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ITALIANA L’Italia vista dalla moda 1971 — 2001 22.02 — 06.05.2018 Palazzo Reale, Milano Piazza Duomo 12 una mostra ideata e curata da Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi ITALIANA L’Italia vista dalla moda 1971-2001 A cura di Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi Milano, Palazzo Reale, 22 febbraio - 6 maggio 2018 ITALIANA. L’Italia vista dalla moda 1971-2001: una mostra promossa e pro- dotta da Comune di Milano - Cultura - Politiche del Lavoro, Attività pro- duttive, Moda e Design - Palazzo Reale e Camera Nazionale della Moda Italiana con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico e ICE Agenzia, grazie al main partner YOOX NET-A-PORTER GROUP e in collaborazione con Pomellato e La Rosa Mannequins. Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001 è un progetto in forma di mostra e libro, ideato e curato da Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, che intende celebrare, e raccontare, la moda italiana in un periodo seminale, evidenziando la progressiva messa a fuoco e l’affermazione del sistema italiano della moda nella grandiosa stagione del Made in Italy. Un periodo formidabile di creatività culturale che cementa relazioni e scambi tra gli esponenti di quelle generazio- ni italiane di artisti, architetti, designer e intellettuali che hanno impostato le rotte della presenza italiana nella cultura internazionale. La mostra intende anche celebrare l’importante anniversario dei sessant’anni di Camera Nazionale della Moda Italiana. La narrazione di Italiana procede per concetti e visioni in un sofisticato pae- saggio progettuale. Un immaginifico e rigoroso caleidoscopio creativo, in cui dialogano gli oggetti, gli stili e le atmosfere che definiscono la cultura italiana e gli attori, protagonisti e comprimari, che compongono l’affresco corale della moda italiana. Il gesto curatoriale è concepito come un’azione di sistema: costruire una mito- logia attraverso tutte quelle vicende che hanno visto protagonisti stilisti, indu- strie, città e distretti italiani in una ricchezza unica al mondo. Il 1971 simbolicamente marca la cesura dall’alta moda e l’inizio della stagione del prêt-à-porter italiano: non a caso è l’anno in cui Walter Albini sceglie Mila- no per la prima sfilata della linea che porterà la sua firma, la cosiddetta “col- lezione unitaria”. Ed è l’anno in cui in Italia nasce il movimento di liberazione della donna. Il 2001 è una data di chiusura emblematica: il passaggio fra due secoli, il mo- mento in cui la moda italiana cambia pelle e si trasforma in un fenomeno glo- bale ancora oggi poco studiato nelle sue forme di creazione, produzione e co- municazione. È anche l’anno in cui il sistema internazionale – già messo alla prova dalle mutazioni geopolitiche degli anni novanta – viene radicalmente e definitivamente messo in discussione dagli attentati dell’11 settembre. Nelle stanze di Palazzo Reale a Milano il percorso espositivo non procede in maniera cronologica, ma si articola in una costellazione di temi – Identità, Democrazia, In forma di logo, Diorama, Project Room, Bazar, Postpro- duzione, Glocal, L’Italia degli oggetti – seguendo una lettura critica che tiene insieme le diverse istanze della cultura e della moda nei 30 anni presi in considerazione. Sono nove stanze, una diversa dall’altra, in cui la teoria dei diversi svolgimenti intende restituire la moda italiana nelle sue ma- nifestazioni più significative e nelle sue qualità identificative, utilizzando una selezione di oggetti (moda, arte, design, fotografia, editoria) estremamente rappresentativi per fissare in modo iconico gli snodi del percorso. In mostra abbiamo artisti come Michelangelo Pistoletto, Maurizio Cattelan, Elisa- betta Benassi, Luciano Fabro, Francesco Vezzoli, Vanessa Beecroft, Luigi Ontani, Alighiero Boetti, Giulio Paolini, Ketty La Rocca, Gino De Dominicis che testimoniano la complessità creativa e sociale dell’arte italiana negli ultimi decenni del secolo e illuminano da una prospettiva inedita le quali- tà della moda italiana attraverso il loro sguardo e le loro pratiche; i disegnatori del gruppo Valvoline: Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Igort (Igor Tuveri), Una mostra Ufficio stampa mostra Ufficio stampa Comune di Milano Con il supporto di Main partner Progetto in collaborazione con Manichini Organizzazione e catalogo Karla Otto Paola Giannini [email protected] T. +39 02 65569826 Marsilio Valeria Regazzoni [email protected] T. +39 348 3902070 Camera Nazionale della Moda Italiana Beatrice Rossaro [email protected] T. +39 02 77710828 Elena Conenna [email protected] palazzorealemilano.it italiana.cameramoda.it #italianaexhibition

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ITALIANAL’Italia vista dalla moda 1971 — 2001

22.02 — 06.05.2018Palazzo Reale, MilanoPiazza Duomo 12

una mostra ideata e curata da

Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi

ITALIANA

L’Italia vista dalla moda 1971-2001

A cura di Maria Luisa Frisa e Stefano TonchiMilano, Palazzo Reale, 22 febbraio - 6 maggio 2018

ITALIANA. L’Italia vista dalla moda 1971-2001: una mostra promossa e pro-dotta da Comune di Milano - Cultura - Politiche del Lavoro, Attività pro-

duttive, Moda e Design - Palazzo Reale e Camera Nazionale della Moda

Italiana con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico e

ICE Agenzia , grazie al main partner YOOX NET-A-PORTER GROUP e in collaborazione con Pomellato e La Rosa Mannequins.

Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001 è un progetto in forma di mostra

e libro, ideato e curato da Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, che intende celebrare, e raccontare, la moda italiana in un periodo seminale, evidenziando la progressiva messa a fuoco e l’affermazione del sistema italiano della moda nella grandiosa stagione del Made in Italy. Un periodo formidabile di creatività culturale che cementa relazioni e scambi tra gli esponenti di quelle generazio-ni italiane di artisti, architetti, designer e intellettuali che hanno impostato le rotte della presenza italiana nella cultura internazionale. La mostra intende anche celebrare l’importante anniversario dei sessant’anni di Camera Nazionale della Moda Italiana.La narrazione di Italiana procede per concetti e visioni in un sofisticato pae-saggio progettuale. Un immaginifico e rigoroso caleidoscopio creativo, in cui dialogano gli oggetti, gli stili e le atmosfere che definiscono la cultura italiana e gli attori, protagonisti e comprimari, che compongono l’affresco corale della moda italiana.

Il gesto curatoriale è concepito come un’azione di sistema: costruire una mito-logia attraverso tutte quelle vicende che hanno visto protagonisti stilisti, indu-strie, città e distretti italiani in una ricchezza unica al mondo.Il 1971 simbolicamente marca la cesura dall’alta moda e l’inizio della stagione del prêt-à-porter italiano: non a caso è l’anno in cui Walter Albini sceglie Mila-no per la prima sfilata della linea che porterà la sua firma, la cosiddetta “col-lezione unitaria”. Ed è l’anno in cui in Italia nasce il movimento di liberazione della donna. Il 2001 è una data di chiusura emblematica: il passaggio fra due secoli, il mo-mento in cui la moda italiana cambia pelle e si trasforma in un fenomeno glo-bale ancora oggi poco studiato nelle sue forme di creazione, produzione e co-municazione. È anche l’anno in cui il sistema internazionale – già messo alla prova dalle mutazioni geopolitiche degli anni novanta – viene radicalmente e definitivamente messo in discussione dagli attentati dell’11 settembre.

Nelle stanze di Palazzo Reale a Milano il percorso espositivo non procede in maniera cronologica, ma si articola in una costellazione di temi – Identità,

Democrazia, In forma di logo, Diorama, Project Room, Bazar, Postpro-

duzione, Glocal, L’Italia degli oggetti – seguendo una lettura critica che

tiene insieme le diverse istanze della cultura e della moda nei 30 anni

presi in considerazione. Sono nove stanze, una diversa dall’altra, in cui la teoria dei diversi svolgimenti intende restituire la moda italiana nelle sue ma-nifestazioni più significative e nelle sue qualità identificative, utilizzando una selezione di oggetti (moda, arte, design, fotografia, editoria) estremamente rappresentativi per fissare in modo iconico gli snodi del percorso. In mostra abbiamo artisti come Michelangelo Pistoletto, Maurizio Cattelan, Elisa-

betta Benassi, Luciano Fabro, Francesco Vezzoli, Vanessa Beecroft,

Luigi Ontani, Alighiero Boetti, Giulio Paolini, Ketty La Rocca, Gino De

Dominicis che testimoniano la complessità creativa e sociale dell’arte italiana negli ultimi decenni del secolo e illuminano da una prospettiva inedita le quali-tà della moda italiana attraverso il loro sguardo e le loro pratiche; i disegnatori del gruppo Valvoline: Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Igort (Igor Tuveri),

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ITALIANAL’Italia vista dalla moda 1971 — 2001

22.02 — 06.05.2018Palazzo Reale, MilanoPiazza Duomo 12

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Marcello Jori, Jerry Kramsky e Lorenzo Mattotti; così come i fotografi Gian Paolo Barbieri, Alfa Castaldi, Aldo Fallai, Fabrizio Ferri, Giovanni Gastel, Paolo Roversi, Oliviero Toscani, per citarne alcuni, che con le loro immagini testimoniano la forza e la capacità sperimentale e visionaria che hanno carat-terizzato la fotografia italiana di moda di quegli anni. Un volume realizzato da Marsilio sarà straordinario complemento alla mostra, capace di approfondire in altre direzioni il percorso espositivo con una serie di testi inediti, una antologia riassuntiva della letteratura sulla moda di quegli anni, e immagini tratte dalle più importanti riviste del periodo.

