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1 Progetto di alta formazione per quadri e dirigenti sindacali MASTER DIRITTI RAPPRESENTANZA TUTELE La contrattazione e le politiche organizzative della FILCAMS: materie, indirizzi e prospettive ABSTRACT DELLE TESI PRESENTATE DAI CORSISTI al termine del Progetto di formazione tenutosi da novembre 2007 a giugno 2009 16 – 18 GIUGNO 2009 Hotel Palatino, Via Cavour 231 M – Roma

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Progetto di alta formazione per quadri e dirigenti sindacali

MASTER � DIRITTI � RAPPRESENTANZA � TUTELE

La contrattazione e le politiche organizzative della

FILCAMS: materie, indirizzi e prospettive

ABSTRACT DELLE TESI PRESENTATE DAI CORSISTI

al termine del Progetto di formazione

tenutosi da novembre 2007 a giugno 2009

16 – 18 GIUGNO 2009 Hotel Palatino, Via Cavour 231 M – Roma

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INDICE 1 sessione – Ricostruire l’identità del lavoro 5

Congiuntura storica e sociologica: una nuova realtà da rappresentare (Nappa Maria Rosaria) 7 Il sindacato alla prova del XXI secolo (Fabio Ammavuta) 8 Ricostruzione dell'identità collettiva attraverso un nuovo sistema di relazioni industriali (Michele Agnani) 11 Il Ruolo del sindacato nello scenario globale (Alessio Di Labio) 14 I Sindacati nell’ economia globale (Simona Fanzecco) 17

2 sessione – La contrattazione 19 L’identità del lavoro nell’esperienza sindacale italiana. L’evoluzione del sistema contrattuale tra conflitto e concertazione (Alessandra Pelliccia) 21 La centralità del Contratto Collettivo Nazionale (Giuseppe Metitiero) 24 Contrattazione di secondo livello (Roberto Rossi) 25 Sviluppo, diritti e ruolo della contrattazione sociale (Loredana Sasia) 28 La ricomposizione dell’identità del lavoro attraverso la contrattazione innovativa (Cristian Sesena) 30 Dalla ricomposizione contrattuale alla ricomposizione sociale (Adriano Montorsi) 32

3 sessione – Gli appalti 37 Il Mondo degli appalti (Francesca Voltan) 39 Gli appalti. L’evoluzione legislativa e le disfunzione.(Samantha Caridi) 40 Gli appalti in Europa: la normativa europea – comparazione (Monica Zambon) 45 Sindacato e “sistema appalti”: la confederalità (Francesca Gentili) 46 Un laboratorio di idee per la ricomposizione sociale del lavoro. Quali ulteriori proposte efficaci e innovative: un nuovo laboratorio di idee (Fabio Fois) 52 Milano e “expo 2015”: la vetrina del mondo e “la vetrina degli appalti” L’analisi di due casi (Stefania Sorrentino) 56 Milano e “expo 2015”: la vetrina del mondo e “la vetrina degli appalti” L’analisi di due casi (Virginia Montrasio) 58

4 sessione – Le politiche organizzative 61 Idee per un rinnovamento culturale (Joice Moscatello) 63 La Filcams come modello organizzativo (Daria Banchieri) 66 Le strategie e gli strumenti della sindacalizzazione (Marco Ghezzani) 68 La formazione nella nostra organizzazione (Alessandra Di Simone) 70 La Filcams e il sistema dei servizi (Andrea Ferretti) 71 Una nuova comunicazione per una nuova integrazione (Daniele Soffiati) 74 Continuità e discontinuità del conflitto nel nostro settore e nella nostra società (Cosimo Francavilla) 76 Modelli sindacali europei a confronto (Annalisa De Pietro) 78

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Progetto di alta formazione per quadri e dirigenti sindacali

MASTER � DIRITTI � RAPPRESENTANZA � TUTELE

1 sessione: Ricostruire l’identità del lavoro

ABSTRACT DI:

Maria Rosaria Nappa

Fabio Ammavuta

Michele Agnani

Alessio Di Labio

Simona Fanzecco

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1 sessione – Ricostruire l’identità del lavoro

Congiuntura storica e sociologica: una nuova realtà da rappresentare (Nappa Maria Rosaria) Attraverso l'analisi del contesto culturale, economico e sociale in cui si sta realizzando l'attuale crisi economica, facendo emergere le strette correlazioni tra i diversi ambiti ed evidenziando il ruolo primario che riveste la comunicazione in ogni attività del nostro tempo, si tenta di contestualizzare l'habitat in cui si trova ad operare il sindacato di oggi. In questo momento l'elemento che più di altri caratterizza l'agire delle organizzazioni di massa è lo scarso potere di rappresentanza, e partendo da questo elemento socio-politico è possibile individuare come l'aspetto preponderante della nostra società sia l'individualismo e la competizione tra individui, che in ambito sindacale hanno preso il posto del senso di appartenenza e della solidarietà. La precarizzazione dei rapporti umani e di lavoro, la mercificazione di ogni aspetto della vita umana (occidentale) contribuiscono a rendere la società sempre più impermeabile ad istanze di massa e, al contempo, pongono l'individuo al centro e al vertice di ogni attività. Quando la realizzazione della propria individualità diventa il fine di ogni attività è conseguente che non ci sia disponibilità a delegare o a riconoscersi parte di un gruppo. Ancora ponendo l'accento sulla comunicazione si definisce la società come strutturata in base al metodo di produzione preminente, e quindi l'età dei “consumi di massa” e delle “comunicazioni di massa” realizza individui con desideri effimeri e volubili come i beni che vengono prodotti dalla nuova economia. La crisi economica, come mai estesa e profonda, mette in luce le caratteristiche e i limiti della globalizzazione. L'insicurezza che paralizza investimenti e spese di Stati e famiglie non potrà non aver conseguenze anche sulla personalità delle persone così come sul futuro panorama lavorativo in quanto le economie e i modi di produzione si rimodelleranno a ranghi ridotti. Di conseguenza lo stato sociale avrà un ruolo sempre maggiore e i sostegni al reddito costituiscono sempre più frequentemente il mezzo di sostentamento di intere famiglie. Il ricorso all'esternalizzazione dei servizi attraverso le procedure di appalto, con la instabilità dei rapporti di lavoro anche se contrattualmente “a tempo indeterminato”, è un esempio eloquente e significativo del modello di società preminente. E ancora una volta l'analisi del linguaggio, e ancor più dell'informatizzazione della società, mette in rilievo le peculiarità individualistiche contro cui in ultima analisi si trova a dover combattere il sindacato di oggi. E per poter trovare un nuovo appeal bisogna ripensarsi, senza però tradire i propri identità, principi e tradizioni. Soprattutto è necessario individuare dei nuovi strumenti e linguaggi di comunicazioni che trasmettano, prima di tutto, un'idea più partecipata dell'organizzazione, capace al contempo di ricevere e di trasmettere.

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Il sindacato alla prova del XXI secolo (Fabio Ammavuta) L’epoca in cui viviamo è da tutti riconosciuta come quella della globalizzazione, ovvero l’epoca dominata da una grande interrelazione e interdipendenza globale. Questo significa che assistiamo ad un progressivo allargamento della sfera delle relazioni sociali e che sostanziali modifiche che avvengono in una parte del pianeta avranno ripercussioni anche in un altro angolo del pianeta stesso in tempi relativamente brevi. In questo modo tendono ad uniformarsi le condizioni economiche, gli stili di vita, le visioni ideologiche, in conformità con il modello occidentale metropolitano, in particolare quello americano. Le vere protagoniste della globalizzazione sono le imprese transnazionali che proprio per il fatto di operare in più paesi contribuiscono in maniera decisiva al processo di omologazione tra le varie popolazioni oltre che influenzare le scelte politiche ed economiche dei vari governi nazionali. Inoltre esse non hanno più alcun radicamento nazionale per cui assumono la forma di “capitali erranti” che vengono impiegati dove risulta più conveniente L’espansione delle imprese transnazionali ha ridotto il ruolo degli stati nazionali e della loro libertà d’azione, oltre che ridurre l’efficacia dei tradizionali strumenti della politica macroeconomica. Gli effetti negativi di questo sistema sono sotto i nostri occhi in questi mesi, con la finanziarizzazione senza regole e senza limiti che ha causato la più grande crisi economica globale del dopoguerra. Con grande difficoltà i vari paesi stanno cercando di porvi rimedio anche perché una delle conseguenze immediate del trionfo della finanza internazionale è proprio la crisi degli stati e dell’istituzione democratica, o meglio, la forma di governare la politica del territorio. Le democrazie, anche le più avanzate come quelle che abbiamo in Europa e che nel tempo giustamente abbiamo imparato a considerare “avanzate”, sono malate di rappresentatività e di riconoscimento da parte della popolazione. La reazione più ovvia ad una situazione del genere è il riemergere dei nazionalismi e dei localismi, che cercano (in maniera sbagliata) di porre rimedio alla sudditanza dal potere economico internazionale privilegiando gli interessi particolari. Siamo in una società nella quale l’individuo tende a guardare al collettivo come ad un ostacolo per la propria libertà di azione, in quanto, come fece notare due secoli or sono Tocqueville, tutto ciò che gli uomini possono fare legandosi gli uni agli altri implica una limitazione della loro libertà di perseguire ciò che ritengono adatto per se stessi e in ogni caso mettersi insieme non aiuta nella ricerca personale; oggi l’individuo è diventato il peggior nemico del cittadino e dell’interesse pubblico. In ogni modo, soprattutto per difendersi dal diffuso senso di insicurezza e disgregazione, gli individui del III millennio mostrano una grande necessità di aggregazione, che possa dare loro un senso di appartenenza e facilitare la fabbricazione di un’identità. In questo modo gli individui puntano anche a crearsi una protezione verso il mondo esterno, di cui temono il processo uniformante. A livello economico e sociale il processo di individualizzazione e di insicurezza di cui sopra ha portato alla crisi del welfare state, così come lo avevamo conosciuto, ovvero come strumento generalizzato di protezione sociale. Il punto riguarda il nuovo modo di pensare delle persone che preferiscono “fare da sé”, premunirsi di fronte ad un futuro incerto con una assicurazione privata piuttosto che con l’assistenza pubblica e questo accade per due motivi: perché sempre più persone si considerano (o vogliono essere considerate) autosufficienti e non bisognose di servizi che ritengono riservati a fasce sociali emarginate, e per la sempre più scadente qualità dei servizi, che non fa altro che aumentare il numero di persone che (pur con enormi sacrifici) si sentono autosufficiente. È in una società siffatta che in Italia si trova a svolgere il proprio ruolo il Sindacato; una società individualista, globalizzata, con stati-nazione relativamente deboli, con un diffuso senso di insicurezza…e soprattutto precarizzata. Oggi per tutto quello che abbiamo trattato sopra questo compito può sembrare addirittura proibitivo, ma fortunatamente la storia del Sindacato ci insegna che niente è impossibile. Il lavoro deve tornare ad essere un fattore identitario unificante e non un aspetto secondario e un diritto di “serie B”. Infatti sempre più spesso il lavoro viene considerato sì fondamentale per il processo produttivo ma a ciò non segue una politica che lo tuteli e lo rispetti. Addirittura nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Carta di Nizza del 2000, il lavoro come diritto non viene salvaguardato come invece sarebbe stato auspicabile. Non a caso Antonio Cantaro considera nella Carta di Nizza il lavoro come un “diritto dimenticato”. In Italia fortunatamente il “diritto al lavoro” è garantito dalla nostra Costituzione e addirittura l’art. 1 della Carta fondamentale recita che “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. È importante sottolineare come il “padre costituente” che più di ogni altro è stato artefice di questa centralità del lavoro è Giuseppe Di Vittorio, all’epoca segretario della ricostituita Cgil. E’ evidente che in una società attraversata da forti pulsioni egoistiche e corporative il ruolo del Sindacato confederale, che difende i principi democratici, è sempre più difficile, soprattutto se contemporaneamente si cerca di delegittimarlo e di diminuire fortemente i diritti dei lavoratori che esso rappresenta.

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Purtroppo è innegabile che le condizioni del mondo del lavoro e dei lavoratori sono profondamente mutati rispetto al 1900, quello che è stato riconosciuto da tutti come il “Secolo del lavoro”, ovvero il secolo in cui, per lo meno nel mondo occidentale, i diritti dei lavoratori e di chi li rappresentava hanno raggiunto un altissimo livello. Con l’abbandono del modello di produzione fordista e l’emergere di nuovi fenomeni figli del mercato, come la delocalizzazione, le basi su cui lavoratori e Sindacato avevano costruito le loro fortune, si sono indebolite. Il modello attuale infatti si basa sulla produzione “just in time”,ovvero sul produrre beni e servizi immediatamente vendibili, per non rischiare inutili e dispendiosi accumuli. Si capisce che questo comporta la “necessità” di avere anche la manodopera strettamente necessaria in quel dato momento, per evitare di doverla retribuire anche quando “non serve”; da qui deriva la “necessità” per le imprese di avere personale flessibile non solo all’interno del proprio turno di lavoro, ma anche contrattualmente, ovvero con la possibilità di poterne fare a meno all’occorrenza. Da qui il proliferare di contratti a termine, part-time, interinali e così via. Utilizzando un significativo paragone di Luciano Gallino, le imprese perseguono l’ideale di utilizzare la forza lavoro pressappoco nel modo in cui utilizzano l’energia elettrica, portando quando serve l’interruttore su “on” oppure su “off”. Dunque un mondo del lavoro precario, frammentato, insicuro, con lavoratori poco qualificati e ovviamente meno retribuiti; il tutto giustificato dalla necessità delle imprese di essere snelle e flessibili per poter reggere la competizione globale. I lavoratori italiani di fine ottocento, i primi nel nostro paese ad organizzarsi per portare avanti le proprie rivendicazioni, dovettero fare i conti con una classe padronale che non si poneva neanche il problema di come affrontare i problemi del “proletariato” e anche quando lo faceva aveva un approccio paternalistico. Passò del tempo prima che il ceto dirigente dell'epoca accettasse di riconoscere l'emergere di una specifica questione operaia (ovvero il processo di trasformazione del proletariato di fabbrica: nella formazione delle nuove condizioni di lavoro e sull'uso sistematico e coordinato delle macchine e sulle modifiche profonde delle condizioni sociali culturali e familiari in cui veniva a trovarsi la nuova forza lavoro), e anche quando lo fece cercò di arginarla utilizzando anche metodi autoritari. Il movimento operaio e l'organizzazione sindacale in Italia non si ponevano soltanto l'obiettivo di migliorare le retribuzioni e le condizioni dei lavoratori, ma anche quello di delimitare e contrastare il potere costituito, sia quello dello Stato sia quello della borghesia economica, di trasformare cioè la natura storica autoritaria del potere di classe così come si era delineato in Italia nel primo ventennio post-unitario La questione operaia non sarebbe emersa in tutta la sua evidenza se prima non ci fosse stata una presa di coscienza dei lavoratori dell'epoca, che fossero essi operai, contadini, precari o disoccupati, di far parte di una stessa classe sociale Le prime forme di organizzazione operaia e dei lavoratori in genere, considerate vere e proprie forme protosindacali e sviluppatesi in Italia già intorno al 1850, furono le “Società di mutuo soccorso”, seguite dalle “Leghe di resistenza”, espressione diretta delle lotte operaie, momento dinamico dell' autorganizzazione di classe, luogo di educazione e di formazione morale e politica del proletariato. La classe padronale reagì utilizzando i mezzi messi a loro disposizione dallo Stato (polizia e tribunali), organizzandosi in associazioni di rappresentanza, ma anche negando ostinatamente legittimità agli organismi rappresentativi dei lavoratori e cercando di evitare ogni possibile mediazione; la sua impostazione rimase per lungo tempo quella impregnata di paternalismo, che prevedeva un rapporto diretto tra il padrone e il singolo lavoratore. Nell'ultimo decennio del XIX secolo, nel pieno di una crisi economica e di una reazione durissima di imprese e governo, per il mondo del lavoro i tempi erano ormai maturi per la nascita delle Camere del Lavoro. Infatti la difficile situazione venutasi a creare con i reazionari governi Crispi, richiedeva l'unificazione politica e sociale del proletariato e l'”istituzionalizzazione” delle rivendicazioni operaie. Le Camere del Lavoro nacquero come istituzioni di intermediazione, di rappresentanza e di mediazione della conflittualità operaia, come organismi pubblici di risoluzione della crisi economica, in particolare della disoccupazione. Esse mantennero per lungo tempo una duplicità istituzionale che le faceva espressione dell'intero proletariato di una località ovvero strumento di disciplina burocratica delle azioni e delle rivendicazioni delle leghe e dei nuclei operai più attivi. Esse riuscirono agli inizi del '900, a favorire con la loro azione la nascita del primo vero governo liberale-riformista, quello Zanardelli-Giolitti del 1901-1903., il primo vero tentativo di affrontare la questione sindacale non con paternalismo e come esclusivo problema di ordine pubblico. Il coronamento di questa fase di riconoscimento del mondo del lavoro avvenne nel 1906 con la costituzione della CGdL, vero e proprio organismo di rappresentanza e di unificazione non solo economico-sindacale ma politica dell'intero mondo del lavoro salariato e dipendente. Tra l'altro la CGdL si caratterizzò subito per la sua impostazione moderata e riformista, evitando sempre azioni eversive e violente, riconoscendo la legittimità degli organi dello stato. Purtroppo invece gran parte della classe padronale accettò a malincuore la legislazione sociale, il riconoscimento del ruolo del Sindacato e i primi contratti collettivi e negli anni che precedettero la grande guerra tornò su posizioni reazionarie, “sabotando” a più riprese la politica giolittiana, svuotandola di contenuti e aprendo la strada alla dittatura fascista.

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Oggi il Sindacato è ben presente e radicato in molti paesi del mondo e nel nostro in particolare, ma in conseguenza dei rapidi cambiamenti sociali ed economici in atto, il rischio per il prossimo futuro è quello di un ridimensionamento, per certi aspetti purtroppo già in atto ed è inutile non riconoscerlo. È innegabile che il problema è principalmente culturale essendosi creata una frattura tra coloro che si considerano tutelati e coloro che non lo sono e anche all'interno degli stessi gruppi, ed è altrettanto indubbio che il Sindacato, essendo composto di persone, non è immune dai cambiamenti nel loro modo di pensare e di agire. Abbiamo individuato in questi due stati d'animo, individualismo e senso di rassegnazione e insicurezza, una delle cause delle nostre difficoltà e con una crisi economica in atto già da alcuni anni (ricordiamo ancora quella durissima degli anni ’90) questi sono enormemente amplificati, con il rischio di una ulteriore chiusura in sé stessi da parte delle persone. La sfida del Sindacato è proprio quella di respingere questo ritorno al passato, cercando invece di riunire il mondo del lavoro; se, come abbiamo visto nel breve excursus storico, ciò è stato possibile prima, con lavoratori tanto diversi l'uno dall'altro, lo può essere anche oggi, anche in presenza di lavoratori altrettanto diversi (lavoratori a tempo indeterminato, part-time, apprendisti, interinali, collaboratori, immigrati,...). Tra l'altro quei lavoratori di fine '800 partivano praticamente da zero, mentre oggi le strutture sindacali sono ben radicate e una certa garanzia legislativa esiste ancora. Anche perché il famoso minimo denominatore che dovrebbe tenerli uniti e solidali esiste ancora ed è sempre lo stesso, cioè quello di essere lavoratori dipendenti (o ex nel caso dei pensionati o di volerlo essere nel caso dei disoccupati), per cui i problemi e le condizioni materiali sono comuni. Quindi il “bacino” da cui attingere per il Sindacato è ancora ampio, si tratta solo di intercettarlo e fidelizzarlo, rafforzando lo spirito di appartenenza e quella militanza che un tempo erano ben radicati, e paradossalmente la gravissima crisi economica in atto può agevolare questo processo di aggregazione e partecipazione. Per tutti questi motivi pensiamo che coloro i quali immaginano (o si augurano) un mondo e un paese senza Sindacato rimarranno enormemente delusi.

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Ricostruzione dell'identità collettiva attraverso un nuovo sistema di relazioni industriali (Michele Agnani) Il fallimento del modello di sviluppo Socialista, la fine dei grandi ideali del 900, hanno rafforzato e radicalizzato il modello Capitalista, non solo dal punto di vista economico ma anche culturale e sociale. La massimizzazione del profitto, teorizzata sin dagli albori della globalizzazione, dietro logiche di finanziarizzazione del sistema economico-produttivo, snatura anche la filosofia del capitalismo industriale basata sulla domanda ed offerta di beni e servizi retta dal patto fra produttori. Essa coniuga una nuova teoria del fare i soldi con i soldi, ritenendo il mercato unico elemento ridistributivo della ricchezza prodotta e regolatore delle dinamiche Sociali. In questo quadro la politica Sociale assume un ruolo del tutto marginale e residuale, in quanto un orpello che non facilità la libera circolazione delle merci e dei capitali. I dogmi del fondamentalismo di mercato sono stati smentiti dai fatti. La dimostrazione della perdita del potere contrattuale e la marginalizzazione del ruolo delle Forze Sociali è confutata dall'elevato tasso di disoccupazione, dall'allargamento della forbice redistributiva, l'aumento della povertà e l'abbattimento dei salari. Il lavoro nel sistema liberale è stato relegato a semplice variabile dipendente delle logiche speculative e finanziarie, rimanendo mai margini della società dei consumi. La spinta della deregulation e della inversione delle priorità o delle preminenze ha fatto sì che nella stesura della carta costituzionale di Nizza si è iniziato a parlare di diritto dei consumatori e di altri diritti allargando la platea dei diritti anche alla nuda vita biologica relegando il lavoro non più fra i diritti sociali ma fra i diritti di libertà. Come afferma Cantaro nel suo libro “Il diritto Dimenticato” se nella società dei diritti a ancora un senso il primo dei diritti sociali “il lavoro” e quindi nell'epoca dei diritti degli utenti, dei consumatori, della nuda vita biologica, che ruolo può avere il lavoro. Ruolo della rappresentanza nella costruzione dell'identità collettiva La società contemporanea, mette in evidenza quello che possiamo definire una crisi identitaria dei soggetti e delle persone e dei soggetti collettivi. L'individualismo creato dal sistema capitalista, è alla base della sconfitta storica della sinistra. Il forte sviluppo dei settori del terziario del post fordismo, ha fatto si che venissero meno quelle condizioni ottimali per creare un'identità collettiva, secondo il concetto marxista di classe. La frammentazione e frantumazione data dal fatto che la maggior parte delle imprese che opera nel campo della distribuzione è di piccola e media dimensione, per non parlare poi del settore dei servizi dove i lavoratori sono dislocati in miriadi di appalti. In uno studio fatto Carrieri e Braga nel 2007 risulto che rispetto al passato le R.S.U. Fossero più propense alle problematiche interne e al salario,dando meno attenzione rispetto all'esterno ed al bene comune. Risultò evidente inoltre la difficoltà nel tutelare e rappresentare i nuovi lavori e la scarsa attenzione all'organizzazione del lavoro e dei processi produttivi. La ricostruzione dell'aspetto identitario attraverso il rafforzamento delle R.S.U. insieme al radicamento territoriale della Cgil è stato uno dei temi centrali dell'ultima conferenza di organizzazione. Rafforzare il suo radicamento territoriale e la sua confederalità, intesa come valore identitario di difesa degli interessi generali del lavoro lo si può fare con un maggior coinvolgimento delle strutture di base e delle camere del lavoro territoriali. Nel punto 5 del documento della nostra conferenza vengono trattati quelli che sono i cardini di una pratica innovativa per estendere la contrattazione, completare l'elezione del R.S.U. estendendola al disotto dei quindici dipendenti. L'estensione della rappresentanza come viene trattata nel documento della conferenza di organizzazione è utile proprio al rafforzamento dell'identità collettiva. La crisi della confederalità all'interno dei posti di lavori è sintomatica dell'identità collettiva smarrita. Per invertire questa tendenza serve, come si dice nel documento, rafforzare il ruolo delle R.S.U. dandole una maggiore valenza confederale e rendendole partecipe delle scelte non solo interne alle aziende ma anche nella costruzione di proposte utili alla contrattazione sociale e territoriale. Attivare pratiche solidaristiche e partecipative, sia alla vita dell'organizzazione che alla vita sociale, sono due aspetti fondamentali per rafforzare quell'identità collettiva che ha reso grande il movimento operaio nel secolo precedente. Contrattazione e relazioni industriali/sindacali Il sistema delle relazioni industriali è un sistema complesso, in quanto costituisce l'insieme dei rapporti che regolano il lavoro subordinato e le dinamiche dell'impresa. Vi sono varie visioni della scienza delle relazioni d'impresa. Alla base del sistema delle relazioni di impresa, fra l'impresa stessa e i lavoratori, vi sono si degli interessi comuni ma sono bene evidenti interessi contrapposti sia economici che comportamentali. Le relazioni industriali si innestano nell'esercizio del potere fra produttori, cioè imprese e lavoratori. Questo tipo di impostazione prettamente industrialista è basata su un tipo di organizzazione fordista del sistema produttivo incentrata sulla standardizzazione dei mezzi di produzione con un'organizzazione del lavoro statica ed alienante.

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Nel sistema industriale, infatti, i soggetti della produzione erano facilmente identificabili in quanto era presente un datore di lavoro e il lavoratore. Nel nuovo modello di sviluppo invece i soggetti del sistema produttivo sono molteplici, in quanto sono intervenuti nel sistema stesso altre figure quale manager, responsabili del personale o lavoratori che producono beni, o servizi, di una determinata azienda, ma che dipendono da aziende terze, come ad esempio negli appalti. Il cambio di paradigma del capitalismo, che da industriale diventa di mercato, ha fatto si che gli attori del sistema fordista, imprenditore e lavoratore, passassero in secondo piano, mettendo al centro due soggetti nuovi: il venditore e il consumatore. Il conflitto come strumento nella gestione del potere contrattuale, che ruolo può giocare nelle relazioni industriali, visto il peso sempre maggiore che viene dato al consumatore-utente nella società contemporanea? Questa è una domanda alla quale siamo costretti a dare una risposta nel prossimo capitolo, dove tratteremo il rapporto tra lavoratori e consumatori nell'economia globale. In un sistema di relazioni industriali assume un ruolo centrale il ruolo della contrattazione della quale andrà allargato il campo e rafforzate le regole. La contrattazione non come fine ma come strumento per migliorare le condizioni economiche salariali e di vita dei lavoratori, sia all'interno dei luoghi di lavoro che nella società. Il passaggio dall'indicizzazione dei salari alla pratica contrattuale, per mantenere il potere di acquisto dei salari, basato sul rinnovo della parte economica ogni due anni prendendo a riferimento come base di calcolo l'inflazione programmata, è sicuramente il punto più importante del protocollo del 1993 rispetto alle regole precedenti. Rispetto alle regole precedenti che lasciavano ampio spazio e autonomia alla contrattazione secondo livello, sia in materia di organizzazione del lavoro sia per quanto riguardava il salario, con l'accordo del '93 ne vengono delimitati gli spazi e i contenuti. L'altro aspetto che si è dimostrato fallimentare, oltre alla tenuta dei salari, è l'obiettivo di ridare competitività all'impresa. La mancanza di competitività delle imprese è stata determinata dal fatto che l'abbattimento del costo del lavoro, causato sia dal modello contrattuale ma soprattutto dalle forme di flessibilità/precarietà, non ha spinto le imprese ad investire in innovazioni tecnologiche bloccandone lo sviluppo. La necessità di riformare il sistema di relazioni è stata posta con interessi contrapposti anche dalle organizzazioni dei datori di lavoro. Nel Luglio del 2008 le organizzazioni sindacali trovarono una quadra presentando la piattaforma per la modifica e il miglioramento dell'accordo del '93, puntando al superamento dell'inflazione programmata e al potenziamento del secondo livello di contrattazione. Il CCNL è per i lavoratori dei nostri settori l'unico strumento per la redistribuzione della ricchezza e anche l'unica fonte normativa. Nella strutturazione dei nostri settori il fattore umano è centrale per l'impresa, sia dal punto di vista dei costi che dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro. Vi è sempre più la necessità di affrontare, attraverso lo strumento della contrattazione, quelle che possono essere pratiche conciliative e funzionali alle esigenze dell'impresa per il servizio che essa deve dare alla propria clientela, con le esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici. Ridiscutere di organizzazione del lavoro significa per il sindacato tornare ad essere nei luoghi di lavoro, sicuramente troveremo un forte muro delle imprese, le quali sono sempre restie a discutere i processi produttivi. Il modello di sviluppo basato sui settori del terziario e del commercio, deve prevedere un sistema di servizi e di assistenza adeguato al modello stesso. Per far ciò diventa importante, non solo la contrattazione aziendale o territoriale di categoria, ma anche la contrattazione sociale con gli enti pubblici, al fine di affrontare il tema della conciliazione dei tempi della città con i tempi del lavoro. L'accordo del 22 Gennaio 2009 va a limitare, inoltre, il diritto di sciopero per quanto riguarda i settori dei trasporti del pubblico impiego. L'estensione dei diritti della carta europea, come afferma Cantaro nel suo libro “Il diritto dimenticato”, fa si che siamo passati dall'età di diritti alla società dei diritti. Lavoratori consumatori nell'economia globale La globalizzazione è il fenomeno che ha contrassegnato e caratterizzato l'ultimo ventennio della storia sociale economica del mondo. creando due fenomeni contrapposti. La creazione di questa cultura è stata possibile grazie soprattutto alla diffusione dei media e dei mezzi di comunicazione,ingenerando nella gente sempre nuove necessita,utili per l'affermazione del modello iper consumista,modificando radicalmente la scale dei valori. Il lavoro non viene visto più come soggetto unificante del tessuto sociale ma viene posto ai margini della società,rendendolo variabile dipendente alle logiche mercatiste. Nel frattempo hanno preso più spazio e acquisito peso altri soggetti e altri valori il mercato e il consumo mettendo al centro la categoria dei consumatori. Un po’ quello che avveniva agli inizi della società industriale dove tutti i soggetti della produzione avevano il diritto dovere di produrre. Quindi era compito della società educare sia i lavoratori che i datori di lavoro a produrre. Tutto questo ha fatto si che sempre più spesso si parlasse dei diritti delle nuove categorie,fra le quali quella dei consumatori assume un ruolo centrale. Anche nella stesura della carta costituzionale Europea viene dato un ruolo ai consumatori,inserendo nella carta di Nizza quelli che sono i diritti dei consumatori,si può parlare quindi di diritto al consumo. Il continuo abbattimento del costo del lavoro rientra nella logica liberale che meno costa il lavoro meno costano i beni e i servizi,più si facilita l'accesso all'acquisto di beni e servizi dei consumatori. Anche l'elevata flessibilità/precarietà è tutta funzionale alle esigenze dei consumatori. Il lavoratore nella visione liberista deve essere funzionale e disponibile ai desideri del consumatore. La nostra carta costituzionale ha a suo fondamento il lavoro come principale dei diritti

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sociali,come recita L'art 1 infatti l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro,impegnando poi la stessa come scritto nel Art.3 “a rimuovere ogni ostacolo ordine economico e sociale, che di fatto limiti la libertà l'uguaglianza dei cittadini e che impediscano il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione dei lavoratori all'organizzazione economica politica e sociale del paese.”La limitazione del diritto di sciopero nei settori del trasporto pubblico,attuata dall'accordo separato,mette in evidenza questo rischio. L'aumento del tasso di disoccupazione la compressione dei salari a favore delle rendite, diminuito la capacità di spesa dei consumatori. In una società dove il consumo ed i servizi sono a fondamento del modello di sviluppo, la costruzione dell'identità collettiva del lavoro dovrà tener conto dei nuovi soggetti avviando una forte discussione dei dogmi del liberismo. La prima pagina del manifesto del 18 aprile 2009,rende proprio l'idea. Il rafforzamento degli strumenti di partecipazione diretta dei lavoratori e delle loro rappresentanze,sono gli strumenti indispensabili,per creare consapevolezza e radicamento culturale nei luoghi di lavoro e nei territori,che faccia crescere l'identità collettiva e la confederalità;utile al rafforzamento della pratica contrattuale,fondamentale del nostro essere sindacato. Il rafforzamento della contrattazione a tutti i suoi livelli,attraverso una maggior partecipazione collettiva,ci può permettere d'instaurare relazioni sindacali, industriali e sociali di pari dignità e non di subalternità al sistema. Nel secondo caso:ridando più potere allo stato ed alla politica,rispetto all'economia,rimettendo al centro il lavoro e la sua dignità,attraverso politiche sociali che mirino a garantire il reddito la crescita culturale,l'assistenza sanitaria.

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Il Ruolo del sindacato nello scenario globale (Alessio Di Labio)

1. L'analisi geopolitica globale.

Consideriamo l'attacco alle Twins Towers come l'evento emblematico di un mutamento dell'intero scenario globale il dato fondamentale che si evidenzia come causa e conseguenza di quella catastrofe è il passaggio dall'unipolarismo occidentale americano ad un polarismo frammentato o multipolarismo. L'unipolarismo Americano è in crisi: potenze mondiali emergenti e potenze regionali, ma anche nuovi attori transnazionali pubblici e privati, organizzazioni internazionali e regionali, che possiedono nuove e asimmetriche forme di potere, caratterizzano e modificano ulteriormente lo scenario mondiale. Gli Stati Uniti mantengono il loro potere politico-militare, sono però in forte competizione con i nuovi attori in ambito industriale, finanziario, sociale e culturale. Nasce una polarità plurima e frammentata, contemporaneamente e conseguentemente all'espandersi della globalizzazione in nome del libero commercio e del libero mercato, dove ogni entità nazionale, continentale o trasversale tenta di giocare al meglio il suo ruolo. L'Europa tenta di unire le proprie forze, Cina, India e la nuova Russia emergono e si fanno largo nei tavoli dei potenti. La Cina attira su di se gli investitori grazie ad una regolamentazione debole e ad un costo vantaggioso del mercato del lavoro, l'India cresce nel settore tecnologico ed informatico, il sud America approfitta della situazione e dichiara apertamente la sua indipendenza in politica estera dagli statunitensi, l'Europa mostra la capacità di sviluppare un proprio assetto strategico. Sono le politiche energetiche e sopratutto l'indipendenza energetica, a muovere le iniziative dei vari stati, e ad essere determinanti nell'assetto geopolitico mondiale, inoltre un ruolo fondamentale lo giocherà nei prossimi anni l'evolversi della spartizione e del controllo dei territori africani che possiedono quantità innumerevoli di ogni tipo di materia prima.

2. La crisi economica.

Negli ultimi mesi è stata letteralmente distrutta moneta, in quantità che al momento è ancora difficile definire. La causa è un collasso del settore privato che ha avuto il suo epicentro, volendo usare un termine che ne esalti la distruttività, negli Stati Uniti. In una fase di crescita il mercato crea la sua moneta, mentre in una fase di crisi il mercato distrugge moneta perché crolla la fiducia nella capacità di rispettare gli impegni di pagamento e si rompe l’equivalenza tra debito e moneta: i titoli finanziari perdono il loro valore monetario, il debito rimane mentre la moneta “sparisce” e si creano così gli asset tossici. E' evidente che le responsabilità di un fenomeno di così larga portata non può che essere attribuito a più parti, e che se pur opportuno colpire chi ha approfittato delle scarse regole per speculare nei mercati finanziari, è altrettanto opportuno sottolineare le responsabilità di chi le regole le ha volute togliere. La deregolamentazione è partita in primo luogo nelle leggi Usa: la legge Gramm-Leach-Bliley del 1999, aboliva la legge Glass-Steagall del ‘33 e permetteva da capo ogni sorta di attività speculative tanto alle banche commerciali che alle banche di investimento, un anno dopo Gramm colpiva ancora, riuscì all’ultimo momento a introdurre un emendamento di 262 pagine denominato Commodity Futures Modernization Act che sottraeva quasi per intero i prodotti finanziari derivati alla regolazione ed alla sorveglianza sia della Commissione Titoli e Borsa (la famosa Sec), sia della meno nota Commissione per il Commercio dei Titoli Future. Ne deduciamo che l'odierno impegno di qualsiasi governo nel trovare i colpevoli dovrà, se vuole riconquistare credibilità, essere seguito da una decisa azione di nuova regolamentazione dei mercati e dovrà riconsiderare il ruolo e l'efficacia del mercato libero negli equilibri economici del globo. Questo è stato l'argomento principale dell'ultimo G20 di Londra, che purtroppo non ha visto il tavolo dei Grandi prendere decisioni importanti.

