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Analisi del documento di riforma della scuola varato dal Governo Renzi.

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Lo scorso 3 settembre il Governo pubblicava sul sito passodopopasso.italia.it il documento “La buona scuola”, un lungo testo di 136 pagine che illustra le linee guida del progetto di riforma della scuola, per il quale è stata annunciata una consultazione che durerà fino al 15 novembre 2014. L’immagine riportata a lato, anch’essa pubblicata sullo stesso sito, sintetizza le linee guida del documento nei 12 punti sui quali è stata lanciata la consultazione. La stesura della nostra analisi nasce dalla convinzione che sia necessario fornire agli studenti medi una chiave di lettura differente rispetto ai toni propagandistici con cui è stata presentata questa riforma. Smascherare i veri intenti che si celano dietro i proclami e gli annunci di questo Governo, e dimostrare che questo progetto di riforma non è che l’ultimo tassello di un processo iniziato da anni, portato avanti indistintamente da centro-destra e centro-sinistra che ne sono stati i meri esecutori mentre le direttive arrivavano dai settori economici e finanziari dell’Unione Europea. Ci troviamo ad analizzare un progetto che mira a smantellare la scuola pubblica e consegnarla definitivamente nelle mani del mercato e dei privati. La “buona scuola” di Renzi è proprio questo: la scuola mantenuta e gestita dalle imprese, in cui tutto è regolato dalle logiche del mercato e della competizione, a partire dalla ripartizione dei finanziamenti fino alle retribuzioni degli insegnanti, e che avrebbe la funzione di preparare le nuove generazioni al futuro di precarietà e sfruttamento che gli è stato messo davanti da questo sistema. UN PRIMO SGUARDO: COSA MANCA? Il documento pubblicato dal governo è articolato in sei sezioni, che trattano rispettivamente: 1) Assunzioni ed entrata in ruolo dei docenti, 2) Formazione e carriera dei docenti, 3) Autonomia, valutazione, trasparenza e governance delle scuole, 4) Didattica, 5) Scuola e lavoro, 6) Le risorse, pubbliche e private. Ancor prima di addentrarsi nella lettura del documento, già dall’indice di pag. 3 si nota l'assenza di un qualsiasi argomento che riguardi più o meno lontanamente la tutela del diritto allo studio. In perfetta continuità con i

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suoi predecessori, il Governo Renzi non ha nessun interesse a parlare di diritto allo studio e di far sì che il libero accesso all’istruzione sia garantito gratuitamente a tutte le fasce della popolazione. Il caro libri in crescita, i contributi scolastici sempre più cari che le famiglie pagano per sopperire di tasca propria ai tagli che hanno ridotto la scuola in ginocchio, l’aumento del costo dei trasporti e le borse di studio erogate sempre più raramente, gli studenti costretti a scegliere il proprio indirizzo di studio in base alla condizione economica; tutte queste cose non rientrano nell’agenda del Governo che non spende neanche una parola a riguardo. Al contrario, le misure previste e che saranno analizzate nelle prossime pagine sono il definitivo coronamento del progetto di questi anni, della scuola di classe che questo sistema ha progettato ad hoc per una generazione alla quale è stato portato via il futuro. Il Governo Renzi, al di là dei grandi proclami, non compie nessuna inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti, e anzi diventa prosecutore di progetti iniziati decenni fa e condotti con il ritmo di una riforma a governo, ogni volta assestando un nuovo colpo alla scuola pubblica. Possiamo dunque passare all’analisi del documento “La Buona Scuola”, che seguirà la stessa divisione in capitoli del testo originale. 