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Bozza da correggere e completare Note incomplete Milano, il 16 ottobre 2003 Marco Avagliano LA COSTITUZIONE DELLA SOCIETÀ PER AZIONI 1 1. Il contratto di società per azioni: la società unipersonale. Nel nuovo sistema delineato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, è possibile assistere alla nascita di una società per azioni che abbia sin dall’origine un solo socio fondatore. Il nuovo primo comma, dell’art. 2328, in ossequio alla normativa comunitaria ed alla legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 2 , prevede infatti che la società per azioni possa essere costituita anche per atto unilaterale, oltre che per contratto. Si dissolve di conseguenza la corrispondente causa di nullità sancita dal previgente n. 8 dell’art. 2332. La società per azioni unipersonale non è figura del tutto sconosciuta al nostro codice civile. Essa peraltro rimaneva confinata ad una situazione residuale, che per ragioni di tutela dei creditori sociali si sostanziava essenzialmente quando, in una fase successiva alla nascita dell’ente, lo stesso perdeva il proprio carattere pluripersonale: a ciò conseguiva un’espansione di responsabilità del socio unico, ancorché sempre in correlazione a situazioni di insolvenza 3 . Il nuovo diritto societario non crea dunque un nuovo tipo di società, ma, in virtù delle novità apportate dalla riforma, si eleva a figura o modello in qualche modo strutturalmente compiuto l’applicazione di regole speciali nei riguardi di una società per azioni con socio solitario: si superano pertanto le ultime reticenze, come già avvenuto da tempo in altri ordinamenti, a considerare la responsabilità limitata come una prospettiva volta a conferire un grado ed un’intensità di garanzia minore rispetto a quella personale e illimitata 4 . L’obiettivo che il legislatore si pone risulta immediato: agevolare la costituzione di imprese che, sebbene foggiate da singoli individui, possano utilizzare nello svolgimento della loro attività le collaudate strutture organizzative delle società di capitali, nonché il corrispondente status legato all’acquisto della personalità giuridica 5 . Corollario importante, anche se non unico, scaturente da tale opzione, risulta dunque un esercizio in forma individuale dell’impresa sociale: residua quindi inalterato il beneficio della limitazione della responsabilità e della separazione dei patrimoni, 1 Il presente lavoro ricalca sostanzialmente quanto già elaborato e pubblicato in AA.VV., Il nuovo diritto societario. Prime riflessioni: Della società per azioni. Disposizioni generali, a cura dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, Milano, 2003, pag.. 2 Art. 4, comma secondo, lett. e) della legge delega. 3 Ragion per cui, onde ottenere tale risultato, si ricorreva spesso all’espediente di costituire società con soci fittizi che detenessero percentuali assolutamente irrisorie di capitale: in tali eventualità d’altronde la giurisprudenza ne ha sovente confermato il carattere formalmente pluripersonale. 4 E’ noto come sovente, anche nelle esperienze di altri ordinamenti, ad esempio nei confronti delle società di matrice anglosassone, sia uso l’accompagnarsi alle obbligazioni sociali quella fideiussoria di uno o più dei soci considerati maggiormente affidabili. 5 E verrebbe da chiedersi, ragionando in astratto, visti i recenti sviluppi delle tematiche sulla destinazione di beni a scopi, la quale non necessariamente richiede la creazione di una persona giuridica, se prima o poi non si perverrà in via legislativa alla delineazione di una società di persone con unico socio, se non proprio dell’impresa individuale a responsabilità limitata. Detto modello, cui il codice già in parte conferisce una qualche lieve dignità (art. 2272, n. 4), pur se sprovvisto di un’autonomia patrimoniale perfetta, potrebbe peraltro risultare interessante, per i diversi profili di vantaggio, oltre che di differenza, che comunque presenta rispetto all’imprenditore individuale tout court, legati alla ormai riconosciuta soggettività giuridica e correlativa imputabilità, oltre che alla disciplina comunque peculiare rispetto a quella di diritto comune (ad esempio, l’art. 2268 c.c. in tema di preventiva escussione del patrimonio sociale). 1

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Bozza da correggere e completare Note incomplete

Milano, il 16 ottobre 2003

Marco Avagliano

LA COSTITUZIONE DELLA SOCIETÀ PER AZIONI 1

1. Il contratto di società per azioni: la società unipersonale.

Nel nuovo sistema delineato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, è possibile assistere alla nascita

di una società per azioni che abbia sin dall’origine un solo socio fondatore. Il nuovo primo comma, dell’art. 2328, in ossequio alla normativa comunitaria ed alla legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 2, prevede infatti che la società per azioni possa essere costituita anche per atto unilaterale, oltre che per contratto. Si dissolve di conseguenza la corrispondente causa di nullità sancita dal previgente n. 8 dell’art. 2332.

La società per azioni unipersonale non è figura del tutto sconosciuta al nostro codice civile. Essa peraltro rimaneva confinata ad una situazione residuale, che per ragioni di tutela dei creditori sociali si sostanziava essenzialmente quando, in una fase successiva alla nascita dell’ente, lo stesso perdeva il proprio carattere pluripersonale: a ciò conseguiva un’espansione di responsabilità del socio unico, ancorché sempre in correlazione a situazioni di insolvenza 3. Il nuovo diritto societario non crea dunque un nuovo tipo di società, ma, in virtù delle novità apportate dalla riforma, si eleva a figura o modello in qualche modo strutturalmente compiuto l’applicazione di regole speciali nei riguardi di una società per azioni con socio solitario: si superano pertanto le ultime reticenze, come già avvenuto da tempo in altri ordinamenti, a considerare la responsabilità limitata come una prospettiva volta a conferire un grado ed un’intensità di garanzia minore rispetto a quella personale e illimitata 4.

L’obiettivo che il legislatore si pone risulta immediato: agevolare la costituzione di imprese che, sebbene foggiate da singoli individui, possano utilizzare nello svolgimento della loro attività le collaudate strutture organizzative delle società di capitali, nonché il corrispondente status legato all’acquisto della personalità giuridica 5. Corollario importante, anche se non unico, scaturente da tale opzione, risulta dunque un esercizio in forma individuale dell’impresa sociale: residua quindi inalterato il beneficio della limitazione della responsabilità e della separazione dei patrimoni,

1 Il presente lavoro ricalca sostanzialmente quanto già elaborato e pubblicato in AA.VV., Il nuovo diritto

societario. Prime riflessioni: Della società per azioni. Disposizioni generali, a cura dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, Milano, 2003, pag..

2 Art. 4, comma secondo, lett. e) della legge delega. 3 Ragion per cui, onde ottenere tale risultato, si ricorreva spesso all’espediente di costituire società con soci

fittizi che detenessero percentuali assolutamente irrisorie di capitale: in tali eventualità d’altronde la giurisprudenza ne ha sovente confermato il carattere formalmente pluripersonale.

4 E’ noto come sovente, anche nelle esperienze di altri ordinamenti, ad esempio nei confronti delle società di matrice anglosassone, sia uso l’accompagnarsi alle obbligazioni sociali quella fideiussoria di uno o più dei soci considerati maggiormente affidabili.

5 E verrebbe da chiedersi, ragionando in astratto, visti i recenti sviluppi delle tematiche sulla destinazione di beni a scopi, la quale non necessariamente richiede la creazione di una persona giuridica, se prima o poi non si perverrà in via legislativa alla delineazione di una società di persone con unico socio, se non proprio dell’impresa individuale a responsabilità limitata. Detto modello, cui il codice già in parte conferisce una qualche lieve dignità (art. 2272, n. 4), pur se sprovvisto di un’autonomia patrimoniale perfetta, potrebbe peraltro risultare interessante, per i diversi profili di vantaggio, oltre che di differenza, che comunque presenta rispetto all’imprenditore individuale tout court, legati alla ormai riconosciuta soggettività giuridica e correlativa imputabilità, oltre che alla disciplina comunque peculiare rispetto a quella di diritto comune (ad esempio, l’art. 2268 c.c. in tema di preventiva escussione del patrimonio sociale).

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mentre, con i dovuti adattamenti richiesti dalla mancanza di una pluralità di soci, perdurano gli organi 6 e le caratteristiche proprie dell’organizzazione corporativa.

Il nuovo diritto delle società consente d’altronde che unici soci delle società per azioni, come ora anche delle società a responsabilità limitata, possano essere anche altre persone giuridiche. Le trasformazioni introdotte possono dunque leggersi anche in un’ottica più ampia, di efficienza dell’attività che si viene a svolgere: la società unipersonale diventa strumento utile di diversificazione e segmentazione della gestione dell’impresa collettiva, innestandosi quindi in un disegno del legislatore volto a moltiplicare gli strumenti affidati all’autonomia privata in tale ambito, oltre che mediante l’utilizzazione di modelli tipologici diversificati (società per azioni unipersonale: art. 2325; e società a responsabilità limitata unipersonale: art. 2462), anche attraverso la specifica previsione di una disciplina in materia di direzione e coordinamento delle società, ossia dei gruppi (art. 2497 ss.), e in tema di patrimoni destinati ad uno specifico affare o di proventi dedicati al rimborso di un finanziamento (art. 2447 bis). Questa idoneità alla compartimentazione, cui di regola consegue un effetto di separazione patrimoniale, se da un lato pone delicati problemi nei rapporti con i terzi, e forse anche il dubbio di un utilizzo distorto di tali istituti per finalità elusive, in particolare nei riguardi dei creditori presistenti, dall’altro appare compensata, oltre che dall’applicazione di regole più rigorose, da una maggiore trasparenza attuata attraverso la corrispondente pubblicità nel registro delle imprese 7.

1.1.La peculiare disciplina della società unipersonale. La società per azioni può dunque costituirsi per contratto, ma anche per atto unilaterale 8. In

quest’ultimo caso, in maniera analoga alla disciplina dell’unico partecipante a società a responsabilità limitata (art. 2462), la legge impone particolari garanzie a tutela dei terzi. Per i necessari adempimenti, soprattutto pubblicitari, ed il corrispondente regime di responsabilità, l’art. 2325, secondo comma 9 dispone che ove la società divenga insolvente 10, ed in relazione a tale periodo, l’unico socio possa essere chiamato a rispondere illimitatamente 11:

6 E tra questi ovviamente la riunione assembleare. 7 Il che non sarà senza effetti nei riguardi delle tematiche relative al socio tiranno ed agli enti di comodo: W.

BIGIAVI, Società controllata e società adoperata come cosa propria, in Giur. it., 1959, I, 1, 624; A. PAVONE LA ROSA, La teoria dell’imprenditore occulto nell’opera di W. Bigiavi, in Riv. dir. civ., 1967, I, pag. 623; C. ANGELICI, Le disposizioni generali sulla società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 16, t. 2, Torino, 1985, pag. 222 e ss.

In particolare dovrebbe risultare notevolmente compressa l’utilizzazione, invero frequente nelle società di persone ed a responsabilità limitata, di costituzioni di enti societari a carattere solo formalmente pluripersonale, in quanto dissimulanti in realtà fenomeni di interposizione fittizia: CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, pag.; M. BERTUZZI, T.

8 Che la società sia istituto che abbia fonte e natura contrattuale è dato che risulta, dopo lunghe questioni, ormai acquisito: vedi D. CORAPI, Gli statuti della società per azioni. D’altronde proprio in occasione dell’introduzione della società a responsabilità limitata unipersonale, la rubrica dell’art. 2247 c.c. fu modificata nell’attuale di “contratto di società” dall’art. 1 del d.lgs. 3 marzo 1993, n. 88. Comunque anche nell’eventualità di costituzione per atto unilaterale, in virtù del richiamo effettuato dall’art. 1324 c.c., nei riguardi di tale fattispecie si osserveranno le norme che regolano i rapporti contrattuali. Sul punto vedi anche F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, Padova, 2003, vol. XXIX, pag. 63.

9 Norma sostanzialmente ricalcata dal vecchio art. 2362. 10 Ai fini della valutazione di tale insolvenza rimane utile indice quello fornito dal secondo comma dell’art. 5

della legge fallimentare r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonché dalle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali in ordine allo stesso sviluppatesi; vedi sul punto FERRARA, Manuale di diritto fallimentare.

Questione che ha condotto a risultati non sempre univoci concerne la possibilità di assoggettare l’unico azionista a fallimento, in virtù del disposto dell’art. 147 della legge fallimentare: vedi G. F. CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, pag. 37, n. 1. A favore si dimostra GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., pag. 60, che cita, tra gli altri, Trib. Milano 6 ottobre 1997, in Dir. fall., 1998, II, pag. 1142; Trib. Bologna, 24 novembre 1998, e 3 ottobre 1998, in Foro it., 1999, I, c. 2379; nonché F. DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1999, pag. 229. Esprimono opinione contraria invece Cass. 19 novembre 1981, n. 6156, in Foro it., 1982, I, c. 2897; Cass. 24 marzo 1976, n. 1044, in Foro it., 1976, I, c. 2178. Sembra in qualche modo preferire quest’ultima soluzione,

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a) nel caso in cui i conferimenti non siano stati versati integralmente; b) ovvero fin quando non siano realizzate le pubblicità prescritte. Anche da un confronto con la previgente normativa - in realtà con l’art. 2497, secondo

comma, dettato peraltro per le società a responsabilità limitata - si evidenzia come sia sufficiente per l’estensione della responsabilità, la non effettuazione di almeno uno dei predetti adempimenti. E’ peraltro da ritenersi che il termine “fin quando”, di cui al secondo comma dell’art. 2325, non vada interpretato nel senso di concedere alla pubblicità, una volta effettuata, un’efficacia sanante retroattiva per il periodo, di eventuale insolvenza, in cui essa fosse difettata ed i conferimenti non fossero stati integralmente versati. La delimitazione di responsabilità del socio non potrà quindi che valere per le obbligazioni sorte successivamente alla regolarizzazione della sua posizione di capitale e pubblicità 12.

Si è volutamente parlato di estensione di responsabilità, in quanto si è si rimane nell’ambito di un fenomeno societario, di organizzazione. Le situazioni che ne fanno scattare i presupposti non comportano un ritorno alla disciplina di diritto comune, all’art. 2740 per intenderci: alla responsabilità del patrimonio sociale non si sostituisce quella del socio, ma quest’ultima vi si aggiunge, integrandola 13. La struttura della società di capitali permane, così come, in sostanza il relativo effetto di separazione patrimoniale: da ciò consegue che, non attuandosi confusione tra beni personali e sociali, il socio non sarà titolare e non potrà disporre di questi ultimi e sempre di questi il creditore individuale non potrà rivalersi; sorgerà invece la possibilità che i creditori dell’ente possano aggredire il patrimonio del socio, in concorso con i creditori personali.

L’art. 2325, secondo comma, effettua un rinvio all’art. 2342 che pone un’esplicita norma di salvaguardia del capitale sociale: i conferimenti vanno integralmente versati all’atto della costituzione o in sede di aumento; e, ove la società perda in un momento successivo il carattere pluripersonale, entro 90 giorni da tale evento (quarto comma). Il mancato versamento integrale peraltro non costituisce più causa di nullità della società, in quanto è stato soppresso il n. 6), del primo comma dell’art. 2332, che faceva riferimento al vecchio art. 2329, n. 2). Rimane peraltro un problema di responsabilità del notaio che abbia dapprima stipulato, quindi iscritto una società unipersonale in mancanza di tutte le condizioni di legge 14.

Con riguardo agli adempimenti pubblicitari va richiamato anche l’art. 2362, che, al fine di consentire una sollecita identificazione del socio solitario, gli amministratori o l’unico azionista devono assolvere, con una dichiarazione da depositarsi per l’iscrizione presso il registro delle imprese entro trenta giorni dall’annotazione nel libro dei soci.

Onde evitare un uso spassionatamente strumentale dell’ente da parte del socio padrone, e a tutela della separatezza tra i patrimoni personale e sociale, il codice stabilisce quindi che i contratti e le operazioni tra società e unico socio siano opponibili ai creditori della società quando risultano dal libro degli amministratori o per atto scritto con data certa anteriore al pignoramento (art. 2362, quinto comma). Detta norma pertanto, nel porre in rilievo l’anteriorità degli atti realizzati, lungi dal voler porre sanzioni di invalidità degli atti posteriori compiuti, comporta, in caso di inosservanza delle prescrizioni suddette, la mera inopponibilità degli effetti di quanto compiuto ai creditori sociali 15.

Agli obblighi finora ricordati si ricollega l’art. 223 duovicies delle disposizioni di attuazione e transitorie, che stabilisce che, per le fattispecie antecedenti al 1° gennaio 2004, i termini per le iscrizioni previste dall’art. 2362 decorrano dalla sua data di entrata in vigore.

per motivi legati alla tendenziale permanenza della separazione dei patrimoni di socio e società, ANGELICI, Le disposizioni, cit., pag. 221, nota 96.

11 Nel senso che tale responsabilità illimitata abbia natura di garanzia per debiti giuridicamente altrui, si veda DI SABATO, Manuale delle società, cit., pag. 229.

12 Prima di ciò i creditori della società potranno dunque rivalersi, per il caso di insolvenza, anche sul patrimonio personale del socio, senza che i creditori personali dello stesso possano invocare la separazione patrimoniale per effetto dell’intervenuto assolvimento degli adempimenti prescritti.

13 ANGELICI, Le disposizioni, cit., pag. 221. 14 Sul punto 15 E ciò in maniera affine a quanto disposto dall’art. 2914 c.c.

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Con la riforma non si è proceduto peraltro ad integrare il quarto comma dell’art. 2250, che, solo per le società a responsabilità limitata, dispone che nei loro atti e nella loro corrispondenza debba essere indicato se queste abbiano unico socio: il che non preclude, è ovvio, che tale indicazione possa eseguirsi, almeno volontariamente, anche nei riguardi delle società per azioni 16.

Occorre rammentare infine la particolare responsabilità illimitata e solidale del socio unico fondatore, insieme a coloro che hanno agito, per le operazioni compiute in nome della società prima dell’iscrizione (art. 2331, secondo comma); egli è pertanto comunque responsabile per gli atti posti in essere prima della venuta ad esistenza della società, sia che costituisca la persona che li ha compiuti, e anche ove non li abbia non solo posti in essere, ma neanche consentiti, decisi o autorizzati. Dalla lettera della legge infatti sembra emergere una responsabilità tout court, che sorge in capo anche all’unico socio per il solo fatto che qualcuno abbia agito in nome di quella società unipersonale non ancora iscritta. Ed una responsabilità particolarmente vigorosa, in quanto prescinde da adempimenti di capitale, pubblicitari o altro e non richiede l’insorgere o l’evidenziarsi di manifestazioni o stati di insolvenza. 2. Gli enti che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio: le società quotate e le società con azioni diffuse.

