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WWW.DEMOCRATICA.COM I l risultato elettorale ci mette di fronte alla necessità, urgente (ma non sbrigativa) e prioritaria (ma non immobilizzante), di una riflessione profonda. Una cosa è evidente: non siamo riusciti a dare risposte adeguate alle domande sociali espresse dal corpo elettorale. E se rinunciamo a capire, se sbagliamo l’analisi del perché abbiamo perso, continueremo a sbagliare anche le risposte. Abbiamo governato 5 anni, seppur con maggioranze sempre spurie, e sebbene siamo riusciti a rimettere in piedi un Paese che era sull’orlo del fallimento macroeconomici... N el dibattito in corso si incontra spesso la paradossale affermazione che “gli elettori ci hanno chiesto di stare all’opposizione”: paradossale, perché è chiaro che chi ha votato Pd lo voleva al governo, altrimenti avrebbe votato per un altro partito. A sentire le parole di militanti e dirigenti, sembra quasi che l’idea di collocarsi all’opposizione porti con sé una specie di sollievo. E si capisce che questo possa essere un modo di reagire alla batosta del 4 marzo. Ma che vuol dire stare all’opposizione? Certo il nostro modello non è quello seguito dai 5 stelle nella legislatura appena finita... ALLE PAGINE 2-3 PAGINA 6 PAGINA 7 M5s Il padrone del partito-azienda decreta la fine delle istituzioni democratiche in nome del web. Intanto lo scandalo Facebook si aggrava Troppa distanza tra domande e risultati Ma adesso non torniamo indietro Valeria Fedeli Claudia Mancina n. 151 mercoledì 21 marzo 2018 “Il cuore dell’Italia è con chi cerca verità e giustizia, con chi vuole costruire una vita sociale libera dal giogo criminale” (Sergio Mattarella oggi) DOPO IL 4 MARZO /1 DOPO IL 4 MARZO /2 PAGINA 4 Oggi in piazza a Foggia nel ricordo delle vittime di mafia LIBERA Maurizio Martina: “Combattiamo ogni giorno per la legalità e contro tutte le mafie”. Quarantamila partecipanti alla marcia organizzata dall’associazione di don Ciotti per onorare i 972 morti per mano della criminalità organizzata La democrazia secondo Casaleggio TERESA BELLANOVA DA NEW YORK PAG 5 La nostra Italia al femminile fa scuola all’Onu ONU

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WWW.DEMOCRATICA.COM

Il risultato elettorale ci mette di fronte alla necessità, urgente (ma non sbrigativa) e prioritaria (ma non immobilizzante), di una riflessione

profonda. Una cosa è evidente: non siamo riusciti a dare risposte adeguate alle domande sociali espresse dal corpo elettorale. E se rinunciamo a capire, se sbagliamo l’analisi del perché abbiamo perso, continueremo a sbagliare anche le risposte.Abbiamo governato 5 anni, seppur con maggioranze sempre spurie, e sebbene siamo riusciti a rimettere in piedi un Paese che era sull’orlo del fallimento macroeconomici...

Nel dibattito in corso si incontra spesso la paradossale affermazione che “gli elettori ci hanno chiesto di stare

all’opposizione”: paradossale, perché è chiaro che chi ha votato Pd lo voleva al governo, altrimenti avrebbe votato per un altro partito. A sentire le parole di militanti e dirigenti, sembra quasi che l’idea di collocarsi all’opposizione porti con sé una specie di sollievo. E si capisce che questo possa essere un modo di reagire alla batosta del 4 marzo. Ma che vuol dire stare all’opposizione? Certo il nostro modello non è quello seguito dai 5 stelle nella legislatura appena finita...ALLE PAGINE 2-3

PAGINA 6

PAGINA 7

M5s Il padrone del partito-azienda decreta la fine delle istituzioni democratiche in nome del web. Intanto lo scandalo Facebook si aggrava

Troppa distanza tra domande e risultati

Ma adesso non torniamo indietro

Valeria Fedeli

Claudia Mancina

n. 151mercoledì21 marzo

2018

“Il cuore dell’Italia è con chi cerca verità e giustizia, con chi vuole costruire una vita sociale libera dal giogo criminale” (Sergio Mattarella oggi)