1) ASSUNZIONI ED ENTRATA IN RUOLO Questo primo grande proclama ha caratterizzato sin dall’inizio l’annuncio del progetto di riforma. Un annuncio altisonante, quello dell’assunzione di tutto il precariato storico della scuola, che avrebbe dovuto far passare inosservato il reale intento della riforma, cioè la completa privatizzazione e aziendalizzazione dell’istruzione pubblica nel nostro paese. Il Governo promette di esaurire (per davvero) le GAE, appunto “Graduatorie ad Esaurimento”, assumendo nel 2015 il 90% dei precari in graduatoria e assumendo per concorso pubblico soltanto il 10% dei nuovi docenti, in deroga all’attuale sistema che prevede una ripartizione delle assunzioni per un 50% dalle GAE e un 50% dai concorsi per i nuovi abilitati. Dall’anno successivo, si entrerà in ruolo soltanto per concorso pubblico e non più tramite le graduatorie. Le Graduatorie di Istituto, invece, rimarranno con una sola fascia, corrispondente a quella che attualmente è la seconda. Gli iscritti in III fascia non rientrano nelle assunzioni previste, perché “oltre 93.000 degli iscritti attualmente in terza fascia hanno insegnato complessivamente meno

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di un mese” e dunque non possono essere considerati precari della scuola. Verrebbe da chiedersi qui se sia giusto punire con la completa liquidazione un precario “colpevole” di aver insegnato troppo poco tempo! Gli iscritti in I fascia, invece, corrispondono ai precari nelle GAE che saranno assunti. Circa 50.000 dei nuovi assunti dovrebbero andare a ricoprire le cattedre attualmente scoperte, eliminando quasi del tutto le supplenze, 18.000 dei nuovi assunti verranno invece impiegati nell’insegnamento delle nuove materie previste nel capitolo 4 del documento: musica, storia dell’arte, educazione civica, sport, ecc. Altri 60.000 entreranno a far parte dell’organico funzionale della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, mentre i restanti 20.000 saranno assunti come “organico dell’autonomia” nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, e saranno “a disposizione delle scuole, o di reti di scuole, sia per svolgere gli altri compiti legati all’autonomia e all’ampliamento dell’offerta formativa, sia [..] per coprire una parte delle supplenze brevi” (pag 24). Le supplenze brevi, saranno coperte dai docenti di ruolo, che così facendo potranno accumulare Crediti per accedere agli scatti dello stipendio (di cui si parla nel capitolo seguente). Al momento non è chiaro né quanto vi sia di vero nella promessa di assumere 150.000 precari e quanto, invece, sia soltanto propaganda, né tantomeno la fonte da cui attingere i 3 miliardi di euro necessari ad attuare questo piano: il testo si limita soltanto a dire che, con l’abolizione delle supplenze, si potranno risparmiare “anche 300-350 milioni all’anno”… 2) FORMAZIONE E CARRIERA DEI DOCENTI Il secondo capitolo illustra quelle che dovranno essere le caratteristiche della carriera dei docenti della scuola italiana dopo il mastodontico piano di assunzioni. Sin dalle prime righe si recupera il vecchio slogan della Gelmini: il famigerato "merito" che andrebbe difeso e valorizzato. Valutare il merito degli insegnanti sarebbe qui sinonimo di superamento dell'attuale sistema di scatti degli stipendi in base all'anzianità. È necessario, secondo il Governo, "far uscire i docenti dal grigiore dei trattamenti indifferenziati" (pag 48). In altre parole, differenziare gli stipendi degli insegnanti in base al merito. Tutto ciò dovrebbe avvenire tramite un sistema di crediti che gli insegnanti accumuleranno e che saranno distinti in crediti formativi (derivanti dalla formazione in servizio, altro punto su cui il documento insiste molto), crediti didattici (“si riferiscono alla qualità dell’insegnamento in classe e alla