3. L'oligarchia internazionale

Osando dire che forse è ormai il mercato stesso a controllare l'uomo, e che l'unica preoccupazione sia risolvere la crisi per ricominciare a regnare, la salvaguardia dei capitali privati non permette neanche di intraprendere l'unico percorso che secondo noi aiuterebbe l'economia a ripartire: redistribuzione della ricchezza e conseguente aumento dei salari farebbero riprendere il mercato reale e ridarebbero fiducia alle aspettative di pagamento che hanno paralizzato i mercati finanziari. Fin dai primi anni novanta la tendenza è stata invece quella di livellare i salari su scala mondiale creando un dumping sociale che ha avuto la sua ridondanza in Europa. In qualsiasi parte del mondo si verificano proteste, scioperi e manifestazioni di dissenso che hanno nella globalizzazione, nelle multinazionali e nei fondi mondiali individuato il nemico principale per difendere e recriminare i propri diritti. Queste attività costituiscono senza dubbio delle risposte a situazioni locali, ma le situazioni locali sono esse stesse in parte prodotti di forze globali. Le classi più deboli e i lavoratori, quindi le nazioni che perseveriamo a definire in via di sviluppo, ma che in realtà sono a sviluppo bloccato dagli interessi internazionali, non hanno una vera rappresentanza nei palazzi di governo e nei tavoli dove si dovrebbe fare un nuovo patto sociale, nelle

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discussioni tra i poteri internazionali i diritti umani non sono inseriti nell'ordine del giorno, questo non perché la comunità internazionale non lo percepisca come un problema ma perché nelle sedi dovute sono rappresentati unicamente gli interessi economici. I poteri statali devono riappropriarsi delle loro caratteristiche di regolatori dei mercati a favore degli interessi pubblici e non privati, e ancora di più lo devono fare i grandi garanti come il Fondo Monetario, la Banca Mondiale o Il WTO che negli ultimi anni sembrano invece abusare del loro potere per mano delle lobby private, invece dovrebbero essere uno strumento per rendere il mercato economico più democratico e più attento ai bisogni dei soggetti più deboli. L'unica mission, allo stato attuale, è quella dell'opposizione alle oligarchie, condizione naturale che da sempre occupa chi sta in basso nella gerarchia sociale, e i fallimenti che, come forze di rappresentanza sociale, abbiamo subito o quelli che subiremo non possono e non devono fermare il tentativo di riaprire un confronto sull'evoluzione dei diritti e di riaccendere il conflitto sociale.

4. Europa il diritto incompleto

La Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea dà voce e rappresentazione simbolica al progetto di fare della società europea il luogo nel quale qualsiasi bisogno, aspettativa, desiderio e interesse possono, e devono, assurgere al rango di pretesa, più o meno intensamente, tutelata dall'ordinamento. I vari e diversi diritti sono raggruppati in sei capitoli: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. Nel 2007 la Carta è stata inserita nel Trattato di Lisbona e se questo venisse definitivamente approvato, i principi contenuti diventerebbero vincolanti per gli Stati membri. Ci sono però almeno due criticità da sottolineare. 1. La Costituzione Europea, respinta nel 2005 nei referendum di Francia e Paesi Bassi, aveva lo scopo di sancire la sovranità dell'Europa in quanto stato confederale. Dopo due anni di riflessione il Consiglio Europeo ha dato mandato ad una Conferenza Intergovernativa (CIG) di redigere un trattato che acceleri il processo di unificazione senza passare per il parere dei cittadini comunitari. La maggior parte dei parlamenti nazionali degli stati membri hanno approvato il Trattato; non l'Irlanda, dove la costituzione nazionale prevede l'obbligo di referendum, e nel 2007, come i francesi e gli olandesi, gli irlandesi hanno detto NO. Ma non può finire così, nel 2009 Dublino chiamerà nuovamente la nazione alle urne. Se tutto questo percorso arriverà a compimento nascerà ufficialmente l'Unione Europea, si fonderà su due trattati: il Trattato UE modificato e il Trattato sul funzionamento dell'Unione (già Trattato CE, modificato) che avrà lo stesso valore giuridico. Il termine Comunità sarà sostituito ovunque dal termine Unione. A questo punto diremo che la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea verrà riconosciuta con metodi di partecipazione democratica molto discutibili. 2. Nella Carta dei Diritti è stato dimenticato il diritto al lavoro: il più celebre dei diritti sociali fondamentali, il diritto sociale per eccellenza della storia europea. L'articolo 15: Libertà professionale e diritto di lavorare. Tale articolo è stato inserito nel capitolo delle Libertà. Da una prima lettura è evidente infatti che il lavoro non è assolutamente un diritto, il diritto al lavoro appunto, ma una libertà, il nuovo cittadino europeo è infatti libero di cercare, scegliere, prestare, esercitare una professione o un lavoro. La grave mancanza è evidente nelle responsabilità che dovrebbe avere lo Stato. Il lavoro infatti, in questo principio, non è un diritto positivo ma una libertà negativa, ossia i pubblici poteri non hanno alcuna responsabilità di creare le condizioni per assicurare ad ogni persona lo svolgimento di un'attività lavorativa che le permetta di vivere una vita dignitosa. Il diritto al lavoro, che sanciva un dovere preciso dello Stato, principio fondamentale della costituzione italiana, ha reso il sindacato parte fondamentale del patto tra le parti sociali. Se pur vero quindi che il diritto del lavoro così come viene enunciato da un lato limita di fatto i poteri sindacali, la Carta dei Diritti Fondamentali apre dall'altra parte la possibilità di avviare un percorso di riconoscimento di molti altri diritti e libertà che per la prima volta vengono costituzionalmente affrontati, e che potrebbero arricchire il diritto del lavoro stesso.

5. Italia: una battaglia da non perdere.

La Costituzione Italiana venne approvata dall'assemblea costituente il 22 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1° gennaio del 1948. Il discorso che Di Vittorio fece all'assemblea costituente, per argomentare le sue posizioni, fu attorno al conflitto sociale e al diritto di associazione. Secondo lui il cittadino lavoratore ed il cittadino capitalista non si trovano affatto in condizione di uguaglianza. Il cittadino capitalista, basandosi sulla propria potenza economica, può lottare e prevalere anche da solo, in determinate competizioni di carattere economico. Il cittadino lavoratore, invece, da solo, non può nemmeno ragionevolmente pensare di partecipare a determinate competizioni. Il sindacato quindi risulta essere lo strumento più valido, per i lavoratori, per l'affermazione del diritto alla vita e del diritto al lavoro. L'Italia del dopo guerra era una “repubblica fondata sul lavoro” dove ognuno avrebbe svolto al meglio il proprio ruolo, per concertare il percorso migliore verso il superamento delle disuguaglianze sociali. Per

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lunghi anni, anche se la costituzione non ha mai trovato completa applicazione, le istituzioni, i partiti, i sindacati dei lavoratori e le associazioni datoriali hanno collaborato, il sistema costituzionale reggeva. La prima vera crisi del sistema istituzionale italiano arrivò con il delitto Moro, da quella fase in poi l'esecutivo non funzionò, ne derivò il collasso dei maggiori partiti italiani, la fine del rapporto cittadino – partito che dava al parlamento il mandato di governare. Il sistema dei partiti dagli anni novanta in poi non è più riuscito a recuperare quel rapporto. In questo contesto è maturata la decisione di cambiare le regole del gioco, di mettere in discussione il rapporto cittadino – partito e il sistema di rappresentanza, di cambiare la Costituzione. L'obiettivo è quello del bipolarismo o presidenzialismo, nella speranza di ridare stabilità al parlamento e al paese. Contemporaneamente le forze liberali sfruttano il contesto per perseguire il proprio fine e per fare gli interessi della classe imprenditoriale; sanno che nel momento in cui si predisporrà l'organo che dovrà aprire il confronto per la modifica della Costituzione, le parti che al suo interno saranno rappresentate saranno determinanti per il futuro degli equilibri del sistema istituzionale italiano, e a quanto pare la CGIL non è parte gradita. Se si decidesse quindi di avviare un percorso di modifica della Costituzione, la parola lavoro e tutte le sue declinazioni che nell'articolazione trovano esplicitazione, non potrebbero essere messe in discussione fino a che qualcuno non sia in grado di riformulare un principio che sia condiviso, comprensivo delle esigenze reali della società e allo stesso tempo esigibile. Una parola che dia allo Stato il ruolo di armonizzatore degli interessi legittimi dei cittadini e dei differenti strati sociali, in cui essi, anche se inconsapevolmente, sono raggruppati con quelli generali della collettività. La CGIL difenderà l'articolo 1 e tutte le sue declinazioni.

6. La rete sindacale: prospettiva organizzativa necessaria.

Sul Lavoro si può avviare un percorso che dia rappresentatività al mondo intero: il diritto di un lavoratore è il diritto di un individuo, è il diritto di una famiglia, è il diritto di una comunità, è il diritto di un migrante. Il lavoro è l'energia che da sempre ha mosso l'umanità, il Lavoro deve essere posto al centro del dibattito internazionale. Dall'analisi fatta in questo breve testo ci rendiamo conto che la globalizzazione ha creato un mastodontico intreccio di interessi e di poteri che competono sui vari territori del globo; mercato, energie, borsa sono i temi che principalmente vengono affrontati dalla rete internazionale, al sindacato spetta il dovere di portare il Lavoro allo stesso livello di importanza degli altri temi. L'operato del sindacato perciò deve essere organizzato in modo tale che possa far fronte a tutti i livelli che lo coinvolgono da quello locale a quello nazionale, da quello continentale a quello mondiale. La tutela dei lavoratori oggi deve ripartire dai territori, dal rapporto diretto con i luoghi di lavoro. Nella recente assemblea della Camere del Lavoro il tema è stato proprio questo, la capacità della CGIL di essere capace di fronteggiare i sintomi e le complicanze della crisi passano per il reinsediamento, le Camere del lavoro presenti nei vari territori possono rispondere alle esigenze particolari. Allo stesso tempo è necessario riconciliare i rapporti con gli altri sindacati maggiormente rappresentativi, Cgil, Cisl e Uil insieme rappresentano più di undici milioni di iscritti e devono creare una unica identità. Il conflitto non può e non deve assolutamente essere tra sindacati, tra lavoratori con posizioni diverse, il pluralismo deve essere la forza del sindacato. Abbiamo anche visto però che le cause prime del peggioramento della situazione occupazionale e della qualità del lavoro sono riconducibili a macro meccanismi globali, che come assurda conseguenza creano una frammentazione localizzata poco utile alla causa. E' importante ricreare sulla base del conflitto una unica identità trasversale tra i lavoratori dell'intero scenario globale, il sindacato si deve globalizzare. La nascita nel 2006 del sindacato internazionale è stato un passo importante in questa direzione; però la Confederazione Sindacale Internazionale al momento sembra non poter rispondere concretamente alle esigenze, il suo ruolo è soprattutto di denuncia delle criticità e di indirizzo per i vari sindacati, ruolo comunque necessario e fondamentale. Sicuramente più determinante è il ruolo del CES, il sindacato europeo. Se pur, come abbiamo visto, L'Europa non attribuisce il dovuto valore al lavoro limitandone quindi i poteri, il CES ha un ruolo decisamente attivo. Molti risultati sono stati ottenuti come le direttive sui congedi parentali o sul tempo parziale ed ha svolto un ruolo fondamentale nel respingere la direttiva Bolkestein. Anche questo però deve fare molti passi per essere definito un vero e proprio sindacato, la sua funzione è infatti troppo limitata al ruolo di armonizzatore dei vari sindacati nazionali, e non è esigibile a livello Europeo un patto sociale con i poteri datoriali, gli stessi organismi europei hanno il solo dovere di consultarlo e le sue istanze non sono esigibili. Sia l'esperienza sindacale internazionale che quella europea possono essere intese come il tentativo di unificare la forza lavoratrice. Se infatti il movimento sindacale ha il suo primo scopo di essere rappresentante dei lavoratori, in un'ottica globale, creare una rete sindacale è fondamentale per poter far fronte alle cause del conflitto tra le parti e non solo alle conseguenze; è infatti palese che il sindacato non può a livello nazionale far fronte alle cause prime del conflitto sociale.

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I Sindacati nell’ economia globale (Simona Fanzecco) Il ruolo principale del sindacato europeo è quello di creare un’ Europa realmente unita, sia a livello economico, sia a livello politico che sociale e dei popoli. Questo obiettivo è molto ambizioso, perché l’ Europa per poter essere realmente unita ha bisogno di un sindacato più forte e diversamente rappresentativo. L’ indebolimento del sindacato in quasi tutti i paesi, dovuto a una diminuzione delle adesioni dei lavoratori attivi ha scaturito seri problemi di rappresentanza del mondo del lavoro e del sociale. Anche se su questo tema si potrebbero fare diverse analisi, in primo luogo la diminuzione della sindacalizzazione è dovuto sia al troppo veloce cambiamento del mercato del lavoro, inserendo forme sempre più precarie e flessibili, sia all’ incremento del tasso di disoccupazione. I contesti nazionali, influiscono negativamente sullo scenario europeo, poiché privi di coordinamento. Non sono ancora presenti norme di tutela che costituiscano realmente un’ Europa sociale e solidale dei popoli. L’europa vive ancora forti nazionalismi che tendono a prevaricare l’ uno sull’ altro, mentre l’obiettivo deve essere quello di cercare la collaborazione di tutti i pesi al fine di La Ces ( Confederazione europea Sindacati) nata nel 1973, rappresenta attraverso l’ affiliazione i sindacati confederali europei. Il suo obiettivo è quello di attivare una dialogo sociale tra le parti sociali, per creare un’ europa fondata sulla pace e sulla stabilità, nel quale i lavoratori e le famiglie possano godere pienamente dei diritti umani, civili sociali e dell’ occupazione. Il modello sociale chiesto dalla CES è quello sostenibile, cioè si devono combinare insieme la crescita economica con condizioni di lavoro e di vita sempre migliori, che non permettano al mercato di competere sulla base della riduzione dei diritti e dell’ abbattimento del costo del lavoro, ma che il mercato sia concentrato sulla ricerca, innovazione e formazione per una competizione di qualità e un’ europa che abbia alla base una giusta protezione e un’ inclusione sociale e dove le decisioni siano assunte in modo aperto e democratico. Oltre al dialogo sociale, in europa si deve sviluppare il dialogo tra le federazioni sindacali di categorie e le rispettive controparti di settore. Il dialogo deve avere come tema sia aspetti normativi che economici. Infatti, i temi normativi devono includere l’ occupazione, la compettitività, l’ impatto sociale che le aziende intendono sviluppare. Mentre è necessario per quanto riguarda gli aspetti economici creare un minimo di trattamento per non svilupparsi un dumping delle aziende che decidono di allocarsi in un paese o nell’ altro a seconda dell’ incidenza del costo del lavoro. Il confronto negoziale deve servire per creare parità di trattamento dei lavoratori in europa soprattutto all’ interno di aziende multinazionali che hanno come unico scopo, quello economico-commerciale. Le relazioni sindacali date dal confronto con le multinazionali, devono puntare sempre di più al giusto riconoscimento del ruolo negoziali dei CAE ( Comitati Aziendali Europei), che non devono solo essere informati e consultati come prevede la Direttiva dell’ Unione Europea 94/95, ma il loro ruolo deve essere rafforzato, prevedendo intanto, l’ esigibilità dell’ informazione sia nel metodo che nei contenuti e un ruolo più incisivo sulle decisioni assunte dalle imprese, per meglio tutelare i lavoratori di tutti i paesi dell’ unione dove l’ azienda è presente. Inoltre, i Cae andrebbero estesi anche nelle aziende con meno di 1000 lavoratori, perché questa norma limita la contrattazione nelle aziende dove il numero dei dipendenti è inferiore. La norma che istituisce i Cae presenta dei limiti, perché molte volte chi esercita il ruolo all’ interno dei Comitati è privo di conoscenze di contrattazione e di negoziazione, pertanto all’ interno dei Cae dovrebbero essere presenti le organizzazioni sindacali e le stesse norme dovrebbero prevedere una formazione attenta allo scambio di informazione e al creare sinergie tra le esperienze dei lavoratori dei pesi membri dell’ europa e un coordinamento con i sindacati nazionali di categorie e quelli a livello europeo. La tesi si concentra principalmente, sulla necessità di cambiare le forme di rappresentanza, adattandole rispetto al cambiamento del mercato del lavoro rispetto al cambiamento delle professionalità e delle tipologie d’ impiego, in sintesi rispetto al lavoro, perché è questo che con la modernità con la globalizzazione è cambiato. Il vecchio ordine Keynesiano-Fordista si è trasformato, e la difficoltà del sindacato, è stata quella di prendere il cambiamento e adattare le proprie politiche sindacali. Il nuovo scenario globale ha generato un diffondersi delle differenze sociali, politiche, culturali ecc. Il sindacato per essere attuale e utilizzare strumentalmente il cambiamento deve adattarsi a rappresentare il “diverso” le disuguaglianze, in un mercato del lavoro non omogeneo, le esigenze legate alla flessibilità e alla precarietà, dove le politiche siano improntate al giusto riconoscimento delle pari opportunità di genere. Lo deve fare per rafforzare il sindacato in un contesto globale, dove tutti si sentano rappresentati e dove il ruolo viene esercitato e riconosciuto dalle istituzioni e dalle imprese. La crisi del modello di rappresentanza va superata, creando un nuovo modello sociale, che deve essere il nuovo modello di sviluppo dell’ europa. La rappresentanza con il modello non si compensano vicendevolmente ma sono legate, infatti un forte ruolo di rappresentanza genera una forza del sindacato più incisiva nelle decisioni dell’ europa attraverso le istituzioni, che devono necessariamente divenire più democratiche, per costruire un’ europa con principi costituzionali che le diano pieni poteri giuridici, per costruire l’ identità del popolo europeo.

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Progetto di alta formazione per quadri e dirigenti sindacali

MASTER � DIRITTI � RAPPRESENTANZA � TUTELE

2 sessione: La contrattazione

ABSTRACT DI:

Alessandra Pelliccia

Giuseppe Metitiero

Roberto Rossi

Loredana Sasia

Cristian Sesena

Adriano Montorsi

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2 sessione - La contrattazione

L’identità del lavoro nell’esperienza sindacale italiana. L’evoluzione del sistema contrattuale tra conflitto e concertazione (Alessandra Pelliccia) Il declino degli attori collettivi, l’instabilità del contesto politico ed economico del nostro Paese, l’affermarsi di processi di “individualizzazione” e, contemporaneamente, l’estendersi dei mercati globali, tutti questi fattori hanno contribuito, nel corso degli ultimi decenni, a rimettere in discussione più volte il concetto di identità del lavoro, che, proprio per questo, ha rappresentato e rappresenta tuttora, qualcosa di mutevole, di difficile definizione. Obiettivo dell’analisi è proprio tentare di “ricostruire” l’identità del lavoro, muovendo da una lettura essenzialmente storica del sistema delle relazioni industriali nell’esperienza sindacale italiana e, in particolare, dei cambiamenti intervenuti nel sistema contrattuale, per arrivare a proporre un’analisi critica delle ultime “evoluzioni” (involuzioni?!) in materia. La storia del diritto del lavoro, in particolare del diritto del lavoro italiano, si identifica con quella delle sue fonti, il cui contenuto non deriva soltanto dalla volontà politica sovrana del Legislatore, ma anche dalla volontà politica dei soggetti dell’autonomia collettiva e da quella che potremmo definire la “funzione creativa” della giurisprudenza. Il movimento sindacale – attore collettivo rappresentante interessi collettivi “di parte”, quelli del lavoratori – sin dalle sue origini e al di là delle diverse ideologie che lo hanno ispirato, ha avuto tra i suoi fini primari quello di ottenere minimi di tutela economica e normativa, delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori. Queste finalità furono perseguite dalle associazioni sindacali mediante un’azione economica (contrattazione con la controparte) e un’azione politica (concertazione). Il sindacalismo italiano ha da sempre mirato al raggiungimento di obiettivi ampi, che includono riforme sia economiche che sociali sui temi del welfare e che vengono perseguite attraverso la contrattazione collettiva e l’azione politica (sindacalismo competitivo). All’azione politica del sindacato italiano nei confronti delle parti datoriali e al suo rapporto con il sistema politico fa riscontro l’intervento dei pubblici poteri nella veste contemporanea di datore di lavoro, compositore di conflitti collettivi e Legislatore, nell’ambito di quello che viene definito il sistema delle relazioni industriali. Il sistema di relazioni industriali può essere dunque definito come un “sottoinsieme del sistema sociale” e indica, appunto, l’insieme delle interrelazioni tra prestatori di lavoro organizzati (organizzazioni sindacali), mondo imprenditoriale e organi pubblici. Il risultato della interrelazione tra questi soggetti è un sistema di norme dirette a regolare il processo produttivo ed è proprio in quest’ambito, tanto mutevole quanto complesso, che, storicamente, si è sviluppato il confronto sulle regole della contrattazione. La contrattazione collettiva costituisce il metodo principale di composizione del conflitto e l’attività attraverso la quale il sindacato tutela gli interessi dei soggetti che rappresenta, rappresenta inoltre quell’ampio processo attraverso il quale i sindacati dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro (o questi ultimi direttamente), ricorrendo ai mezzi di pressione di cui dispongono – sciopero/capacità di resistenza – definiscono congiuntamente la regolamentazione dei rapporti, individuali e collettivi, di lavoro. L’analisi dell’evoluzione storica della struttura della contrattazione collettiva italiana evidenzia gli elementi che hanno influenzato (e influenzano!) maggiormente la sua configurazione (struttura del sistema produttivo, organizzazioni di rappresentanza delle imprese, situazione del mercato e andamento del ciclo economico). L’ormai lungo periodo che ci separa dal regime fascista e dalla fine della seconda guerra mondiale può essere letto osservando la continua oscillazione del sistema contrattuale tra centralizzazione e decentramento. In questo quadro, il più alto – e più duraturo – punto di mediazione raggiunto nella definizione del sistema delle regole della contrattazione è senza dubbio rappresentato dal “Protocollo sulla politica dei redditi e dell'occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo”, sottoscritto da Governo e parti sociali il 23 luglio 1993. L’intervento di regolazione centralizzata delle relazioni industriali che il Protocollo si proponeva di realizzare, tuttavia, ha avuto efficacia diseguale, a seconda dei contenuti. È questo un giudizio largamente condiviso e appare consolidato a più di 15 anni dalla firma dell’accordo. Gli eventi successivi alla sua applicazione, dimostrano, ad esempio, il contributo decisivo fornito al contenimento della pressione salariale e alla stabilizzazione economica degli anni ’90 e al rilancio occupazionale. Non altrettanto si può dire sul versante specifico della regolazione giuridica. I contenuti dell’accordo, infatti, spaziando sull’intero arco della politica economica e del lavoro, delineano un ambizioso progetto di istituzionalizzazione dell’intero assetto delle relazioni industriali, progetto, che però, a distanza di anni, si è rivelato inattuato proprio su alcuni elementi chiave del sistema, evidenziati, peraltro, a partire già dal 1998, dalla Commissione Giugni, che aveva il compito di valutarne l’efficacia.

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Il rapporto tra i diversi livelli della contrattazione, ad esempio, ha cominciato a dare segni di cedimento non appena il contesto economico e politico è mutato e a poco sono valsi, com’è noto, i tentativi di ridefinirlo negli anni successivi. Su temi come la rappresentatività sindacale, le forme di rappresentanza nelle aziende e l’efficacia generale dei contratti collettivi, inoltre si può affermare che questo sistema di regole abbia funzionato come più come fattore di orientamento, che come norma giuridica vera e propria. Proprio la consapevolezza dei limiti riscontrati nell’applicazione pratica dei contenuti del Protocollo ha rappresentato, negli ultimi anni, la base per una riflessione sulla sua riforma. Il negoziato sulla riforma contrattuale ha formalmente origine dalla vertenza avviata dalle Organizzazioni Sindacali confederali Cgil, CISL e UIL nel novembre 2007, con la presentazione del documento intitolato “Per valorizzare il lavoro e far crescere il Paese”. Le misure proposte comprendevano provvedimenti in materia fiscale, tariffaria e sui prezzi, da affiancare ad un profondo quanto necessario processo di revisione degli assetti contrattuali nel settore privato e in quello pubblico. Il progetto di riforma del sistema contrattuale vero e proprio prende forma, concretamente, a maggio 2008, con la presentazione della piattaforma unitaria di Cgil CISL e UIL. Il documento unitario si fonda su una consapevolezza: nei 15 anni di applicazione del Protocollo del ’93, pur considerando la crescita variabile dei diversi settori, le retribuzioni sono cresciute in maniera meno che proporzionale rispetto alla produttività delle imprese. Su questo hanno inciso le politiche negoziali di moderazione salariale, da una parte (in particolare la mancata utilizzazione nei CCNL della produttività media di settore, salvo alcune limitate eccezioni), e la mancata diffusione della contrattazione di secondo livello, in particolare di quella territoriale, rimasta molto limitata, che non ha consentito di “correggere il tiro”. Due dunque gli obiettivi che la Piattaforma di rinnovo del sistema contrattuale intende assegnare al CCNL: il recupero del potere d’acquisto, almeno proporzionato all’inflazione reale, e una funzione di redistribuzione della produttività di settore. A questo, si affianca un’attenzione particolare alla necessità di favorire l’estensione effettiva della contrattazione decentrata, con particolare riferimento alla necessità di diffondere quella territoriale. Le Organizzazioni Sindacali inoltre, pur confermando il ruolo del contratto nazionale come “centro regolatore” delle competenze del contratto di secondo livello, qualificavano i due livelli come tra loro complementari. Ne scaturiva un modello di sistema negoziale che potremmo definire sostanzialmente “bipolare”. Dopo le pre-intese separate tra Cisl, Uil e alcune associazioni datoriali nel settore privato, in un clima reso sempre più difficile dalla firma separata di alcuni contratti di categoria (CCNL TDS 18 luglio 2008) e di comparto (Funzione Pubblica), il 22 gennaio 2009 si è giunti alla stipulazione dell’accordo quadro separato sulla “riforma degli assetti contrattuali”, che definisce in via sperimentale i principi base del nuovo modello contrattuale, comune al settore pubblico e privato. L’accordo, siglato per la parte sindacale dalle sole Cisl, Uil e Ugl, con l’esclusione dunque della Cgil, ha determinato la mobilitazione di una consistente parte del mondo del lavoro italiano, che il 4 aprile scorso ha portato in piazza, a Roma, circa 2 milioni e 700 mila lavoratori, lavoratrici, pensionate e pensionati alla manifestazione organizzata appunto dalla Cgil intitolata “futuro sì, indietro no” Questa mobilitazione non ha interrotto tuttavia il percorso avviato nei mesi precedenti: il 15 aprile scorso infatti le parti firmatarie dell’accordo separato hanno sottoscritto gli allegati all’accordo quadro. Ma perché la mobilitazione? Quali i contenuti discussi? Quali gli obiettivi raggiunti e quali quelli mancati? Se si considera il modello di struttura contrattuale che emerge dall’accordo, si può affermare che è stata formalmente confermata la funzione normativa del contratto nazionale di categoria, anche se, come detto, questa risulta indebolita dall’assenza di un coordinamento nazionale della contrattazione in deroga. Confermata è anche la funzione del contratto nazionale – insieme a quello interconfederale – nella regolazione del sistema di relazioni industriali a livello nazionale e decentrato, anche se non può essere sottovalutata l’insidia rappresentata dal rischio di una destrutturazione del sistema stesso, legato alla concorrenza (sleale?) della legge nella determinazione delle competenze delegate al secondo livello contrattuale. In materia di retribuzione, non si può poi affermare con convinzione che il ruolo del contratto nazionale sia stato rafforzato. Sotto il profilo della tutela del potere d’acquisto delle retribuzioni, sono attualmente evidenti nel testo delle contraddizioni, ma, per una valutazione più puntuale, sarà indispensabile attendere che siano definite le modalità applicative, la base di calcolo retributiva, ecc. Il ruolo del primo livello di contrattazione in materia di produttività, che pure era una delle previsioni più interessanti della Piattaforma, anche se formalmente riconosciuto, appare ancora incerto, nebuloso e poco rilevante, se non potenzialmente negativo per lo svolgimento della contrattazione decentrata, a causa dell’effetto “boomerang” connesso alla presunta necessità di contenere l’entità degli “elementi economici di garanzia”.

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Quanto alla diffusione ed al ruolo del secondo livello di contrattazione, nonostante gli incentivi all’estensione dello stesso (elemento di garanzia, riduzione di tre anni della durata dei contratti, clausole di uscita, previsioni dirette a favorire la contrattazione di premi di risultato..), è da sottolineare l’assoluta assenza di un impegno formale, di un vincolo esplicito, della parte datoriale a praticare la contrattazione decentrata, soprattutto in ambito territoriale, impegno che solo – forse – avrebbe controbilanciato almeno parzialmente l’indebolimento del ruolo del CCNL rendendo davvero esigibile il secondo livello di contrattazione. Alla luce di queste valutazioni, possiamo concludere che il punto di equilibrio – se di equilibrio si può parlare.. – raggiunto nel negoziato tra le posizioni delle parti, che emerge dall’accordo quadro, è piuttosto confuso, precario. In mancanza di una scelta chiara sul criterio di distribuzione delle competenze, il modello contrattuale oscilla in maniera preoccupante e scoordinata, tra decentramento e accentramento e non si colloca, come il precedente Protocollo del ’93, nel quadro della concertazione della politica dei redditi. L’assenza della concertazione riporta integralmente la materia degli assetti contrattuali nell’area dell’autonomia collettiva e, quindi, del conflitto. Questo, che in linea teorica potrebbe non essere un problema perché attraverso il conflitto emerge il compromesso sul quale può convergere il consenso, rappresenta in realtà un enorme nodo da sciogliere, in un paese come l’Italia dove l’assenza di una legge sulla rappresentanza crea non poche difficoltà di interpretazione e applicazione di un accordo “separato”, dunque fragile, come quello sottoscritto separatamente da Governo, Confindustria, Cisl, Uil e Ugl, che rischia di non causare altro se non l’indebolimento di tutte le Organizzazioni Sindacali, della contrattazione collettiva, delle relazioni industriali nel loro complesso e, più in generale, della tutela del lavoro.

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La centralità del Contratto Collettivo Nazionale (Giuseppe Metitiero)

Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro rappresenta, ed ha sempre rappresentato per noi della CGIL, l’elemento fondamentale di tutela dei diritti dei lavoratori ed uno strumento giuridico che si pone in una posizione di preminenza nel novero delle fonti del Diritto del Lavoro. Infatti, il CCNL, oltre a rappresentare lo strumento essenziale di difesa dei diritti dei lavoratori, ha implicitamente in sé tutte le problematiche e le criticità di cui in CGIL si discute a partire dalla Conferenza di Organizzazione. Visto in modo critico, il Contratto Collettivo è lo specchio del nostro sentire, del nostro essere CGIL ma anche delle discussioni per un nuovo modello di essere organizzazione sindacale non privo di punti oscuri. Infatti, nel CCNL è ravvisabile lo spirito solidaristico ed egalitario che ha sempre contraddistinto la nostra attività: è uno strumento che unisce, che equipara le condizioni di migliaia di lavoratori differenti per condizioni personali ed ambito territoriale. Tuttavia, è anche lo strumento che ha introdotto nuove categorie contrattuali come quelle del Welfare contrattuale e della bilateralità: è probabilmente su questo terreno che sarà messo alla prova il nostro essere sindacato e la nostra capacità di orientare questi nuovi strumenti al bene primario dei lavoratori. Il tentativo di destrutturazione del Contratto Collettivo ad opera dell’Accordo separato sugli assetti contrattuali può essere visto nella logica su esposta: e cioè, una mal celata volontà di mutare alla radice gli obiettivi primari di un’Organizzazione Sindacale, l’essere, quindi, un sindacato di tutela individuale e non più collettiva, un sindacato che si ispiri all’obbligatorietà del modello concertativo e ad un carattere residuo di quello conflittuale.

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Contrattazione di secondo livello (Roberto Rossi)

Questa tesi prende in considerazione i tratti della contrattazione di secondo livello, in termini generali e in particolare letti rispetto all’esperienza della Filcams-Cgil, e in particolare nell’ambito della riflessione più generale circa la ricostruzione dell’identità collettiva dei soggetti – lavoratori, in quanto la contrattazione decentrata si configura come quella più vicina al soggetto in qualità di lavoratore. Viene effettuata una analisi che parte dalle fonti contrattuali e normative su cui si fonda la contrattazione di secondo livello. Particolare interesse è riservato alle modifiche introdotte dal recente accordo quadro di Riforma degli Assetti Contrattuali, sottoscritto da Cisl e Uil ma non dalla Cgil. Si rileva che questo nuovo accordo permettete che al secondo livello di contrattazione sia possibile effettuare deroghe negative al CCNL, compromettendo la tenuta di diritti e tutele nei settori soprattutto più deboli e non introduce alcun vincolo che renda veramente esigibile la contrattazione decentrata. Interessante rilevare che il nuovo accordo quadro elimina quanto scritto nell’accordo del 23.07.1993 circa la funzione positiva della contrattazione decentrata sul miglioramento dell’efficienza aziendale e sui risultati dell’azienda. Tale differenza tra i due accordi sembra modificare lo spirito costruttivo dell’accordo del 1993. Il punto della situazione della contrattazione decentrata nella Filcams Cgil rileva ampi spazi di lavoro per estendere tale pratica. Il numero di lavoratori interessati da tale pratica sindacale è molto ristretta e in ogni caso i dati rilevabili sono piuttosto scarsi. La contrattazione decentrata si effettua principalmente nelle aziende di medio-grandi dimensioni, quasi nella totalità concentrate nel comparto della GDO. L’importanza di estendere la contrattazione decentrata è sintetizzabile in due punti fondamentali: far percepire ai lavoratori che rappresentiamo che la Filcams è un sindacato presente e rappresentativo delle istanze di chi lavora, a partire dalla struttura del contratto nazionale, strumento indispensabile di universalità di diritti e tutele, fino alla contrattazione decentrata tramite un approccio che tenga ben presente le peculiarità che caratterizzano i nostri settori; coinvolgere gli individui-lavoratori nella ricerca di una sempre più equa distribuzione della ricchezza prodotta e andare così a incidere veramente nell’organizzazione del lavoro. Una prima importante distinzione da fare è quella tra contrattazione acquisitiva e difensiva Parlando di contrattazione difensiva ricordiamo l’importanza di tale strumento in un momento storico segnato dallacrisi economica globale, che sta interessando anche il nostro paese ed in particolare i nostri settori. La Filcams si trova ad affrontare, a differenza di categorie industriali come i Tessili, forse per la prima volta da parecchi decenni, una fase di pesante recessione economica. E’ indispensabile essere protagonisti nel gestire la situazione discutendo fino in fondo di organizzazione del lavoro, dentro l’utilizzo degli strumenti forniti dagli ammortizzatori sociali e dalla contrattazione. Lasciare alle aziende la libertà di agire senza vincoli contrattati rischia di consegnarci in futuro un tessuto produttivo irriconoscibile e una platea di lavoratori che ci accuserebbero di averli lasciati soli proprio quando le condizioni richiedevano un impegno aggiuntivo. In questo contesto importante ricordare gli avvisi comuni sottoscritti unitariamente con Confcommercio e Confesercenti circa l’estensione degli ammortizzatori sociali ai nostri settori. La fase acquisitiva della contrattazione decentrata è quella più classica e che permette di poter ridistribuire la ricchezza prodotta dalla propria azienda ed affrontare le questioni peculiari del proprio posto di lavoro, dall’organizzazione del lavoro a richieste collettive particolari che emergono dalle assemblee dei lavoratori. Per quanto riguarda gli attori della contrattazione decentrata si parte dalla nostra categoria che si trova a ripensare il suo ruolo in una fase di profondi cambiamenti dell’economia globale. Centrale è il ruolo del delegato sul posto di lavoro e della sua formazione di cui si sente fortemente il bisogno. Il delegato è il primo contatto e filtro del sindacato sul luogo di lavoro, e ricordiamo che un ampio bacino di lavoratori, quelli occupati nelle piccole aziende, non possono rivendicare il diritto ad avere una rappresentanza aziendale. Estendere e qualificare la rappresentanza sindacale sui posti di lavoro è un’operazione fondamentale al fine di estendere la contrattazione decentrata. In particolare la formazione riveste un aspetto centrale e a tal fine è utile ricordare il lavoro svolto da Ires Cgil e Università di Ferrara, nelle cui conclusioni si evidenzia che con il passare del tempo la contrattazione aziendale è stata sempre più caratterizzata dal prevalere “di aspetti di complessità la cui gestione richiede lo sviluppo di competenze specifiche da parte dei vari i soggetti coinvolti, primi fra tutti le rappresentanze sindacali.” Tra gli attori della contrattazione decentrata è stato osservato il ruolo della rappresentanza datoriale e il ruolo di indirizzo che le associazioni datoriali cercano di imprimere delle varie contrattazioni. Sicuramente da non sottovalutare la reale rappresentatività di chi rappresenta l’azienda nelle trattative, in quanto una evidente carenza compromette inevitabilmente il positivo esito della trattativa. La costruzione della piattaforma ed il percorso verso l’accordo è fondamentale un’approfondita conoscenza e lo studio del contesto in cui è inserita la realtà interessata. In secondo luogo va verificata la qualità dei rapporti con i soggetti esterni ma che incrociano la realtà interessata alla contrattazione. Tali rapporti devono essere gestiti, tra conflittualità e dialogo.