DOPO IL 4 MARZO /1

DOPO IL 4 MARZO /2

PAGINA 4

Oggi in piazza a Foggia nel ricordo delle vittime di mafia

LIBERA

Maurizio Martina: “Combattiamo ogni giorno per la legalità e contro tutte le mafie”. Quarantamila partecipanti alla marcia organizzata dall’associazione di don Ciotti per onorare i 972 morti per mano della criminalità organizzata

La democraziasecondo

Casaleggio

TERESA BELLANOVA DA NEW YORK PAG 5

La nostra Italia al femminile fa scuola all’Onu

ONU

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2 mercoledì 21 marzo 2018

Il web vale più della democrazia, parola di Casaleggio Jr

Tra visione ed eversione. Come definire, altrimenti, le dichia-razioni di Casaleggio giovane pubblicate sul Washington Post e tradotte sul Blog delle Stelle?

Casaleggio prova a indossare i panni del filosofo. La sua analisi non tocca le intricate questioni fra i partiti o le prosai-che lotte per la poltrona. Lui vola alto, forse un po’ troppo.

La politica in rete costa menoLa prima affermazione è una constatazio-

ne che ha senso: “La nostra esperienza è la prova di come la Rete abbia reso obsoleti e diseconomici i partiti e più in generale i pre-cedenti modelli organizzativi”. Vero. Anzi, queste elezioni sono “storiche” per un aspet-to che in pochi hanno sottolineato: sono le prime a essere state gestite senza i rimbor-si elettorali ai partiti, prima dimezzati nel 2012 e poi del tutto aboliti grazie al Pd. E in questa nuova situazione, non c’è dubbio che il M 5Stelle, supportato dall’azienda di Casaleggio, sia stato il migliore e il primo a intuire e comprendere fino in fondo le po-tenzialità della rete.

“Il Movimento 5 Stelle - continua a spie-gare Casaleggio junior - ha ottenuto circa 11milioni di voti lo scorso 4 marzo. E ogni singolo voto ci è costato 8 centesimi di euro. Un costo sostenuto da microdonazioni arri-vate da migliaia e migliaia di cittadini: circa 19mila cittadini hanno donato per un totale di 865mila euro, sostenendo tutti i costi della nostra campagna elettorale. E fa specie pen-sare che ai partiti tradizionali, invece, ogni singolo voto è costato fino a cento volte di

più (+Europa ha un costo stimato di 7 euro a voto)”.

Democrazia diretta contro democrazia rappresentativaI calcoli, probabilmente, sono esatti e l’a-

nalisi di Casaleggio dovrebbe spingere a riflettere i partiti di come il senti-ment diffuso nella realtà digi-tale possa condizionare quel-lo della realtà off-line. Ma continuiamo. Per Casaleg-gio “la democrazia diret-ta, resa possibile dalla Rete, ha dato una nuova centralità del cittadino nella società. Le organiz-zazioni politiche e sociali attuali saranno destruttu-rate, alcune sono destinate a scomparire. La democrazia rappresentativa, quella per de-lega, sta perdendo via via significa-to. E ciò è possibile grazie alla Rete”.

Lo scenario proposto da Casaleggio è a metà tra l’utopia e la distopia, fra la città del Sole e il Grande Fratello di Orwell. Tuttavia, la sua “pericolosità” intellettuale non è tan-to data dalla palese incompatibilità con la democrazia parlamentare italiana e coi va-lori della Costituzione repubblicana, quanto dall’idea stessa di partecipazione che è insita nel concetto di “democrazia diretta” applica-to a società estese e complesse come quelle occidentali.

Manipolare la rete si può e Casaleggio conosce i pericoliCasualmente, la dichiarazione di Casaleg-

gio esce proprio nel giorno in cui i media di tutto il mondo denunciano quel che è acca-duto con i dati sensibili di migliaia di perso-

ne ceduti da Facebook e forse utilizzati per condizionare il voto sulla Brexit in Gran Bre-tagna e le presidenziali negli Usa. Cambridge Analytica, la società che ha utilizzato questi dati, ha ammesso di aver rapporti con un partito italiano sin dal 2012.