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capacità di migliorare il livello di apprendimento degli studenti”), e crediti professionali (“assunti all’interno della scuola per promuoverne e sostenerne l’organizzazione e il miglioramento, sia nella sua attività ordinaria sia nella sua attività progettuale) (pag 52). I 2/3 (vale a dire il 66%) dei docenti di ogni scuola che avranno più crediti riceveranno ogni 3 anni a partire dal 2018 uno scatto premiale di retribuzione. Due insegnanti su tre, insomma, incrementeranno il proprio stipendio ogni tre anni. A questo si somma l'introduzione del concetto di "mobilità orizzontale dei docenti", una sorta di "libertà di circolazione" degli insegnanti da una scuola all'altra. Questa mobilità dovrebbe spingere gli insegnanti “più bravi” a trasferirsi nelle scuole dove la qualità degli insegnamenti è più bassa, con l’intento di finire più in alto nella graduatoria e assicurandosi così lo scatto sullo stipendio. Nuovi nomi e nuovi volti per vecchi progetti, insomma. Quello che si propone è di regolare tutto in base a logiche di competizione. Gli insegnanti italiani sono fra i meno pagati d'Europa, e la soluzione del Governo è semplicemente indire fra i docenti una competizione sfrenata per accaparrarsi le poche briciole concesse. La scuola non dovrebbe essere un luogo di competizione, ma il Ministero non sembra preoccuparsi di quanto un clima di questo tipo possa danneggiare la didattica. Un ulteriore elemento preoccupante è il modo in cui avverrà la valutazione degli insegnamenti, se si pensa che ad esempio l'INVALSI (che gestisce il Servizio Nazionale di Valutazione) valuta le scuole seguendo il criterio dei quiz a crocette, del tutto antiscientifico e degradante nei confronti della didattica. Il Nucleo di Valutazione della scuola, incaricato di analizzare il portfolio del docente, seguirà con ogni probabilità proprio questi criteri. Se dovessimo arrivare a questa situazione, ci troveremmo davanti a insegnanti costretti a gareggiare per omologare il più possibile i loro insegnamenti al modello nozionistico dei quiz con cui si effettuano le valutazioni, il tutto per ottenere lo scatto sullo stipendio. La proposta seguente, quella della "mobilità" che secondo il Governo dovrebbe risolvere gli squilibri fra le scuole in termini di qualità dell'insegnamento, è forse quella che rende meglio l'idea di fondo della Buona Scuola di Renzi. Non solo si affida la "soluzione" di un problema così importante semplicemente alle logiche dell'inseguimento del profitto, ma, come emergerà in seguito nei paragrafi che parlano della ripartizione delle risorse pubbliche alle scuole, questa sembra essere l'unica proposta formulata a riguardo mentre tutto il resto va nella direzione opposta.

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3) AUTONOMIA, VALUTAZIONE, TRASPARENZA, E GOVERNANCE DELLE SCUOLE L’argomento del terzo capitolo è la “realizzazione piena dell’autonomia scolastica”. Sin dall’inizio si insiste molto sul concetto di valutazione degli istituti scolastici. Si parla di rendere operativo il Servizio Nazionale di Valutazione (SNV) per le scuole statali e quelle paritarie, che così verranno considerate a tutti gli effetti come parte del sistema d’istruzione in perfetta linea con la scelta, già operata in passato, di somministrare le prove INVALSI anche alle scuole paritarie. Si afferma che l’obiettivo è quello di “sostenere la scuola che si impegna di più a migliorare” piuttosto che “premiare la scuola migliore”, in un goffo tentativo di negare che ciò sfocerà nella competizione fra gli istituti pur di ottenere i finanziamenti. Ancora una volta ritorna il “Robin Hood al contrario” già presente nella logica di fondo delle graduatorie INVALSI: “premiare” le scuole migliori invece di intervenire laddove vi siano le necessità. Inoltre il concetto stesso del “premiare l’impegno a migliorare” crea un halibi per slegare il governo dalla responsabilità del collasso di decine di istituti che resteranno senza finanziamenti: la responsabilità sarà certamente dei Dirigenti di quegli istituti, che non si sono impegnati abbastanza per migliorare la propria scuola, e non invece della carenza di fondi statali! Il sostegno alle scuole che si impegnano di più a migliorare riguarderà anche le scuole paritarie: in altre parole, l’ennesimo stratagemma per finanziare le scuole private con fondi pubblici a scapito delle scuole statali! Un altro elemento del tutto sconvolgente è il modo in cui l’idea di “trasparenza” viene collegata a quella di “buona governance della scuola”, cioè all’idea di un Dirigente Scolastico sempre più simile