Italiana si configura così come un viaggio che racconta la moda italiana, attra- verso una molteplicità di sguardi come un fenomeno policentrico capace di rapportarsi con saperi e intelligenze anche molto diversi.Tra i nomi in mostra: Alberta Ferretti, Allegri, Antonio Marras, Archizoom, Aspesi, Basile, Benetton, Best Company, Biancaeblu, Blumarine, Bottega Veneta, Bruno Magli, C.P. Company, Closed, Diesel, Emporio Armani, Etro, Cadette, Callaghan, Calugi e Giannelli, Carpe Diem, Cesare Fabbri, Cerruti, Cinzia Ruggeri, Complice, Costume National, Dolce & Gabbana, Enrica Massei, Enrico Coveri, Fay, Fendi, Ferragamo, Fila, Fiorucci, Franco Moschino, Fratelli Rossetti, Fuzzi, Genny, Gian Marco Venturi, Gianfranco Ferré, Giorgio Armani, Gucci, Hogan, Iceberg, Krizia, La Perla, Laura Biagiotti, Luciano Sopra-ni, Mario Valentino, Marni, Max Mara, Missoni, MiuMiu, Moncler, Naj-Oleari, Nanni Strada, Pomellato, Pour Toi, Prada, Roberto Cavalli, Romeo Gigli, Sergio Rossi, Sergio Tacchini, Sharra Pagano, Stone Island, Tod’s, Trussardi, Valentino, Versace, Walter Albini, Zegna.

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22.02 — 06.05.2018Palazzo Reale, MilanoPiazza Duomo 12

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ITALIANA

L’Italia vista dalla moda 1971-2001

Milano, Palazzo Reale

Apertura al pubblico: 22 febbraio - 6 maggio 2018, secondo gli orari e i giorni di apertura di Palazzo Realelunedì: 14.30-19.30martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30giovedì e sabato: 9.30-22.30 (il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura)

Ingresso: € 5I ricavi della biglietteria della mostra saranno devoluti a CNMI Fashion Trust.

CuratoriMaria Luisa Frisa, critico e curatore, è professore ordinario all’Università IUAV di Venezia, dove dirige il corso di laurea in Design della moda e Arti mul-timediali. Tra i suoi libri: Le forme della moda (Il Mulino, 2015).

Stefano Tonchi è direttore di W Magazine dal 2010. In precedenza è stato direttore di T: The New York Times Style Magazine, creative director di Esquire e Self Magazine, fashion editor di L’Uomo Vogue.

Insieme hanno curato mostre come Uniforme. Ordine e disordine (2001), Excess. Moda e underground negli anni ’80 (2004), Human Game. Vincitori e vinti (2006), Bellissima. L’Italia dell’alta moda 1945-1968 (2014-2016).

Curatore associatoGabriele Monti è ricercatore all’Università IUAV di Venezia. Si occupa di moda e cultura visuale, fashion curating, teorie del fashion design. Ha pubblicato il libro In posa. Modelle italiane dagli anni cinquanta a oggi (Marsilio, 2016).

Progetto di allestimento e direzione artistica

Annabelle SelldorfSELLDORF ARCHITECTS

con Baschera Brigolin MocchiDesign Studio

Servizi di progettazione grafica

bruno – Andrea Codoloe Giacomo Covacich

Regia, produzione e catalogo

Marsilio

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22.02 — 06.05.2018Palazzo Reale, MilanoPiazza Duomo 12

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La Bellezza Utile

Maria Luisa FrisaStefano Tonchi

Interpretare è impoverire, svuotare il mondo, per instaurare un mondo spettrale di «significati». È trasformare il mondo in questo mondo («Questo mondo». Come se ce ne fossero altri.). Questo mondo, il nostro mondo è già fin troppo svuotato e im-poverito. Basta con i duplicati, fin quando non torneremo a fare un’esperienza più immediata di ciò che abbiamo.Susan Sontag, Contro l’interpretazione, 1966

Non è nella foga, né nella giocata forzata. È nella classe della sobrietà, della bellezza utile. Si fa una cosa perché serve, non per prendere l’applauso.Beppe Di Corrado a proposito di Andrea Pirlo, 20171

Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001 è un progetto in forma di mostra – accompagnata da un libro a integrazione e commento – che già dal titolo è una dichiarazione di intenti. Italiana è un aggettivo che diventa sostantivo per evidenziare il complesso insieme di tratti, stili e atmosfere che definiscono la cultura italiana nelle sue forme e nelle sue espressioni. Lo affianca un sotto-titolo che evoca La Terra vista dalla luna, favola acida firmata da Pier Paolo Pasolini all’interno del film a episodi Le streghe (1967), per dichiarare che la moda è il punto di vista privilegiato dalla narrazione e per evidenziare con-temporaneamente la necessità di una visione alternativa, capace di svilup-pare una nuova direzione critica, fuori dagli stereotipi o dai vecchi contenitori. Come la retorica dell’etichetta «made in Italy», a cui costantemente si ricorre senza realmente interrogarsi su quale significato possa avere oggi, quando è lo stesso storytelling a dover essere aggiornato2: per adeguarsi alle diver-se forme produttive ma anche per rispondere a commenti e critiche derivanti spesso da una conoscenza parziale della storia della moda italiana, ma alla cui origine è soprattutto l’aver sottovaluto il valore di azioni culturali da com-piere livello politico per costruire la mitologia della nostra moda3.

L’ho chiamata «De Italia» perché mi parve che si svolgesse come argomento.Luciano Fabro, Vademecum, 1981

Il libro è un documento precario e contingente e vive d’azzardo in una situazione artistico-sociale aleatoria.Germano Celant, Precronistoria 1966-1969, 2017

È per noi fondamentale esplicitare subito una consapevolezza. Quella di aver agito assumendo la postura della militanza – che forse oggi può far sorridere – per affrontare un progetto che intende restituire l’immagine dell’Italia attra-verso la moda in un periodo lunghissimo, trent’anni cruciali perché sono sta-ti teatro del manifestarsi dei processi di messa in discussione degli equilibri globali faticosamente acquisiti nel secondo dopoguerra. La postura attivista è derivata dal desiderio di far parlare la nostra moda, la moda italiana, di darla come argomento, per raccontarla senza intenti necessariamente agiografici, ma soprattutto per affermare una volta per tutte la sua identità e la sua im-portanza nel panorama internazionale. E per chiarire quanto il sistema moda italiano sia una lente privilegiata per far comprendere i tratti distintivi della cul-tura del nostro paese.Siamo perfettamente consapevoli che i presupposti di questo progetto sono mol-to ambiziosi (per esempio volendo restituire nella mostra e nel libro la polifonia di attori che hanno animato l’intero sistema) e come sia estremamente difficile darvi seguito. Ma se questo avviene è proprio perché l’Italia ha scelto nel tempo di non assegnare alla moda quel ruolo culturale che oggi ci permetterebbe di dialogare alla pari con i grandi musei e le importanti istituzioni che all’estero si oc-

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cupano di moda4. Alcuni musei piccoli – nessuno che abbia il termine nazionale nel suo nome e che come mission dichiari la tutela e la promozione della moda italiana – dispersi sul territorio, quasi mai in dialogo fra loro5; troppe associazioni di categoria spesso non in relazione reciproca; una moltitudine di collezionisti privati che fortunatamente hanno deciso di trattare i propri guardaroba come archivi ma che non ricevono alcun riconoscimento istituzionale; pochissime uni-versità che hanno deciso di trattare la moda come disciplina rigorosa e seria da trasmettere anche nella dimensione laboratoriale e che prima ancora di essere insegnata andrebbe definita da un Ministero dell’università e della ricerca sordo a tutte le sollecitazioni6.Lo scenario italiano è attraversato da una costituzionale mancanza di politica culturale nei confronti della moda, che non è stata utilizzata in modo esplicito come strumento identitario, anche se economicamente ha rappresentato e rap-presenta tuttora uno dei nostri punti di forza. In un panorama sempre più globa-lizzato è necessario riattivare la silente e poco conosciuta narrativa della nostra moda, introdurre nel sistema museale i dipartimenti di moda e inserire specialisti in museologia della moda. Perché ormai sono contenuti e valori peculiari a fare la differenza. Certo si tratta di processi complessi. Ci vuole tempo. Ma bisogna pur cominciare, o riprendere le fila. Venti anni fa si tenne la prima Biennale di Firenze, Il tempo e la moda (settembre 1996 - gennaio 1997), a cura di Germano Celant, Luigi Settembrini e Ingrid Sischy e con Franca Sozzani tra gli artefici. Una sorta di festival composto da una serie di mostre che riattivavano la mappa della città. Per Settembrini l’obiettivo era «quello di esplorare e raccontare le contiguità, le affinità, le influenze reciproche, il rapporto creativo tra l’universo della moda e le arti visive, il design, l’architettura, il cinema, la fotografia, la musica, il costume e la comunicazione del nostro tempo, nella convinzione che la moda sia una delle espressioni più popolari e significative della cultura di massa ma anche una del-le più sottovalutate nelle sue valenze complesse e innovative dell’universo della sensibilità comune».Pare che in Italia la riflessione istituzionale e culturale abbia rimosso queste pa-role, insieme a tutto il resto. Infatti la mancanza di una politica statale sulla moda e le sue culture ha determinato la dispersione – prevalentemente all’estero, in musei come il Victoria and Albert di Londra, quando non attraverso le aste, sem-pre sulla piazza di Londra – di uno straordinario patrimonio di manufatti prodotti dalle costellazioni di autori e aziende che hanno dato forma al grande sogno della moda italiana: questa perdita è sicuramente una delle sconfitte più cocen-ti, e con le sue conseguenze abbiamo dovuto fare i conti durante la nostra stes-sa ricerca. Affrontare questo progetto per noi ha significato quindi rispondere prima di tutto all’urgenza di riconoscere e definire, anche solo parzialmente, la moda italiana nei trent’anni in cui si è imposta internazionalmente; ma soprat-tutto ha significato compiere la scelta consapevole, e forse simultaneamente incosciente, di osare un’azione fortemente radicata nel presente ma che possa diventare un manifesto per il futuro. Perché, se ci siamo dati il compito di indivi-duare dei tratti definitori della moda italiana di quel trentennio, allo stesso tempo abbiamo provato a raccontarla nel modo più articolato e polifonico possibile, in relazione e confronto anche con il design e l’arte, così da poter ripristinare quel territorio comune di dialogo in cui la moda da sempre agisce in risposta alle sollecitazioni più diverse.

