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PIERLUIGI DONINI, Triest ARISTOTELISMO Ε INDETERMINISMO IN ALESSANDRO DI AFRODISIA* Nel trattato De anima del grande commentatore aristotelico Alessandro di Afrodisia si incontra un capitolo sulla facoltä appetiti- va e motrice dell'anima che non ha ancora ottenuto particolare atten- zione dagli studiosi. Poiche nella ripresa degli studi alessandristi a cui abbiamo assistito negli ultimi anni 1 il problema del determinismo e stato si quello piu ampiamente trattato, ma quasi unicamente a pro- positi) dell'altra maggiore opera di Alessandro, il trattato De fato, e opportuno far notare che anche il capitolo del De anima ha forse qualche collegamento con la discussione sul determinismo; se questo collegamento esiste, alcune considerazioni di qualche rilievo posso- no poi essere avanzate, sia a proposito della filosofia di Aristotele che del pensiero di Alessandro. II capitolo di Alessandro (De anima 73,14-80,15 Bruns) corri- sponde abbastanza precisamente, sia per il contenuto che per lo svi- luppo della trattazione, ai capitoli 9-11 del terzo libro del De anima aristotelico. C'e innanzitutto una lunga e minuziosa discussione sulle parti dell'anima (73,14-76,17, cui si puo aggiungere come un'appen- dice la sezione 78,2-23); grosso modo, essa corrisponde a An. Ill 9-10, 432 a 15-433 b 4, e la maggior differenza da Aristotele sta nel fatto che la discussione di Alessandro presuppone gia come owia * Questo lavoro sviluppa il tema di una conferenza tenuta nel maggio 1983 presso la Facolta di Lettere e Filosofia dell'Universita di Milano. 1 Notizie e bibliografia possono essere reperite nei miei precedenti lavori: Tre studi sull'aristotelismo nel II secolo d.C., Torino 1974, specialmente 5-9; Le scuole l'a- nima l'impero. La filosofia antica da Antioco a Plotino, Torino 1982, 220-248. Ai lavori citati in quest'ultimo libro (246 nota 41) a proposito della discussione intor- no al determinismo si dovrebbero ora aggiungere D. Frede, The Dramatization of Determinism: Alexander of Aphrodisias' De Fato, in: Phronesis 27 (1982) 276- 298; R.W. Sharpies, Alexander of Aphrodisias on Fate, London 1983 (con indica- zioni bibliografiche). Brought to you by | New York University Bobst Library Technical Services Authenticated Download Date | 12/7/14 11:30 PM

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Page 1: Kommentierung, Überlieferung, Nachleben () || Aristotelismo e indeterminismo in Alessandro di Afrodisia

PIERLUIGI D O N I N I , Triest

A R I S T O T E L I S M O Ε I N D E T E R M I N I S M O I N A L E S S A N D R O DI A F R O D I S I A *

Nel trattato De anima del grande commentatore aristotelico Alessandro di Afrodisia si incontra un capitolo sulla facoltä appetiti-va e motrice dell'anima che non ha ancora ottenuto particolare atten-zione dagli studiosi. Poiche nella ripresa degli studi alessandristi a cui abbiamo assistito negli ultimi anni1 il problema del determinismo e stato si quello piu ampiamente trattato, ma quasi unicamente a pro-positi) dell'altra maggiore opera di Alessandro, il trattato De fato, e opportuno far notare che anche il capitolo del De anima ha forse qualche collegamento con la discussione sul determinismo; se questo collegamento esiste, alcune considerazioni di qualche rilievo posso-no poi essere avanzate, sia a proposito della filosofia di Aristotele che del pensiero di Alessandro.

II capitolo di Alessandro (De anima 73,14-80,15 Bruns) corri-sponde abbastanza precisamente, sia per il contenuto che per lo svi-luppo della trattazione, ai capitoli 9-11 del terzo libro del De anima aristotelico. C'e innanzitutto una lunga e minuziosa discussione sulle parti dell'anima (73,14-76,17, cui si puo aggiungere come un'appen-dice la sezione 78,2-23); grosso modo, essa corrisponde a An. Ill 9-10, 432 a 15-433 b 4, e la maggior differenza da Aristotele sta nel fatto che la discussione di Alessandro presuppone gia come owia

* Questo lavoro sviluppa il tema di una conferenza tenuta nel maggio 1983 presso la Facolta di Lettere e Filosofia dell'Universita di Milano.

1 Notizie e bibliografia possono essere reperite nei miei precedenti lavori: Tre studi sull'aristotelismo nel II secolo d.C., Torino 1974, specialmente 5-9; Le scuole l'a-nima l'impero. La filosofia antica da Antioco a Plotino, Torino 1982, 220-248. Ai lavori citati in quest'ultimo libro (246 nota 41) a proposito della discussione intor-no al determinismo si dovrebbero ora aggiungere D. Frede, The Dramatization of Determinism: Alexander of Aphrodisias' D e Fato, in: Phronesis 27 (1982) 276-298; R.W. Sharpies, Alexander of Aphrodisias on Fate, London 1983 (con indica-zioni bibliografiche).

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Aristotelismo e indeterminismo in Alessandro di Afrodisia 73

l'identificazione della facolta appetitiva con quella che governa il movimento locale, sicche, mentre Aristotele procedeva all'esame del-le diverse facolta psichiche per scoprire quale di esse esibisse mag-giori titoli per essere definita come la facolta locomotrice, Alessan-dro e invece unicamente preoccupato di distinguere con tutta la pos-sibile chiarezza la facolta appetitiva e locomotrice dalle altre facolta dell'anima. La sezione 76,18-78,1 corrisponde, all'ingrosso, a An. Ill 10, 433 b 19-27, ma in realtä, piu che su questo testo, si fonda sui ca-pitoli conclusivi dello scritto De motu animalium, da cui ricava la de-scrizione dei processi fisici che nel corpo dell'animale preparano ο accompagnano il movimento; il ricorso di Alessandro al De motu e d'altra parte giustificato dal rinvio a questo scritto che sembra leg-gersi nello stesso De anima aristotelico 433 b 20. Da 78,24 a 79,21 Alessandro discute se l'anima possa esser detta muoversi: il tema ge-nerale e quello trattato da Aristotele in An. Ill 10, 433 b 5-18. Infine, l'ultima sezione del capitolo di Alessandro (79,21-80,15) discute il rapporto tra facolta immaginativa, intelletto e movimento, e inoltre il modo in cui procede il ragionamento pratico; ha paralleli in passi di-versi del testo aristotelico (p.es. Il l 9, 432 b 26-433 a 8) e sembra in generale dover corrispondere al cap. 11, specialmente 434 a 5-21.