L’art. 2325 bis, primo comma, norma del tutto nuova e innovativa, opera un’importante distinzione tra società che fanno o meno ricorso al mercato del capitale di rischio: queste ultime sono le società con azioni quotate e quelle con azioni diffuse in misura rilevante. Numerose sono dunque le norme dei decreti di riforma che prevedono nei confronti di questi peculiari soggetti adempimenti particolari e di regola più rigorosi, riflettendo una concezione di base che colloca e allo stesso tempo distingue le posizioni dei soci, ossia degli apportatori e dei detentori del capitale di rischio, in relazione al loro essere ubicati all’interno dei mercati finanziari, nella duplice accezione quindi di azionisti investitori e azionisti risparmiatori (shareholders e stakeholders). Di conseguenza, alla luce delle istanze di tutela del mercato e dei soggetti ivi operanti, risultano maggiormente comprensibili gli evidenti e ripetuti tentativi del legislatore volti a comprimere, o comunque a non dilatare eccessivamente, gli spazi di autonomia statutaria, in funzione di un ampliamento del grado di imperatività delle norme applicabili. Principi d’altronde espressi anche dalla legge “Mirone” 366 del 2001, che indica come imprenscindibile cammino quello del “perseguire l’obiettivo prioritario di favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni ed internazionali dei capitali” (art. 2, primo comma, lett. a); e, “garantendo comunque un equilibrio nella tutela degli interessi dei soci, dei creditori, degli investitori, dei risparmiatori e dei terzi, prevederà un modello di base unitario e le ipotesi nelle quali le società saranno soggette a regole caratterizzate da un maggior grado di imperatività in considerazione del ricorso al mercato del capitale di rischio” (art. 4, primo comma, ultimo inciso); e pertanto pur nell’attuare “un ampliamento dell’autonomia statutaria, individuando peraltro limiti e condizioni in presenza dei quali sono applicabili a società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio norme inderogabili […]” (art. 4, secondo comma, lett. a).

L’impostazione adottata dal legislatore della riforma appare antitetica a quella presente in altri ordinamenti, come quello nordamericano, ove un ampissimo spazio è lasciato agli apprezzamenti che il mercato (sia esso più o meno efficiente) compie sulla struttura, anche negoziale, concretamente adottata. D’altronde fenomeni di concorrenza tra ordinamenti sono lì ben conosciuti - basti pensare all’esempio del Delaware, o della California - mentre da noi solo da poco tempo cominciano ad affacciarsi meno timidi dibattiti sul tema. Anche se proprio l’istanza di contesa tra sistemi giuridici ha costituito, come già osservato, una delle molle che ha spinto il nostro legislatore ad emanare la presente riforma; che ha tra l’altro mostra di aver favorito anche un percorso di

16 Sembra invece configurarne in qualche misura un obbligo CAMPOBASSO, La riforma delle società di

capitali, cit., pag.

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competizione tra modelli tipologici previsti dalla medesima compagine normativa e di correlata valutazione dei singoli contratti.

La strada scelta ci accosta invece ancora di più ad una visione continentale del diritto societario: più alto è infatti il grado di ricorso al mercato e maggiore scaturisce il grado di imperatività, e di corrispondente inderogabilità, delle norme. Volendo disegnare un’ideale graduatoria delle società di capitali, si parte quindi da quella a responsabilità limitata, organismo corredato del massimo grado di autonomia statutaria, che le consente di strutturarsi addirittura con libertà molto simili a quelle della società di persone; si transita quindi per la società per azioni ordinaria, chiusa, dotata comunque di un (seppur discretissimo) grado di flessibilità; e si arriva infine alle società che fanno appello al mercato, ossia quelle con azioni diffuse in maniera rilevante o quotate, ove specie nei confronti delle ultime, l’inderogabilità della disciplina si dimostra massima e stringente.

Con i d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e 6 si coglie dunque l’occasione di coordinare la più evoluta disciplina delle società emittenti titoli quotati, contenuta nel d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, recante il “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” (sovente denominato t.u.f. o legge Draghi), con l’ormai insoddisfacente normativa generale riportata nel codice civile. Il che appare un processo evolutivo alquanto singolare, poiché svoltosi in maniera inversa, speculare: dapprima infatti il legislatore, dopo lunghe attese, è venuto incontro alle esigenze di regolamentazione dei mercati finanziari, appunto con il t.u.f.; quindi, attuato tale iter, si è reso conto dell’inadeguatezza della disciplina di base, ed ha tentato di apportare un corretto equilibrio ai rispettivi piani.

L’art. 2325 bis, secondo comma, realizza quindi un importante raccordo tra le norme dettate dal codice civile per le società quotate e quelle previste in leggi speciali, sancendo la prevalenza di queste ultime sulle prime. Il riferimento è principalmente al d.lgs. 58 del 1998, che disciplina in maniera più specifica, agli artt. 91 ss., le società emittenti titoli quotati. Non sarà necessario quindi in materia di tali enti operare un delicato giudizio di specialità o posteriorità della legge: le norme del t.u.f. si adatteranno alle società quotate, disapplicandosi le corrispondenti norme del codice civile incompatibili.

Nonostante il contenuto della disposizione richiamata appaia senza dubbio semplice ed opportuno, si potrebbero comunque porre alcune perplessità in ambiti che, come ad esempio quello dell’amministrazione e dei controlli, presentino, oltre ad un articolatissimo reticolo di rinvii e intrecci (si veda anche quanto disposto dall’art. 223 septies, secondo comma, delle disposizioni di attuazione e transitorie), una discreta opera di proliferazione normativa. Ulteriori incertezze si pongono anche in relazione ai conflitti di norme che possano intervenire in ambiti diversi da quelli delle società emittenti, ma comunque sempre regolati da d.lgs. 58 del 1998: ad esempio, in relazione alla disciplina degli intermediari, di regola formalmente delle società per azioni, nei confronti dei quali vigono apposite disposizioni, anche regolamentari, in tema di amministratori e sindaci. In questi casi la valutazione risulterà non sempre agevole, e comunque da condurre caso per caso, sebbene proprio la particolarità dell’attività esercitata, oltre che dell’ambito nella quale essa viene a svolgersi, e le delicate istanze di tutela connesse a tali profili, dovrebbe condurre, in maniera ancor più nitida che con riferimento ai soggetti emittenti titoli quotati, ad una soluzione improntata ad un principio di prevalenza, in virtù della loro evidente specialità, delle norme del t.u.f. sulla disciplina generale del codice.

In relazione alle società con azioni diffuse in misura rilevante tra il pubblico, va osservato l’art. 111 bis, delle disposizioni di attuazione e transitorie, che per tali indici rinvia all’art. 116 del t.u.f., il quale a sua volta ne prevede la determinazione con regolamento della Consob. Essa è stata attualmente stabilita con provvedimento del 14 maggio 1999, n. 11971: sono emittenti strumenti finanziari diffusi quelli dotati di un patrimonio netto non inferiore a cinque milioni di euro e con un numero di azionisti o obbligazionisti superiore a duecento (artt. 2, lett. e) e 108). A queste società si applicano pertanto le norme del codice civile, unitamente alle particolari disposizioni, previste dallo stesso codice, che si riferiscono alle società che fanno appello al mercato del capitale di rischio;

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nonché gli artt. 114 e 115 del t.u.f. in tema di comunicazioni al pubblico ed alla Consob, alla quale spettano sulle stesse particolari poteri di vigilanza.

Un dubbio concerne il citato primo inciso dell’art. 111 bis, il quale prevede che la misura rilevante sia quella risultante alla data del 1 gennaio 2004: si aprono dunque due possibilità interpretative antitetiche. La prima conduce a ritenere che si applichi la misura della rilevanza come fotografata al momento indicato, risultando irrilevanti le successive modifiche del predetto regolamento Consob: si eviterebbe in tal modo di ancorare l’operatività di una norma del codice civile alla mutevolezza di un provvedimento, in buona sostanza, amministrativo. All’opposto la seconda ipotesi potrebbe condurre a considerare il rinvio della norma di transitoria come recettizio: detta soluzione, anche se accattivante per la maggiore flessibilità concessa, risulta però meno aderente alla lettera della legge, e probabilmente più inesatta.

Infine va ricordato che il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, recante la “Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366”, all’art. 1, comma primo, lett. d), attrae, anche per connessione, nella competenza delle nuove norme di procedura in materia societaria tutti i rapporti in materia di intermediazione mobiliare ex d.lgs. 58 del 1998.

3. L’atto costitutivo. Funge da filo conduttore di quasi tutte le innovazioni prodotte, in particolare ove rivolte nei

confronti delle società che non fanno appello al mercato dei capitali di rischio, una concezione di fondo volta ad incrementare la libertà negoziale dei privati, in ossequio al principio contenuto all’art. 41 della Costituzione. A tale proposito il secondo comma del medesimo art. 4 della legge delega stabilisce: “per i fini di cui al comma 1 si prevederà:

a) un ampliamento dell'autonomia statutaria, individuando peraltro limiti e condizioni in presenza dei quali sono applicabili a società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio norme inderogabili […]”.

Sebbene tale sviluppo del potere dei privati risulti per le società per azioni meno incisivo e marcato del corrispondente processo estensivo attuato nei confronti della disciplina delle società a responsabilità limitata, l’attenzione rivolta dai nuovi provvedimenti all’autonomia statutaria caratterizza la riforma intervenuta e ne costituisce comunque l’aspetto in qualche modo più rilevante ed interessante. Cambia dunque l’impostazione generale, addirittura culturale del sistema delle società di capitali. Ad una configurazione caratterizzata da una molteplicità più o meno invadente di norme inderogabili e imperative, si affianca, anche se non vi si sostituisce, un assetto in cui proliferano le norme dispositive e facoltative, più in generale quelle derogabili e di default. Questo ampliamento della capacità dei privati di autoregolamentarsi non è peraltro assoluto, né uniforme. Esso subisce un maggiore sviluppo nei confronti delle società con titoli né quotati né diffusi tra il pubblico in misura rilevante, mentre la disciplina delle società che fanno appello al mercato dei capitali di rischio subisce ulteriori irrigidimenti (art. 4, primo comma, ultimo inciso e secondo comma, lett. a) della l. 366 del 2001 e art. 2325 bis). Viene in risalto una contrapposizione tra società aperte, che operano sul mercato e nei confronti del pubblico e quelle, più intime, che invece rivestano un carattere chiuso: ne discende, come si è osservato in maniera più approfondita in tema di società a responsabilità limitata 17, un probabile ammorbidimento della netta distinzione tra società di capitali e società di persone. Così come il moltiplicarsi delle forme di finanziamento, il loro carattere ibrido, assottiglia il divario tra soci, nella veste di apportatori del capitale di rischio, e terzi, in quanto altri e diversi finanziatori.

17 Si conceda di rinviare sul punto, tra gli altri, a M. AVAGLIANO, Della società a responsabilità limitata.

Disposizioni generali, in AA.VV., Il nuovo diritto societario. Prime riflessioni, a cura dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, Milano, 2003, pag. 303.

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Non sembra comunque che tale evoluzione dell’area dell’atipicità, al di là di un mutamento interno ai modelli già prefissati dal legislatore, possa condurre addirittura ad uno sviluppo degli stessi tale da portare alla creazione di ulteriori e innominati tipi societari (si confronti sul punto l’art. 2249) 18. Anche se in verità è questa una valutazione il cui riscontro non potrà ottenersi che a seguito dell’applicazione concreta delle disposizioni della riforma; d’altronde proprio la sfera dei patti parasociali ha ormai ricevuto la consacrazione di una sua minor irrilevanza proprio nel corpo del codice (artt. 2341 bis e 2341 ter).

La riforma comunque non introduce in tema di atto costitutivo delle novità di vera e propria rottura con il precedente sistema: quella che viene compiuta appare più propriamente un’opera di rielaborazione di alcune regole, nonché di integrazione e specificazione di profili già da parte di dottrina e giurisprudenza rilevati come vaghi o lacunosi, e che avevano condotto a posizioni contrastate e opposte.

Un discorso a parte riguarda inoltre le società che intendono accedere alla quotazione. La presenza di tale ultimo indice, ad un tempo obiettivo e procedimento, caratterizza tali enti nella predisposizione di atti costitutivi e statuti che tengano conto delle regole particolari dettate, in particolare dal t.u.f. in relazione a tali peculiari assetti.

3.1. Il contenuto dell’atto costitutivo. L’art. 2328, primo comma, norma parzialmente innovata, prevede innanzitutto, come già

visto, la possibilità che la società per azioni possa essere costituita, oltre che per contratto, anche per atto unilaterale.

A norma del secondo comma dell’art. 2328, l’atto costitutivo della società per azioni deve essere redatto per atto pubblico; l’art. 2332, primo comma, nonostante i vistosi tagli che ha ricevuto per effetto della riforma, considera ancora al n. 1) la mancanza di tale veste come causa di nullità della società. Quest’obbligo di forma si ricollega strettamente al controllo di legittimità che il notaio è chiamato a svolgere e che ha assunto rilevanza centrale in tale fase (art. 2330); d’altronde la riforma ha confermato anche nei riguardi delle società per azioni la sostanziale scomparsa del controllo omologatorio svolto dal giudice (art. 32, l. 24 novembre 2000, n. 340), come si esaminerà con più attenzione di seguito.

Ritornando all’atto costitutivo della società per azioni, vanno ora indicati: i) il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o di

costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza dei soci e degli eventuali promotori, nonché il numero delle azioni assegnate 19 a ciascuno di essi.

Desta alcune perplessità l’indicazione del “luogo di costituzione”, che potrebbe essere non univoco, ovvero non agevolmente rinvenibile (ad esempio, in relazione a persone giuridiche o altri enti esteri) 20. La cancellazione nella versione del d.lgs. 6 del 2003 pubblicata in Gazzetta Ufficiale del termine “persone giuridiche” consente di ritenere comprese nell’adempimento anche le persone non riconosciute e più in generale gli enti, associativi o meno, sforniti del carattere della personalità giuridica; sebbene poi a conti fatti la concreta reperibilità del loro luogo di costituzione potrebbe risultare particolarmente ardua 21.

La relazione al decreto motiva comunque la necessità di tale indicazione ai fini del coordinamento con la l. 31 maggio 1995, n. 218, recante la”Riforma del diritto internazionale privato”: per l’art. 25, primo comma, infatti, la disciplina applicabile, in via di principio e salvo il

18 E sul tema non può sottacersi l’opera dl P. SPADA, La tipicità della società per azioni,

19 Quindi non solo le azioni sottoscritte, come richiedeva il previgente n. 1 del secondo comma dell’art. 2328 c.c. 20 Probabilmente più utile sarebbe risultata, in caso di società, l’indicazione esplicita dell’ufficio del registro

imprese di iscrizione, o comunque, per gli altri soggetti, del luogo o del registro tenuti alla relativa pubblicità; anche se tale genericità consente di ricomprendervi anche quegli enti sprovvisti di un adeguato sistema pubblicitario.

21 Si pensi ad un’associazione non riconosciuta priva di un formale negozio costitutivo, formatasi magari in tempi ormai lontani.

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verificarsi di determinati indici, risulta quella dello Stato dove si è perfezionato il procedimento di costituzione.

ii) la denominazione e il Comune ove sono poste la sede della società e le eventuali

sedi secondarie. In tema di denominazione, occorre ricordare che il contenuto del nuovo art. 2326 c.c. rimane

identico al previgente, prevedendosi dunque che la denominazione, comunque formata, contenga l’indicazione di società per azioni 22. Rimangono quindi inalterati i profili, anche di dubbio relativi alla sua valenza e come nome civile e come ditta dell’impresa sociale 23.

In relazione alla sede 24 si scioglie in senso negativo la questione sulla necessità dell’indicazione anche dell’indirizzo nell’atto costitutivo o nello statuto, e sul se il suo spostamento nell’ambito della stessa città costituisca o meno modifica del contratto sociale; il discorso dovrebbe simmetricamente valere anche per le sedi secondarie 25. Nei riguardi dell’indirizzo (via e numero civico), l’art. 111 ter delle disposizioni di attuazione e transitorie stabilisce un obbligo pubblicitario di indicazione addossato su chi (il notaio, ex art. 2330 c.c.) richieda l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo, ovvero, in caso di sua modificazione, a carico degli amministratori. Ciò non toglie che tale più dettagliata ubicazione possa comunque essere indicata nel contratto sociale, ma ovviamente, non realizzandone più un elemento necessario, in caso di suo mutamento non occorrerà comunque un’apposita deliberazione dell’assemblea straordinaria. Tale conclusione dovrebbe riguardare anche le società già costituite, potendosi considerare le disposizioni in esame, anche in un confronto con quanto portato dall’art. 2365, secondo comma, c.c., delle norme a regime. La norma da ultimo ricordata consente dunque che lo statuto attribuisca all’organo amministrativo (o al consiglio di sorveglianza o al comitato di gestione) la competenza a spostare la sede sociale nel territorio nazionale; nonché ad istituire o sopprimere sedi secondarie 26.

Neanche sembra debbano sussistere dubbi su una clausola che riservi tale competenza ai soci, in seduta ordinaria o straordinaria.

22 Nella sua formazione andranno osservati i limiti di ordine pubblico e buon costume, oltre alle riserve

effettuate dalle leggi speciali (ad esempio, per il termine “banca”: artt. 1, primo comma, lett. b) e 133 del d.lgs. 1° settembre 1993,n. 385). Permangono quindi i dubbi, a volte sollevati, nei confronti dell’utilizzo di una pluralità di termini abbreviativi della denominazione o dell’indicazione comunque richiesta dall’art. 2326. Va ricordata infine l’applicabilità ad essa dell’art. 2567 c.c. e dei principi in tema di “novità”. G. 64

23 Cui si ricollega, coinvolgendo in realtà più propriamente il rapporto tra società e impresa, l’applicabilità della disciplina propria della ditta; ed in particolare, del principio di verità, della possibilità dell’utilizzazione di ditte diverse e delle norme in tema di trasferibilità: ANGELICI, La costituzione, cit., pag. 237 ss.

24 Si ricorda come un’opinione diffusa consideri sede della società quella ove ha sede l’amministrazione della società, e come, nel contrasto tra quella dichiarata e quella effettiva sia quest’ultima a prevalere: sul punto G. 65; si veda ad esempio, Cass. 25 maggio 1982, n. 3175, in Giur. comm., 1983, II, pag. 5.

25 Valgono sempre le previsioni dell’art. 2299, come richiamato dal quarto comma dell’art. 2330, secondo le quali “un estratto dell’atto costitutivo deve essere depositato per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo in cui la società istituisce sedi secondarie con una rappresentanza stabile […]”.

26 Potrebbe rimanere in qualche modo ancora incerto il concetto giuridico di sede, anche secondaria, della società, ossia se essa, e a che effetti, sia composta o meno anche dall’indirizzo: l’art. 2328 non afferma infatti in maniera esplicita che essa sia costituita dal Comune ove sia ubicata, anzi si limita a richiedere l’indicazione “solo” del Comune ove sia collocata, ma ai fini unicamente della redazione dell’atto costitutivo e dello statuto; e analoga designazione si riscontra all’art. 2363, primo comma, in tema di convocazione dell’assemblea. In altri termini, la sicura novità portata dalla riforma sembra involgere l’inutilità di un’assemblea straordinaria dei soci che deliberi il suo spostamento nel medesimo ambito territoriale, ma non è chiaro se anche la restrizione della sua portata giuridica in relazione ad altre disposizioni ed effetti (ad esempio, si veda l’art. 2250, primo comma, c.c., in tema di indicazione negli atti sociali).