a un manager e con sempre più privilegi e poteri. La piattaforma “Scuola in chiaro 2.0” pubblicherà i dati riguardanti i bilanci delle scuole, i progetti finanziati attraverso il MOF (fondo di Miglioramento dell’Offerta Formativa), i rapporti di autovalutazione della scuola, i curricula degli insegnanti, rendendoli fruibili alle famiglie che potranno verificare la qualità dell’offerta formativa della scuola. È qui necessario qui aprire una riflessione, osservando che tutte le misure proposte, specie quelle sulla fruibilità dei curricola degli insegnanti, si basano su un’idea del tutto contrattualistica e privatistica dell’istruzione. L’istruzione è vista qui non più come un servizio pubblico, come un investimento che una società fa sul proprio futuro, ma semplicemente come un servizio offerto a un singolo individuo che, dopo aver valutato

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le offerte e le convenienze, investe unicamente su sé stesso e per il proprio interesse. A guidare questo processo ci sono i Presidi-Manager, coloro che “offrono” il servizio. Il Registro Nazionale dei docenti della scuola, che conterrà informazioni su tutti gli insegnanti, sarà lo strumento attraverso il quale i Dirigenti individueranno i docenti che desiderano portare nella “propria” scuola per realizzare i piani di miglioramento dell’offerta formativa. A pagina 64 addirittura si legge: “I dirigenti scolastici, […] potranno scegliere tra i docenti coloro che coordinano le attività di innovazione didattica, la valutazione o l’orientamento e premiarne, anche economicamente, l’impegno”. Ci si riferisce qui a una certa percentuale del MOF di cui il Dirigente Scolastico può disporre liberamente senza consultare gli organi collegiali, e che ora potrà utilizzare anche per “premiare” gli insegnanti. Gli incrementi salariali dello stesso Dirigente Scolastico, poi, dipenderanno proprio dai risultati raggiunti nella “sua” scuola, così come lo stipendio di un manager dipende dall’andamento della sua azienda. Qui ritorna una concezione malata dell’idea di valutazione. È vero che valutare gli insegnanti non può essere un tabù e che in linea di massima è necessaria anche una forma di controllo di questo tipo. Ma la valutazione non può essere imposta in modo da scatenare una competizione fra gli insegnanti per ottenere i “premi” dal Dirigente! Lo stesso si può dire riguardo la competizione che si innescherà fra gli Istituti secondo le stesse identiche dinamiche. Un altro punto su cui si insiste molto riguarda la figura degli Ispettori esterni, che “concorrono alla realizzazione delle finalità di istruzione e di formazione e agli obiettivi del SNV, coordinando i nuclei di valutazione esterni alle scuole”. In concordanza con l’idea del Preside-Manager, il progetto prevede un ripensamento degli organi collegiali. “Collegialità non può essere sinonimo di impossibilità di decidere alcunché”, si afferma a pag 71, e infatti si precisa che i nuovi organi collegiali (e in particolare il Consiglio della Istituzione Scolastica che soppianterà il Consiglio di Istituto) avranno unicamente una funzione di indirizzo, mentre il Dirigente sarà pienamente responsabile della gestione della scuola, senza che il Consiglio possa porre il proprio veto alle politiche del Dirigente. Il progetto “Sblocca scuola” prevede poi una riduzione dei vincoli burocratici e, in particolare, la produzione di un nuovo Testo Unico delle leggi sulla scuola che soppianti quello del 1994 – fatto di per sé né negativo né positivo, ma potenzialmente minaccioso per gli studenti se si andranno a modificare le parti che riguardano, ad esempio, la