Ma, proprio perche i temi e Pandamento generale della trattazio-ne ricalcano cosi precisamente il modello aristotelico, tanto piu evi-dent! e sconcertanti risultano le numerose divergenze di Alessandro da Aristotele nei particolari. Non e certo possibile esaminarle qui tutte, e probabilmente non tutte risulterebbero dawero significative: mi limitero dunque a segnalare quelle novitä del capitolo alessandri-sta che sembrano spiegabili in riferimento a un unico problema filo-soficamente rilevante.

E' evidente innanzitutto il ricorso di Alessandro a concetti e ter-mini provenienti dallo Stoicismo. Ma, mentre l'uso dei termini όρμή e όρμητικόν accanto a quelli aristotelici δρεξις e όρεκτικόν non sembra influire in modo sostanziale sulla dottrina2, diverso e il caso

2 Se si considerano i passi 73,28-29 e 78,22-23 si direbbe che Alessandro riserva il nome di δρεξις unicamente ai movimenti dell'anima che tendono a conseguire un oggetto, mentre quelli che tendono a evitare un oggetto, i movimenti di awersione ο repulsione, sono indicati con il nome di όρμαί - i l quale pero serve poi anche co-me nome di genere per tutti i movimenti dell'anima, sia di attrazione che di repul-sione. Altrimenti spiega la compresenza di όρμή e δρεξις in Alessandro A. Preus,

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74 Pierluigi Donini

della συγκατάθεσις. II termine ricorre solo sporadicamente nel capi-tolo sulla facoltä motrice (73,21; cfr.78,14.19); per capire quale fun-zione abbia l'assenso nella dottrina alessandrista occorre rifarsi alle pagine conclusive della sezione precedente dedicata alla φαντασία (71,21-73,13), dove il problema delle origini psichiche del movimen-to e gia presente ad Alessandro.

Ci sono parecchie oscurita in questa discussione, tuttavia almeno alcuni punti si possono considerare abbastanza sicuri. L'assenso con-cesso a una φαντασία e all'origine di un'attivitä pratica (71,22); l'a-zione e percio il risultato ultimo di una sequenza di processi psichici che sono, specificamente e nell'ordine, percezione, immaginazione, assenso, impulso (όρμή) e, appunto, azione (72,16). Ma questa se-quenza non ha nulla di meccanicamente necessario (72,16-73,2): ne ogni percezione e seguita da immaginazione, ne ogni immaginazione da assenso, ne ogni assenso da impulso, e neppure ogni impulso e ne-cessariamente (έξ ανάγκης 72,15, cfr.73,1) seguito da un'azione. Dell'assenso, in particolare, si possono distinguere due forme: una, consistente nell'assentire ο no all'essere ο non essere degli oggetti (p. es. che il tale che si awicina e Socrate: cfr. 72,25), consegue imme-diatamente alla percezione e all'immaginazione e non e in nostro po-tere; l'altra, che riguarda quel che si deve ο non si deve fare e di cui e responsabile il logos, e invece in nostro potere: infatti „dipende da noi scegliere qualcosa mediante la deliberazione e assentire alla scel-ta" (73,11). Di questa forma dell'assenso si puo allora dire che non consegue3 all'immaginazione, ma alla deliberazione razionale (73,12): in altre parole, nella sequenza delle attivitä psichiche si in-terpone in questo caso tra φαντασία e συγκατάθεσις un momento di riflessione da cui dipende l'assenso - il che e precisamente il pro-cedimento previsto e descritto da Alessandro nel De fato 178,19-28

Intention and Impulse in Aristotle and the Stoics, in: Apeiron 15 (1981) 48-58, spe-cialmente 55-56: Alessandro sarebbe profondamente influenzato dallo Stoicismo. Ma, dato che non credo comunque possibile ammettere, con Preus, che Pintento di Alessandro fosse „a philosophical synthesis of Aristotelian and other current ideas" (ibid. 54), la spiegazione che qui propongo mi sembra assai piü semplice e piu plausibile.

3 Questa affermazione e accostata da Sharpies, op. cit. (sopra, nota 1) 149, a De fato 186,6-12, un passo che pero non implica il paradosso in cui cade invece il De ani-ma (cfr. nel testo). In ogni caso, De fato 186,6 sembra confermare il testo di De anima 73,8 (cfr. l'apparato di Bruns) per quanto strano questo sia.

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Aristotelismo e indeterminismo in Alessandro di Afrodisia 75

e 183,32 sg. come quello che distingue l'uomo in quanto animate ra-zionale e ne fonda la responsabilita e la liberta.

E'cosi esplicitamente chiarito da Alessandro stesso a che cosa ser-ve l'introduzione dell'assenso nell'analisi della facolta locomotrice: a precisare che l'azione umana, come caso particolare del movimento animale, non e necessitata dagli oggetti esterni percepiti ο immagina-ti, ma dipende dal libero assenso della ragione. Ogni azione diviene allora il risultato di una deliberazione di cui l'uomo e responsabile; tanto da questa tesi, quanto dall'insistenza di Alessandro sul caratte-re non necessario della sequenza dei processi psichici risulta chiara la preoccupazione che ha fin da principio guidato l'Esegeta nella sua descrizione della natura e delle attivitä della facolta appetitiva e mo-trice: salvaguardare e sottolineare in ogni modo la liberta e l'autono-mia di quella forma particolare del movimento che e appunto l'azio-ne dell'uomo. Ma altrettanto chiaro risulta che questa preoccupazio-ne rischia di portare Alessandro - come talvolta gli accade anche nel De fato 4 - a esiti paradossali e comunque contrastanti con il pensie-ro aristotelico: la formulazione del De anima 73,7-12 implicherebbe appunto, presa alia lettera, che ogni azione5 e il risultato di una deli-berazione, il che comporterebbe l'abbandono della distinzione ari-stotelica fra azioni deliberate e azioni volontarie (EN III 4, 1111 b 7-1112 a 16) ed e smentito dallo stesso Alessandro in altri luoghi delle sue opere (p.es. De fato 183,26, cfr. 184,27-185,4), dove egli distingue fra volontarietä e deliberazione e ammette che esistono an-che azioni non deliberate.