Si apprezza peraltro la considerazione che la stessa rilevi come elemento volto a connotare i concreti modi di svolgimento dell’attività della società e gli interessi ad essa conferenti, in tal modo rilevando ai fini dell’individuazione del centro ove sia localizzata la direzione amministrativa della società, senza necessità dell’indicazione precisa del suo indirizzo: ANGELICI, La costituzione, pag. 236 e 237.

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iii) l’attività che costituisce l’oggetto sociale. Anche nel sistema delineato dalla nuova legge l’oggetto sociale 27 continua a ricoprire

nell’atto costitutivo un ruolo centrale, in quanto oltre ad operare quale limitazione della sfera dei poteri degli organi sociali 28, evidenzia il rilievo dato all’attività che si intende esercitare, quale motore dell’organizzazione corporativa che i soci si stanno dando.

La nuova formulazione pertanto rimarca una distinzione tra l’attività da svolgere, ossia il settore economico verso il quale improntare l’agire dell’ente, e gli atti che poi ne costituiscono concreta esplicazione 29.

Si dovrà quindi evitare di introdurre campi di azione assolutamente generici 30, ma anche di redigere oggetti sociali eccessivamente specifici e in pratica onnicomprensivi, in tal modo svincolati dall’attività che effettivamente si andrà ad esercitare 31; anche se sarà possibile prevedere anche più settori definiti di attività concretamente istruibili. Rimarrà comunque assolutamente consentito introdurre quelle previsioni di ulteriori ambiti connessi e strumentali al conseguimento dell’oggetto. Sono fatte salve ovviamente le attività il cui esercizio è per legge riservato a particolari soggetti, ma non si vede la necessità, come richiesto da alcuni giudici, che nell’atto costitutivo o nello statuto sia inserita l’indicazione di tali divieti, dal momento che già la legge ne indica la preclusione; salvo che la legge lo richieda o ricorrano esigenze, in questo caso più di chiarezza, e quindi di opportunità, che altro, che suggeriscano di meglio delimitare l’ambito nel quale si andrà ad operare, anche ai fini di una miglior conoscenza e consapevolezza delle parti.

Va ricordato come l’illiceità dell’oggetto sociale continui a comportare causa di nullità della società, ai sensi dell’art. 2332, primo comma, n. 2, c.c 32.

iv) l’ammontare del capitale sottoscritto e di quello versato. Il nuovo art. 2327 eleva la misura del capitale sociale minimo a centoventimila euro, dagli

originari centomila euro 33. Il che dovrebbe apparire corrispondente alla visione che il legislatore si prefigura delle società per azioni, come modello tipologico destinato alle imprese di maggiori dimensioni 34, oltre che alle previsioni comunitarie in tema di società europea 35.

La riforma non pone un obbligo di adeguamento del capitale per le società già costituite alla data di entrata in vigore della nuova legge: secondo l’art. 223 ter, delle disposizioni transitorie e per l’attuazione, “le società per azioni costituite prima dell’entrata in vigore del presente decreto con un capitale sociale inferiore a centoventimila euro possono conservare la forma della società per azioni per il tempo stabilito per la loro durata antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Tale obbligo graverà pertanto sulle società non ancora costituite alla data del 1° gennaio 2004, ivi comprese quelle per le quali l’atto costitutivo, anche se già stipulato entro la medesima data, non sia stato ancora iscritto (art. 223 bis, quinto comma).

27 Si vedano da ultimo le ricostruzioni operate da G. FERRI JR e G. BARALIS. 28 Che tra l’altro in tema di società per azioni ha condotto ad un ulteriore irrigidimento della demarcazione tra i

diversi poteri, come testimoniano gli artt. 2364, 2364 bis, 2380 bis, 2409 novies, 2409 terdecies, 2409 septiedecies e 2409 octiesdecies.

29 Si conferma quindi una linea di pensiero che rilevava una sottile demarcazione tra oggetto sociale, costituito da un’attività economica, e gli atti compiuti nello svolgimento dell’attività-oggetto (analogamente, per le società a responsabilità limitata, si veda l’art. 2463, secondo comma, n. 3).

30 Ad esempio l’attività di commercio in generale, ovvero l’attività agricola tout court CB 17, G 66. 31 Va ricordato come, in relazione al giudizio di illiceità prospettato dall’art. 2332 c.c., l’orientamento

propenda per una valutazione da condurre sull’attività dichiarata, e non su quella effettivamente esercitata CB 30. 32 Si rinvia pertanto sul punto alla trattazione di seguito compiuta in tema di nullità delle società. 33 Si veda l’art. 4, comma quarto, lett. a), della legge delega 366 del 2001.

34 Ancorché di fatto, l’importo richiesto appaia comunque esiguo, salvo nei casi in cui leggi speciali non richiedano importi più elevati. Il notaio comunque non è tenuto a sindacarne l’adeguatezza CB. pag, 19.

35 Si veda su quest’ultimo punto il Regolamento del Consiglio dell’Unione europea, dell’8 ottobre 2001, relativo allo statuto della Società europea (SE) (pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Comunità europea, del 10 novembre 2001) la cui entrata in vigore è prevista per l’8 ottobre 2004: G. A. RESCIO, La “Societas Europea” (SE), in C.N.N., Studi e materiali, 2003, vol 1, pag. 233 ss. Sul medesimo tema anche M. BIANCA, La Società europea: considerazio)ni introduttive, Contratto e impresa / Europa, 2002, pag. 453 ss.

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Infine non si ribadisce l’obbligatorietà del valore nominale minimo per le azioni - che accolto con certo disfavore - era stato invece introdotto dall’art. 4 del d.lgs. 24 giugno 1998, n. 213. Ci si chiede se si debbano seguire criteri di arrotondamento e, nel caso di risposta positiva, quali: viene subito in mente l’art. 17, del medesimo d.lgs. 213 del 1997, che peraltro è stato dettato per l’ipotesi specifica e sicuramente diversa di conversione in euro 36.

In ogni caso l’art. 2346, secondo e terzo comma, consente ormai di emettere azioni prive di valore nominale.

v) il numero e l’eventuale valore nominale delle azioni, le loro caratteristiche e le

modalità di emissione e circolazione. In tema di azioni, pertanto, dovrà continuarsi ad indicarne il valore nominale, ma ciò non

risulta più obbligatorio, dal momento che è oggi possibile emetterne, ai sensi dell’ art. 2346, secondo e terzo comma, anche prive di valore nominale. Inoltre, come si è già accennato, è stato soppresso l’obbligo di segnalare il valore nominale minimo (art. 2327). L’art. 2328 non richiede neanche più che si indichi se le stesse siano nominative o al portatore.

Il tema delle azioni e degli strumenti finanziari verrà comunque ripreso di seguito, nella trattazione del contenuto facoltativo dello statuto.

vi) il valore attribuito ai crediti e beni conferiti in natura. Ci si chiede a cosa riferire l’attribuzione, ossia se al valore concordato dalle parti (un tenue

riferimento letterale è contenuto al primo comma dell’art. 2343), ovvero a quello assegnato con perizia di stima; soluzione quest’ultima che si lascia nettamente preferire;

vii) le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti. Detta segnalazione appare peraltro necessaria solo ove si voglia derogare alla disciplina di

legge 37. Va ricordato l’art. 2350, secondo comma, che, come già visto, consente all’autonomia privata

di emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore;

viii) i benefici (e non solo la partecipazione agli utili) eventualmente accordati ai

promotori e soci fondatori. Si assiste ad una maggior genericità, almeno con riguardo a quanto va segnalato sull’atto

costitutivo, in tema di favori che promotori e soci fondatori possono riservarsi, sostituendosi alla precedente designazione della “partecipazione agli utili” quella più omnicomprensiva dei “benefici”, che potrebbero comprendere ulteriori vantaggi, anche a carattere patrimoniale e magari di notevole rilievo, ancorché non qualificabili come utili in senso stretto. Detta modifica pertanto può ben esplicarsi come un tentativo di conferire una maggiore trasparenza a quelli che saranno gli assetti futuri della società al cui programma si aderisce. Sul punto si vedano peraltro anche gli artt. 2340 e 2341, che, in tema di costituzione per pubblica sottoscrizione, mantengono nei riguardi dei promotori la limitazione dei vantaggi alla sola partecipazione agli utili;

ix) il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori ed i loro

poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società. La specificazione del sistema di amministrazione adottato, dal confronto con il disposto

dell’art. 2380, appare obbligatoria solo ove non si scelga il sistema di amministrazione ordinario, ma si opti per il sistema dualistico (artt. 2409 octies e ss.), ovvero per quello monistico (artt. 2409 sexiesdecies e ss.); ove tale elezione manchi, si applicherà il sistema tradizionale.

36 Sul punto vedi anche M. NOTARI 37 Sul punto CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, pag. 17; e GALGANO, Il

nuovo diritto societario, cit., pag. 72, che riferisce tale possibilità di deroga, ove possibile, all’art. 2433, primo comma, c.c.

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Occorre ricordare che, secondo l’art. 2384, primo comma, il potere di rappresentanza, in capo agli amministratori ai quali è attribuito dall’atto costitutivo o dallo statuto, è generale.

Anche il tema dell’amministrazione e del controllo, per il rilievo delle incidenze che la riforma ha apportato, verrà velocemente ripreso di seguito trattando del contenuto facoltativo dello statuto.

x) il numero dei componenti il collegio sindacale. In tema di sistema dualistico, invece, l’art. 2409 duodecies, primo comma, dispone che il

consiglio di sorveglianza sia costituito da un numero di componenti non inferiore a tre, salvo diversa previsione dello statuto. Nel sistema monistico invero, l’art. 2409 octiesdecies, primo comma, prevede che, salva diversa disposizione dello statuto la determinazione del numero dei componenti del comitato per il controllo sulla gestione spetti al consiglio di amministrazione; in ogni caso nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, essi non possono essere di numero inferiore a tre 38.

xi) la nomina dei primi amministratori e sindaci e, quando previsto, del soggetto al

quale è demandato il controllo contabile. Detta indicazione prima non era espressamente richiesta in tale sede, anche se già

riscontrabile in altre norme del codice, con le quali realizza quindi un miglior coordinamento: si vedano, per gli amministratori, l’art. 2383, primo comma; per i sindaci, l’art. 2400, primo comma e per il revisore contabile, l’art. 2409 quater, primo comma.

Detta disposizione va coordinata con l’art. 2409 bis, c.c., che, come è noto, dopo aver disposto la regola che il controllo contabile è svolto nelle società che fanno appello al mercato del capitale di rischio da una società di revisione, e da un revisore contabile nelle altra società, al terzo comma consente nei confronti di queste ultime, ove non soggette all’obbligo di bilancio consolidato, la facoltà statutaria che anche i conti vengano controllati dal collegio sindacale.

Si deve poi rammentare come secondo la giurisprudenza, all’atto della nomina dei sindaci sia necessario riportare il loro compenso per l’intero mandato 39.

Va ricordato inoltre l’art. 2368, primo comma, dettato nell’ambito delle norme in tema di assemblea, che consente allo statuto di stabilire norme particolari per la nomina alle cariche sociali;

xii) l’importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a

carico della società. Si rinvia alla trattazione della responsabilità di coloro che agiscono in nome della società

prima dell’iscrizione, per l’attinenza che tale indicazione presenta con detta tematica.

xiii) la durata della società, ovvero se la società è costituita a tempo indeterminato, il periodo di tempo, comunque non superiore ad un anno, decorso il quale il socio potrà recedere.

Si consente dunque la possibilità di costituire la società anche a tempo indeterminato, e dunque senza una durata prestabilita (vedi anche l’art. 4, comma secondo, lett. d), della l. 366 del 2001): in tale eventualità andrà indicato il periodo di tempo, non superiore ad un anno, decorso il quale il socio potrà recedere. Detta indicazione non appare peraltro necessaria, in quanto, se lo statuto non prevede un termine, questo, ai sensi dell’art. 2437, secondo comma, sarà pari a sei mesi. Residua la questione del termine di durata della società differito in maniera spropositata 40, nei confronti del quale si potrebbe assistere ad una riqualificazione dell’ente come a tempo indeterminato, con conseguente possibilità di recesso.

38 Sul punto, si rinvia ad M. AVAGLIANO, Dell’amministrazione e del controllo, in AA.VV., Il nuovo diritto societario, cit., pag. 171 e 181.

39 40 Ad esempio, fino al 2299.

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4. Lo statuto.

La riforma, diretta ad elevare, almeno nelle intenzioni, l’autonomia statutaria al suo massimo

grado, non poteva tralasciare di incidere anche sulla tematica dello statuto, nodo centrale e cardine della vita della società, in quanto specchio e guida dell’articolata organizzazione che gli stessi soci hanno creato per svolgere l’attività perseguita. Allo statuto viene dunque ad essere riconosciuta, nel sistema delle società per azioni, una posizione marcatamente più centrale e rilevante.

La riforma ha considerato infatti lo statuto nel suo duplice aspetto e insieme del documento, in cui esso materialmente si sostanzia, e delle pattuizioni dei soci, che tale attestazione riempiono di contenuto. Sotto il primo profilo va ricordato il nuovo terzo comma dell’art. 2328, che, per linee sommarie, prevede ora che esso, ove contenga le norme relative al funzionamento della società:

- possa essere un atto separato o meno dall’atto costitutivo; - non vada più obbligatoriamente allegato all’atto costitutivo; - comunque sia (atto separato o meno, allegato o non) esso “costituisca” parte integrante

dell’atto costitutivo; mentre prima veniva solo “considerato” tale. - le sue clausole (sul funzionamento della società) prevalgano su quelle dell’atto costitutivo;

naturalmente per le ipotesi nelle quali possa insorgere un contrasto. Ad una prima lettura, non sembra che le modifiche intervenute nella formulazione della

norma, per l’apparente esiguità delle differenze lessicali tra il nuovo ed il previgente testo, abbiano comportato un reale mutamento della situazione antecedente. Comunque, nell’intraprendere un percorso ermeneutico non si può e non si deve prescindere dall’ottica di maggior semplificazione e velocizzazione di cui è imperniato tale delicato ambito (si veda sul punto l’art. 4, comma terzo, lett. a), della legge “Mirone” 366 del 2001); il che dovrebbe condurre, nel dubbio tra interpretazioni restrittive basate solo su dati letterali, e valutazioni espansive tese a realizzare e valorizzare le effettive potenzialità della riforma, a rifuggire dalle prime abbracciando queste ultime, ovviamente ove non lesive degli interessi dei soci e dei terzi.

A tale proposito occorre premettere delle considerazioni di valenza più generale o, potremmo dire, di carattere sistematico, che inoltre presentano anche un’incidenza sulla nota questione, mai del tutto sopita, su quali elementi riportare nell’uno o l’altro documento. L’atto costitutivo caratterizza infatti la fase formativa della società, la sua venuta alla luce: racchiude quindi essenzialmente la volontà dei soci di dar vita all’ente, e è di regola deputato a contenere indicazioni di carattere transeunte (ad esempio, i soci fondatori, le prime nomine, le spese). Lo statuto invece, unitamente alle regole legali, ne connota il momento immediatamente conseguente, i suoi primi passi, la sua vita, i suoi rapporti, e quindi vi saranno riportati dati tendenzialmente non fugaci (ad esempio, il sistema di amministrazione e di controllo adottati, i quorum deliberativi): in altri termini quelle che, in modo evanescente, vengono denominate le norme sul funzionamento dell’ente (art. 2328, terzo comma). Esaurita pertanto la fase primigenia con la stipulazione del contratto sociale e la sua iscrizione nel registro delle imprese, ciò che acquista fondamentale rilievo è essenzialmente il fattore organizzativo, ossia la società con il suo articolato e dinamico complesso di regole e norme che essa stessa, in esplicazione del potere di libertà negoziale dei soci, si è conferita, e il rapporto o i fasci di rapporti che ne scaturiscono: non a caso la norma contenuta all’art. 2332 assume in tale ambito un’incisiva rilevanza. Il risalto conferito a tale profilo e carattere trova preciso e ripetuto riscontro nelle intenzioni del legislatore della riforma che, come già visto, anche nelle previsioni della legge Mirone, per le società per azioni conferisce valore di principio generale all’obiettivo di ampliare l’autonomia statutaria ed i suoi ambiti 41.

Il ruolo di assoluta centralità dello statuto è dunque sottolineato dalle ripetute sostituzioni lessicali, che nel corpo della disciplina delle società lo hanno fatto subentrare alle previsioni prima relative all’atto costitutivo. Ed ancor più da quanto dettato dal già visto terzo comma dell’art. 2328,

41 Art. 2, primo comma, lett. d) ed art. 4, secondo comma, lett. a) della l. 366 del 2001.

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che sancisce, anzi più propriamente riconosce, la prevalenza delle clausole dello statuto su quelle dell’atto costitutivo in contrasto.

In un parallelo con la società a responsabilità limitata, va rilevato come sul punto i due modelli acuiscano una loro differenziazione tipologica 42. Infatti nei riguardi del primo tipo di ente, l’art. 2463 omette ogni riferimento esplicito allo statuto, limitandosi a richiedere l’indicazione nell’atto costitutivo delle “norme relative al funzionamento della società” (art. 2463, secondo comma, n. 7). Nelle società a responsabilità limitata pertanto, a livello sistematico, il regolamento negoziale si incentra sul contratto sociale, ancorché poi di fatto le clausole organizzative possano continuare a venir denominate “statuto”. Non a caso d’altronde la società a responsabilità limitata comprende la possibilità di adottare modelli di destrutturazione in cui il rilievo dell’organizzazione corporativa risulti ridotto al minimo, in tal modo affievolendosi il divario con i modelli delle società di persone.

Ritornando al profilo documentale, va osservato che, se formato con atto separato, lo statuto, nel momento in cui si alleghi all’atto costitutivo, verrà a comporne un inserto in qualche modo qualificato, rimanendo per certi versi attratto dalla forma pubblica dell’atto costitutivo, ovvero, il che sembra essere sostanzialmente lo stesso, ad esso prolungandosi tale particolare forza: e, di conseguenza, valutazioni e controlli quale quello di legalità. In questo senso esso “costituisce” parte dell’atto costitutivo: anche se documentalmente separati, essi compongono un atto unitario dal punto di vista giuridico 43.

Per quanto concerne la sua lettura la questione rispetto al precedente sistema potrebbe rimanere sostanzialmente invariata 44. Le istanze di semplificazione prima viste come enunciate nella legge delega dovrebbero comunque condurre a ritenerla non necessaria, in particolare ove non contenente elementi essenziali 45. Anche se, ai fini di una maggiore chiarezza e consapevolezza di quanto stanno predisponendo, l’esposizione del suo contenuto da parte del notaio ai soci risulterà sicuramente non inopportuna.

Rimanendo nel complesso invariate le residue e tradizionali modalità di redazione di questo fondamentale documento, così come le problematiche connesse, si può dunque sostenere come da questo punto di vista tra la vecchia e la nuova disciplina le differenze siano sostanzialmente minime, quasi irrilevanti.