Ogni concezione della storia è sempre data insieme con una certa esperienza del tempo che è implicita in essa, che la condiziona e che si tratta, appunto, di portare alla luce.Giorgio Agamben, Infanzia e storia, 2001

Un periodo vissuto, sperimentato, in cui l’autobiografia si mescola con le vi-cende del tempo. Così ci siamo guardati, abbiamo riconsiderato la moda che abbiamo comprato e vissuto. La moda che è stata per noi anzitutto un inte-resse, un luogo da frequentare perché era lì che succedevano le cose, con

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la consapevolezza che offriva un osservatorio privilegiato per impostare una riflessione sulla contemporaneità, e che è infine diventata anche un lavoro.Il 1971 marca simbolicamente la cesura dall’alta moda e l’inizio della stagio-ne del prêt-à-porter italiano: non a caso è l’anno in cui Walter Albini sceglie Milano per la prima sfilata della linea che porta la sua firma, la cosiddetta col-lezione unitaria. Ed è l’anno in cui in Italia nasce il movimento di liberazione della donna. Il 2001 è una data di chiusura emblematica (l’anno dopo entrerà in circolazione l’euro, che ha debuttato sul mercato finanziario nel 1999): il passaggio fra i due secoli è il momento in cui la moda italiana cambia pelle e si trasforma in un fenomeno globale ancora oggi poco studiato nelle sue forme di creazione e produzione. È anche l’anno in cui il sistema internazio-nale – già sconquassato dalle mutazioni geopolitiche degli anni novanta – vie-ne radicalmente e definitivamente messo in discussione dagli attentati dell’11 settembre7.La rete della moda contemporanea è un intricato sistema costituito da direzio-ni diverse, che collassano sempre e comunque in quel decennio controverso e vitalissimo che sono stati i «duri, cinici, creativi, eleganti, caotici “anniot-tanta”»8. Preceduti da quello che viene definito «il decennio lungo del secolo breve», con tutte le utopie che lo hanno attraversato e di cui la moda è stata interprete e complice – il decennio che giustamente Marco Belpoliti, Gianni Canova, Stefano Chiodi, nel loro progetto dedicato agli anni settanta, fanno cominciare dalla scoperta della luna9, perché spesso bisogna andare su un altro mondo per scoprire il proprio. E seguiti da quegli anni novanta che hanno soffocato gli eccessi del decennio precedente e lo hanno trainato verso un mondo dove macrotendenze globali e resistenze localiste si sono inevitabil-mente intrecciate. La nostra moda esce dai confini del paese, e se rimane italiana accade perché cerca di mantenere la posizione guadagnata nei de-cenni precedenti, enfatizzando quelli che considera gli elementi di forza mes-si a punto: la qualità produttiva, la capacità di inventarsi comunicativamente, la velocità con cui sa cambiare pelle e riconfigurarsi, mescolandosi in modo disinibito ai fenomeni culturali che emergono. Ma il desiderio, o la necessità vera (o presunta) di essere internazionali spesso ha coinciso con la rinuncia alla propria lingua, abdicando alla responsabilità di promuovere una nuova generazione di autori, dai designer agli stylist, ai fotografi, che sono scompar-si dai radar internazionali. Mentre in altri paesi si affrontava la sfida dell’inter-nazionalizzazione, cercando di evidenziare i propri tratti distintivi con azioni politiche di sistema. Così, Italiana corrisponde a una sorta di utopia distopica. Quella di riuscire a dare forma e valore – attraverso fatti, sogni, visioni, autori, primedonne, com-primari, creatori, passanti occasionali – a una narrativa della moda italiana in quei trenta anni seminali che l’hanno vista definirsi in rapporto simbiotico con la storia sociale, politica e culturale del nostro paese e diventare protagonista a livello internazionale. In un attraversamento che procede per concetti e visioni, la narrazione di Italiana vuole rendere presenti in modo simultaneo le vicende di tutti quegli attori che, a diverso titolo, compongono l’affresco corale della moda italiana. Un viaggio che i curatori hanno compiuto quasi in solitaria, per non farsi distrar-re, ma in relazione con una compagine di studiosi, giornalisti, scrittori, ricer-catori che hanno contribuito con la stesura dei molti testi che in formati diversi compongono il libro – un gruppo di lavoro caratterizzato da punti di vista a volte contrapposti, ma guidato dal desidero e dalla volontà di arrivare a risultati con-divisi. Il viaggio non è la scampagnata, la spedizione o altro: è una esperienza di lettura e di decifrazione in cui quello che di nuovo si scopre interagisce con le memorie che ci accompagnano o sconquassa le idee preconcette che abbia-mo.Questo viaggio, come ogni viaggio, non tocca tutti i luoghi della mappa. È una geografia mentale articolata in quella dimensione erratica e rabdomantica ori-ginata da una ricerca aperta, quasi incerta, che risponde alle sollecitazioni del tempo sempre presente della moda. Una ricerca in cui sono l’indizio, la trac-cia, la scoperta, l’inciampo, la direzione sbagliata a dettare il passo succes-

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sivo, orientato dal desiderio di capire. Di andare alle origini del successo di quell’Ital ian look che Silvia Giacomoni ben analizzò nel suo libro L’Italia della

moda, dopo aver precisato: «Ma gli stampati di Pucci e le scarpe di Gucci non facevano un look italiano. Erano solo accessori Made in Italy, piccoli preziosi distintivi, ricordo, nostalgia o speranza di un viaggio meraviglioso, di quelli che il cinema americano andava raccontando al mondo: storie di uomini e donne per una stagione rapiti nell’incredibile clima romano, complici giovani fin de race o intraprendenti latin lovers», mentre «l’italian look è un’altra cosa. Il suo successo significa che ci sono persone che nel mondo decidono un acquisto importante in base all’immagine globale che vogliono dare di sé: la cosa è tan-to più difficile da capire in quanto l’italian look non si sedimenta in alcune forme e funzioni precise e stabili nel tempo, come i jeans americani, il blazer inglese, il loden austriaco. L’italian look è proteiforme. Si indirizza a strati diversi di mer-cato, tocca in successione tutti i settori dell’abbigliamento. Ogni anno muta. Deve il suo successo a una immagine dell’Italia che appare spesso a noi italiani inafferrabile e bizzarra»10.Questo viaggio nella moda italiana attraverso tre decadi non è una cronologia per fatti e autori, ma è la restituzione di un percorso attraverso alcuni temi che sono capaci di riassumere e spiegare i tratti comuni e che ci hanno condotto a ricollegarci idealmente alle Categorie italiane del titolo di un libro di Gior-gio Agamben. Nell’avvertenza alla riedizione del 2010 Agamben scrive che si proponeva «di cogliere le strutture portanti della cultura letteraria italiana», aggiungendo che «inedita è, invece, rispetto al progetto iniziale la preoccu-pazione, avvertita oggi anche dalla critica più giovane, di ridisegnare le map-pe tradite della poesia del Novecento»11. E proprio un «ridisegnare le mappe tradite» è stata la bussola che ha orientato il nostro viaggio. Per raggiungere quel territorio in cui tradizione e rivoluzione non sono più poli opposti, ma due elementi in gioco nello stesso terreno di indagine, sul quale si svolgono quei topos narrativi che diventano parte di un pellegrinaggio, generato dalla presa di coscienza di essere calati in una attualità priva di memoria.È necessario allora dissodare il passato, per ricostruirne sia i successi che i fallimenti12 e le occasioni mancate, per avere il coraggio di superare i vecchi paradigmi della moda italiana, consapevoli della necessità di una nuova atti-tudine – o forse sarebbe meglio dire di una nuova interpretazione dell’identità italiana in relazione alla creatività, al business, alla cultura e alla comunicazio-ne nella mappa delle traiettorie internazionali della moda. Per dare risposta alle radicali trasformazioni che il sistema ha subito globalmente negli ultimi anni. Tra queste va sicuramente valutata, soprattutto in prospettiva, la vendita di molti dei più importanti brand italiani ai grandi gruppi del lusso come Kering o LVMH o a gruppi di investitori stranieri. Se da una parte questi passaggi di proprietà in molti casi sono parsi inevitabili per continuare a far vivere il mar-chio e quindi anche per conservare posti di lavoro, dall’altra sono azioni che richiedono un bilanciamento con progetti culturali e politici a livello di sistema per ribadire all’interno dei nuovi equilibri la personalità e i tratti distintivi della moda italiana. È stata una successione di scelte a comporre il nostro percorso critico – at-traverso la rimessa in discussione e ricomposizione di una storia non ancora metabolizzata, in cui ogni manufatto importante costringe a una rivalutazione di tutti quelli che l’hanno preceduto – e a suggerire dei temi/titoli che orga-nizzano materiali ancora incandescenti, tenendo insieme, tra visioni e prag-matismi, quelle qualità e quei difetti, a seconda del punto di vista, che impa-stano il ritratto in chiaroscuro della moda italiana. Materiali che nella mostra a palazzo Reale sono organizzati chiaramente nella sequenza delle stanze, mentre nell’atlante iconografico che occupa una parte importante in questo libro, animandolo, si dispongono in una sorta di moodboard, un crogiolo ca-pace di fondere e rigenerare le forme, agendo per analogie e contrasti. Iden-tità, Democrazia, In forma di logo, Diorama, Project Room, Bazar, Postprodu-zione, Glocal, L’Italia degli oggetti: questi temi si dispongono come una sorta di inventario aperto, con ponti di passaggio moltiplicabili in diverse direzioni, perché, se queste aree concettuali da noi isolate sono condivise con la storia

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della moda di altri paesi che hanno, per tradizione, una consapevolezza più antica della nostra, è nella ricerca degli autori italiani che queste definizioni operano uno strappo linguistico con tutto il resto e trovano una visione pro-gettuale capace di intercettare e dare risposta alle esigenze della società. Ed è su tre di queste aree concettuali che ci concentriamo, perché le intendiamo come punti di snodo fondamentali per caratterizzare il periodo 1971-2001 e per restituire un’immagine fluida dell’evoluzione della moda italiana e della messa a punto delle sue caratteristiche.