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Il punto centrale di questo lavoro riguarda l’ambito di azione e la scrittura della piattaforma. Considerando che la stragrande maggioranza dei lavoratori che rappresentiamo sono occupati in aziende piccole o comunque organizzate in unità operative che occupano pochi dipendenti, credo che lo sforzo da compiere sia quello di individuare strumenti che cerchino di allargare proprio tra quei lavoratori la buona pratica della contrattazione decentrata. Per poter fare contrattazione in questa situazione, dobbiamo accantonare momentaneamente lo storico modo di approccio sindacale, quello che per intenderci funziona, anche oggi, bene nella grande fabbrica. Nei documenti congressuali della Cgil e della FILCAMS che sono stati richiamati si legge chiaramente che una soluzione importante viene individuate nella ricerca di ambiti di contrattazione decentrata inediti o poco sfruttati: la contrattazione territoriale in primo luogo. La realtà polverizzata e frammentata propria della Filcams è un banco di prova ideale per estendere e sperimentare forme di contrattazione territoriale o aggregata (esempio la contrattazione di sito). Nell’ambito delle materie oggetto di contrattazione di secondo livello ricordiamo quelle che riteniamo più importanti: il premio di risultato e l’organizzazione del lavoro. Dagli accordi del 1993 il premio fisso è sostituito da un premio variabile, legato a parametri di redditività, produttività e qualità. Si apre pertanto una stagione contrattuale nuova, caratterizzata da una maggiore complessità della contrattazione ma anche da un aumento di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali e dei lavoratori in genere, essendo il premio legato a risultati. Nel dibattito politico e sindacale vi sono poi teorie che spingono ad una maggiore estensione del carattere e dell’entità variabile del premio, presupponendo un maggiore coinvolgimento dei lavoratori e delle loro rappresentanze nelle decisioni dell’azienda, barattando in questo modo la sicurezza di una maggiore retribuzione fissa, in cambio della possibilità di suddividere una quota maggiore di utili dell’impresa. Un meccanismo sviluppato soprattutto nel nord dell’Europa. In un momento di crisi economica come quella attuale, queste teorie risulterebbero veramente rischiose per i lavoratori dipendenti, ma in primo piano penso che il tessuto industriale italiano non sarebbe assolutamente maturo per una proposta di questo genere. Ritengo che la classe dirigente dell’imprenditoria italiana sia parecchio lontana da un’impostazione di relazioni industriali di quel tipo. L’altro aspetto della contrattazione decentrata che è stato affrontato è quello dell’organizzazione del lavoro. Tale aspetto rispecchia anche la capacità del sindacato di incidere nelle decisioni dell’azienda al momento di organizzare il processo produttivo. Questo tema non solo è complicato se immaginiamo la grande azienda post-fordista, ma diventa ancor più ostico se studiato avendo a mente, come abbiamo già ricordato, la ridotta dimensione aziendale della maggior parte delle nostre aziende. Particolare attenzione va riservata al tema della flessibilità. Tema sicuramente caro a chi rappresenta il lavoro dalla parte di chi lo offre sul mercato, ma che da parte nostra potrebbe essere quella soluzione-mediazione che ci permetterebbe di non lasciare totalmente nelle mani dell’impresa la gestione del tempo di lavoro. Un’indagine del CNEL del 2002 dal titolo “Produttività, contrattazione, salari, distribuzione del reddito”, ha messo in evidenza che il settore del Commercio e Servizi è tra quelli che maggiormente affrontano e contrattano il tema della flessibilità, ciò anche per l’alta incidenza di personale femminile che presenta importanti esigenze di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro. In tema di contrattazione decentrata è indispensabile toccare il tema della democrazia sindacale. L’espressione di voto dei lavoratori interessati diviene lo strumento tramite cui il sindacato rende protagonisti i lavoratori, dalla piattaforma all’accordo. E in un ottica di ricostruzione dell’identità del lavoro questa pratica diventa aspetto centrale e fondamentale. In questa tesi abbiamo potuto valutare che esiste un ampio settore di mondo del lavoro che rappresentiamo, ma che, per ora, raggiungiamo solamente con la contrattazione nazionale e necessita di una approfondita riflessione. Dall’analisi svolta emerge altresì che la realtà della FILCAMS-Cgil presenta dei tratti molto variegati che necessitano di approcci completamente diversi. Particolare attenzione va rivolta a quei settori che, per tradizione o perché interessati da processi economici, presentano la caratteristica di essere fortemente polverizzati e dunque difficilmente gestibili sulla base del classico agire sindacale. Più di tutti questi settori dovranno essere oggetto di sperimentazioni da parte della nostra categoria, in modo da poter estendere la buona pratica della contrattazione di secondo livello. La territorialità e la bilateralità sono due tematiche che varrebbe la pena di approfondire. In particolare la questione della territorialità avrebbe una declinazione particolarmente interessante nella contrattazione di sito. Questa questione abbiamo visto essere stata oggetto di particolare attenzione nella passata stagione contrattuale della Cgil, ma che necessita di un approfondimento di elaborazione e soprattutto di volontà di metterla in atto da parte delle categorie.

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In un mondo del lavoro che cambia anche e in particola modo rispetto a processi di esternalizzazioni e frammentazione del tessuto produttivo, la contrattazione di sito risulta essere lo strumento più adatto a raggiungere il maggior numero di lavoratori, mutualizzando le migliori esperienze categoriali in fatto di contrattazione e ponendo altresì al centro il valore profondo della solidarietà tra lavoratori. È emerso altresì in modo chiaro che anche gli storici settori del commercio organizzato presentano delle peculiarità rispetto ai comparti produttivi. Ed essendo quello un settore fortemente caratterizzato da profonde modifiche organizzative, soprattutto legate a dinamiche strettamente sociali, la Filcams ha il compito di individuare soluzioni che diano risposte a lavoratrici e lavoratori interessati, la gestione degli orari di lavoro al primo posto. Infine credo che la vera chiave di volta di tutta questa discussione siano i soggetti interessati direttamente alla contrattazione decentrata: le lavoratrici, i lavoratori e le loro rappresentanze sui luoghi di lavoro. Gli strumenti della formazione e della democrazia sono il vero valore aggiunto indispensabile ad incassare il risultato che ci volgiamo prefiggere. Tanto più se consideriamo che uno dei problemi più grossi, al di là del nanismo industriale italiano, è la radicale trasformazione sociale. I soggetti, anche lavoratori dipendenti che sono fruitori di servizi e clienti-consumatori diventano l’ago della bilancia delle scelte delle aziende e le loro scelte condizionano in modo decisivo le politiche aziendali dei nostri settori. Un esempio classico sono i centri commerciali che diventano le nuove piazze, i nuovi centri di aggregazione sociale e che pongono la nostra categoria nella difficile situazione di gestire la volontà aziendale di aprire quanto più possibile quei luoghi. Volontà, da una parte, sostenuta dai clienti-consumatori (molte volte anche lavoratori), dall’altra caldeggiata dalle stesse aziende che in qualche modo sono complici di queste nuove e diverse dinamiche sociali. In questa situazione il sindacato, insieme a tutte le altre forze sociali interessate, deve avere il ruolo di gestire contrattualmente le situazioni che si creano nei posti di lavoro, ma anche l’ambizione di essere un soggetto attivo nella ricostruzione di un’identità del lavoro. Questo non per tornare indietro nella storia, operazione che sarebbe sbagliata, pericolosa e di vana illusione, ma per ridare centralità al lavoro e tramite ciò fornire una risposta ai tanti problemi che quotidianamente ci vengono posti dai nostri rappresentati e di riflesso dall’intera società, essendo il lavoro centrale nella vita della società.

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Sviluppo, diritti e ruolo della contrattazione sociale (Loredana Sasia) Nell’assistere ai limiti dello stato il processo di negoziazione sociale dei diritti di cittadinanza consolidatosi negli anni ha assunto un ruolo fondamentale nella progettazione e nella definizione delle politiche di sviluppo locale del territorio volte a rispondere ai bisogni diversificati che emergono dalle trasformazioni sociali, nella programmazione e nelle azioni a sostegno della crescita economica e di un equilibrato assetto del territorio. Diviene strategico il sistema economico-sociale locale in cui molteplici soggetti portatori di valori, interessi differenti, ricercando nella loro storia suggerimenti utili, inventano un nuovo modo di interagire tra loro, che scavalchi appartenenze irrigidite e geografie obsolete in nome di una coesione sociale, del “ben-essere”di tutti i cittadini, quale che sia il tipo di contratto che li lega al lavoro, provenienza o colore o età. Gli attori sociali nel ridefinire le politiche sociali, le finalità e gli strumenti di intervento, del campo stesso puntano all’inclusione e allo sviluppo dei diritti di cittadinanza attraverso interventi contro il rischio di povertà, emarginazione anche come sostegno alla partecipazione al lavoro e come strumento di distribuzione di reddito. La contrattazione territoriale diviene innanzi tutto uno strumento di risposta a politiche di centro destra che hanno sempre imposto, nelle leggi finanziarie approvate, la riduzione dei trasferimenti erariali statali, pesanti vincoli e tetti di spesa, assumendo una dimensione strategica dello sviluppo, che contribuisce alla promozione della cittadinanza basata sui diritti sociali. Il ruolo del sindacato diviene prioritario nel riconoscimento sociale del lavoro come perno del modello sociale ed economico che si vuole affermare. Le organizzazioni sindacali impegnate nella contrattazione sociale attorno ad una crescente varietà di oggetti, hanno l’opportunità di rafforzare il loro ruolo all’interno di nuove sfere politiche, che riguardano le traiettorie di vita e i problemi dei lavoratori, dei pensionati e delle loro famiglie (genere,conciliazione tra produzione riproduzione, tempi di vita, di lavoro e dei servizi). Si assiste a livello sub-nazionale e locale, all’apertura degli spazi decisionali, da parte degli enti pubblici ad una pluralità di soggetti, che spesso si traduce in una proliferazione di accordi, patti,intese, protagonisti dello sviluppo sociale ed economico legato al territorio. Tale proliferazioni di accordi si realizzano prevalentemente negli ultimi dieci anni, spesso in un sistema formale di regole comuni cui fare riferimento, con modalità differenti di confronto ed esito tra i diversi e molteplici attori della contrattazione. Il sindacato diviene sempre più soggetto attivo nell’allocazione delle risorse pubbliche, nei programmi territoriali e degli investimenti per lo sviluppo e la crescita; anche mediante un sistema di tutele e promozioni locali in grado di alimentare una democrazia e una partecipazione sostanziale alla vita delle comunità attraverso politiche di inclusione sociale e tutela dei diritti. Il confronto e il coinvolgimento del sindacato come soggetto di rappresentanza, sulle politiche locali, ha costituito una nuova frontiera del sindacato dell’iniziativa nel territorio,dove si manifestano i bisogni di chi rappresenta. La sua struttura capillare sul territorio e l’esperienza che sta maturando in questi anni gli permette di valorizzare il radicamento sociale nell’ascolto e nell’osservazione delle problematiche e dei bisogni di coloro che al sindacato stesso si rivolgono. Si assiste ad una traslazione del ruolo del sindacato non presente solo più nelle fabbriche ma anche nel territorio, nelle politiche della città come portatore di interessi del cittadino, come lavoratore, come anziano, come donna, come migrante. Nel documento politico del XV Congresso della CGIL territoriale e sociale si è ribadita con forza la necessità di aprire una nuova fase per la contrattazione confederale nel territorio, con il coinvolgimento dei lavoratori, delle lavoratrici, dei pensionati e delle pensionate per il peso che le politiche sociali territoriali e di sostenibilità e sicurezza ambientale hanno assunto per quanto attiene gli effetti della redistribuzione dei redditi sia per quanto riguarda le più specifiche politiche dello sviluppo locale. All’interno del documento emerge la volontà di intrecciare nell’ambito di queste politiche la confederazione in accordo con le diverse categorie oltre lo spi, trovando risposte di rappresentanza e di reinsediamento confederale nel territorio. Il welfare non viene ritenuto come un costo ma un occasione, un fattore di progresso civile e motore di uno sviluppo nuovo, evocazione di cooperazione solidale, ma soprattutto portatore di una cultura che deve essere antiliberista. Gli immigrati, le donne, i precari vengono coinvolti nella costituzione delle piattaforme rivendicative, in quanto portatori di sensibilità e di esperienze differenti. Una linea di tensione viene a delinearsi tra “territorializzazione e frammentazione della cittadinanza”. Sicuramente con il processo di territorializzazione si consente un avvicinamento dei cittadini alla politiche delle problematiche della vita quotidiana di cui essi stessi fanno esperienza, tuttavia si delega ai territori decisioni su aspetti al quanto rilevanti della qualità della vita degli individui e delle famiglie. I pericoli si traducono nel fatto che i diritti sociali che i cittadini possono esigere ed esercitare cambino a seconda del territorio cui si appartiene, in base ad una geografia della cittadinanza che non è solo incentrata sulla distinzione tra Nord-Sud ma anche, su altre dicotomie territoriali.

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Infine, l’analisi della contrattazione sociale all’interno della tesi si conclude apportando un contributo rispetto ad esperienze negoziali vissute nella Regione Piemonte e in particolare nella Provincia di Cuneo, dove la Cgil ha assunto un ruolo determinante nel confronto e nell’interazione dei diversi soggetti per potenziare il proprio ruolo di rappresentanza sul territorio per uno sviluppo più equilibrato della società, per ricomporre una coscienza collettiva e per ridurre le disuguaglianze sociali che si presentano sul territorio.

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La ricomposizione dell’identità del lavoro attraverso la contrattazione innovativa (Cristian Sesena) La contrattazione della FILCAMS dedica grande spazio al tema orario di lavoro e riposi. Ciò è un è primo indicatore di quanto il TEMPO abbia un valore sempre più decisivo per gli addetti della grande distribuzione organizzata. Un valore che, essendo eminentemente sociale, intreccia il tema delicato della frantumazione dell'identità del lavoratore, sempre meno in grado di esercitare appieno un consapevole ruolo all'interno della società. Orari di apertura sempre più dilatati, domeniche al lavoro come fossero giornate qualsiasi, contratti di lavoro come il part time sempre meno tutelanti, hanno reso la vita degli addetti all'interno degli ipermercati sempre più dura e l'esercizio da parte del sindacato della rappresentanza sempre meno agevole. È aumentata la sfiducia fra le lavoratrici e i lavoratori di poter migliorare, attraverso la rivendicazione collettiva, le proprie condizioni. L'individualismo che offende da anni la società italiana è stato introiettato da tutti noi, chi più chi meno. Questa categoria di lavoratori, se è possibile, ne è stata colpita in maniera ancora più veemente, essendo spesso tolta loro, molte volte, persino la possibilità di comunicare e confrontarsi, a fronte della compresenza di molteplici turni di lavoro ad personam, all'interno della medesima struttura di vendita. La FILCAMS nei contratti che ha sottoscritto ha agito (e forse era davvero complicato fare altrimenti) cercando di limitare i danni: una contrattazione difensiva a volte certosina, mirata ad impedire che l'arbitrio aziendale, quasi sempre confortato dall'emanazioni di leggi a suo smaccato favore, si imponesse e fagocitasse tutto il tempo di lavoro e, di rimando, quello di vita, facendo di entrambi un mero strumento di flessibilità. Il primo capitolo si occupa proprio di questa contrattazione mettendo a confronto i due contratti nazionali principali (commercio privato e cooperative di consumo) sui temi del part time e delle flessibilità. Il caso del part time è emblematico: un istituto contrattuale nato come opportunità per gli addetti che si piega progressivamente, soprattutto a fronte dell'introduzione di leggi produttivistiche, agli interessi non sempre giustificati e giustificabili di flessibilità dell'impresa. Emblematico è anche il modo in cui il sindacato tenta di arginare questa deriva, cercando di introdurre correttivi volti a ridurre il potere del datore di lavoro (diritto di denuncia del patto di clausole elastiche e flessibili ecc) e in alcuni rari casi a riportare la gestione di questi accordi individuali sotto un seppur blando controllo collettivo (l'assistenza possibile della RSU nella stipula del suddetto patto, nel CCNL delle Cooperative di Consumo). Per ciò che concerne il tema flessibilità dell'orario di lavoro, il discorso si fa ancora più complesso e articolato. Premesso che la flessibilità non è un male assoluto e che troppo spesso la si è approcciata con un nocivo atteggiamento ideologico, resta il fatto che la sua definizione contrattuale è stato e resta affare assai delicato. I due CCNL presi in esame approcciano il tema in maniera differente e molte delle differenze sono frutto di storie sindacali diverse. Al centralismo presente nel CCNL Terziario risponde una tendenza forte al decentramento contrattuale nel contratto delle Coop. E' chiaro che delle due soluzioni adottate, la seconda è di gran lunga preferibile, anche se da sola non risolve tutti i problemi. Il nodo centrale della contrattazione della flessibilità dell'orario e conseguente superamento dell'orario settimanale è data dalla ricerca di protezioni e garanzie vere per i lavoratori coinvolti da questa modalità di organizzazione del lavoro e del tempo ad esso dedicata. Se da un lato infatti la flessibilità riguarda gli addetti a tempo pieno, dall'altro è impossibile ignorare che essi sono divenuti minoranza all'interno dei luoghi di lavoro rispetto ai part timers, e che le esigenze degli uni non sono sovrapponibili con quelle degli altri. Se i primi infatti, a fronte del sacrificio di avere orari settimanali superiori alle 38 ore senza riconoscimento dello straordinario, chiedono la garanzia di settimane con orari ridotti e turni che agevolino la conciliazione, gli altri, in genere, cercano forme di consolidamento del proprio orario che si traduca in un salario più accettabile. Il tenere insieme questi due temi e questi due realtà occupazionali è l'ineludibile presupposto perchè si possa parlare di un modello organizzativo flessibile che, oltre a corrispondere alle esigenze dell'azienda, dia risposte anche a quelle degli addetti. Il rinnovo del contratto della cooperazione pare, anche se solo in chiave di enunciazione politica condivisa fra le parti, focalizzare il problema finalizzando la flessibilità anche all'aumento dell'orario dei lavoratori a tempo parziale La pars costruens di questo elaborato, che ha come suo obbiettivo fornire spunti teorici ad una contrattazione che non sia solo difensiva, ma che, apportando innovazioni a volte coraggiose per non dire temerarie, torni ad essere acquisitiva, si apre con un affondo sulla legge 53 del 2000 e in particolare sulle possibilità, non ancora sufficientemente esplorate e sfruttate, che la stessa norma dà alla contrattazione del tempo nelle aziende. Corre l'obbligo registrare come in questi giorni sia approdato al senato un disegno di riforma dell'art.9 della legge in analisi, che introduce pericolose modifiche secondo una logica volta a subordinare i finanziamenti dei progetti di conciliazione al loro essere corrispondenti a logiche di efficienza e produttività. Qualora queste

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modifiche venissero approvate sarebbe un fatto grave capace di stravolgere in toto lo spirito di questa legge che era, e deve restare, una legge a favore dei lavoratori e a tutela del loro tempo sociale. L'articolo 9 prevede infatti la possibilità delle imprese di accedere a finanziamenti anche cospicui da parte del ministero delle pari opportunità se si impegnano a costruire progetti volti a migliorare le condizioni di lavoro dei propri addetti anteponendo le loro necessità alle loro più o meno fisiologiche esigenze di profitto e di produttività. Per accedere al progetto è necessario il confronto e l'accordo con il sindacato. Questa legge offre cioè offre l'occasione di capovolgere l'ordine degli addendi ottenendo anche un risultato differente per i soggetti coinvolti: la priorità è dare risposte ai problema dei lavoratori e in subordine a quelle dell'aziende, convincendo queste ultime a cambiare la propria organizzazione del lavoro, o quantomeno a cercare di ottenere una soddisfacente tenuta della stessa, ponendosi come obbiettivo importante quello di far lavorare meglio i propri addetti. La FILCAMS, nell'ultimo decennio, ha saputo sfruttare questa opportunità come dimostra l'esperienza delle isole del tempo nelle barriere casse di alcuni ipermercati, su cui diffusamente ci si sofferma nel secondo capitolo della tesi. Un'esperienza importante, purtroppo non esente da contraddizioni e difficoltà, ancora troppo poco estesa, perchè ancora limitata a poche realtà occupazionali e perchè confinata solo alle casse degli ipermecati. Estendere alle intere realtà produttive, ossia ai reparti, dei supermercati, e individuare altri settori occupazionali ( appalti, ristorazione collettiva) su cui costruire nuovi progetti, dovrebbero essere i cardini su cui impostare politicamente una nuova stagione di contrattazione innovativa che si appoggi alle possibilità offerte da una legge troppo spesso ancora misconosciuta, ma dal grande potenziale in gran parte ancora inesplorato. Nel terzo capitolo si esemplifica attraverso due casi di studio, come la flessibilità presente negli accordi collettivi in precedenza analizzata, possa piegarsi a dare risposte a problemi aziendali e nel contempo a richieste dei lavoratori. Si tratta di esercizi teorici, ed ovviamente nella prassi sindacale contano spesso maggiormente altri fattori come il contesto, i rapporti di forza e le compatibilità economiche; la loro funzione quindi è solo quella di dimostrare la flessibilità è un tema ostico certo, ma a volte reso ancor più ostico dalle modalità retrive con cui la si approccia. Il primo caso è non a caso il tema dell'orario flessibile e della crisi dei consumi che della più generale crisi globale di questi mesi è l'aspetto che più ci tocca da vicino, comportando un rischio serio per l'occupazione. La scarsità di copertura data dagli ammortizzatori sociali classici (CIGO e CIGS) per i settori rappresentati dalla FILCAMS, aumenta la probabilità che ad una contrazione delle vendite persistente corrisponda un numero importante di licenziamenti. La flessibilità che tradizionalmente risponde ai picchi produttivi, può essere una risposta nelle situazioni di difficoltà? Può in sostanza costituire, partendo dalla riduzione oraria,l a base di un temporaneo ammortizzatore interno? L'analisi prodotta, con le inevitabili semplificazioni, cerca di offrire spunti in tale direzione. Il secondo caso mira invece a pianificare un’organizzazione del lavoro in cui la flessibilità dia le tanto agognate risposte alle aspettative dei full timers e dei part timers, coinvolgendoli come attori paritetici nel nuovo modello organizzativo e garantendo ai primi, grazie alla compresenza dei secondi, la certezza di settimane di recupero con orari “comodi” e ai secondi, un graduale quanto concreto incremento dell'orario contrattuale. Attraverso la contrattazione innovativa, nei temi, negli approcci, nel coinvolgimento degli interlocutori si può tentare di riconsegnare il tempo perduto ai lavoratori. Si può cioè concorrere attivamente alla ricostruzione per via collettiva della loro identità di individui dentro e fuori i posti di lavoro.

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Dalla ricomposizione contrattuale alla ricomposizione sociale (Adriano Montorsi) Tra Teoria e Prassi Non è qui possibile definire la direzione di questa possibile ricongiunzione. Poiché la relazione tra le due componenti del titolo di questo paragrafo non è univoca bensì biunivoca. Il lavoro che qui ci spetta di chiarire, in quanto categoria sindacale, consiste nel trovare la quadra corretta di un percorso che sta a metà tra il ricomporre contrattualmente (praxis) e socialmente (theoria). Tra prassi e teoria. Tra questi due termini viene delimitato il nostro raggio d'azione. Qui è sita la dualità intrinseca del lavoro sindacale, tecnico e politico insieme. Se la prassi è ciò che si può definire il nostro core business (fare contratti) la teoria ne è il sostrato di fondo, ciò che riempie di significato il nostro stesso lavoro. Le ripercussioni e le ricadute che il nostro stesso lavoro ha sulla società, in un'ottica migliorativa e perfettibile della stessa in senso generale. Caratteristica questa che da sempre caratterizza un sindacato generale come la Cgil. La Filcams è la categoria scissa per eccellenza. La frammentazione e la parcellizzazione del lavoro nei settori di competenza di questa categoria ne sono le caratteristiche peculiari e distintive. La Filcams, in tal senso, si manifesta come il più probabile e idoneo punto di osservazione del sindacato sulla società nelle sue mutazioni e dunque sulle conseguenti ricadute sul mondo del lavoro e sui lavoratori stessi. La Filcams si presenta sotto l'aspetto di una potenziale avanguardia sindacale. Questa avanguardia deve a questo punto anche tramutarsi in una corrispondente propositività e attività, in stretta e necessaria correlazione con una direzione confederale. Cosa significa oggi tentare una ricomposizione sociale? Significa certo intercettare le domande che provengono dalla società attraverso i lavoratori, attraverso i nostri iscritti. E tentare di dare loro una risposta. Ma se le domande sono tutte diverse, come è possibile in un settore quale quello di pertinenza, il tentativo dovrà sicuramente essere quello di cercare una via collettiva per fornire adeguate risposte alle esigenze sollevate. La Filcams agisce su un multisettore. Risulta perciò essenziale perseguire la strada di una maggiore semplificazione strumentale. Una maggiore uniformità in termini di strumenti e azioni per il lavoro sindacale, permetterà inoltre una maggiore facilità anche nella comunicazione e nella pubblicità della categoria. Facilitazione comunicativa da percepire attraverso anche la fruizione di servizi a guida confederale nonché tramite l'incentivazione all'utilizzo della bilateralità, con attenzione particolare alla formazione e al sostegno al reddito. Infine sicuramente l'esempio primario di ricomposizione è nella contrattazione. Il mondo degli appalti in primis, da cui derivano a ricaduta l'idea della contrattazione di SITO e/o di FILIERA. Bisogna chiedersi se è possibile percorrere una strada che porti il Multisettore Filcams ad uniformare l'enorme mole di tipologie contrattuali in 2 o 3 macroaree contrattuali (Commercio, Turismo, Servizi). Inoltre la vigente legislazione è sicuramente causa originante dei fenomeni di precarietà e illegalità con cui quotidianamente siamo costretti a confrontarci. Il contrasto va dunque attivato anche in questo senso. La prospettiva di creare la possibilità e le condizioni per la modifica di una legislazione carente o inadeguata è il nostro obiettivo di fondo. La nostra stessa teoria guida. Il lavoro della Filcams dovrebbe fungere da avamposto conoscitivo e laboratorio propositivo che possa essere utile alla Cgil tutta in un'ottica di ricomposizione confederale della contrattualistica nonché di ridirezionamento verso una società ricomposta in senso solidale e partecipata nelle proprie modalità di azione. La Piramide Filcams Chi o cosa rappresenta o intende rappresentare la Filcams? Il mondo del lavoro con il quale la categoria si deve confrontare quotidianamente è quanto di più variegato ci possa essere: - dalle badanti ai lavoratori delle pulizie, dalle aziende del commercio industriale ai negozi della piccola e grande distribuzione organizzata, dalla vigilanza privata al turismo, agli studi professionali senza dimenticare le associazioni di settore e gli enti di alta formazione nonché settori altamente professionalizzati legati alla formazione e alla comunicazione multimediale e le farmacie. Il quadro è variegato. Difficile ridurlo ad una sintesi comprensiva mirata ad una gestione unica. La Filcams è un multisettore. Questa sua peculiare e distintiva caratteristica ne delinea una forma di attività che potremmo visualizzare con l’immagine della piramide.

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Una piramide che va dagli ultimi (pulimento, badanti) ai primi (settori ad alta specializzazione). Un mondo estremamente variegato di cui la frammentazione è caratteristica dominante. La commercializzazione estrema dell’attuale modello sociale consumista e il modello dei servizi caratterizzato da esternalizzazioni selvagge di tutti gli aspetti che non rappresentino direttamente il core-business di un’azienda nonché di una pubblica amministrazione determinano condizioni di frammentazione e precarietà salariale difficilmente componibili. La caratteristica piramidale sopra accennata descrive invece un mondo del lavoro a tendenza restrittiva e verticistica ma, occorre sottolinearlo, questa piramide non possiede in sé il carattere del miglioramento sociale. Viene dunque rivelata, a nostro parere, l‘assenza di carattere progressivo nell’attuale mondo del lavoro. La mancanza di tale carattere ha certamente solide radici nelle legislazioni vigenti in termini di flessibilità del lavoro. Queste le maggiori criticità. Criticità che rappresentano il pane quotidiano per la categoria Filcams. Un panorama di costante incremento dell’intensificazione e densificazione del lavoro. L'aumento progressivo di percorsi dequalificanti e al ribasso middle to low skill, labor –intensive jobs, comprovati dai dati ISTAT. Tutto ciò unitamente a una proliferazione di flessibilità e di tipologie di lavoro flessibile non controbilanciate da una adeguata politica di sostenibilità del lavoro e conciliazione dei tempi di vita. La generalizzazione delle forme di lavoro a tempo parziale (endemiche nella nostra categoria) e di forme contrattuali atipiche non va di pari passo a percorsi formativi e integrativi adeguati. L'assenza/carenza di responsabilità sociale di impresa è l'altro fattore dominante che si sposa alla condizione flessibile del lavoro. Il modello è quello dell’impresa lean che crea un frantumazione verticale e orizzontale del lavoro allargando e estendendo oltre ogni limite la filiera produttiva nonché una smisurata attività out-sourcing ed esternalizzazioni che mira nulla più che centralizzare il potere e decentrare le responsabilità. L‘impresa che oggigiorno ci troviamo a fronteggiare è irresponsabile. La formazione continua è certo uno degli ambiti dove elaborare e perseguire una strategia di ricomposizione responsabile del tessuto umano, lavorativo e sociale. Di fronte a un lavoratore multiplo occorre costruire le condizioni che portino alla possibilità di un riconoscimento identitario del lavoratore all’interno di una carriera per così dire trasversale. Il sindacato è parte attiva in questo processo di riconoscimento attraverso la sua indispensabile attività normativa contrattualistica e di tutela. I diritti che vogliamo tutelare e rivendicare risultano essere più scomposti che composti. La settorialità delle diverse realtà lavorative da noi rappresentate può trasformarsi in un boomerang che crea una dissociazione interna nei vari ambiti lavorativi rappresentati, rendendo difficile la promozione, tra i nostri iscritti, della necessaria cultura di solidarietà e partecipazione nonché di mutuo sostegno. Diviene necessario perseguire la finalità di un modello globale e dinamico dove le connessioni e le interrelazioni tra le diverse fasi del modello (piramide) sono il luogo dell’attività e del dispiegarsi dell’azione e delle finalità sindacali. Al fine di creare un ipotetico mondo del lavoro dove le espulsioni sono finalizzate a riconversioni, dove la formazione è progresso sociale e economico e virtuoso accrescimento del tessuto socio economico. Dove imprese responsabili lavorano di concerto con organizzazioni sindacali che garantiscono non una ristretta cerchia di prediletti ma anzi tutto il mondo del lavoro attraverso una tutela unificante e a largo raggio che interagisce a pieno titolo con le dinamiche di occupazione/occupabilità e relativi periodi di gestione dell’assenza. Dalla Guerra dei Mondi all’Unione dei Mondi Libertà e sicurezza sono alla base della nostra soddisfazione come uomini e come lavoratori, quindi obiettivi massimamente perseguibili. Ma si diceva poco sopra la situazione contingente è affatto differente. Il mondo flessibile sopra disegnato è ben lontano dal poter prefigurare un lavoratore libero e sicuro. In aggiunta a ciò vi sono due ulteriori fattori estremamente destabilizzanti e importanti per la condizione di ogni singolo lavoratore: il fenomeno dei migranti (coloro che popolano per lo più il primo grado della piramide) e il fenomeno della globalizzazione. Bauman chiarisce perfettamente gli aspetti correlati ad una globalizzazione che procede con un ritmo incalzante e non controllabile, anche e a maggior ragione per il fatto che essa non è stata adeguatamente regolata e addomesticata con criteri di inclusione e protezione sociale. Tale fenomeno ha creato il senso di connaturata insicurezza nel lavoratore cittadino che si sente parte di qualcosa che non appartiene a lui, da cui si sente guidato e al quale si sente avvinto, ma sul quale processo non riesce ad intervenire in alcun modo. La reazione a questa condizione è sorprendente: rifiuto e accidia sono le due risposte che ci troviamo ad oppugnare ragionando in un’ottica di ricomposizione. Questo contesto crea una situazione ambientale di difficile gestione per il lavoro sindacale. La composizione dell’attuale società consumistica ne è riflesso peculiare.

