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GIORNATA DI STUDIO ANNO FORMATIVO 2018 IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO A cura di Massimo SIRRI Riccardo ZAVATTA

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GIORNATA DI STUDIO

ANNO FORMATIVO

2018IVA NELLE OPERAZIONICON L’ESTERO

A cura diMassimo SIRRIRiccardo ZAVATTA

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IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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EUTEKNE S.p.A.Via San Pio V, 27 - 10125 Torinotelefono +39.011.562.89.70 fax +39.011.562.76.04e-mail [email protected]

Capitale Sociale € 540.000,00 i.v.Codice Fiscale, Partita I.V.A. e Registro Imprese di Torino 05546030015

La presente edizione è stata chiusa in redazione il 28 settembre 2018.

I presenti materiali sono a cura dei relatori della Giornata di studio e costituiscono esclusivamente documentazione di supporto alle relazioni. Non hanno, pertanto, alcuna pretesa di esaustività bibliografica e non esprimono le posizioni del Gruppo di Studio Eutekne sulle materie trattate.

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INDICE

APPROFONDIMENTI

1 L’IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO 4 A cura di Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

SLIDE

1 IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO 65 A cura di Riccardo Zavatta

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L’IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

A cura di Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

1. IL RAPPORTO TRA ESPORTAZIONI E CESSIONI DEI BENI ESISTENTI

ALL’ESTERO 7

1.1 IL PRIMO ORIENTAMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA 7

1.2 IL SUCCESSIVO ORIENTAMENTO 8

1.3 LE “APERTURE” DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE 10

1.4 L’ULTIMO ORIENTAMENTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE 12

1.5 CONCLUSIONI 13

2. BENI SOTTOPOSTI A LAVORAZIONE NEL TERRITORIO DELLO STATO

PRIMA DI ESSERE ESPORTATI 14

2.1 LE ESPORTAZIONI “CONGIUNTE” CON LAVORAZIONE 14

2.2 IL RAPPORTO TRA L’ART. 7-TER E L’ART. 9, COMMA 1, N. 9), DEL D.P.R.

N. 633/1972 16

3 IL REGIME IVA DEGLI ACCONTI SU ESPORTAZIONI SECONDO I PRINCIPI

DELLA SENTENZA N. 10606/2015 DELLA CORTE DI CASSAZIONE 18

3.1 NATURA DEGLI ACCONTI E REGIME DI FATTURAZIONE 18

3.2 LA RILEVANZA DEL CONTRATTO 18

3.3 L’EFFETTIVA CONNESSIONE DEGLI ACCONTI A BENI SUCCESSIVAMENTE

ESPORTATI 20

4. I TERMINI PER LE ESPORTAZIONI INDIRETTE DI BENI AGGIORNATI

DALL’AGENZIA DELLE ENTRATE CON LA RISOLUZIONE N. 98/E

DEL 10 NOVEMBRE 2014 22

4.1 LA NORMATIVA COMUNITARIA 22

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IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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4.2 LA NORMATIVA INTERNA 23

4.3 LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 19 DICEMBRE 2013 24

4.4 EFFETTI DELLA SENTENZA SULLA NORMATIVA INTERNA 25

4.5 L’INTERVENTO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE 26

5. LA NUOVA DISCIPLINA IVA SUI BENI INVIATI IN LAVORAZIONE

IN ALTRI STATI MEMBRI COMUNITARI INTRODOTTA DALLA

"LEGGE EUROPEA 2014" 27

5.1 LA NORMA COMUNITARIA 27

5.2 LA NORMA ITALIANA PREVIGENTE 28

5.3 LE MODIFICHE DELLA LEGGE EUROPEA 2014 28

5.4 CONSEGUENZE OPERATIVE DELLE NUOVE NORME 29

5.4.1 COMMITTENTI SOGGETTI PASSIVI COMUNITARI 29

5.4.2 COMMITTENTI SOGGETTI PASSIVI ITALIANI 30

6 GLI ULTIMI ORIENTAMENTI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA E DELLA CORTE

DI CASSAZIONE SULLA RILEVANZA DELLA PARTITA IVA NELL’OTTICA

DELLA PROVA DELLE CESSIONI INTRACOMUNITARIE 32

6.1 LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 9 OTTOBRE 2014 32

6.2 IL POSSESSO DELLA PARTITA IVA 33

6.3 LA DILIGENZA DEL FORNITORE 34

6.4 L’ORDINANZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE DEL 29 LUGLIO 2014 35

6.5 LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE DELL’8 OTTOBRE 2014 37

7 DILIGENZA E BUONA FEDE DEL FORNITORE CHE DEVE PROVARE LE

CESSIONI INTRACOMUNITARIE DEI BENI: LA CORTE DI CASSAZIONE,

CON DUE SENTENZE DEL 2015, TORNA SUI PROPRI PASSI 39

7.1 LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE DEL 2014 39

7.2 LE DUE SENTENZE DEL 2015 40

7.3 LA SENTENZA N. 5632 DEL 20 MARZO 2015 41

7.4 LA SENTENZA N. 15639 DEL 24 LUGLIO 2015 42

7.5 CONCLUSIONI 43

8. IL REGIME IVA DELLA CESSIONE DI STAMPI NEI RAPPORTI CON

COMMITTENTI COMUNITARI 45

8.1 LA FATTURAZIONE DEGLI STAMPI 45

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8.2 IL CASO SOTTOPOSTO ALL’ATTENZIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE 46

8.3 LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE 47

8.4 ASPETTI APPLICATIVI 48

9 LA FATTURAZIONE DEI SOGGETTI PASSIVI COMUNITARI IDENTIFICATI

AI FINI IVA IN ITALIA PER LE CESSIONI DI BENI EFFETTUATE NEL TERRITORIO

DELLO STATO ALLA LUCE DELLA RISOLUZIONE N. 21/E DEL 2015 49

9.1 LA NOVITÀ 49

9.2 PROBLEMATICHE APPLICATIVE 50

9.3 LE DIFFICOLTÀ D’INDIVIDUAZIONE DELLE OPERAZIONI 51

10. LE NOVITÀ SULLA TERRITORIALITÀ DEI SERVIZI IMMOBILIARI IN VIGORE

DAL 2017: SERVIZI DI LOGISTICA E PARTECIPAZIONE A FIERE 53

10.1 IL NUOVO REGOLAMENTO D’ESECUZIONE (UE) N. 1042/2013 54

10.2 I SERVIZI DI MAGAZZINAGGIO E LOGISTICA 55

10.2.1 LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA SUL CASO “DONNELLEY” 55

10.2.2 LE NOTE ESPLICATIVE DELLA COMMISSIONE EUROPEA DEL 2015 57

10.2.3 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 58

10.3 SERVIZI FIERISTICI 58

10.3.1 IL REGOLAMENTO N. 1042/2013 59

10.3.2 LE NOTE ESPLICATIVE DELLA COMMISSIONE EUROPEA DEL 2015 61

L’IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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1. IL RAPPORTO TRA ESPORTAZIONI E CESSIONI DEI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

La vendita di beni che si trovano all’estero in un Paese extracomunitario, ove sono stati in precedenza esportati, implica una complessa problematica in tema di normativa Iva, in quanto si tratta di stabilire se, in tale ipotesi, si realizzano comunque delle cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, oppure, diversamente, si configurano cessioni di beni extraterritoriali, non rilevanti ai fini Iva in Italia ex art. 7-bis, comma 1, dello stesso decreto Iva. Le conseguenze dei due approcci interpretativi sono radicalmente differenti in quanto, limitatamente agli aspetti sostanziali, la prima impostazione che ammette la fatturazione in regime di non imponibilità in presenza di cessioni all’esportazione, consente la costituzione di “plafond”, mentre la seconda nega, di fatto, tale possibilità. Il problema, quindi, non interessa la materia doganale, nel cui ambito possono aver luogo esportazioni definitive che comportano un trasferimento “previsto” della proprietà (ad es.: beni spediti per vendita in prova o in visione, beni spediti in conto deposito e beni destinati ad operazioni di leasing finanziario per locazione/vendita), oppure esportazioni temporanee, anche in regime di traffico internazionale ai sensi dell’art. 214 del D.P.R. n. 43/1973 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale), tra cui rientrano, per esempio, le temporanee esportazioni di beni inviati come campioni e in conto visione, oppure spediti all’estero in tentata vendita o presso fiere ed esposizioni. La tematica interpretativa, infatti, non verte sul concetto di esportazione quale regime doganale, bensì sulla nozione fiscale di “cessione all’esportazione” ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972 che, oltre ad implicare il requisito “fisico” del materiale trasferimento dei beni fuori del territorio comunitario, richiede necessariamente il presupposto giuridico del trasferimento della proprietà dei beni a terzi. L’evoluzione della prassi amministrativa in argomento si è articolata in fasi successive.