La mia non è una donna in maniera maschile. È semplicemente una donna che ha adottato le formule intelligenti e funzionali del vestire maschile non perché vuole sembrare un uomo, ma perché alle otto del mattino, con un’ora di tempo per vestirsi e lavarsi è bello sapere che con una giacca, una camicia e un pantalone il problema è risolto.Giorgio Armani, 1980

Se non si affronta il problema dell’omosessualità, e del suo eterno giocare a na-scondino coi travestimenti, non si capisce cosa è stata, finora, la moda, e il suo porsi sotto l’ala protettrice della creatività per non ammettere la sua fondamentale natura sessuale.Silvia Giacomoni, L’Italia della moda, 1984

L’immagine manifesto di Italiana è una fotografia di Oliviero Toscani tratta dal servizio Unilook. Lui e lei alla stessa maniera, pubblicato in «L’uomo Vogue» di dicembre-gennaio 1971-1972. Lo scatto in b/n è il racconto, in sequenza con le altre foto del servizio, di come la moda possa essere impronta della società. Quella coppia, lui e lei con i capelli lunghi, lui e lei in doppio petto grigio, quasi della stessa altezza (anche grazie ai tacchi di lei), che si tiene per mano e guarda diritto l’obbiettivo, non racconta di una donna che rifiuta la sua femminilità e imita l’uomo. O di un uomo effeminato. Racconta delle grandi conquiste femministe, delle utopie di uguaglianza e libertà portate avanti dalle generazioni del dopoguerra, di una diversa consapevolezza maschile rispetto agli stereotipi di genere, dei cambiamenti in atto nel rapporto tra uomo e don-na. Di una volontà di cancellare tutte le differenze. Ed è Giorgio Armani che, in contiguità con i cambiamenti sociali e politici, si allontana sempre più dal travestimento della donna da uomo e si avvia verso la precisazione di elementi maschili e femminili nella moda per entrambi i sessi.Il «sesso radicale» di Giorgio Armani – nella definizione di Giusi Ferré13 – è sicu-ramente uno degli snodi più potenti nella costruzione della narrativa della moda italiana. Potente perché nasce da una precisa realtà sociale. Da una precisa urgenza: accentuare le qualità forti nella donna, che fanno da complemento al coraggio della sensualità e della tenerezza nell’uomo. Se Walter Albini, il grande incompreso apripista, guardava alla garçonne anni venti, alle fisicità androgi-ne di quel periodo a lui congeniale, Armani marca il cambiamento. Maschile e femminile non sono solamente generi che identificano due fisicità e mentalità diverse, ma si intendono come attitudini al vestire che non concepiscono più la divisione tra i sessi e le differenze, ma mescolano le caratteristiche di entrambi: il risultato è un nuovo a-sex che, lungi dall’essere basico, combina caratteri op-posti e veste un corpo che culturalmente perde gli attributi del genere stesso.Con chiarezza, incisività, controllo visivo, la moda italiana – nella dimensione eti-ca, rigorosa, in cui è inscritta la messa a punto progettuale – innerva le azioni di molti protagonisti, interpretando le nuove necessità. Cambia le silhouette, studia nuove proporzioni, che diventano sintassi condivisa capace di articolare nuove narrative. La dissoluzione delle distinzioni non è legata a un solo momento, a un solo autore, è parte integrante di uno dei percorsi della moda italiana, che con una serie di immagini dialettiche incontra l’adesso e forma una costellazione in movimento.Il tema dell’identità rivela però anche una donna che afferma con orgoglio la propria femminilità, fino a esasperarne volontariamente i tratti. Consapevo-lezza e passione. Piacere nell’avere finalmente la possibilità di consumare il

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desiderio alla pari dell’uomo. Mentre l’uomo moda è una precisazione rivo-luzionaria prima di tutto italiana, la cui codifica parte proprio dal considerare l’abito maschile non come uniforme della rinuncia al piacere dell’apparire ma come manifesto indossabile di una nuova definizione di virilità. È «L’uomo Vo-gue» della Condé Nast – che nel 1967 affianca «Vogue Italia» ed è la prima rivista «moda» per l’uomo che riesce a imporsi internazionalmente in modo stabile – a rompere definitivamente i vecchi schemi e a proporre con enorme successo l’immagine di un uomo che segue la moda e la usa senza pregiudizi.

Finalmente il cielo è caduto sulla terra: la rivoluzione14.

Abbiamo tutti una gran voglia di volerci bene e di dircelo in continuazione, abbiamo una gran voglia di guardarci l’un l’altro nudi o vestiti non importa, ma sempre padroni di noi e dell’erba e delle nuvole e del nostro spazio mentale.Ogni gesto (coprirsi, scoprirsi, scambiare, dare, ricevere) diviene naturalmente un gesto d’amore: questo è l’unico oggetto della Moda che vi diciamo: voi stessi e le vostre relazioni con gli altri.Superstudio, Superstudio à la mode, 1972

La moda italiana è democratica, luogo di una riflessione esplicita e consapevo-le sul «vestire bene» alla portata di tutti. La confezione industriale, attraverso il contributo di quella figura tutta italiana che è lo stilista, termine intraducibile15, diventa rapidamente, sin dalla fine degli anni sessanta, ambito privilegiato per la produzione e la diffusione di abiti di qualità (nei materiali e nella fattura) destinati alla distribuzione su larga scala. È in questo momento che «vestirsi italiano» di-venta sinonimo – internazionalmente – di sapersi vestire con un certo buon gu-sto. L’industria si evolve e si potenzia, si appropria a modo suo della tradizione sartoriale, trasformandola in un patrimonio comune e condiviso, alla portata di tutti (è un fenomeno al quale è applicabile il concetto di avanguardia di massa, ideato dal critico d’arte Maurizio Calvesi per definire l’unione tra sperimentazio-ne avanguardista e dimensione sociale massificata). Lo stilismo viene coltivato in situazioni industriali sensibili al gesto innovatore e alle sperimentazioni: Za-masport, Genny, Gibò, Miroglio, GFT rappresentano i luoghi di una produzione colta, dove figure come Walter Albini, Gianni Versace, Romeo Gigli, Giorgio Ar-mani, Gianfranco Ferré, Dolce e Gabbana non solo trovano spazio per concre-tizzare il proprio progetto, ma vengono coinvolte, attraverso marchi aziendali creati ad hoc, in progetti di innovazione e sperimentazione che restituiscono un’immagine – assolutamente inaspettata – della produzione industriale come ambito della libertà immaginativa. Emblematico il marchio Callaghan di Zama-sport, che vede susseguirsi Albini, Versace, Gigli alla guida dello stile. O anco-ra Complice, marchio di Genny, che nasce proprio per esprimere la complicità fra produttore e stilista, in questo caso Donatella Girombelli e, all’inizio, Gianni Versace (ma poi anche Claude Montana, segno questo del ruolo centrale che la produzione italiana illuminata gioca nella promozione e nel sostegno della creatività estera)16.Per spiegare meglio cos’è il design della moda in Italia e la sua portata epoca-le usiamo le parole del critico Francesco Manacorda, che a proposito dell’arte italiana e del design scrive: «[...] le opere più sorprendenti in Italia sembrano essere quelle che, partendo da un lato della dicotomia, tendono verso l’altro lato. Il design di produzione industriale è il luogo dove la forma è libera dal peso espressivo, proiettata verso la futura applicazione dell’artefatto. Gli oggetti uti-lizzabili assumono aspetti formali nella loro espressione più pura, in particolare dopo la rivoluzione modernista, spesso contro l’ornamento e dominata dalla funzione. Tale separazione delle forme del design e dell’arte sembra essere un invalicabile confine di competenze disciplinari e quasi ontologiche nel sistema degli oggetti codificato dalla nostra cultura. Ma proprio nell’invasione clandesti-na dei territori di competenza l’oggetto culturale italiano arriva alla sua formula-zione più innovativa»17.«In quindici giorni ad aprile abbiamo venduto 700 camicie militari, le tute

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mimetiche sono esaurite, le sahariane grigio-verdi sono agli sgoccioli. Le ri-chieste sono sempre tantissime», riporta Pia Borghini dal negozio Fiorucci su «Panorama» nel 1971. È Fiorucci, il grande visionario e utopista, a intercettare quel desiderio di moda e di continuo cambiamento che devono essere alla portata di tutti. Fiorucci adegua la moda al mondo. Nei suoi negozi, che da Milano arrivano fino a New York e Los Angeles, è possibile trovare una moda impastata di novità e trasgressione, di curiosità e trasformismo, fatta di oggetti selezionati in giro per il mondo o pensati in seguito a una sollecitazione del momento. Un cortocircuito di ironia, comunicazione, pornosoft. Che si con-fronta anche con le esperienze più radicali del dressing design tutto italiano: il progetto Vestirsi è facile di Archizoom Associati – che intreccia la cultura del corpo più disinibita, espressione massima degli anni settanta, con la ricer-ca di una semplificazione nelle procedure di progettazione dell’abito – viene promosso e finanziato da Fiorucci, così pronto a dissacrare e decostruire le ossessioni della moda, proprio per ribadirne l’importanza.