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Il riflesso di questa società traspare in un modello sindacale che si vota sempre più a servizi, al soddisfacimento minimo del lavoratore cittadino, non interagendo attivamente e culturalmente sull’entità lavoratore, in un’ottica complessiva e socialmente spendibile. Un sindacato compassionevole e non partecipativo, che dunque non crea inclusione sociale ma si occupa solamente di tamponare le ferite degli esclusi. Il progetto sindacale dovrebbe essere invece quello di mirare ad una piena inclusione dei propri iscritti e aderenti, come lavoratori prima che consumatori e come cittadini prima che lavoratori, e questo dovrebbe allo stesso modo essere il primo progetto della Filcams. Il lavoro sindacale della categoria deve essere mirato ad una riacquisizione del senso proprio del sindacato stesso. Il compito primario, accanto all’essenziale funzione di tutela, è quello di garantire la capacità progressiva di uno step che persegua l’obiettivo di integrare i vari ambiti sociali e i vari mondi che rappresentiamo. La Filcams deve seguire questo percorso perché ha le caratteristiche per divenire il luogo progettuale della Cgil. Il patto o Apologia della Confederalità E’ su questo tessuto che l’operatività della categoria e della confederazione tutta va ad operare. I delegati sono, o meglio ancora, devono diventare parte sempre più attiva di questo compito. La confederazione e, con essa, la categoria ha attivato il progetto 20000. Progetto estremamente ambizioso e, diremo, necessario di formazione a largo raggio su una platea ampissima di delegati e funzionari dell’organizzazione. I punti focali sono la ricostruzione/formazione della rappresentanza di base e la comunicazione/trasmissibilità degli esiti, tesa ad una estensione dell'adesione su base culturale (si pensa al concetto di cittadinanza attiva). Una migliorata e accresciuta trasmissione delle informazioni, nonché conoscenze e competenze, non può che accrescere il senso di appartenenza e di solidarietà interna all’organizzazione e alla nostra categoria. Ciò diventerebbe facilmente terreno fertile per un incremento della capacità di sviluppare forme conflittuali per il miglioramento delle proprie condizioni lavorative e reddituali in aperto e progressivo scontro con la frammentazione dei soggetti del lavoro descritta. Occorre definire inoltre delle politiche di intervento che vadano ad agire su aspetti collaterali al singolo lavoro e al luogo dove esso si compie. Si fa qui l'esplicito esempio del reddito di cittadinanza. Ma su tematiche di questo tipo l’orizzonte dev’essere necessariamente quello confederale. Per noi la confederalità dev’essere innanzitutto una cultura. Quella che privilegia l’interesse generale, che valorizza le specificità collocandole sempre dentro un progetto o una visione comune. La confederalità è anche un antidoto alla frammentazione corporativa (quella della piramide) in atto nella società, se siamo in grado di riannodare i fili del legame tra la condizione lavorativa e quella sociale. La confederalità vive attraverso la ricomposizione contrattuale. Proporre contratti di settore come scelta strategica di riunificazione o semplificazione della base sociale, proporre l'RSA/RSU di sito sono iniziative possibili e percorribili di questo indirizzo. O si costruisce unificazione dei diritti e delle tutele o il dumping contrattuale cresce. Confederalità è anche ricomporre nella contrattazione di sito o di filiera del servizio le regole di trasparenza nell’affidamento degli appalti, la sicurezza, la responsabilità sociale d’impresa. E attraverso questa contrattazione anche presidiare la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori che sono senza rappresentanza o hanno trattamenti contrattuali diversi. 9.5 – La concertazione e la cittadinanza (attiva) del lavoro Queste sono esperienze con le quali la categoria deve misurarsi e alle quali l'organizzazione deve prestare la massima attenzione, per poi trasporle a un livello superiore e traslarle in politiche concertative e contrattuali a livello territoriale e nazionale, anche al fine di prefigurare legislazioni futuribili che si direzionino verso una nuova regolazione del mercato del lavoro che oggi, come abbiamo mostrato, appare quantomai sconnessa e fuori norma. Da queste esperienze devono poi potersi evolvere esperienze sociali, con radicamento e connessioni con le varie realtà associative dei territori. Il metodo: La concertazione. Se la società, come è ovvio, è plurale, la concertazione è il luogo in cui si pratica il principio pluralista e la sua tendenza ricompositiva. Attraverso l'esperienza della concertazione è certo possibile giungere a stabilire il punto di incontro tra volontà collettiva e volontà legislativa, differentemente da quanto ad oggi praticato dal presente esecutivo che, in nome di una proclamata gestione assertivo-pragmatica (del fare, potremmo dire), si arroga il diritto di considerare poco più che marginale la rappresentanza sociale, ritenendo e praticando la semplice consultazione/informazione, ma non il reale confronto in un' ottica di self-implementing legislativo. Il governo attuale si rifiuta di farlo, ma per rispondere ad una società sempre più sconnessa e implicitamente conflittuale occorre ritornare a considerare la concertazione una risorsa.

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Praticarla in un'ottica cooperativa e qualificante, differentemente da quanto è recentemente accaduto con l'accordo separato del 22 gennaio 2009. Concertazione significa che il fenomeno sindacale non è assimilabile con la politica e deve tornare a porsi autonomamente come potenziale fattore di progresso istituzionale e civile, in contrapposizione con un modello sindacale votato alla pura e semplice ratifica degli interventi governativi. E' necessario ritornare a guadagnare il proprio spazio (come soggetto collettivo rappresentativo) all'interno di un più generale processo di contrattualizzazione delle politiche. In un'ottica sindacale di solidarietà e partecipazione (e non compassione). Su ciò occorre costituire l’asse portante di un rinnovato patto sociale. Abbiamo detto come, in particolar modo nei nostri settori, il deficit delle politiche attive del lavoro, legate al trionfo della flessibilità come valore normativo (pensiamo alla legge 30) creino un senso diffuso di paura della precarietà collegato. I temi principali attuali sono dunque per noi: la regolazione del mercato del lavoro la ridefinizione dei confini della cittadinanza sociale (attiva e partecipata) Questi due obiettivi vanno entrambi ricompresi in un progetto che deve essere quello di una contrattazione maggiormente diffusa ed estensiva, in un'ottica che sia il più possibile inclusiva andando, come nell'azzeccatissimo slogan della categoria, “oltre ogni esclusione”. La priorità politica che si delinea per la categoria è quella dell’ampliamento dei confini del welfare tradizionale allargando in modo significativo la platea dei beneficiari delle misure di protezione sociale, che come sappiamo, nel nostro settore, privo di ammortizzatori e affollato di piccole e piccolissime imprese, sono un numero assolutamente residuale. Uno scambio tra maggiore innovazione e maggiore stabilità del lavoro, in quella che potremmo definire come flessibilità concertata. La definizione di condizioni chiare di rappresentanza e rappresentatività è un passo essenziale di questo disegno. Rappresentanza che, secondo la nostra definizione, ha forti caratteristiche/connotazioni di adesione culturale e si trasla o si trasmuta nel concetto maggiormente comprensivo di cittadinanza attiva o di partecipazione, di cui l'adesione sindacale altro non è che mero e consequenziale epifenomeno. Lavorare in sostanza sulla ricostruzione dell’identità individuale all’interno del soggetto collettivo. Ricostruire e ridefinire in tal senso la logica di appartenenza, di senso sociale di compartecipazione (solidarietà) e un nuovo tipo di cittadinanza che si esplica nell’adesione sociale all’organizzazione e nella fruizione dei servizi correlati a tale adesione all’interno di un progetto più complessivo di cui il singolo è parte integrante pur nella sua dimensione personale e soggettiva. Fare sindacato oggi significa anche interrogarsi sulla cittadinanza, chiedersi in che modo l’individuo si connette e stabilisce rapporti con i suoi simili; come con gli stessi dà vita ad un assetto politico-sociale al quale appartiene, si riconosce come parte del gruppo e ne accetta i vincoli che lo legano alla collettività. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione (un lavoro in ultima istanza) che concorra al progresso materiale o spirituale della società in un'ottica unificante e ricompositiva.

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Progetto di alta formazione per quadri e dirigenti sindacali

MASTER � DIRITTI � RAPPRESENTANZA � TUTELE

3 sessione: Gli appalti

ABSTRACT DI:

Francesca Voltan

Samantha Caridi

Monica Zambon

Francesca Gentili

Fabio Fois

Stefania Sorrentino

Virginia Montrasio

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3 sessione – Gli appalti

Il Mondo degli appalti (Francesca Voltan)

Con l’ avvento della globalizzazione, dalla crisi dello stato sociale, alla liberalizzazione , alla privatizzazione e di conseguenza all’ esternalizzazione di interi processi produttivi, non si può che arrivare a parlare di appalti, che essi siano pubblici o privati. In questo “mondo degli appalti” già abbastanza complicato esistono varie forme di sub contrattazione, sistemi di sub appalto, norme europee quali la “direttiva Bolkestein”, che creano al Sindacato molte problematicità e con l’ ingrandirsi del settore ancora con troppe poche regole, soprattutto legate al costo del lavoro e alla sicurezza, siamo invasi da fenomeni di irregolarità. Ed è per questo che l’ azione che si deve mettere in campo è una politica di prevenzione atta a fornire la regolarità e la trasparenza del settore degli appalti, con un quadro di regole certe e trasparenti , con un impegno chiaro di tutte le parti sociali, per la costruzione di una legalità a tutela di tutti i lavoratori, sempre con il forte impegno del Sindacato per il rispetto e il diritto alla dignità sul lavoro.

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Gli appalti. L’evoluzione legislativa e le disfunzione.(Samantha Caridi)

Una corretta analisi legislativa del campo degli appalti pubblici di servizi e delle relative disfunzioni, è tema principale di trattazione di questa tesi che si prefigge principalmente l’obiettivo di chiarire gli aspetti intrinseci della materia e delineare un quadro chiaro ed esaustivo del campo di applicazione di tale contratto. Il “ contratto di appalto” così come identificato all’articolo 1655 c.c. è identificato come: “ Il contratto con il quale una parte assume con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio , la realizzazione di un opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro fornito dal committente o appaltante”. In questa definizione emerge chiaro come l'appaltatore o committente , che si impegna ad eseguire un opera o a garantire un servizio , è innanzitutto un imprenditore , che gode di una propria organizzazione di beni e persone e dunque di una propria attività economica. Pian piano si è verificata una lenta ma inarrestabile evoluzione della materia che ha preso il via con l’appalto dei servizi di pulizia che per la prima volta ha previsto l’ esternalizzazione dell’attività. La razionalizzazione produttiva è proseguita affidando ad imprese terze altre attività legate all’organizzazione interna quali l’acquisto di beni e servizi, la gestione e la manutenzione degli immobili e degli impianti, la gestione delle buste paga dei dipendenti, dei servizi mense, delle comunicazioni,ecc. Le motivazioni che hanno indotto le Amministrazioni Pubbliche e le grandi imprese private ad adottare questo tipo di contratto e a privilegiare la scelta di una forma di esternalizzazione sono da ricercare prevalentemente nei risparmi in termini di costi, ed in misura minima nella liberazione delle risorse umane e finanziarie dalle attività secondarie per essere riconvertire nelle attività di rilevanza strategica (il core business). Capitolo 1. Evoluzione legislativa Da sempre il concetto di concorrenza è stato posto a base delle prime regole alla nascita dei contratti pubblici. il concetto di “concorrenza” era un principio che aveva uno scopo fondamentale: tutelare il più possibile l’ interesse della pubblica amministrazione nello svolgimento di una gara di appalto L’intervento del diritto comunitario porta importanti cambiamenti che trovano attuazione anche in Italia con l’elaborazione di alcune “regole di gara” e il recepimento di discipline comunitarie in materia di appalti “ in particolare le direttive n 17 e 18 del 2004) il codice dei contratti pubblici 2006 (varato come sappiamo con il DL 12 aprile 2006 n 163 e poi modificato dai decreti correttivi ed integrativi del 26.01.2007 n 6 e del 31 .12.2007 n 113). Come possiamo vedere, nell’evoluzione legislativa che conduce alla nascita del codice dei contratti pubblici del 2006 si è cercato di inserire, oltre che l’iniziale principio di libera concorrenza, anche nuove tutele e finalità miranti tutte ad aumentare la garanzia di pubblicità e trasparenza cosi da consentire la più ampia partecipazione alle gare e tutelare nel contempo sia gli interessi economici e finanziarie della P.A. che gli interessi privati delle imprese che partecipano alle gare stesse. Una delle forme di tutela di tutti gli interessi in gioco era rappresentata senz’altro dall’istituzione della autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture di cui all’art 8 del D.L. 163/2006 e successive modifiche ed integrazioni. Accanto alla autorità per la vigilanza, di cui abbiamo appena sottolineato il ruolo e i compiti, sono stati istituiti, nel quadro dell’evoluzione e del rafforzamento delle tutele in materia dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti a livello regionale e provinciale. La nascita di quest’ultima e senz’altro il frutto del mutamento dei rapporti tra la legge statale e le legge regionale in materia di appalti ed è un passo concreto in direzione dell’ampliamento degli strumenti di tutela. Ne deriva che avere un quadro di previsione giuridico unitario garantisce, o quanto meno mira a garantire, la selezione e la qualificazione dei concorrenti, le procedure di gara, i criteri di valutazione e di aggiudicazione, la vigilanza affidata ad una autorità indipendente di settore. Capitolo 2. Analisi di casi concreti e DURC Molte sono le irregolarità o le elusioni alle previsione legislative che vengono poste in essere. Due sono, senza dubbio, le più rilevanti. Il primo problema riguarda lo standard qualitativo dell’impresa partecipante alla gara. Non sempre nella realtà viene operata una scrematura tale da garantire l’esclusione dalle gare pubbliche di quelle imprese che si sono rilevate gravemente inadempienti nei precedenti rapporti contrattuali. Vi è da dire che solo di recente, infatti, le pronunce dei competenti organi giudiziali si sono poste questo problema ritenendo doveroso evitare l’affidamento di lavori, Vale per tutti citare una recente pronuncia del consiglio di stato , sez V n 1716/2008 la quale, chiaramente, individua l’inadempimento in precedenti contratti come causa di esclusione della gara pubblica.

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Il secondo problema in materia di affidamento di appalti, riguarda la verifica del requisito della regolarità contributiva . Questo problema, intrinsecamente, legato al precedente, risponde, tra l’altro, ad esigenze di giustizia e di equità nei confronti delle imprese partecipanti alle procedure di gara. Il legislatore, pertanto, ha ritenuto necessario intervenire per arginare in qualche modo la questione e, con la legge n 266/2002 successivamente integrata e modificata, ha impegnato l’INPS, l’INAIL, e le casse Edili a stipulare apposite convenzioni finalizzate al rilascio del documento di Regolarità contributiva (DURC). Va citata per tutte la decisione del TAR Piemonte n 3360/2007, la quale esamina proprio la vicenda di un azienda che prende parte ad una procedura concorsuale, risultando aggiudicataria della gara, sia pure in via provvisoria. Come sappiamo il DURC è una certificazione unificata attestante, l’avvenuto assolvimento da parte dell’impresa richiedente, di tutti gli obblighi nei confronti di INAIL, INPS e Cassa EDILE . E ciò ai fini di garantire la partecipazione alle gare di aggiudicazione degli appalti, solo a ditte in grado di attestare la loro regolarità . Dalla necessità di presentazione ad opera dell’Impresa partecipante ad un gara del documento in questione e della conseguente valutazione di quest’ultimo, è nato un dibattito, tutt’ora in corso, non solo in sede giudiziaria come abbiamo già visto nella citata sentenza emessa dal TAR Piemonte, ma anche e soprattutto in sede amministrativa e sindacale. Da un lato si sostiene che le risultanze contenute nel DURC non possono essere discrezionalmente valutate dagli organi preposti a garantire il regolare affidamento di un appalto (ad esempio le stazioni appaltanti di cui si discuterà più avanti) e conseguentemente dalla certificata irregolarità contributiva discenderebbe in automatico la sanzione dell’esclusione della gara. Ciò avrebbe un duplice scopo sia garantire il più possibile sull’affidabilità dell’impresa che si aggiudicherà l’appalto, sia svolgere una funzione sanzionatoria e deterrente nei confronti delle imprese “inadempienti”, spingendole a regolarizzare la propria posizione così da poter ottenere la certificazione di regolarità contributiva e garantirsi, comunque, la partecipazione alla gara d’appalto. D’ altro canto vi è chi sostiene che gli organi preposti, ad esempio, la stazione appaltante, abbia il potere di valutare la certificazione prodotta, chiedere chiarimenti all’Azienda e solo all’esito dell’indagine, dichiarare se l’eventuale accertata irregolarità contributiva risulta essere di tale gravità da giustificare l’esclusione dalla gara o eventualmente la revoca della già ottenuta aggiudicazione. Capitolo 3. Stazione Unica Appaltante (SUA) regionale e provinciale Uno degli strumenti che la legge ha individuato al fine di rendere la gestione degli appalti di opere, lavori pubblici, forniture di bene e servizi più uniforme, trasparente e conveniente, è senz’altro l’istituzione della stazione unica appaltante (S.U.A.). In Calabria la stazione è stata istituita sia a livello regionale che a livello provinciale. Nel solco della disciplina comunitaria e di quella nazionale, infatti, la legge regionale 7.12.2007 n.26 istituisce l’autorità denominata, appunto, S.U.A. nell’intento di uniformare alle succitate previsioni, comunitarie e nazionale, l’attività regionale. Possiamo dire che molteplici sono i compiti di controllo, ispezione e vigilanza affidati, al fine di garantire a livello locale la correttezza e la trasparenza della procedura di scelta del contraente, l’efficiente adempimento dell’appalto, il rispetto delle regole di concorrenza nelle singole procedure di gara. Ed ancora la regolarità delle procedure di affidamento e le economicità di esecuzione dell’appalto medesimo. Peraltro, dobbiamo constatare una pressione ed un coinvolgimento nel settore degli appalti della criminalità organizzata, circostanza questa che complica il ruolo e gli impegni profusi a tutti i livelli dal legislatore. Quest’ultimo aspetto rappresenta, tra l'altro, il più grave dei problemi fin qui descritti presenti nell’ambito delle procedure di gara e di affidamento degli appalti pubblici a qualsiasi livello. Nei casi ancora più gravi assistiamo addirittura alla partecipazione alla gara attraverso imprese create ad doc con conseguente inquinamento delle procedure di appalto ed aggiudicazione. Al fine di realizzare un piano cosi capillare e impegnativo di lotta alle mafie nel settore in questione, uno strumento di grande interesse, al quale tutti, sindacato compreso, guardano con attenzione sono le stazione uniche degli appalti provinciali. Quest’ultima, pur rappresentando apparentemente un duplicato della S.U.A. regionale, in realtà ha il vantaggio di poter operare in concreto, sui i singoli territori, in direzione della pianificazione di vigilanza e controllo. Nella provincia di Reggio Calabria, è operante, da alcuni mesi la stazione unica appaltante provinciale con il compito di monitorare costantemente le vari fasi che portano alla aggiudicazione definitiva dell’appalto ed acquisire in concreto tutti i dati relativi alla ditta partecipante: maestranze, mezzi, forniture, percentuali del lavoro appaltato, elenco subappalto. Capitolo 4. Proposta legge sugli appalti della regione Calabria. La CGIL e la Filcams della Calabria, con una iniziativa mirata ad una riorganizzazione ed elaborazione anche della contrattazione in materia di appalti di pubblici servizi, ha inteso segnalare in primis la carenza di

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legislazione regionale in tale campo e successivamente ha inteso dar vita ad una legge che permettesse di riorganizzare il settore degli appalti di servizi. Questa nuova legge regionale ha inteso prevedere per il settore dei servizi: La cancellazione delle modalità di massimo ribasso e l’adozione della direttiva europea delle gare bandite con la procedura dell’offerta economicamente più vantaggiosa; L’obbligatorietà delle procedure del DURC e della certificazione antimafia; Il diritto delle parti sociali di vedere recepite le pattuizioni relative alle valutazioni orarie medie per la prestazione dei servizi; Capitolo 5. CCNL Turismo, vigilanza, imprese esercenti servizi di pulizie e cooperazione. L’immediato punto di riferimento per il sindacato è e resta comunque il CCNL dei settori ove è più frequente e si pone con la massima evidenza il problema dei cambi d’appalto nello specifico Turismo, Pulizie e Vigilanza e cooperazione. IL CCNL del Turismo dice che: Con riferimento agli appalti per la ristorazione collettiva, individua una serie di regole tutte finalizzate a garantire la giusta trasparenza nelle procedure nell’osservanza delle regole in materia di lavoro e di sicurezza. Il CCNL di categoria risulta chiaro ed esplicito, dall’articolo 329 all’articolo 333 viene riportata la procedura dei cambi d’appalto Articolo 329 La gestione subentrante assumerà tutto il personale addetto, in quanto regolarmente iscritto da almeno tre mesi sui libri paga-matricola della Gestione uscente, riferiti all'unità produttiva interessata, con facoltà di esclusione del personale che svolge funzioni di direzione esecutiva, di coordinamento e controllo dell'impianto nonché dei lavoratori di concetto e/o degli specializzati provetti con responsabilità di coordinamento tecnico funzionale nei confronti di altri lavoratori. Gli incontri di cui all'articolo 328 dovranno essere utilizzati anche per l'esame dei problemi e per la ricerca delle relative soluzioni, nei seguenti casi connessi a particolari situazioni dell'utenza che diano adito a ripercussioni sul dato occupazionale dell'impianto, inteso nelle sue componenti quantitative e qualitative: ccnl turismo – parte speciale 202 a) mutamenti nell'organizzazione e nelle modalità del servizio; b) mutamenti nelle tecnologie produttive; c) mutamenti nelle clausole contenute nei capitolati d'appalto; d) riduzione del numero di pasti/giorno conseguente ad un calo della occupazione nell'azienda appaltante. Articolo 331 (1) Per il personale per cui non sussista la garanzia del mantenimento del posto di lavoro, la Gestione subentrante e quella uscente si impegneranno in ogni caso a verificare e ricercare con le Organizzazioni Sindacali ogni possibilità di reimpiego, sempre che sussistano le specifiche condizioni previste dalla normativa di legge vigente per le assunzioni. Articolo 332: Le assunzioni saranno effettuate sempre che sussistano le specifiche condizioni previste dalle norme di legge vigenti (nulla osta per l'avviamento al lavoro, libretto sanitario ecc.). Qualora tali condizioni non sussistessero, la Gestione subentrante ne darà tempestiva comunicazione agli interessati. Il CCNL di Vigilanza privata: Con il presente CCNL si intende regolamentare la materia dei cambi di appalto e/o affidamento di servizio relativi ai cambi d’appalto e/o affidamento di servizio relativi a servizi di vigilanza sia con enti pubblici sia con Enti privati . Le condizioni per attivare la procedura sono ( art. 26): appalto e/o affidamento di servizio che comporti un impiego di guardie giurate non inferiore a 5 unità; appalto e/o affidamento di servizio che comporti per il soccombente una perdita percentuale della forza lavoro occupata , rispetto alla media nell’anno precedente , non inferiore al 3%; appalto e/o affidamento di servizio che determini,per l ‘Azienda uscente , una reale situazione di esubero con avvio di procedure per licenziamento collettivo e/o mobilità o perduto da un azienda già interessata negli ultimi 24 mesi a riduzioni di personale con attivazione degli ammortizzatori sociali . Ove non ricorra nessuna delle prime due condizioni unitamente alla condizione di cui al punto 3) la procedura non può essere attivata . Il personale interessato al cambio deve essere prioritariamente quello in attività da almeno sei mesi nel servizio appaltato e/o affidato . L’Azienda uscente richiede, direttamente o per il tramite dell’associazione di appartenenza , l’attivazione di un tavolo di confronto tra le parti imprenditoriali interessate alla procedura , con l’intervento delle OO.SS territoriali di categoria indicando ( art.27):

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il numero totale dei dipendenti in servizio e l’utilizzo medio degli strumenti della banca ore e dello straordinario nell’ultimo semestre ; ciò al fine di dimostrare che la perdita dell’appalto ha notevoli ripercussioni sui conti economici dell’azienda ; l’appalto e/o affidamento di servizio perso e la sua precedente durata temporale( durata che non può essere inferiore ad un anno); le ore di servizio da capitolato ed il conseguente numero di guardie giurate in esubero; eventuali ulteriori condizioni dell’appalto significative per individuare le figure professionali interessate diverse dalla semplice guardia giurata ; eventuali procedure di ricorso ad ammortizzatori sociali ad ammortizzatori o di riduzione di personale operante negli ultimi due anni; il numero medio di guardie giurate , suddivise per livello di inquadramento , utilizzate sull’appalto nel periodo precedente gli ultimi sei mesi La comunicazione dovrà essere trasmessa per conoscenza alla Direzione Provinciale del lavoro , alla prefettura , alla Questura , all’ente pubblico o privato che ha effettuato l’appalto , alle OO.SS territoriali , all’impresa che si è aggiudicata l’appalto e/o affidamento di servizio ed alle associazioni di categoria di appartenenza . Ove con il confronto, così disciplinato non sia possibile raggiungere un intesa tra le parti , la richiesta di incontro e mediazione sarà inoltrata con le stesse procedure alla direzione Provinciale del lavoro . La Direzione Provinciale del lavoro entro 10 giorni dal ricevimento della richiesta , acquisite se necessario , ulteriori documentazioni probatorie , fissa la data per un incontro da tenersi entro il termine massimo di 30 giorni dalla richiesta di avvio di procedura . Nel caso in cui i tempi decorrenti tra la comunicazione di cessazione dell’appalto e l’insediamento dell’azienda subentrante non fossero compatibili con le tempistiche sopra indicate , le procedure di cui sopra dovranno comunque essere espletate prima della data nella quale avviene il cambio di appalto. In mancanza di accordo , la Direzione provinciale del lavoro , in funzione di arbitrato , presenti le parti , emana una determinazione che prevede: il numero della guardie giurate interessate al passaggio ; le modalità per il trasferimento , le condizioni economiche e normative con cui saranno assunte; criteri di individuazioni delle unità interessate . Il verbale sarà notificato alle parti interessate per gli adempimenti di rispettiva competenza. Rilevato che il settore è caratterizzato, nella generalità dei casi, dalla produzione dei servizi tramite contratti di appalto e che da questo conseguono frequenti cambi di gestione fra le imprese con risoluzione di rapporti di lavoro da parte dell’impresa cedente e predisposizione delle necessarie risorse lavorative, con assunzioni ex novo, da parte dell’impresa subentrante, le Parti intendono tenere conto, da un lato, delle caratteristiche strutturali del settore medesimo e delle attività delle imprese e, dall’altro, dell’obiettivo di tutelare nel modo più concreto i livelli complessivi della occupazione. Le Parti convengono pertanto la seguente disciplina, valida per ogni tipologia giuridica di impresa produttrice di servizi, cedente o subentrante (società, cooperativa, ecc.), anche ai sensi dell’articolo 7, comma 4bis, del decreto-legge 31/12/2007, n. 248, convertito in legge 28/2/2008, n. 31. In ogni caso di cessazione di appalto, l’Azienda cessante ne darà preventiva comunicazione, ove possibile nei 15 giorni precedenti, alle strutture sindacali aziendali e territoriali competenti, fornendo altresì informazioni sulla consistenza numerica degli addetti interessati, sul rispettivo orario settimanale, indicando quelli impiegati nell’appalto in questione da almeno 4 mesi; l’azienda subentrante, con la massima tempestività, preventivamente all’inizio della nuova gestione e, ove oggettivamente ciò non sia possibile, in tempi utili e comunque su richiesta delle Organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del c.c.n.l. darà comunicazione a queste ultime del subentro nell’appalto. Alla scadenza del contratto di appalto possono verificarsi 2 casi: a) in caso di cessazione di appalto a parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali l’impresa subentrante si impegna a garantire l’assunzione senza periodo di prova degli addetti esistenti in organico sull’appalto risultanti da documentazione probante che lo determini almeno 4 mesi prima della cessazione stessa, salvo casi particolari quali dimissioni, pensionamenti, decessi; b) in caso di cessazione di appalto con modificazioni di termini, modalità e prestazioni contrattuali, l’impresa subentrante - ancorché sia la stessa che già gestiva il servizio - sarà convocata presso l’Associazione territoriale cui conferisce mandato, o in assenza presso la Direzione Provinciale del Lavoro o eventuale analoga istituzione territoriale competente, ove possibile nei 15 giorni precedenti con la rappresentanza sindacale aziendale e le Organizzazioni sindacali stipulanti territorialmente competenti per un esame della situazione, al fine di armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato, anche facendo ricorso a processi di mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro nell’ambito dell’attività dell’impresa ovvero a strumenti quali part-time, riduzione orario di lavoro, flessibilità delle giornate lavorative, mobilità.

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Nelle procedure di cambio di appalto l'impresa subentrante, fermo restando quanto previsto dalle lettere a) e b) di cui sopra, assumerà in qualità di dipendenti i lavoratori dipendenti e i soci–lavoratori con rapporto di lavoro subordinato trasferiti dall'azienda cessante. Ove l’impresa subentrante sia costituita in forma cooperativa, resta impregiudicata la successiva facoltà del lavoratore dipendente di presentare formale richiesta di adesione in qualità di socio. Al socio verrà comunque garantito un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal presente c.c.n.l. Tali assunzioni non costituiscono occupazione aggiuntiva. Nell’ipotesi in cui siano in atto, al momento della cessazione, sospensioni dal lavoro che comunque comportino la conservazione del posto di lavoro, il rapporto continuerà alle dipendenze dell’azienda cessante e l’addetto verrà assunto dall’azienda subentrante nel momento in cui venga meno la causa sospensiva. I lavoratori in aspettativa ai sensi dell’art. 31, legge n. 300/1970 saranno assunti dall’azienda subentrante con passaggio diretto e immediato. Gli addetti assunti con contratto a termine saranno assunti dall’impresa subentrante fino alla scadenza del rapporto originariamente determinato. In ogni caso di passaggio di lavoratori da una ad altra azienda ai sensi dell’articolo 4 del presente C.C.N.L., il periodo di apprendistato già svolto, rispetto al quale l’azienda cessante è tenuta a fornire idonea documentazione a quella subentrante, è computato per intero ed è utile ai fini dell’anzianità di servizio. L'azienda uscente deve consegnare all'impresa subentrante l'elenco del personale così composto: -nominativo; - data di assunzione nel settore; - data di assunzione nell'azienda uscente; - orario settimanale; - livello di inquadramento; - codice fiscale. Deve inoltre fornire la seguente documentazione: - applicazione D.lgs. n. 626/1994; - formazione; - documentazione sanitaria, entro i limiti di riservatezza stabiliti dalle normative vigenti; - lista eventi morbosi sino a tre anni prima del cambio di appalto; - lista personale assunto ex legge n. 482/1968 e n. 68/1999. La conclusione ci porta comunque a ribadire che nonostante i progressi nel campo non è possibile affermare che la strada in direzione di un “risanamento” della materia appalti sarà, da ora in poi, tutta in discesa. Pur tuttavia gli interventi sin qui descritti a tutti i livelli, vanno nella direzione della imparzialità, trasparenza e libera concorrenza, proprio quei principi che agli albori della legislazione sulla materia sono stati considerati come imprescindibili e irrinunciabili. L’analisi del territorio e delle sue realtà, la mappatura delle aziende presenti, sono, intanto, passi necessari, che abbiamo inteso realizzare, per una comprensione a più ampio spettro dei metodi di lavoro che ciascuna adotta e , di contro, delle “ deviazioni” che devono essere corrette o frenate. Nel campo degli appalti si è tentato nel corso di questi anni, di realizzare svariati esami radiografici al fine di consentire di guardare “oltre”, di attivare , per tempo e consapevolmente , azioni mirate a tutela del lavoro e dei lavoratori. Occorre a mio avviso, confrontarsi costantemente (o avere l’opportunità di) con la P.A., gli organismi a livello comunale, provinciale e regionale, al fine di poter arginare, con il nostro intervento, situazione di degenerazione a qualsiasi livello per garantire innanzitutto il diritto costituzionale del lavoro da ottenersi, nel caso degli appalti, con una competizione trasparente sul terreno della qualità.

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Gli appalti in Europa: la normativa europea – comparazione (Monica Zambon) Nel contesto del mercato unico europeo la tutela dei lavoratori rappresenta, per chi si focalizza solo sull’aspetto di libera circolazione di merci, un ostacolo per la libera concorrenza. Le azioni più criticate della comunità europee prendono la forma delle direttive, quali ad esempio la Bolkestein, ma in realtà la questione è più complessa; infatti tali azioni non risultano sufficienti a sanare le carenze del trattato di Lisbona. Nell’analisi del caso ‘’Rüffert’’ emerge una carenza normativa che rischia di lasciare troppo spazio ad una giurisprudenza che regola i fenomeni di volta in volta, mettendo a rischio i diritti sindacali conquistati e consolidati nel tempo. Trattando degli scioperi anti-italiani si parla dei primi episodi di lavoratori dislocati in un altro paese della comunità europea che costano, all’azienda Europea che vince l’appalto, meno di quelli che vivono e lavorano nel paese dove l’appalto verrà eseguito. Attività sindacale (CCNL) e diritti dell’economia attraverso la mobilitazione dei sindacati contro le differenze retributive nonché quelle normative tra i lavoratori europei. Consumatori o lavoratori? Tra le due posizioni è importante che venga trovata un’armonia sociale.