Individuata cosi la preoccupazione sottesa alia trattazione che Alessandro dedica alia facolta psichica che governa il movimento di-viene piu facile spiegare le maggiori sue divergenze da Aristotele. A cominciare dalla piu grave di tutte, l'affermazione (78,24sgg.) che l'anima appetitiva muove l'animale senza essere mossa. Questa affer-mazione, infatti, non e soltanto nuova rispetto al De anima aristoteli-co, ma lo contraddice direttamente: III 10, 433 b 16, la facolta appeti-tiva e insieme κινοΟν και κινούμενον; del resto, anche il De motu animalium 6, 701 a 1 e 10, 703 a 5 dice la stessa cosa. Non appena os-servata questa novitä del testo alessandrista, ci si awede pero subito

4 Cfr. Sharpies, op.cit. (sopra, nota 1) 146. s Poiche su questo punto eventuali dubbi circa il testo (cfr. sopra, nota 3) non influi-

rebbero affatto.

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che essa non puo non essere collegata all'omissione di una tesi cen-trale dello scritto di Aristotele: non c'e infatti parola in Alessandro dello schema caratteristico di An. III 10, 433 b 13-18 (e cfr. anche Mot. An. 6,700 b 35sgg.) che, distinguendo nel movimento animale i diversi elementi del movente immobile (il bene realizzabile dall'azio-ne), del movente che e anche mosso (la facolta appetitiva), dello stru-mento del movimento (l'organo corporeo) e di quel che e soltanto mosso (l'animale), sembra voler collegare l'analisi del movimento animale alla teoria generale del movimento come e riassunta p.es. in Phys.VIII 5, 256 b 14 ο in Metaph.A 7, 1072 a 22-26.

Si potrebbe tuttavia essere tentati di rispondere subito che, per avanzare quell'affermazione che contraddice formalmente i testi ari-stotelici e per omettere lo schema del De anima III, Alessandro aveva giustificazioni evidenti. Aristotele stesso, infatti, polemizza a lungo in De anima I 3 -4 contro la tesi che l'anima sia quel che muove se stesso e che in generale le appartenga il movimento, e Alessandro si trovava dunque a dover spiegare due affermazioni almeno apparen-temente contraddittorie, dato che il primo libro dello scritto aristote-lico negava dell'anima tutta quel che il terzo affermava della facolta locomotrice, che cioe essa possa essere mossa. Si potrebbe dunque pensare che, osservata la contraddizione, Alessandro abbia deciso in favore della tesi del primo libro, piu ampiamente argomentata da Aristotele, e abbia percio negato che anche l'anima appetitiva possa essere mossa. Tuttavia Alessandro doveva pur sapere che Aristotele stesso, nel primo libro (4, 408 a 30-34) , aveva concesso che si definis-se l'anima mossa per accidente, quando cioe „si muove quello in cui essa e", l'animale. Lo sapeva infatti cosi bene che non dimentico di ripetere questa tesi del movimento accidentale dell'anima in una del-le pagine della sezione introduttiva del suo trattato (22,13sgg.), e ancora, dovendo spiegare nel perduto commentario al De anima ari-stotelico il passo del terzo libro a proposito dell'anima appetitiva co-me movente mosso, fece una volta di piu ricorso alia tesi del movi-mento accidentale dell'anima che si ha quando l'animale si sposta (come ci informa Simplicio in An. 302,28 sgg.).

Tutto va cosi a posto, dunque? Evidentemente no: ci si domanda infatti perche, in primo luogo, l'ammissione che faceva nel commen-tario, che cioe Aristotele intendesse semplicemente parlare anche nel terzo libro del movimento accidentale dell'anima, Alessandro non la ripete anche nel suo capitolo sull'anima appetitiva, dove invece si

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Aristotelismo e indeterminismo in Alessandro di Afrodisia 77

chiude nella negazione piu ferma, mettendosi cosi in contraddizione formale con Aristotele; e, in secondo luogo, ci si domanda se la spie-gazione del commentario sarebbe stata comunque adeguata e accet-tabile. A questo secondo problema si puo rispondere senz'altro nega-tivamente: non e affatto owio ne sicuro che, quando parla di un'ani-ma appetitiva che muove essendo mossa, sia nel De anima che nel De motu Aristotele intenda semplicemente riferirsi al movimento locale che l'anima appetitiva accidentalmente compie quando l'animale si sposta. L'impressione molto forte e piuttosto che Aristotele tratti l'appetizione stessa come una forma di movimento6, owiamente non locale, e solo il tormentato stato del testo a 433 b 16-18 ci impedisce di elevare questa forte impressione a un'assoluta certezza. Ma quali che siano le lezioni da adottare per il passo, sembra comunque diffi-cile liberarsi proprio di tutti i dati che porterebbero a considerare la ορεξις come una sorta di movimento: giä Plutarco di Atene, citato da Simplicio, e Simplicio stesso (in An. 302,23sgg.) dichiaravano la loro insoddisfazione per l'interpretazione alessandrista e rifiutavano di ammettere che Aristotele avesse inteso parlare di un movimento locale accidentale dell'anima appetitiva: per entrambi, Aristotele avrebbe considerato κίνησις l'attualizzazione dell'appetizione a ope-ra dell'oggetto appetibile.

Se comunque, bene ο male, un'interpretazione per la proposizio-ne aristotelica che considera l'anima appetitiva come il movente mos-so Alessandro l'aveva trovata, ci si domanda ancora una volta perche non utilizzasse questa interpretazione anche nel suo capitolo sul mo-vimento del De anima, in modo da poter riproporre anche lo schema aristotelico che riconduceva il caso del movimento animale alia teo-ria generale del movimento. Ma proprio a questo punto viene in mente che quel che poteva dare fastidio ad Alessandro non era tanto ο semplicemente la tesi dell'anima mossa, quanto l'inserzione di que-sta tesi in uno schema come quello del terzo libro De anima, con la

4 Cfr. in proposito J. B. Skemp, δρεξις in De anima III 10, in: Aristotle on Mind and the Senses, Proceedings of the Seventh Symposium Aristotelicum, Cambridge 1978, 181-183, e la conclusione di D.J.Furley, Self Movers, ibid. 177 („it would be obstinate of Aristotle to deny that the effect can be called a movement"). La situa-zione e dunque molto piu complicata di come appaia a H. J. Blumenthal, Plutarch's Exposition of the De anima and the Psychology of Proclus, in: De Jamblique a Proclus. Entretiens sur l'antiquite classique 21, Vandoeuvres - Geneve 1975, 128— 129.