Una falsa parete divide una stanza in due / proponendo due differenti / motivi di attenzione // Si chiede di frequentare / solo una delle due parti // Colmare la visione mancata / attraverso il racconto di altri / oppure / restare con l’esperienza / incom-pletaEva Marisaldi, Ragazza materiale, 1993

I gesti evocati sono quelli del campionare, del riattivare, del ricombinare in modi inediti – fra l’aggressività del cattivo gusto e la smaterializzazione mi-nimale tipica degli anni novanta. Questo modo disinibito di intendere il gesto creativo, fra appropriazione, citazione e postproduzione, si esprime attraverso abiti e oggetti che richiamano atmosfere di un altrove esotico che in realtà è spesso solamente immaginato e desiderato, con uno spirito che annulla il rigore antropologico nel gesto pop che caratterizza le forme del turismo di massa; attraverso materiali che riattivano un heritage riprogettandolo o addi-rittura inventandolo radicalmente; attraverso abiti che giocano in modo espli-cito, fra gesto nostalgico e satira briccona, con gli stereotipi automaticamente associati a un’idea di italianità che noi stessi utilizziamo per presentarci sulla scena internazionale.Così c’è spazio per connettere l’antigrazioso di Prada – che celebra il buon gusto del salotto borghese, sporcandolo e uccidendolo – con l’allure assolu-tamente internazionale dell’universo Gucci nell’interpretazione di Tom Ford, caso emblematico per comprendere la consacrazione del direttore creativo, figura mitologica che reinventa un marchio trasformandolo nell’oggetto del desiderio di un’intera generazione di fashion victim nemmeno consapevole della storia tutta italiana del brand. E ci sono anche le esperienze progettuali di nicchia: dalle sofisticate esplorazioni regionaliste di Antonio Marras, al pro-getto assoluto di Maurizio Altieri, che con Carpe Diem reinventa la tradizione modellistica, piegandola attraverso una ricerca ossessiva di materiali durissi-mi e ultra dark.È in questa frammentazione creativa – che è anche segno di una produzione mobile, che non ha paura di riconfigurarsi – che la moda italiana esprime la sua risposta alle istanze della globalizzazione, scegliendo di confermarsi come la-boratorio in grado di tenere insieme la dimensione industriale più articolata con le piccole realtà produttive disseminate nelle province e nei distretti.

Così, in questo percorso, diviene evidente che Italiana non si pone come ana-lisi obiettiva (l’obiettività è una falsa coscienza) e globale di un fenomeno e che non ha l’ambizione di riscrivere la storia della moda italiana di un determinato periodo. È una ricognizione in soggettiva, fatta dall’osservatorio del presente in cui siamo calati, senza nessuna nostalgia o rimpianto, ma con la curiosi-tà di indagare il territorio estetico in cui le immagini esistono e vivono. Ed è una ricognizione tesa ad affiancarsi, in modo complice, al tessuto straordinario

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che – attraverso una progettualità costituita di un «fare che inventa un modo di fare», ricorrendo a un’idea di Luigi Pareyson – ha dato forma al personalissimo linguaggio della moda italiana, sintesi perfetta del cortocircuito inventivo tra l’artigiano più filosofo che funambolo, il designer / direttore creativo costrutto-re di immaginari, l’azienda capace di farsi interprete di un progetto, gli image maker e il mondo editoriale che selezionano, ridisegnano, comunicano e am-plificano questo universo.Nelle nostre intenzioni, questi tentativi di organizzare una serie di materiali attraverso una parola o un concetto non vogliono essere esaustivi, non voglio-no chiudere, ma sono un modo di fare spazio. Vogliono essere piattaforma di confronto, laboratorio di analisi. Ciascuna di queste parole e locuzioni ritaglia un territorio e presenta una selezione di abiti, immagini, oggetti, opere d’arte che definiscono una sorta di atlante della moda italiana ricostruito dai cura-tori. Una mappa di alcuni dei percorsi possibili, forse i più evidenti rispetto a quell’articolata complessità che va dalla produzione al consumo, dalla crea-zione alla comunicazione, dalla cultura al marketing.George Kubler in La forma del tempo. La storia dell’arte e la storia delle cose scrive: «Ogni opera d’arte importante può essere considerata come un avveni-mento storico e allo stesso tempo come la soluzione faticosamente raggiunta di un certo problema. Che l’avvenimento sia stato originale o convenzionale, casuale o voluto, goffo o ben condotto è cosa ora irrilevante»18. Usiamo que-ste parole perché anche noi nella scelta degli oggetti ci siamo chiesti se cia-scuno fosse precisa rappresentazione di una determinata istanza in un certo momento. Non se fosse brutto o bello, ma se fosse giusto. Giusto rispetto al momento in cui fu creato. Se fosse elemento significativo di quella storia della moda italiana così attenta a dare abito e stile, con una qualità senza pregiudi-zi, alle donne e agli uomini della fine del Novecento.

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1 B. Di Corrado, Io sono il calcio, in «Il Foglio», 11-12 novembre 2017.

2 Una definizione del made in Italy che ci trova d’accordo è questa: «La qualità del made in Italy [...] non di-scende solamente dalla maestria esecutiva ma si fonda anche, quando non soprattutto, sulla concezione delle soluzioni formali e sull’intera ideazione dell’oggetto: la fabbrica italiana, da questo punto di vista, non è solo fabbrica di cose, ma anche fabbrica di idee» (L. Fortunati, E. Danese, Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda, vol. III, Il made in Italy, Roma, Meltemi, [2005], p. 47).

3 Vanessa Friedman, subito dopo le sfilate a Milano del settembre 2017, scrive per il «New York Times»: «Mi-lano non è mai stata una città della moda intellettuale: di decostruzione e concettualismo si occupano Parigi e Londra. Ha più a che vedere con la gratificazione immediata di tessuti straordinari e con le scollature pro-fonde» (V. Friedman, Does Milan Matter?, in The New York Times, 24 settembre 2017, https://www.nytimes.com/2017/09/24/fashion/milan-fashion-week-versace-bottega-veneta.html; si è citato dalla traduzione di parte dell’articolo contenuta in Di moda, in Wittgenstein, 28 settembre 2017, http://www.wittgenstein.it/2017/09/28/giornalismo-la-moda-la-moda-giornalismo/).

4 Si pensi al V&A di Londra, al Met di New York, al MoMu di Anversa.

5 Negli anni ottanta, quando la moda italiana si è affermata con autorevolezza nel mondo, Alessandro Mendini sottolineava «quanto possa essere interessante oggi l’istituzione e il progetto di “musei della moda”, organismi che non vanno confusi con un po’ di vestiti poggiati su manichini come fantasmi» (A. Mendini, Musei della moda?, in «Domus moda», supplemento a «Domus», 621, ottobre 1981, p. 1). Le parole di Mendini indicano la consapevolezza – ben radicata in quel momento – dell’importanza di dare base culturale a un sistema potente nella sua comples-sità, capace di rappresentare al meglio un paese che, precisando le qualità del suo stile, poteva confermarsi come laboratorio creativo unico (cfr. M.L. Frisa, Alla moda spetta un vero museo, in «Il Sole 24 Ore», 30 giugno 2017).

6 Solo il Ministero dello sviluppo economico si è dedicato al tema della formazione della moda in Italia, pur in una dimensione che teneva insieme la scuola pubblica con quella privata.

7 Il 2001 è anno di votazioni: Silvio Berlusconi ritorna al potere, sette anni dopo il governo del 1994. «Non c’è partita, stravince Berlusconi con la Casa delle libertà. Vota l’81,4%, Forza Italia è il primo partito con quasi 11 milioni di voti e il 29,4%. I Ds si fermano a poco più di 6 milioni di voti (16,6%)» (E. Deaglio, Patria 1978-2008, Milano, Il Saggiatore, 2009, p. 509). Il 2001 è anche l’anno del G8 di Genova.

8 A. Piccinini, Fratellini d’Italia. Mappe, stili, parole dell’ultima generazione, Roma, Theoria, 1994.

9 Cfr. Annisettanta. Il decennio lungo del secolo breve, a cura di M. Belpoliti, G. Canova, S. Chiodi, catalogo della mostra (La Triennale di Milano, 27 ottobre 2007 - 30 marzo 2008), Milano, Skira, [2007].

10 S. Giacomoni, L’Italia della moda, Milano, Mazzotta, [1984], p. 9.

11 G. Agamben, Avvertenza alla presente edizione, in Id., Categorie Italiane. Studi di poetica e letteratura, Ro-ma-Bari, Laterza, 2010.

12 Anche se, come scrive Teresa Macrì, «il fallimento emerge laddove c’è il rischio e, laddove si impone il rischio, c’è sperimentazione, rottura, discontinuità. Fondamenti irrefutabili alla realizzazione dell’opera e della condizio-ne dell’arte» (T. Macrì, Fallimento, Milano, Postmedia, 2017, p. 29).

13 G. Ferré, Giorgio Armani. Il sesso radicale, Venezia, Marsilio, 2015.

14 «Finalmente il cielo è caduto sulla terra: la rivoluzione» è il titolo del foglio creato nel marzo 1977 dal gruppo redazionale di «A/traverso» insieme a quello di «Zut».

15 Scrive Sonnet Stanfill nel saggio introduttivo al libro The Glamour of Italian Fashion since 1945: «La parola ita-liana stilista è più sfumata e multifunzionale di quanto suggeriscano i termini inglesi designer o stylist. Si riferisce a quella personalità che ha fatto da mediatore tra le pratiche dell’industria, le esigenze dei buyer e i bisogni del pubblico, con anche una piena consapevolezza dell’importanza della stampa» (S. Stanfill, Introduction, in The Glamour of Italian Fashion since 1945, a cura di Id., London, V&A Publishing, 2014; traduzione degli autori).

16 Nelle parole della stessa Donatella Girombelli, raccolte da Michael Gross per «New York» nel 1991, «between Genny and the designer there is a complicity» (l’articolo, che compare nel numero dell’11 marzo 1991 della rivista, è titolato A Portrait of Genny and the Woman Who Runs It).

17 F. Manacorda, «Se la forma scompare la sua radice è eterna». La rivolta dei poeti e degli inventori, in Italics. Arte italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008, a cura di F. Bonami, catalogo della mostra (Venezia, palazzo Grassi e Chicago, Museum of Contemporary Art, 2008-2009), Milano, Electa, [2008], p. 59.