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Sindacato e “sistema appalti”: la confederalità (Francesca Gentili)

In tempi come quelli che stiamo attraversando, che vedono la CGIL al centro di una forte e pesantissima azione di isolamento e di discredito, l’Organizzazione deve ritrovare la forza e la capacità di auto-rigenerarsi attraverso un attento e capace utilizzo delle proprie risorse interne. L’ancora di salvataggio fa già parte del tessuto sindacale, ma va nuovamente riscoperta e soprattutto valorizzata a dovere. Il punto da cui ripartire è probabilmente la Confederalità. La Confederalità, intesa come identificazione e sinergia, come opportunità di relazione e di intreccio di informazioni, deve necessariamente trovare una sua realizzazione soprattutto per favorire i rapporti tra tutte le Categorie che compongono l’Organizzazione, i servizi e le leghe. C’è bisogno, oggi più che mai, di un’operazione di riqualificazione, poiché se è vero che la “ confederalità” è niente di meno che la radice che sta alla base dell’operato sindacale, essa deve tornare ad essere compiutamente l’essenza che permea la condotta e l’azione delle categorie, tra di loro in primis e, soprattutto, fra esse e la confederazione della Cgil a tutti i livelli. Analizzare in modo analitico e scientifico tale processo di modificazione non risulta essere semplice, proprio alla luce di una valenza che lo stesso assume in termini politici e ,aggiungerei, culturali. Il tentativo infatti di un’analisi politica, riporta necessariamente ad una valutazione di tipo storico e ad un rimando della genesi che ha segnato la nascita della CGIL. Per poter capire a fondo i processi e gli sviluppi che ci hanno portato sino ad oggi, e poter progettare un futuro che sia in linea con la nostra storia, è necessario infatti andare ad esplorare l’anima vera di questo nostro Sindacato, che è nato in risposta ad un’esigenza di quei lavoratori che condividevano gli stessi principi e le stesse necessità, che si sono riassunte e materializzate al Congresso di Milano dal 29 settembre al 1° ottobre del 1906, anno della fondazione della Confederazione Generale del Lavoro (CGDL). L’obiettivo era inizialmente quello di costruire una organismo in grado di concentrare e coordinare tutte le forze operaie anche se in seguito l’operato della Confederazione invece, si intrecciato con tutta una serie di eventi politici ed economici del nostro paese che hanno portato nel tempo a profondi cambiamenti, determinando nuove strategie nel dialogo sociale, tra le istituzioni e le organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio. Il Sindacato ha avuto il pregio di comprendere e saper interpretare le richieste e le necessità della mobilitazione operaia, unitamente all’agitazione antifascista di quegli uomini e donne le cui condizioni di vita e di lavoro erano divenute davvero insopportabili. Nacque la Cgil e vennero gettate le basi per un’esperienza che non aveva precedenti nella storia di un Sindacato, che fino ad allora non aveva mai conosciuto l’unità e la confederalità, ma soltanto divisioni e forti contrapposizioni. Quello di Giuseppe Di Vittorio fu un Sindacato che potremmo definire progressista. Era un Sindacato che poneva al centro delle proprie scelte e strategie, problemi di carattere sociale ed economico e che guardava alla ricostruzione del paese attraverso l’ impiego ed il sostegno dei lavoratori, la vera e forse l’unica ricchezza rimasta inespressa nell’Italia di allora. Era un Sindacato che rivendicava l’importanza delle politiche territoriali in relazione allo sfruttamento delle risorse energetiche presenti e la necessità di ricercarne di nuove, che poneva particolare attenzione al welfare e più in generale a tutti i bisogni dei lavoratori e dei cittadini. Era un sindacato che sapeva stare con i lavoratori e sapeva fare per i lavoratori: il sindacato erano i lavoratori. Ci sono stati momenti però, in cui il sindacato ha pagato duramente la mancanza di un’analisi approfondita delle mutazioni che avvenivano al proprio interno ed all’interno delle nuove realtà aziendali. In particolare quando non ha saputo cogliere gli aspetti specifici dei processi produttivi che si profilavano e che stavano determinando nuove e più complesse forme di lavoro tant’è che la sottovalutazione dei mutevoli processi in corso, la mancanza di una discussione seria ed equilibrata all’interno dell’Organizzazione, unitamente al mantenimento di schemi generici e superficiali, costarono il distacco tra i vertici del Sindacato e la classe operaia. Una debolezza, quindi, pagata a caro prezzo che viene poi colmata in parte con il rilancio di una politica di interventi mirati, legati appunto alle specificità aziendali, oltre che di settore - seppur con una ferma valorizzazione della contrattazione nazionale – e dall’altra parte con uno straordinario richiamo all’unità sindacale. La storia ci insegna che è sempre importante e prioritario recuperare e rafforzare, oltre che accrescere e consolidare il rapporto con i lavoratori, a maggior ragione in un mondo come quello di oggi, laddove il concetto di divisione sembra essere la parola d’ordine; la confederalità quindi, intesa come elemento di unione, scambio, collaborazione, e sinergia, assume nuovamente un significato ed una valenza fondamentale, insomma, una risorsa da cui ripartire. I cambiamenti accorsi negli ultimi anni nell’ambito dell’organizzazione del lavoro e soprattutto la frammentazione intervenuta nei vari settori, che ha coinvolto i processi produttivi, hanno determinato la nascita e favorito lo sviluppo di un sistema di esternalizzazioni, soprattutto nel nostro settore. Si fa sempre più ricorso al subappalto ed alle subforniture di lavoro, tanto da determinare, di contro, la necessità di

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procedere ad una revisione e ad un ammodernamento del sistema di relazioni e di comunicazioni all’interno della Confederazione e fra gli stessi lavoratori che, seppur si trovano a dover condividere i medesimi spazi di lavoro, spesso hanno condizioni ed esigenze completamente diverse. E’ una nuova condizione che mette a dura prova la “rigidità” del Sindacato anche in termini di tutele collettive. Si rende necessario infatti, distinguere le necessità dei singoli lavoratori che operano in comparti diversi e che hanno situazioni lavorative completamente differenti, sia in termini di stabilità che di qualità occupazionale. A volte il rischio che si corre nel dover rappresentare tante diversità è quello di diventare un Sindacato che fa una politica di scelte troppo generica e non generale per i lavoratori Il sindacato ha quindi, sempre di più, la necessità di mettersi in discussione relativamente all’intercettazione dei “nuovi bisogni”, ricorrendo ad azioni di decentramento territoriale, piuttosto che all’ampliamento dei servizi, adottando nuove strategie che siano in definitiva più rispondenti anche alle nuove figure professionali che negli anni si sono delineate. La confederalità ingloba tutto questo: l’efficacia cioè di riuscire a rappresentare interessi diversi e di portarli a sintesi (quelli dei lavoratori, operatori, giovani, donne, anziani, migranti) in considerazione ed unitamente ad una nuova flessibilità del lavoro e del profilarsi di un diverso grado di stabilità occupazionale. In gran parte è stato quest’ultimo nuovo elemento a contribuire alla destabilizzazione ed alla messa in crisi del mondo del lavoro, influendo di conseguenza su tutto il sistema che ruota attorno al mondo dei consumi. Precarietà e perdita di fiducia nel futuro, fanno rima infatti con riduzione dei consumi e quindi con flessione dei mercati. Si sono venuti a creare sistemi diversi che vanno rappresentati in un progetto capace di tutelare ed estendere i diritti civili e sociali, individuali e collettivi, portandoli a base di un sistema di rapporti che consenta alla CGIL di esprimere le proprie scelte ed i propri orientamenti in virtù di un confronto con i propri iscritti ed internamente alla propria organizzazione. C’è un bisogno impellente alla base di questa strategia confederale, un obiettivo da perseguire a tutti i costi: l’unità. Unità che non significa soltanto aggregazione, ma anzi, solidarietà e condivisione. Il rapporto tra le Categorie: il caso C’è bisogno di ripartire dai luoghi di lavoro, dalla loro attuale segmentazione e polverizzazione attraverso un’operazione di riunificazione, che avrà come risultato anche quello di valorizzare l'unità sociale e culturale del territorio attuando una riedificazione dei rapporti e degli scambi soprattutto interni all’organizzazione, tale da consentire la ricomposizione degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici, dei pensionati, dei migranti, degli studenti e di tutti quei cittadini che, all’insegna della confederalità, possono vedersi riconosciuti i loro diritti. Purtroppo c’è molto da fare e lo dimostrano i numerosi casi di “corti circuiti” che si verificano tra categorie e che rischiano di vanificare uno degli obiettivi primari che la nostra confederazione si pone di realizzare, ovvero quello di poter estendere a tutti i lavoratori maggior diritti e maggiori tutele. Un classico esempio che può essere chiamato a rappresentare quello che abbiamo sin’ora descritto è il caso della Società IRBM presente nel polo industriale di Pomezia in provincia di Roma. Ovvero una Società la IRBM (un Istituto di Ricerche di Biologia Molecolare) nella quale è presente il sistema delle esternalizzazioni e degli appalti,(servizio di mensa e di pulizia). La multinazionale farmaceutica MERCK di cui fa parte la Società IRBM, in seguito ad un piano di razionalizzazione che prevede il taglio di circa 7.000 posti in tutte le sedi internazionali e la chiusura di alcuni siti tra cui Pomezia, ha attivato ad Ottobre 2008 un tavolo con la Filcem che è la categoria di riferimento del settore. Purtroppo come spesso accade, il coinvolgimento della Filcams non è stato neppure considerato, né dalla stessa Filcem né tantomeno da parte della Società IRBM , sebbene la nostra Federazione sia rappresentativa di una parte dei lavoratori presenti. Non possiamo permetterci, specialmente all’interno della nostra organizzazione, di non adottare ogni forma di tutela possibile nei confronti di tutti i lavoratori presenti nei siti produttivi; dobbiamo necessariamente intrecciare l’operato di tutte le categorie rappresentative e non concedere il minimo spazio quindi alle politiche di ridimensionamento e tagli selvaggi operati dalle aziende. Soprattutto perché in questo si rischia di creare una forte disparità di tutele tra i lavoratori interessati e si mancherebbe nell’attuazione di una corretta politica sindacale. Tutto quanto sopra, dovrà avvenire ovviamente nel pieno rispetto delle titolarità contrattuali di ognuno ma in virtù di un risultato comune e condiviso, perché se non colmate, queste lacune produrranno un danno a totale discapito dei lavoratori e purtroppo, anche della confederazione stessa, perché si riveleranno fallimentari sotto tutti i punti di vista. Tale rappresentazione purtroppo, non è assolutamente un caso isolato e spesso ci troviamo di fronte ad una mancanza di comunicazione ed informazione che si tramuta necessariamente in un’ assenza di garanzie e di sostegno per quei lavoratori. Lavoratori che non vengono considerati e vengono quindi dimenticati nei processi di crisi aziendali, per il fatto forse, che trattandosi di personale “esterno” , vengono marginalizzati dall’Azienda , che tende quindi a focalizzare la propria attenzione unicamente sui lavoratori che fanno parte del proprio “core business”. Tale sottovalutazione forse trova una suo perché anche in ragione di un’ inferiorità numerica che spesso interessa i lavoratori facenti parte degli appalti, quasi a testimonianza che il

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destino dei lavoratori dell’appalto, in questi casi, è nulla a confronto di quello dei dipendenti “diretti” dell’Azienda e per i quali quest’ultima, dà prova di un diverso grado di responsabilità sia in termini di informazione che di gestione. La considerazione che un’Azienda o un qualsiasi ente committente ha nei confronti del personale facente parte di un appalto esternalizzato, quindi, è a dir poco opinabile anche in considerazione del fatto che questi lavoratori e lavoratrici spesso iniziano il proprio rapporto di lavoro nel momento in cui la stessa Società intraprende il suo percorso e la accompagnano per tutta la sua durata, salvo terminare precocemente appunto per via di mere politiche di ottimizzazione economica. In ogni modo, parlando dei lavoratori in appalto, ci accorgiamo invece di quanto questi siano assolutamente legati all’andamento economico e gestionale dell’Azienda tanto che, pur non avendo alcun tipo di incidenza sulle scelte che la stessa porta avanti, ne patiscono ogni ripercussione ed anzi sono i primi a doverne pagare le scelte di razionalizzazione . Volendo analizzare quindi in maniera asettica il fenomeno degli appalti ci si accorge di quanto numerose e sostanziali siano le contraddizioni interne ed esterne a questo settore. Ad esempio: i servizi comunemente più esternalizzati sono quelli della mensa, delle pulizie, della manutenzione, della vigilanza. Sono spesso reputati servizi accessori e quindi marginali in quanto considerati non facenti parte dell’attività principale dell’azienda o comunque “convenienti” da appaltare. Si tratta di quei servizi per i quali l’Azienda è disposta a sacrificare qualsiasi tipo di investimento, e che in caso di evenienza vengono utilizzati come bacino “sacrificale”. Ma se provassimo a ragionare nello specifico certamente ci accorgeremmo di quanto questi servizi siano assolutamente indispensabili e funzionali al buon andamento delle attività tanto da essere considerati essenziali ed irrinunciabili. Sarebbe auspicabile pensare che quello descritto sia un caso isolato ma ci sono centinaia di “casi IRBM” in tutta Italia e le esperienze che ci siamo scambiati durante la partecipazione al Master hanno avvalorato tale tesi. I “corti circuiti” quindi sono davvero numerosi. C’è un problema di comunicazione tra le diverse Categorie della Cgil, e c’è di conseguenza un problema di comunicazione tra le categorie e la Cgil confederale: rischia di esserci quindi un problema di confederalità. Sicuramente per evitare tutte queste possibili problematiche, una delle scelte prioritarie interne alla Confederazione dovrebbe essere quella di un maggiore coordinamento interno per una più efficace comunicazione, volta all’attuazione di una migliore contrattazione decentrata. L’obiettivo è quello di consolidare esperienze di questo tipo laddove siano già presenti, e sperimentare azioni contrattuali intercategoriali, come già detto nel pieno rispetto delle titolarità contrattuali, per ottenere così un maggiore consolidamento della rappresentanza e porre un argine a fenomeni di esternalizzazioni o di appalto selvaggi, che sono motivati unicamente da una politica di risparmio sostenuta esclusivamente dai lavoratori. Queste condizioni di affidamento dei servizi e la conseguente frammentazione, rischiano, di contro, di vanificare gli sforzi di intento messi in campo dalla Cgil relativi ad una ricomposizione determinando il ricorso ed alla diffusione capillare di una contrattazione di sito, di distretto, oltre che di filiera. Ritengo che ci debba essere una coerenza di fondo nel riconoscere ai servizi in appalto, e quindi ai lavoratori interessati, una parificazione di trattamento rispetto ai lavoratori diretti, in termini di tutele e protezioni sociali, perché sono comunque lavoratori che hanno in prospettiva meno tutele degli altri loro colleghi, anche in termini di ammortizzatori sociali. Questi lavoratori sono in balia delle numerose aziende e cooperative che si avvicendano nella gestione degli appalti. Ogni cambio di appalto si rivela per loro un incubo, perché ogni nuovo datore di lavoro tenta di ottenere un più alto margine di profitto del precedente, e sembra quasi che trovi “divertente” ridisegnare, a prescindere, l’organizzazione del lavoro in virtù di modifiche più o meno sostanziali dei carichi di lavoro, degli orari e delle percentuali di produttività. Tutto questo si traduce per il lavoratore in uno sconvolgimento della propria attività e della propria vita. Ai lavoratori operanti negli appalti si chiede sempre di più e ad ogni costo si cerca di ottenere da loro il massimo della flessibilità, limitandone fortemente le autonomie personali a scapito di una legittima conciliazione dei loro tempi di vita e di tempi di lavoro. Si provvede ad una sempre crescente riduzione dei parametri e a continue variazioni temporali degli orari:tutto viene concepito in funzione di un unico ed impellente obiettivo, ovvero aggiudicare la gara di appalto al minor costo possibile. Sebbene il risparmio sia considerato una scelta apprezzabile in una logica di mercato, i tagli smisurati legati al costo del lavoro, unitamente al continuo ricorso al sistema del massimo ribasso, nel medio e lungo periodo limitano i vantaggi di questa politica di spesa. Per assurdo infatti il risparmio iniziale potrebbe tradursi in un rischio per le stesse committenti, che potrebbero, in una delle ipotesi, non ottenere la completa erogazione del servizio appaltato, oppure come spesso accade, si potrebbe arrivare al mancato rispetto delle normative in termini di applicazione delle regolamentazioni sulla sicurezza e di igiene nei posti di lavoro da parte delle ditte appaltatrici, riducendo fortemente le risorse previste per questi capitoli di spesa. In ultimo , ma è sovente la situazione più ricorrente, le aziende appaltatrici decidono di derogare rispetto all'applicazione della parte economica prevista dai contratti con tutte le conseguenze che possiamo immaginare in termini di penalizzazione per i lavoratori. Tutto questo nonostante una dichiarata essenzialità ed irrinunciabilità dei servizi tali da arrivare addirittura a limitarne, attraverso una normativa specifica, il diritto di sciopero. E’ certamente un controsenso: sono in percentuale i lavoratori che hanno più difficoltà a farsi riconoscere i propri diritti, e di contro sono i più limitati

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nell’espressione del proprio dissenso e delle proprie rivendicazioni. Sarebbe però possibile migliorare in parte la situazione se, in virtù di quella confederalità più volte richiamata, si arrivasse a sensibilizzare gli stessi lavoratori già presenti nei luoghi di lavoro , rispetto ad un loro concreto e fattivo interessamento nei confronti di quei colleghi che spesso sono visti come estranei e percepiti come intrusi. In questo caso l’elemento di confederalità che dovremmo fare emergere è quello della solidarietà. Dobbiamo convincerci e convincere tutti i lavoratori che sono presenti in uno stesso sito, fabbrica, centro commerciale etc. che la possibilità di ottenere maggiori risultati in termini di contrattazione e di realizzazione, è determinata soprattutto dall’unità interna dei lavoratori. La confederalità che può intervenire in aiuto dei lavoratori operanti negli appalti, quindi non può e non deve provenire unicamente da un sistema di tutele verticali, che partono cioè dall’alto della Federazione attraverso la sottoscrizione dei contratti nazionali e dall’intervento della Confederazione. C’è bisogno per lo più di una confederalità orizzontale che passi attraverso la solidarietà, appunto, ed il supporto dei lavoratori diretti e già presenti nei luoghi di lavoro tra di loro e con gli altri lavoratori. Non dimentichiamo che i lavoratori operanti negli appalti spesso sono donne, con una consistente presenza di lavoratori migranti, e proprio in ragione di ciò questa unione, che inizialmente sarà fragile e difficile da attuare, avrà il grande pregio di essere anche il volano della ricomposizione sociale di cui questo paese necessita fortemente. Laddove questi elementi di coesione troveranno un punto di incontro, è lì che si otterranno i migliori risultati. In tutta questa discussione dove è forte il richiamo all’unità ed alla collaborazione non ritengo assolutamente esclusi il sistema delle tutele e dei Servizi della CGIL ovvero l’intera struttura di coordinamento e di indirizzo di tutte le attività offerte alle persone che cercano una risposta ai problemi incontrati nell' attività lavorativa, nei rapporti con il fisco, in campo previdenziale, nella tutela della salute o nell' accesso ai servizi sociali alla persona. Stiamo parlando degli sportelli INCA, dei CAAF piuttosto che degli Uffici Vertenze , degli Sportelli di Orientamento Lavoro etc. Non si può pensare di raggiungere un elevato grado di Confederalità se tralasciamo l’importanza del lavoro svolto da chi opera in questi servizi, che spesso sono il punto di incontro tra la Confederazione ed i lavoratori, i pensionati, piuttosto che i migranti, i giovani, gli studenti. Sono i luoghi in cui maggiormente si ricompongono tutta una serie di bisogni che sono il welfare territoriale dei cittadini e dove si palesano le inaccessibilità ai servizi sociali dei soggetti. Per assolvere compiutamente all’ operazione di soddisfazione dei bisogni, diversi che siano, riteniamo fondamentale che tutti gli addetti ai servizi siano informati sull’importanza della propria messa in rete con le categorie e in particolar modo con le confederazioni territoriali, al fine di promuovere azioni utili alla realizzazione di una politica confederale che non rischi ,invece, di tramutarsi unicamente in una operazione di informativa per gli utenti. In questo senso è basilare una formazione sindacale degli operatori ,nell’intento di renderli consapevoli rispetto alla struttura della Confederazione e rispetto alle competenze di ogni categoria. Per conseguire l’ obiettivo che la Cgil si pone nella società di oggi, è necessario dunque, ripensare alla forma dei servizi sociali che essa garantisce e che devono assolutamente trasformarsi da erogazione di prestazioni materiali, a pratiche interattive, che qualifichino ed amplifichino le possibilità di partecipazione collettiva. È ovvio che tutto questo consentirebbe soprattutto di consolidare e rilanciare il concetto di confederalità in quanto si salderebbero i legami della rete interna alla CGIL e si utilizzerebbero le informazioni raccolte dai vari uffici, filtrandole e rielaborandole in funzione di una costruzione di rivendicazioni sindacali e sociali. Per meglio chiarire, basti pensare alle richieste di permesso di soggiorno fatte dagli immigrati, ad esempio, in continuo aumento, per avere un idea di quanti soggetti sono presenti sul territorio nazionale ed a quali condizioni. La CGIL ha sempre dimostrato una profonda sensibilità rispetto al tema, in quanto la loro presenza è da sempre considerata una ricchezza culturale, e non solo, per la nostra società. Le proposte e le modifiche rispetto ad una legislazione corrente che lede i diritti degli immigrati, e li vincola al riconoscimento del permesso di soggiorno esclusivamente in relazione alla propria situazione occupazionale, sono infatti al centro delle rivendicazioni sindacali e di una politica inclusiva e costruttiva basata sui diritti della persona. Si lavora per ridurre e cancellare tutte le forme di discriminazione istituzionale e non, attraverso proposte che prediligono la parità di trattamento. Quelli che vengono registrati presso gli uffici dei servizi, insomma, sono dati davvero importanti per la CGIL così come è davvero importante che avvenga una circolazione delle informazioni raccolte. E' necessario che gli addetti agli sportelli vengano formati ed informati rispetto al contesto nel quale andranno ad operare. Nel momento in cui vengono chiamati a collaborare con la nostra Organizzazione, essi debbono essere consapevoli appunto della propria funzione e del ruolo svolto dedicando loro una vera e propria formazione che contenga anche la storia del Sindacato e della nostra Organizzazione in particolare, di modo che possano capacitarsi che il loro ruolo è molto diverso da quello che hanno svolto magari nelle precedenti esperienze lavorative, proprio in considerazione del fatto che la Cgil non è un posto qualsiasi dove lavorare. È importante prendere coscienza delle peculiarità di questa Organizzazione e focalizzare che il valore aggiunto è proprio quello che viene apportato da ogni singolo funzionario, delegato, operatore che ruota ed opera in sinergia con tutto il resto della Confederazione. E' fondamentale che essi abbiano un forte e stretto legame con il resto dell' Organizzazione e si rendano artefici di un collegamento che unisca in maniera funzionale e non solo l'operato di tutti; non siamo parti scollegate tra loro, anzi. Gli obiettivi di ognuno possono e debbono

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diventare gli obiettivi di tutti, proprio in virtù del fatto che non ci debbono essere interessi di singoli e tanto meno interessi diversi o divergenti. La Confederalità è anche questo. Portare a sintesi e ricondurre ogni singola battaglia ed ogni probabile vittoria in un terreno comune che diventi il patrimonio di tutta la Cgil. Tutto quello che abbiamo descritto sin’ora ci deve convincere dell’importanza e della valorizzazione della Confederalità. La storia, come abbiamo già ricordato, ci insegna che quando si lotta e si fanno rivendicazioni unitarie, si ottengono i migliori risultati. Ebbene quest’analisi non voleva assolutamente essere riduttiva e seppur affrontata con ampi riferimenti alla confederalità interna non esclude un’analisi più ampia. Abbiamo relazionato dell’unità interna alla Cgil, perché è da questo punto che era necessario partire, ma non possiamo dimenticare e tralasciare l’importanza dell’ intesa tra la Cgil e le altre confederazioni sindacali. Il rapporto tra Cgil Cisl e Uil ha subito vari cambiamenti nel corso degli anni, a volte prendendo strade diverse e discutendo nel merito delle questioni, ognuno nel pieno rispetto delle altrui posizioni. Altre volte l’intesa è stata completa ed ha portato a risultati importanti e fondamentali per la storia sindacale. Non è quindi la prima volta che, guardando al nostro passato, assistiamo ad una contrapposizione così forte ed una spaccatura così netta tra la Cgil e le altre due confederazioni, anche se quella dei giorni nostri sembra molto diversa. Forse la diversità sta nel fatto che il consolidamento di questa frattura coincide con una delle più grosse crisi economico-finanziarie e sociali degli ultimi decenni, o forse la diversità sta nel fatto che diversamente da altre volte, c’è una forte preoccupazione rispetto ad un possibile ripristino di una confederalità, così come l'abbiamo da sempre immaginata tra i sindacati. Queste pagine di storia sindacale e sociale che si stanno scrivendo, verranno ricordate e descritte probabilmente, come brutte pagine di divisione e di conflitto, tra Organizzazioni che hanno sempre avuto obiettivi comuni e condivisi, molto spesso appassionati e rilevanti, che si potrebbero riassumere nella difesa dei diritti, nell’allargamento delle tutele ai lavoratori che non ne hanno, e nelle rivendicazioni di migliori condizioni di vita e di lavoro per tutti. Uno sguardo indietro per ricordare come negli anni ’70 ed 80, quando dopo una serie di vicissitudini e di scontri, si riconquista l’unità sindacale. Poi ci fu l’accordo di San Valentino e si riaprì il baratro della divisione. Oggi come allora, la divisione sta in un modo diverso di affrontare le cose. C’è chi accusa la Cgil di essere incapace di trovare soluzioni riformiste in relazione al nuovo assetto lavorativo venutosi a creare nel corso degli anni, a causa soprattutto di una continua ricerca di salvaguardia di quelli che qualcuno definisce “privilegi” di alcuni (dipendenti pubblici e pensionati).Personalmente non credo che dare seguito alle richieste, seppur relative ad un'unica parte dei propri associati, significa privilegiarli, anzi, ritengo che sia assolutamente legittimo ed è quello che ogni sindacato dovrebbe fare se vuole essere considerato rappresentativo, purché ovviamente non ci si dimentichi degli altri. Ma al di là di questo, probabilmente la domanda a cui tutti noi cerchiamo di dare oggi una risposta è: come uscire dalla crisi? Se insieme, ovviamente è meglio, mi verrebbe da dire. Non possiamo tralasciare il fatto che questa crisi vede i lavoratori doppiamente colpiti, sia in qualità di cittadini, in relazione alla fruizione dei servizi sociali ad esempio, sia nella veste di consumatori. Insomma comunque e doppiamente penalizzati dai riflessi di questa loro condizione. E’ ovvio che le aspettative di tutela che si creano in situazioni come questa, sono molto profonde e non sempre si trovano le risposte più adeguate. Il sindacato diventa una figura di riferimento fondamentale per chi perde l'orientamento in una fase di grande difficoltà economica e soprattutto sociale. Il modello sindacale in questo caso ha la responsabilità di doversi prefigurare non solo come un punto di riferimento, ma anche come il soggetto che riesce ad elaborare e trasmettere una serie di elementi e soluzioni che possano essere considerati alla stregua di un faro in un mare fortemente agitato e deregolamentato dai venti della crisi. Le previsioni rispetto ad un possibile futuro scenario sono di due tipi. Nel primo caso, pur di arginare le proprie incertezze ed aspettative future le Aziende potrebbero avvertire la necessità di rinsaldare il sistema alla base delle relazioni sindacali, ricercando soluzioni condivise con le associazioni sindacali al fine di condividerne il percorso. Nel secondo caso invece, avvertita l’evidente debolezza delle organizzazioni sindacali e del loro operato, le imprese potrebbero decidere di ignorarle completamente in quanto considerate marginali piuttosto che inutili, rispetto all'ottenimento di un qualsiasi contributo che consenta una possibile uscita dalla situazione di crisi. Nell'eventualità che si verifichi il secondo caso che abbiamo descritto, lo stesso Crouch, le cui considerazioni ritengo assai interessanti, ammette che si potrebbe correre il rischio che si determinino episodi di “protezionismo sociale” a seguito dei quali , i cittadini/lavoratori di un paese, “si sentono membri di nazioni diverse piuttosto che di una stessa classe sociale”, dando luogo ad episodi come quelli avvenuti in Gran Bretagna, nei confronti dei lavoratori italiani operanti per la Total. La crisi economica può rappresentare un’ occasione, quella di riesaminare ad esempio gli accordi economici globali cercando di realizzare contestualmente delle riforme che consentano una stabilità di lungo periodo e che possano contribuire alla realizzazione di un sistema più trasparente. Nel mondo sindacale questo potrebbe trovare applicazione in un sistema di rapporti internazionali tra le varie organizzazioni che possano confluire in una politica comune sancita appunto da un coordinamento transnazionale che possa fornire al sindacato internazionale le giuste basi di partenza. È ovvio che inizialmente esse avranno radici sicuramente territoriali, ma è pur vero che qualora fossero debitamente riorganizzate e ripensate nella forma, ovviamente non nella sostanza, saranno il giusto contributo di ogni paese alla nascita di una politica più

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inclusiva e globale. È pensabile che, anche in questo caso, la confederalità possa rivelarsi la cura migliore contro il declino che investe il settore economico, sociale e del mondo del lavoro, che come abbiamo detto, non riguarda solo il nostro paese, ma travolge l’Europa intera ed i paesi oltre oceano. L’unificazione del mondo del lavoro, la ricerca di soluzioni adeguate e stabili destinate alla definizione di nuove politiche sociali, il prendere coscienza e consapevolezza del fatto che non possono essere unicamente la creazione ed il mantenimento fine a se stesso di ricchezze finanziarie a determinare le scelte importanti di un paese, possono e devono essere l’esempio da seguire per dare un senso al termine nuovo della confederalità globalizzata, per ridisegnare nuovi principi condivisi basati sull’importanza rappresentata dal mondo del lavoro, quale base fondamentale della nuova società contemporanea. In conclusione potremmo dire che ancora una volta la Confederalità può essere la soluzione ed il punto da cui ripartire: non può essere l’obiettivo, ma deve essere la premessa. Possiamo superare la crisi che coinvolge il mondo sindacale e quella più generale del nostro paese se uniamo tutti gli sforzi e li indirizziamo verso un obiettivo comune e di interesse generale. Non bisogna dimenticare il ruolo del sindacato, la sua storia, i risultati che si sono ottenuti ed i cambiamenti che si sono avvicendati. Non credo ci sia niente di nuovo da inventare, ma soltanto qualcosa da recuperare e consolidare: la confederalità.

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Un laboratorio di idee per la ricomposizione sociale del lavoro. Quali ulteriori proposte efficaci e innovative: un nuovo laboratorio di idee (Fabio Fois) Il lavoro che si è realizzato descrive la situazione attuale del mercato del lavoro cercando di fare una analisi sulla necessità di portare a ricomposizione sociale la frammentazione che ha subito negli ultimi anni proponendo quale può essere il ruolo della nostra organizzazione sindacale in questo contesto. Quali strumenti possiamo utilizzare infatti per portare a ricomposizione sociale il “luogo del lavoro” dando efficacia innovativa alla nostra rappresentatività, è la domanda alla quale un sindacato moderno non può sottrarsi . E’ necessario implementare il piano delle azioni strategiche individuando gli ostacoli e le criticità che possono impedire la reale attuazione di questo passaggio intensificando la nostra azione concreta con nuove proposte efficaci e innovative che partendo dai nuovi bisogni e necessità che provengono dal mondo del lavoro, cerchi di migliorarne le condizioni. L’organizzazione del sistema produttivo è iniziata a cambiare notevolmente a partire dagli anni settanta con il superamento del modello fordista soprattutto in quei paesi tecnologicamente più sviluppati che sono stati interessati da un insieme di trasformazioni economiche, istituzionali e sociali, tanto profonde da determinare un vero e proprio passaggio di fase. Con la crisi di questo sistema si è passati da una struttura di tipo verticale o a piramide caratterizzata da imprese fortemente integrate che svolgevano al proprio interno numerose attività, ad una struttura di tipo orizzontale a rete, costituita da rapporti negoziali con altre imprese alle quali sono stati affidati singoli elementi del ciclo produttivo e servizi, che prima erano di competenza dell’impresa principale. Si sono modificate le forme e la regolamentazione del lavoro oltre che la sua organizzazione e rappresentanza comportando il rischio di un ridimensionamento del ruolo contrattuale del sindacato, una crisi della contrattazione collettiva associata a una contemporanea crescita di forme di individualismo contrattuale. Il cambiamento inoltre non si è fermato alla fabbrica ma ha investito il territorio, la società, i rapporti economici, istituzionali, politici, che a livello sociale e territoriale si sono determinanti. Siamo nell’epoca del post-fordismo, in cui si evidenzia sia l’indebolimento dei legami collettivi, sia la costituzione di fenomeni reticolari che caratterizzano le esperienze individuali. Ed è in questo nuovo sistema a rete che nei processi produttivi si inizia a parlare appunto dei fenomeni di esternalizzazione, terziarizzazione ed outsourcing che determinano una modifica alla organizzazione del lavoro coniugando questa scomposizione ad elementi di flessibilità che sempre di più hanno arrecato notevoli svantaggi ai lavoratori. Se si guarda infatti al “ mondo degli appalti di servizi” nel momento in cui si affida la gestione di attività quasi esclusivamente ad aziende esterne si può notare come da una parte si tenda ad allontanare la responsabilità del datore di lavoro principale dal controllo dei singoli servizi e di conseguenza dei numerosi lavoratori coinvolti, dall’altra si acceleri il processo di frantumazione scaricando il fattore competitivo unicamente sul lavoro, che in un contesto di sistema degli appalti, a volte poco trasparente come quello attuale, porta chiaramente ad un drastico abbassamento dei diritti e delle tutele degli stessi lavoratori. Nel testo saranno infatti analizzate alcune esperienze territoriali che nello specifico cercano di garantire un sistema di regole e controlli che caratterizzano il lavoro dal punto di vista della qualità e del rispetto dei diritti dei lavoratori. Esperienze che hanno come principio la necessità di portare a ricomposizione e riunificazione il lavoro in determinati siti produttivi cercando di estendere i diritti per tutti. Emblematici in questo caso sono stati il Protocollo di Intesa sugli Appalti stipulato con il Comune di Bologna oppure quello sottoscritto con la Fiera sempre di Bologna che si riferisce in modo particolare alla tematica degli appalti e della sicurezza sul luogo di lavoro. Il tentativo di ricomposizione non può che passare da una giusta confederalità e sinergia tra le diverse categorie sindacali che ancor prima devono programmare una politica e strategia di insieme che consenta una collaborazione tra le stesse. E’ necessaria per questo una nuova cultura dell’agire sindacale che prima ancora di arrivare ai lavoratori deve essere alla base di un nostro convincimento profondo per recuperare momenti unificanti di lotta sindacale! Con il Protocollo di Intesa sugli Appalti con il Comune di Bologna si è cercato di regolamentare il sistema degli appalti rendendo obbligatorie le due regole della clausola sociale e della offerta economicamente più vantaggiosa, regole da estendere a tutti gli appalti pubblici del territorio per garantire anche ai lavoratori “esternalizzati” pari dignità nella tutela e nel controllo dei loro diritti. Altrettanto importante sarebbe valorizzare con azioni più incisive e positive anche la “contrattazione di sito” che tenda ad integrare e rendere univoci alcuni meccanismi di tutela e rivendicazione contrattuale per tutti i

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lavoratori presenti in un determinato luogo indipendentemente dalla attività da loro svolta per la azienda, come dipendenti diretti o di qualche impresa in appalto. Questo eviterebbe i numerosi fenomeni, ormai dilaganti, di “dumping contrattuale” messi in atto dalle imprese che indeboliscono fortemente la nostra potenzialità di incisione sindacale. L’esperienza realizzata alla Fiera di Bologna cerca di rendere effettiva anche questa necessità prendendo spunto dal tema della sicurezza sul luogo di lavoro ma si potrebbe ampliare la nostra capacità di azione sindacale cercando di estendere anche altri diritti e tutele in modo trasversale per tutti i lavoratori del sito. Per realizzare tutto ciò è essenziale partire da una consapevolezza dei delegati e lavoratori che fanno parte di quel sito attraverso la creazione di uno specifico “coordinamento” che metta insieme le diverse realtà presenti e si adoperi per consentire la partecipazione al progetto di tutti . Nella nostra categoria portare avanti questo dibattito vuol dire discutere anche della dinamica della titolarità contrattuale e delle linee di confine tra gli stessi contratti nazionali applicati dove ci si incontra con titolarità di altre categorie. Ma significa anche rivedere il nostro modello organizzativo alla luce della profonda trasformazione avvenuta nei settori dei servizi, del terziario e della pubblica amministrazione dove si rischia di mancare di rappresentatività se non si riesce a portare appunto a ricomposizione la frantumazione che si è creata nei vari siti produttivi. Una rappresentatività che determina il consenso proprio solo se riesce ad evidenziare e difendere gli elementi di omogeneità di tutti i lavoratori eliminandone le differenziazioni. E ciò può essere valido in grandi centri economici come le Fiere, i porti, gli aeroporti ma anche nelle grandi strutture dei centri commerciali e degli outlet dove sono presenti lavoratori con il contratto del commercio e del terziario ma anche altri che sono impiegati negli appalti di servizi, siano essi di settori delle pulizie, ristorazione o vigilanza. Il ruolo delle rappresentanze sindacali presenti risulta essere in questo caso determinante attraverso un loro concreto coinvolgimento nella conoscenza e nello sviluppo di questi processi, proprio perché molto spesso i nostri lavoratori ( intendendo con questo termine i lavoratori seguiti dalla Filcams ) sono quelli che il sociologo Luciano Gallino definisce lavoratori collocati nel sistema “ middle-to-low skill, labor intensive ”, cioè la cassiera di un piccolo negozio del commercio magari inserito nel contesto di un ipermercato oppure i dipendenti o soci di imprese in appalto di pulizie, di vigilanza o ristorazione, che hanno in comune contratti a termine o la eventualità di dover cambiare spesso datori di lavoro e per i quali la capacità di crescita, professionalità e formazione viene spesso limitata. E sono infatti spesso le donne, i giovani, i migranti ad essere occupati in queste tipologie di lavoro, ed è a loro che è importante dare una risposta efficace in termini di diritti e tutele da garantire e di recupero di una loro identità e dignità lavorativa. Questi sono i nuovi lavoratori di cui un sindacato moderno deve saper percepire i bisogni e le richieste nella ricerca di intese credibili e condivise che passano anche attraverso la contrattazione. Una contrattazione che non deve essere considerata come una sottrazione di titolarità della rappresentanza, ma come un potenziamento della forza contrattuale di ogni categoria che permetta risultati che altrimenti, se ciascuna categoria si muovesse per proprio conto, non riuscirebbe ad ottenere. Una volta raggiunto l’accordo elemento non secondario è stato inoltre il riflettere su come “ poter far vivere” il protocollo anche tra i lavoratori costruendo insieme a loro un percorso di “partecipazione democratica” e cercando con una adeguata informazione di renderli partecipi al massimo del processo realizzativo dello stesso . Per la modalità di elezione dei Rappresentanti sulla sicurezza si sono svolte infatti numerose assemblee ed un Referendum che ha visto una buona partecipazione anche di lavoratori impiegati nelle aziende in appalto. Ciò ha permesso il realizzarsi di una scelta consapevole e partecipata che già oggi sta portando i primi risultati, ma la vera sfida sarà la capacità di rendere concreto e praticabile in futuro quanto definito in quelle regole. Questi ed altri ancora sono i punti salienti dell’Intesa, che raggiunge un primo obiettivo nell’affrontare con nuovi strumenti il tema della sicurezza del lavoro in un sito complesso, dove le attività di gestione integrata ed omogenea dello stesso, rappresentano la prima problematica. Il tema della sicurezza sul lavoro che parte da un polo centrale e determinante per la economia e lo sviluppo di una città. Ogni Fiera, ogni evento fieristico deve avere infatti un forte legame con il proprio territorio ed il suo funzionamento diventa un bene indispensabile come “ bene comune” di una comunità intera. Questo passaggio implica il coniugare un modello che funziona al territorio ed alla contrattazione territoriale con cui si incontra . Implica ridefinire il ruolo della confederalità sindacale che deve fare i conti con il problema della sua rappresentatività sociale oltre gli steccati del lavoro classico di tipo fordista investendo su una migliore qualità dello sviluppo urbano e territoriale oltre che su una migliore e innovativa metodologia di comunicazione.