1.1 IL PRIMO ORIENTAMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA

Con la risoluzione n. 520657 del 4 dicembre 1975, il Ministero delle Finanze ha affrontato in modo diretto il problema del rapporto esistente tra le esportazioni di beni destinati in depositi istituisti all’estero in “franco valuta”, ossia senza il pagamento di corrispettivi al momento dell’esportazione, e la successiva fatturazione nei confronti dei clienti esteri o dei commissionari esteri con deposito, in occasione delle future vendite dei beni previamente esportati. Nel citato documento di prassi si conferma che, con l’avvenuta vendita dei beni, si configurano cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 “sempreché, ovviamente, sia possibile stabilire l’identità (per specie, qualità e quantità) fra i beni inviati all’estero in <<franco valuta>> e quelli che formano oggetto della successiva fatturazione”.

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In tale ottica, al fine di poter dimostrare il collegamento tra l’operazione doganale di esportazione e la fattura emessa successivamente in regime di non imponibilità ex art. 8, al momento della vendita dei relativi beni, la risoluzione del 1975 delinea la seguente specifica procedura:

• annotazione in apposito registro, tenuto a norma dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972, delle spedizioni all’estero in c/deposito, riportando per ogni singola annotazione gli estremi del documento doganale di esportazione;

• emissione successiva della fattura di vendita che rechi il riferimento alla relativa annotazione nel registro riguardante gli stessi beni oggetto di fatturazione.

1.2 IL SUCCESSIVO ORIENTAMENTO

La prassi ministeriale inaugurata con la risoluzione del 1975, con cui si era consentito di fatturare in regime di non imponibilità garantendo, in tal modo, di poter usufruire del relativo plafond per gli esportatori abituali, è stata messa in discussione e poi del tutto sovvertita nel periodo 1997-2005, per effetto del consolidarsi di un orientamento di segno opposto, con cui è stata negata l’applicabilità dell’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972. Il “casus belli” che origina il nuovo “corso” interpretativo, non è però costituito dal caso specifico dell’invio di beni all’estero in conto deposito oggetto di una futura, e programmata, vendita a clienti (o commissionari) locali, bensì da una situazione apparentemente diversa e non pertinente. L’Amministrazione finanziaria, pronunciandosi sulla specifica fattispecie dell’invio dei beni in Paesi extracomunitari da sottoporre a lavorazione o trasformazione e da reimportare (finito il ciclo delle lavorazioni) “sotto forma di prodotti compensatori”, con la nota n. 1248 del 6 maggio 1997 ha affrontato in via incidentale il tema della vendita dei beni quando gli stessi si trovano già all’estero. Nella parte conclusiva della nota n. 1248/1997, infatti, si afferma che “resta inteso che, ove le merci esportate dovessero durante la permanenza all’estero formare oggetto di cessione, tale transazione non assume rilevanza ai fini dell’IVA, ai sensi dell’art. 7, comma 2 del D.P.R. n. 633/1972” (ora art. 7-bis, comma 1). Il nuovo orientamento è stato, poi, confermato con la successiva circolare n. 156/E del 15 luglio 1999. Le conclusioni raggiunte con i documenti di prassi citati del 1997 e del 1999, secondo cui la cessione di beni in precedenza esportati mentre si trovano all’estero, non configura una cessione all’esportazione ma un’operazione extraterritoriale che non rileva agli effetti dell’Iva, sono state successivamente confermate con la nota n. 839/Div/V/Sd, del 5 giugno 2000 del Dipartimento delle dogane, dove viene ribadito il ricorso all’art. 7, comma 2, del .D.P.R. n. 633/1972 (ora art. 7-bis, comma 1), con conseguente disapplicazione dell’art. 8 dello stesso decreto, per i casi di cessione di beni precedentemente trasferiti in Paesi terzi in regime di esportazione temporanea ex art.

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214 del Testo Unico delle leggi doganali e con utilizzo di carnet A.T.A., ex art. 91 del Regolamento CEE 12 ottobre 1992, n. 2913 (Codice doganale comunitario). La nota del 5 giugno 2000 ha ad oggetto in modo specifico l’invio di beni all’estero per tentata vendita, con successiva cessione degli stessi in Paesi extracomunitari. Anche in tale ipotesi, è affermato che l’operazione deve ritenersi al di fuori del campo di applicazione dell’Iva, in assenza del requisito della territorialità, in quanto i beni non si trovano nel territorio dello Stato nel momento in cui si realizzano gli effetti traslativi della proprietà con la loro cessione. Gli istituti doganali richiamati nella nota del 5 giugno 2000, relativi al regime della temporanea esportazione ai sensi dell’art. 214 del T.U.L.D. ed all’utilizzo del carnet A.T.A. ex art. 91 del Codice doganale comunitario, sono riferibili ed applicabili anche alle manifestazioni fieristiche, le quali, unitamente alla tentata vendita, sono espressamente annoverate tra le fattispecie rientranti nel “traffico internazionale” in regime di temporanea importazione ed esportazione ex art. 214, comma 2, del D.P.R. n. 43/1973. A chiudere definitivamente la questione è poi intervenuta l’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 58/E del 5 maggio 2005 che, avendo per oggetto specifico la fattispecie dell’invio all’estero di beni in esecuzione di contratti di “consignment stock”, si pronuncia in modo diretto anche sul conto deposito. Nel citato documento di prassi, infatti, pur ammettendosi i presupposti per considerare realizzata una cessione all’esportazione non imponibile ex art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 in presenza di un contratto di “consignment stock”, si sottolinea come “non si potranno formulare, invece, le stesse considerazioni in mancanza di un contratto di consignment stock, ovvero in una fattispecie in cui l’operatore nazionale invia merci verso un proprio deposito situato in un paese terzo per la successiva rivendita; in tal caso, infatti, all’atto dell’esportazione delle merci non si verifica alcuna cessione a titolo oneroso e la rivendita effettuata nel paese terzo non rileverà agli effetti dell’Iva ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972”. L’invio dei beni in un proprio deposito all’estero oppure, analogamente, presso il magazzino di un agente estero con cui si è stipulato un contratto di agenzia con deposito, avviene in assenza di vendite già effettuate a clienti e, pertanto, non realizza, secondo l’orientamento consolidato dell’Agenzia delle entrate, una cessione all’esportazione ex art. 8 del decreto Iva. Ciò che rileva, in tale ottica interpretativa, è che i beni si trovano nel Paese estero nel momento in cui la cessione ha luogo e si verifica l’effetto traslativo della proprietà. Tale orientamento, nella sostanza, è coerente con la normativa comunitaria di cui agli artt. 31 e 32 direttiva n. 2006/112/CE. L’art. 31 della direttiva, infatti, stabilisce che se il bene oggetto di vendita non viene spedito o trasportato, si considera come luogo in cui avviene la cessione “il luogo dove il bene si trova al momento della cessione”.

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Per i beni, invece, destinati ad essere spediti o trasportati (dal fornitore, dall’acquirente o da un terzo), secondo l’art. 32, paragrafo 1, della direttiva, si considera come luogo della cessione quello “dove il bene si trova al momento iniziale della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente”.

1.3 LE “APERTURE” DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

Il rigore interpretativo consolidatosi negli anni dal 1997 al 2005, nell’ottica applicativa dell’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, ha comportato rilevanti effetti negativi per gli operatori con l’estero, privati della possibilità di costituirsi plafond spendibile nonostante la propensione a vendere i propri prodotti all’estero tramite depositi o centri di logistica. Fortunatamente, tale rigore è stato mitigato già con la risoluzione n. 58/E del 5 maggio 2005 e, successivamente, con l’importante apertura contenuta nella risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013. Con la risoluzione n. 58/E del 05.05.2005, l’Agenzia delle entrate si è pronunciata sul caso specifico del contratto di “consignment stock” stipulato con operatori extracomunitari, caratterizzato dal fatto che il trasferimento della proprietà in capo all’acquirente estero si verifica solo al momento del prelievo dei beni dal deposito di quest’ultimo, rimanendo di proprietà del fornitore residente fino a tale momento. L’Agenzia ha considerato estensibili anche a tale fattispecie le conclusioni raggiunte in passato in riferimento ai contratti di consignment stock stipulati con operatori stabiliti in Stati membri della Comunità europea, con la risoluzione n. 235 del 18 ottobre 1996 e la risoluzione n. 44 del 10 aprile 2000. Viene evidenziato, infatti, che, nel caso di specie “all’atto dell’espletamento delle formalità doganali di esportazione si è in presenza di una cessione a titolo oneroso delle merci in uscita, cessione che, in virtù delle pattuizioni di cui al contratto di consignment stock, è realizzata secondo un procedimento che si perfezionerà solo in un secondo momento, all’atto del prelievo dal deposito”. Nell’ottica dell’Agenzia, quindi, al momento dell’esportazione (definitiva) il contratto di compravendita è già stato concluso fra le parti, con la particolarità che l’effetto traslativo del passaggio della proprietà dei beni al depositario estero, quale unico acquirente, avverrà con effetto differito al momento del prelievo dei beni dal deposito. In tale fattispecie, pertanto, si realizzano i presupposti per configurare delle cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, costituendosi il plafond nel momento e nella misura in cui i beni sono prelevati dall’acquirente/depositario e fatturati dal fornitore residente. Con la successiva risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013, viene, di fatto, integrato ed ampliato il perimetro applicativo della risoluzione n. 58/E del 2005, estendendolo anche ad ipotesi diverse dal consignment stock inteso nella sua accezione “canonica” come delineata dai precedenti documenti di prassi (ris. n. 235 del 18.10.1996 e ris. n. 44 del 10.04.2000).