18 G. Kubler, The Shape of Time: Remarks on the History of Things, New Haven, Yale University Press, 1962; trad. it. La forma del tempo. La storia dell’arte e la storia delle cose, Torino, Einaudi, [1989], p. 43.

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Il sostegno che il Ministero dello Sviluppo Economico ha deciso di dare a Italiana è parte di un’opera complessiva di attenzione e di valorizzazio-ne della filiera italiana della moda, e del suo ruolo strategico nella pro-mozione del made in Italy. Una scelta che non ha riguardo solamente all’importanza economica del settore e alla sua centralità per il nostro export, che negli anni della crisi ha sorretto efficacemente il paese; di-pende anche e soprattutto dalla consapevolezza che «leggere» la moda nelle sue molteplici articolazioni significhi in qualche modo leggere l’Ita-lia. E che a sua volta la moda italiana non possa prescindere dall’analisi e dalla valutazione degli accadimenti, dalle evoluzioni e dai travagli della società italiana.Il trentennio descritto nella mostra muove dallo stato aurorale del 1971, anno simbolo della «democratizzazione» dell’eccellenza tessile, con la progressiva affermazione del prêt-à-porter, ed arriva fino alla cesura storica del 2001, con l’attentato delle Torri gemelle che rappresentò la «perdita dell’innocenza» dell’Occidente. Sono gli effervescenti e libera-tori seventies, che preparano all’ulteriore salto quantico degli anni ottan-ta, con il riflusso, il rampante trionfo dell’edonismo e del consumismo, per poi passare al mondo mutato della caduta del Muro, dell’economia finanziaria, della globalizzazione e di internet.La moda partecipa in modo puntuale a questi processi, li accompagna, ne risente, talora li promuove. Vale per l’emancipazione della donna come per la liberazione della moda maschile dalla grigia uniformità del power suit. L’allargamento della platea obbliga a inedite contaminazioni, propone nuovi apporti, schiude nuovi orizzonti. E mentre accompagna i fenomeni del costume, costruisce un sistema di relazione – fra gli stilisti, con i distretti, con le città, con gli artisti – che finisce per imporsi come modello di eccellenza planetaria.Malgrado il suo rigore filologico, Italiana non è una retrospettiva dal sa-pore passatista, ma una risalita alle sorgenti: un’indagine affascinante e ben condotta sulle fondamenta del made in Italy, su quella impareggia-bile miscela di creatività, sapienze antiche, abitudine alla bellezza che ha fatto della nostra filiera una realtà forte e orgogliosa. Consapevole della robustezza delle sue radici e pronta a servirsene per le annunciate e impegnative sfide, dalla sostenibilità alla formazione, che l’attendono nel prossimo futuro. Il sostegno del Mise a questa mostra è di stimolo perché si continui tutti a fare sistema per vincerle.

Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico

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ITALIANAL’Italia vista dalla moda 1971 — 2001

22.02 — 06.05.2018Palazzo Reale, MilanoPiazza Duomo 12

una mostra ideata e curata da

Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi

Una mostra

Ufficio stampa mostra

Ufficio stampa Comune di Milano

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Progetto in collaborazione con

Manichini

Organizzazionee catalogo

Karla Otto

Paola [email protected]. +39 02 65569826

MarsilioValeria [email protected]. +39 348 3902070

Camera Nazionale della Moda ItalianaBeatrice [email protected]. +39 02 77710828

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Italiana è un piacere per gli occhi: trent’anni di grande moda milanese a Palaz-zo Reale, dagli anni Settanta ai Duemila, si danno appuntamento nel cuore di Milano in contemporanea con la Settimana della moda. Il Comune di Milano e la Camera Nazionale della Moda Italiana offrono alla città, ai buyer, agli amanti della bellezza e della creatività milanese e italiana il meglio di una storia ecce-zionale, profondamente milanese e aperta al mondo. Attraversare le sezioni tematiche di questa mostra vuol dire rendersi conto del policentrismo della moda italiana, della varietà dei suoi linguaggi e delle sue realizzazioni, ma al contempo riconoscere una unità di fondo: quel tocco italiano che ci rende or-gogliosi di ciò che sappiamo fare in campo estetico. Questa rassegna si ferma al 2001, prima della grande crisi economica. Oggi possiamo affermare che la moda ha resistito a quella crisi, superandola e rilanciando se stessa proprio grazie alle virtù maturate in quei decenni cruciali: capacità di innovare, fortis-sima e coraggiosa internazionalizzazione, attenzione alla qualità e tensione verso il miglioramento continuo. Questa mostra racconta Milano come città di creatività, di eccellenza e apertura ai giovani. Una storia che merita tutto il nostro impegno.

Sindaco di Milano

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Nel quadro di Novecento Italiano, il palinsesto dedicato nel 2018 dal Comune di Milano alle espressioni artistiche, culturali e sociali che hanno animato il se-colo appena trascorso nel nostro paese, Palazzo Reale ospita all’interno delle sue sale una mostra dedicata all’arco temporale che ha visto lo sviluppo della creatività e dello stile italiano nel mondo della moda.Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001 dichiara già nel titolo l’importanza del talento creativo e del sistema produttivo della moda, che, grazie a una cifra stilistica inconfondibile, sono emersi e si sono diffusi al di fuori dei nostri confini diventando rappresentativi nel mondo.Una selezione di oggetti di moda, design, arte racconta nelle sale del percorso espositivo temi che ricostruiscono la capacità inventiva nel dare forma all’e-leganza, rivelando l’evoluzione degli stili attraverso un trentennio particolar-mente fervido.La moda diventa il punto di vista della narrazione di un tassello prezioso della cul-tura del costume, i cui protagonisti continuano a dare valore a quella espressione del pensiero creativo che è asse fondamentale di sviluppo per la nostra città.

Assessore alla Cultura del Comune di Milano

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Milano e la moda rappresentano un connubio inscindibile: la moda spesso detta alcuni riti collettivi, i tempi, e ridisegna anche l’urbanistica della città. Le vie della moda, certo, ma anche le vie commerciali e alcuni quartieri semipe-riferici, luoghi di deindustrializzazione che la moda e i suoi operatori hanno saputo recuperare e valorizzare con creatività. Quella creatività che è tratto distintivo della nostra città, nella quale le tradizioni del buon gusto e dell’at-tenzione alla qualità, ricerca e sapienza artigiana confluiscono. Ecco perché siamo convinti che sia importante per le istituzioni sostenerla e promuoverla, senza però fare del mondo della moda una «città parallela» ma rendendola parte integrante di Milano. L’Assessorato alle Politiche per il Lavoro, Attività Produttive, Moda e Design, insieme a Camera Nazionale della Moda Italiana e gli operatori del settore, è impegnato nel valorizzare un’eccellenza milanese e italiana che non si traduce nella sola cultura del bello ma anche in un sistema, quello della moda, che partecipa attivamente allo sviluppo produttivo ed eco-nomico della città e dell’intero sistema paese.Ospitare a Milano, in uno dei suoi luoghi più rappresentativi, Palazzo Reale, il racconto e l’evoluzione di questa creatività, grazie alla mostra Italiana. L’Italia

vista dalla moda 1971-2001, è un modo per offrire a tutti gli amanti del bel-lo e del ben fatto una diversa prospettiva per conoscere e scoprire il dialogo fra il sistema della moda, la società italiana e Milano. Un percorso espositi-vo non solo artistico, ma anche storico e politico, che ripercorre la mitologia della moda italiana attraverso vicende, prodotti e protagonisti della grandiosa stagione del made in Italy. Trent’anni che hanno costituito uno straordinario periodo di relazioni e scambi tra i protagonisti di quella generazione italiana di artisti, architetti, designer e intellettuali che con loro personale visione e capacità di anticipare le tendenze e i gusti hanno saputo influenzare la cultura e lo stile internazionale.

Assessore alle Politiche per il Lavoro, Attività Produttive, Moda e Design del Comune di Milano

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Da almeno cinque lustri, Palazzo Reale dedica parte della propria program-mazione al tentativo di comprendere la contemporaneità attraverso il mondo della moda, dapprima in maniera abbastanza saltuaria e, in tempi più recenti, in maniera più strutturata e strategica.Naturalmente abbiamo sempre privilegiato – ma non poteva essere altrimen-ti – l’aspetto culturale e simbolico della moda, riconoscendo lo straordinario contributo iconico, di altissima riconoscibilità che essa offre alla nostra città, talmente noto ed evidente da rendere superfluo ogni ulteriore commento.Di questo nostro impegno è buona testimonianza la tradizionale collaborazio-ne con la Camera Nazionale della Moda Italiana, con la quale, peraltro, abbia-mo inteso collaborare per realizzare la mostra presente che rientra, a pieno titolo, in quella visione della moda come cultura di cui dicevo poc’anzi.Il progetto espositivo che presentiamo si pone l’obiettivo di raccontare non solo l’evoluzione della moda ma anche quella della società italiana nel periodo 1971-2001, ponendosi come seguito di un analogo progetto realizzato al maxxi di Roma tre anni fa, cronologicamente centrato sul periodo 1945-1968.L’arco cronologico è perfettamente pertinente, in quanto come termine a quo

è stato individuato il 1971, che grazie alla celebre sfilata di Walter Albini al Cir-colo del Giardino segna la rifondazione della moda italiana, e come termine ad quem è stato scelto il 2001, quale data simbolica che segna l’inizio di un mondo nuovo, quello caratterizzato dalla globalizzazione.In quel trentennio nuovi consumatori entrano nel gioco del mercato, i redditi e i consumi aumentano, tant’è che negli anni ottanta e nei primi anni novanta si assiste a un secondo miracolo economico, si amplia il settore di mercato che si pone tra l’alta moda e la fascia delle confezioni di qualità, si afferma un sistema produttivo tipicamente italiano, costituito da imprese medio-piccole caratteriz-zate da un notevole know-how e da modelli produttivi flessibili. I motori propul-sivi di questi profondi cambiamenti sono, naturalmente, gli stilisti, in virtù della loro creatività e della loro immensa capacità di intrepretare e di anticipare i gusti del tempo.Lo scenario privilegiato in cui tutto ciò avviene e da cui si propaga è Milano, che da allora è assurta a quel ruolo di capitale della moda che tutto il mondo le riconosce.I curatori della mostra, Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, hanno privilegiato, nell’affrontare questo complesso e articolato argomento, la diacronia alla sin-cronia, la costellazione piuttosto che uno scontato sviluppo linearmente tem-porale, offrendoci un progetto autoriale a tutto tondo e facendo emergere uno degli aspetti caratterizzanti della moda, quello di elemento di sintesi di diversi linguaggi.