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78 P I E R L U I G ! D O N I N I

sua distinzione fra movente immobile e movente mosso. Infatti, ammettere che la psicofisica del movimento animale rientra in uno schema piu generale in cui e all'oggetto esterno, e solo a questo, che in ogni modo spetterebbe la funzione di κινοϋν άκίνητον, movente immobile, mentre l'anima fungerebbe da movente mosso (almeno ac-cidentalmente, se si intende parlare di movimento locale, e mosso a maggior ragione e in senso piu pericoloso se si tratta di altro tipo di movimento) non significherebbe forse riconoscere che ci sono, per l'anima e per le azioni che da essa procedono, cause esterne e ante-riori alle sue appetizioni e alia sua volonta? Non significherebbe co-stringere il movimento animale, e in particolare l'azione umana, in una sequenza troppo pericolosamente somigliante alia catena delle cause precostituite contro cui Alessandro si batte cosi vivacemente e a lungo nel De fato? I passi del De anima e del De motu animalium in cui Aristotele tratta la facolta appetitiva come un movente mosso all'interno di una sequenza dove il movente immobile e comunque un oggetto esterno hanno esattamente quei caratteri che possono creare difficoltä a un'interpretazione indeterministica dell'azione umana: e percio comprensibile che, se proprio non e costretto a par-larne dalle regole inderogabili del commentario continuo, Alessan-dro preferisca nella sua esposizione personale dimenticarli (e nel commentario, dovendone parlare, adotterä l'interpretazione piu in-nocua). Corroborano questo sospetto i passi del De fato in cui Ales-sandro si affanna ad asserire che non ci sono cause esterne per le no-stre azioni e le nostre scelte7, perche di tali azioni e di tali scelte la causa siamo noi; p.es. 185,11 sgg.:

„non e assolutamente ne sempre vero che quel che awiene in for-za di una causa ha una causa esterna che fa si che esso awenga. £ ' per questa possibilitä che c'e qualcosa che dipende da noi: perche di quel che awiene in questo modo siamo padroni noi, e non una qual-che causa esterna. Percio quel che awiene in questo modo non av-viene senza una causa, dato che ha in noi la sua causa. L'uomo e in-fatti principio e causa delle azioni che si compiono da lui e questo e

7 Quando nel De fato argomenta in questo modo, Alessandro non riconosce mai esplicitamente nemmeno che la presenza degli oggetti esterni possa essere conside-rate come un'indispensabile causa antecedente, anche se questa non basterebbe di per se a determinare l'azione: cfr. p.es. 179,12. 180,6.27. 190,19. Mi sembra che questo sia sfuggito a D.Frede, op.cit. (sopra, nota 1) 279. 288.

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Aristotelismo e indeterminismo in Alessandro di Afrodisia 79

appunto l'essere per l'uomo, l'avere in se il principio di agire in tal modo . . . percio ogni altro agente segue le cause esterne che lo con-dizionano, ma non l'uomo, perche il suo essere consiste in questo, nell'avere in se un principio e una causa tali da non doversi affatto adeguare alle circostanze esterne."

Si puo infine citare un particolare curioso dell'esposizione di Alessandro nel suo De anima, un particolare che puo confermare che l'omissione dello schema aristotelico di An. Il l 10, 433 b 13-18 e del tutto calcolata. In realtä, infatti, in Alessandro qualcosa che lontana-mente ricorda lo schema aristotelico c'e, ma e anche tipicamente di-verso. Invece della tripartizione fra movente (bipartito: immobile ο mosso), strumento del movimento e mosso, troviamo in Alessandro 79,4-21 un'altra tripartizione, quella dei modi in cui i moventi im-partiscono il movimento: un modo di muovere e quello dell'oggetto appetibile ο amato che muove l'amante; un altro e quello dell'anima che muove l'animale per raggiungere ο evitare qualche oggetto per-cepito ο pensato; un terzo e quello degli oggetti inanimati, che muo-vono urtando a forza gli altri oggetti. Solo in quest'ultimo caso si potrebbe parlare di motori che muovono essendo mossi, ma non nel caso dell'anima: chi si muove perche pensa ο desidera qualcosa non si muove perche in lui sia anche mosso quel che pensa ο desidera (cioe l'anima). Come la danza non si muove quando il danzatore sta danzando, non si muove l'anima quando l'animale si muove perche essa non sta nell'animale come il rematore sta nella nave, ma come una forma e una perfezione dell'animale: e qui (79,21, cfr.78,24) Alessandro si riferisce esplicitamente alia sua precedente discussione, corrispondente a quella del primo libro dello scritto aristotelico, cir-ca la non mobilita dell'anima. Ma in quell'occasione, a 22,13-23, ave-va almeno ammesso che l'anima si muove accidentalmente; qui non fa neppure questa piccola concessione. Come si vede, alia tripartizio-ne aristotelica egli ha dunque voluto far corrispondere, anche nella sua personale esposizione, una tripartizione; ma ha costruito questa in modo da lasciarne fuori gli spunti aristotelici che avrebbero costi-tuito un problema per la sua interpretazione indeterministica dell'a-zione.

Le altre divergenze rilevanti fra l'esposizione di Alessandro e quella di Aristotele si incontrano alia fine del capitolo, a proposito della questione del ragionamento pratico. Occorre pero tenere pre-

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80 PIERLUIGI D O N I N I

sente che, nell'esporre tale questione, Alessandro doveva preliminar-mente aver risolto parecchie difficolta, alcune obiettivamente date nel testo aristotelico, altre invece collegate alle sue preoccupazioni di indeterminista. Quanto alle prime, e un fatto che la pagina aristoteli-ca che avrebbe dovuto servirgli come base per l'esposizione (De ani-ma III 11) e una delle piu tormentate e difficilmente comprensibili dell'intero trattato; e, anche senza tener conto del disperato passo 434 a 10-15, dove la stessa costituzione del testo e abbastanza incer-ta anche oggi - Alessandro non ne ripete alcuno spunto nella propria trattazione - rimaneva pur sempre da affrontare la difficolta di fon-do, di spiegare come mai alia fine dell'undicesimo capitolo il ragio-namento pratico sia esemplificato da Aristotele nella forma di un sil-logismo8 mentre altri accenni nel medesimo capitolo (434 a 7) e, prima ancora, nel decimo (433 a 15-17) farebbero pensare che la de-liberazione proceda secondo lo schema piu consueto dell'analisi dei mezzi in vista di un fine. Segnalare questa difficolta non significa ov-viamente affermare, neanche solo implicitamente, che lo schema del-la deliberazione e quello del sillogismo siano definitivamente incom-patibili; intendo semplicemente dire che c'e qualcosa nel testo di Aristotele che non e immediatamente chiaro e che avrebbe bisogno di essere spiegato9.