Insomma, la possibilità, anzi la certez-za di ottenere dati precisi su milio-

ni di utenti, che vengono non solo “schedati” ma profilati

attraverso app che ci pos-sono dire tutto sui com-portamenti di ogni sin-gola persona, come può rendere appetibile l’idea di democrazia diretta? Quale democrazia diret-ta è possibile in una real-

tà digitale così facilmente manipolabile?A parte il rischio caos che

risiede in ogni sistema com-plesso, qui il rischio è il condizio-

namento consapevole che posso fare dei dati. So chi sei, cosa compri, che siti visiti, so di che cosa parli coi tuoi amici su Facebook, conosco quali città vorresti visitare, che libro hai comprato, che ricetta hai preparato. Ma soprattutto conosco i tuoi desideri e conosco le tue paure. E posso far crescere entrambi, attraverso fake-news costruite ad arte, con notizie decontestualizzate, video manipolati, teorie complottiste che rispondono esatta-mente a ciò che vuoi sentirti dire.

Casaleggio vagheggia di una nuova centra-lità del cittadino, ma sa meglio di chiunque altro che nessuna “democrazia diretta” è re-alizzabile in società estese e quella che con-tinua a definire “democrazia diretta” non è altro che una “società del consenso” rabboni-ta o intimorita, e comunque controllata, dai padroni della Rete.

Movimento 5 Stelle

Sul Washington Post

l’erede di Casaleggio seppellisce

le istituzioni democratiche

Giovanni Belfiori CONDIVIDI SU

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3 mercoledì 21 marzo 2018

Lo scandalosi allarga: Steve Bannon era la “mente”?

Nuovo tonfo per le quotazioni di Facebook, travolte dal ‘Datagate’. L’ondata di vendite che si è scatena-ta lunedì scorso - proseguita ieri - ha fatto perdere all’amministratore delegato Mark Zuckerberg un totale di 8 miliardi di dollari in due sessioni. Il crollo sta coinvolgendo anche i titoli de-

gli altri social media come Snapchat, che ha perso il 3,6%, e Twitter, precipitata ieri del 9,68%.

Ma al di là delle ripercussioni finanziarie, il mondo chiede adesso chiarezza sull’uso dei dati personali: il numero uno di Menlo Park dovrà vedersela con la commissione parlamentare Uk sui media, che lo ha convocato per rispondere di “inganno” verso i propri utenti e con l’Ue, a seguito dell’invito del presidente del Parlamen-to europeo, Antonio Tajani, a dare spiegazioni davanti all’emiciclo di Strasburgo. “Facebook chiarisca davanti ai rappresentanti di 500 milioni di europei che i dati personali non vengono utiliz-zati per manipolare la democrazia” ha scritto ieri in un tweet Tajani.

Intanto lo scandalo si amplia, e non poco, con indiscrezioni secondo cui l’ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon avrebbe guidato il piano di Cambridge Analytica - la società che ha lavorato per la campagna elettorale di Donald Trump – per acquisire i pro-fili di milioni di elettori americani. Lo ha rivelato al Washington Post un ex dipendente della società. Bannon è stato vice presidente e segretario di Cambridge Analytica fino a quando non si è dimes-so per guidare la campagna di Donald Trump ad agosto 2016.

Secondo quanto riferito, il programma ha te-stato varie frasi, tra cui alcune espressioni usa-

te in campagna elettorale dal presidente Donald Trump, come “drenare la palude” e “stato profon-

do”, come un modo per persuadere gli elettori, ha detto Chris Wylie al Washington Post.

Wylie ha dichiarato al The Washington Post che la so-cietà ha speso quasi un milione di dollari per i dati nel 2014

- inclusi i profili di Facebook - e la spesa è stata approvata da Ban-non. “Dovevamo convincere Bannon ad approvare tutto a questo punto: Bannon era il capo di Alexander Nix”, ha spiegato Wylie, facendo riferimento al Ceo della società, che è stato sospeso ieri. “Alexander Nix non aveva l’autorità per spendere tanti soldi senza approvazione”.

Cambridge Analytica

Stefano Minnucci

Crollano le azioni dei

social media. In due giorni in fumo

64 miliardi di dollari

E in Italia il Pd chiede un’inchiesta parlamentare

La valanga chiamata Cambridge Analytica ha travolto anche l’Italia. Un partito italiano nel 2012 avreb-be commissionato la profilazione di

utenti alla stessa società che ha influenzato il referendum sulla Brexit e le presidenziali Usa. E ora le Autorithy per le Comunicazio-ni chiede di fare luce sulla vicenda. L’Agcom ha infatti inviato a Facebook una richiesta di informazioni circa l’impiego di data analyti-cs per finalità di comunicazione politica da parte di soggetti terzi e ha aperto un tavolo non solo con la società di Zuckerberg, ma anche con “Google e altri soggetti della rete - ha spiegato il commissario Agcom Antonio Nicita - sulle strategie di disinformazione

che si possono realizzare in varie campagne elettorali, a partire dall’ultima”.