Una piccola novità che piuttosto sembra invece potersi leggere tra le righe delle nuove regole è costituita dal fatto che non sia più previsto che esso debba essere allegato all’atto costitutivo: soluzione cui si perviene leggendo a contrario il vecchio testo dell’art. 2328, terzo comma, ora non più ripetuto, che imponeva tale inserzione. Lungi dal poter accedere ad un’interpretazione restrittiva, che escluda la possibilità redigere lo statuto per atto separato e di allegarlo, nella nuova norma potrebbe porsi l’accento sulla scomparsa del termine “deve”, e pertanto sulla dissolvenza del

42 ZANARONE; AVAGLIANO, Della società a responsabilità limitata. Disposizioni generali, cit., pag. 302 e ss. 43 CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, pag. 18; e GALGANO, Il nuovo

diritto societario, cit., pag. 64. 44 Si vedano, ad esempio, le contrapposte conclusioni raggiunte da Trib. Tolmezzo, 24 marzo 1992 e App.

Trieste, del 28 maggio 1992, in Soc., 1992, pag. 1667. 45 Per GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., pag. 76, l’atto costitutivo è nullo e non iscrivibile ove si non

si sia data lettura dello statuto ove contenga elementi dell’atto costitutivo non riportati in quest’ultimo documento. Sono della medesima opinione anche App. Roma, 11 febbraio 1997, in Riv. not., 1997, pag. 558; App. Bologna, 12 gennaio 1993, in Riv. not., 1993, pag. 172; App. Roma, 9 settembre 1993, ivi, 1993, pag. 942; App. Roma, 28 ottobre 1993, ivi, pag. 1303; App. Torino, 8 maggio (marzo) 1982, in Giur. comm., 1983, II, pag. 298 (288), con nota di G. BARALIS - P. BOERO; Trib. Udine, 25 agosto 1990, in Riv. not., 1991, pag. 1040; Trib. Roma, 13 aprile 1993, in Giur. it., 1994, pag. 20;.

Ritengono lo statuto un allegato, del quale le parti possono consentire al notaio di ometterne la lettura: M. DI FABIO - S. TONDO, Atto costitutivo e statuto di società, in Riv. not., 1992, pag. 441; nonché Trib. Milano, 10 dicembre 1997, in Vita not., 1998, pag. 311; il citato App. Trieste, 28 maggio 1992, anche in Riv. not., 1992, pag. 1237; App. Trieste, 11 ottobre 1990, in Vita not., 1992, pag. 267; App. Trieste, 20 settembre 1990, in Riv. not., 1991, pag. 1041.

Pertanto, come si è visto, il problema di fondo – e la legge non fornisce indizi chiari - è se lo statuto costituisca o meno un atto pubblico a tutti gli effetti, ovvero un suo più o meno qualificato allegato. A seconda della risposta che si conferisce a tale interrogativo ne consegue l’applicabilità o meno di tutte le norme della legge notarile.

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carattere obbligatorio dell’inserzione. Si adombra in tal modo l’ipotesi che possa sussistere uno statuto redatto come atto separato, ma non solo, in quanto ove non allegato all’atto costitutivo, da esso, nel rispetto di requisiti formali di eguale portata e valore, anche distinto e autonomamente circolante. La questione peraltro appare di sapore più squisitamente teorico che reale, vista la sua scarsa praticità.

4.2 Il contenuto facoltativo dello statuto e l’autonomia statutaria. L’art. 2328, sempre al secondo comma, come si è visto elenca il contenuto necessario

dell’atto costitutivo e dello statuto della società per azioni. Ma nel corpo del codice sussistono numerose altre disposizioni che consentono alla volontà dei soci differenti opzioni e alternative per la scrittura delle norme di funzionamento dell’ente. Al fine di concedere un’immediata percezione di come la riforma abbia accresciuto le prerogative e le attitudini proprie dell’autonomia statutaria, si è riportato nelle note che seguono, in maniera veloce e di certo non esaustiva parte di questo ampliato contenuto facoltativo dello statuto.

La riforma ha apportato nel corpo del codice numerose innovazioni. Sebbene queste si presentino sovente in maniera in maniera non uniforme e disomogenea, risulta sicuramente di maggiore utilità al lavoro che si sta cercando di svolgere tentare, ove possibile, di enucleare dei settori nell’ambito dei quali raggruppare le novità più interessanti o comunque di maggior prominenza. Risaltano senza dubbio tra queste le vistose integrazioni e modifiche che hanno subito, da un lato, la disciplina delle azioni e degli altri strumenti di finanziamento, dall’altro quella dei sistemi di amministrazione e di controllo.

4.2.1. Azioni e strumenti di partecipazione Le innovazioni in tema di titoli azionari sono state numerose e rilevanti, nel tentativo di

privilegiare uno degli aspetti, anche tipologici, sicuramente caratterizzanti questo tipo di società, ossia l’emissione di titoli partecipativi di pronta e rapida circolabilità, onde poter assolvere in maniera sollecita e vasta alle proprie esigenze di finanziamento, oltre che all’eventuale domanda del mercato 46.

Si è visto che in tema di azioni si deve continuare ad indicarne il valore nominale: tale segnalazione non è peraltro obbligatoria, potendosi dunque emettere anche titoli azionari privi di valore nominale (no par value shares 47: art. 2346, secondo e terzo comma). Inoltre, come si è già accennato, è stato soppresso l’obbligo di segnalare il valore nominale minimo (art. 2327).

Non è più richiesta inoltre la formale indicazione del loro carattere nominativo o al portatore. Per effetto della riforma si prevede ora, nel corpo del codice civile, che i titoli azionari possano peraltro essere emessi nominativi o al portatore, a scelta del socio, salvo che lo statuto o leggi speciali dispongano diversamente (art. 2354, primo comma). La volontà dei privati può comunque escluderne la stessa emissione, ovvero prevedere l’utilizzo di diverse tecniche di legittimazione e circolazione (art. 2346, primo comma). Sono fatte salve le diverse disposizioni di leggi speciali 48; si veda anche l’art. 5 del r.d. 29 marzo 1942, n. 239, sulla nominatività obbligatoria dei titoli azionari, che al momento appare ancora vigente.

Lo statuto può inoltre consentire un’assegnazione di tali titoli diversa da quella proporzionale (art. 2346, quarto comma): si potrebbero peraltro porre alcune perplessità in ordine alla necessità o meno di riportare nell’atto i profili causali giustificanti lo squilibrio nell’attribuzione.

L’indicazione nell’atto costitutivo delle caratteristiche delle azioni, dei diritti in esse incorporati, evoca una situazione in cui siano emesse più categorie di azioni. Si possono ora

46 Sul tema delle azioni, ANGELICI, La partecipazione azionaria nella società per azioni, in Trattato di diritto

privato, diretto da P. Rescigno, vol. 16, t. 2, Torino, 1985, pag. 282 e ss, nonché dello stesso autore, Le azioni, in Commentario Schlesinger, Milano, 1992.

47 Vedi sul tema M. LAMANDINI 48 Ad esempio, sarebbe difficile pensare ad una Sicav che non emetta i relativi titoli: art. 43 e ss. del d.lgs. 58

del 1998.

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emettere: categorie di azioni fornite di diritti diversi, anche per quanto concerne l’incidenza delle perdite (azioni postergate e simili: art. 2348, secondo comma), e lo statuto può allora determinare il contenuto dei titoli delle varie categorie (art. 2348, terzo comma); speciali categorie di azioni a favore dei prestatori di lavoro a titolo di assegnazione utili (art. 2349, primo comma); azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore (tracking shares: art. 2350, secondo comma); azioni senza diritto di voto o a voto limitato a particolari argomenti, o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non potestative (art. 2351, secondo comma); ovvero, solo per le società non quotate e senza azioni diffuse, con voto limitato ad una misura massima o scaglionato (azioni contingentate: art. 2351, terzo comma); azioni di godimento (art. 2353); azioni riscattabili (art. 2437 sexies). Infine residua la facoltà - anche se la legge, in linea di principio, contempla come strumento costitutivo una delibera - di formare patrimoni destinati ad uno specifico affare, emettendo strumenti finanziari di partecipazione all’affare stesso (art. 2447 ter, primo comma, lett. e).

L’attuato incremento delle previsioni normative e delle facoltà concesse all’autonomia statutaria in questo ambito ha peraltro condotto ad una proliferazione degli strumenti di finanziamento e di partecipazione all’impresa sociale. I soci possono dunque prevedere l’emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o di diritti amministrativi, a fronte dell’apporto da soci o terzi di opere o servizi, ma anche di altri beni conferibili (art. 2346, sesto comma); ovvero ai dipendenti (art. 2349, secondo comma); con esclusione del diritto di voto, o limitato ad argomenti specificamente indicati, ovvero riservato per la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco (art. 2351, quinto comma). In tema di strumenti finanziari occorrerà comunque effettuare un coordinamento con la nozione prevista dall’art. 1, comma secondo, del t.u.f., che delinea come loro caratteristica, tra l’altro, la negoziabilità.

Lo statuto può assoggettare le azioni delle società non quotate al regime di dematerializzazione (art. 2354, quinto e sesto comma: si veda anche l’art. 28, del d.lgs. 24 giugno 1998, n. 213). I soci possono anche porre limiti alla circolazione delle azioni, nel rispetto di quanto previsto all’art. 2355 bis.

Può anche ricordarsi la facoltà demandata all’autonomia privata in tema di obbligazioni, ove si voglia disporre che la competenza all’emissione non spetti agli amministratori, ma ad esempio, all’assemblea dei soci (art. 2410, primo comma); ovvero per la delega agli amministratori in relazione ai titoli convertibili (art. 2420 ter); nonché la delega agli amministratori per gli aumenti di capitale (art. 2443). Nelle società quotate lo statuto può escludere, unitamente a determinate condizioni, il diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale sociale (art. 2441, quarto comma).

In tema di assemblea degli azionisti, lo statuto può disporre formalità semplificate di convocazione (un quotidiano o mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento: art. 2366, terzo comma); e quorum assembleari più elevati salvo che per cariche sociali e bilancio (art. 2368 e 2369); oltre l’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione o l’espressione del voto mediante corrispondenza (art. 2370, quarto comma);

Infine, sempre in qualche modo ricollegato alle situazioni dell’investitore, vale anche la pena di ricordare che per le società che non fanno ricorso al capitale di rischio (società con azioni né quotate, né diffuse tra il pubblico in misura rilevante), si possono prevedere ipotesi di recesso convenzionale ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge (art. 2437, terzo comma) 49.

4.2.2. Sistemi di amministrazione e controllo.

49 Vale la pena di notare come si sia evidenziata la differenziazione sul punto tra azionisti di società quotate e

di società chiuse. I primi hanno infatti una sicura possibilità di uscita tramite la possibilità di scambiare i relativi titoli sul mercato, mentre i secondi necessitano di una facoltà di recesso. La differenza risiede allora, tra le altre, nel fatto che mentre i primi, nell’abbandonare la società, non ne menomano la struttura patrimoniale, se non eventualmente in maniera indiretta, i secondi invece costringono la società alla restituzione del valore della loro partecipazione: vedi ANGELICI, pag. 9.

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Un altro settore ove notevoli sono state le innovazioni introdotte risulta quello dell’amministrazione e dei controlli delle società.

La riforma ha previsto la possibilità di decidere tra sistemi di amministrazione e controllo parzialmente diversi e alternativi, e pertanto di scegliere, ove non si prediliga il sistema tradizionale, ordinario, di adottare il sistema cosiddetto dualistico(artt. 2409 octies e ss.), ovvero quello monistico (artt. 2409 sexiesdecies e ss.). In mancanza di apposita elezione, da effettuarsi con l’atto costitutivo o con successiva modifica statutaria, si applicherà il modello tradizionale (artt. 2328, secondo comma, n. 9) e 2380, primo e secondo comma). L’incremento concesso all’autonomia statutaria si salda peraltro sostanzialmente in relazione a questa possibilità: a seconda dell’opzione adottata, si applicherà praticamente in toto, una regolamentazione che il legislatore ha già scritto in maniera dettagliata, e dotata pertanto di scarsa flessibilità.

In relazione alle ulteriori novità introdotte in tema di amministrazione e controllo, si ritrova che lo statuto può disporre che la riunione del consiglio di amministrazione possa avvenire attraverso mezzi di telecomunicazione (art. 2388, primo comma), e che quella del collegio sindacale possa sviluppi anche con mezzi telematici (art. 2404, primo comma); e che inoltre si svolga con maggioranze diverse (art. 2388, secondo comma). Il compenso degli amministratori può quindi essere determinato in misura unitaria (art. 2389, terzo comma).

Sempre in base alla volontà dei soci, l’art. 2365, secondo comma, consente che siano delegate agli amministratori determinate decisioni altrimenti di competenza dell’assemblea e quindi: la facoltà di aumentare il capitale (art. 2443); di emettere obbligazioni (art. 2420 ter); le deliberazioni concernenti la fusione per incorporazione di società possedute interamente o al 90 % (artt. 2505 e 2505 bis); l’istituzione o la soppressione di sedi secondarie; l’indicazione di quali tra gli amministratori hanno la rappresentanza della società; la riduzione del capitale in caso di recesso del socio; gli adeguamenti dello statuto a disposizioni normative, il trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale. Sempre lo statuto può infine loro attribuire il potere di ridurre le perdite nell’ipotesi prevista dall’art. 2446, terzo comma.

Una novità importante, che si ricollega anche al tema della gestione sociale, si ritrova nell’introduzione di quella deroga alla regola portata dall’art. 2740 c.c. portata dalla possibilità di creare patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447 bis) 50.

La deliberazione che destini un patrimonio ad uno specifico affare è infatti per legge adottata dal consiglio di amministrazione o di gestione, salvo che lo statuto disponga diversamente (art. 2447 ter, secondo comma).

4.2.3. Clausole compromissorie, di conciliazione e di non impugnazione. Il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, contiene un’apposita e nuova disciplina in tema di clausole

compromissorie, clausole di conciliazione e accordi di non impugnazione in appello. Con riguardo alle prime, gli atti costitutivi e gli statuti, sempre delle società che non facciano

appello al mercato dei capitali, possono contenere clausole compromissorie attraverso le quali devolvere ad arbitri alcune o tutte le controversie:

- che insorgano tra i soci ovvero tra questi e la società, purché abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al contratto sociale (art. 34, comma primo, del d.lgs. 5 del 2003);

- promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti (art. 34, comma terzo, del d.lgs. 5 del 2003).

Per il loro adeguamento si confronti l’art. 41, secondo comma, del d.lgs. 5 del 2003. Sulle clausole di conciliazione, si veda l’art. 40, sesto comma, del medesimo d.lgs. 5 del

2003. Non è invece previsto per le società per azioni il particolare procedimento di arbitraggio per le decisioni gestorie consentito alle società a responsabilità limitata e di persone dall’art. 37 dello stesso decreto.

50 Sul punto si veda A. PAOLINI, Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in AA.VV., Il nuovo diritto

societario. Prime riflessioni, cit., pag. 272 e ss.

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Quindi secondo l’art. 20, quarto comma, le parti possono convenire per iscritto di impugnare la decisione del Tribunale, emessa secondo le nuove norme di procedura in materia societaria, solo in Cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c.: non vi sono dubbi sul fatto che a ciò possa valere quanto disposto nell’atto costitutivo o nello statuto in fase di formazione della società; alcuni dubbi possono invero sollevarsi, oltre che sull’efficacia in relazione a nuovi soci, nei confronti di una successiva delibera modificativa dello statuto, che introduca o sopprima tale inammissibilità del giudizio di appello, in particolare se non unanime.

4.3. Statuti e autonomia statutaria. Si è parlato molto in occasione della riforma di autonomia statutaria e di suo incremento,

nonché del ruolo del mercato 51 nell’ambito di tale processo di ammodernamento dei modelli organizzativi che l’ordinamento mette a disposizione dei privati. L’attenzione è stata quindi volta ad una ricerca ed una promozione dell’efficienza, da intendersi in senso anche allocativo, e quindi non solo quale massimizzazione dei valori ottenibili, ma anche quale occasione e intento di una ottimale distribuzione delle risorse disponibili 52. E’ evidente l’estrazione di stampo nordamericano delle riflessioni alla base delle prospettive appena accennate, come anche riconnessa a tali tematiche si rivela quella teorizzazione, del nexus of contracts, che eleva al massimo grado la matrice contrattuale delle logiche dell’agire delle società. Partendo dall’esigenza di rendere le imprese ed il nostro mercato concorrenziale rispetto a quello di altri ordinamenti si è pertanto tentato di sviluppare, per quanto possibile il potere di autoregolamentazione dei privati, il rilievo della cui volontà si sarebbe dovuto estendere fino a vette di libertà prima sconosciute. Se ciò sia stato realizzato è probabilmente prematuro da affermare, visto la ancor troppo recente pubblicazione dei nuovi decreti. Di certo c’è che il legislatore della riforma si è sforzato di perseguire questo obiettivo, e che tale impegno ci sia stato è evidente ove si ponga attenzione alla disciplina della società a responsabilità limitata. Quest’ultimo modello societario, da un lato ha visto crollare gli ossessivi rinvii compiuti alla disciplina della società per azioni, dall’altro, una volta eliso questo spersonalizzante legame, ha ricevuto in dono una disciplina dotato di un elevato grado di flessibilità, oltre che di autonomia, che le consente pertanto di strutturarsi o destrutturarsi 53 come si preferisce. E comunque facendole permanere il carattere della personalità giuridica ed il correlativo regime di responsabilità limitata, e, di conseguenza, una disciplina maggiormente imperativa là ove la presenza degli interessi dei terzi appare più stringente. Per il resto, in buona sostanza, alla società a responsabilità limitata, come all’acqua, può regalarsi la forma che più aggrada.

E la società per azioni? Anche nei confronti di questo tipo societario la legge delega ha previsto ampliamenti ed esaltazioni dell’autonomia statutaria. E, almeno all’apparenza, il legislatore sembra aver moltiplicato nei riguardi dei soci le forme di intervento in chiave regolatrice delle dinamiche dell’ente. Dunque, come si è visto, è possibile ora costituire società per azioni unipersonali, eligere forme alternative di amministrazione e controllo, creare patrimoni destinati a specifici affari, moltiplicare i binari attraverso le quali far procedere i canali di finanziamento dell’impresa, e così via; oltre a diverse e meticolose occasioni in cui allo statuto, e non più letteralmente all’atto costitutivo, è consentito di disporre altrimenti.

La sensazione che ispira questo nutrito complesso di disposizioni peraltro non concede di ritenere in effetti attuato un reale incremento dell’autonomia statutaria, almeno ad un livello tendenzialmente ravvicinabile a quello invece prospettato nei confronti della società a responsabilità limitata. In quest’ultima società si è assistito ad un notevole regresso della normativa imperativa, cui non ha fatto da contraltare un’analitica esposizione di ipotesi alternative, neanche di default. Il legislatore si è infatti limitato a dettare una disciplina di supporto, per lo più operante ove i soci non prevedano regole diverse: qualora appunto i soci non dispongano altrimenti la società a

51 P. MARCHETTI, L’autonomia statutaria nella società per azioni, in Riv. soc., 2000, pag. 562. 52 B. CHEFFINS, Company law, pag. 126. 53 Sul punto N. RAITI, relazione tenuta a Firenze,…

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responsabilità limitata mantiene sostanzialmente quella struttura, che aveva prima della riforma, di ente contraddistinto da una robusta raffigurazione di tipo corporativo.