Ma la questione dei modi del ragionamento pratico doveva pre-sentare ad Alessandro altre difficolta ancora, questa volta originate dalle sue personali convinzioni di assertore della libertä umana e di nemico del determinismo. Siano infatti contraddittori, ο invece com-patibili, ο persino complementari, cosi come li aveva descritti Aristo-tele entrambi gli schemi del ragionamento pratico erano tali da allar-mare un indeterminista: entrambi implicavano infatti che le azioni umane risultassero in qualche modo necessitate. Nel caso dello sche-ma sillogistico c'e infatti la necessitä logica inerente alia forma stessa del ragionamento (Anal. Pr. 47 a 33 al.) e bisogna dire che Aristotele,

• 434 a 16-19 έπεί δ' ή μεν καθόλου ύπόληψις και λόγος, ή δε τοϋ καθ' ϋκαστον (ή μεν γαρ λέγει δτι δει τον τοιοΟτον τό τοιόνδε πράττειν, ή δε δτι τόδε τοίνυν τοιόνδε, κάγώ δέ τοιόσδε) κτλ.

' Due discussioni recenti di tutta la questione meritano di essere ricordate: J . M . Cooper, Reason and Human Good in Aristotle, Cambridge (Mass.) - London 1975, 10-58 e M. Nussbaum, Aristotle's De motu animalium, Princeton 1978, 175-210. Ma non credo che tutti i problemi siano risolti.

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Aristotelismo e indeterminismo in Alessandro di Afrodisia 81

negli accenni al sillogismo pratico sparsi nelle sue opere, non ha af-fatto risparmiato gli sforzi per sottolineare che tale necessitä si tras-ferisce anche al ragionamento pratico, p. es. in E N VII 5, 1147 a 25sgg.10. Nel caso della deliberazione e invece presente quel modo della necessitä che si dice ipotetico e che Aristotele ha definito in Metaph.A 5, 1015 a 22-25 („necessario si dice . . . anche quello senza di cui non puo esserci ο realizzarsi il bene, ο non si puo sfuggire ο allontanare il male, come per esempio bere la medicina e necessario per non cadere ammalati, ο navigare fino a Egina per recuperare i crediti"). Anche in questo caso, non si puo non notare che Aristotele ha continuamente sottolineato il legame di necessitä che condiziona, in vista della realizzazione del fine voluto, la scelta e la messa in ope-ra dei mezzi: p.es. Metaph.Z7, 1032 b 7; E E II 11, 1227 b 30; Mot. An. 7, 701 a 21. Cosi, secondo l'esempio di Metaph.Z, se si deve ottenere la salute e se il medico scopre che quel che manca al pazien-te e l'uniformitä, e necessario che il medico produca l'uniformitä me-diante un riscaldamento ed e necessario che produca questo riscalda-mento mediante un massaggio - la borsa del ghiaccio qui non puo assolutamente essere usata.

In questa situazione, il meno che si puo dire della sezione del De anima di Alessandro (79,21-80,15) sul ragionamento pratico e che essa e deludente e reticente: nessuna delle difficoltä della dottrina aristotelica e affrontata direttamente, alcune sono taciute del tutto, altre malamente aggirate. Alessandro comincia col ricordare che la riflessione e l'immaginazione, benche precedano l'azione, non hanno titoli per essere considerate i veri motori dell'animale, perche senza la ορεξις non produrrebbero alcun movimento; aggiunge quindi

10 „La prima premessa e un'opinione che si riferisce all'universale, la seconda verte sui particolari che cadono sotto il dominio della sensazione. Quando dalle due premesse scaturisce una proposizione conclusiva, e n e c e s s a r i o che in quel primo caso (del ragionamento teorico) l'anima consenta alia conclusione, nel caso invece delle premesse pratiche che si agisca subito. Per esempio, se si deve gustare ogni cosa dolce e questa qui - come una singola cosa particolare - e una cosa dolce, e n e c e s s a r i o che colui che ne ha la possibilita e cioe non e impedito compia simul-taneamente alia conclusione anche questa azione". Se poi da questo e da altri simi-li passi sia dawero giustificato ricavare la conclusione che ogni azione volontaria e, secondo Aristotele, necessitata, e materia di controversia: cfr. R. J . Sorabji, Ne-cessity, Cause and Blame. Perspectives on Aristotle's Theory, London 1980, 238-241, con indicazioni bibliografiche sulla discussione.

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82 PIERLUIGI D O N I N I

(80,6) che nel caso piü importante del movimento (l'azione umana) la ορεξις e collegata a una deliberazione e ha allora nome decisione (προαίρεσις) e prosegue: „come infatti, nel campo della teoria, la conclusione dimostrata sul fondamento delle premesse assunte e la conoscenza del problema proposto, cosi, nel campo della pratica, l'a-zione viene a essere la conclusione della deliberazione"11. E' abba-stanza chiaro qui l'imbarazzato tentativo di aggirare i problemi piu spiacevoli: scrivendo queste linee (80,7-10) l'Esegeta aveva nella me-moria gli accenni di Aristotele, An. III 11 e Mot. An. 7, al sillogismo pratico e inoltre i passi (come quello poco fa ricordato di EN VII 5 ο quello, ancora piu esplicito, di Mot. An. 7, 701 a 8-16) in cui Aristote-le pone in parallelo il sillogismo pratico e quello apodittico sottoline-ando la loro somiglianza nel funzionamento e nella costituzione del-le premesse e la loro diversitä nel fatto che uno mette capo a una proposizione, l'altro a un'azione; tuttavia Alessandro prospetta qui un parallelo tra il sillogismo apodittico e il meccanismo, formalmen-te del tutto diverso, della deliberazione senza assolutamente chiarire come e perche i due procedimenti sarebbero paragonabili ο paralleli. Naturalmente, si guarda poi anche bene dall'accennare, a proposito del sillogismo, alia necessita con cui la conclusione deriva dalle pre-messe; anzi, forse per deviare l'attenzione da ogni pericolosa analo-gia di funzionamento fra il ragionamento pratico e quello teorico, inserisce l'accenno alla „conoscenza del problema proposto" che sa-rebbe il risultato della combinazione delle premesse e fornisce appa-rentemente l'esatto parallelo della conclusione (l'azione) del ragiona-mento pratico.