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La fattispecie oggetto della risoluzione n. 94/E del 2013 ha ad oggetto la fornitura in esclusiva di beni (pompe) ad una società statunitense da installare all’interno di macchinari complessi; per garantire le tempistiche di consegna, il fornitore residente si impegna a costituire un proprio deposito negli Stati Uniti presso i locali di una sua società controllata americana, ove stoccare i beni. I beni sono, conseguentemente, esportati con procedura doganale di “franco valuta”, in quanto non ancora giuridicamente venduti ma destinati ad essere stoccati nel deposito, pronti per essere consegnati all’unico acquirente rispettando le tempistiche di approvvigionamento di quest’ultimo. Fino al momento della successiva vendita i beni rimangono di proprietà del fornitore residente. In tale contesto, la vendita dei beni all’unico cliente americano è l’effetto “naturale” dell’esportazione, in presenza di obblighi contrattuali vincolanti assunti da entrambe le parti. Il passaggio della proprietà è già previsto ed è solo rinviato al momento di esecuzione del contratto di compravendita conseguente gli ordini trasmessi dal cliente americano. La particolarità della fattispecie oggetto della risoluzione n. 94/E del 2013, è rappresentata dal fatto che i beni sono stoccati in un deposito che non è di proprietà dell’acquirente o di un terzo, in cui i beni sono custoditi per conto dell’acquirente che ha l’accesso ai locali, ma è nella disponibilità del fornitore residente. Nonostante la presenza dell’importante elemento di differenziazione connesso alla disponibilità del deposito, l’Agenzia estende comunque gli aspetti fiscali del consignment stock anche alla fattispecie oggetto d’interpello, evidenziando che “le merci, ancorchè stoccate in un deposito di proprietà della controllata statunitense, di cui l’interpellante ha la disponibilità in virtù del contratto di locazione appositamente stipulato, appaiono vincolate, sin dall’inizio, all’esclusivo trasferimento in proprietà del cliente estero in relazione alle sue esigenze di approvvigionamento”. L’Agenzia, quindi, configura anche in questo caso la sussistenza di cessioni all’esportazione non imponibili ex art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, rilevanti anche ai fini del plafond, che si realizzano al momento del prelievo dei beni dal deposito per la consegna all’acquirente estero. Viene anche pienamente confermata la validità delle indicazioni fornite con la risoluzione n. 520657 del 04.12.1975, relative alla dimostrazione del collegamento tra i beni esportati con procedura “franco valuta”, documentati con fattura pro forma o lista valorizzata, in assenza di vendita, e quelli ceduti secondo gli accordi contrattuali, documentati da regolare fattura. Il collegamento tra esportazione e successiva cessione è così dimostrato con le seguenti modalità:

• annotazione delle spedizioni dei beni all’estero in apposito registro tenuto ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972, “riportando per ciascuna annotazione gli estremi del documento di esportazione”;

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• indicazione nella fattura di vendita, emessa al momento della consegna dei beni al cliente estero, della “corrispondente annotazione del registro relativa ai medesimi prodotti”.

Sulla base della portata interpretativa dell’“apertura” di cui alle risoluzioni n. 58/E del 2005 e n. 94/E del 2013, si ritiene ragionevole ammettere la fatturazione in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, del decreto Iva, anche per i “passaggi” di beni tra committente residente e commissionario extracomunitario disciplinati dal combinato disposto degli articoli 2, comma 2, n. 3), 6, comma 2, lett. b), e 13, comma 2, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972. Tali “passaggi”, ai fini della normativa Iva costituiscono, per “fictio iuris”, a tutti gli effetti delle cessioni di beni (art. 2, comma 2, n. 3) che, come tali, devono essere oggetto di fatturazione nei rapporti tra commissionario e cliente finale e, a monte, nei rapporti tra committente e commissionario, non rilevando autonomamente il compenso (commissione) spettante al commissionario (art. 13, comma 2, lett. b). Il contratto di commissione, in effetti, integra un’ipotesi di intermediazione “opaca” per l’acquisto o la vendita di beni, dove il commissionario agisce in nome proprio anche se per conto del committente (art. 1731 c.c.). Anche in tale fattispecie, quindi, si è nella situazione in cui, in base al contratto di commissione, vi è un unico acquirente a cui fatturare le cessioni di beni in precedenza esportati con destinazione, per esempio, al deposito gestito dal commissionario estero. La fatturazione, sebbene per finzione giuridica, è monodirezionale al commissionario estero che, ai fini Iva è il cessionario da indicare in fattura ed è l’unico soggetto che, “cartolarmente”, può acquistare i beni. Sul punto, pur in assenza di prese di posizione ufficiali, si ritiene plausibile applicare al contratto di commissione l’approccio estensivo già adottato dall’Agenzia, sebbene tale impostazione non sia priva di rischi e meriti certamente una conferma ufficiale.

1.4 L’ULTIMO ORIENTAMENTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La posizione consolidata dell’Agenzia delle entrate, secondo cui la cessione di beni che si trovano all’estero, perché ivi precedentemente esportati, costituisce un’operazione extraterritoriale ai sensi dell’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, è stata recentemente disattesa dalla giurisprudenza di legittimità. Con la sentenza n. 5168 del 16 marzo 2016 che ribadisce il contenuto della precedente sentenza n. 5894 dell’8 marzo 2013, entrambe aventi ad oggetto la cessione di beni all’estero nell’ambito di esposizioni fieristiche, la Cassazione ha affermato che “l’esportazione temporanea, a fini di esposizione fieristica e tentativo di vendita, con successiva cessione, dei beni esportati, con controllo dell’autorità doganale ed adempimento dei relativi incombenti (D.P.R. 43 del 1973, art. 214), vale certamente ad integrare la cessione all’esportazione ex art. 8, lett. a) e b), come tale riconducibile al plafond costituito nell’anno precedente, utilizzabile, nell’anno successivo, ai fini dell’acquisto senza applicazione dell’IVA”.

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Con tali sentenze, la Corte di Cassazione dimostra di attribuire principale rilievo al concetto di esportazione sotto l’aspetto doganale, lasciando in secondo piano gli aspetti giuridico-fiscali connessi al concetto di “cessione all’esportazione” che si fondano sugli artt. 31 e 32 della direttiva n. 2006/112/CE. Si afferma, infatti, che “la vendita della merce temporaneamente esportata, che conserva – come detto – la condizione giuridica di bene nazionale, vale, pertanto, a determinare, nel caso di specie, la trasformazione dell’esportazione temporanea, cui la merce è vincolata, per effetto del compimento delle formalità doganali e per le finalità di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 199 e 214 in esportazione definitiva, come tale rilevante anche ai fini della non imponibilità delle operazioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, lett.c)”. Agli stessi esiti finali delle sentenze n. 5168 del 16 marzo 2016 e n. 5894 dell’8 marzo 2013, era giunta anche la sentenza n. 23588 del 20 dicembre 2012 sebbene con un percorso interpretativo diverso, fondato sul vincolo “finalistico” fra l’esportazione ed il successivo trasferimento della proprietà. Per la Cassazione, infatti, “non si riscontra disposizione né esigenza sistematica che imponga una sequenza temporale vincolata degli effetti della transazione nel senso della necessaria anteriorità dell’effetto traslativo del diritto reale rispetto a quello dell’uscita della merce dal territorio comunitario”. Pertanto, “l’accezione “cessione all’esportazione”, utilizzata dalla disposizione, appare, infatti, denunciare la necessaria ricorrenza di un vincolo finalistico tra trasferimento della proprietà e esportazione, ma non anche quello di un’obbligata successione temporale tra i due termini dell’operazione”. La sentenza continua affermando che “sul piano sistematico, poi, l’osservanza del richiamato principio della tassazione dei beni nel luogo di consumazione richiede solo il carattere definitivo dell’operazione, sicchè ciò che risulta essenziale, e che la norma persegue al fine di evitare iniziative fraudolente, è la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine e nella relativa rappresentazione documentale, sia stata concepita in vista del definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero”.