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Nell'attuale contesto di frammentazione sociale, anche le nuove forme di informazione e comunicazione sono una base essenziale di organizzazione e ricomposizione utili a raggiungere più lavoratori possibili . Il Sindacato è infatti una grande macchina di comunicazione. La Filcams stessa è potenzialmente una grande macchina di comunicazione . Le forme di comunicazione che la Cgil utilizza per diffondere la propria cultura politica e condividere informazioni al proprio interno e verso l'esterno spesso risultano arretrate in merito alle potenzialità emerse negli ultimi anni con l'utilizzo sempre più frequente della rete e di altre forme di diffusione. Oggi occorre ripensare il sindacato come un luogo che costruisce e organizza coesione, che alimenta spazi e forme di incontro collettivo e conversazione democratica. Un luogo che sia capace di intercettare i bisogni dei lavoratori anche utilizzando forme e metodologie di incontro non classiche come l'assemblea o il volantinaggio. Siamo infatti, in grado di rappresentare veramente i conflitti di lavoro? In che modo parole come solidarietà, confederalità, sindacato generale assumono significato nell'esperienza diventando cultura condivisa dei lavoratori? Sembrerebbe che la Cgil mancasse di consapevolezza sul ruolo della comunicazione nella propria azione e spesso si sente dire che tutto ciò che concretamente viene fatto non siamo in grado di trasmetterlo altrettanto bene. Da questa analisi si potrebbe pertanto arrivare a dire che le forme e i contenuti della comunicazione del sindacato non sembrano essersi ancora adeguate alle trasformazioni avvenute nel tessuto e contesto produttivo. La frammentazione del ciclo produttivo impone una riflessione anche sul tema della comunicazione e su come si può, all'interno di questo, riportare a unità la "destrutturazione sociale" del lavoro avvenuta negli ultimi anni . Nella nostra categoria si possono trovare degli esempi nelle catene della grande distribuzione e nello sviluppo piramidale del sistema degli appalti. Nella grande distribuzione infatti, abbiamo ormai innumerevoli tipologie contrattuali per lavoratori che agiscono nello stesso luogo, lavoratori dipendenti, interinali, con contratti a progetto, e non tutti, come si diceva prima, sono facilmente raggiungibili attraverso le forme classiche di intervento sindacale. L'utilizzo della rete potrebbe essere determinante soprattutto dal punto di vista informativo creando un interscambio comunicativo che faccia mantenere un contatto non solo unidirezionale ma bi-direzionale e partecipato. Dobbiamo raccogliere storie dalle aziende in cui siamo, storie che siano rappresentative di una condizione particolare, e renderle pubbliche, restituendo alla storia individuale una dimensione collettiva. La creazione di mailing-list, l'utilizzo di strumenti già presenti in rete come social network, facebook o l'apertura di blog specifici per determinati siti produttivi e per condividere determinate vertenze, potrebbe essere molto efficace soprattutto per raggiungere le categorie più giovani di e lavoratrici e lavoratori. Anche questo significa portare a ricomposizione sociale il luogo di lavoro partendo dai casi particolari attraverso una nuova forma di vertenzialità comunicativa. Una buona capacità di trasmissione e comunicazione potrebbe essere utile anche a raggiungere più facilmente questo obiettivo. Inoltre per quanto riguarda la nostra capacità di comunicazione e informazione interna sarebbe necessario dotarsi di una struttura informatica più incisiva che consentisse un maggiore scambio di informazioni tra i territori tenendo conto del fatto che molto spesso le problematiche sono comuni , e se si discute di appalti, molti bandi di gara sono effettuati a livello nazionale e regionale. Un migliore utilizzo e aggiornamento del sito internet e della posta-elettronica potrebbe già essere utile per fare un piccolo passo in avanti. Questo consentirebbe di costruire “ una rete di relazioni ” tra i vari funzionari dei territori da cui trarre spunti per realizzare vertenze comuni e scambiarsi informazioni più dettagliate sulle aziende, consorzi o cooperative più inadempienti che potrebbero essere inserite in una nostra lista interna, una bad/black-list da aggiornare costantemente per consentire anche azioni rivendicative più forti ed efficaci che vadano oltre la dimensione del piccolo territorio. La riconvocazione dei Coordinamenti sugli Appalti da parte della struttura nazionale sarebbe un altro strumento adeguato per fare il punto della situazione e magari riaprire la discussione sul contratto unico degli appalti. CONCLUSIONI Tenendo conto di tutte le considerazioni sopra esposte in conclusione si può sostenere che sarebbe necessaria la realizzazione di un nuovo progetto politico dell’agire sindacale che metta insieme le forme di contrattazione svolte dalle categorie nel luogo di lavoro con la contrattazione sociale svolta dalla confederazione sul territorio, partendo sempre dal presupposto di rispondere ai bisogni che provengono dalle condizioni di vita e di lavoro delle persone. Questo significherebbe dare una risposta anche ai problemi sociali ricercandone le soluzioni già all’interno dei processi contrattuali reali che si devono portare avanti.

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La nuova contrattazione collettiva se vuole incidere veramente sulla qualità dello sviluppo dei sistemi produttivi, dovrebbe infatti mettere a fuoco il rapporto tra impresa e territorio incorporando nelle piattaforme e nel proprio agire sindacale questa radicale innovazione. Questo significa ricreare “legame sociale” sul territorio tutelando le soggettività che gli appartengono a partire dalla valorizzazione del lavoro e del ruolo che gli spetta nella società moderna. E’ questa infatti la dimensione nuova in cui si sviluppano gli effetti della globalizzazione con il suo modello di impresa a rete e la composizione mobile della forza lavoro nella società ed è in questo ambito che è determinante l’intervento del sindacato come attore di ricomposizione sociale. E’ indispensabile quindi, affermare una nuova idea di confederalità che non sia solo la sommatoria di varie titolarità, ma piuttosto la definizione di una prassi costante e ricercata di relazione, confronto e comunicazione, che metta in atto proposte concrete alla cui formulazione tutti sono chiamati ed alla cui realizzazione tutti si sentano coinvolti . Un’ idea che parta dal confronto con la esperienza reale perché altrimenti diventa una pura astrazione che ci allontana da quello che dovremmo rappresentare. La grande sfida di questi anni sarà nella nostra capacità di interpretare la domanda di “libertà dall’incertezza” che non può eludere la questione di una nuova architettura di diritti individuali e collettivi che devono emergere per riattivare e ricomporre su terreni comuni il tessuto sociale sul quale ci confrontiamo.

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Milano e “expo 2015”: la vetrina del mondo e “la vetrina degli appalti” L’analisi di due casi (Stefania Sorrentino) Parallelamente a questi avvenimenti, il mondo degli appalti a Milano ha avuto una grande espansione, dovuta all’esternalizzazione e alle terziarizzazioni di parte dei cicli produttivi delle aziende. A Milano, intanto, c’è stata una novità: nel …. Milano ospiterà l’esposizione dal 1° maggio al 31 ottobre del 2015 dedicata al tema dell’alimentazione: “Nutrire il pianeta, energia per la vita.”. Le ultime edizioni si sono tenute a Siviglia (Spagna) nel 1992, ad Hannover in Germania nel 2000, ad Aichi (Giappone) nel 2005. Le prossime si terranno a Shanghai (Cina) nel 2010 e, appunto, a Milano nel 2015. La Fiera di Milano Milano ha già un’importante tradizione fieristica: la prima Fiera Campionaria si è tenuta nell’Aprile 1920 con 1200 espositori di cui 256 stranieri. Il 1° luglio 1922 un Regio Decreto istituisce l'Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano. Con l'adesione dell'URSS alla Fiera del 1951, Fiera Milano diventa, in piena guerra fredda, il punto di incontro commerciale tra Est e Ovest. Le mostre di settore, che coprono numerosi comparti produttivi, si impongono definitivamente nel calendario di Fiera Milano a partire dal 1991. Nel Settembre 1997 viene completato l’ampliamento del polo fieristico in città, con l'inaugurazione di tre nuovi padiglioni al “Portello” (ex area Alfa Romeo) che incrementano la capacità espositiva di Fiera Milano di 74.000 mq. Nell’Ottobre del 2000 diventa operativa Fiera Milano Spa, responsabile della gestione degli spazi espositivi e dei servizi fieristici. Il quartiere è collegato al centro della città dalla metropolitana. Le relazioni sindacali con il Gruppo Fiera ed il protocollo sul lavoro Il citato coinvolgimento della Committenza è avvenuto nel 2007 con la stipula del Protocollo d’Intesa fra Gruppo Fiera Milano e Cgil, CISL e UIL per la sicurezza e la regolarità del lavoro. Questo protocollo, insieme allo Sportello Lavoro, che analizzeremo entrambi nel dettaglio in seguito, è un esempio concreto della cosiddetta “contrattazione di sito”. Permette, cioè, di andare oltre la formalità del rapporto lavoratore-datore di lavoro ma di leggere la concreta complessità dell’organizzazione del lavoro e dei rapporti, anche informali, che si sviluppano all’interno del ciclo produttivo e che permette di ricondurlo ad unità. In questo senso, il mondo della Fiera è un buon laboratorio. Esiste una committente Fiera spa, con i suoi lavoratori, il suo contratto integrativo e il suo CCNL. I lavoratori degli appalti hanno contratti nazionali, talvolta anche contratti integrativi, e trattamenti economici diversi da i dipendenti Fiera spa. Le aziende poi spesso preparano offerte al di sotto del costo del lavoro, vi è poca chiarezza rispetto al versamento dei contributi, vengono eluse le norme sulla salute e prevenzione degli infortuni. Infatti il 23 luglio del 2007 è stato siglato il già citato protocollo d’intesa fra il Gruppo Fiera Milano e Cgil ,CISL e UIL per la sicurezza e la regolarità del lavoro. Secondo questo criterio, bisogna prendere in considerazione elementi diversi e non solo quelli strettamente legati al prezzo: ad esempio, le caratteristiche qualitative, metodologiche e tecniche, con l’indicazione dei contenuti della relazione tecnica di offerta in rapporto allo specificato servizio, tenendo conto del sistema organizzativo di fornitura del servizio, delle metodologie tecnico-operative, della sicurezza e del tipo di macchine, strumenti e attrezzature utilizzate. Per quanto riguarda il prezzo, l’offerta deve essere composta con riferimento al numero degli addetti impiegati, alle ore di lavoro e ai costi per macchinari, attrezzature e prodotti. Le amministrazioni aggiudicatrici considerano inammissibile offerte nelle quali il costo del lavoro previsto sia inferiore al costo stabilito dal C.C.N.L. di categoria comprensivi del costro del lavoro come definito dalle apposite tabelle ministeriali. Torniamo al Protocollo di Fiera. A fronte di violazioni di norme e di obblighi a tutela dei diritti dei lavoratori, da parte degli appaltatori, Fiera spa ha la facoltà di recedere dal contratto e di farsi garante del passaggio dei lavoratori e le lavoratrici al servizio della nuova azienda subentrante. Tutto ciò ha portato anche la realizzazione di un Osservatorio permanente1 finalizzato a promuovere iniziative volte a contrastare il fenomeno del lavoro irregolare e sommerso e di favorire ulteriormente la sicurezza del lavoro all'interno dei quartieri fiera di Fiera Milano,anche con l'ausilio dell'Ispettorato del Lavoro,della ASL, dell'INPS e di tutti gli altri Enti di volta in volta interessati. Inoltre si sancisce l'apertura presso il quartiere fieristico di Rho di uno “Sportello del lavoro”2, gestito dalle OO.SS. Lo Sportello Lavoro è ubicato vicino all’ingresso Ovest della Fiera Milano spa Rho – Pero. di seminari ed interventi formativi ed informativi volti a sensibilizzare sul tema della sicurezza e regolarità nei rapporti di 1 Ibidem

2 Idem, pag. 3

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lavoro,anche in relazione alle tematiche degli appalti, rivolti a tutti i dipendenti del Gruppo Fiera Milano Spa ma anche utile ad altri operatori . 3 I casi che descriveremo di seguito insieme ad altri, hanno contribuito ad addivenire alla consapevolezza da parte di Fiera Milano Spa e da parte delle Organizzazioni Sindacali di categoria di fare un ulteriore Accordo Sindacale e di avviare una lunga collaborazione. ANALISI DEL CASO Il diario della trattativa …Settembre 2008 Arrivo in ufficio alle 9.oo del giorno 5 settembre . La azienda R. Scral cede alla subentrante E. s.r.l. l’appalto dei servizi di pulizia di tre padiglioni (1-2-3) presso Fiera Milano City, che comporta il trasferimento di 22 lavoratori / trici. Invio fax : alla cedente, alla subentrante e, memore di situazioni simili, anche alla committenza. Nel frattempo iniziamo a istaurare un dialogo con il responsabile risorse umane di Fiera Milano spa. Escono dalla stanza del tribunale ,gli avvocati , l’azienda ,i lavoratori /trici ( che nel frattempo da 22 diventano 5). Non basta, come organizzazione sindacale la nostra vittoria sarebbe stata senza dubbio il mantenimento del posto di lavoro . E’ vero che nel settore delle imprese di pulizia e ancor più in alcuni luoghi di lavoro come Fiera Milano Spa, più che in altri ,la ricerca di un lavoro è veloce, caratterizzata dall’alto turn-over . Il turnover si riferisce cui una data azienda. Avvicendamento della manodopera addetta ad un ciclo produttivo e successive assunzioni del personale che ha cessato il rapporto di lavoro. L'abbassamento del tasso di turn-over viene considerato come fattore di maggiore soddisfazione per il lavoro da parte dei lavoratori. I lavoratori /trici non rimanendo nel ciclo attivo non sono portatori della loro esperienza e non riescono a testimoniare i benefici e l’importanza della tutela dei loro diritti e della loro sicurezza e salute. 3Ibidem

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Milano e “expo 2015”: la vetrina del mondo e “la vetrina degli appalti” L’analisi di due casi (Virginia Montrasio) Gli appalti presenti in Fiera; l’organizzazione del lavoro, le regole (Virginia Montrasio) All’interno della Fiera di Milano lavorano: i dipendenti “diretti” di Fiera i lavoratori dipendenti degli appalti che vi operano. Gli appalti presenti all’interno dell’area sono moltissimi: basti pensare che mediamente ogni anno in Fiera transitano 750.000 lavoratori in concomitanza delle esposizioni, quindi con fortissime oscillazioni collegate ai picchi di lavoro. I settori nei quali operano i lavoratori negli appalti di Fiera sono: edilizia, allestimento stand, manutenzione elettrica, idraulica, del verde... Per limitarci ai soli appalti di servizi dei settori organizzati sindacalmente dalla Filcams Cgil, parliamo di pulizie, reception - guardaroba e controllo accessi, vigilanza, ristorazione collettiva La fase più delicata dal punto di vista dei lavoratori in appalto, è quella del cambio di gestione del servizio. Anche se il lavoratore è assunto a tempo indeterminato, non vi è nessun dispositivo di legge che garantisca il mantenimento del lavoro in caso di cambio di gestione del servizio. La normativa che regolamenta il mondo degli appalti è assai particolare: nella nostra esperienza, vediamo spesso come il rapporto di natura commerciale che si instaura tra appaltante ed appaltatore - in virtù del quale viene appaltato un servizio, e cioè direttamente la prestazione dei lavoratori - vada a prevalere sulle regole del rapporto di lavoro dei dipendenti. Sicuramente il punto delicato è quello dei licenziamenti in fase di cambio d’appalto: come dicevamo, non vi sono leggi a tutela del mantenimento del posto di lavoro dei dipendenti coinvolti nel passaggio; nei nostri settori ci sono invece importanti disposizioni contrattuali a garanzia del mantenimento dei livelli occupazionali: articoli che – in sintesi – dispongono che nell’appalto il datore di lavoro va, ma il lavoratore resta! Il dettato più famoso è sicuramente quello dell’art. 4 del cd CCNL Multiservizi: in Fiera riguarda gli addetti alle pulizie, portierato, reception, guardaroba e controllo accessi, ma anche gli altri CCNL prevedono regole analoghe anche se meno stringenti. Il cambio di appalto nell’impresa di reception e portierato: il diario della trattativa (virginia Montrasio) Il caso trattato in forma “diaristica” descrive un passaggio d’appalto assai problematico: oggetto del passaggio sono un “pacchetto” di ore lavorate da un numero non precisato di lavoratori. Non è facile identificare i lavoratori che erano addetti alle ore di lavoro oggetto del passaggio e che quindi dovrebbero essere assunti dal consorzio subentrante. Visto il tipo di lavoro, infatti, soggetto a fortissimi picchi intervallati da momenti di relativa inattività, la cooperativa uscente ha deciso di inserire negli ultimi due anni anche dei lavoratori con contratto di lavoro “a chiamata” accanto ai lavoratori “anziani” che avevano un contratto di lavoro subordinato tipico a tempo indeterminato con orario di lavoro part time. Eccoci di fronte al primo problema: come identificare i lavoratori addetti alle ore di lavoro passate di gestione? Come applicare l’articolo 4 del CCNL Multiservizi al contratto di lavoro a chiamata che è sì un rapporto di lavoro subordinato ma che non è disciplinato dal CCNL stesso? Includere il lavoro a chiamata in un cambio d’appalto non significa legittimare una forma di lavoro contro la quale la Cgil si è da sempre strenuamente opposta? Però, dietro il “lavoro a chiamata” ci sono i “lavoratori a chiamata”: il Sindacato può permettersi di non occuparsi di loro e far finta che non esistano? Dove sta l’equilibrio tra la politica (non legittimare forme di lavoro precarizzanti) e l’etica (tutelare soprattutto i lavoratori più deboli)? Procediamo comunque con la richiesta formale di espletare la procedura prevista dal contratto; invio il fax alla cooperativa uscente, al consorzio subentrante e, visti gli impegni che il gruppo Fiera si è assunto con il protocollo del 2007, decidiamo di coinvolgere anche il committente; richiedo alla cooperativa l’elenco dei lavoratori che cambieranno datore di lavoro. Arriva il fax di risposta della cooperativa: insieme alla disponibilità all’incontro sindacale, allegano un elenco di 23 dipendenti; si tratta esclusivamente di lavoratori con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con orario di lavoro di 30 ore settimanali. Iniziamo a capire che sarà molto difficile tenere separata la trattativa sul passaggio d’appalto da quella sull’organizzazione del lavoro. Si avvicina la data dell’incontro, ma nessuno dei lavoratori interessati s’è messo in contatto con noi. In compenso, Fiera si propone di partecipare all’incontro poiché, come stabilito dall’accordo sul lavoro regolare del 2007, Fiera si impegna attivamente nel rispetto della trasparenza e delle regole per i lavoratori degli appalti. Durante l’incontro, lo slittamento tra il ragionamento sul passaggio del personale e quello sull’organizzazione del lavoro è costante e aggiorniamo la trattativa. Riusciamo fortunosamente a reperire e riunire i lavoratori e spieghiamo loro a che titolo la nostra Organizzazione si sta occupando della loro vicenda e li aggiorniamo dello stato della trattativa.

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Viene garantito il mantenimento dei livelli occupazionali grazie al riconoscimento del diritto al passaggio del personale con il nuovo datore di lavoro “con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”; tale passaggio avverrà senza periodo di prova e col mantenimento delle condizioni economiche e normative risultanti dall’applicazione del ccnl multiservizi, dei contratti integrativi provinciali”; “i lavoratori manterranno l’anzianità maturata e godranno della stessa retribuzione lorda di fatto da rapportarsi all’effettivo periodo di lavoro prestato, e manterranno le stesse condizioni contenute nella lettera d’assunzione sottoscritta tra gli stessi e la cessante. Inoltre, la garanzia del mantenimento dei livelli di reddito dei lavoratori viene tutelata dal mantenimento del monte ore complessivo annuo, così come calcolato prendendo a riferimento le ore lavorate l’anno precedente comprensive della quota di ore supplementari. Rimane da definire la modalità di articolazione dell’orario di lavoro: infatti, come avevamo già evidenziato, è molto difficile tenere separata la discussione sulle condizioni contrattuali del passaggio da quella sull’organizzazione del lavoro. In quest’ottica, l’utilizzo del part time con l’applicazione delle clausole elastiche e flessibili pare essere l’unica soluzione che concili le esigenze di flessibilità dell’azienda e l’esigenza dei lavoratori di conoscere in anticipo i propri turni di lavoro. Alcuni lavoratori hanno avuto anche un miglioramento (seppure parziale) della loro precedente situazione: infatti per i lavoratori la cui media oraria risulta inferiore alle 14 ore settimanali (limite minimo previsto dal vigente ccnl applicato), le parti concordano sull’evoluzione di detto orario almeno al minimo contrattuale La sintesi dei risultati e le prospettive: l’accordo con fiera - gli scadenziari Sia nel caso dell’impresa di pulizie che nel caso del servizio di reception, le aziende hanno dimostrato poca attenzione alla corretta applicazione delle citate norme contrattuali sul cambio d’appalto: tali norme, infatti, sono particolarmente stringenti per le aziende, e la loro attuazione è un ulteriore elemento che vincola le aziende a lavorare in trasparenza rispetto ai rapporti di lavoro dei propri dipendenti, al loro costo del lavoro e, quindi, in un contesto di reale concorrenza. La disapplicazione delle norme contrattuali sui passaggi di gestione, che sono parte dei contratti collettivi nazionali di riferimento, va a violare anche il più volte citato protocollo del 2007 sulla regolarità del lavoro. Anche Fiera conviene sulla delicatezza di questo elemento, al fine di garantire una maggiore trasparenza nel proprio sistema di appalti. Perciò, con l’accordo del 7 Novembre 2008, Fiera Milano si impegna, con riferimento ai servizi di pulizia e portierato, ristorazione e vigilanza privata, a fornire alle Organizzazioni Sindacali di categoria di Milano il prospetto delle società appaltanti e le scadenze degli appalti in esecuzione presso il Fiera Milano SpA. Questo al fine di consentire alle OOSS di categoria la verifica del rispetto delle procedure previste dai CCNL in merito all’acquisizione di personale già impiegato nel medesimo appalto, al subentro del nuovo appaltatore.

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Progetto di alta formazione per quadri e dirigenti sindacali

MASTER � DIRITTI � RAPPRESENTANZA � TUTELE

4 sessione: Le politiche organizzative

ABSTRACT DI:

Joice Moscatello

Daria Banchieri

Marco Ghezzani

Alessandra Di Simone

Andrea Ferretti

Daniele Soffiati

Cosimo Francavilla

Annalisa De Pietro

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4 sessione – Le politiche organizzative

Idee per un rinnovamento culturale (Joice Moscatello) In questa particolare fase storica per parlare di rinnovamento culturale ci si dovrebbe porre il problema di capire se esiste un’identità culturale comune e quale sia ancora il ruolo del lavoro, del sindacato e delle organizzazioni di rappresentanza. Il sindacato ha ancora una visione fortemente basata su una stratificazione sociale caratterizzata da un modello verticale, tipica di quasi tutto il ‘900 non solo in Italia ma anche in molti paesi occidentali, che in parte è stata la forza del movimento sindacale e ha anche permesso la formazione di un’identità culturale della società. Il modello Fordista garantiva l’occupazione e la protezione sociale e ,soprattutto, l’autosufficienza dei lavoratori; questo ha garantito inoltre una più chiara identificazione della società strutturata in classi sociali ben distinte, la classe imprenditoriale (capitalista) e quella operaia, articolate in maniera verticale. Il lavoro e ciò che si è sviluppato intorno al lavoro è stato per gran parte del ‘900 base di distinzione sociale e strumento per delineare modelli culturali di tutta la società. Simbolo principe di questa modello è stato indiscutibilmente l’indumento da lavoro dell’operaio, “La tuta blu”, emblema non solo della classe sociale di appartenenza ma anche di stagioni di lotte, di riconoscimenti di diritti sociali e civili e della capacità del movimento sindacale di esercitare il ruolo di rappresentare del mondo del lavoro. I cambiamenti economici, le nuove strategie industriali, l’apertura verso nuovi mercati hanno effetti determinanti rispetto alle stratificazioni sociali fin ora conosciute. L’individualizzazione dal mio punto di vista introduce una modifica determinante nella struttura delle classi sociali, questa continua a connotarsi in senso verticale come nel modello fordista, ma la sua struttura passa dall’essere verticale a piramidale. Questa multi classificazione della società inoltre non va a fare altro che potenziare le controparti del sindacato, siano esse le imprese o le istituzioni. Dinanzi alla molteplicità delle classi sociali occorre irrimediabilmente unire le forze della ns. Organizzazione per impedire che il simbolo del lavoro, come riscatto dalla povertà, modello di autosufficienza e libertà, non sia un simbolo elitario ma ancora una immagine capace di unire. Lavoro, Identità, Simboli Il mondo del lavoro è quindi travolto dalle nuove dinamiche emergenti: il rischio è che il lavoro perda il suo valore dominante nel determinare le linee culturali del Paese. Al tempo delle società globalizzate il sindacato non ha perso ancora il suo ruolo ma sempre di più si evidenziano le difficoltà nell’ intercettare lavoratori giovani, lavoratori più professionalizzati e quelli meno garantiti e precari. Costruire una nuova identità collettiva rappresenta la risposta per definire i confini all’interno dei quali l’azione del sindacato opera. Nel paragrafo precedente mi sono soffermato sulla “tuta blu” vero, e proprio simbolo identitario della classe operaia e delle lotte per il riconoscimento di diritti, conquiste sociali e contrattuali. Il problema è che l’individualizzazione non tiene in debita considerazione il tema “lavoro” come strumento identitario, in una società frammentata e individualizzata anche il lavoro viene vissuto infatti come un tema individuale e quindi incapace di rappresentare un simbolo collettivo.La partecipazione attiva all’interno della realtà economiche e sociali garantisce adeguati spazi di liberta, evita l’emarginazione sociale e contribuisce alla valorizzazione delle capacita personali del lavoratore e del cittadino.4 Il simbolo del lavoro dovrebbe essere collegato direttamente al benessere del lavoratore al riconoscimento della propria autonomia e alla costruzione del proprio futuro. Il concetto di lavoro “ buono” cioè quello stabile e ben retribuito, in grado di contribuire al benessere del lavoratore è in contrapposizione ai posti di lavoro “ cattivi “, cioè quelli non in grado di rispondere in maniera adeguata al contesto sociale in cui il lavoro viene svolto.5 Lo sviluppo del lavoro “cattivo” in realtà mette a repentaglio l’intera struttura della nostra società, con il rischio di un’ emarginazione economica-sociale diffusa. Questa purtroppo rappresenta un elemento identitario forte tipico delle società globalizzate. I Centri Commerciali Le Fabbriche del 2000. L’emblema del cambiamento sociale ed economico del nostro paese è sicuramente il “Centro Commerciale”. 4 Gian Primo Cella e Gincarlo Provasi - Lavoro Sindacato Partecipazione – 2000.927

5 Gian Primo Cella e Gincarlo Provasi - Lavoro Sindacato Partecipazione – 2000.927 – pag 72

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Quest’ultimo rappresenta anche il simbolo più evidente di come la nostra società sia cambiata, di quali siano state le dinamiche culturali che hanno influenzato il mondo del lavoro, la vita sociale dei lavoratori, l’ambiente e il territorio fino ad arrivare alla politica e alle istituzioni locali. Ad uscire più indebolito è stato inoltre anche il movimento dei lavoratori e la capacità di incidere da parte del sindacato. Oggi proprio dentro un centro commerciale possiamo individuare e studiare tutte le nuove forme di lavoro introdotte negli ultimi 15 anni, in nome di quella flessibilità e alla lotta alla rigidità caratteristica delle grandi fabbriche che sembrava il male di tutti i sistemi economici dei paesi occidentali. Tutti lavoratori deboli, uniti dalle loro debolezze divisi dall’incapacità di rendere collettive le loro esigenze. Un vero e proprio compendio di lavori e lavoratori, che assumono dimensioni considerevoli, simili se non uguali a quelli di tante aziende manifatturiere di medie dimensioni. Continuando nell’analisi delle fabbriche del 2000, emerge chiaramente come nei centri commerciali si siano livellate verso il basso la condizioni economiche e normative dei lavoratori; pensiamo semplicemente alla forma classica di lavoro che troviamo dentro un’attività commerciale, il part-time. La scelta che la Cgil deve prendere è di una nuova strategia verso il mondo del lavoro, strategia che deve interessare il mondo politico istituzionale, ogni singolo territorio, il concetto stesso di rappresentanza all’interno dei posti di lavoro e, non ultima, la stessa struttura organizzativa della nostra Confederazione. Riprendo come esempio il centro commerciale, vera fabbrica del 2000 dove a una sola tuta blu si sono sostituiti tanti camici, tante tute che rappresenteranno le nuove braccia e le nuove menti della classe, non più solo operaia, ma delle classi dei lavoratori. L’impossibilità di aggregare come accadeva un tempo molti lavoratori rimane comunque una delle difficoltà principali da parte del sindacato. La Crisi del Mercantilismo, la rinascita della dignità individuale Una delle accuse che molti economisti e politici illuminati fanno al sindacato e soprattutto a quello Italiano è di essere eccessivamente legato alla visione di una società che vuole nel lavoro stabile e nella rigidità del rapporto del lavoro una garanzia per il futuro, molti hanno o stanno tutt’ora tentando di descrivere una società talmente flessibile che anche il lavoro non è più un diritto inalienabile, ma parte di un ciclo produttivo e come tale soggetto alle regole e alle deformazioni del mercato. Non a caso oggi nel 2009, queste critiche rivolte al sindacato e soprattutto alla Cgil sono state stemperate dalla crisi economica e industriale più grave degli ultimi 70 anni. Il capitalismo esasperato oggi è messo fortemente in discussione, dopo anni in cui la parola d’ordine era “deregulation”, ossia indipendenza dell’impresa da tutti i paletti che le istituzioni avrebbero potuto imporre allo sviluppo economico e agli automatismi previsti dal libero mercato. Questa crisi quindi ha un merito, quello di avere evidenziato quali sono gli effetti perversi di una società che non tiene più in considerazione elementi fondamentali come la dignità individuale e collettiva, di quanto sia forte l’impatto che la perdita del lavoro, l’impossibilità di avere una sostituzione in tempi brevi del posto perso, l’assenza di strumenti che rendono meno traumatica la perdita del posto di lavoro incida in maniera determinante sull’uomo e sulla società. E’ qui forse che dobbiamo partire per proporre un ragionamento di rivoluzione culturale del mondo del lavoro e del sindacato. Possibili proposte di rivendicazioni sindacali Dinanzi un mutamento economico e produttivo di tipo globalizzato la risposta non può essere trovata unicamente nell’incremento dei livelli di produzione ma piuttosto in forme di tutela che si sviluppano a vari livelli: dall’ambiente, alle politiche salariali, alla tutela della qualità della vita e alla gestione dei tempi di lavoro. La Decrescita è un modello di pensiero che si basa sulla valutazione degli effetti negativi della crescita ad ogni costo e la necessità di sviluppare circoli virtuosi , obbiettivi sintetizzati nella società della Decrescita, con le 8R: rivalutare, ristrutturare, ricostruire, riciclare, riutilizzare, ridurre, ricontestualizzare, ridistribuire. Altri esempi si possono individuare nelle attività eco sostenibili, che tengano bene in considerazione il rispetto del reddito dei lavoratori e il rispetto dell’ambiente, quali elementi di unificazione. Oggi anche il movimento sindacale deve concentrare le sue forze sulla scelta di tre strategie: Rendere concreta la produzione di strumenti in grado di agevolare la produzione di energia alternativa, richiamando la necessità di iniziare politiche vere di incentivazione alla creazione di di sistemi produttivi che siano veramente ecocompatibili e che, allo stesso tempo,siano in grado di sostituire gli attuali modelli. L’altra strategia potrebbe essere quella di ritenere legittimo un intervento dello stato per sostenere le imprese che intendano realmente investire e operare in Italia, garantendo l’occupazione del lavoratore che opera sul territorio nazionale. Il terzo obbiettivo è sicuramente quello di riuscire a globalizzare i diritti, il movimento sindacale globale oggi è una priorità, la tutela salariale e dei diritti non può essere più lasciata alla mercé dei movimenti dei lavoratori tra loro isolati.

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L’organizzazione della Cgil dovrà affrontare nei prossimi mesi e anni tutti i cambiamenti culturali ed economici che ho provato velocemente a descrivere, per fare questo non deve stravolgere se stessa ma solo tarare nuovamente la sua impostazione.