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rappresentanza studentesca. Infine, le ultime pagine di questo capitolo sono dedicate alla digitalizzazione delle scuole e agli interventi sull’edilizia scolastica. Per il primo tema, si precisa subito, a pag 76, il ruolo centrale dei finanziamenti privati: “l’unica soluzione possibile è uno sforzo collettivo, una iniziativa nazionale di co-investimento […] in sinergia tra le risorse nazionali, regionali e private”. Per il secondo, i patetici hashtag che danno il nome ai progetti (#Scuole Sicure, #Scuole Nuove e #Scuole Belle) servono solo a nascondere l’irrisorietà dei fondi stanziati, poco più di 600 milioni di euro, del tutto insufficienti rispetto a ciò che servirebbe per una ristrutturazione e riqualificazione seria dell’edilizia scolastica italiana. 4) DIDATTICA Su questo capitolo, intitolato “Ripensare ciò che si impara a scuola”, non c’è molto da dire. Più che essere una riforma della didattica, si tratta semplicemente dell’introduzione di alcune materie e/o ore di laboratorio. Molto spesso non si indicano le fonti di finanziamento per questi progetti, con la convinzione di fondo che saranno le risorse private a finanziare il tutto. Il costo dell’introduzione di 2 ore settimanali di educazione musicale negli ultimi 2 anni della scuola primaria sarà – in teoria – interamente coperto dalle nuove assunzioni. La storia dell’arte sarà reintrodotta per cinque anni in tutti i licei e nei tecnici turistici. Seguono poi una serie di progetti per l’apprendimento delle lingue straniere, come il CLIL che prevede l’apprendimento di una disciplina in una lingua straniera, e riguardanti il coding, cioè la programmazione informatica; infine si mira a una maggiore formazione economica nelle scuole di secondo grado, per raggiungere la cosiddetta “alfabetizzazione finanziaria” nei licei classici e scientifici. Si insiste poi sul concetto di “curricolo di Istituto”, in altre parole sulla capacità delle scuole di ampliare e caratterizzare la propria offerta formativa in modo autonomo, senza troppi vincoli con le disposizioni nazionali in materia di indirizzi di studio. Come sempre, manca uno stanziamento di fondi statali per questo intento, e il tutto dipenderà dalla capacità di una scuola (e dunque, del Dirigente-Manager) di saper fare attività imprenditoriale per attirare i finanziamenti. In conclusione, nessuna vera riforma della didattica ma un semplice inserimento di alcuni elementi di novità. La vera (e taciuta) riforma della didattica, tuttavia, è quella di cui si parla nel paragrafo successivo, quello sui rapporti fra scuola e mondo del lavoro.

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5) SCUOLA E LAVORO In questo capitolo la scuola viene definita “la più efficace politica strutturale a nostra disposizione contro la disoccupazione”. La premessa di fondo è quella di una discrepanza fra le competenze che il mercato richiede e ciò che la scuola offre. A pag 106 si usa la seguente espressione: “disallineamento tra la domanda di competenze che il mondo esterno chiede alla scuola di sviluppare, e ciò che la nostra scuola effettivamente offre. Il tutto, dunque, si traduce in una direttiva generale: allineare gli insegnamenti a ciò che richiede il mercato. Si parla quindi di “rafforzare l’apprendimento basato su esperienze concrete di lavoro”, con modalità differenti a seconda dei casi ma con “una finalità comune: avvicinarsi alla costruzione di una via italiana al sistema duale” (pag 108). Nel concreto i provvedimenti sono quattro: 1) L’Alternanza Scuola-Lavoro (ASL) obbligatoria negli ultimi tre anni degli Istituti Tecnici ed estesa di un anno nei Professionali, per un ammontare di almeno 200 ore l’anno; 2) Impresa didattica, cioè la possibilità di commercializzare i beni prodotti nelle ore di laboratorio utilizzando il ricavato per finanziare l’offerta formativa; 3) Bottega Scuola, ossia l’inserimento degli studenti in contesti imprenditoriali legati all’artigianato e alla piccola imprenditoria; 4) Apprendistato sperimentale, cioè la possibilità di attivare dei percorsi di apprendistato vero e proprio (con contratto di lavoro) in attuazione dell’articolo 8bis del D.L. 104/2013. A parole il Governo riesce a dipingere un quadro bellissimo: “non si parlerà più di alternanza, ma di “formazione congiunta” tra la classe e il luogo di lavoro, tra la scuola e l’impresa. Le imprese e la scuola co-progettano, in coerenza con lo sviluppo delle filiere produttive, percorsi