1.5 CONCLUSIONI

Le citate sentenze della Corte di Cassazione non paiono pienamente condivisibili e, per i motivi già indicati, non si ritiene siano coerenti con la direttiva comunitaria, sebbene propongano un iter interpretativo non privo di ragionevolezza. Sulla base di quanto fin qui osservato, pertanto, si considera comportamento corretto e, quantomeno prudente, quello di seguire comunque l’orientamento dell’Agenzia delle entrate, in attesa di futuri sviluppi in esito ai quali la giurisprudenza di legittimità si consolidi in senso diverso. Per il momento, le predette sentenze costituiscono certamente un valido supporto ai fini della gestione di un eventuale contenzioso con l’Amministrazione finanziaria.

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2. BENI SOTTOPOSTI A LAVORAZIONE NEL TERRITORIO DELLO STATO PRIMA DI ESSERE ESPORTATI

Le novità sulla territorialità delle prestazioni di servizi entrate in vigore nel 2010, hanno comportato un notevole cambiamento nella gestione delle procedure amministrative aziendali in materia di fatturazione, con effetti rilevanti nell’applicazione dell’Iva e sul plafond per gli esportatori abituali. Ciò ha comportato difficoltà concrete nel recepire le nuove regole che, in molti casi, non sono state “comprese” dagli operatori, abituati per lungo tempo ad adottare procedure consolidate che sono state replicate come tali anche dopo il 2009.

2.1 LE ESPORTAZIONI “CONGIUNTE” CON LAVORAZIONE

Il caso dei servizi di lavorazione è sicuramente uno dei più importanti e merita di essere esaminato con attenzione in relazione ai rapporti internazionali. Nell’ambito delle transazioni commerciali con l’estero, intervenute tra operatori economici residenti in Stati diversi, è frequente che i beni venduti da parte dei fornitori nazionali (materie prime, semilavorati, parti componenti o prodotti finiti), vengano sottoposti a specifici trattamenti nel territorio dello Stato, in vista dell’esportazione in paesi extracomunitari successivamente alla loro lavorazione. In questo caso, sono due i soggetti residenti coinvolti nella transazione commerciale con l’estero e, più precisamente, il fornitore dei beni ed il terzista incaricato delle prestazioni di lavorazione, le quali possono essere di natura e contenuto anche molto diverso. In una situazione di questo tipo, spesso accade che il soggetto terzista, detentore dei beni ottenuti per effetto della fase di lavorazione, sia incaricato di curarne le operazioni di esportazione. Trattandosi di operazioni complesse che implicano comunque un’esportazione, è di rilevante importanza conoscere, per entrambi i soggetti residenti, la corretta applicazione del regime agevolativo della non imponibilità disciplinato nell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, in relazione ai singoli casi che si possono presentare nella prassi operativa e, soprattutto, tenendo presente il ruolo assunto dal soggetto non residente, se esclusivamente cliente del fornitore od anche committente delle prestazioni di lavorazione. In merito, si può osservare che l’affidamento dei beni in lavorazione ad un soggetto residente nel territorio dello Stato, prima che vengano adempiute le formalità doganali, non interrompe la cessione all’esportazione. Per le esportazioni regolate dall’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, la norma consente l’applicazione del regime di non imponibilità per il soggetto residente cedente dei beni nonostante gli stessi vengano sottoposti, “ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, montaggio, assiemaggio o adattamento ad altri beni”.

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Tale possibilità è concessa con riferimento alle esportazioni “dirette” di cui alla lettera a) del già citato art. 8, a differenza di quanto avviene per le esportazioni “indirette”, effettuate a cura del cessionario non residente o per suo conto, ove tale agevolazione non è prevista. Al fine di poter fruire del regime di non imponibilità da parte di entrambi gli operatori economici italiani, fornitore e terzista, occorre che vengano verificate le seguenti condizioni:

• l’esportazione deve essere effettuata da o per conto del prestatore del servizio di lavorazione;

• il committente del servizio di lavorazione deve essere un soggetto residente in un paese extracomunitario.

Solo al contemporaneo verificarsi delle due condizioni sopra indicate può realizzarsi l’esportazione “congiunta”, così definita nella prassi in quanto consente ad entrambi gli operatori nazionali, il fornitore dei beni ed il prestatore del servizio, di emettere fattura senza addebito dell’imposta. In particolare, si sottolinea che l’esportazione dei prodotti finiti, post lavorazione, non può avvenire a cura del cessionario/committente extracomunitario o per suo conto poiché, in tal caso, la fattispecie rientrerebbe nell’art. 8, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972 che non contempla l’ipotesi della lavorazione dei beni prima della loro esportazione. Più specificamente, l’impresa residente fornitrice (cedente dei beni) emette fattura in regime di non imponibilità Iva ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 per cessioni all’esportazione, mentre l’impresa italiana terzista emette, a decorrere dal gennaio 2010, fattura non soggetta ad Iva ex art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972 nei confronti del committente extracomunitario per le prestazioni di lavorazione, trattandosi di servizi “generici”. Sulla fattura emessa dal terzista, deve essere riportata l’annotazione obbligatoria “operazione non soggetta”, ai sensi di quanto previsto dall’art. 21, comma 6-bis, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972. Quanto alle pratiche doganali ed alla documentazione necessaria per fornire la prova dell’esportazione, si sottolinea che occorre presentare alla Dogana competente entrambe le fatture e, quindi, sia quella relativa alla cessione ex art. 8, recante l’addebito del prezzo di vendita dei beni, sia la fattura riguardante la lavorazione emessa ai sensi dell’art. 7-ter, con l’indicazione del corrispettivo della prestazione di servizi. Il documento doganale di esportazione deve essere intestato ad entrambi gli operatori nazionali e su di esso devono essere riportati i due corrispettivi della cessione di beni e della prestazione di servizi, così come espressamente affermato nella risoluzione n. 470074 del 30 luglio 1990 che completa ed integra la precedente circolare ministeriale n. 73/400122 del 19 dicembre 1984.

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Il contenuto dei due documenti di prassi sopra citati è tuttora attuale quanto ai riflessi in tema di adempimenti doganali, sebbene tali pronunce dell’Amministrazione finanziaria risalgano al periodo ante 2010, in cui era ancora applicabile al caso di specie l’art. 9, comma 1, n. 9), del D.P.R. n. 633/1972 per i “servizi internazionali” di lavorazione. Dal punto di vista operativo, infatti, l’operazione di triangolazione è sempre la stessa, essendo cambiato esclusivamente il regime Iva della fatturazione a seguito delle nuove regole di territorialità dei servizi entrate in vigore nel 2010. Quanto alla problematica degli oneri probatori, la stessa è particolarmente rilevante per l’impresa italiana fornitrice dei beni poi lavorati, trasformati, assiemati o montati su altri beni, la quale dovrà prestare la massima attenzione alla puntuale redazione dei documenti contrattuali, contabili e di trasporto, per dimostrare il collegamento all’operazione di esportazione dei beni ceduti all’acquirente extracomunitario. In tale contesto, è rilevante la lettera d’incarico ricevuta dall’acquirente estero che specifica la destinazione dei beni al terzista da lui designato, nonché il documento di trasporto o il d.d.t. annotato con la puntuale descrizione dei beni e la causale dell’invio “in conto lavorazione” presso il soggetto italiano prestatore dei servizi indicato dal committente.