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La Filcams come modello organizzativo (Daria Banchieri) L'organizzazione della FILCAMS: norme e confini Le norme su cui si fonda l'attività sindacale sono sintetizzabili in: Costituzione Italiana, L. 300/1970, Statuto della Cgil e delle categorie, Conferenza di organizzazione, accordi. Si può sostenere quindi che queste norme siano poche e non affiancate da leggi ma solo da accordi, peraltro spesso non applicati. Questo è già un primo importante oggetto di riflessione: sicuramente un aspetto normativo fondato su vere e proprie leggi dello Stato, potrebbe dare un valore maggiore alla struttura e al funzionamento dell'attività sindacale, a partire ad esempio da una legge sulla rappresentanza sindacale. Per poter parlare di organizzazione è importante individuarne però i confini e la struttura. La struttura della Cgil vede da una parte le categorie (le Federazioni, strutture verticali) che organizzano i lavoratori addetti a produzioni o servizi simili, dall’altra le strutture organizzative intercategoriali (strutture confederali o “orizzontali”) cui sono affiliate tutte le categorie. In quanto organizzazione complessa, sono riscontrabili al suo interno alcuni problemi organizzativi, veri e propri “dilemmi” che costringono la Cgil alla ricerca di un equilibrio dinamico tra forze contrapposte. Le sfide territoriali sono particolarmente importanti per la nostra categoria, ma più in generale anche per tutta la Cgil, in quanto spesso hanno riflessi diretti sulla struttura organizzativa locale. Questi passaggi da una strategia organizzativa all'altra fanno capire quanto sia importante per una categoria come la nostra la componente umana; le risorse umane sono fondamentali per l'organizzazione della nostra categoria. La gestione organizzativa di risorse umane e risorse economiche Le criticità della nostra categoria sono tante e le viviamo nelle nostre Camere del Lavoro quotidianamente: seguiamo 27 contratti diversi, tuteliamo contemporaneamente il singolo ed il gruppo di lavoratori ma senza avere a disposizione un luogo fisico unico in cui incontrarli, il turnover del personale è elevatissimo ed inoltre perdiamo continuamente delegati perché, per loro fortuna, trovano altri posti di lavoro. L' elevata mobilità dei lavoratori incide in due modi sulla categoria: mancata fidelizzazione degli iscritti che vanno riconquistati di anno in anno e un grosso problema sui delegati che troppo spesso ci lasciano per proposte di lavoro più interessanti. Ma l'organizzazione della FILCAMS gode anche di alcuni vantaggi: possiamo vantare il maggior numero di iscritti sotto i 35 anni, ciò significa che rappresentiamo i giovani, cioè il futuro del nostro Paese, i lavoratori che hanno appena iniziato il loro percorso. Questa può essere una grande risorsa, di cui va usato il potenziale innovativo, perché se è vero che per la Cgil è molto difficile stare al passo con i tempi è anche vero che per la nostra categoria potrebbe essere più facile visto che siamo pervasi dal cambiamento, lo rappresentiamo. Rappresentiamo tutto ciò che caratterizza la società moderna: precarietà, flessibilità, mobilità, incertezza. Altra caratteristica positiva: siamo una categoria flessibile che può permettersi di sperimentare modalità nuove di fare sindacato. Non siamo legati a luoghi di lavoro storici, immobili e che fino ad ora hanno dato certezze. È come se fossimo fatti di una materia plasmabile e quindi possiamo assumere la forma che più ci serve in ogni contesto. Alla luce di queste riflessioni è evidente come sia d'obbligo parlare di “risorse umane” all'interno della Cgil. Anche se questa espressione nell'immaginario sindacale è vista come tipicamente aziendalistica, credo sia fondamentale riappropriarsi del significato letterale: l'uomo è una risorsa per l'organizzazione e per la nostra ancor più che per altre, in Cgil la persona rappresenta un valore aggiunto in ogni attività. Passando ora alle risorse economiche, le entrate si possono dividere tra: contributi sindacali (iscrizioni dei lavoratori); contributi da strutture (servizi della organizzazione); contributi da organismi diversi (enti bilaterali); liberalità (contributi volontari). Il problema economico per la FILCAMS è strutturale: il valore delle quote tessere che entra nelle casse FILCAMS è troppo basso rispetto alle risorse necessarie per rispondere alle richieste di servizi e di tutela che gli addetti del settore avanzano. Proprio per questo è evidente che l'attuale impostazione della gestione delle risorse economiche non è efficiente per la nostra categoria. In particolare il periodo di crisi economica che stiamo affrontando ci mette di fronte ad un problema concreto: chi si rivolge ai nostri uffici, chi ci chiede aiuto, ha già perso il posto di lavoro e quindi non ha un reddito da cui poter prelevare la percentuale per l'iscrizione. La Conferenza d'Organizzazione ha affrontato il tema proponendo una diversa ridistribuzione delle risorse, modificando fin dai primi mesi del 2009 le quote di canalizzazione che dal livello nazionale e regionale dovrebbero tornare in modo più massiccio verso i territori. Questo meccanismo, del tutto in linea con l'indicazione più generale di ritorno sui territori dell'attività sindacale, prevede quindi che ci siano più risorse gestite direttamente nei territori e meno nei livelli nazionali e regionali. Proposta di un modello organizzativo confederale

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Soprattutto per una categoria come la nostra, caratterizzata da una forte frammentazione degli orari di lavoro, dalla polverizzazione dei luoghi fisici di lavoro, dalla presenza di lavoratori in appalto, è impossibile parlare di “luogo di lavoro” come posto in cui si possa creare un gruppo di lavoratori. E proprio per questo la nostra categoria dovrebbe essere quella più interessata alla spinta verso il territorio. E non intendo solo attraverso la presenza nei vari comuni, ma intendo essere presenti tra i lavoratori. E i lavoratori dove sono? Nei centri commerciali, nei centri storici, negli uffici pubblici (DUC, Centri per l'Impiego, INPS, ecc.), negli ospedali, negli aeroporti, ecc.. Ed è in quei luoghi che il sindacato dovrebbe essere. Ma ancor prima dovremmo essere nelle scuole superiori e nelle università. La proposta quindi potrebbe essere quella di prevedere interventi strutturati nelle classi quarte e quinte degli istituti superiori, nei quali si programmino alcune ore a disposizione del sindacato per fare cultura sindacale parlando di storia del movimento sindacale, valori e principi del sindacato, diritti nel mondo del lavoro, conquiste delle lotte sindacali e di qualsiasi altro argomento che possa far interessare i giovani al mondo del lavoro e non solo. Una seconda proposta è dunque quella di strutturare le categorie in modo da presidiare alcuni punti strategici in cui essere vicini ai lavoratori. Oltre che parlare di delegati di sito si potrebbe parlare di “uffici di sito”, in cui a rotazione si potrebbero alternare funzionari e delegati per ricoprire il ruolo di prima accoglienza del lavoratore, dell'analisi del bisogno, di un eventuale rinvio ad un servizio specifico o anche di una prima tutela individuale che può essere rappresentata da una risposta ad una lettera di contestazione così come dalla compilazione del modulo delle detrazioni fiscali. Altra leva organizzativa è la gestione degli enti bilaterali. La nostra categoria ha recentemente iniziato un percorso di rivisitazione degli enti che ha preso il via dall'analisi della situazione attuale, degli statuti degli enti, nonché delle risorse umane e non a disposizione degli stessi. Vediamo quindi quali ambiti di intervento potrebbero ricoprire gli enti bilaterali rispetto agli scenari attuali. La ricerca di settore e gli osservatori hanno carattere fondamentale per l'analisi del bisogno delle aziende e dei lavoratori e dovrebbero diventare il primo step nella progettazione di tutte le attività promosse dagli enti. Tanto i progetti formativi quanto gli strumenti di supporto per le aziende dovrebbero basarsi su uno studio approfondito e strutturale delle reali situazioni del settore di riferimento per evitare di produrre strumenti non efficaci e poco spendibili. La formazione dovrebbe rimanere lo strumento fondamentale prodotto dalla bilateralità; è il punto di incontro tra le esigenze aziendali e dei lavoratori. Può essere usata anche per diminuire l'impatto negativo della precarietà aumentando la professionalità dei lavoratori precari per renderli più appetibili dal mercato usando i periodi di non lavoro per fare formazione. Altro aspetto importante potrebbe essere quello, a cui ho accennato precedentemente, di formazione all'interno delle scuole. Anche l'azienda deve capire l'importanza che la cultura sindacale e dei diritti riveste nella preparazione di lavoratori responsabili. Dalle analisi di settore dovrebbero scaturire spunti importanti anche per la creazione di strumenti di supporto alle aziende, quali strumenti di innovazione tecnologica e supporto alla competitività. Attività che si legano strettamente anche alla formazione professionale. Un altro ruolo importante che già esiste ma che potrebbe essere rinforzato e strutturato in modo omogeneo nei vari territori è quello conciliativo. Se l'ente bilaterale diventa arbitro competente sulle vertenze del settore, si può garantire una maggiore tutela dei lavoratori e rinforzare il dialogo con le aziende. L'ente bilaterale deve diventare luogo di confronto tra aziende e sindacati in cui produrre idee e strumenti utili anche alla contrattazione territoriale per un miglior funzionamento del sistema del lavoro nel nostro Paese senza sostituirsi in nessun modo alle attività di welfare che devono necessariamente rimanere in capo allo Stato. Organizzativamente immagino un livello nazionale che si dedichi all'individuazione di uno Statuto guida per tutti i territori, alla diffusione di linee guida e alla verifica periodica del funzionamento degli enti. Il livello provinciale deve invece diventare punto di riferimento per le aziende ed i lavoratori del territorio, mettendo in pratica le attività individuate precedentemente, strutturandosi in modo efficiente, prevedendo due livelli di addetti. Negli enti dovrebbero operare funzionari tecnici che possono seguire tutte le attività quotidiane e funzionari politici per le fasi decisionali. In questo modo si potrebbero individuare percorsi formativi da far seguire a chi opera strutturalmente negli enti. Un ultimo aspetto importante che ruota intorno alla bilateralità è l'unitarietà sindacale. Nodo critico del momento che deve sciogliersi per far fronte alle reali esigenze che i lavoratori e le aziende stanno affrontando in questo difficile periodo di crisi economica.

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Le strategie e gli strumenti della sindacalizzazione (Marco Ghezzani) La sindacalizzazione nasce come conseguenza dello sfruttamento della classe operaia. Da sempre l'uomo è consapevole che unendosi in associazione con altri uomini, può ottenere risultati che da solo non otterrebbe mai. La storia del sindacato italiano si sviluppa nell'arco del XX° secolo; in questo periodo, intrecciando le proprie vicende con la storia di alcuni partiti politici, il sindacato riesce a rivendicare per i lavoratori diritti e dignità. Nel 1906 nasce la CGL e nello stesso periodo, la FIOM riesce ad ottenere in un contratto di lavoro l'istituzione delle prime forme di rappresentanza dei lavoratori. Nel corso della storia del sindacato, le forme di rappresentanza variano, anche in funzione del contesto storico di riferimento. Nel 1970, viene approvata la legge 300 (statuto dei lavoratori), con l'istituzione delle Rappresentanze Sindacali Aziendali. Nel corso della sua esistenza, il sindacato (nella fattispecie la Cgil) ha attraversato momenti duri, dal fascismo all'anticomunismo, dal terrorismo alle divisioni interne, senza però smettere mai di svolgere il proprio compito, quello della tutela dei lavoratori. I cambiamenti di produzione hanno comportato inevitabilmente mutamenti nel mondo del lavoro e nei rapporti tra lavoratori e aziende, e ciò ha significato talvolta la perdita di alcuni diritti acquisiti nel passato. Per porre rimedio a questa situazione, o comunque per tentare di migliorare nuovamente la condizione dei lavoratori, c'è bisogno di un impegno forte e costante, che riesca a riportare il sindacato al centro delle questioni del lavoro, a rafforzarlo e rilanciarlo. C'è bisogno di “sindacalizzare”. Lo strumento fondamentale per la sindacalizzazione, è il delegato sindacale. Nel corso del tempo, il sindacato ha perso credibilità nella società e tra i lavoratori; per avviare un'operazione di rilancio e di rinnovamento, è necessario investire nelle nuove leve. I motivi per portare avanti quest'operazione sono molteplici: in primo luogo i delegati sono persone che appaiono lontane da conflitti di interessi, spinti generalmente da una passione autentica e da un forte senso di giustizia sociale; soprattutto però, sono lavoratori presenti nelle aziende e a diretto contatto con i colleghi di lavoro. La figura del rappresentante sindacale, può svolgere un ruolo fondamentale anche per contrastare quelle aziende che spesso mirano con lucido calcolo al superamento del ruolo del sindacato, ponendosi come interlocutori privilegiati e diretti dei lavoratori, in modo tale da dare l'illusione di farsi carico in prima persona degli interessi e dei problemi degli stessi. In realtà questo comportamento nasconde la volontà di mettere in discussione la rappresentatività del sindacato, isolandolo dai lavoratori e di conseguenza ponendo anche questi ai margini dell'azienda. Negli ultimi tempi, il ruolo del rappresentante sindacale, ha perso di incisione nelle aziende e tra i lavoratori. I motivi sono molteplici, ma uno in particolare può essere quello più rappresentativo: la mancanza di una formazione di base, che troppo spesso relega il ruolo del rappresentante in una posizione marginale, aumentando di conseguenza i carichi di lavoro dei funzionari sindacali, e contribuendo così a generare inefficienze nell'organizzazione del sindacato. È quindi necessario ripartire dalla formazione di base per rilanciare il ruolo del rappresentante che, formato, acquisterebbe una maggiore sicurezza nei propri mezzi e di conseguenza una maggiore autonomia nell'agire quotidiano. Una volta riacquistata la sicurezza nei propri mezzi, il delegato sindacale potrebbe essere in grado di fornire una prima risposta a chi pone domande o problemi, superando così il senso di sfiducia di quei lavoratori nel cui immaginario la figura del delegato è associata soltanto alle ore di permesso, a più o meno espliciti vantaggi, etc. In questo contesto, una parte importante per ottenere nuovamente la fiducia dei lavoratori (sia nel delegato, sia nel sindacato), potrebbe assumerlo la stessa organizzazione sindacale, intervenendo in prima persona quando il suo rappresentante non svolge al meglio, nel limite delle proprie capacità, la funzione che è chiamato a rappresentare. Il delegato è un rappresentante dei lavoratori e, in virtù di questo, deve svolgere il mandato nella maniera più leale e onesta possibile, proprio per distinguersi e contrastare quel pregiudizio che riduce i sindacalisti a casta privilegiata. Un tale impegno comporta però inevitabilmente dei sacrifici. Nella maggior parte dei casi, questi vengono superati grazie alla passione e all'entusiasmo, ma talvolta possono essere necessarie politiche di incoraggiamento, specialmente nei periodi più difficili. Ecco che potrebbero essere pensate forme di riconoscimento anche economiche, come buoni pasto o rimborsi per le schede telefoniche, poiché il lavoro di un buon delegato non dovrebbe limitarsi alle ore di assemblea, ma dovrebbe continuare anche fuori dalle ore di lavoro. Spesso infatti gli iscritti vedono nel rappresentante una figura amica, capace di aiutarli in caso di bisogno. Disponibilità e presenza, dovrebbero essere le parole d'ordine di un buon delegato. Quello del delegato sindacale, potrebbe essere uno strumento per riallacciare un rapporto di fiducia tra il sindacato e i lavoratori, ma un ruolo importante può essere riservato anche alle strategie da adottare. La prima è senza dubbio quella di investire (tramite la formazione) in rappresentanti sindacali di qualità, per ripartire da questi per una classe dirigente di qualità. Altro punto è la riorganizzazione delle forme di protesta; se le adesioni agli scioperi, a parte le grandi manifestazioni dense di importanti significati, sono relativamente basse, occorre ascoltare i lavoratori per ascoltarne le motivazioni, quindi dialogare con la base, e soprattutto coinvolgerla per trovare e verificare insieme forme alternative di lotta.

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A proposito del dialogo con la base, un'altra strategia potrebbe essere quella di creare dei centri di aggregazione, nei quali discutere, dalla politica, all'attualità, dalle questioni sindacali, ai problemi cittadini. Luoghi diversi dai classici direttivi, convegni etc. Loghi dove poter interagire con maggiore partecipazione e dinamicità, dove non sia necessario iscriversi per parlare, e dove il dibattito sia più attivo. Oggi il sindacato appare agli occhi dei giovani come una macchina burocratica vecchia e stanca, e per questo c'è bisogno di un'immagine più viva, più dinamica e più snella. Le stesse Camere del Lavoro potrebbero fungere da luoghi di aggregazione, ospitando al loro interno biblioteche, sale di proiezione, centri studi dove potrebbero ritrovarsi anche gli studenti, riavvicinando così le strutture anche alla cittadinanza. Ancora, dovrebbe essere rimarcato il valore inclusivo dei lavoratori, nel loro coinvolgimento diretto nelle scelte che li riguardano (referendum, elezioni ecc.). Anche con le istituzioni potrebbe esserci un rapporto diretto: con i Comuni per allestire musei del lavoro, con le scuole per insegnare agli studenti il valore del lavoro e della sicurezza sul lavoro, con i partiti politici, per allestire stand all'interno di appositi spazi messi a loro disposizione, durante le feste di partito; promuovendo e sostenendo nuovi soggetti culturali, quali compagnie teatrali, registi, ecc. Politiche rivolte allo scambio culturale con lavoratori immigrati, evitando così di marginare il problema e di ghettizzare gli stranieri, continuando nell'opera di democratizzazione del paese, iniziata con la conquista dei primi diritti. Un ruolo importante per la sindacalizzazione può essere interpretato dal sistema servizi, che può mettere in contatto i lavoratori non sindacalizzati con la struttura sindacale. Un'altra strategia potrebbe essere quella di garantire trasparenza nell'operato del sindacato, coinvolgendo i lavoratori nel controllo dei delegati, i delegati nel controllo dell'operato dei funzionari, e così via nei vari livelli. Infine ritengo necessaria la costituzione di una contrattazione a livello europeo, che preveda il rispetto di alcuni diritti minimi garantiti per tutti. Relativamente alle strategie da adottare, mi sono soffermato su quelle più semplici e immediate da poter applicare, tuttavia si potrebbe aprire una questione interessante sul futuro del sindacato. Provare, sull'esempio di alcuni paesi europei, a incrementare il numero degli iscritti, legando l'adesione alla prestazione di servizi (sistema Ghent), col rischio però di perdere la naturale propensione alla rappresentanza del mondo del lavoro oppure rischiare, così come accade in Francia, di avere una bassa adesione, ma una elevata capacità di mobilitare grandi masse di persone?

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La formazione nella nostra organizzazione (Alessandra Di Simone) Parlare della formazione con un sindacalista della Cgil è sempre questione delicata, oggi come lo era ieri. Da sempre infatti il sindacato, ha considerato l’esperienza, il punto di partenza e il punto di arrivo di un processo di conoscenza che è fatto di saperi variamente acquisiti e utilizzati ai fini della crescita delle conoscenza civile e democratica del paese. Solo l’esperienza poteva e per molti ancora oggi può rappresentare l’unica e vera scuola nella quale è possibile formarsi al mestiere del sindacalista. I sindacalisti quindi, hanno sempre inteso il sapere come sinonimo di saper fare ed esso il risultato del frutto del lavoro “sul campo”, dello studio casomai individuale, della lettura, dell’ascolto, della partecipazione politica e sociale, della frequenza ad attività formative più o meno strutturate. Queste le motivazioni di una assoluta necessità di promuovere esperienze formative nella Cgil e soprattutto nella Filcams. Osservando attentamente le esperienze condotte negli ultimi anni, è stato constatato come, il “mestiere” del sindacalista non sia affatto solo il frutto di capacità generali che consentono di affrontare qualunque problema in ogni circostanza ma, sia piuttosto, l’esito di un processo progressivo di acquisizione e di competenze, di carattere sia politico-culturale che di carattere professionalmente specifico. Di qui quindi, la consapevolezza di intendere la formazione dei quadri sindacali come un vero e proprio progetto culturale, una vera e propria educazione degli adulti, attività delicatissima, che pretende capacità raffinate di progettazione, gestione e verifica. Un esempio a cui la Cgil di oggi si ispira insieme all'Isf, è l’esperienza realizzata già dall’Ufficio Formazione che ha avuto l’ambizione di voler realizzare l’idea di una formazione sindacale necessariamente capace di avvicinarsi sempre più alle caratteristiche della formazione generale di medio e alto livello. Quello che si sosteneva è che a ruoli sindacali sempre più complessi devono corrispondere competenze diversificate e insieme più radicate in specialismi. L'assunto da cui dobbiamo partire per comprendere l'importanza della formazione in un'organizzazione sindacale come la nostra è che essa è sicuramente una struttura sociale complessa, il nostro sindacato ha un ruolo importante da svolgere sia nell'estendere i diritti che nelle tutele ma oggi, più di ieri resta l'ultimo baluardo della difesa della nostra democrazia. Deve sempre più confrontarsi con organizzazioni, istituzioni e attori spesso, oramai, più attrezzati, più moderni nelle dotazioni e nell’investimento organizzativo. Deve sicuramente non soccombere in un confronto, che non è solo politico, ma anche progettuale, culturale e comunicativo. La politica dei quadri, in questo senso, può essere l’elemento strategico su cui puntare. Senza una migliore selezione e soprattutto senza una programmata formazione continua dei quadri di base, dei dirigenti ecc…, rischiamo di andare incontro ad un ampliamento dei processi di delegittimazione che potrebbero porre la Cgil in una condizione di totale isolamento rispetto ai processi in atto. Il quadro sindacale, oggi più di quanto non accadesse ieri, è sottoposto a verifiche sempre più rigorose e dirette, spesso a compiti più complessi sia nei confronti della base che delle controparti. Siamo sempre più sotto la lente di ingrandimento di tutta la società politica e civile, usando una vecchia espressione sindacale possiamo dire che è necessario riorganizzare “le nostre truppe” per ripartire nella costruzione di un nuovo Paese e quindi di un nuovo ed innovativo Sindacato, il nostro appunto. Per fare questo, è necessario che la selezione e la formazione debbano essere considerati processi connessi, imprescindibili e assolutamente vincolanti. La formazione è indispensabile per cogliere tempestivamente l'evoluzione dei processi in atto nel settore e per accrescere la capacità di proporre soluzioni avanzate in grado di tutelare gli interessi rappresentati. E' semplice condividere almeno a parole, quanto scritto, più difficile convincere nei fatti tutta quanta la classe dirigente della Cgil, che ciò che abbiamo scritto si debba trasformare in azione, in progettazione in pratica in realizzazione. Come deliberato già nel 2008, dalla Conferenza di Organizzazione, bisogna investire risorse finanziarie per realizzare progetti di formazione in cui tutta la classe dirigente creda seriamente tanto da investire del denaro. Se ciò che stabilito con il “Progetto 20.000” per la formazione delle RSA, RSU, RLS ecc., insieme all'impegno assunto da molte categorie, tra le quali anche la Filcams, di continuare nei percorsi dei Master Isf o seminari per la formazione continua si trasformano in veri strumenti vincolanti per la costruzione della nuova e futura classe dirigente della Cgil, allora abbiamo qualche motivo in più per ben sperare di venir fuori dall'isolamento rafforzati non solo in termini di iscritti ma soprattutto in termini di identità e di appartenenza.

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La Filcams e il sistema dei servizi (Andrea Ferretti) Questo mio lavoro vuole rappresentare una analisi dell’evoluzione dei servizi all’interno della nostra Organizzazione partiti per essere una risposta alle domande estemporanee degli iscritti fino a diventare un sistema integrato capace di analizzare la società fino a prevenirne i bisogni e creare, in collaborazione con le categorie, le condizioni per “aggredire” le cause del malessere sociale. Quindi, attraverso un quadro puntuale di quelli che sono i servizi storici, i nuovi e quelli di “confine”, cercare di affrontare alcuni nodi cruciali quali la figura dell’iscritto e del cliente, come sottoinsieme che, spesso, sempre meno coincidono, la differenza fondamentale tra l’essere un sindacato di servizi e l’essere, invece, un sindacato che cerca le necessarie sinergie tra la tutela individuale e collettiva per esercitare il suo ruolo di centro regolatore del mondo del lavoro fino ad andare a proporre alcune idee e strumenti per realizzare questo difficile percorso. Il sistema servizi della Cgil …una rete dei servizi della Cgil che affermi in primo in primo luogo la centralità della persona e la ricerca dei suoi bisogni come principio cardine… Considerando che i rapporti lavorativi e sociali impostati nel precedente contesto industriale in termini quasi esclusivamente collettivi, si spostano in direzione dell’individuo, cambiando gli stili di vita e i rapporti comuni e che l’intera società appare fortemente individualizzata la Cgil, nel congresso del 1996, assume i diritti individuali di cittadinanza sociale come obiettivo prioritario della propria azione e nella conferenza nazionale di Fiuggi del 1999 assume la finalità di adeguare, in una logica di razionalizzazione e innovazione organizzativa, le strutture per garantire la tutela individuale che è dovuta agli iscritti e a tutti i cittadini e per riuscire ad intervenire in settori dove è scarsa la nostra azione di tutela. Nasce quindi l’esigenza di indirizzare gli interventi al fine di creare una idea di “sistema dei servizi” indicando come prioritaria la necessità di quest’ultimo di passare da una politica di gestione funzionale del servizio ad una politica che veda la persona al centro della definizione di un’offerta di tutela rispondente ai nuovi bisogni e ad una continua evoluzione del mercato del lavoro. L’obiettivo principale diventa riconoscere e valorizzare il bisogno sin dal primo contatto andando poi a mettere a disposizione tutte le competenze disponibili date dall’integrazione di tutti i servizi per offrire la risposta necessaria tra informazione, assistenza, tutela e consulenza. Nella conferenza di organizzazione che si è appena conclusa (Roma, 2008) questi principi e queste linee di intervento sono state riaffermate con forza individuando la necessità di acquisire una vera e propria visione sistemica che racchiuda in se la capacità di dare risposte qualificate muovendosi verso una visione comune che sia capace di coinvolgere tutte le strutture confederali, dei servizi e di categoria in funzione della persona vista come portatrice di una molteplicità di bisogni, spesso latenti, e di domande individuali e collettive. I servizi del sindacato o un sindacato di servizi? …promuovere una coscienza sistemica passa inevitabilmente dalla valorizzazione di tre valori fondamentali: il sapere (che comporta una forte professionalità e costante professionalizzazione individuale), il saper fare (la coscienza di far parte di un sistema e della sua potenzialità) e il saper essere (il senso di appartenenza all’organizzazione)… Diventa necessario porre l’accento sulla necessità di definire percorsi formativi nuovi ai diversi livelli dell’Organizzazione. Tali percorsi dovranno integrare i piani formativi esistenti ponendo un accento particolare sulla funzione di coordinamento e raccordo svolto dal livello confederale; non si tratta, ovviamente, di surrogare l’attività formativa svolta dalle e nelle categorie, quanto piuttosto di rendere maggiormente integrati gli interventi accentuando gli aspetti tecnico-professionali, la conoscenza dei contesti organizzativi esistenti nell’ambito dei servizi. Si tratta di valorizzare la dimensione politica entro cui si espleta l’azione sindacale e dei servizi e la sua confederalità, per essere identificati come soggetto che eroga, anche, servizi (quindi riconosciuto principalmente come soggetto che partecipa alla vita politica e come centro regolatore e di salvaguardia per il mondo del lavoro e dei lavoratori) e non esclusivamente come luogo dove recarsi essenzialmente per affrontare e risolvere il proprio problema contingente: questo è, e deve essere. precisamente ciò che ci distingue da altri soggetti (sindacali, pubblici e privati) che operano nel campo della tutela individuale. Per consentire questa piena valorizzazione è necessario integrare l’intervento della tutela individuale tra i diversi servizi, nonché raccordare la tutela individuale con quella della rappresentanza collettiva, quindi tra servizi e categorie e tra categorie e confederazione perseguendo una piena condivisione dei problemi e degli obiettivi e un intervento di raccordo tra i diversi piani di azione e della valorizzazione (culturale, politica ed organizzativa) del ruolo svolto dai servizi. In pratica si tratta di affermare con forza che, oggi, le due tutele, individuale e collettiva, hanno la stessa importanza. Un altro tema da perseguire è quello della qualità dell’azione svolta. In questo senso, oltre alle problematiche connesse agli aspetti tecnico professionali, dovranno essere attentamente valutate anche le dimensioni legate all’ambito relazionale.

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Iscritti e/o clienti?…la difficoltà che incontriamo nello svolgimento del nostro ruolo di rappresentanza non è solo legato alla capacità di trasformare in istanze politiche i bisogni individuali dell’utenza, ma anche al fatto di raggiungere fasce di bisogno che oggi ci sono precluse… Il tema caratterizzante la fase attuale che stiamo vivendo è il cambiamento. E’ indubbio infatti che chiunque oggi si avvicini al sindacato, al di là del semplice cambio generazionale, è portatore di domande, culture, progettualità profondamente diverse da quelle che hanno tradizionalmente caratterizzato la Cgil e, più in generale, le organizzazioni sindacali. Proprio questa mancanza di tradizione si traduce troppo spesso in una cultura individualistica; non a caso il contatto con queste categorie di lavoratori passa quasi esclusivamente attraverso la capacità del nostro Sistema dei servizi di rispondere con adeguati livelli qualitativi ai loro bisogni individuali. Uno dei risultati più evidenti di questa situazione diventa quindi una scarsa “fidelizzazione” di una grande parte di questa utenza. Gli iscritti che provengono dal versante della tutela individuale e dei Servizi si avvicinano al sindacato principalmente per ragioni pratiche che portano all’adesione a scapito di quelle ideali. Diventa quindi sempre più indispensabile acquisire una capacità di instaurare un più profondo legame con chi in questo momento si limita a “transitare” attraverso il nostro Sistema Servizi che produca un più attivo coinvolgimento sui grandi temi che caratterizzano l’elaborazione e l’azione del movimento dei lavoratori. Per raggiungere un obiettivo di questo tipo appare indispensabile tornare a rendere primaria la capacità di dare ai bisogni individuali una risposta collettiva in modo da ricostruire una vera rappresentanza di questi lavoratori. In/out Nella conferenza di organizzazione di Fiuggi del 1999 i servizi che la Cgil rende disponibili in ogni territorio vengono stati meglio definiti raggruppandoli in quattro grandi aree: l’Istituto nazionale confederale d’assistenza (Inca), l’area dei servizi vertenziali e legali, i servizi per il lavoro (disoccupati e stranieri), l’assistenza fiscale. In quella stessa occasione i servizi vengono “confederalizzati”, attraverso un percorso graduale che oggi può dirsi sostanzialmente concluso, andando ad affrontare e risolvere l’annosa questione che vedeva le categorie offrire alcuni servizi per conto proprio in coerenza alla convinzione che fosse più importante puntare sul contatto diretto, e quindi su una maggiore possibilità di “proselitismo”, che sulla professionalità data dalla professionalizzazione di un sistema compiuto dei servizi. Adesso, dopo la conferenza di organizzazione del 2008, le quattro grandi aree dei servizi riescono a muoversi come un vero e proprio sistema compiuto riuscendo a rivolgere coerentemente le proprie attività, svolte in relazione all’area della tutela individuale e collettiva con carattere politico, sindacale e contrattuale, sia alla struttura organizzativa interna (Confederazione, Categorie, apparati, RSU etc.) sia a quella esterna ovvero ai singoli iscritti e non che scelgono di usufruirne. Tra i servizi rivolti all’utenza esterna possiamo distinguere quelli forniti direttamente dal sistema servizi Cgil come quelli offerti dal patronato, quelli legati alla vertenzialità e quelli più a sfondo sociale (tutela degli atipici, uffici immigrati, servizi che affrontano i problemi delle disabilità, delle discriminazioni e dell' esclusione sociale) e quelli per i quali la Cgil si affida ad “estensioni” di se stessa (Caaf, Alpa) o a partner esterni (per es. Federconsumatori, Sunia, convenzioni Unipol). I servizi “storici”, i nuovi e quelli “di confine” I potenti cambiamenti verificatisi nel corso degli ultimi anni impongono oggi una particolare attenzione anche agli aspetti sia di carattere sovra strutturale (i fenomeni di globalizzazione e di ridefinizione delle dinamiche della società), sia a questioni proprie degli strumenti atti al controllo e alla rivendicazione dei diritti. Il nodo cruciale sembrano essere le modalità e i soggetti attraverso i quali questo ruolo attivo può essere svolto in un ottica di sistema confederale, evitando confusione di ruoli o, addirittura, commistioni di funzioni che rischierebbero di snaturare l’essenza stessa del nostro agire. Proposte: strade nuove o alternative…è questa l’essenza del tema del cambiamento, un cambiamento che impone a tutti i livelli la capacità di interrogarsi e di rimettere in discussione modalità di azione e di riferimento non più adeguati ad interpretare le nuove realtà… a – Formazione La professionalità è d’obbligo e quindi la formazione diventa indispensabile. Una formazione che sia mirata e continua. La gestione di questa complessità professionale richiede forte motivazione, responsabilità individuale, senso di appartenenza all’Organizzazione. In questo contesto la formazione può e deve essere messa in condizione di svolgere un ruolo essenziale nel favorire un approccio confederale e sistemico e la massima integrazione tra le varie Strutture. Occorre sempre più puntare all’intreccio tra i vari livelli formativi, confederale, di Categoria, e dei Servizi, per poter realizzare un’offerta che integri obiettivi e contenuti specifici con quelli generali di strategia politica e organizzativa confederali con l’obbiettivo di sostenere, anche con la formazione, il progetto politico-organizzativo perseguito dalle strutture. Per quanto attiene ai diversi piani di intervento e ai soggetti coinvolti la formazione dovrà articolarsi nella misura massima possibile in funzione delle diverse competenze richieste. Rete dei delegati La disponibilità di delegati, che vanno opportunamente formati, può dare risultati importanti sui due versanti della produttività dei servizi e del proselitismo. In linea generale dovrà essere precisato e

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messo a punto un progetto rivolto alla rete dei delegati e delle delegate, centrato oltre che sulle competenze sindacali e contrattuali anche sulle capacità relazionali e di orientamento delle domande provenienti dal contesto in cui operano. Particolare attenzione in quest’ottica dovrà essere posta proprio ad una corretta e puntuale conoscenza della rete dei Servizi. Operatori dei servizi Un secondo piano dell’intervento formativo dovrà riguardare gli operatori dei servizi. In particolare, oltre alle competenze tecniche e all’aggiornamento professionale, dovranno essere sviluppate le capacità relazionali, la cultura dell’accoglienza, l’integrazione delle diverse funzioni svolte in un’ottica generale. Devono cioè sentirsi pienamente parte dell’organizzazione, persone che portano un contributo decisivo alla tutela dei diritti dei lavoratori e dei cittadini accanto a coloro che sono impegnati nel perseguire gli stessi obiettivi attraverso lo strumento della contrattazione. Segretari e funzionari sindacali Oltre agli interventi formativi tradizionali dovrà essere posta in essere un’azione di forte qualificazione delle competenze e delle conoscenze tecniche imposte dalla complessità del sistema. b - Operatori polivalenti – Nuova politica dei quadri Nell’ottica di una sempre maggiore crescita della professionalità degli operatori dei servizi si propone come centrale il tema della comunicazione e delle competenze: diventa quindi necessario produrre materiale specifico con informazioni chiare e formare funzionari polivalenti che abbiano conoscenze generali variegate (vertenziali, previdenziali, fiscali, sulle normative dell’immigrazione, sui congedi parentali e competenze politico sindacali), ma che soprattutto siano dotati di forte motivazione ad agire. c - Filtro/Accoglienza In un contesto di mutazione della nostra azione di rappresentanza diventa importante fornire a coloro che si rivolgono al nostro sistema servizi un’accoglienza che sia la nostra carta di presentazione, sul senso politico della nostra azione, sulla sua conoscenza da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, e sull’efficienza dei nostri servizi stessi. Competenza e professionalità, quindi formazione; capacità di comunicazione; rapporti con le aree sindacali e con le categorie. d - Archivio unico delle banche dati Si pone come urgente la necessità di realizzare in tempi rapidi l’unificazione delle diverse banche dati esistenti (Categorie, Servizi, etc.). La costruzione di una banca dati interna per garantire scambi di informazioni tra Servizi e con le Categorie. e - Carta dei diritti La Carta dei diritti dovrebbe andare oltre una semplice elencazione dei servizi offerti, definendo in modo più preciso, oltre alle aree di intervento, anche lo scopo ed i valori che orientano la nostra azione, la struttura organizzativa complessiva ed i livelli di responsabilità, i progetti attuati, i diritti dell’utenza e, non ultimo, gli obiettivi qualitativi che ci si pone in relazione ai diversi interlocutori (interni ed esterni). Come si può facilmente comprendere si tratta di un progetto ben più ampio e con valenze comunicative più avanzate rispetto a quello finora attuato con la Carta dei servizi.