Alessandro avrebbe cosi evitato, fin qui, ogni esplicito accenno al sillogismo pratico; ma, per rendere un po'di giustizia anche al testo aristotelico del De anima che ricorda questo schema del ragiona-mento, inserisce proprio alia fine del capitolo due esempi di ragiona-mento pratico in forma sillogistica che ricava dal De motu anima-

11 Mi pare indubitabile che a 80,9 si deve leggere βουλεύσεως e non βουλήσεως come scrive Bruns. „Conclusione della volonta" sarebbe infatti un'espressione stra-nissima in se, in Aristotele e in Alessandro stesso; oltre a cio, come mostra γάρ nel-la linea 7, l'analogia con il sillogismo apodittico e introdotta a spiegazione della definizione della προαίρεσις come δρεξις βουλευτική. Infine, se rimanessero dub-bi, Ii toglie l'interpretazione ebraica, che presuppone appunto βουλεύσεως (cfr. l'edizione di Bruns).

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Aristotelismo e indeterminismo in Alessandro di Afrodisia 83

Hum: „chi abbia pensato che ogni uomo dovrebbe passeggiare e che lui e un uomo trae come conclusione dalle suddette premesse il pas-seggiare; e chi abbia pensato: ,ho bisogno di un indumento e l'abito e un indumento' traduce la conclusione ,dunque ho bisogno di un abi-to* nello sforzo di procurarsi un abito" (80,12-15, cfr.Mot.An.7, 701 a 13.18 sgg.). Indubbiamente il ricorso agli esempi del De motu animalium e curioso: ha forse Alessandro voluto evitare lo schema di An. Ill 11, 434 a 16-19 perche questo, con la sua forma astratta e ge-nerale, gli sembrava implicare l'affermazione che ogni azione uma-na segue sempre uno schema mentale di tipo sillogistico? Cosi co-me stanno le cose, nel suo testo abbiamo soltanto due esempi parti-colari di ragionamento sillogistico, che del resto appaiono catalogati sotto il nome generale di deliberazione: un particolare che, a chi non conoscesse bene tutta la complessa problematica taciuta da Alessan-dro, potrebbe apparire abbastanza innocuo.

Del resto, quel che il capitolo del De anima tace cautamente ο la-scia appena intuire e chiarito abbastanza bene dalle altre opere di Alessandro. Che l'Esegeta non avesse nessuna simpatia per il sillogis-mo pratico e confermato da tutta la restante sua produzione, dove questa forma del ragionamento e totalmente assente12; dovunque, e la deliberazione che compare come unico procedimento della razio-nalita volta all'azione. Cosi, nello stesso De anima l'intelletto pratico sarä senza esitazioni definito „intelletto deliberative" perche, si spie-gherä, „per il fatto che le azioni possono essere compiute in questo modo ο in altro e'e bisogno di consultarsi per la scelta del meglio" (82,16-18 e cfr.98,28 sgg.). Ma giä da questa definizione si ha la netta impressione che Alessandro intenda la deliberazione in forma ormai piuttosto diversa da quella di Aristotele: come una scelta, cioe, fra molte alternative sempre tutte ugualmente possibili, dove si atte-nua, ο meglio scompare, il senso del legame necessario che condizio-na in riferimento al fine la serie delle scelte successive compiute dal-l'agente13.

12 Nel De fato 186,9.11 συλλογισμός ha certamente il significato generico di „reasoning" (Sharpies).

15 L'unico passo del De fato in cui il problema della determinazione delle azioni da parte del fine e sfiorato e 185,21-28. Ma, anche se non si accetta l'obiezione da me avanzata in Tre studi cit. (sopra, nota 1) 176-179, e impossibile affermare che Alessandro giunge almeno qui a una chiarificazione conclusiva: cfr. Sharpies, op. cit. (sopra, nota 1) 149.

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Alessandro ha infatti cancellato la nozione della necessitä ipoteti-ca dalla sua filosofia pratica, come risulta in particolare dalla discus-sione della βούλευσις che si legge nel capitolo 12 del De fato1 4 . Qui, a 180,14sgg., dopo un'illustrazione generale del procedimento anali-tico di chi delibera in cui e riassunto l'essenziale di E N III 5, 1112 a 3 0 - b 19, Alessandro alia fine commenta: ,,ma la sua (scil. di chi deli-bera) ricerca procede come se egli abbia la facolta di fare anche l'op-posto. In ciascuno dei momenti della sua disamina la ricerca di chi delibera verte infatti su questo: se io debba fare questo, oppure l'op-posto" (180,20-23) . II linguaggio di Alessandro non e qui (forse vo-lutamente) del tutto chiaro e deve essere interpretato con cautela: t o άντικείμενον non e necessariamente da intendere come l'opposto contrario nel senso che si dice che il bene e opposto al male (Cat. 10, l i b 21)1 S e puo darsi che Alessandro, qui e altrove16, si riservi di in-

14 De fato 180,12-15 sembrerebbe implicare che ci sono due schemi diversi della de-liberazione: accanto alia scelta dei mezzi in vista del fine ci sarebbe anche la rifles-sione sull'opportunita di compiere ο non compiere una determinata azione (περί τοΟ δεϊν αύτό πράττειν ή μή πράττειν). Sharpies, op.cit. (sopra, nota 1) 140, sug-gerisce che Alessandro e stato qui influenzato dall'insistenza degli Stoici sul prob-lems delle reazioni umane alle impressioni provenienti dall'esterno. E' abbastanza verisimile; tuttavia non escluderei che Alessandro avesse in mente anche la formu-lazione aristotelica di An. I l l 11, 434 a 7 a proposito della φαντασία βουλευτική (πότερον . . . πράξει τόδε ή τόδε). Ma precisamente questo passo aristotelico mostra comunque che, in qualsiasi modo sia nata in Alessandro l'idea di distin-guere i due tipi di deliberazione, essa non e sensata: perche Alessandro non si domanda mai come si ragionerebbe per decidere se fare una cosa ο non farla. Ap-pena posto il problema, e evidente che non sarebbe possibile rispondere in termini aristotelici se non indicando un criterio, e cioe un fine, in riferimento al quale com-piere la scelta - cosi infatti dice An. 434 a 8 άνάγκη ένι μετρεΐν (e cfr. Simplicio in An. 309,18-26). II nuovo tipo della deliberazione dovrebbe dunque apparire sem-plicemente come un caso particolare dello schema fondamentale di analisi condot-ta in vista del fine. Cfr. anche M. Nussbaum, op. cit. (sopra, nota 9) 263-264.