2.2 IL RAPPORTO TRA L’ART. 7-TER E L’ART. 9, COMMA 1, N. 9), DEL D.P.R. N. 633/1972

Come sopra indicato, per effetto delle nuove regole di territorialità dei servizi, dal 2010 non è più applicabile alle prestazioni di lavorazione rese a committenti extracomunitari l’art. 9, comma 1, n. 9), del D.P.R. n. 633/1972, poiché si è in presenza di un servizio extraterritoriale ai sensi dell’art. 7-ter che, in quanto tale, si pone di per sé al di fuori del campo applicativo dell’Iva per l’assenza del presupposto della territorialità. In tale ottica, la verifica dell’imponibilità o meno dell’operazione è cosa inutile. Tali conclusioni sono ben chiare anche alla stessa Agenzia delle entrate che, per eliminare ogni dubbio al riguardo, dedica il paragrafo 5 della circolare n. 37/E del 29.07.2011 proprio all’impatto della nuova disciplina sulla territorialità delle prestazioni di servizi sulle operazioni non imponibili. Viene, così, sottolineato come le modifiche di legge “in materia di territorialità, impongono altresì una riconsiderazione dell’attuale ambito di operatività delle disposizioni di cui all’art. 9, primo comma, del D.P.R. n. 633”, precisando che “tale disposizione continua a trovare applicazione per le operazioni che rientrano nel campo di applicazione dell’imposta ai sensi dei precedenti articoli da 7 a 7-septies”. Quanto ai rapporti B2B, per i quali il criterio di territorialità è quello del luogo ove è stabilito il committente del servizio, la circolare ha modo di precisare che sono irrilevanti ai fini Iva le prestazioni rese nei confronti di un committente non stabilito

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nel territorio dello Stato, “ancorchè la fattispecie sia presa in considerazione anche dall’art. 9, primo comma”. Tali operazioni, prosegue la circolare, in quanto extraterritoriali ai sensi dell’art. 7-ter, sono irrilevanti ai fini del “plafond” degli esportatori abituali. Al riguardo, occorre prestare la massima attenzione a tali prestazioni di servizi, per evitare di reiterare il regime di non imponibilità ex 9, comma 1, n. 9), del D.P.R. n. 633/1972 nei casi, come quello di specie, in cui lo stesso non è più applicabile a causa delle nuove regole sulla territorialità dei servizi; l’applicazione errata in tale norma, infatti, comporta l’illegittima fatturazione di operazioni non imponibili rilevanti ai fini del “plafond”.

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3 IL REGIME IVA DEGLI ACCONTI SU ESPORTAZIONI SECONDO I PRINCIPI DELLA SENTENZA N. 10606/2015 DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La sentenza della Corte di Cassazione n. 10606 del 22 maggio 2015, offre lo spunto per “aggiornare” il quadro interpretativo complessivo della giurisprudenza nazionale e comunitaria sul tema degli acconti in generale e, in particolare, degli acconti su operazioni di esportazione.

3.1 NATURA DEGLI ACCONTI E REGIME DI FATTURAZIONE

Il regime Iva applicabile agli acconti è quello relativo all’operazione nel cui ambito vengono previsti, in conformità agli accordi intervenuti fra le parti, in quanto non hanno una loro autonomia specifica, rappresentando un adempimento parziale del più generale obbligo di pagamento del corrispettivo. Tale concetto è stato condiviso dall’Amministrazione finanziaria, la quale, proprio in tema di esportazioni, con la circolare n. 4/411169 del 15 gennaio 1977 ha affermato che “rappresentando tali anticipi l’adempimento parziale dell’obbligazione cui si riferiscono, essi non hanno un’autonoma fisionomia giuridica e debbono, pertanto, essere ricondotti all’obbligazione stessa anche per quanto concerne la regolamentazione fiscale”. Gli acconti su operazioni di esportazione, quindi, anche se non immediatamente connessi alla spedizione dei beni all’estero, devono comunque essere fatturati in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, con l’annotazione “operazione non imponibile” apposta ai sensi di quanto previsto dall’art. 21, comma 6, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972. Nella fattura di saldo, in caso di acconti parziali, e nella fattura c.d. “riepilogativa”, in caso di pagamento integralmente anticipato, è quantomeno opportuno (se non necessario) indicare che si tratta di acconti previsti contrattualmente. In tale ottica, sono anche gli altri documenti di prassi con i quali è stato ribadito che gli acconti non sono soggetti ad Iva in quanto i relativi incassi si devono considerare “giuridicamente e direttamente dipendenti da un unico contratto avente per oggetto cessioni di beni all’esportazione, non imponibili ad IVA” (risoluzione n. 125/E del 7 settembre 1998 e, nello stesso senso, risoluzione n. 525446 del 18 aprile 1975). La rilevanza del contratto che disciplina compiutamente l’operazione di compravendita ed il pagamento degli acconti del prezzo stabilito è, dunque, l’elemento centrale.

3.2 LA RILEVANZA DEL CONTRATTO

Il caso oggetto della sentenza n. 10606 del 22 maggio 2015, riguarda una contestazione in materia di fatturazione di acconti in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972 che, nonostante le difficoltà di lettura della sentenza, offre comunque al Giudice di legittimità l’occasione per enunciare il criterio interpretativo di riferimento per attribuire la natura di acconti, ai sensi della normativa Iva, ai

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pagamenti di somme anticipati rispetto alla consegna o spedizione del bene (un macchinario industriale specificamente individuato, nel caso di specie). La Corte di Cassazione conferma, in prima battuta, che l’Iva diventa esigibile con il pagamento di acconti ai sensi dell’art. 6, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, essendo l’operazione considerata “effettuata” sebbene in via anticipata rispetto al momento “canonico” della consegna o spedizione dei beni, in linea con le precedenti pronunce citate. Nel passaggio immediatamente successivo della sentenza, viene poi enunciato il principio generale secondo cui, affinchè l’imposta possa diventare esigibile, e quindi possa considerarsi effettuata ai fini Iva l’operazione (cessione di beni o prestazione di servizi), occorre verificare che tutti gli elementi qualificanti di tale futura operazione, con cui si realizza il fatto generatore dell’imposta, siano già conosciuti dalle parti e che, quando vengono pagati gli acconti, i beni o i servizi cui si riferiscono siano specificamente individuati. In sostanza, il versamento di un acconto del prezzo in via anticipata implica l’obbligo di emettere la fattura, ma ciò avviene solo se esiste un collegamento immediato e diretto con la futura operazione (cessione di beni o prestazione di servizi) di cui l’acconto è parte. Il riferimento agli accordi contrattuali deve comunque essere tenuto in debito conto dagli operatori, in quanto, proprio in virtù del fatto che l’acconto costituisce l’adempimento parziale di una precisa obbligazione assunta, la futura cessione deve essere già conosciuta nei suoi dettagli al momento dei pagamenti anticipati. Tale principio è delineato dal Giudice di legittimità aderendo espressamente ai canoni interpretativi elaborati dalla Corte di giustizia, citando la sentenza pronunciata nella causa C-419/02. Nella sentenza del 21 febbraio 2006, causa C-419/02, caso “BUPA Hospitals Ltd”, punto 48, il Giudice europeo, infatti, sottolinea come “nel momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano specificamente individuati”. Occorre, dunque, che l’acconto sia riferito ad operazioni esattamente delineate nei loro aspetti contrattuali con riguardo alla tipologia dei beni ed alle relative quantità, per evitare che le somme anticipate vengano disconosciute come acconti in senso proprio, con i conseguenti rischi di possibile applicazione alle stesse di regimi Iva differenti da quello adottato. In presenza di accordi non chiaramente disciplinati che non consentono di definire compiutamente l’operazione, infatti, le somme incassate dal fornitore prima di effettuare la consegna o spedizione dei beni all’estero, con specifico riferimento alle esportazioni, potrebbero essere inquadrate giuridicamente come depositi cauzionali o caparre che, in un’ottica di strategia commerciale, hanno la funzione di “prenotare” la fornitura garantendo la serietà delle intenzioni dell’acquirente. Tali somme, pagate in anticipo per “vincolare” il fornitore nei confronti dell’acquirente, potrebbero, quindi, non essere considerate come acconti del prezzo di acquisto, ma

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come somme versate in base ad un titolo giuridico diverso ed autonomo rispetto alla compravendita, fuori del campo di applicazione dell’Iva non avendo natura corrispettiva. In base al contenuto del contratto, le pattuizioni che potrebbero indurre gli Organi di controllo a disconoscere la natura di acconti ai pagamenti anticipati, potrebbero, a titolo esemplificativo, essere le seguenti:

• la previsione di una somma forfettaria da versare per beni indicati in modo generico in un elenco che può essere successivamente modificato di comune accordo fra le parti e nell’ambito del quale l’acquirente può scegliere quali articoli comprare;

• la clausola che prevede la facoltà di recesso unilaterale dell’acquirente esercitabile in qualsiasi momento, con la restituzione della parte non utilizzata del versamento anticipato.

Il contratto in forma scritta che definisca chiaramente la natura di acconti dei pagamenti anticipati è, quindi, una necessità.