Per il garante della Privacy Antonello Soro “non possiamo sorprenderci se anche da noi - oltre che in Usa, in Inghilterra o altre parti del mondo - si utilizzano questi canali per la ricerca del consenso”. E il deputato dem Mi-chele Anzaldi chiede l’intervento del gover-no italiano e annuncia sull’Huffington Post che il suo primo atto da parlamentare sarà proprio l’istituzione di una commissione d’inchiesta sul caso di Cambridge Analytica e sulle fake news. “Se vogliamo essere noi e non un inafferrabile Grande Fratello a decidere il nostro destino - ha commentato Anzaldi - dobbiamo sbrigarci a costruire un quadro regolatorio che protegga la demo-crazia, ma dobbiamo anche indagare a fon-do su cosa è successo in questi anni”.

Democratica

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4 mercoledì 21 marzo 2018Partito Democratico

Unire le forze, il Pd ci prova

Ieri Maurizio Martina ha dunque “rispolverato” un organi-smo - la segreteria - che finora non si era praticamente mai riunito. Un segnale che il segretario-reggente intende prati-care quella “collegialità” promessa e forse ripristina-re una modalità old style con il gruppo dirigente ristretto che decide “la linea”: un metodo di

lavoro distante dal decisionismo di Renzi ma non in contraddizione con l’istanza da Martina fatta balenare di una nuova pratica di democrazia di-retta (i referendum fra gli iscritti).

Il numero uno stringe dunque i bulloni del partito, ascolta i dirigenti di tutte le componen-ti, gira per mezzo Paese per discutere le ragioni della sconfitta del 4 marzo. Deve governare un Pd tramortito e ancora molto nervoso, gestire la fase della crisi di governo e andare alla Assem-blea nazionale del 21-22 aprile, un’Assemblea de-licata da cui quasi sicuramente uscirà il nome del segretario, carica per la quale lo stesso Martina è in prima fila. Ma altri nomi si fanno: e tuttavia l’esigenza di questa fase drammatica testa quella di evitare altre spaccature.

E l’unità sulla linea di Renzi - no a intese di governo con i po-pulisti- regge. Malgrado interrogativi e riflessioni, come quelle di Walter Veltroni (che alludono alla necessità di un eventuale dialo-

go ma non contraddicono la scelta dell’opposizione), nel Pd, tran-ne Michele Emiliano, nessuno propone una linea diversa da quella confermata oggi. E alla base, a sentire le assemblee o a guardare i social, non tira proprio aria di accordo con Di Maio e men che meno con Salvini. Conclude Lorenzo Guerini: “Parlare di un referendum su un tema che ancora non esiste, un eventuale appoggio al M5s, mi sembra una fuga in avanti che non mi pare particolarmente utile.

Abbiamo avuto una Direzione che ha approvato quasi all’u-nanimità una posizione che sostiene che il nostro ruolo

sia quello di stare all’opposizione. È la posizione del partito anche in relazione al sentire della propria

base”.Stando così le cose, fra due settimane, quan-

do sarà il suo turno al Colle per le consultazionj, la delegazione dem dirà al Presidente della Re-pubblica che la scelta, in conformità al risultato del 4 marzo e per le ragioni politiche già ricor-date, è quella dell’opposizione. Un’opposizione

fattiva, come si conviene a un partito che ben conosce il ruolo centrale del Parlamento e che

punta in ogni caso a contribuire ad una buona le-gislazione.D’altra parte, non è che dal M5s stiano giungendo

chissà quali aperture. A quanto sembra, grillini e destra intendono spartirsi le presidenze delle Camere con tanti saluti alla rappresentatività e alle “figure di garanzia”. Il Pd vedrà quali sa-ranno le proposte. Senza particolare entusiasmo, sembra di capire.

Mario Lavia CONDIVIDI SU

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Unità sul no a M5s-Lega.