pensati a durare nel tempo”. In queste righe sta la completa capitolazione dell’idea dell’istruzione pubblica dinanzi agli interessi del capitalismo. Questo sistema ha bisogno di scuole che fabbrichino i futuri operai, tecnici e quadri per il suo mantenimento, e in questo processo elimina tutto ciò che è “superfluo” per il conseguimento del profitto. La Buona Scuola di Renzi è una scuola sulla quale le industrie e le imprese investono fornendo ingenti finanziamenti, in cambio di una didattica completamente asservita ai loro interessi. In molte parti d’Italia questo sta già diventando realtà. Basti pensare che l’ENEL sta già sperimentando l’apprendistato in alcuni istituti tecnici vicini alle aziende, i quali forniranno agli studenti, che saranno assunti con un contratto di apprendistato a partire dall’inizio del

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quarto anno di scuola, una formazione settorializzata e indirizzata verso ciò che l’azienda richiede. In seguito si parla della riqualificazione dei laboratori, come premessa per l’attuazione dei progetti previsti. “I circa 300 milioni di euro necessari proverranno per almeno un terzo da fondi ordinari MIUR, e saranno combinati a risorse del PON-FESR (fondi europei, ndr) e a contributi di imprese e delle principali fondazioni private del paese.” L’eterno ritorno del privato… 6) LE RISORSE PER LA BUONA SCUOLA, PUBBLICHE E PRIVATE Nell’ultimo capitolo, dedicato alle risorse della scuola, si sancisce definitivamente ciò che si è affermato in tutte le pagine precedenti: la necessità delle risorse private per costruire la “buona scuola” di Renzi. Le direttrici della gestione delle risorse sulla scuola sono tre: 1) vincolare i finanziamenti pubblici alle scuole “all’effettivo miglioramento dei singoli istituti e al merito di chi lavora per produrlo”, 2) stabilizzare le risorse pubbliche da destinare all’offerta formativa (MOF) senza dirottarle su altri capitoli di spesa, e infine 3) “attrarre sulla scuola molte risorse private”, poiché “l’investimento nella scuola non deve essere considerato solo una voce di spesa della PA, ma uno sforzo di tutto il Paese nel costruire il suo futuro”. Ancora una volta belle parole che celano i peggiori progetti. Il primo concetto è l’accettazione del “modello americano”, che si traduce nei finanziamenti pubblici erogati alle scuole “migliori” mentre quelle in difficoltà vengono lasciate al proprio destino. La retorica del “premiare il merito”, come sempre, serve a mascherare la creazione progressiva di scuole di serie A e di serie B. A pag 121 si legge “non possiamo infatti permetterci di mantenere il criterio dimensionale (quantità di studenti e organico) come unico indicatore per quantificare e allocare le risorse destinate alle scuole”. E infatti presto ci ritroveremo da una parte una moltitudine di “scuole-pollaio” di serie B senza finanziamenti pubblici, e una ristretta cerchia di scuole “d’elite” sulle quali saranno dirottati i finanziamenti pubblici in base al criterio della premialità – nel quale, ricordiamo, sono incluse anche le scuole paritarie… Per quanto riguarda le risorse private, invece, sono previsti tre strumenti principali: 1) lo School Bonus, un bonus fiscale per gli investimenti privati nella scuola, 2) lo School Guarantee, che premia maggiormente gli investimenti “nella scuola che crea occupazione giovanile”, ad esempio tecnici e professionali e 3) il crowdfunding, cioè microfinanziamenti collettivi