3.3 L’EFFETTIVA CONNESSIONE DEGLI ACCONTI A BENI SUCCESSIVAMENTE ESPORTATI

Nel caso specifico delle cessioni all’esportazione, inoltre, il contratto scritto è fondamentale, unitamente ai termini di resa richiamati e ai documenti di trasporto e commerciali utilizzati, per dimostrare in modo inequivocabile come i beni siano effettivamente destinati, fin dall’origine, ad uscire dal territorio nazionale (e dell’Unione europea). L’acconto fatturato in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972 a fronte di una cessione all’esportazione, infatti, richiede necessariamente che i beni cui si riferisce siano successivamente spediti o trasportati in un Paese extracomunitario con il corredo delle prove che l’esportazione è stata realmente effettuata. Il contratto scritto, in cui l’operazione di esportazione è esattamente descritta, è il documento fondamentale dove far risultare la volontà delle parti, soprattutto nel caso di operazioni complesse come quelle triangolari. Se, quindi, in presenza di reali motivazioni, l’operazione di esportazione non viene eseguita e, in seguito alla patologia effettiva del rapporto, il contratto è risolto, il venir meno dell’operazione implica la necessità di “regolarizzarla” a livello contabile, avendo il fornitore residente la facoltà di procedere con la nota di accredito emessa ai sensi dell’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, con lo stesso regime di non imponibilità ex art. 8 del decreto Iva per “stornare” l’acconto non assoggettato ad Iva. Poter dimostrare, sulla base del contratto e di tutti i documenti commerciali ad esso collegati, che l’acconto è pagato a fronte di una cessione all’esportazione effettivamente concordata secondo la reale volontà delle parti, è un importante viatico per evitare alla radice qualsiasi diverso avviso degli Organi di controllo.

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In sede di verifica, infatti, a fronte di fatture di acconto emesse in regime di non imponibilità ex art. 8 del D.P.R. n. 633/1972 non seguite da successive esportazioni, potrebbero essere teoricamente contestate operazioni “abusive” o, nel peggiore dei casi, operazioni inesistenti artificiosamente formalizzate con finalità illecite penalmente rilevanti ai fini tributari. Quanto al primo aspetto, si deve sottolineare come la fatturazione anticipata e le variazioni in diminuzione siano fattispecie considerate dall’Amministrazione finanziaria, in linea generale, come idonee a realizzare ipotesi di abuso di diritto (circolare n. 67/E del 13 dicembre 2007). Con riguardo all’ambito penale, sempre in linea generale, si rileva come la Corte di Cassazione abbia ritenuto anche le fatture di acconto, emesse a fronte di operazioni future ed incerte che non si sono successivamente realizzate, come “inesistenti”, in assenza di un’operazione reale (cfr. sentenza n. 6842 del 17 febbraio 2015 e n. 19907 del 26 maggio 2010). L’emissione di nota di accredito ex art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, sempre in linea generale ed in tema di operazioni imponibili, presuppone, ai fini della regolarità della procedura di variazione in diminuzione, la realizzazione di un’operazione, per la quale sia stata emessa fattura, “che sia vera e reale e non già inesistente” (sentenza n. 8535 dell’11 aprile 2014). Con specifico riferimento agli acconti su cessioni all’esportazione ed all’impatto sul plafond delle note di accredito ad essi relative emesse nell’anno successivo, l’effettività delle operazioni ha un ruolo centrale nella procedura da seguire, sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità. Con la sentenza n. 15059 del 2 luglio 2014, la Corte di Cassazione pare aver assunto una posizione diversa rispetto a quella dell’Amministrazione finanziaria secondo cui le note di accredito, annullando “ex tunc” le fatture emesse e registrate nell’anno precedente, possono comportare un’automatica corrispondente riduzione del plafond dell’anno precedente, potendo determinare, per quell’anno, uno splafonamento determinatosi a posteriori, come indicato nella circolare n. 8/D del 27 febbraio 2003 dell’Agenzia delle Dogane. La Cassazione, infatti, afferma che “deve presumersi che la norma di cui all’articolo 26, operi su un piano diverso da quello di cui alla Legge n. 28 del 1997, articolo 2, comma 2. I presupposti di fatto del diritto di cui all’articolo 26, attengono a circostanze sopravvenute all’operazione, che sono quelle tipicamente previste dalla norma. L’effettività dell’operazione non è così da intendere come originariamente mancante, ma soltanto venuta meno nei limiti dei casi previsti dalla legge. Alle condizioni previste dall’articolo 26, può quindi essere esercitato il diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione senza che questo intacchi il plafond determinatosi nell’anno precedente”.

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4. I TERMINI PER LE ESPORTAZIONI INDIRETTE DI BENI AGGIORNATI DALL’AGENZIA DELLE ENTRATE CON LA RISOLUZIONE N. 98/E DEL 10 NOVEMBRE 2014

Con la risoluzione n. 98/E del 10 novembre 2014, l’Agenzia delle entrate è intervenuta sullo specifico tema rappresentato dagli aspetti sanzionatori relativi alle esportazioni “indirette”, in ciò sollecitata dalle pressanti richieste di chiarimenti originate dalla sentenza della Corte di giustizia del 19 dicembre 2013, nella causa C-563/12. Il giudice europeo, infatti, con la predetta sentenza si è pronunciato sul regime esentativo delle esportazioni curate dal cessionario estero, fornendo un’interpretazione chiara della normativa comunitaria, confliggente, almeno in parte, con la disciplina interna in tema di sanzioni come interpretata nella prassi ordinaria dell’Amministrazione finanziaria.

4.1 LA NORMATIVA COMUNITARIA

La normativa comunitaria di cui alla direttiva n. 2006/112/CE del 28.11.2006 non prevede dei termini di legge per effettuare le cessioni all’esportazione a cui subordinare il regime di esenzione, né per le esportazioni dirette, né per le esportazioni indirette che avvengono a cura del cessionario non residente o per suo conto. L’unico caso in cui l’esenzione da IVA è condizionata al rispetto di un termine per trasferire i beni fuori della Comunità europea, è rappresentato dal trasporto dei beni nel bagaglio personale dei viaggiatori. Le esenzioni all’esportazione sono previste, fra le altre, per le cessioni di beni indicate nel Capo 6 del Titolo IX della direttiva, negli articoli 146 e 147. Quanto alla definizione di “cessione di beni”, la stessa è contenuta nell’art. 14, paragrafo 1, della direttiva, ai sensi del quale con tale termine si intende “il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario”. L’art. 146, paragrafo 1, lett. a), si riferisce alle “cessioni di beni spediti o trasportati, dal venditore o per suo conto, fuori della Comunità”, mentre, nella successiva lett. b), indica “le cessioni di beni spediti o trasportati da un acquirente non stabilito nel loro rispettivo territorio, o per conto del medesimo, fuori della Comunità, ad eccezione … (omissis) …”. L’art. 147, paragrafo 1, lett. b), prevede un’eccezione alla generalizzata mancanza di un termine per le esportazioni, stabilendo che “qualora la cessione di cui all’art. 146, paragrafo 1, lett. b), riguardi beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori, l’esenzione si applica soltanto se sono soddisfatte le condizioni seguenti: a) il viaggiatore non è stabilito nella Comunità; b) i beni sono trasportati fuori della Comunità entro il terzo mese successivo a quello in cui è effettuata la cessione; c) il valore complessivo … (omissis) …”. Nel Capo 1 del medesimo Titolo IX della direttiva, si trova l’art. 131 che contiene precise indicazioni indirizzate agli Stati membri, prevedendo che “le esenzioni previste ai capi da 2 a 9 si applicano, salvo le altre disposizioni comunitarie e alle condizioni che gli Stati

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membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso”.