Ci si deve chiedere allora, salvo che in quelle ipotesi in cui l’inderogabilità della norma posta dalla legge appaia evidente 54, quali siano i confini di tale libertà operativa dei soci. Cessato, almeno formalmente il problema delle lacune, l’enucleazione di tali limiti non può che essere lasciata all’interprete, che, nel rispetto dei cosiddetti principi generali dell’ordinamento, dovrà evidenziare che quanto si venga a formare costituisca, seppur con caratteristiche flessibili e destrutturate, una società.

Non si assiste a nulla di ciò nelle società per azioni, che continua ad evidenziare i propri caratteri tipologici, che anzi, per effetto della riforma, risultano assolutamente rafforzati. Il legislatore ha infatti previsto nuove e numerose opzioni per questo tipo di società, ma ne ha descritto e imposto minuziosamente i conseguenti effetti. Alla volontà dei soci compete la decisione se adottare o meno i nuovi schemi proposti, ma una volta compiuta tale scelta, è la legge che in maniera sostanzialmente rigida, con un meccanismo di opt in, dispone poi la conseguente regolamentazione e gli effetti che ne derivano. Si assiste pertanto ad una particolare compresenza di norme permissive, dal cui azionarsi discende invece l’applicazione di nutriti corpi di norme imperative e inderogabili 55.

Proliferano pertanto i modelli adottabili, ma non la possibilità per i soci di definire sostanzialmente i contenuti di tali sagome. L’esempio più lampante è fornito proprio dall’accentuazione della disciplina di corporate governance. In materia di amministrazione e di controllo, i soci possono scegliere di adottare il modello dualistico o quello monistico, ma una volta compiuta tale scelta, a regolarne concretamente l’agire saranno le norme previste agli artt. 2409 opties e ss. o agli artt. 2409 sexiesdecies e ss.; mentre ai soci resterà per lo più la possibilità di scegliere il numero dei componenti dei diversi organi, di eleggerli, o di prevedere modalità di riunione per teleconferenza. Discorso non differente deve effettuarsi nei confronti di altre tematiche innovative, quale ad esempio quella della destinazione di patrimoni. Detta regolamentazione, che ha il pregio di aprire in qualche misura la strada ai modelli di determinazione di una separazione o comunque distinzione della responsabilità 56, pur essendo rimessa ad un atto in qualche modo esplicativo di una volontà gestionale privata, dei managers dell’impresa o dei soci ove si siano riservati il relativo potere, ciò nonostante si rivela per essere particolarmente stringente e ricca di contenuti imperativi.

Mentre più interessante appare quanto previsto in tema di azioni e di strumenti partecipativi, per le possibilità ivi effettivamente dischiuse.

4.4. Autonomia statutaria tra società per azioni e società a responsabilità limitata. Dall’indagine sull’atteggiamento adottato in concreto dal legislatore della riforma si levano

istintivi due percorsi di riflessione. Da un lato viene da chiedersi perché si assista a tale differenza di intervento, di incidenza della riforma rispetto ai diversi tipi societari della società per azioni e di quella a responsabilità limitata. Dall’altro, se, una volta riscontrata tale diversità, i discorsi in tema di autoregolamentazione dei privati debbano condursi per piani e livelli distinti ove riferiti all’una invece che all’altra società.

54 E’ il caso, ad esempio, delle norme a tutela del capitale, che ne impediscono in sostanza un

annacquamento. Anche se, proprio l’umile misura di quello minimo preteso dalla legge, rende in tali società, che per lo più presentano appunto capitali di modesta entità, tale complesso di norme di relativa importanza. La vera funzione di garanzia è infatti svolta dal patrimonio sociale, e dunque ben più rilevanti si dimostra la disciplina in tema di bilanci e principi contabili.

55 Sul punto CHEFFINS, Company law, cit, pag. 228 e 249. 56 Di cui si discute anche in relazione ad istituti quali il trust, o nei confronti di tematiche proprie degli istituti

a tutela degli incapaci. Convegno di Roma.

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In relazione al primo degli interrogativi posti, si riporta usualmente il fatto che la disciplina della società per azioni riceve una considerazione da parte della normativa comunitaria maggiormente invasiva e pregnante; il che impedirebbe in sostanza effettivi tentativi di alimentare la capacità dei soci di autoregolarsi. Un esempio per tutti riguarda la preclusione nell’apporto di entità economiche diverse dal denaro, dai beni in natura e dai crediti, che la riforma ha tentato di ammorbidire, quasi in maniera elusiva, con le previsioni in tema di assegnazione non proporzionale di azioni (art. 2346, quarto comma) e di strumenti finanziari partecipativi (art. 2346, sesto comma).

In realtà tale osservazione non risulta di portata soddisfacente a motivare il perché di differenze così accentuate. La risposta sembra pertanto emergere dalla connotazione propria e più intima della società per azioni, cui si è voluta confermare, anzi far risaltare, la naturale e tendenziale apertura al pubblico degli investitori, nella loro singolare connotazione dualistica di soci risparmiatori, contrapposta a quella dei soci imprenditori.

E’ su tale piano che si affronta uno dei temi politici più delicati dell’intera riforma. Risulta nodale il dilemma, ben presente nelle elaborazioni anteriori e conseguenti all’emanazione della legge “Mirone”, sul se il perseguimento degli obiettivi cui si era rivolti dovesse transitare per un radicale abbattimento del grado di imperatività della regolamentazione adottata, confidando nella capacità efficiente del mercato di valutare i diversi statuti e quindi di operarne un’affidabile scelta in base al loro ottimale valore giuridico. L’impostazione è tipica di un’analisi anche economica del diritto, che pure da noi, dopo alterne vicende, ha conosciuto una migliore diffusione. Non si manca peraltro di rilevare, in particolari da autori della medesima area anglosassone, come la condizione di base, ossia la presenza di un mercato efficiente caratterizzato da una pressoché totale diffusione (disclosure) delle informazioni ivi reperibili, sia ben lungi dal riscontrarsi nella realtà, risultando semmai tale efficienza più usualmente connotata in un semi-strong sense.

Quasi in direzione opposta si situa poi un’impostazione volta a realizzare un mercato trasparente e competitivo anche grazie all’enucleazione di una disciplina che dimostri il proprio maggior grado di imperatività quanto più il mercato stesso divenga ambiente naturale di formazione o comunque di esplicazione dei diversi rapporti facenti capo o comunque scaturenti dalle società.

Si è constatato già in precedenza come, nonostante le petizioni di principio, ci si sia orientati verso quest’ultimo impianto. Se l’inclinazione degli ultimi anni, contrassegnato da un diffuso procedimento di privatizzazione delle grandi imprese statali, risulta rivolta a prediligere un sistema in cui lo Stato, almeno formalmente, ma ormai non solo, abbandoni posizioni di presenza e di azione diretta e preponderante nei confronti del mercato, assumendo pertanto un atteggiamento di regolatore dello stesso 57, tale funzione comporterà una propensione verso l’elaborazione di schemi e modelli dotati di un definito e compiuto grado di strutturazione. La riforma ha inteso prediligere questo assetto e, di conseguenza, la cosiddetta società per azioni aperta, quella destinata o comunque potenzialmente in grado di assumere un ruolo effettivo nell’ambito del mercato dei capitali di rischio: e dunque in primis la società con azioni quotate, oltre a quella con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante 58. E proprio la società per azioni chiusa, che costituisce il prototipo delle società di capitali e il modello all’apparenza più compiutamente disciplinato, sembra perdere di rilievo rispetto alle società aperte al mercato. Quanto appena considerato trova una nitida testimonianza nella norma contenuta all’art. 2325 bis, la quale, a ben vedere, non si limita a porre solo una regola di raccordo, ma in realtà a sancire un giudizio di maggior valore; e quindi a prevedere non tanto un criterio che dirima un conflitto tra leggi, quanto invece una norma che convalidi una prevalenza di una disciplina, quella delle società emittenti titoli quotati, rispetto ad un’altra, quella delle società che non operano sul mercato.

Se questa è la scelta, quanto ne deriva è sua immediata conseguenza: la decisione di ordinare il mercato, con la conseguente incidenza anche pubblicistica delle regole che lo informano, importa coerentemente quella di regolare gli organismi che in esso operano, e pertanto, oltre agli istituti

57 CASSESE 58 Ciò è testimoniato anche dagli sforzi compiuti per raccordare le norme contenute nel codice civile con

quelle della legge Draghi: impegno non ancora concluso, dal momento che deve sta per essere emanato un ulteriore decreto di raccordo tra i due diversi provvedimenti normativi.

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bancari, alle società di intermediazione mobiliare, alle società assicurative, et cetera, anche le società emittenti titoli quotati in borsa.

Per questo motivo, per coerenza tra impostazione e il desiderio di incrementare la capacità dispositiva degli statuti, non si è potuto fare altrimenti che concedere all’autonomia dei privati un più ampio ventaglio di modelli giuridicamente adottabili.

L’incremento dell’autonomia privata è stato pertanto, nel campo della società per azioni, più di natura “quantitativa”, che “qualitativo”. Non solo non si è concesso un potere di creazione di modelli societari, che pur nell’ambito dello stesso tipo della società per azioni, risultassero in qualche modo innominati, ma neanche, salvo i casi in cui la legge lo abbia espressamente consentito, si è sostanzialmente incrementato il potere di implementare i contenuti di quelli già previsti.

Dal confronto tra la nuova disciplina della società per azioni e quella della società a responsabilità limitata origina l’ulteriore riflessione. Si potrebbe infatti affermare che i discorsi in tema di statuti possano condurre ad una considerazione necessariamente diversificata del potere negoziale dei privati per ciascun tipo di ente: ampio ed espandibile anche nei contenuti per la società a responsabilità limitata, cui è in pratica concesso tutto ciò che non è vietato; limitato e fortemente delineato per la società per azioni, alla quale è permesso tutto ciò che è espressamente previsto. Il che potrebbe anche trovare un ulteriore riscontro nella scomparsa per il primo tipo della previsione esplicita di uno statuto 59, in tal modo evidenziando, nel porre centralità al ruolo del contratto sociale, il correlativo rilievo conferito alla potestà dei soci.

Anche se i tempi sono prematuri per esprimere un giudizio sufficientemente affidabile sulle potenzialità realmente dischiuse dalla riforma in tema di società a responsabilità limitata, ricorre la sensazione che la situazione non sia così estrema come sopra prospettata. Le incrementate prospettive di tale tipo societario non possono certo spingersi al punto di considerare non solo illimitato, ma anche disinvolto, l’esercizio del correlativo potere negoziale. Se veramente tale società oscilla tra i modelli di capitali e personali, è evidente che, per estremi, non potrà essere ad essa consentito più di quanto concesso nei confronti di una società di persone. L’assunzione della prospettiva della persona giuridica richiederà peraltro l’adozione di un nucleo di regole di condotta che, nel silenzio delle parti, è comunque fissato in via più o meno dispositiva dal legislatore.. Anche il discorso sulla presenza o meno di uno statuto ha un rilievo più semantico che reale. Se si intende per statuto di società di capitale, sia esso legale, ma soprattutto se convenzionale, ciò che ne contraddistingue in maniera precisa il fenomeno organizzativo 60, è evidente che tale ruolo si riscontra in entrambi i tipi sociali, ancorché rimesso in quello a responsabilità limitata, formalmente ad un numero dell’atto costitutivo.

In realtà anche la paventata capacità della società a responsabilità limitata è più “quantitativa”, non certo “qualitativa”. Come esempio valga quanto disposto per l’assemblea: ove i soci non vogliano utilizzare tale forma organizzativa, non è consentito di adottare qualunque altro modello, o di non adottare nulla, ma è sempre la legge a disporre l’utilizzabilità di particolari forme di consenso reso per iscritto.

Non sussiste quindi una reale diversità tra il potere dispositivo dei privati nelle diverse società, ma solo una differente intensità del suo modo di porsi e della rigidità di quanto in materia dettato dalla legge. Ritroviamo quindi nelle società per azioni una forte consistenza di norme imperative, non sempre inderogabili e la cui applicazione può dunque a volte essere esclusa, ove l’autonomia privata opti per modelli diversi; i quali in tal caso a loro volta conducono all’azionabilità di ulteriori norme, (parzialmente) diverse, ma pur sempre imperative. Mentre nelle società a responsabilità limitata si rinviene una presenza minore di tale tipo di disposizioni, con un numero più frequente di norme di tipo dispositivo o presuntivo, e con la possibilità più ampia per gli statuti di scriverne contenuti alternativi.

59 Vedi il vecchio art. 2475, secondo comma, per il rinvio effettuato al precedente art. 2328, ultimo comma. 60 Sul punto vedi CORAPI, pag.

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5. L’entrata in vigore della riforma e gli adeguamenti statutari.

5.1. Le società già costituite o che stanno per costituirsi: gli statuti anteriori al 1°

gennaio 2004. L’art. 10, del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, dispone per la sua entrata in vigore la data del 1°

gennaio 2004. Per le società già costituite e iscritte a tale data è previsto un obbligo di adeguare gli atti

costitutivi e gli statuti alle nuove disposizioni inderogabili entro il 30 settembre 2004; fino a tale momento le previgenti disposizioni convenzionali conserveranno la loro efficacia anche se non conformi alle nuove disposizioni inderogabili (art. 223 bis, primo e quarto comma, delle disposizioni di attuazione e transitorie).

Il quinto comma dell’art. 223 bis, rinviando all’art. 2331, quarto comma, stabilisce che dalla data di entrata in vigore del presente decreto non possono essere iscritte nel registro delle imprese le società, anche se costituite anteriormente a detta data, che siano regolate da atto costitutivo e statuto non conformi al decreto medesimo. Le società il cui atto costitutivo sia già stato stipulato, ma non ancora iscritto alla medesima data, dovranno dunque operare i necessari adeguamenti prima di tale adempimento: ma il controllo del notaio sugli atti costitutivi ricevuti, ad esempio, a metà dicembre 2003, potrebbe quindi effettuarsi sulla base delle vecchie norme, ove poi procedesse al deposito prima del 1° gennaio; ovvero sulla base delle nuove ove compiuto oltre tale data. Vista così la situazione appare vagamente incerta, se non proprio arbitraria. In realtà il problema investe la possibilità concessa alle parti di indicare un termine per effettuare il deposito per l’iscrizione, nel rispetto di quello prefissato dalla legge (ossia 30 giorni, in quanto si applicherebbe ancora il vecchio testo dell’art. 2330, o dell’art. 2411, come richiamato dall’art. 2436). Il discorso richiederà sicuramente alcuni approfondimenti.

La disposizione in esame, nel riferirsi solo agli atti costitutivi, non prende invece in considerazione i verbali di deliberazioni assembleari: sulla base del dato letterale, le modificazioni statutarie adottate nei giorni precedenti alla data di entrata in vigore della legge, ancorché ad esse non adeguate, dovrebbero comunque potersi iscrivere anche dopo tale momento.

A quanto finora esaminato si ricollega l’importante e complessa disposizione transitoria contenuta al successivo sesto comma del medesimo articolo: essa concede alle società che si costituiscono o comunque già costituite prima del 1° gennaio 2004 di adottare, in sede di costituzione o di modificazione dello statuto, clausole conformi ai decreti già emanati, anche se non ancora vigenti. Si consente quindi di avviare in qualche modo gli effetti della riforma, con il rendere possibile all’autonomia privata di adeguarsi “ora per allora” alle innovazioni ed alle agevolazioni condotte dal nuovo sistema. Tale anticipazione di atti non riveste peraltro un valore assoluto, in quanto non comporta una speculare precorrenza dei suoi effetti. Per coerenza con l’entrata in vigore dilazionata, il sesto comma, al successivo inciso, dispone che gli statuti relativi non possano essere depositati e iscritti presso il registro delle imprese che dal 1° gennaio del 2004, data appunto di entrata in vigore della legge: solo da tale momento, le clausole statutarie riceveranno piena efficacia.

E’ questa una soluzione originale, che non trova agevole riscontro nel precedente e ancora in vigore sistema. Si è quindi creata una certa trepidazione in ordine ai suoi meccanismi applicativi, in particolare nei confronti del differimento dei procedimenti pubblicitari: l’idea di adottare vincoli non opponibili a terzi, o dei quali questi ultimi non possano venire a conoscenza se non decorso un più o meno lungo periodo di tempo, ispira infatti una lieve sensazione di disagio. Le esitazioni investono l’eventuale incertezza che potrebbe sorgere in relazione all’esatta conoscenza, da parte di tutti i soggetti interessati, delle regole effettivamente applicabili: ad esempio, in sede di circolazione della partecipazione e di ingresso di nuovi soci; ovvero di modificazioni effettuate a più riprese, magari davanti a notai diversi.

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Peraltro il contenuto normativo di questa disposizione può apparire apprezzabile se si tiene conto che risponde ad esigenze assolutamente rispettabili. Da un lato infatti essa tende, come detto, ad anticipare la predisposizione, e di conseguenza lo studio dei contenuti della novella; nonché a permettere ai soci un risparmio di costi, in materia di atti costitutivi e modifiche. Dall’altro lato, nel consentire tali possibilità, tenta di evitare peraltro più scomode fratture di sistema, alle quali soluzioni solo all’apparenza più agevoli o allettanti avrebbero condotto. Ci si riferisce alla possibilità di un deposito anticipato sub termine (anzi, in realtà, anche soggetto alla condizione della mancanza di ulteriori modifiche legislative). Questa alternativa si sarebbe posta in evidente disaccordo con un tipo di meccanismo pubblicitario, quello incentrato nel registro delle imprese, da sempre riluttante - a differenza di quello previsto per gli atti immobiliari - ad esporre altro che non fossero effetti attuali e tendenzialmente definitivi degli atti e dei documenti per legge da iscriversi presso di esso.

A livello redazionale si verrà quindi approntare un contratto di società o un verbale di modifica statutaria, e contestualmente un accordo o una delibera modificativi dei primi: quanto inteso risulterà per i soci già giuridicamente vincolante, ma con effetti decorrenti dalla loro ritardata iscrizione. Dal punto di vista tecnico-operativo i notai potranno quindi redigere uno statuto dal duplice profilo, di cui un volto raffiguri il sistema odierno, mentre l’altro sia destinato, dal 2004, a sostituirsi a quello che precede. A livello redazionale potrebbe quindi elaborarsi un documento in cui la prima parte, depositata unitamente all’atto costitutivo o al verbale assembleare, valga dal momento dell’iscrizione, e dunque anteriormente al 2004; e la seconda, iscritta dopo tale data, divenga vigente solo allora, sostituendosi in tutto o in parte, o semplicemente integrando, quella precedente. Medesima, e forse più chiara soluzione può essere offerta nel prevedere o nell’allegare al contratto o al verbale sia un primo statuto, da depositarsi subito, e quindi un secondo contenente le norme organizzative della società quali decorrenti dal 2004, da depositarsi dopo tale momento e sempre da allora vigente quale regolamento più aggiornato. I due depositi potrebbero comunque essere effettuati, in base alle scadenze temporali prima indicate, per estratto, ma anche previa presentazione dell’intero atto: in questo ultimo caso sarà l’ufficio del registro delle imprese che di volta in volta registrerà solo i documenti iscrivibili. Ci si chiede se depositato la prima volta l’intero atto, comprensivo di tutti i suoi eventuali allegati, sia necessario effettuare un ulteriore deposito anche del nuovo statuto, ovvero risulti sufficiente poi che, in relazione alla parte prima non efficace, ma già presentata al registro imprese, nel 2004 sia rivolta una richiesta di iscrizione di detto documento. Ulteriori approfondimenti e il dialogo con le camere di commercio condurranno gli operatori a riscontrare la soluzione o le soluzioni più idonee.