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a progetti didattici e attività extracurricolari da tenersi negli istituti. Si nota subito che lo “School Guarantee” sarà a tutto (ed ulteriore) vantaggio delle imprese che investiranno sulle scuole, di cui si parla nel capitolo 5. Ma dove si tocca il fondo è quando si parla del crowdfunding, per una ragione molto semplice: da anni esiste già la più grande forma di “crowdfunding” imposta alle famiglie, vale a dire il contributo scolastico! In tutti questi anni la scuola si è retta sui versamenti delle famiglie, volontari solo formalmente ma in realtà chiesti sempre più insistentemente dalle scuole. Se si è finiti ad assegnare un carattere di obbligatorietà de facto al contributo scolastico, è perché questi contributi da tempo non servono più a finanziare attività extra, ma piuttosto a mantenere in piedi l’attività ordinaria delle scuole, sopperendo così ai tagli dei fondi ministeriali! Quando il Governo Renzi ci parla di attività di crowdfunding finge di non essere a conoscenza di questa situazione ed elabora i propri progetti per un mondo che nella realtà non esiste! CONCLUSIONI Molti delle proposte formulate in “La Buona Scuola” circolavano già da anni. Lo slogan del “merito” apparteneva alla Gelmini, che proprio nei giorni scorsi ha affermato “ora anche la sinistra finalmente ha dovuto dare atto ai governi Berlusconi di aver agito nella direzione giusta per riportare la scuola italiana ai fasti che merita”, rivendicando quasi la paternità della riforma. L’aziendalizzazione e la privatizzazione delle scuole previste dall’attuale progetto di riforma non sono differenti da quello che prevedeva il famigerato “Pdl Aprea”, duramente contestato dagli studenti negli anni precedenti. Questo a dimostrazione di come i governi che si susseguono nel nostro paese seguano ormai le medesime direttrici, imposte dall’alto e provenienti dalle stanze della Commissione Europea. Il ruolo dell’Unione Europea nei processi di riforma che interessano il sistema di istruzione nel nostro paese è centrale. Quando l’Europa chiede al nostro paese di “aumentare la competitività della scuola”, ad esempio, in sostanza esprime le richieste delle grandi imprese europee, che hanno tutto l’interesse a reclutare manodopera qualificata anche nel nostro paese, facendo leva sulla disoccupazione per poi livellare i salari al ribasso. Il piano sull’alternanza scuola-lavoro rappresenta il pieno asservimento della scuola alle richieste delle imprese. Dopo anni di tagli barbari che hanno ridotto la scuola pubblica in ginocchio, il governo sceglie di far

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gareggiare le scuole per le poche briciole rimaste, invitandole nel frattempo a trovare il modo di ricevere finanziamenti privati. Una scuola che si regge sui finanziamenti di soggetti privati è una scuola disposta a fare qualsiasi cosa pur di non perdere questi finanziamenti, che dunque diventa dipendente da interessi terzi e cessa di essere un servizio pubblico. La “scuola di classe” è ormai una realtà, e il significato di questa espressione va colto in tutte le sue sfaccettature: non soltanto una scuola in cui il diritto allo studio è sempre più precluso alle classi popolari, ma anche e soprattutto una scuola del tutto proiettata a fare gli interessi di questo sistema e di chi ne tira le redini. Questo elemento va tenuto sempre presente, perché non si può coltivare l’illusione che la scuola bellissima che tutti vorremmo sia possibile all’interno delle logiche di questo sistema, semplicemente garantendone l’accesso a tutti. Quando si dice che “scuola e lavoro devono parlarsi”, bisogna tenere sempre presente che nel capitalismo il lavoro parla una lingua ben precisa, che è quella del profitto privato di chi possiede i mezzi di produzione, e che quindi la scuola in questo sistema ha due alternative: non comunicare con il mondo del lavoro, oppure parlarne la medesima lingua. All’interno di questo sistema, la scelta è soltanto fra queste due opzioni, e la seconda la si ritrova appieno nella “buona scuola” di Renzi. L’alternativa vera sta nella lotta cosciente per una società diversa, libera dallo sfruttamento e dalle logiche del profitto. Solo così è possibile conquistare un’istruzione di massa che sia realmente gratuita, volta all’accrescimento culturale e cognitivo dell’individuo e che sia al servizio della collettività e non degli interessi di chi detiene il potere economico. La buona scuola, quella vera, si può costruire soltanto rifiutando le regole di questo sistema. Non ci resta dunque che organizzare la nostra lotta.

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