15 Correggo cosi e preciso la mia precedente discussione del concetto di τό έφ' ήμϊν in Tre studi cit. (sopra, nota 1) 175-177. Sharpies, op.cit. (sopra, nota 1) 22, attri-buisce ad Alessandro la difesa di una „unqualified, unrestricted possibility" nella scelta degli αντικείμενα. Data la cautela e la circospezione con cui, nei capitoli 26-29 del De fato, Alessandro discute il problema della possibilitä che il saggio faccia anche azioni non sagge ne virtuose (cfr. i miei Tre studi cit. sopra, nota 1, 179-184), credo che sia giusto fargli credito della consapevolezza che affermare l'assoluta libertä di fare cose anche assolutamente opposte non sarebbe stato ne aristotelico, ne ragionevole.

16 P. es. De fato 180,27. 181,5.13. 185,10. 189,10.

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Aristotelismo e indeterminismo in Alessandro di Afrodisia 85

tendere gli άντικείμενα, che nella deliberazione l'uomo avrebbe sempre la facolta di scegliere, semplicemente nel senso degli opposti secondo l'affermazione e la negazione (Cat. 10, l i b 23: e seduto -non e seduto). In tal caso egli affermerebbe che in ogni momento della deliberazione l'uomo ha la facolta di fare non l'opposto contra-rio (il male invece del bene, il che sarebbe evidentemente senz'altro assurdo), ma semplicemente una cosa che non e quella che poi fara: dunque fare non-X invece di X , eventualmente con la riserva ines-pressa che non-X puo essere ancora molto simile a X . Ma anche in-terpretando in questo modo benevolo la sua affermazione, essa resta sempre assai arrischiata e tale da configurare una concezione della deliberazione molto diversa da quella di Aristotele: non si puo infatti seriamente supporre che il medico di Metaph. Ζ si ritenga realmente libero, a ogni passo della sua analisi, di scegliere una cosa diversa da quella che farä. Anche se non e vero che Alessandro qui letteralmen-te pretende che il medico possa applicare la borsa del ghiaccio invece di praticare il massaggio, rimane pero vero che ci saranno, nell'esecu-zione della cura e ancora prima nell'analisi della deliberazione, alme-no alcuni passaggi obbligati, dove un solo mezzo, quel mezzo preci-samente, puo essere messo in opera se si vuole veramente ottenere quel certo fine. Questo sarä poi tanto piü vero che nel campo delle tecniche nella deliberazione dell'agente morale, poiche „in un solo modo si e buoni, in molti cattivi" (EN II 5, 1106 b 35). Sembra infatti caratteristica proprio delle situazioni piu delicate di responsabiiita morale l'estrema ristrettezza delle scelte possibili: quasi sempre, quando sono in discussione la salvezza del bene comune, ο dei nostri ideali, ο di una persona cara, ο della nostra dignita personale, ricono-sciamo facilmente che „non c'e che una cosa da fare" - cosi la con-tessina Natasa, fuggendo da Mosca, non aveva altro mezzo per sal-vare i soldati feriti se non fare loro posto sui suoi carri, scaricando e sacrificando le cose preziose della famiglia Rostov. Ε naturalmente Aristotele aveva benissimo presente la possibilita che il fine si conse-gua δι' ενός, mediante un solo passaggio obbligato (EN III 5, 1112b 17): ma, in modo tipico, questa possibilita e completamente ignorata da Alessandro. Atterrito dalla prospettiva di dover porre limitazioni alia libertä di scelta dell'agente, Alessandro ignora cosi del tutto la necessitä condizionale che lega le tappe della riflessione al fine volu-to e presenta la deliberazione come un'incessante ricerca fra alterna-tive imprecisate, che sarebbero pero sempre tutte ugualmente aperte

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86 PIERLUIGI D O N I N I

davanti all'agente. Questa non e una concezione aristotelica, e forse non e, dopo tutto, nemmeno molto sensata.

E' estremamente interessante, a questo punto, leggere il commen-to di Alessandro al testo della Metafisica (citato sopra) sulla necessi-tä ipotetica: le preoccupazioni indeterministiche tipiche di lui sono qui ben visibili, nonostante il rispetto che il commentatore deve alia lettera del testo aristotelico, secondo le regole del genere. Dopo aver riferito l'esempio di chi naviga fino a Egina per recuperare il credito, Alessandro aggiunge quattro parole, quattro parole soltanto, di cui non c'e owiamente traccia nel testo della Metafisica: ει άλλως μή δύναται, „se in altro modo non puo" (360,28 Hayduck). Queste pa-role non sono un tradimento del pensiero di Aristotele, certo, perche anche Aristotele avrebbe riconosciuto che navigare fino a Egina non era comodo e che sarebbe stato augurabile non doverlo fare (cfr. EN III 5, 1112 b 16). Ma a lui importava soprattutto sottolineare che tra il fine e il mezzo (quale che fosse quello deciso: navigare fino a Egi-na o, piu comodamente, andare sulla piazza del mercato) c'e un lega-me di necessitä; ad Alessandro preme invece far notare che quel che Aristotele ha purtroppo definito, in un senso, necessario e pur sem-pre risultato dalla scelta fra un ampio ventaglio di possibilitä. Non credo che queste siano sfumature: sono filosofie diversamente orien-tate. Alessandro ripensa costantemente l'aristotelismo attraverso il filtro della preoccupazione di esiti filosofici che Aristotele non cono-sceva e non paventava.

II confronto tra Alessandro e Aristotele e dunque particolarmen-te salutare anche quando si voglia discutere della posizione di Ari-stotele verso il determinismo17: e infatti molto utile osservare a quali operazioni e costretto un uomo forse non geniale, ma certamente acuto, quando vuole fare della filosofia aristotelica la base per una polemica generalizzata contro il determinismo. Tuttavia, fatto il con-fronto, sarebbe, io credo, incauto concluderne frettolosamente che Aristotele era piu determinista che indeterminista, ο comunque che era meno indeterminista di Alessandro; e invece piu ragionevole am-mettere che Aristotele non ebbe una posizione esattamente definita

17 Α questo problems e dedicato il recente volume di R. Sorabji (sopra, nota 10), in cui Aristotele e presentato decisamente come un indeterminista.