Sarà comunque opportuno che nel contratto o nella delibera si specifichi, anche per la migliore comprensione di soci e terzi, quale sia la parte o l’allegato che produrrà immediati effetti, e quale quella che acquisterà efficacia solo con l’iscrizione successiva al 1° gennaio 2004.

Altro dubbio che può sorgere riguarda il momento cui riferire il controllo svolto dal notaio ai fini dell’iscrizione, ossia se alla manifestazione di volontà dei soci, ovvero successivamente al 1° gennaio 2004: si propende per tale ultima ipotesi, in quanto solo da quella data scatta la possibilità e l’obbligo di procedere all’iscrizione, cui tale valutazione è teleologicamente preordinata. A questa tematica si riconnette quella relativa al momento in cui il pubblico ufficiale debba avvisare gli amministratori dell’eventuale non sussistenza delle condizioni previste dalla legge e del conseguente rifiuto di iscrizione: al di là infatti della soluzione conferita alla questione immediatamente precedente, appare comunque opportuno che tale comunicazione, almeno da un punto vista professionale, non sia eccessivamente ritardata.

In ogni caso di tali problematiche si è conferito solo un accenno, rinviandosi il loro approfondimento ad ulteriori analisi.

5.2. Ancora sul sesto comma dell’art. 223 bis: l’iscrizione contestuale al deposito. Un’attenzione specifica merita di sicuro la previsione, fortemente innovativa e complessa,

dell’ultimo frammento dell’art. 223 bis, sesto comma. Essa stabilisce che le clausole modificate

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entro il 1° gennaio 2004, avranno efficacia dal momento, posteriore da allora, in cui “saranno iscritte nel registro delle imprese con contestuale deposito dello statuto nella sua nuova versione”. In maniera più o meno esplicita, si dispone dunque che il deposito dello statuto sia “contestuale” a quello dell’iscrizione delle modifiche: si uniscono i momenti dei due adempimenti, ai quali l’art. 2436 invece consentiva anche un divario temporale. Si pone inoltre il dubbio che ora il notaio debba preoccuparsi anche del deposito dello statuto aggiornato, che invece una ripetuta interpretazione del vecchio art. 2436 considerava come onere a carico degli amministratori.

La lettura di questa non semplice disposizione può condurre ad un’ulteriore riflessione, in relazione all’imbarazzo procurato dal termine “contestuale”. Da un lato ne potrebbe venire colto un contenuto normativo minimo, consistente nell’accennato senso della contiguità dei distinti obblighi. Peraltro la lettera della legge parla di iscrizione nel registro delle imprese contemporanea al deposito dello statuto, adombrando il dubbio che la realizzazione della pubblicità del contratto o della modifica statutaria, e non solo il suo deposito, il suo iter di avvio, avvenga immediatamente, al momento della presentazione dei documenti. E’ infatti riscontrabile, almeno a livello letterale, una certa differenza con quanto stabilito dai nuovi primo e secondo comma dell’art. 2436, che dispongono che il notaio “richiede l’iscrizione nel registro delle imprese contestualmente al deposito” e quindi “l’ufficio del registro delle imprese, verificata la regolarità formale della documentazione, iscrive” (si confronti anche quanto richiesto dal previgente art. 2411, come richiamato dal vecchio art. 2436).

La questione si pone nell’ambito del divario che sovente intercorre tra i suddetti momenti del deposito per l’iscrizione e dell’iscrizione nel registro vera e propria, e sull’incertezza del compimento di quest’ultima. Oltre al disposto dell’art. 2436, va ricordato come il regolamento di attuazione del registro delle imprese, il d.p.r. 7 dicembre 1995, n. 581, all’art. 11, comma ottavo, disponga che l’iscrizione nel suddetto registro, consistente nell’inserimento della memoria dell’elaboratore elettronico e nella messa a disposizione del pubblico, sia eseguita senza indugio e comunque entro il termine di 10 giorni dalla data di protocollazione della domanda (5 per la domanda presentata su supporti informatici); i controlli che l’ufficio svolge sono regolati dal comma sesto del medesimo articolo. Detto termine peraltro è stato spesso considerato come non perentorio, generando incertezze sull’effettivo momento di realizzazione della pubblicità.

Il riconoscimento ad opera della nuova normativa di un effetto costitutivo dei prescritti adempimenti pubblicitari (operanti in maniera analoga ad una condizione sospensiva: artt. 2436, sesto comma e 2448) avrebbe richiesto che almeno si fosse esplicitato che, decorso il termine suddetto, la delibera potesse considerarsi, compiuto o meno il controllo formale, comunque iscritta, efficace ed opponibile (con un meccanismo del tipo silenzio-assenso, salvo eventualmente prevedere un qualche dispositivo di decadenza, ove successivamente fosse intervenuto un controllo con esito negativo).

Se questa è la situazione in tema di attuazione della pubblicità commerciale, il dubbio investe allora il come la norma contenuta al sesto comma dell’art. 223 bis incida e influenzerà il sistema di deposito e di iscrizione degli atti, al di là del suo effetto strettamente transitorio. Una strada per raggiungere tale risultato potrebbe essere costituita dall’emanazione da parte delle camere di commercio, in base alla disposizione richiamata, di un nuovo regolamento di attuazione del sistema pubblicitario, dirimente dei dubbi sollevati. Le implicazioni di quanto previsto da questa disposizione, appaiono di tale evidenza e rilevanza in relazione al regime di pubblicità, da non potersi affrontare adeguatamente in questa sede, se non nella veste di iniziale approccio, richiedendo senza dubbio ulteriori e più compiuti approfondimenti.

5.3. Le società già costituite: gli adeguamenti statutari successivi al 1° gennaio 2004. Il secondo ed il terzo comma dell’art. 223 bis prevedono che l’assemblea straordinaria a

maggioranza semplice, qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci partecipanti, possa assumere le deliberazioni necessarie all’adeguamento, anche non inderogabili, ovvero delegarle agli amministratori: si applicherà in ogni caso l’art. 2436. Si avverte peraltro la sensazione che

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nell’esplicazione concreta di tale delega, il suo esatto contenuto, in particolare la sua più intensa genericità o una maggiore ed opportuna specificazione, rendano particolarmente delicata l’effettiva utilizzazione di tale meccanismo, vista anche l’assoluta incertezza che sovente si incontra nel valutare se una disposizione risulti o meno inderogabile, in mancanza nel nostro ordinamento, a differenza ad esempio di quello germanico, di una presunzione di imperatività (par. 23, quinto comma, dell’AktG).

In altri termini, ci si interroga su fino a che grado possa spingersi la genericità di una delega siffatta agli amministratori, vista l’ampiezza di tale enunciazione, che potrebbe condurre non solo ad adeguamenti necessari, in relazione alle norme inderogabili, ma anche a vere e proprie facoltà decisionali discretive, in riferimento alle norme derogabili (è singolare peraltro che la corrispondente disposizione transitoria in tema di società cooperative, l’art. 223 duodecies, secondo comma, limiti la facoltà della maggioranza semplice, oltre che alla terza convocazione, solo alle norme inderogabili). Di sicuro un limite sostanziale va rinvenuto nel fatto che la delega non possa concernere che disposizioni nuove, introdotte dal decreto di riforma (ex art. 223 bis, secondo comma e terzo comma). Altro paletto può essere poi costituito dal giorno del 30 settembre 2004, data decorsa la quale potrebbe essere difficile ulteriormente parlarsi di adeguamento (art. 223 bis, primo comma).

Tali ambiti temporali valgono ovviamente anche per le maggioranze agevolate dell’assemblea: qualche incertezza può sorgere sul se le maggioranze semplificate si possano utilizzare già sin dalla data di pubblicazione del decreto 6 del 2003, per gli adattamenti previsti al sesto comma dell’art. 223 bis. La questione necessita un approfondimento, anche se si propenderebbe per una soluzione più prudente, che escluda tale collegamento: non sembra infatti rinvenibile nel secondo comma, a differenza che nel sesto, una deroga all’art. 10 del medesimo decreto 6 del 2003; oltretutto la prima norma si riferisce, in senso ampio, ad adeguamenti a norme di legge, mentre la seconda circoscrive, a livello letterale, la propria operatività a clausole statutarie da adottare.

Ci si chiede peraltro, al di là di questo primo distinguo compiuto, sulla base di quali criteri e limiti gli amministratori possano poi concretamente azionare la suddetta delega, ove fosse generica - ad esempio, nel decidere il sistema di amministrazione - senza con ciò provocare un indebito spostamento di competenze all’organo gestorio. In realtà poi questo dubbio investe in linea più generale anche la formulazione del secondo comma dell’art. 2365; non va dimenticato inoltre che proprio il nuovo art. 2364 rende più rigorosa la demarcazione tra i diversi poteri.

Altra perplessità investe il numero e l’ambito degli adeguamenti possibili, ancorché compiuti entro il 30 settembre 2004: il parametro fornito dalla legge – le deliberazioni necessarie all’adeguamento dell’atto costitutivo – accostato alla facoltà relativa alle norme derogabili, appare evanescente. Il presupposto che gli adeguamenti concernino un adattamento ad una nuova normativa, dovrebbe suggerire che, se una o più disposizioni dello statuto siano state già adeguate, ed altre invece no, entro la data predetta anche queste ultime, se ed in quanto concernenti differenti ambiti di operatività, potrebbero essere aggiornate. Ma a tale ragionamento consegue logicamente che non possa considerarsi tecnicamente un adeguamento la successiva modifica di una clausola statutaria già corretta.

E’ ovvio comunque che gli adeguamenti statutari, siano disposti dall’assemblea con maggioranza semplificata, ovvero, previa delega, dagli amministratori, richiederanno comunque la verbalizzazione ad opera del notaio e la conseguente e successiva pubblicità presso il registro delle imprese: essi infatti consistono comunque in vere e proprie modifiche dello statuto (artt. 223 bis, secondo comma, 2365, secondo comma, ultimo inciso, 2375, secondo comma e 2436).

Tra le disposizioni da modificarsi inderogabilmente rientrano quelle relative alla distinzione tra controlli sulla gestione e controllo contabile. Quest’ultimo va affidato, in linea di principio, ad un revisore, soggetto autonomo dal collegio sindacale (e dal consiglio di sorveglianza o dal comitato per il controllo, rispettivamente nei sistemi dualistico e monistico). Ma per le società non quotate e non soggette al bilancio consolidato l’art. 2409 bis, terzo comma, prevede la possibilità che lo statuto mantenga ai sindaci anche la funzione di controllo dei conti, purché il collegio

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sindacale sia composto tutto da persone iscritte nel relativo registro; requisito quest’ultimo, peraltro, già obbligatorio nel vigore della previgente normativa.

Sul punto occorre distinguere le diverse situazioni che si possono incontrare. Partendo dalla più semplice, nessun dubbio deve porsi ove già lo statuto preveda, ricalcando la corrispondente dizione dei vecchi artt. 2403, primo comma, e 2397, secondo comma, che il collegio sindacale svolga il controllo contabile e sia composto integralmente da revisori.

La questione appare invero più delicata in assenza di tale espressa previsione, ove sia contenuto nello statuto un mero richiamo agli articoli ovvero ai requisiti di legge, senza riportarne comunque i relativi contenuti; in presenza ovviamente, di una situazione sostanziale conforme (i sindaci sono tutti revisori iscritti). Se peraltro in queste situazioni difetta il dato testuale, va ricordato che la regolamentazione sul funzionamento della società deriva non solo da quanto convenuto con lo statuto, ma anche, e anzi innanzitutto, dalla disciplina legale vigente al momento. In altri termini, è dal coordinamento dello statuto legale con quello convenzionale che si evincono le norme di operatività dell’ente. Da tale collegamento consegue che la situazione giuridica finora vigente prevedeva (e inderogabilmente) la presenza di un collegio sindacale, formato solo da revisori iscritti, cui spettava il controllo contabile: il che appare conforme, in buona sostanza, alla previsione dell’art. 2409 bis, terzo comma. Un discreto conforto normativo potrà pervenire dalla lettera dell’art. 223 bis, quarto comma, il quale prevede, come già visto, per il periodo transitorio, la vigenza delle disposizioni convenzionali anche se non conformi.

Seguendo tale impostazione, unitamente ad ulteriori sforzi argomentativi, il discorso si potrebbe allora spingere al punto, ancora più azzardato, di potersi riferire anche agli statuti che nulla disponessero, per il rinvio implicito che gli stessi effettuavano alla disciplina legale. Peraltro esigenze, oltre che di prudenza, di chiarezza e di agevole intelligibilità delle norme ad un dato momento applicabili nei confronti di una società, ossia, con un termine a volte abusato, di trasparenza, legate anche ad esigenze di tutela dei terzi, siano essi nuovi soci o creditori o altro, consigliano fortemente un’apposita specificazione che consenta una visione limpida della situazione organizzativa della società.

A conti fatti, saranno assolutamente tenute ad adeguare lo statuto, con la previsione e la nomina di un apposito e distinto soggetto contabile, soltanto le società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante, che dovranno pertanto conferire l’incarico ad una società di revisione; ovvero le società facenti parte di un gruppo, per le quali occorrerà prevedere il distinto soggetto contabile (alcuni dubbi potrebbero sorgere in caso di società operanti in Italia, facenti parte di gruppi esteri, nei cui confronti sia incerto l’obbligo di consolidamento). Ove poi, negli altri casi, siano assenti riferimenti espliciti nello statuto, la delicatezza della questione renderà, se non si voglia procedere alla nomina del revisore, un’integrazione dello stesso - specificandovi quindi che il collegio sindacale, composto tutto da revisori iscritti, svolga anche il controllo contabile - sicuramente opportuna, se non addirittura necessaria. Va inoltre tenuto presente che la relativa clausola statutaria potrà essere introdotta da subito, potendo essere deliberata e depositata per l’iscrizione anche prima della data del 1° gennaio 2004, in quanto recante una regola consentita sia dal precedente che dal nuovo sistema. Ulteriori difficoltà saranno anche recate dall’incremento delle cause di incompatibilità e decadenza per i sindaci (art. 2399).

Come già rilevato, gli atti costitutivi non dovranno invece adeguare il capitale alla nuova misura dell’art. 2327 (art. 223 ter, delle disposizioni di attuazione e transitorie); le società già costituite potranno quindi conservare la forma della società per azioni per il tempo stabilito per la loro durata. L’obbligo di adeguamento a centoventimila euro scatterà invece nel caso di proroga della durata della società.

Cosa succede infine nel caso non si effettui un adeguamento statutario necessario (quale, ad esempio, l’istituzione del distinto soggetto deputato alla revisione dei conti in una società tenuta al bilancio consolidato)? In mancanza di apposita norma può ciò costituire causa di scioglimento decorso il termine del 30 settembre 2003? Il fatto che il nuovo art. 223 bis, quarto comma, delle disposizioni di attuazione e transitorie, come visto, preveda che fino a tale data le previgenti disposizioni dell’atto costitutivo e dello statuto rimangano efficaci, perdendo dunque

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immediatamente di seguito tale vigore, potrebbero in effetti palesare la sussistenza di una causa di scioglimento, ex art. 2484, primo comma, n. 3. Ciò potrebbe accadere ove gli adeguamenti, ad esempio, riguardino la nomina del soggetto revisore contabile: la sua mancata istituzione comporterebbe la mancanza di un organo, o comunque di una figura, essenziale per il funzionamento della società. Se invece la mancanza di adeguamento non concerna profili fondamentali per la sopravvivenza dell’ente, si potrebbe allora ipotizzare che in virtù dell’applicazione della più recente normativa, quella precedente se in contrasto, ormai inefficace, venga a disapplicarsi; il vuoto disciplinare che eventualmente ne consegua potrebbe essere quindi colmato dalla nuova regolamentazione, se con portata anche dispositiva.

6. Le condizioni per la costituzione.

6.1. I versamenti. L’art. 2329 c.c., al n. 1), mantiene fermo l’obbligo di sottoscrizione integrale del capitale

sociale; per i versamenti non richiede più esplicitamente che siano versati i tre decimi dei conferimenti in denaro, ma che siano rispettate le relative previsioni degli artt. 2342 e 2343 c.c. Il secondo comma dell’art. 2342 c.c. prevede infatti che alla sottoscrizione dell’atto costitutivo venga corrisposto almeno il venticinque per cento (1/4 e non più 3/10) del loro ammontare presso una banca. Nel caso di costituzione per atto unilaterale, il socio unico deve effettuare l’intero conferimento; e nel caso di società pluripersonale, che perda di seguito tale carattere, il versamento delle somme ancora dovute deve essere compiuto entro 90 giorni 61.

Viene da domandarsi, al di là dei differenti contenuti normativi, quali siano i motivi posti alla base di questo richiamo indiretto, e se la tecnica utilizzata possa avere una portata in qualche modo diversa o amplificata. Comunque sia la riforma apporta un contributo volto a dirimere una questione particolarmente dibattuta nel precedente sistema. Il dilemma era connesso all’incertezza sul tempo in cui effettuare tali pagamenti: prima della stipulazione dell’atto costitutivo 62 o in una fase ad esso anche successiva, purché antecedente all’iscrizione nel registro delle imprese.

Sul punto la riforma nel confermare in capo al notaio la direzione e la responsabilità del nucleo fondante il procedimento di costituzione 63, ossia del ricevimento in forma pubblica dell’atto costitutivo e del suo deposito per l’iscrizione, potrebbe far ritenere irrilevante il momento in cui l’adempimento in esame venga effettuato, purché anteriormente al deposito per l’iscrizione. Tale ragionare peraltro non può essere condiviso in quanto i due momenti, della stipulazione e dell’iscrizione, rimangono concettualmente e strutturalmente distinti, pur se la regia cui sono affidati risulta unica. Inoltre un dato letterale di non lieve rilievo è contenuto all’art. 2342, secondo comma, c.c., che prevede che il versamento del 25% o quello eventualmente integrale venga effettuato “alla sottoscrizione dell’atto costitutivo”; e dunque non potrà che essere riferito ad un momento (anche immediatamente) anteriore alla stipula dell’atto costitutivo.

Si assiste pertanto, sotto questo profilo, ad un maggior allineamento con la disciplina dei conferimenti in natura, nei confronti dei quali si ribadisce ancora che le azioni corrispondenti debbano essere integralmente liberate al medesimo momento della sottoscrizione (art. 2342, terzo comma, c.c.). La fase della sottoscrizione diviene dunque, testualmente, il momento al quale riferire tutti i versamenti dovuti, siano essi parziali o integrali, di denaro, di beni in natura o altro 64.