4.2 LA NORMATIVA INTERNA

La normativa interna è sostanzialmente allineata a quella comunitaria, con un elemento di differenziazione in merito alle esportazioni “indirette”, per le quali il legislatore nazionale ha previsto un preciso termine per effettuare l’esportazione avvalendosi della facoltà concessa dall’art. 131 della direttiva. La norma di cui all’art. 146, paragrafo 1, lett. a), della direttiva n. 2006/112/CE, corrisponde alla disposizione di cui all’art. 8, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 633/1972, relativa alle esportazioni “dirette”, in cui non è previsto un termine per dare esecuzione alla pratica di esportazione dei beni ceduti destinati a Paesi extracomunitari, mentre la norma di cui all’art. 146, paragrafo 1, lett. b), corrisponde alla disposizione di cui all’art. 8, comma 1, lett. b), relativa alle esportazioni “indirette”, in cui è previsto il termine di 90 giorni, decorrenti dalla consegna dei beni, entro cui effettuare il trasporto o la spedizione fuori del territorio comunitario. Quanto alle esportazioni “indirette”, la previsione del termine è corredata dalla relativa norma sanzionatoria contenuta nell’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997, ai sensi del quale “chi effettua cessioni di beni senza addebito d’imposta, ai sensi dell’articolo 8, primo comma, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, relativo alle cessioni all’esportazione, è punito con la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento del tributo, qualora il trasporto o la spedizione fuori del territorio dell’Unione europea non avvenga nel termine ivi prescritto. La sanzione non si applica se, nei trenta giorni successivi, viene eseguito, previa regolarizzazione della fattura, il versamento dell’imposta”. Nel capitolo 3 della circolare ministeriale n. 23/E del 25.01.1999, dedicato alle violazioni relative alle esportazioni, nel paragrafo 3.1 relativo alla fattispecie del mancato trasporto o spedizione dei beni fuori del territorio dell’Unione europea disciplinato dall’art. 8, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972, è sottolineato che il cedente dei beni “ove non sia in grado di provare l’avvenuto trasporto o spedizione, è altresì soggetto al pagamento dell’imposta”. Dal tenore letterale dell’espressione sopra citata, pare ragionevole desumere che al cedente residente, il quale non ha “regolarizzato” la mancata esportazione dei beni nel termine dei 30 giorni di cui all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997 (sia ai fini della fatturazione sia versando l’Iva dovuta), possa essere richiesta esclusivamente la sanzione, e non anche l’imposta, se i beni sono stati effettivamente esportati (ed il cedente è in grado di dimostrarlo) sebbene in un momento successivo alla scadenza del termine dei 90 giorni previsto dall’art. 8, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972; di fatto, il cedente residente non verrebbe privato in via definitiva del regime di esenzione per il solo fatto che l’esportazione dei beni è avvenuta successivamente al termine di 90 giorni dalla loro consegna.

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È proprio su tale tema che, opportunamente, si è pronunciata l’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 98/E del 2014, all’indomani della sentenza della Corte di giustizia del 2013.

4.3 LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 19 DICEMBRE 2013

Con la sentenza del 19.12.2013, nella causa C-563/12, la Corte di giustizia è intervenuta su una domanda di pronuncia pregiudiziale del giudice ungherese, avente ad oggetto l’interpretazione degli articoli 131, 146 e 273 della direttiva n. 2006/112/CE in merito al regime di esenzione dall’IVA di cessioni di beni spediti o trasportati al di fuori dell’Unione europea. In sostanza, era stato richiesto “se gli articoli 146, paragrafo 1, e 131 della direttiva 2006/112 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale secondo la quale, nell’ambito di una cessione all’esportazione, i beni destinati ad essere esportati al di fuori dell’Unione devono aver lasciato il territorio dell’Unione entro un termine prestabilito di tre mesi o di 90 giorni successivi alla data di cessione, qualora il semplice superamento di tale termine abbia la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione riguardo a tale cessione” (punto 21). Il caso di specie riguardava una società ungherese che vendeva in Paesi terzi extracomunitari i prodotti che fabbricava in Ungheria, con il termine di resa “ex works” o EXW (nella prassi “franco fabbrica”). La società aveva qualificato tali operazioni come esportazioni, mentre i beni erano usciti dal territorio doganale comunitario dopo il decorso del termine previsto dalla normativa IVA ungherese, inizialmente stabilito nell’ultimo giorno del terzo mese successivo a quello di effettuazione della cessione e, dall’anno 2008, stabilito nel termine di 90 giorni dalla data della cessione. Secondo l’Amministrazione finanziaria ungherese, il termine previsto per configurare la cessione all’esportazione dei beni rappresenta, non solo un termine tecnico di carattere procedurale al cui decorso può porsi rimedio, ma un “termine di decadenza di diritto sostanziale”, il cui superamento implica che le operazioni di vendita non possono essere qualificate come “vendite all’esportazione esenti e sono, dunque, assoggettate all’imposta” (punto 18). La Corte di giustizia, dopo aver premesso che, nel procedimento principale è accertato che i beni cui si riferiscono le cessioni “hanno fisicamente lasciato il territorio dell’Unione”, ha enunciato i seguenti criteri interpretativi. L’art. 146, paragrafo 1, lett. b), della direttiva n. 2006/112/CE “non prevede una condizione in base alla quale il bene destinato all’esportazione deve aver lasciato il territorio dell’Unione entro un termine preciso, affinchè l’esecuzione prevista da tale articolo divenga applicabile”; un tale termine “è solo eccezionalmente previsto” nell’art. 147, paragrafo 1, lett. b), della direttiva (punto 26). La qualificazione di un’operazione come cessione all’esportazione ai sensi dello stesso art. 146, paragrafo 1, lett. b), pertanto, “non può dipendere dal rispetto di un termine preciso entro il quale il bene in parola deve aver lasciato il territorio doganale

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dell’Unione, la cui inosservanza avrebbe come conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione all’esportazione” (punto 27). Ai sensi dell’art. 131 della direttiva n. 2006/112/CE le esenzioni ivi previste ai capi da 2 a 9 del titolo IX, fra cui rientra quella di cui all’art. 146, si applicano alle condizioni che gli Stati membri possono stabilire “per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso” (punto 28). Nell’esercizio dei poteri loro spettanti in virtù dell’art. 131 della direttiva, tuttavia, gli Stati membri devono rispettare “i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, quali, in particolare, i principi di certezza del diritto, di proporzionalità e di tutela del legittimo affidamento” (punto 29). Quanto al principio di proporzionalità, viene ribadito che gli Stati membri “devono far ricorso a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dal diritto interno, portino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa dell’Unione in questione” (punto 30). In tale ottica, “anche se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell’erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine” (punto 31). In via di principio, è consentito agli Stati membri di “stabilire un termine ragionevole per le esportazioni”, al fine di verificare che i beni siano effettivamente usciti dal territorio comunitario e contrastare l’elusione e l’evasione fiscale; tuttavia, detto termine non deve implicare conseguenze che eccedono quanto necessario a tal fine (punti 34-36). La Corte di giustizia, in conclusione, ha rilevato che “una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che assoggetta l’esenzione all’esportazione a un termine di uscita, con l’obiettivo, in particolare, di lottare contro l’elusione e l’evasione fiscale, senza per questo consentire al soggetto passivo di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione, che la condizione di uscita è stata soddisfatta dopo lo scadere di tale termine, e senza prevedere un diritto del soggetto passivo al rimborso dell’IVA già corrisposta in ragione del non rispetto del termine, qualora fornisca la prova che la merce ha lasciato il territorio doganale dell’Unione, eccede quanto necessario per il conseguimento di detto obiettivo” (punto 39). La Corte di giustizia, quindi, ha interpretato gli artt. 146, paragrafo 1, e 131 della direttiva n. 2006/112/CE nel senso che gli stessi ostano ad una normativa nazionale che, prevedendo un termine prestabilito entro cui effettuare necessariamente le cessioni all’esportazione, abbia come conseguenza quella di privare definitivamente il soggetto passivo del regime di esenzione applicabile a tali cessioni.

4.4 EFFETTI DELLA SENTENZA SULLA NORMATIVA INTERNA

Quanto alla disposizione dell’art. 8, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972, la sentenza, di fatto, ha confermato la lettura della circolare n. 23/E del 1999 secondo cui l’IVA non

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può essere richiesta (se già corrisposta, deve essere rimborsata) al cedente nazionale che possa provare l’effettiva esportazione dei beni anche se avvenuta oltre il termine previsto dei 90 giorni dalla consegna, lasciando però aperti dubbi interpretativi che era importante fugare in via definitiva, anche nell’ottica di evitare un inutile contenzioso. In tale contesto interpretativo, s’innesta, quindi, la risoluzione n. 98/E del 2014.

4.5 L’INTERVENTO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

Con la risoluzione n. 98/E del 10.11.2014, l’Agenzia delle entrate recepisce l’orientamento espresso della Corte di giustizia con la sentenza del 2013 nella causa C-563/12, accogliendone il principio secondo cui il beneficio della non imponibilità (esenzione, nella normativa comunitaria) non può essere negato quando il contribuente è comunque in grado di dimostrare l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione europea, anche se dopo la scadenza del termine dei 90 giorni previsto dall’art. 8, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972. A completare il quadro interpretativo, l’Agenzia delle entrate afferma, inoltre, che, nei casi di esportazioni di beni effettivamente realizzate e dimostrate, deve essere consentito anche il recupero dell’imposta corrisposta “in sede di regolarizzazione”. L’Agenzia, quindi, dopo aver enunciato il principio interpretativo di base, fornisce opportuni chiarimenti in merito alle singole situazioni ipotizzabili. In particolare, viene sottolineato che il regime di non imponibilità previsto per le esportazioni “indirette” si applica quando:

• il bene è stato esportato entro i 90 giorni ma il cedente ne acquisisce la prova oltre il termine dei 30 giorni previsto per eseguire la “regolarizzazione”;

• il bene esce dal territorio comunitario dopo il decorso del termine di 90 giorni di cui all’art. 8, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972, semprechè sia acquisita la prova dell’avvenuta esportazione.

