
ando
già
che
un
titol
o an
drà
a pe
rder
e. È
pi
ù pr
obab
ile
inse
rirlo
se
pe
r es
empi
o si
ac
quis
ta u
n tit
olo
a 20
0, q
uest
o sa
le a
250
e il
cl
ient
e no
n vu
ole
anco
ra v
ende
re,
allo
ra s
i de
cide
di i
nser
ire il
lim
ite a
230
cos
ì ch
e si
sa
lva
una
parte
del
pro
fitto
nel
cas
o il
titol
o po
i sc
enda
.
Avid
ità
dopo
un
a fa
se d
i ria
lzo
dei
mer
cati
o se
nso
di
coin
volg
imen
to
in
una
fase
di p
erdi
ta
85
La finanza comportamentale: il comportamento degli investitori e il ruolo dei consulenti nel processo di investimento
Se
un
inve
stim
ento
co
nsig
liato
dal
la b
anca
va
mal
e,
il cl
ient
e ti
colp
evol
izza
?
Se
inve
ce a
d an
dare
mal
e è
un i
nves
timen
to s
celto
dal
cl
ient
e co
ntro
le
ra
ccom
anda
zion
i de
lla
banc
a co
me
si c
ompo
rta i
l cl
ient
e?
Si é
suc
cess
o, m
a si
rinf
acci
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lo s
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clie
nte
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corr
etta
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te
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rmat
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m
omen
to
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acqu
isto
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Se
il cl
ient
e ha
cap
ito d
ove
ha m
esso
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ulla
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olto
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tti
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scen
ari
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ibili
ne
lla
fase
pr
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ente
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inol
tre d
iffer
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un
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na r
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estim
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anda
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i ch
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clie
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timen
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ora)
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fetto
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ora
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ione
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ro
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un
ric
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o e
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ista
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.
Tu p
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perta
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te, m
ostra
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mod
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In
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lusi
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ti
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ient
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razi
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uali
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ano
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L’es
sere
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ano
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petto
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gue
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n si
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.
Sic
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ente
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petti
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sere
una
per
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no le
con
osce
nze
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erca
ti,
l’esp
erie
nza,
il q
uadr
o in
cui
si o
pera
.
A p
arer
e m
io a
ffida
rsi a
d un
con
sule
nte
o af
fidar
e il
prop
rio c
apita
le in
ges
tione
a u
na te
rza
pers
ona
non
ti po
rta a
d es
sere
razi
onal
e m
a ti
met
te n
ella
con
dizi
one
di n
on d
over
e pi
ù pr
ende
re d
ecis
ioni
, qui
ndi l
a tu
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azio
nalit
à no
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mod
o di
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ccar
e le
dec
isio
ni d
i inv
estim
ento
ma
tu c
ome
pers
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avra
i com
unqu
e l’a
nsia
qua
ndo
sent
irai c
he i
mer
cati
vann
o m
ale
se il
tuo
patri
mon
io è
inve
stito
.