61 Si può ritenere che il decorso del termine di 90 giorni operi dal momento in cui sia venuta meno la

pluralità dei soci, e pertanto, ad esempio, dalla data in cui l’altro o gli altri soci siano deceduti, ovvero sia divenuto effettivo il recesso nei confronti della società, e così via.

62 I dubbi concernevano la difficoltà di poter concepire un obbligo che sorgesse prima della nascita, con la stipulazione del contratto, della corrispondente obbligazione. ANGELICI

63 Ben si può dire, e, si crede, senza presunzione, che oggi la società nasca virtù della rilevanza giuridica dell’opera svolta dal notaio, dato che quanto compiuto dal registro delle imprese si limita, previo un esame assolutamente formale, ad una presa d’atto di quanto richiesto dal notaio.

64 Sui conferimenti nella società per azioni, tra gli altri: AVAGLIANO, Dei conferimenti, in AA.VV., Il nuovo

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Continuano invece a non essere conferibili le prestazioni di opere o di servizi (art. 2342, quinto comma, c.c.): non si riscontra pertanto, nei riguardi della società per azioni, l’opzione invece concessa alle società a responsabilità limitata, alle quali, se l’atto costitutivo lo consente, possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica (art. 2464, secondo comma, c.c.) 65. La preclusione posta dalla normativa comunitaria non ha consentito di concedere all’autonomia statutaria delle società per azioni uno spazio così ampio, sebbene comunque tale divieto sia stato ammorbidito dalla possibilità di emettere strumenti finanziari particolari, privi del diritto di voto, che potrebbero appunto essere resi in cambio delle prestazioni suddette (art. 2346, sesto comma, c.c.).

L’art. 2331, quarto comma, c.c., regola infine, come prima il vecchio art. 2329, secondo comma, c.c., la sorte delle somme depositate: queste, ribadendone il vincolo di indisponibilità, non potranno essere consegnate agli amministratori, salvo che questi provino all’istituto bancario che la società sia stata iscritta. Se l’atto costitutivo non viene poi iscritto entro 90 giorni, dalla stipulazione o dal rilascio delle autorizzazioni necessarie, perde efficacia e sorge l’obbligo di restituire le suddette somme ai sottoscrittori.

6.2. Le autorizzazioni. La disciplina sulle autorizzazioni non subisce particolari modifiche. L’art. 2329, n. 3, c.c., si

limita ad elidere l’inciso“governative”, restrittivo, oltre che probabilmente inattuale in tempi di autorità più o meno indipendenti.

Pertanto, come nel sistema previgente, sarà la legge, di regola speciale, anche se non sempre in maniera chiara, a stabilire il momento in cui debba intervenire la prescritta autorizzazione; e quindi se essa sia richiesta per la stipulazione dell’atto costitutivo, e pertanto in un momento ad esso antecedente; o successivamente, per l’iscrizione nel registro delle imprese e dunque entro la data del deposito; ovvero ancora, in una fase ulteriormente successiva, in quanto necessaria per il mero esercizio dell’attività.

Per la seconda delle ipotesi appena esaminate, ossia quando la legge richieda che le suddette autorizzazioni debbano essere rilasciate dopo la stipula dell’atto costitutivo e per l’iscrizione nel registro delle imprese, l’art. 223 quater, primo comma, delle disposizioni di attuazione e transitorie, prevede che il termine di venti giorni per l’iscrizione nel registro delle imprese 66 decorra dal giorno in cui l’originale o copia autentica dell’autorizzazione sia stata consegnata al notaio.

Il disposto dell’art. 2331, quarto comma, c.c., fa sorgere ulteriori dubbi in relazione alle autorizzazioni. Ci si chiede come debba computarsi il suddetto dies a quo per la perdita di efficacia dell’atto costitutivo, con la conseguente incidenza sulle restituzioni, ove non sia richiesta un’autorizzazione invece necessaria, espandendo, tendenzialmente all’infinito, il procedimento costitutivo. Situazione che può intravedersi anche ove l’autorizzazione sia stata richiesta, ma non ancora formalmente negata. Ancor più delicata appare l’ipotesi di un rifiuto ufficiale dell’autorizzazione: in tal caso si applica o meno il termine di 90 giorni, invece formalmente decorrente dal “rilascio” dell’autorizzazione. E ove si addivenga ad una risposta negativa, quindi, nell’improbabilità di ritenere anche in tal caso la fase di costituzione da un punto di vista temporale senza limiti, dovrà allora ritenersi l’atto costitutivo come già inefficace, peraltro in tal modo precludendo la riproposizione di un’istanza magari scorretta solo sotto profili meramente materiali.

diritto societario, cit., pag. 45 ss.

65 In tema di conferimenti nella società a responsabilità limitata, vedi AVAGLIANO, Dei conferimenti e delle quote, in AA.VV., Il nuovo diritto societario, cit., pag. 318 e ss; ma ancor più, per la lucida e approfondita esposizione, TASSINARI pag.

66 In realtà l’art. 223 quater parla di termini previsti dalle suddette disposizioni, riferendosi agli artt. 2329 e 2436 c.c.. Sembra più opportuno, anche per coerenza con l’indicazione effettuata nei riguardi dell’art. 2436 c.c (che rinvia all’art. 2411 c.c.), trasferire il riferimento all’art. 2329 c.c., che non contiene termini, all’art. 2330, primo comma, c.c., ad esso strettamente connesso e che prescrive che il notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo debba depositarlo entro 20 giorni presso il registro delle imprese.

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Come si vede sono interrogativi di non facile soluzione, anche se probabilmente più di sapore scolastico che effettivi, ed ai quali solo l’applicazione pratica potrà conferire un’efficace risposta.

Il secondo comma dell’art, 223 quater, stabilisce che l’autorità competente al rilascio delle autorizzazioni di cui al primo comma è altresì legittimata, qualora l’iscrizione nel registro delle imprese sia avvenuta nonostante la loro mancanza o invalidità, a proporre istanza per la cancellazione della società medesima dal registro; in tal caso, dopo aver sentito la società, il tribunale provvede in camera di consiglio 67; ove poi l’istanza sia accolta, trova applicazione l’articolo 2332. Ci si chiede se il disposto di tale norma possa avere una qualche incidenza sul contenuto del controllo del notaio - del quale si discute se essenzialmente di legalità o diverso - in sede di iscrizione dell’atto costitutivo, con riguardo ad un dovere di controllo delle autorizzazioni prescritte: la stessa relazione afferma che si è chiarito “in un’apposita disposizione di attuazione che il procedimento di iscrizione ad opera del notaio presuppone la sussistenza di tutte le condizioni richieste dalla legge per la costituzione della società”. La questione, come più in generale la tematica del controllo del notaio in tale sede, in realtà, lungi dall’apparire chiarita 68, richiede ulteriori approfondimenti, che si tenterà di effettuare nel capitolo che segue.

7. Il deposito dell’atto costitutivo e l’iscrizione della società.

Come a seguito della riforma dell’omologazione operata dalla l. 24 novembre 2000, n. 340, i

cui principi sono stati mantenuti fermi dalla legge delega della l. 366 del 2001 69, è il notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo a doverne curare il deposito presso il registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale; quest’ultimo ufficio iscrive quindi la società dopo aver proceduto ad un controllo meramente formale della documentazione esibita.

Il termine per tale adempimento è stato peraltro ridotto da 30 a 20 giorni, onde favorire un’accelerazione della fase costitutiva. Più genericamente ora si dispone che debbano esservi allegati i documenti comprovanti la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 2329 (sul versamento del quarto e le eventuali autorizzazioni). Mentre rimane ferma la possibilità che in caso di inerzia del notaio o degli amministratori, ciascun socio possa provvedervi a spese della società, scompare invece l’inciso relativo alla possibilità alternativa che il socio possa far condannare gli amministratori ad eseguirlo 70. L’art. 223 quinquies, delle disposizioni di attuazione e transitorie (come prima stabiliva, in maniera identica, l’art. 2330, quarto comma, a seguito della modifica operata dall’art. 32 della l. 340 del 2000) prescrive la decorrenza dei termini, prima previsti dalla dall’omologazione, a far data dall’iscrizione nel registro delle imprese.

7.1. Il controllo di legalità tra giudice dell’omologazione e notaio. In tema di controlli la novella dunque non sembra integrare in maniera sostanziale quanto già

innovato dalla precedente riforma del 2000. Salvo ipotesi assolutamente marginali, di inerzia, si è dissolta la competenza dei giudici di legittimità in tale ambito. L’attenzione si è quindi rivolta sul potere e dovere del notaio di richiedere l’iscrizione; in particolare si è discusso sull’ampiezza, l’oggetto ed i limiti di tale controllo.

Le ipotesi ricostruttive sono state essenzialmente due: da un lato si è infatti affermato che il controllo del notaio ha lo stesso contenuto ed estensione del pregresso controllo dei giudici, ai quali

67 In questa ipotesi il procedimento camerale è quello nei confronti di più parti: artt. 33 e 25 ss. del d.lgs. 5

del 2003. 68 NOTARI 69 Art. 4, comma secondo, lett. c). 70 In tale disposizione non si riproduce inoltre, ma è modifica testuale di poco conto, l’indicazione relativa

all’atto costitutivo ed agli allegati.

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in pratica viene a sostituirsi; mentre, secondo altre linee di pensiero, i due tipi di controlli non sono identici, oltre che ben lungi dal sovrapporsi 71.

Risulta assolutamente preferibile, oltre che maggiormente diffusa 72, la prima delle soluzioni prospettate, ossia quella che demanda al notaio una facoltà di riscontro non dissimile da quella svolta in precedenza dai magistrati dell’omologazione 73. Si viene dunque a colmare il vuoto di garanzia che si sarebbe altrimenti creato: risulta infatti evidente che il legislatore non ha inteso comprimere le istanze di tutela che un corretto controllo pubblico può assecondare in tale settore. Ciò viene confermato anche dalla corrispondenza lessicale di quanto disposto dagli artt. 2330 c.c., per l’atto costitutivo, e 2436 c.c., per le delibere modificative, con le corrispettive disposizioni della previgente normativa 74. D’altronde, identità testuale, cui fa da specchio una coincidenza di contenuti, si riscontra anche nell’ambito del medesimo art. 2436 c.c., dal momento che sia il notaio (primo comma), sia il tribunale (quarto comma), rispettivamente richiedono e ordinano l’iscrizione nel registro delle imprese dopo aver “verificato l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge”.

Al notaio è dunque affidata una funzione che assume un ruolo centrale nella vita della società, oltre che naturalmente nella sua fase costitutiva. Come i giudici prima, prescindendo dagli interessi individuali dei singoli soci, il notaio deve dunque compiere una valutazione globale dell’organizzazione societaria che proprio con l’iscrizione viene a nascere. In tale momento si compone una linea di separazione evidente tra il contratto posto in essere con la stipulazione e l’assetto di interessi che sorge ed opera a seguito dell’intervenuta pubblicità e che ritrova il proprio nucleo fondante nello statuto: l’intervenuta valutazione impone “una prospettiva secondo la quale dell’atto costitutivo 75 non rileva il significato negoziale, bensì quello di schema organizzativo per il quale deve oggettivamente verificarsi la compatibilità con la struttura che nel sistema è propria della società per azioni” 76. E tale prospettiva distacca la società di capitali appena costituita non solo dalla disciplina e dalle problematiche di diritto comune, più incentrate sul piano del diritto soggettivo, ma anche in qualche misura dalle tematiche delle società di persone. Ne sono conferma le immediatamente successive e correlate disposizioni degli artt. 2331 e 2332 c.c., che integrano e completano le prospettive appena esaminate. Ma di tutta evidenza è anche il dettato dell’art. 2377 c.c., che nel porre sul medesimo piano la legge e lo statuto, ne esplicita la pienezza del ruolo organizzativo 77.

Si è già detto come sembri che tra la novella del 2000 e l’attuale riforma nulla sia stato essenzialmente innovato. In realtà qualcosa è cambiato, e per la precisione il quadro giuridico di riferimento. Mentre infatti le novità apportate dalla legge di semplificazione si innestavano su un tessuto normativo che, salvo successive modificazioni di settore, discendeva direttamente da quello predisposto dal legislatore del 1942, le norme sul controllo si relazionano con una disciplina in gran parte riscritta, oltre che con leggi speciali adesso più vicine, i cui sviluppi, anche immediati oltre che futuri, non risultano assolutamente preventivabili. Ma se la non attuale prevedibilità della reale capacità evolutiva della riforma appena realizzata non consente al momento di delineare con sufficiente chiarezza i reali, oltre che esatti contorni del giudizio in questione, si può tentare peraltro

71 Da ciò si è inoltre tentato di affermare una competenza degli uffici del registro delle imprese a compiere

l’effettivo controllo: tesi subito confutata dall’evidente rilievo meramente formale e documentale che la legge attribuisce a tale tipo di ispezione. Identica soluzione deve attribuirsi al controllo del conservatore dell’Archivio notarile, che è e rimane sugli atti, e non sull’iscrivibilità del contratto di società; anche se poi ,ad onor del vero, un forte nesso sinallagmatico è evidentemente presente. Sul punto L. A. MISEROCCHI, La responsabilità del notaio per l’iscrizione di atti costitutivi e verbali di assemblea, in Federnotizie, luglio 2003, pag. 139 ss. G. CASU,

72 M. STELLA RICHTER jr.; U. MORERA; REVIGLIONO; CAMPOBASSO, La riforma delle società, cit., pag. 22; 73 Anche se è evidente, in presenza di figure a rilievo pubblico di differente carattere, per cui il notaio non

diviene un giudice – d’altronde non ordina l’iscrizione, ma richiede il deposito – ma, nella veste che è ad esso propria, svolge per tale circoscritto ambito quell’analogo tipo di controllo.

74 E pertanto i vecchi artt. 2330, 2411 e 2436 c.c. 75 E lo statuto [n.d.r.]. 76 ANGELICI, La costituzione, pag. 263. 77 ANGELICI, La costituzione, pag. 230; Autonomia,

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di tracciarne almeno qualche linea di analisi. Per tale osservazione si può prendere l’avvio da una sensazione diffusamente circolante tra gli studiosi proprio in virtù del sovrapporsi del sindacato del notaio a quello del magistrato: ossia dal fatto che in fondo, risultando un controllo in buona sostanza non differente da quello precedente, ancorché non del tutto in assonanza, e pur tenendo conto della particolare incidenza di una rinnovata normativa di riferimento, valgano nei suoi confronti le medesime considerazioni e, in particolare, le stesse incertezze che caratterizzavano il procedimento di omologazione.

L’argomento che, sebbene per somme linee, si sta qui tentando di sviluppare, comporta la consapevolezza della differenza esistente tra controllo su atto costitutivo, dove il controllo del notaio viene svolto già sin dalla fase del ricevimento del contratto, da un lato; e su verbali modificativi dall’altro, ove la funzione documentale propria dell’atto in questione non consente di regola al notaio di rifiutare la propria opera, salvo demandare a una fase immediatamente successiva il controllo sulla liceità delle esternazioni dei soci. In entrambi i casi comunque vi è assoluta concordia nel ritenere che esso si sostanzi in un controllo di legalità delle relative disposizioni dell’atto costitutivo e statutarie 78.

Su quale fosse l’esatto ambito di incidenza di tale controllo si è dibattuto a lungo 79. Secondo una linea argomentativa diffusa, si è proceduto a compartimentare le diverse

categorie di vizi rilevabili nei confronti degli atti negoziali, e quindi a seguito di un dibattito dottrinario e giurisprudenziale sicuramente non agevole, si è giunti a ritenere deprecabili solo le censure di nullità, in quanto lesive degli interessi generali dell’ordinamento, facendo invece salve quelle cui era comminata, a tutela di interessi particolari, solo la sanzione dell’annullabilità 80. Tale teorizzazione, se da un lato conferisce l’indiscutibile pregio di una demarcazione (sufficientemente) netta di cosa sia iscrivibile e cosa non lo sia, peraltro non tiene del tutto conto della realtà del diritto societario, al quale, per le peculiarità che sono ad esso proprie, e che trovano un nitido riscontro nell’art. 2332 c.c., risulta difficile ascrivere sempre le categorie negoziali del diritto civile comune. Inoltre proprio l’accennato mutato quadro normativo, in specie in materia di invalidità delle delibere assembleari 81, aumenta l’inquietudine intorno alla correttezza di una distinzione così netta.

Anche in virtù della sensazione di insufficienza che la citata opinione suscita si è formata da tempo una diversa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, più aderente ad una equilibrata considerazione del carattere particolare della disciplina delle società, dove da una fase primigenia di natura contrattuale, ne nasce una ulteriore, caratterizzata da un rapporto – o secondo alcune teorie mutuate da esperienze straniere, da un fascio di rapporti – nel quale assume una marcata rilevanza l’organizzazione che ne fuoriesce. Pertanto, partendo anche dai dati testuali del codice, che richiedono come si è visto una verifica degli adempimenti previsti dalla legge, si giunge a ritenere che tale funzione rivesta i caratteri di un controllo di conformità alla legge sì dell’atto, ma, ancor più, del rapporto che ne deriva, e dunque della sua organizzazione 82. Tale opinione, nel contemplare la fase costitutiva dell’ente come cuore pulsante della futura vita della società, pur implicando un relativamente maggiore grado di indeterminatezza, che si può riflettere in

78 Anche se sovente, per consentire un’indagine più penetrante si è preferito parlare di legalità sostanziale,

onde evitare che si risolvesse in un mero esame documentale 79 Per un’approfondita analisi del giudizio di omologazione,si veda U. MORERA, L’omologazione degli statuti

di società, Milano 1989; e per un rapido riepilogo delle diverse posizioni assunte da dottrina e giurisprudenza, si veda M. AVAGLIANO, Sulla fusione successiva ad una riduzione del capitale per perdite: situazione patrimoniale aggiornata e controllo del tribunale in sede di omologazione, in C.N.N. Studi e materiali, 1995-1997, vol 5.1, Milano 1998, pag. 223 e ss.

80 Tra i tanti autori, possono ricordarsi, A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese. Contributo alla teoria della pubblicità, Milano, 1954, pag. 628 ss.; A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1963, pag. 209.

81 L’art. 2379 c.c., se da un lato nel codificare anche ipotesi prima elaborate come di inesistenza, ne amplia i casi riscontrabili, dall’altro attenua ancora di più il legame con il sistema di nullità dei contratti, prevedendo per tale sanzione un termine di tre anni per l’impugnazione e particolari forme di sanatoria (art. 2379 bis).

82 “Non interessa la validità dell’atto, ma se la struttura organizzativa predisposta dai privati sia oggettivamente compatibile con il modello legislativo”: ANGELICI, La società nulla, cit., pag. 219; e La costituzione della società per azioni, pag. 262; si veda anche MORERA, L’omologazione, cit., pag. 184.

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un’incertezza giuridica sulla bontà di singole clausole, consente pertanto di emanciparsi dalla ricerca affannosa di vizi di nullità e annullabilità 83.