Verso l’Assembleadel 21-22

per il nuovo segretario

Avrei voluto fare mille telefonate e spedire mille e-mail ad ognuno di voi.Ho scelto il mezzo più veloce per invitarci a rialzarci subito e camminare insieme, con più entusiasmo e passione di prima.Vi aspetto sabato 7 aprile alle ore 10:00 all’Acquario Romano.#harambee”

MATTEO RICHETTI

“Siamo qui per dire che la nostra battaglia per la legalità, contro le mafie, contro ogni tipo di organizzazione criminale, va combattuta ogni giorno. Questo è il giorno della memoria ma deve essere anche il giorno del riscatto”. Così il segretario reggente del Pd Maurizio Martina, a Foggia per la manifestazione di Libera in occasione della 23esima Giornata della memoria delle vittime innocenti della mafia. “Se siamo qui è proprio perché per parte nostra vogliamo rilanciare il nostro impegno. Questa non è una presenza casuale. Noi in questi anni - ha proseguito Martina - abbiamo fatto delle battaglie giuste. Penso ad esempio alla legge contro il caporalato che ha segnato la nostra esperienza in positivo perché siamo, stati dopo anni, protagonisti di una svolta sul terreno della legalità in un settore cruciale come quello agricolo e non solo. Dobbiamo continuare e se siamo qui - ha evidenziato - è per dire che la comunità del Pd sente sulla propria pelle i temi della legalità, della cittadinanza, della lotta alla mafia”.

Martina a Foggia con Libera: “Combattiamo ogni giorno contro le mafie”

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5 mercoledì 21 marzo 2018

A New York fa scuola l’esperienza italiana a sostegno delle donne

Sono stati giorni intensissimi, den-si di riflessioni, confronti, appunti per buone politiche, riconoscimen-to al nostro lavoro in questi anni.

E una unica, grande costante: parole di donne.

Parole di donne, tantissime, provenienti da ogni parte del mondo, tutte impegnate in ruoli istituzionali e di governo, nell’associa-zionismo e nelle organizzazioni non governa-tive, per dire “no” alle mutilazioni genitali che ancora devastano le popolazioni femminili in molti paesi, “no” al feminicidio e alla violenza contro le donne dentro e fuori le mura dome-stiche, “no” alla sfruttamento e al caporalato delle donne occupate in agricoltura.

E parole di donne per dire “si”: alla centrali-tà del ruolo delle donne in agricoltura, all’em-powerment femminile, al lavoro di qualità, alla presenza femminile – sempre di più – nei boards aziendali come è accaduto proprio nel nostro Paese grazie a una norma che fa scuola. “Sì” allo scambio fertile e reciproco di buone prassi, quelle “dal basso”, di cui i movimenti delle donne sono ricchissimi, e quelle “dall’al-to”, definite da chi quotidianamente è impe-gnata nella pratica istituzionale e di governo e riesce, con il sostegno e la collaborazione anche dei colleghi uomini, a trasformare in norme e azioni concrete le istanze e le solleci-tazioni che giungono dai movimenti e quelle che hanno atteso risposte per anni.

Questo sono state, per me, le giornate tra-scorse a New York dal 12 al 15 marzo scorsi, impegnata insieme alla delegazione italiana nei lavori della 62° Edizione della Commissio-ne Onu sulla Condizione delle Donne (CSW62) ancora in corso di svolgimento presso la Sede delle Nazioni Unite.

“Sfide e opportunità per raggiungere l’u-guaglianza di genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze in agricoltura”, il tema generale della Edizione che tocca questioni e temi delicatissimi e ha visto al centro dell’at-tenzione il nostro lavoro in questi anni e le ottime prassi che siamo riusciti a definire. Un lavoro enorme, come mai prima, svolto con l’obiettivo di prendere in carico e tentare di risolvere o dipanare temi e grumi di questioni lasciati per troppo tempo in sospeso.

E che è emerso, nella sua organicità e com-plessità con nitida chiarezza, probabilmente anche grazie alla “giusta” distanza con cui è

stato possibile descriverlo, restituirlo, com-mentarlo.

Sono stata orgogliosa e fiera, questo è il termine giusto, di raccontare ad un uditorio così qualificato e vasto la nostra esperienza della legge per contrastare il caporalato, mo-mento che ha raccolto una attenzione enor-me, o quella contro le dimissioni in bianco ma anche l’esperienza maturata per sostene-re l’occupazione femminile e l’occupazione femminile qualificata in agricoltura, agevolare e affermare la presen-za delle donne nei consigli di amministrazione nelle im-prese private e pubbliche, sostenere le donne nel conciliare desiderio di maternità e lavoro, affer-mare l’idea di un welfare al servizio dell’occupa-zione femminile, sostene-re, grazie a programmi di cooperazione internaziona-le mirati, l’autonomia, l’auto-determinazione delle donne, la rigenerazione dei tessuti politici e sociali.