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Una nuova comunicazione per una nuova integrazione (Daniele Soffiati) Il linguaggio del sindacato La stampa, le assemblee, i volantini, i comizi, i manifesti: sono i mezzi tradizionali di cui la Cgil si è servita, e di cui si serve tuttora, per comunicare sia all’esterno che al proprio interno. Strumenti che hanno assecondato e assecondano tre esigenze fondamentali: l’informazione, la propaganda e il proselitismo. Una stampa confederale ad uso interno La stampa della Cgil ha un difetto atavico: essere quasi esclusivamente ad uso interno. L’organo ufficiale deliberato dal primo congresso unitario di Firenze, nel 1947, fu “Notiziario della Confederazione Generale Italiana del Lavoro”. Un giornale ad hoc per le esigenze interne alla Cgil: uno strumento con la funzione di omogeneizzare le conoscenze degli aderenti al sindacato. La testata cessa nel novembre del ’55, e viene sostituita dal periodico tuttora in vigore, “Rassegna sindacale”. Furono molti i cambiamenti che “Rassegna” subì negli anni, dalla periodicità allo stile, dalle rubriche ai colori. Tuttora, forse più che mai, gli articoli sono interessanti, puntuali, attenti ad un’informazione di tipo sindacale, politico ed economico. La circolazione, però, è esclusivamente interna: sono i sindaclisti, e non i lavoratori in genere, l’utenza a cui il giornale si rivolge. E in fondo viene da chiedersi in quanti – anche al nostro interno - leggano questo giornale con assiduità. Un passo avanti: “Rassegna.it” “Rassegna sindacale” è ormai destinata ad essere surclassata dal sito ad essa collegato, www.rassegna.it. Il sito è aggiornato quotidianamente, riporta notizie ed editoriali, propone contenuti audio e video, è dotato di newsletter, rendiconta l’attività di Parlamento e Commissioni su lavoro, politiche economiche e welfare, è dotato di una community per lo scambio di opinioni sugli argomenti trattati. Certo, anche Rassegna.it è più fruito all’interno che all’esterno dell’organizzazione, e l’utilizzo di internet è ancora limitato a coloro che hanno acquisito dimestichezza col mezzo. Una larga fetta di lavoratori è “tagliata fuori”. La strada però verso l’allargamento dell’utenza ai lavoratori, anziché ai soli sindacalisti, sembra essere quella giusta. I manifesti e le campagne di tesseramento Unità, pace, lavoro e libertà sindacale sono le parole al centro dei manifesti fino a metà degli anni’50. Nei ’60, con l’espansione economica e il cambiamento delle modalità di comunicazione legate alla pubblicità, la Cgil ricorre all’uso della fotografia nei manifesti. Gli anni ’70 e la prima metà degli ’80, con l’esperienza unitaria dei sindacati, vedono una grafica di propaganda Cgil legata esclusivamente a congressi e campagne di tesseramento. Dall’inizio degli anni ‘90, ad oggi, tema privilegiato dei manifesti e di tutta la comunicazione della Cgil sono i diritti, con particolare richiamo all’uguaglianza e alla necessità di tutele per donne, anziani, lavoratori stranieri. Campagna di tesseramento 2009 Il manifesto della campagna di tesseramento 2009 merita un’attenta riflessione. Il claim “Arma di protezione di massa” ribalta con un sorriso il terrore delle “armi di distruzione di massa” paventate da Bush. In linea con la nuova politica di Obama, anche la Cgil guarda al futuro con l’obiettivo di proteggere la propria gente in un periodo di forte difficoltà economica, ma senza farsi prendere dal panico. Non viene più usata la parola “diritti”, bensì “valori”, con l’intento di richiamare alla memoria la storia e gli ideali su cui si fonda l’organizzazione. L’elemento davvero dirompente del manifesto è però l’oggetto fotografato, che costituisce una vera e propria rivoluzione concettuale: una biro. La biro rimanda chiaramente ai servizi della Cgil. E’ in atto da anni la discussione sul tipo di sindacato che non vogliamo diventare. A differenza della Cisl e della Uil, ci stanno ancora a cuore le politiche lavorative dei governi, il welfare e il coinvolgimento dei lavoratori. Tuttavia, non possiamo negare che il fronte “servizi” sia anche per noi essenziale. Non vogliamo diventare un sindacato “di servizio”, ma i servizi – letteralmente - servono: per le esigenze pratiche dei lavoratori, e per i nostri bilanci. La campagna di tesseramento di quest’anno, dunque, parla chiaro. La biro, con tappo rosso e inchiostro nero a richiamare il nostro simbolo, è l’arma con cui possiamo “proteggere” la massa di lavoratori, anche e soprattutto compilando le mille pratiche che li riguardano. Questa concessione ai servizi rappresenta un cedimento nelle nostre convinzioni più profonde? Forse. O forse no: abbiamo unito l’utile all’ideale, con una campagna pubblicitaria convincente, chiara, efficace, che porterà gente nelle Camere del Lavoro. Conclusioni: imparare a comunicare, con l’interno e con l’esterno. Alcuni proposte per aggiornare, e rendere più efficace, la nostra comunicazione. Alfabetizzazione informatica interna. I personal computer e internet in meno di quindici anni hanno rivoluzionato abitudini e comunicazioni. Parte dei funzionari, soprattutto fra gli “over 50”, non solo ignora completamente il funzionamento dei più elementari strumenti digitali, ma sembra quasi rifiutarne con disprezzo l'apprendimento. E’ un limite che deve essere superato, aiutando chi non ha dimestichezza col computer tramite veloci corsi di formazione, mirati ad insegnare le cose fondamentali: l’uso di word, salvare un file, consultare un sito, avvalersi di un motore di ricerca, spedire una e-mail. Maggiore offerta di servizi nei nostri siti internet. La nostra presenza sul web denota ancora delle lacune: la dimensione informativa è preponderante, a discapito degli spazi di servizio. Inoltre, bisogna superare la

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frammentazione: dobbiamo trasformare i nostri siti in una rete, con possibilità di accedere alle informazioni e ai servizi (compresi quelli dell’Inca e del Caaf), e al blog, da ogni nodo autonomamente gestito. Formare i delegati per parlare al mondo che ci circonda. Se vogliamo che ciò che comunichiamo venga ascoltato e recepito, non possiamo affidarci alla buona volontà dei delegati e ad una presunta loro adesione ai valori della Cgil e della sinistra in generale. Salvo poi lamentarci del fatto che i delegati di oggi sono impreparati e inconsapevoli della storia del nostro sindacato. E’ troppo comodo dire che i giovani delegati non conoscono le grandi lotte e le conquiste del passato. E’ un dato di fatto inevitabile: nessuno le insegna loro. Così come nessuno fornisce loro una formazione tecnica comprensiva di rudimenti di natura fiscale, previdenziale, e di lettura della busta paga. Per anni la Cgil si è affidata ad una formazione estemporanea, non strutturata, a volte demandata ai territori. L’organizzazione sembra essersi accorta di questo grosso limite, trascinato per anni. Col “Piano nazionale di formazione sindacale 2009”, concepito durante la Conferenza d’Organizzazione, la Cgil punta alla formazione – nell’arco di un anno - di 20.000 delegati e quadri. Una formazione identitaria e tecnica. E’ ciò che serve per rendere i delegati più consapevoli, preparati e motivati, e maggiormente in grado di rapportarsi coi colleghi e i lavoratori in generale. Multilinguismo. Malgrado un sempre maggiore numero di lavoratori stranieri si iscriva alla Cgil (sono ormai oltre 250.000, quasi il 10% del totale dei nostri iscritti attivi, e crescono mediamente più del 20% ogni anno) non è ancora una nostra prassi tradurre i volantini che distribuiamo a tonnellate. Solo il patronato Inca e alcuni territori si stanno muovendo in tal senso. Manca ancora però un’attenzione costante verso le lingue altrui. Per informare e formare i lavoratori stranieri, destinati a crescere numericamente, deve diventare nostra prassi la traduzione del materiale sindacale: i volantini, gli opuscoli, le guide, le comunicazioni affisse all’esterno degli uffici. Appositi spazi in lingua straniera devono trovare una collocazione anche sui nostri siti internet. E’ un lavoro, questo, che non può essere lasciato alla buona volontà e all’estemporaneità delle camere del lavoro territoriali. Serve un coordinamento dalle strutture nazionali e regionali, che devono predisporre – in forma cartacea e sul web – i materiali informativi nelle varie lingue. Nuove forme espressive. Opuscoli in forma di “botta e risposta” (di stampo anglosassone) e guide a fumetti sono strumenti che sono stati utilizzati in questi anni, e ai quali bisogna ricorrere con maggiore frequenza: sono immediati, accattivanti e facilmente comprensibili. La difficoltà di parlare ai lavoratori non è un problema di oggi. Un tempo dovevamo misurarci col diffuso analfabetismo. Oggi, ci confrontiamo con un nuovo analfabetismo, quello informatico, e con la molteplicità delle lingue. È una sfida stimolante, che potrà e dovrà ridefinire l’assetto dei nostri iscritti, includendo un maggior numero di giovani, e rendendo più consapevoli i lavoratori stranieri. Quando la Cgil si pone delle sfide, generalmente le vince. Proviamoci anche questa volta.

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Continuità e discontinuità del conflitto nel nostro settore e nella nostra società (Cosimo Francavilla) Era il 1916 quando Henry Ford, negli Stati Uniti D’America, propose con enorme successo un modo nuovo di organizzazione della fabbrica. Particolare ed innovativo al punto tale da dare il nome a un periodo storico-sociale-economico che, dal modo di lavorare in fabbrica, portò evidenti cambiamenti al vivere quotidiano della società occidentale “civilizzata”: Il Fordismo. Il tessuto sociale, conseguentemente, subiva e viveva l’influenza della spregiudicatezza e della violenza organizzativa propria della fabbrica. L’abilità e la professionalità dell’operaio di mestiere vengono sempre più eliminate e sostituite dalla subalternità del lavoro umano alle esigenze dell’automazione imposte dalla catena di montaggio, con l’effetto di incrementare a dismisura l’intensità e lo sfruttamento del lavoro. Si attua così il primato della macchina e dell'organizzazione della macchina sulla prestazione umana di lavoro. Il mercato era praticamente illimitato. Avviene un cambiamento strutturale del lavoro che annulla totalmente la forza contrattuale degli operai di mestiere e, difatti, non può sorprendere che tale ristrutturazione della produzione abbia incontrato forti e radicali ostilità da parte del mondo del lavoro. E’ chiaro che l’addetto a uno degli ingranaggi della macchina di produzione faceva una vita da bestie ma allo stesso tempo, inevitabilmente, permetteva di sviluppare un senso di appartenenza al proprio ceto sociale talmente forte da consentire la conquista della maggior parte dei diritti di cui tuttora godiamo, sia in quanto cittadini, sia in quanto lavoratori. La nuova organizzazione del lavoro indotta dal fordismo presenta aspetti contraddittori, che non verranno mai risolti e saranno all’origine della conflittualità operaia di fine anni Sessanta e Settanta. Il legame tra crescita della produzione e crescita dell’occupazione sarà infatti una costante dell’epoca fordista, almeno sino alla metà degli anni Settanta. Ned Ludd era un operaio tessile della fine del 1700 e fu il primo ad opporsi alla dittatura del padrone danneggiando volontariamente un telaio in segno di protesta. Il significato di quel gesto in quel periodo storico poneva le sue radici nella giusta convinzione che l’arrivo delle macchine togliesse del lavoro all’uomo e di conseguenza fosse la causa della minore occupazione. Traslato sul periodo della catena di montaggio il “luddismo”, o sabotaggio volontario, individuale, silenzioso e nascosto della macchina di produzione, portava alla luce la vulnerabilità degli impianti di fronte alla violenta imposizione del volere e delle necessità del padrone. La conflittualità dei primi anni Venti e la resistenza alla nuova Organizzazione fordista del lavoro avvengono su due livelli: quello tradizionale dello scontro sindacale e sociale e quello più indiretto e meno evidente dell’esodo, ovvero della sottrazione alle nuove condizioni di lavoro, ritenute dequalificanti di abbruttimento. A ciò corrispondeva però l'atteggiamento tenuto dai sindacati per frenare le rivendicazioni dei lavoratori al fine di sostenere un governo apparentemente proiettato di più verso i problemi dei cittadini-operai, come ad esempio avvenne nei confronti del governo laburista in Inghilterra alla fine degli anni ’40. Il "gatto selvaggio" è una forma di sciopero esterna sia alle regole, sia alle disposizioni dei sindacati. Va da se che il brusco cambiamento dell’organizzazione del lavoro e allo stesso tempo della società ha portato prima di tutto una nuova “struttura di famiglia”. Una delle caratteristiche più rilevanti della recente dinamica del mercato del lavoro italiano è rappresentata dal fenomeno della femminilizzazione del lavoro. Il post fordismo con la questione della flessibilità sembrava essere una risposta alla emancipazione femminile, anzi alcune caratteristiche sono state dalle donne addirittura auspicate. L’arrivo del part-time, ad esempio, ad un certo punto sembrava la salvezza, o comunque una soluzione, alla condizione sociale femminile. Nel momento in cui a fronte di cambiamenti culturali giuridici e sociali rispetto al ruolo della donna e della famiglia avvenuti negli ultimi anni c'è una riduzione del supporto sociale al lavoro di cura, che invariabilmente rimane per la maggior parte del tempo a carico della donna, la situazione è aggravata dal fatto che comunque la riduzione dei salari e il cambiamento del tenore di vita dovuto ai cambiamenti sociali, comporta che in una coppia comunque si debba lavorare entrambi senza possibilità di scelta. Innanzitutto diminuisce la centralità del bene di consumo durevole e cresce l’importanza del bene e del servizio finalizzato al desiderio e alla “necessità” del momento. Dal punto di vista dell’organizzazione delle imprese e del lavoro viene data sempre più importanza alla comunicazione, all’apparire, al sembrare, con grandi investimenti in pubblicità. Cresce in maniera smisurata il ricorso all’appalto e al subappalto e arriva il grande cancro per i lavoratori dell’orario flessibile, del part-time, del contratto a tempo determinato, del lavoro a domicilio, del falso lavoro autonomo. Nasce il culto dell’imprenditorialismo e si ritorna pericolosamente al privato della vita familiare. Alla fine degli anni Sessanta si assiste, negli Stati Uniti, dal lato della domanda, a due fenomeni tra loro contradditori: da una parte, si ha la saturazione della domanda dei principali beni di consumo che sono stati il motore della crescita economica del dopoguerra (gli elettrodomestici, i mezzi di trasporto, i prodotti elettrici

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ed elettronici, le moderne forme della comunicazione, ecc.) con effetti negativi sulla crescita della domanda aggregata, dall’altra si ha un incremento di spesa pubblica, soprattutto militare. Per di più la standardizzazione della produzione dovuta alle tecnologie fordiste non favorisce certamente una miglior diffusione del consumo. La messa in atto del libero mercato fino all’esasperazione di se stesso la farà da padrone fino ad oggi, fino a portare il mondo, inteso come pianeta vivente e allo stesso tempo ospite di esseri viventi, al collasso. L'aumento di flessibilità nel mercato del lavoro, il passaggio da tecnologie meccaniche a tecnologie di comunicazione e l’introduzione di nuove formule organizzative imprenditoriali portano a una crescente segmentazione del mercato del lavoro. Il prestatore d'opera tende a diventare la tipologia prevalente della nuova forza lavoro nel nuovo modello di società flessibile. Lo scopo dichiarato della Legge Treu è di flessibilizzare i parametri di entrata nel mercato del lavoro, favorendo in tal modo l’occupazione. Di fatto, invece, favorisce un costante e crescente processo di sostituzione del lavoro a tempo indeterminato con lavoro precario. Ed è infatti questo l’obiettivo non dichiarato ma effettivo di questa legge, in seguito alla quale si assiste al boom della contrattazione atipica, soprattutto nella fase di entrata nel mercato del lavoro. Il graduale declino del contratto di lavoro a tempo indeterminato, tipico del modello fordista, viene compensato dall’aumento del peso dei contratti di lavoro a tempo regolato e determinato a seconda delle esigenze della produzione. Le 100 più grandi imprese multinazionali del mondo, nel 1996, avevano in totale 11,8 milioni di dipendenti, di cui quasi sei milioni, cioè più della metà, nelle filiali estere. Rispetto al 1995 l'occupazione totale è calata del 3,5% e, all'interno di questa tendenza, quella estera è cresciuta del 2%, un andamento registrato in tutti gli anni '90. La crescita delle attività multinazionali rappresenta così una crescente minaccia all'occupazione nei paesi di origine delle imprese. La capacità degli stati nazionali di controllare l'economia, le scelte politiche e le condizioni di lavoro è stata progressivamente svuotata dai processi di globalizzazione, guidati dalle attività delle imprese multinazionali, e dalle scelte di liberalizzazione della finanza e dei mercati. Sul terreno sindacale c'è la costruzione dei Comitati aziendali europei, un avvio di contrattazione con le imprese multinazionali, c'è stato il grande dibattito sui diritti del lavoro internazionali, sulle clausole sociali e le iniziative contro il lavoro minorile, che hanno avuto sviluppi interessanti anche sul fronte della sensibilizzazione dei consumatori con campagne di boicottaggio. I diritti essenziali del lavoro vanno tutelati in quanto diritti umani. Il rapporto fra la potenza economico-politico-organizzativa della multinazionale, proiettata alla distribuzione globale e schiava della produzione a tutti i costi, e la forza lavoro a questo punto è molto chiaro. La società moderna si fonda sulle imposizioni delle politiche delle multinazionali. Il lavoratore è un numero di matricola utile solo ed esclusivamente a portare profitto, la dequalifica delle mansioni e la bomba ad orologeria del contratto a termine che il lavoratore porta in tasca non gli permettono una risposta decisa al grave problema del suo futuro. Nascono nuove patologie sociali dovute alla precarietà della vita. Cambia ideologicamente il modello sociale al quale tendere. Il pensiero di Erich Fromm, Avere o Essere, è effettivamente un concetto che, seppur di difficile comprensione, sta alla base di quanto sta succedendo nel quotidiano della vita sociale. Avere ed essere sono modalità esistenziali, entrambe sono potenzialità della natura umana: alla base della modalità esistenziale dell'avere vi e' un fattore biologico, la spinta alla sopravvivenza (.…). I circoli e le leghe dei lavoratori spariscono, i luoghi deputati alla discussione, la necessità di confronto seria e argomentata scemano a vantaggio dell’aumento dei decibel dei luoghi di incontro e di intrattenimento giovanili. Si vive realmente la società del “terrore”. Si verifica invece oggi, tanto una drastica riduzione dell'area di intervento pubblico nel Welfare, quanto un deciso attacco alla stessa legislazione protettiva dei diritti sociali. Inseguire la frammentazione del mondo del lavoro potrebbe voler dire trasformare il sindacato in una miriade di piccole agenzie di mera consulenza del lavoro o di piccoli affari, con la connessa depoliticizzazione della figura e del ruolo del sindacalista. “Stare in mezzo alla gente”. ”Mettersi a disposizione dei lavoratori”. L'estrema polverizzazione del mondo del lavoro, l'ormai accertata e consolidata precarietà e flessibilità delle forme di impiego e di retribuzione rendono sempre più difficile quel modo di opporsi, alle chiare ed evidenti politiche padronali, proprio dell'età fordista. Stiamo tristemente arrivando “all’automazione del supermercato”. I centri commerciali sempre più affollati, gli immensi magazzini della Grande Distribuzione Organizzata, frequentati da milioni di visitatori-clienti, tendono costantemente ad avvicinarsi alle necessità del cliente che a sua volta vive in una società che non permette più tempi morti, che non permette più di razionalizzare rispetto alle scelte di gestione economica del nucleo familiare.

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Modelli sindacali europei a confronto (Annalisa De Pietro) Nel tempo eventi di portata mondiale, come l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e di nuovi Paesi nella produzione industriale, come la caduta del comunismo e la nascita dell’Unione Europea e come la globalizzazione del mercato mondiale, hanno mutato le caratteristiche del mondo del lavoro e in parte anche di quello organizzato. Il lavoro non assume più il ruolo di creatore di identità e non ne definisce più in modo esclusivo il senso e l’appartenenza, ma altri fattori giocano un ruolo fondamentale, tra i quali l’istruzione e i consumi. La comparazione fra le diverse storie nazionali sindacali è legata, quindi, alla nascita di una moderna produzione industriale. Lorenz von Stein infatti, già nel 1842, sottolineò l’importanza della comparazione di fenomeni sociali simili in Paesi diversi, al fine di comprenderne meglio le condizioni generali. Di fatto le sezioni nazionali dei lavoratori diedero atto a strategie e tattiche differenti spinti dalla consapevolezza delle differenze fra i vari movimenti nazionali. In relazione a tali fenomeni, l’analisi marxiana sottolineava come l’omogeneità del fenomeno tendesse a privare il proletariato di ogni caratteristica nazionale. Nel 1960 si ebbe una nuova impostazione degli studi, dove i padri della “nuova storia sociale” rifiutarono l’analisi marxiana come unica possibilità interpretativa della storia dei lavoratori, ponendo in evidenza il ruolo attivo degli stessi nella creazione della propria identità. Gli storici, nell’analisi dei sindacati nazionali e della loro storia, hanno elaborato varie tipologie di modelli. In riferimento all’ideologia politica si ha: Il sindacalismo liberale; Il sindacalismo socialista; Il sindacalismo cristiano. In riferimento al rapporto con la controparte si ha: il sindacalismo contrattualista; il sindacalismo conflittuale; il sindacalismo corporativo. In riferimento al rapporto con la società e con lo Stato si ha: modello rivendicazionalista e di controllo; modello rivendicazionalista e rivoluzionario; modello sindacale direttamente associato al potere dello Stato (nazismo/fascismo) Analisi dei principali modelli Sindacali Europei: Inghilterra, Francia, Germania, Polonia e Svezia Il movimento del lavoro britannico fu il primo al mondo ed ebbe origine con la prima rivoluzione industriale. All’ inizio del XIX sec., il sindacato affermava così il diritto di difendere gli interessi dei lavoratori senza delegittimare lo Stato. Negli anni thatcheriani, invece, si assistette ad un parziale declino dei sindacati operai, che non avevano più la presa di un tempo, e contemporaneamente alla conferma dell’istituzionalizzazione del sindacato. Un clima politicamente avverso ai sindacati, un’ aumentata decentrazione della contrattazione collettiva, una richiesta di flessibilità da parte degli imprenditori, politiche di privatizzazione e di riduzione della spesa sociale, furono alla base delle trasformazioni. Apparvero, così, le prime associazioni operaie che presto si unirono nelle Trade Unions. Oggi la confederazione dei sindacati britannici (T.U.C.) è composta dai funzionari più importanti delle union nazionali. L’elemento politico/organizzativo chiave è la consultazione regolare tra T.U.C. e Governo sui temi importanti per il movimento sindacale. Nella Francia post-rivoluzione, si perpetuò la dipendenza operaia dei lavoratori dall’Ancien regime; di fatto era proibito associarsi: il diritto di coalizione per il mantenimento dei livelli salariali fu riconosciuto, per legge nel 1864, solo dopo un periodo di intense lotte. Nel 1895 nacque, a Limoges, la Cgt , Confederacion General du Travaille. Venne istituito un Consiglio nazionale economico e dal 1921 alla Cgt riformista si contrappose il sindacato dei comunisti (PCF): una vulcanica sollevazione sociale degli studenti, dovuta alla guerra del Vietnam ed una forte repressione poliziesca suscitò la reazione della Cgt che lanciò uno sciopero con il quale si registrò per la prima volta la partecipazione dei lavoratori al fianco del movimento studentesco. Il caso francese appare come l’ unico caso caratterizzato da una forte politicizzazione, da una forte dipendenza dallo Stato e da un’intrinseca debolezza organizzativa data dall’incapacità di organizzare poco più di una piccola minoranza della forza lavoro (difficoltà di organizzare milioni di lavoratori stranieri). Oggi i sindacati francesi si sono organizzati prevalentemente secondo il modello dei sindacati industriali: alcune federazioni sono di tipo generale altre più specifiche; la natura delle federazioni è determinata dall’ assenza generalizzata di una contrattazione aziendale ed in parte anche dal ruolo politico assunto dai sindacati nel passato.

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L’esperienza sindacale della Germania ruota attorno alla problematica della cogestione, cardine della strategia post-bellica del sindacato della Repubblica Federale Tedesca. Una strategia che lo stesso sindacato definisce come “cooperazione conflittuale” tra le forze sociali. L’origine dell’idea di cogestione e del suo concetto di base, ossia della “ democrazia industriale”, è assai antica: va fatta risalire al lontano 1919. I suoi sviluppi furono contrassegnati dall’andamento della lotta di classe del proletariato tedesco ed europeo contro la classe capitalistica ed il sistema basato sulla proprietà privata. Durante le due guerre mondiali, il modello di cogestione tedesco, fu sostituito dalle corporazioni naziste. Rinacque all’indomani del 1945 in una fase di acuta lotta di classe che attraversò l’Europa ed il mondo. In seguito venne a svilupparsi un dibattito sulla via da seguire in seno alla Socialdemocrazia o, meglio, in seno alla II Internazionale, ossia all’organizzazione mondiale dei lavoratori, che darà vita a due strade diverse: quella della Rivoluzione d’Ottobre di Lenin e l’altra dell’SPD. L’idea strategica che l’SPD intendeva sviluppare ed affermare era quella di ergere al ruolo di direzione la classe operaia tedesca, di mettere in movimento l’ascesa del proletariato, quale classe egemone e dirigente in grado di conquistare il potere politico. Il bilancio di questa forma di coinvolgimento fu insufficiente: la classe operaia non arricchì la sua esperienza, non progredì la sua capacità di classe di governo e non furono fatte sostanziali esperienze e passi in avanti. Oggi, l’intera struttura della rappresentanza dei lavoratori nelle aziende tedesche è articolata unicamente attraverso il sistema di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Sono previste dall’ordinamento giuridico due forme di rappresentanza dei lavoratori all’interno dell’azienda ma ne esiste una terza che è quella sindacale: essa si esprime attraverso fiduciari del sindacato, che nell’ambito dell’azienda, rappresentano tutti i lavoratori iscritti a quel sindacato. La rappresentanza sindacale non è regolamentata da alcuna legge dello Stato: la diffusione dei funzionari del Sindacato all’interno dell’unità produttiva non ha modificato l’assenza dell’organizzazione sindacale sul luogo di lavoro. L’organizzazione sindacale è “de jure e de facto posta fuori del luogo di lavoro”. Nel 2005 a Danzica si è festeggiato il 25° anniversario del sindacato NSZZ Solidarność. Quest’ultimo in origine importante movimento sociale, nato dalla contestazione del regime comunista e dal desiderio della libertà, divenne poi un sindacato di operai che mirava alla difesa dei diritti dell’uomo attraverso l’esercizio del potere politico parlamentare. Nel parlamento eletto nel 1989, Solidarność”, conquistò tutti i possibili posti del parlamento. Nelle elezioni di 1991 però era già diviso in diversi piccoli partiti politici e nel parlamento era entrata anche una piccola rappresentanza del sindacato stesso. Fino all’elezione di Janusz Śniadek nel 2002, esisteva, quindi, un forte legame tra la centrale sindacale “Solidarność” e la politica. Dopo le elezioni del 2005 il sindacato non entrò più in parlamento per propria decisione. Nel dialogo sociale, quindi, il governo e il sindacato, ora, sono ai lati opposti; il governo è responsabile per la politica dello Stato e non si può limitare solo alla difesa dei lavoratori: esso rappresenta l’interesse dello Stato, il sindacato quello degli operai. “Solidarność” è tornato, quindi, alla propria missione sindacale. Una caratteristica distintiva dei sindacati svedesi è l'alta partecipazione dei lavoratori. Le tre principali organizzazioni centrali dei lavoratori dipendenti sono la Confederazione sindacale nazionale, che raggruppa 21 organizzazioni sindacali; la Confederazione generale dei funzionari e degli impiegati e la Confederazione centrale dei lavoratori intellettuali. Circa la metà dei lavoratori svedesi è composta da impiegati, e la maggior parte dei membri della confederazione degli operai non è impiegata nell'industria. Al pari dei lavoratori, anche i datori di lavoro hanno un alto grado di organizzazione: le più importanti sono la Confederazione svedese dei datori di lavoro per il settore privato, l'Associazione svedese delle autorità locali, la Federazione dei consigli di provincia e l'Agenzia svedese dei datori di lavoro governativi . In conseguenza dell'obbligo di pace sindacale instauratosi tra le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati dei lavoratori, che risale al cosiddetto accordo di Saltsjöbaden del 1938, in Svezia si sono avuti relativamente pochi scioperi. I contratti collettivi svolgono tradizionalmente un ruolo essenziale nella disciplina delle relazioni tra datori di lavoro e lavoratori e possono abbracciare ogni aspetto del rapporto. Il grosso della legislazione del mercato del lavoro attualmente in vigore in Svezia risale all'inizio degli anni '70, nel momento in cui furono adottate leggi sulla partecipazione dei lavoratori al processo decisionale in materia di vita lavorativa, sicurezza del posto di lavoro e statuto dei rappresentanti sindacali. In una visione più ampia, analizzando l’intero contesto sociale, si può affermare con determinatezza che il così detto “modello svedese” ha coniugato flessibilità per le imprese a sicurezza sociale e partecipazione per i lavoratori, fissato regole di gioco chiare, creato prevedibilità ed ha reso competitiva l’economia svedese. Nessun altro sistema si è dimostrato altrettanto efficace nel garantire stabilità e crescita. Tuttavia, il welfare state svedese sta attraversando la più grande crisi della sua lunga e gloriosa vita: essa viene da molto lontano, dagli anni ‘70 e gli economisti sono in disaccordo sulle sue cause: dagli anni ‘80 la disoccupazione è cominciata a crescere in modo esponenziale, le ore lavorative sono diminuite, si è assistito alla crisi del comparto industriale ed al collasso di un sistema previdenziale troppo generoso. Confronto con il modello sindacale italiano: criticità e similitudini

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Come già precedentemente detto, le prime forme di associazione dei lavoratori sorsero, a livello europeo, nel Regno Unito verso la fine del XVIII secolo. Nel 1901 si erse l'Internazionale Sindacale cui aderirono sindacati inglesi, francesi e degli Stati Uniti. In Italia, solo nel 1870, precedute dalle società del Mutuo Soccorso, si formarono delle associazioni operaie che nella loro costituzione si avvicinarono molto alle strutture del sindacato moderno. Si allearono al movimento cooperativistico, si conquistarono con lo sciopero del 1901 il diritto di organizzazione ed ebbero una colorazione politica principalmente socialista. Dopo l'enciclica Rerum Novarum (15 maggio 1891), la quale esprimeva una condanna nei confronti del sindacalismo, del socialismo, della teoria della lotta di classe, della Massoneria e del movimento operaio contemporaneo, preferendo che la questione sociale venisse risolta dall'azione combinata di Chiesa e Stato, si svilupparono nelle campagne anche leghe bianche di ispirazione cattolica. Nell’ottobre del 1906 a Milano fu fondata la Cgl, la prima grande organizzazione sindacale dei lavoratori italiani. Nel 1912 nacque a Modena l'USI (Unione Sindacale Italiana) per opera di lavoratori precedentemente iscritti alla CGL. Essi ritenevano infatti che tale sindacato fosse ormai troppo asservito alla politica portata avanti in parlamento dal Partito Socialista. All'USI, aderirono rapidamente tutte le camere del lavoro più di sinistra (tra cui, in Emilia, le Camere del Lavoro di Bologna, Modena, Parma, Piacenza e Ferrara). Alla vigilia del primo conflitto mondiale fu attraversata, come le altre organizzazioni della sinistra, dal ciclone dell'interventismo. Fu allora deciso di dar vita ad un'unica organizzazione: la Confederazione Generale del Lavoro (CGL). La vittoria degli Alleati lasciò anche una forte impronta nei modelli delle relazioni industriali. Infatti, nell’Europa del dopoguerra, il sindacato si affermò come strumento di legittimazione delle politiche del lavoro ponendosi come istituzione tra i modelli internazionali, in particolare di tipo anglosassone (USA, Gran Bretagna) e le politiche economiche dei Governi nazionali: il “modello americano” vedeva il sindacato garante della collaborazione produttiva tra lavoratori e datori di lavoro e garante della regolazione del conflitto, pratica del tutto assente nell’esperienza italiana. Il modello inglese, invece, attribuiva al sindacato la funzione di redistribuzione del reddito, un ruolo di gestione che collocava il sindacato in posizione di conciliazione tra datore di lavoro e lavoratore. Il programma democristiano in ambito sindacale (marzo 1944) si traduceva nella formula delle associazioni libere nel sindacato organizzato e prevedeva il riconoscimento giuridico del sindacato, il valore di legge ai contratti di lavoro, la regolamentazione del diritto di sciopero (da vietare nei servizi pubblici), la facoltà di indire uno sciopero solo previo referendum tra i lavoratori e l’arbitrato obbligatorio come strumento di risoluzione dei conflitti, non disdegnando, in prospettiva la partecipazione agli utili e l’azionariato operaio. Contrario alla formula del sindacato obbligatorio, e ancor più all’arbitrato, ma favorevole al valore di legge dei Contratti di categoria, Di Vittorio era convinto che il fulcro della ricostruzione sindacale dovessero essere le Camere del Lavoro e che il diritto di firmare i contratti fosse riservato alle componenti più rappresentative. Con questi presupposti si approdò alla stesura dello Statuto della Cgil unitaria al Congresso di Napoli del Febbraio 1945, con l’unico risultato di veder strutturata una organizzazione rigidamente centralizzata, nella più antica tradizione delle Cgil riformista. La corrente cristiana, invece, si staccò dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro(Cgil) dando vita alla Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori(CISL), assieme ad elementi socialdemocratici. Poco dopo socialdemocratici e repubblicani dettero vita alla Unione Italiana del Lavoro (UIL). Dare il lavoro ai cittadini e tutelarne le condizioni fu il compito fondamentale del nuovo Stato. Nella Costituzione italiana, unico caso in Europa, il lavoro diventò la base stessa della Repubblica: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (art. 1), ma è l’ art. 3 della Costituzione il grimaldello per una più completa emancipazione dei lavoratori. Anche il sindacato ebbe un posto ben preciso nella Costituzione della Repubblica italiana: l’articolo 39 recita: “L'organizzazione sindacale è libera. Ai Sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione...”. Dopo l’incertezza degli anni settanta, i governi, in concomitanza con il grande ciclo di lotte, presero importanti provvedimenti di sostegno dell’azione dell’attore sindacato, ad esempio varando, nel 1970 lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori e compiendo mediazioni a favore della parte operaia nelle vertenze contrattuali. Se nel tempo il sistema delle relazioni sindacali in Italia è sempre stato in grado di aggiornarsi e di rimanere agganciato alle esigenze dei lavoratori e del Sindacato, lo si deve soprattutto al fatto che queste forme sono riconducibili essenzialmente ad una natura di tipo conflittuale/negoziale. Il modello italiano di relazione sindacale potrebbe, quindi, essere esportato in Europa e dare un valore aggiunto al sistema delle relazioni sindacali europee. A livello europeo, infatti, si è perseguita la dimensione reale del sindacato stesso a livello aziendale, dai Comitati aziendali Europei alle Società europee. Il frutto delle esperienze concrete con le altre realtà sindacali e lavorative europee, considerate le loro specificità di legislazione e i loro problemi quotidiani, sottolineano il valore del sindacalismo italiano e della sua intatta capacità di adeguarsi all'evoluzione del

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mondo del lavoro, arricchendo e sostenendo il confronto all'interno delle delegazioni di negoziazione e dei consigli di sorveglianza europei. E’ importante comprendere come la nascita e la maturazione delle forme di partecipazione sindacale europee sia stato il frutto di una lunga evoluzione. E’ necessario tanto a livello nazionale quanto a livello europeo, che vi sia il rispetto di standard nelle condizioni di lavoro, che il diritto ad una retribuzione equa sia supportato da una precisa normativa. In conclusione, bisognerebbe perseguire la realizzazione di un sindacato Europeo, forte e capace nel governare le forme di mobilità e di evitarne le conseguenze negative: in assenza di omogenee politiche attive del lavoro in Europa, non si dovrebbe, quindi, rinunciare allo sforzo di dar vita ad organismi che non siano solo la somma dei rappresentanti dei lavoratori dei diversi paesi, ma vere e proprie organizzazioni sindacali aziendali a livello europeo, senza dover attendere passivamente l’intervento del legislatore europeo. Il ruolo del Sindacato e, soprattutto, di tutti quei lavoratori che dedicano ad esso la loro libera adesione e partecipazione, il loro tempo lavorativo e spesso di vita, sono, ancora oggi, un motore irrinunciabile per orientare e migliorare i mutamenti della società e del lavoro stesso, essendo il SINDACATO, frutto di quel confronto quotidiano, spesso difficile e sempre laborioso, che ha ed ha sempre avuto come obiettivo quello di difendere ed estendere i diritti dei lavoratori e migliorare le loro condizioni di lavoro.