Domenico PirainaDirettore di Palazzo Reale

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La Camera Nazionale della Moda Italiana sta focalizzando le proprie azioni su temi nevralgici, cosciente del suo ruolo e delle sue responsabilità di fronte alle grandi sfide poste al sistema italiano da quella dimensione globalizzata che ormai vede la moda, in tutte le sue declinazioni, potente attore sulla scena internazionale. La formazione, i nuovi autori, la sostenibilità, il digitale sono alcuni degli ambiti cruciali verso i quali stiamo indirizzando il nostro lavoro, attraverso progetti specifici in cui sono coinvolte diverse competenze.Quest’anno, inoltre, ricorre un anniversario importante: i sessant’anni della Camera Nazionale della Moda. Un anniversario che deve diventare anche occasione per celebrare l’importanza e il valore della moda italiana. Sono convinto che il passato serva per interpretare il futuro, per dare nutrimento all’immaginazione. E so quanto sia importante per le nuove generazioni poter accedere al racconto del passato recente della moda italiana. Quel passato che ha definito le qualità e l’immagine della moda italiana. Quel passato che può diventare strumento per leggere e comprendere il presente, per disegna-re nuove traiettorie, per affrontare nuove sfide.Per queste ragioni la Camera Nazionale della Moda Italiana ha deciso di pro-muovere – con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico e dell’A-genzia ICE e in collaborazione con il Comune di Milano e Palazzo Reale – Ita-

liana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001, un progetto in forma di mostra a cui fa da complemento un libro ricco di immagini e testi che approfondisce e articola i temi e gli spunti cui la mostra dà rilievo. Abbiamo scelto per questo progetto due curatori d’eccellenza come Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, che non solo hanno curato mostre di grande rilievo per la moda italiana, ma sono an-che totalmente calati nel sistema della moda contemporanea. Frisa dirige un corso di laurea in Design della moda all’Università Iuav di Venezia, Tonchi è direttore del mensile «W» di Condé Nast.Le mostre sono straordinarie narrazioni che mettono in scena oggetti, imma-gini, concetti e, nel caso di progetti di respiro sistematico, come questo, sono in grado di restituire un affresco corale che illumina i tanti protagonisti della nostra moda: stilisti, designer, direttori creativi, industrie e produttori, fotogra-fi, fashion editor, giornalisti. È attraverso azioni come queste che diventa pos-sibile impostare una riflessione attiva sulla nostra moda, sulle sue qualità, sul suo ruolo internazionale. Per immaginare insieme i prossimi sessant’anni del sistema della moda italiana.

Carlo CapasaPresidente della Camera Nazionale della Moda Italiana

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Michele ScannaviniPresidente di ICE Agenzia

La mostra Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001 celebra visivamente e per la prima volta la centralità del settore moda nella crescita economica italiana e il suo cruciale contributo alla proiezione internazionale dell’immagine e dei valori che caratterizzano il modo di vivere italiano.Italiana è una realizzazione frutto della collaborazione tra l’Agenzia ICE e la Camera Nazionale della Moda Italiana per la valorizzazione della fashion week milanese. Una collaborazione iniziata con la mostra curata da Franca Sozzani Crafting the Future. Storie di artigianalità ed innovazione (MUDEC, 21 settem-bre - 13 ottobre 2016) e proseguita con The Green Carpet Fashion Awards (Teatro alla Scala, 24 settembre 2017), il premio dedicato ai valori della soste-nibilità nella moda.La mostra si inserisce nel percorso promozionale tracciato dal Comitato della moda e dell’accessorio del Ministero dello Sviluppo Economico, che, attraver-so il coordinamento degli attori principali del sistema moda Italia, ne ha defini-to le linee prioritarie di intervento. Interventi messi in atto dall’ICE, che, grazie a una strategia promozionale multicanale, accresce la visibilità e riconoscibili-tà del made in Italy nel mondo anche tramite la realizzazione di attività stretta-mente culturali.Questa mostra ripercorre – per temi – il trentennio fautore della nascita e affer-mazione internazionale del prêt-à-porter italiano, e i contributi dati dai designer all’evoluzione dello stile, della manifattura e delle tecniche di produ-zione. Offre al visitatore le radici del successo del made in Italy nel mondo e gli elementi che, oggi come allora, lo rendono unico e inimitabile.

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L’Italia è quasi totalmente caratterizzata dalla propria cultura dell’immagine. Ab-biamo una tradizione, una base produttiva e un dna idonei a creare aziende di moda di grande solidità e portata globale. L’incrollabile fiducia in noi stessi ci ha permesso di forgiare il nostro cammino, invece di lasciarci guidare da New York, Londra e Parigi.Gli italiani non accettano di appropriarsi dei riferimenti altrui. Qualcuno potrà dire che questo ci ha ostacolato, ma io credo che sia il forte senso estetico del nostro paese che ci ha portati a essere gli arbitri dell’eleganza internazionale nonché la patria dei più famosi stilisti e maison a livello mondiale.Quando nel 1999 ho inventato YOOX, ero un outsider. Avevo pochi contatti nel settore, eppure stilisti come Giorgio Armani o Valentino mi hanno aperto le loro porte e hanno sposato il mio progetto. Il concetto stesso di e-commerce era in fase embrionale, ma queste aziende hanno saputo guardare lontano, sapevano che il futuro sarebbe stato globale e per questo hanno aderito – dimostrando così che la moda non è un settore chiuso e che gli italiani non sono ancorati al passato.Il nostro passato tuttavia non va dimenticato, gioca un ruolo chiave nel dare forma al presente e in particolare i tre decenni dal 1971 al 2001 sono un periodo fondamentale per la moda italiana.Nell’aprile 1971, infatti, Walter Albini ha debuttato con la prima collezione prêt-à-porter che il mondo avesse mai visto. Una sfilata che portò all’inizio di una nuova era di autoespressione, dando il la a decenni di innovazione sociale e industriale.

AmministFederico Marchetti

ratore delegato di YOOX NET-A-PORTER GROUP

Da quel momento, sia gli uomini che le donne si sono sentiti liberi di sperimen- tare con la moda e nei trent’anni successivi il made in Italy è diventato un tratto distinti-vo globale per la manifattura del settore moda.Questo è anche il periodo che vede la nascita sia di YOOX che di NET-A-PORTER, entrambe nel 2000 – un ulteriore cambiamento, più recente e rivoluzionario, nel settore del lusso.Certo, possiamo guardare al passato per trarne una visione del futuro: chi non lo farebbe avendone uno così glorioso? Il nostro sguardo, però, è tutt’altro che nostalgico. Ci impegniamo più che mai a promuovere i giovani talenti, ispirati dal grande lavoro di Franca Sozzani – una visionaria della moda italiana che ha lanciato una nuova generazione di successi nati e cresciuti qui – e lavoriamo per costruire un ecosistema ancora più forte che continui ad accogliere quei talenti che hanno fatto dell’Italia la loro casa.

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Che bella storia racconta Italiana! Quando Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, i curatori della mostra, me ne hanno illustrato il progetto, ho subito intuito che Pomellato ne era parte integrante. Perché aveva dato il proprio contributo al rinascimento del design milanese. Quando Pino Rabolini ha fondato la mai-son nel 1967, ha portato nel mondo della gioielleria quel punto di vista non convenzionale che nella moda ha fatto di Walter Albini, Mariuccia Mandelli, i Missoni i leader della rivoluzione estetica italiana. Erano anni di grandi cambiamenti sociali. Le donne si affermavano nella vita e nel lavoro ed è a queste protagoniste che i designer milanesi hanno offerto nuovi abiti e nuovi gioielli per affrontare nuovi ruoli. È stato in questo periodo che Milano è diventata la capitale italiana della moda e uno dei centri trainanti del fashion system, consolidando il proprio ruolo di città dal vivo fermento cul-turale, aperta all’innovazione, che si trattasse di arte, produzione, o più sem-plicemente di vita. Questa ricerca del nuovo ha anticipato i tempi, come siamo ben consape-voli oggi, e ne ha accolto il cambiamento, diventando una caratteristica sia della città sia della personalità di Pomellato. Una maison che è stata capace di innumerevoli svolte e, insieme, di mantenere quei tratti di spontaneità e di indipendenza radicati fin dall’inizio. Non è un caso che il progetto coincida con il cinquantesimo compleanno di Pomellato, aiutando così a riscoprire il contesto storico nel quale sono fiorite la sua creatività e quell’attenzione all’artigianato di lusso che hanno permesso allo stile italiano di emergere nel contesto internazionale. Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001 legge il cambiamento di un paese e di una cultura da un punto di vista che ci coinvolge tutti e ci rende protagonisti attraverso le scelte che facciamo. Sponsorizzare la mostra esprime ciò in cui Pomellato ha creduto e continua a credere, senza nostalgia. Non è un modo per ricordare il passato di un marchio che amiamo, ma di sottolineare la nostra identità nel presente.