Ne sono consapevole: il molto che abbia-mo fatto – soprattutto smuovere con azioni e prassi concrete una cultura che dentro e fuori le aule parlamentari condiziona ancora una visione del mondo e ostacola la pienezza di pari opportunità di genere e sostenere – va ancor di più sostenuto e rafforzato.

Ma questa è la strada e faremo di tutto, nel nostro ruolo di opposizione responsabile e rigorosa in Parlamento così come nel lavoro quotidiano che svolgeremo nel Partito demo-cratico e nei luoghi della politica, perché si

prosegua nella direzione avviata, impedendo che si possa anche minimamente tornare in-dietro, retrocedere.

Allo stesso modo dovrà essere un obiettivo prioritario proseguire nel lavoro avviato per un’agricoltura che finalmente è orizzonte at-trattivo per le nuove generazioni.

Quattro anni fa, è bene ricordarlo, questo settore era ai margini dell’attenzione pubbli-ca. Noi abbiamo invertito la rotta dimostran-

do lo spazio enorme a disposizione, convinti come eravamo e siamo

che agricoltura di qualità si-gnifichi contemporanea-

mente rigenerazione del paesaggio, tutela ambien-tale, innovazione, occu-pazione, valorizzazione delle identità e tipicità: uno dei più importanti biglietti da visita del no-

stro Made in Italy. Non a caso proprio nel

corso dell’evento promosso dal Governo il primo giorno di

lavori, a prendere la parola sono state quattro imprenditrici d’eccellen-

za, testimoni del nuovo modo di pensare e fare agricoltura legandola all’innovazione nei processi produttivi e nella gestione aziendale, alla multifunzionalità, alla sostenibilità am-bientale, sociale, economica: Laura Bargione, Giorgia Pontetti, Emilia Nardi, Mariangela Co-stantino. Le ho già ringraziate di persona ma voglio farlo ancora: perché sono la testimo-nianza più efficace di quello che un’agricol-tura al femminile significa. Anche in questo caso: da qui non si torna indietro.

Donne

Teresa Bellanova

“Ciò che abbiamo fatto in questi anni

va sostenuto e rafforzato. Non si può tornare

indietro”

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“Da dove riparte il Pd? Il Pd riparte dalle persone, dalla comunita’, dalle risposte ai temi concreti. Lavoro, giovani, diritti. Diritti delle donne. In Italia viene uccisa una donna ogni 60 ore. È una strage continua. Dobbiamo reagire tutti subito. Occorrono azioni forti, a partire anche dall’introduzione dell’arresto obbligatorio per chi maltratta e per gli stalker”. Cosi’ il Segretario reggente durante l’assemblea del Pd a Roma.

Martina: arresto obbligatorio per chi maltratta le donne e per gli stalker

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6 mercoledì 21 marzo 2018Dopo il 4 marzo

Il risultato elettorale ci mette di fronte alla neces-sità, urgente (ma non sbrigativa) e prioritaria (ma non immobilizzante), di una riflessione profonda. Una cosa è evidente: non siamo riusciti a dare rispo-ste adeguate alle domande sociali espresse dal cor-po elettorale. E se rinunciamo a capire, se sbagliamo l’analisi del perché abbiamo perso, con-tinueremo a sbagliare anche le risposte.

Abbiamo governato 5 anni, seppur con maggioranze sempre spurie, e seb-bene siamo riusciti a rimettere in piedi un Paese che era sull’orlo del fallimento, a riportare gli indicatori macroeconomi-ci in positivo con uno sforzo notevole, non siamo riusciti ad ottenere risultati in grado di dare risposte alle esigenze di una parte importante di cittadine e citta-dini. Sono orgogliosa di tante cose fatte, di aver ridato solidità al Paese, di avergli dato norme di civiltà sul tema dei diritti civili, di aver ritrovato una collocazione autorevole in Europa, ma evidentemen-te non è bastato, e dobbiamo capire per-ché.

Come ha sottolineato Martina, la lunga scia della crisi ha fatto sì che, malgrado i nostri sforzi, la domanda di protezione di fronte alle sfide della globalizzazione non abbia trovato in noi risposte effica-ci. Non siamo riusciti ad incidere come avremmo dovuto sulla precarietà, sulla povertà, sulle disuguaglianze. E questo ha lasciato spazio a paure e ansie rispet-to al futuro, che hanno condizionato atti-tudini sociali e comportamenti elettorali.