8. L’iscrizione nel registro delle imprese: effetti ed operazioni compiute antecedentemente.

Il primo comma dell’art. 2331 c.c., mantiene scolpita e inalterata la regola fondamentale

dell’acquisto della personalità giuridica della società solo con l’iscrizione presso il registro delle imprese 84. Questa disposizione dunque nulla apporta o sottrae al dibattito sulla sussistenza o meno di un ente cui ascrivere, prima dell’adempimento pubblicitario, determinati effetti e, in particolare, responsabilità 85.

Più coinvolgenti appaiono invece le innovazioni portate dal secondo comma del medesimo articolo, che ora, nel tentativo di risolvere dei dubbi interpretativi, stabilisce come per le operazioni compiute in nome della società prima dell’iscrizione, alla responsabilità illimitata e solidale di chi ha agito, venga ad aggiungersi quella del(l’eventuale) socio unico fondatore 86; nonché quella di quei soci che, pur se con atto separato, abbiano deciso, autorizzato o consentito l’operazione. L’estesa elencazione compiuta dalla legge, dimostra quanto il codice oggi miri ad espandere la responsabilità per gli atti compiuti per conto della società antecedentemente alla sua completa costituzione ad ogni ipotesi in cui nel procedimento di formazione della volontà, quella del soggetto in questione rilevi sia in quanto determinante e essenziale, se non esclusiva, sia ove solo concorrente. Si evidenzia dunque la responsabilità di colui che è l’effettivo, e non solo formale, soggetto imputabile di quanto attuato; ed ancora quella della società che abbia approvato l’operazione, la quale in tal caso è anche tenuta a rilevare coloro che hanno agito (art. 2331, terzo

83 Di recente in tal senso MISEROCCHI, La responsabilità del notaio, cit., pag. 144, che, in una materia che

richiede determinatezza, predilige la demarcazione tra vizi di nullità e annullabilità. Richiamano ancora il canone della conformità a legge, CAMPOBASSO, La riforma delle società, cit., pag. 23. G. LAURINI, Controllo di legalità sugli atti costituzionali, in Società- Il dizionario della riforma, Italia Oggi, serie speciale n. 16, 2003, pag. 62.

D’altronde non va dimenticato che gli artt. 28 e 138 bis, della legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89, reclamino, ma ai fini della responsabilità disciplinare del notaio, un’espressa o manifesta proibizione,contrarietà o inesistenza relativa a norme di legge.

“Art. 28. Il notaro non può ricevere atti: 1. se essi sono espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o

all’ordine pubblico; 2. […]” “Art. 138 bis. 1. Il notaio che chiede l’iscrizione nel registro delle imprese delle deliberazioni di società di capitali,

dallo stesso notaio verbalizzate, quando risultino manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge, viola l’articolo 28, primo comma, n. 1, della presente legge, ed è punito con la sospensione prevista dal secondo comma dell’articolo 138 e con la sanzione amministrativa da lire 1.000.000 a lire 30.000.000.

2. Con sanzione amministrativa pari a quella di cui al comma 1 è punito il notaio che chiede l’iscrizione nel registro delle imprese di un atto costitutivo di società di capitali, da lui rogato, quando risultino manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge”.

84 Parla di efficacia costitutiva GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., pag. 78, come condizione cui per legge l’effettività della società sia soggetta.

85 Riscontra l’idea di una società irregolare G. OPPO, Forma e pubblicità nelle società di capitali, in Riv. dir. civ. 1966, I, pag. 109 (o 139) ss.; ed E. SIMONETTO, La nuova stesura dell’art. 2332 e le società di capitali irregolari, in Riv. dir. civ., 1974, II, pag. 337 ss. Ha sviluppato invece un’elaborata disamina di tale questione in particolare G. PORTALE, Conferimenti in natura ed effettività del capitale nella “società per azioni in formazione”, in Riv. soc., 1994, pag. 1 ss., con la sua nota ricostruzione di una società preliminare per azioni in formazione. Si veda anche LANDOLFI, Riflessioni sugli effetti dell’iscrizione ex art. 2330 c.c., in Riv. not., 1991, pag. 941.

86 Responsabilità che, come si è visto trattando della società unilaterale, appare particolarmente vigorosa in relazione alle altre ipotesi previste dal medesimo modello unipersonale, in quanto prescinde da situazioni di insolvenza o di mancata effettuazione di versamenti integrali e pubblicità, risultando sufficiente per il suo insorgere che qualcuno, sia lo stesso socio o meno, agisca in nome della società non ancora iscritta.

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comma). Nel caso invece la società non avalli l’operazione, i terzi non potranno rivalersi nei suoi confronti.

La lettura coordinata delle due norme appare in qualche modo suffragare quanto sostenuto dall’opinione, già in precedenza maggiormente diffusa 87, sulla mancanza di una società, irregolare o anche in formazione, prima dell’iscrizione presso il registro delle imprese. Da un lato si rimarca infatti il rilievo di responsabilità in qualche modo esterne all’ente, incrementando nel contempo la sensazione di irrilevanza di qualifiche (di futuro amministratore o altro) o situazioni proprie della futura organizzazione corporativa 88, di chi agisca; dall’altro si è presenza di una nuova norma (il terzo comma) che, letta a contrario, sembra negare ipotesi di responsabilità della società e del proprio patrimonio al di fuori dei casi di sua successiva approvazione. Quanto innovato conduce dunque, seppur ancora in maniera non del tutto equivoca, ad affievolire ulteriormente le ragioni di chi riteneva sulla base di dati testuali diversi, per fini di maggior tutela delle ragioni dei terzi che per primi entravano in contatto con il nuovo ente 89, di intravedere una responsabilità solidale anche del costituendo patrimonio sociale 90.

Un’ulteriore motivo a favore della tesi prima considerata prevalente si rinviene anche ove, in relazione al terzo comma prima citato, l’attenzione si appunti, in relazione alla sorte degli atti compiuti precedentemente all’iscrizione in nome della società, su quella particolare ”approvazione” della società, che, come si è visto, consente di affiancare la responsabilità della società e del proprio patrimonio a quella di coloro che hanno agito. Il meccanismo rievoca all’apparenza quello previsto dagli artt. 1398 e 1399 c.c., ma in effetti non lo ricalca: l’utilizzo del termine approvazione al posto di quello più consueto di ratifica appare quindi voluto, in virtù del diverso assetto di interessi coinvolti 91 ed è quindi volto a differenziare le due ipotesi e, di conseguenza, la relativa disciplina applicabile. La prima discrasia si opera in relazione alla posizione del terzo, del quale irrilevante appare la situazione di buona o mala fede, e che è posto in una situazione ove “è, in un certo senso, soggetto alle successive determinazioni della società” 92. Uno dei punti di maggior divergenza tra queste ipotesi è esplicitato nella norma in commento: la responsabilità è “anche” della società, si affianca a quella di chi ha agito che permane ma non diventa per effetto della sua approvazione l’unico soggetto imputabile. La divergenza tra le due situazioni comporta l’inapplicabilità della norma prevista dal secondo comma dell’art. 1399 c.c., sull’efficacia retroattiva della ratifica, almeno ove essa fosse intesa nella sola prospettiva di un integrale e liberatorio effetto di subentro. A differenza di quanto teorizzato in riferimento al precedente sistema da tale situazione, sempre ricostruita con difficoltà intorno alla categoria della rappresentanza, del falsus procurator o senza rappresentato, discende che l’approvazione della società non solo non elimina la responsabilità di chi ha agito, ma neanche si sostituisce pienamente ad essi quale parte esclusiva del rapporto 93.

87 ANGELICI, La costituzione della società per azioni, pag. 265; CAMPOBASSO, La riforma delle società, cit.,

pag. 26; P. SPADA, La tipicità, pag. 457 ss. 88 ANGELICI, La società nulla 89 E tra questi in primis l’art. 2342, secondo comma, c.c. (come modificato dall’art. 5 del d.p.r. 30 del 1986),

in tema di conferimenti di beni in natura, unitamente alla valutazione che di tali analoghe norme si compia nell’ordinamento tedesco; e quindi l’art. 2328, secondo comma, n. 12, c.c., in materia di spese per la costituzione. Sul punto PORTALE, pag. 57 ss., secondo il quale in presenza di conferimenti in natura i poteri gestori della società in formazione, dagli atti meramente necessari alla costituzione subirebbero un’espansione tale da ricomprendervi anche quelli relativi alla conservazione ed all’amministrazione delle aziende e degli altri beni, diventandone titolare la società in formazione.

90 Sostiene che i risultati cui si perveniva nel vigore del codice antecedente, sulla insussistenza di una società prima dell’iscrizione, risultano addirittura rafforzati con l’attuale disciplina, CAMPOBASSO, pag. 26; GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., pag. 80.

91 ANGELICI, La costituzione, pag. 267. 92 Sempre ANGELICI, La costituzione, pag. 268, che evidenzia come questi non potrebbe lamentarsi di aver

senza colpa ignorato che la società non era iscritta e neanche la società abbia successivamente approvato l’atto, in quanto questo era stato compiuto in nome della stessa.

93 La società sembra apparire dunque la beneficiaria di effetti compiuti a suo favore in tal modo ravvicinando che tale fattispecie a quella del contratto a favore di terzo dell’art. 1411 c.c.; ovvero di un fenomeno di estromissione senza liberazione dell’originario disponente, ex art. 1272, c.c. In realtà tali figure, come già prima quella della rappresentanza, appaiono insoddisfacenti a chiarire questo fenomeno, i cui effetti sono in qualche modo previsti dalla

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Bozza da correggere e completare Note incomplete

Le forme di approvazione: a seconda dei campi di competenza: delibera del consiglio di amministrazione; dell’assemblea,

Come si potranno quindi compiere tali atti? (da completare) Rimane quindi in qualche misura aperto il problema di chi sia il soggetto sul quale gravino gli

oneri e i rischi relativi ai beni conferiti fino all’iscrizione 94. Va quindi ricordata nella costituzione per pubblica sottoscrizione la responsabilità dei

promotori, come sancita dagli artt. 2337 e 2338. L’art. 2331, quarto comma, c.c., come già visto, regola quindi la sorte delle somme depositate

alla sottoscrizione dell’atto costitutivo: se l’atto costitutivo non viene iscritto entro novanta giorni (prima era un anno: art. 2329, terzo comma) dalla sua stipulazione o dal rilascio delle autorizzazioni necessarie, esso perde efficacia, con un meccanismo forse analogo a quello di una condizione risolutiva (legale), oltre a determinare la restituzione dei versamenti effettuati. Ci si chiede se sia possibile un successivo riacquisto dell’efficacia, ad esempio in virtù di un’iscrizione tardiva, magari per la posteriore eliminazione di una causa ostativa. Peraltro l’obbligo di restituzione fa pensare ad un’efficacia risolutiva con valore ex tunc, retroattivo.

Continuano ad essere vietate, prima dell’iscrizione della società nel registro delle imprese, l’emissione delle azioni e più in generale la loro sollecitazione all’investimento (salvo che si utilizzi la procedura per pubblica sottoscrizione ex art. 2333 ss.). Non viene riprodotto il divieto connaturato alla loro vendita: pertanto prima della venuta ad esistenza della società sarà possibile la vendita e la cessione 95, anche mediante negozi preliminari, delle relative posizioni contrattuali che, in quanto comunque in una fase precedente all’emissione (vietata) delle azioni, non potranno essere rappresentate da titoli cartolari (art. 2331, quinto comma).

9. La nullità della società. Rispetto al testo previgente dell’art. 2332, c.c., rimane inalterato il principio della non

incidenza della declaratoria di nullità, una volta intervenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, sugli atti compiuti dopo tale momento. Nonché quello della possibilità che la causa menomante sia eliminata (non più solo tramite modificazione dell’atto costitutivo) successivamente e con efficacia sanante, ove ne sia stata data adeguata pubblicità. Si conferma dunque l’impostazione che raffigura questa particolare forma di invalidità della società, di origine comunitaria, come rivolta nei confronti dell’organizzazione, più che del contratto originario, e quindi attenta ai rapporti che si sono instaurati dopo l’iscrizione presso le camere di commercio. Risalta il ruolo della struttura corporativa, e pertanto l’attenzione viene rivolta ad interessi interni alla società, e non a quelli individualistici dei singoli soci 96. D’altronde l’esito, la “sanzione” di tale declaratoria di invalidità continua ad essere lo scioglimento della società e la conseguente liquidazione, che appunto non è rivolta tanto al negozio posto in essere dalle parti, quanto più propriamente all’organizzazione societaria nel suo complesso 97.

legge, e a spiegarne le peculiarità.

94 Per GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., pag. 82, detto rischio non può gravare che sul socio conferente. Lo stesso autore, a pag. 81, fa comunque salva la possibilità, in particolare in relazione ai beni immobili conferiti, che effettuata la prestazione, alla stessa possa essere data pubblicità, anche prima dell’iscrizione nel registro delle imprese, mediante la trascrizione presso i registri immobiliari.

95 Il negozio posto in essere risulterà pertanto valido ove la società venga successivamente iscritta in ragione di un meccanismo contemplato già nel nostro codice, ad esempio, all’art. 1348.

96 Ciò spiega anche la differenza con la disciplina degli artt. 1418 e ss., c.c., e in tema di sanabilità, con gli artt. 590, 799 e 1444 c.c., e rileva anche in tema di legittimazione ad agire, negando pertanto rilevanza ad isteressi esterni alla società: ANGELICI, La costituzione, cit., pag. 279.

97 ANGELICI, La costituzione, cit., pag. 273; in tali termini si spiega anche perché sia poi sufficiente l’eliminazione dell’anomalia della compagine organizzativa, compiuta dalla medesima struttura, ad impedite il decorso fatale dell’ente.

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Bozza da correggere e completare Note incomplete

Al fine di fondare una maggior certezza nei riguardi dei terzi, che trova il proprio idoneo riscontro nel principio di tassatività delle cause di nullità, la riforma ha proceduto ad eliminare le fattispecie quelle poco frequenti nella pratica e comunque di difficile interpretazione 98. Si sono dunque ridotte le specifiche ipotesi previste dal primo comma dell’art. 2332, c.c., che sono ora costituite solo:

1) dalla mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico. A tale causa si ricollega il dibattito sul se la forma dell’atto pubblico sia stata qui sancita ai

fini della validità negoziale dell’atto costitutivo, tesi che appare prevalere, ovvero in quanto richiesto dal procedimento di iscrizione 99.

Viene dunque a dissiparsi l’ambigua ipotesi testuale della “mera” mancanza dell’atto costitutivo; anche se a detto inciso si ricollegava l’interessante opinione che ravvisava in tale norma un filtro di carattere tipologico nei riguardi delle società di capitali 100;

2) dall’illiceità dell’oggetto sociale. Scompare quindi, probabilmente perché superflua, l’ipotesi testuale della contrarietà

dell’oggetto all’ordine pubblico. Si è discusso se l’illiceità dovesse valutarsi in relazione all’oggetto sociale dichiarato nell’atto costitutivo o a quello concretamente esercitato 101. Risulta peraltro preferibile la prima posizione, anche in base al carattere formale delle ipotesi contemplate dall’articolo in esame e del valore restrittivo dell’interpretazione delle ipotesi ivi prospettate 102;

3) dalla mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale.

Detta previsione rimane identica a quella già vigente, salvo il mancato riferimento allo statuto. Si dissolvono inoltre, nel senso di perdere rilievo ai fini della declaratoria di nullità della

società, le fattispecie costituite: - dall’inosservanza delle disposizioni sui versamenti iniziali, che come si è visto degradano a condizioni per la costituzione (artt. 2329 e 2342); - dall’incapacità di tutti i soci fondatori. L’incapacità di uno o più soci rileverà eventualmente

quale causa di invalidità della singola partecipazione. Il peculiare regime delle società di capitali peraltro reagisce anche con la disciplina dei contratti plurilaterali, in quanto l’invalidità della partecipazione, anche se essenziale non potrà comportare la nullità del contratto della società iscritta 103;

- dalla mancanza della loro pluralità, svanita a seguito del pieno riconoscimento, sin dalla fase costitutiva, della società per azioni unipersonale (art. 2325 c.c.).

L’ultimo comma dell’art. 2332, c.c., per venire incontro ad istanze legate ad una migliore trasparenza ed informazione dei terzi, prevede ora l’obbligo in capo agli amministratori o ai liquidatori di iscrivere nel registro delle imprese il dispositivo della sentenza che dichiara la società nulla 104.

98 Si confronti l’art. 4, comma terzo, lett. b) della legge delega 366 del 2001. 99 Per i termini della questione, vedi ANGELICI, La costituzione, cit., pag. 277. 100 ANGELICI, La costituzione, cit., pag. 275. 101 Sotto quest’ultimo profilo, FRANCESCHELLI, Nullità per illiceità dell’oggetto di società di capitali

registrate?, in Giur. comm.,, 1979, I, pag. 786. 102 ANGELICI, La costituzione, cit., pagg. 236, 275 e 276, che evidenzia come di detto formalismo si dia

riscontro al n. 5 (ora n.3) delle cause di nullità, che richiede atti indicati nell’atto costitutivo e non ricavabili ulteriormente; CAMPOBASSO, La riforma delle società, cit., pag. 30, nota 2.

103 Se infatti, una volta avvenuta l’iscrizione della società, la nullità della stessa può essere dichiarata solo nei casi tassativamente previsti dal primo comma dell’art. 2332 c.c., è evidente che la disciplina degli artt. 1420 e 1446 c.c. non potrà qui applicarsi: vedi anche, CAMPOBASSO, La riforma delle società, cit., pag. 32

104 Va infine ricordato l’art. 223 quater, delle disposizioni di attuazione e transitorie, che al secondo comma stabilisce che, ove la società sia iscritta senza le autorizzazioni prescritte (ovvero ove queste siano invalide), l’autorità competente al loro rilascio può richiedere la cancellazione dal registro. Su tale istanza provvede il Tribunale in camera di consiglio, applicando, in caso di accoglimento, proprio l’art. 2332 c.c.

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10. La costituzione per pubblica sottoscrizione. La riforma ha conservato, nonostante la maggior diffusione dalla normativa della

sollecitazione al pubblico investimento contenuta agli artt. 94 e ss. del d.lgs. 58 del 1998, la disciplina portata dagli artt. 2333 ss. sulla costituzione per pubblica sottoscrizione, che rimane pressoché identica alla precedente.

Si differenzia peraltro per l’assenza, all’art. 2333, primo comma, del riferimento alle principali disposizioni dello statuto, adesso riportate nell’oggetto della delibera da parte dell’assemblea dei sottoscrittori (art. 2335, primo comma, n. 2); e per la disciplina di vantaggio accordata a promotori e soci fondatori. Mentre infatti i primi possono riservarsi solo una maggiore partecipazione agli utili (art. 2340), i soci fondatori, per il richiamo che l’art. 2341 compie solo nei riguardi del primo comma dell’art. 2340, possono serbarsi anche altri e diversi benefici (sul punto si veda anche l’art. 2328, secondo comma, n. 8): ciò in quanto questi ultimi, a differenza dei primi, almeno tendenzialmente, non rimarranno estranei alla società. Un dubbio peraltro investe il fatto se gli “altri benefici”, nell’ottica di una valutazione economica, cumulandosi agli utili, possano superare o meno il limite del decimo.