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Aristotelismo e indeterminismo in Alessandro di Afrodisia 87

nella questione precisamente perche non la conosceva ancora come tale in tutte le sue implicazioni, che erano al contrario anche troppo presenti al commentatore, erede di una disputa ormai secolare. Nella situazione in cui si trovava Alessandro, spunti anche assolutamente innocenti della filosofia aristotelica18 potevano diventare minacciosi e dovevano allora essere ο neutralizzati, ο cancellati.

Ma, finalmente, perche Alessandro fu a tal punto soggiogato dal-la preoccupazione di difendere l'autonomia e la libertä dell'azione umana? Perche il problema del determinismo ebbe tanto spazio nella sua riflessione? Una volta di piu credo che occorra ripetere che l'av-versione alio Stoicismo non sarebbe una spiegazione sufficiente, se e vero che lo stesso trattato De fato, benche sia interamente dedicato alia questione del determinismo, non nomina nemmeno una volta gli Stoici e non puo essere considerato semplicemente un trattato di po-lemica antistoica19. Forse un passo dell'opuscolo sul fato che si legge alia fine della Mantissa (o secondo libro De anima) puo suggerire una diversa spiegazione che, senza escludere affatto quel che sarebbe irragionevole escludere, che ci fossero cioe in Alessandro intenzioni polemiche verso lo Stoicismo, non risolve pero solo in queste intenzioni il senso della polemica alessandrista contro il deter-minismo.

Quasi al principio dell'opuscolo, dopo una brevissima rassegna delle opinioni correnti intorno al fato si legge (180,14-33) una sorta di invettiva contro quegli „stregoni" (γόητες άνθρωποι) che, appro-

18 Ε, a rigore, quasi tutta la filosofia di Aristotele e assolutamente innocente nella questione, se e vero che solo in minima parte (Int. 9; Metaph. Ε 3) fu pensata in consapevole opposizione a tesi di tipo deterministico.

" Come invece mold studiosi ritengono pacifico, ultima D.Frede, op.cit. (sopra, no-ta 1) 276 e 298 nota 38. Ma cfr. invece A.A.Long, Stoic Determinism and Alexan-der of Aphrodisias De fato (I-XIV), in: Archiv f. Gesch. der Philos. 52 (1970) 268 e le considerazioni da me svolte nel saggio Stoici e Megarici nel De fato di Ales-sandro di Afrodisia? in: Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, a cura di G. Giannantoni, Bologna 1977, 192-194. Mi pare che ci sia una strana incongruen-za nelle opinioni correnti intorno al De fato: da una parte si vuole che esso sia sta-to scritto per colpire un certo obiettivo (gli Stoici), che l'autore in realta nemmeno nomina; dall'altra si deplora che troppe volte le argomentazioni dello scritto siano formulate in modo non adeguato a colpire quel certo obiettivo, che l'autore non ha mai detto di essersi proposto.

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88 PIERLUIGI D O N I N I

fittando della debolezza e delle contraddizioni della gente comune, dichiarano che tutto awiene fatalmente e fanno mostra di possedere un'arte che permetterebbe loro di conoscere in anticipo e di predire tutti gli eventi futuri. Da una cosi mala arte (180,28) essi ricavano purtroppo non piccoli guadagni. E'evidente che non si tratta qui di-rettamente di filosofi: oggetto dell'invettiva sono gli indovini. Ma gli astrologi e certi filosofi devono essere coinvolti nell'accusa contro la mantica: a 180,22 si accenna oscuramente a degli „alleati" che gli in-dovini avrebbero in „coloro che sono anche i responsabili della loro arte"; questi alleati aiuterebbero appunto gli indovini a persuadere la gente che tutto awiene fatalmente. E'difficile capire a chi alluda qui l'autore dell'opuscolo se non si ammette che gli alleati degli indovini, responsabili della mala arte di costoro, siano appunto gli astrologi e i filosofi deterministi. Ora, se si pensa che l'autore dell'opuscolo sul fato sia Alessandro o, quanto meno, presenti abbastanza corretta-mente le opinioni di Alessandro, l'invettiva contro gli indovini con-tribuisce forse a chiarire l'origine della polemica indeterministica di Alessandro: suggerisce infatti che il determinismo filosofico apparis-se all'Esegeta come la versione colta e rispettabile dell'irrazionalismo e della superstizione popolare. Affermare la libertä e l'autonomia dell'uomo significava allora per Alessandro prima di tutto difendere la natura razionale dell'uomo e sforzarsi di mettere in luce i moventi razionali delle sue azioni; significava opporsi all'irrazionalismo che andava diffondendosi nella societa del tempo, e quindi anche ai tra-vestimenti filosofici e colti di tale irrazionalismo - prima di tutto il determinismo stoico, ma eventualmente anche ogni altra possibile forma di determinismo filosofico, sia che fosse stata effettivamente sostenuta, sia che si presentasse come astrattamente possibile alia ri-flessione, persino a partire dalle pagine dello stesso Aristotele20. Se e cosi, e anche evidente che il tentativo di Alessandro non fu isolato ne eccezionale nella sua eta: esso ha almeno un parallelo noto nella po-lemica del cinico Enomao contro il determinismo stoico e, insieme, contro gli indovini. Tra i filosofi del secondo e del terzo secolo c'era

20 Sembra importante ricordare che per di piu Aristotele era considerate un determi-nista da una linea di interpretazione rispecchiata nel De fato di Cicerone 17,39. E' del tutto verisimile che Alessandro avesse in mente e combattesse anche questa tra-dizione interpretativa.

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Aristotelismo e indeterminismo in Alessandro di Afrodisia 89

almeno qualcuno seriamente preoccupato di come stavano andando le cose del mondo21.

" Ringrazio Fernanda Decleva Caizzi per aver attirato la mia attenzione sul caso di Enomao, i cui testi si leggono in Eusebio di Cesarea, Praeparatio evangelica V 19-36. VI 7. - II fatto che ne il trattato, ne l'opuscolo sul fato attacchi esplicita-mente gli astrologi puo esse re spiegato con la prudenza di Alessandro: era forse pericoloso offendere l'imperatore Settimio Severo, dedicatario del trattato e noto-riamente seguace dell'astrologia (Dio Cass.77,11. 79,2; Hist.Aug., Sev.3,9. 4,3). Non credo che il testo dell'opuscolo 180,14-30 possa essere considerato solo blan-damente „scettico" verso la mantica alia stessa stregua degli altri citati da Sharpies, op.cit. (sopra, nota 1) 18 e ivi nota 116: e un testo fortemente polemico. Ε non ve-do come si possa escludere che sia implicitamente diretto anche contro gli astrolo-gi·

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