È da qui che dobbiamo ripartire: da un’analisi profonda dello scarto prodotto tra i risultati da noi ottenuti e le domande cui in questi anni non abbiamo saputo dare risposte. Per ritrovare aderenza tra le nostre risposte e le domande delle persone, aprendoci ai contributi del mondo intellettuale, innovando e senza rifugiarci nella retorica o nel passato, ricostruendo con pazienza una coerenza tra i nostri valori profondi e le domande di cambiamento, di protezione, di lavoro, di reddito, di uguaglianza, di rappresentanza. Do-mande collegate ai dati reali e alle scelte razionali delle per-sone, ma anche alle percezioni e alle emozioni.

Per farlo non dobbiamo guardarci dentro, se non quanto

serve a rendere più lucida la lente per rivolgerci all’esterno. Per riprendere un dialogo reale con il Paese, ascoltare, inno-vare pratiche e linguaggi, strumenti e organizzazione, rende-re il PD davvero una piattaforma di partecipazione adeguata alla complessità della società contemporanea, rilanciare le nostre proposte all’interno di una cornice valoriale e simbo-lica, una visione che renda chiaro e condivisibile il futuro che abbiamo in mente per l’Italia e per l’Europa.

Il mondo è cambiato e cambia più velocemente che mai. Non possiamo allora mai adagiarci, dob-biamo cambiare, anche noi. È una con-dizione che ci accomuna a tutte le espe-rienze di sinistra riformista del mondo. Le destre ed i populisti hanno trovato risposte rozze e immediate alle ansie dei cittadini, risposte superficiali e rischiose, al punto di mettere in discussione l’Eu-ropa, che invece rappresenta l’unica di-mensione in grado di darci gli strumenti per governare la complessità e ricostrui-re, per la sinistra, un orizzonte program-matico e politico capace di cambiare il paradigma e riaffermare i nostri valori.

Dobbiamo sapere però che i valori non basta enunciarli. Serve che diventino visione politica e programmi di azione. Che interagiscano con la realtà, la vita, le persone.

L’Articolo 3 della Costituzione e l’A-genda 2030 dell’Onu possono essere due chiavi di lettura centrali per ricostruire una prospettiva: sono infatti espressio-ni valoriali che immediatamente hanno conseguenze pragmatiche, che implica-no azione. Quello che oggi ci serve è met-tere al centro del nostro agire lo svilup-po sostenibile, inteso come uno sviluppo che tenga assieme economia, uguaglian-za, benessere delle persone, sostenibilità ambientale.

L’analisi seria e rigorosa della sconfitta deve allora servirci a ritrovare la nostra

utilità storica e politica, a rendere a tutte e tutti facile rispon-dere alla domanda: cosa è la sinistra oggi? Una domanda cui alcuni giovani incontrati in un pub durante la mia campagna elettorale non hanno saputo rispondere.

Ecco, dovremmo partire da loro. Se riusciremo a convince-re quelle ragazze e quei ragazzi che la risposte alle loro aspet-tative, alle loro preoccupazioni sul futuro, al loro disorienta-mento in una modernità complessa, siamo noi, con i nostri valori e le nostre proposte, avremo ricostruito un senso ed un futuro per il Pd, per l’Italia, per l’Europa.

Troppo scarto tra risultati e domande

Valeria Fedeli CONDIVIDI SU

Non possiamo adagiarci, il

mondo cambia più velocemente che mai e dobbiamo

cambiare anche noi

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7 mercoledì 21 marzo 2018Dopo il 4 marzo

Nel dibattito in corso si incontra spesso la paradossale affermazione che “gli elet-tori ci hanno chiesto di stare all’opposi-zione”: paradossale, perché è chiaro che chi ha votato Pd lo voleva al governo, altrimenti avrebbe votato per un altro partito. A sentire le parole di militanti e dirigenti, sembra