Sabina BelliAmministratore delegato del Gruppo Pomellato

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Dal 1922 La Rosa è a fianco della moda italiana e dell’eccellenza del made in Italy. Leader nella produzione di manichini, riconosciuta per la ricerca esteti-ca, per la vicinanza al mondo della moda e della creatività è un punto di rife-rimento per maison del lusso, colossi del fast fashion, curatori e musei inter-nazionali che la scelgono grazie anche all’esclusivo archivio di manichini dal 1922 a oggi. La sua capacità di sviluppare prodotti su misura, legata a una pro-duzione totalmente realizzata in Italia che garantisce una capacità progettuale e un livello qualitativo difficilmente eguagliabili, le hanno ritagliato un ruolo di primaria importanza nella nascita del prêt-à-porter e nell’affermazione della moda italiana a del mondo. Gigi Rigamonti ha scolpito i manichini che hanno identificato lo stile iconico di Gianni Versace, Giorgio Armani, Gianfranco Fer-rè e Valentino nelle vetrine delle boutique e dei loro primi monomarca aprendo la strada al successo internazionale dell’azienda. La Rosa è un esempio dell’imprenditoria familiare tipica del made in Italy: la nostra famiglia, al timone dell’azienda dagli anni Settanta, ha trasformato una realtà artigiana in un’azienda industrializzata con un processo produttivo in-novativo e un approccio integrale alla sostenibilità ambientale unico nel set-tore. Siamo onorati di essere tra gli sponsor di ITALIANA e supportare Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi in questa nuova importante mostra. Essere parte di ITALIANA significa sottolineare il ruolo che La Rosa ha avuto nella nascita del made in Italy e nella diffusione dello stile italiano nel mondo. È anche un’occa-sione per confermare la stima nel profondo lavoro di valorizzazione culturale della moda italiana che Frisa e Tonchi stanno portando avanti.

Mattia Rigamonti Managing Director La Rosa Mannequins 1922

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Flos è orgogliosa di rendere omaggio alla moda e ai geniali protagonisti della cultura italiana, applicando competenze e tecnologie d’avanguardia in mate-ria di lighting design per illuminare la mostra Italiana. L’Italia vista dalla moda

1971 - 2001. Dare luce ai display espositivi ideati dai curatori Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, caratterizzati da una grande varietà di contenuti, è stato un compito delicato e stimolante. In collaborazione con Selldorf Architects e con lo Stu-dio Baschera Brigolin Mocchi, curatori del progetto di allestimento e direzione artistica, Flos ha progettato il lighting design della mostra e fornito i sistemi e i corpi illuminanti più innovativi e performanti l’esposizione. Dalla collezione Flos Architectural è stato scelto UT Spot, un proiettore a LED ad alta efficienza ed affidabilità, dal design minimale e sofisticato, montato su sistemi di binari trifase. Il proiettore esalta in modo discreto la texture, il colore e la lavorazione degli abiti esposti sui manichini, e valorizza la riproduzione cromatica di opere d’arte, fotografie, disegni ed altri oggetti in mostra, senza alterarli né danneggiarli. Speciali accessori frontali come lenti e filtri antiabba-gliamento favoriscono il migliore controllo ottico e la confortevole sagomatura della luce, riducendo al minimo l’abbagliamento del visitatore. Tutti gli appa-recchi di illuminazione sono dotati di dimmer, al fine di adattare la giusta quan-tità luminosa ad ogni oggetto o outfit ed esaltare l’atmosfera e la scenografia dell’allestimento.Fondata nel 1962, Flos è cresciuta sensibilmente proprio negli anni straordi-nari che sono tema della mostra, facendo della ricerca e dell’innovazione della luce una missione costante e un impegno culturale, e contribuendo in modo significativo alla diffusione e all’affermazione del sistema del Made in Italy nel mondo. Flos è oggi l’unica azienda capace di offrire un universo di soluzioni di illuminazione pienamente integrate. Esporta in oltre 70 paesi e ha negozi mo-nomarca a Roma, Milano, Parigi, Lione, New York, Stoccolma e Hong Kong. Le sue creazioni hanno ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali e mol-te di queste sono entrate a far parte delle collezioni permanenti dei principali musei d’arte e design.

Lighting Partner

FLOS

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ITALIANAL’Italia vista dalla moda 1971 — 2001

22.02 — 06.05.2018Palazzo Reale, MilanoPiazza Duomo 12

una mostra ideata e curata da

Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi

Una mostra

Ufficio stampa mostra

Ufficio stampa Comune di Milano

Con il supporto di

Main partner

Progetto in collaborazione con

Manichini

Organizzazionee catalogo

Karla Otto

Paola [email protected]. +39 02 65569826

MarsilioValeria [email protected]. +39 348 3902070

Camera Nazionale della Moda ItalianaBeatrice [email protected]. +39 02 77710828

Elena [email protected]

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SCHEDA INFORMATIVA

Sede

Palazzo Reale, Piazza Duomo 12 Milano

Date

22 febbraio - 6 maggio 2018

Orari

Lunedì 14.30 – 19.30Martedì, mercoledì, venerdì, domenica 9.30 -19.30Giovedì, sabato 9.30 – 22.30La biglietteria chiude un’ora prima

Aperture straordinarie

Lunedì 2 aprile 9.30 -19.30Lunedì 30 aprile 9.30 -19.30

Informazioni

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Informazioni e prenotazioni

+39 02 89709022(lun ven 9-18; sab 9-13)ticketone.it

Biglietti

I ricavi della biglietteria della mostra saranno devoluti a CNMI Fashion Trust

Diritto di prevendita web per gruppi e singoli

1,5 euroPrevendita canale distributivo e ticketone

1 euro

Catalogo

Marsilio

Biglietto unico: € 5Ingresso Gratuito: Minori di 6 anni | Un accompagnatore per disabile che pre- senti necessità | Un accompagnatore per ogni gruppo | Due accompagnatori per ogni gruppo scolastico | Un accompagnatore e una guida per ogni gruppo FAI o Touring Club | Dipendenti della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano | Tesserati ICOM | Guide turistiche (previa esibizione di tesserino di abilitazione professionale) | Impiegati presso il Servizio Mostre di Palazzo Re- ale (previa esibizione di tessera nominativa) | Membri della Commissione Vigilanza e Vigili del Fuoco (previa esibizione di apposita tessera non nomina-tiva) Giornalisti: I giornalisti che intendono visitare la mostra per servizio potranno accedervi gratuitamente, ritirando i biglietti direttamente in bigliette-ria, previa richiesta agli uffici stampa della mostra, con indicazione della testa-ta e del giorno previsto per la visita. Diversamente, l’accesso ai giornalisti è a pagamento

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ITALIANAL’Italia vista dalla moda 1971 — 2001

22.02 — 06.05.2018Palazzo Reale, MilanoPiazza Duomo 12

una mostra ideata e curata da

Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi

Cataloghi Marsilio

Un libro ideato e curato da

Maria Luisa Frisa, Gabriele Monti, Stefano Tonchidue edizioni, italiano e inglesepp. 432, formato 22,5x29,5 cm, cartonatoprezzo in mostra 48,00 euro, prezzo in libreria 55,00 euro

Una mostra

Ufficio stampa mostra

Ufficio stampa Comune di Milano

Con il supporto di

Main partner

Progetto in collaborazione con

Manichini

Organizzazionee catalogo

Karla Otto

Paola [email protected]. +39 02 65569826

MarsilioValeria [email protected]. +39 348 3902070

Camera Nazionale della Moda ItalianaBeatrice [email protected]. +39 02 77710828

Elena [email protected]

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LA BELLEZZA UTILE Maria Luisa Frisa, Stefano Tonchi

Iconografia italiana

IMMAGINI IN PAGINAGabriele Monti

MARIO VALENTINOOrnella Cirillo

GFT – GRUPPO FINANZIARIO TESSILEElda Danese

POLTRONOVAFiorella Bulegato

UTOPIE VESTIMENTARIE DEL DESIGN RADICALEVittoria Caterina Caratozzolo

ANNA PIAGGIJudith Clark

POMELLATOGiusi Ferré

FIORUCCIGianluca Lo Vetro

MAX MARAMarta Franceschini

MANUELA PAVESIMaria Luisa Frisa

ETROGianluca Lo Vetro

SHARRA PAGANOBianca Cappello

LA ROSA MANNEQUINSSabrina Ciofi

ZEGNAMarta Franceschini

VESTEBENE MIROGLIOElda Danese

ZAMASPORTElda Danese

NANNI STRADAVittoria Caterina Caratozzolo

IDEALITÀ E SENSUALITÀ. IL TESTO DELLA MODA ITALIANAPaola Colaiacomo

PER UN’AUTOBIOGRAFIA DELLA MODA ITALIANAAlessandra Vaccari

ICONE, SEGNI, ATMOSFERE ITALIANEPatrizia Calefato

DISTANZA E IMMEDESIMAZIONE.ARTE ITALIANA E IMMAGINARI DELLA MODA Alessandro Rabottini

MODA PER TUTTI. UN PANORAMA INDUSTRIALEElda Danese

UOMINI IN PASSERELLAAngelo Flaccavento

LA FIGURA DELLO STILISTAPaolo Volonté

MILANO CITTÀ DELLA MODA Antonio Masciariello

FIORI DELLO STESSO GIARDINOMaria Cristina Didero

BAGLIORI. STORIE DI EDITORIAALTERNATIVA IN ITALIASaul Marcadent

BLADE IN ITALYAntonio Mancinelli

STILISTI VIAGGIATORI.UN ALTROVE MOLTO ITALIANOSimona Segre Reinach

REBEL RETAIL. I NUOVI NEGOZI DI MODA IN ITALIAClaudio Marenco Mores

QUANDO LA MODADIVENTÒ PRÊT-À-PORTER Giusi Ferré

L’italia degli oggetti

illustrazioni di Riccardo Miotto testi di Bianca Cappello, Vittoria Caterina Caratozzolo, Ornella Cirillo, Elda Danese, Eva Desiderio, Giusi Ferré, Gianluca Lo Vetro, Cristina Manfredi, Antonella Matarrese, Tommaso Palazzi, Silvia Schirinzi,Manuela Soldi, Federica Vacca, Alessandra Vaccari

Moda scritta

UN’ANTOLOGIA DELLA PUBBLICISTICA SULLA MODA ITALIANA 1971-2001 Manuela Soldi

BIBLIOGRAFIA CRITICA Manuela Soldi

Sommario