quasi che l’idea di collocarsi all’opposizio-ne porti con sé una specie di sollievo. E si capisce che questo possa essere un modo di reagire alla batosta del 4 marzo. Ma che vuol dire stare all’opposizione? Certo il nostro modello non è quello seguito dai 5 stelle nella legislatura appena finita: all’op-posizione di tutto e di qualsiasi cosa, anche a prezzo di giravolte e di vere e proprie im-boscate (ricordare le unioni civili, o la leg-ge elettorale). E’ invece quello di una op-posizione parlamentare che sviluppa temi e proposte. E dunque il problema è pur sempre quello delle politiche che ritenia-mo giuste per questo partito. E qui viene fuori il problema vero. Si deve reagire al calo dei consensi buttando a mare le politi-che dei governi Renzi e Gentiloni? Si deve rimettere indietro l’orologio, sconfessare il Jobs act, le molte riforme portate felice-mente a termine e la riforma costituziona-le bocciata al referendum dell’anno scor-so? L’insistenza di alcuni sulla necessità di una rifondazione, di ritrovare un’identità, addirittura di una fase costituente, sem-brano andare in questa direzione. Si trat-terebbe di cancellare la segreteria di Renzi - il cosiddetto renzismo - e tornare a una versione più tradizionale delle politiche di centrosinistra. Ma tornare indietro non può essere in alcun modo la soluzione. Non c’è dubbio che il Pd debba ritrovare la sintonia con i ceti popolari, che sono i più colpiti dalla crisi, e più in generale dagli effetti della globalizzazione. Dubito però che questo obiettivo possa essere raggiunto con la mossa francesca-na di porsi “al fianco degli umili”, o in mezzo al popolo, o vicino a chi soffre (secondo i diversi linguaggi usati). Certo che bisogna avere empatia verso le persone in difficoltà; ed è vero che il Pd negli ultimi anni di empatia ne ha mostrata poca. La narrazione ottimista, che voleva stimolare la ripresa civile del paese, è stata

forse eccessiva, ha dato la sensazione di indifferenza ai proble-mi di tanta gente, soprattutto al Sud. Mentre al Nord è apparsa altrettanto indifferente ai problemi della sicurezza. La compren-sione e l’empatia vanno ritrovate; ma la vocazione e l’ambizione di una forza politica è molto più grande, e anche più difficile: costruire un progetto politico che punti a risolvere le difficoltà dei ceti popolari. Il tema dunque è il progetto politico. Viviamo un’epoca di ridefinizione di tutti i nostri abituali parametri: non possiamo pensare di affrontarla con i soliti rassicuranti luoghi

comuni. Si pensa davvero che ai problemi dell’oggi sia ancora adeguato un proget-to di sinistra novecentesca, che si limiti a pensare una redistribuzione passiva - di-visione di una torta sempre più piccola e rinsecchita? Il problema drammatico che dobbiamo affrontare è come rilanciare la crescita - non solo economica, ma sociale, civile, culturale - per tutti, nelle difficoltà create da fenomeni come la concorrenza dei paesi emergenti, la delocalizzazione delle attività produttive, la rivoluzione co-gnitiva prodotta dalla rete. I ceti più deboli possono essere sostenuti in modo efficace soltanto all’interno di un progetto di cresci-ta, e quindi soltanto all’interno di una alle-anza con i ceti più forti e produttivi. Debo-li e forti insieme, nel quadro di una netta scelta europeista: solo così si può pensare di vincere la sfida.

Penso quindi che, lungi dal tornare in-dietro, si debba fare uno sforzo ulteriore nella definizione di una identità politica riformista, più coerente e più consapevole di quanto non sia stata in questi anni. La leadership di Renzi non ha sbagliato per troppo riformismo, ma piuttosto per non avere sufficientemente pensato e difeso il proprio riformismo, almeno nell’ultima fase. Anzitutto all’interno dello stesso Pd. E qui emerge un altro punto dolente. Le elezioni hanno anche certificato lo stato di pressoché totale destrutturazione del par-tito. Nessuno può immaginare che si possa

ricostituire il partito di una volta: sono le forme di vita che sono cambiate, e quindi anche le forme di comunicazione e socializ-zazione. Ma da questo all’attuale disgregazione (soprattutto nel Mezzogiorno) ce ne corre. Bisogna rimettersi con pazienza a ricucire il tessuto di un partito che non sia soltanto la somma, spesso conflittuale, di cordate di potere. Il Pd ha bisogno oggi di due cose: organizzazione e pensiero. Sono queste le cose che sono mancate in questi anni, e che devono essere ricostruite, con la convinzione che solo così si potrà ritrovare la sintonia con il paese.

Claudia Mancina CONDIVIDI SU

Ora serve uno sforzo nella

definizione di una identità politica riformista, più di quanto è stato

fatto in questi anni

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