Nei casi in cui la prova dell’avvenuta esportazione venga acquisita dal cedente dopo aver proceduto alla “regolarizzazione” nei 30 giorni previsti, l’Agenzia delle entrate ammette la possibilità di recuperare l’Iva nel frattempo versata ex art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997, con le seguenti modalità alternative:

• emissione di nota di variazione ex art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 “entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al secondo anno successivo a quello in cui è avvenuta l’esportazione”;

• richiesta di rimborso ex art. 21, del D.Lgs. n. 546/1992 “entro il termine di due anni dal versamento o dal verificarsi del presupposto del rimborso”.

L’Agenzia conclude l’esposizione dei casi affermando che, qualora i beni vengano esportati oltre i 90 giorni ma entro i 30 giorni previsti per la “regolarizzazione” e il cedente ne abbia la prova, “il contribuente potrà esimersi dal versamento dell’imposta senza per questo incorrere in alcuna violazione sanzionabile”.

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5. LA NUOVA DISCIPLINA IVA SUI BENI INVIATI IN LAVORAZIONE IN ALTRI STATI MEMBRI COMUNITARI INTRODOTTA DALLA "LEGGE EUROPEA 2014"

Con la legge n. 115 del 29 luglio 2015, recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (“legge europea 2014”), pubblicata nella G.U. 3 agosto 2015, n. 178, il legislatore italiano, ha allineato la normativa interna in tema di trasferimenti intracomunitari di beni in conto lavorazione, a quella comunitaria di cui alla direttiva n. 2006/112/CE. La legislazione nazionale è stata, così, modificata, per evitare l’ufficializzazione della procedura d’infrazione per violazione della norma comunitaria di cui all’articolo 17, paragrafo 2, lett. f), della direttiva n. 2006/112/CE, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia europea del 6 marzo 2014 nelle cause riunite C-606/12 e C-607/12, relativa al caso “Dresser-Rand SA”. Con la predetta sentenza, infatti, il Giudice europeo aveva evidenziato la distonia dell’art. 38, comma 5, lett. a), del D.L. n. 331/1993 con la sovraordinata norma comunitaria, a causa dello spettro applicativo troppo ampio della norma interna che consentiva il ricorso al regime “sospensivo” ivi previsto anche in situazioni non consentite dalla direttiva.

5.1 LA NORMA COMUNITARIA

La direttiva n. 2006/112/CE, nell’art. 17, paragrafo 1, indica la regola generale applicabile ai trasferimenti di beni che i soggetti passivi effettuano “a se stessi” per proprie esigenze operative nell’ambito del territorio comunitario, senza averli ceduti a terzi. La norma citata stabilisce che la spedizione o il trasporto di beni a destinazione di un altro Stato membro effettuato da un soggetto passivo, o per suo conto, “per le esigenze della sua impresa”, è assimilato ad una cessione intracomunitaria. Il successivo paragrafo 2 contempla diverse ipotesi derogatorie a tale regola generale, per una serie di operazioni che non integrano trasferimenti di beni assimilati a cessioni. Tra tali operazioni, alla lettera f) è disciplinata “la prestazione di un servizio resa al soggetto passivo e avente per oggetto la perizia o lavori riguardanti il bene materialmente eseguiti nel territorio dello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto del bene, qualora il bene, al termine della perizia o dei lavori, sia rispedito al soggetto passivo nello Stato membro a partire dal quale era stato inizialmente spedito o trasportato”. Nel paragrafo 3 del medesimo art. 17, viene stabilito che, in mancanza delle condizioni cui è subordinata l’applicazione del regime sospensivo Iva, il bene si considera “trasferito a destinazione di un altro Stato membro”, da ciò derivandone il verificarsi del presupposto per l’assimilazione ad una cessione intracomunitaria di beni e la conseguente applicazione dell’Iva nello Stato membro di destinazione in cui avviene il corrispondente acquisto intracomunitario.

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Il trasferimento intracomunitario di beni, in questo caso, si considera effettuato nel momento in cui tali condizioni cessano di essere soddisfatte; specularmente, si considera effettuato nello stesso momento anche il conseguente acquisto intracomunitario. Se, dunque, vengono meno le condizioni che legittimano il regime “sospensivo”, in presenza del quale non sorgono per il soggetto passivo committente della lavorazione obblighi di fatturazione per il trasferimento dei beni, si torna alla regola generale, con la conseguenza che si realizza ai fini IVA una cessione intracomunitaria “assimilata”.

5.2 LA NORMA ITALIANA PREVIGENTE

Come sopra accennato, la norma italiana di cui all’art. 38, comma 5, lettera a), del D.L. n. 331/1993, nel testo in vigore prima delle modifiche apportate con la legge n. 115/2015, aveva una portata molto più ampia di quella comunitaria, non limitando il regime sospensivo alla sola ipotesi del rientro dei beni post lavorazione nello Stato membro di partenza. Era stabilito, infatti, che non costituivano acquisti intracomunitari “l’introduzione nel territorio dello Stato di beni oggetto di perizie o di operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali … se i beni sono successivamente trasportati o spediti al committente, soggetto passivo d’imposta, nello Stato membro di provenienza o per suo conto in altro Stato membro ovvero fuori del territorio della Comunità …”. L’art. 41 dello stesso D.L. n. 331/1993 regolava negli stessi termini l’ipotesi “rovesciata” dell’invio dei beni in conto lavorazione con partenza dall’Italia verso altri Stati membri, richiamando al terzo comma le fattispecie elencate nell’art. 38, comma 5, lettera a).

5.3 LE MODIFICHE DELLA LEGGE EUROPEA 2014

L’articolo 13 della legge n. 115/2015, con effetto dal 18 agosto 2015 (decorsi i quindici giorni dalla pubblicazione nella G.U.), modifica il testo dell’art. 38, comma 5, lettera a), del D.L. n. 331/1993 sopprimendo il periodo “incriminato” che legittimava l’applicazione della norma per l’invio dei beni “in altro Stato membro ovvero fuori del territorio della Comunità”. Nella stessa ottica viene integrato l’art. 41, comma 3, del medesimo decreto, con l’aggiunta di un ulteriore periodo in cui è esplicitato come il regime sospensivo si applichi “se i beni sono successivamente trasportati o spediti al committente, soggetto passivo d’imposta, nel territorio dello Stato”. Dal 18 agosto 2015, dunque, esiste nell’ordinamento interno una norma “in chiaro” conforme con la disposizione di cui all’art. 17, paragrafo 2, lettera f), della direttiva n. 2006/112/CE, essendo così eliminata la precedente distonia. Per effetto delle modifiche introdotte, il regime sospensivo previsto per i beni inviati in altro Stato membro oggetto di lavorazione (oltre a perizie e manipolazioni usuali) è rigidamente vincolato al rispetto delle condizioni stabilite nel testo riformulato degli artt. 38, comma 5, lettera a) e 41, comma 3, del D.L. n. 331/1993.

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Tali condizioni sono le seguenti: • i beni, ultimata la lavorazione, devono ritornare nello Stato membro di

provenienza, da cui sono stati inizialmente spediti o trasportati; • i beni devono essere rispediti al committente soggetto passivo e, quindi, a colui

che ha incaricato il terzista della lavorazione. I due requisiti devono coesistere, come chiaramente indicato nella normativa interna ed in quella comunitaria e, pertanto, i beni lavorati non solo devono ritornare nello Stato membro da cui sono partiti, ma devono essere rispediti al committente del servizio di lavorazione a cui sarà intestata la fattura del terzista. In tale ottica, il rientro dei beni lavorati nello Stato membro di partenza ma con consegna ad un soggetto diverso dal committente, non soddisfa le condizioni richieste ed implica il venir meno del regime sospensivo. Su tale aspetto occorre, però, svolgere ulteriori considerazioni, in quanto è necessario verificare di volta in volta la natura del soggetto destinatario dei beni post lavorazione. Se tale soggetto è l’acquirente dei beni, a cui gli stessi sono stati ceduti dal committente dopo l’ultimazione della lavorazione, il regime sospensivo decade. Qualora, invece, il destinatario dei beni lavorati sia il soggetto a cui vengono consegnati in deposito o per essere smistati in un centro di logistica per conto del committente, si ritiene che la condizione prevista per il regime sospensivo sia soddisfatta perché i beni rimangono nella proprietà e nella disponibilità del committente del servizio di lavorazione.

5.4 CONSEGUENZE OPERATIVE DELLE NUOVE NORME

Definito il contesto normativo, rimangono da verificare gli effetti per gli operatori economici soggetti passivi comunitari e nazionali che intendono inviare in conto lavorazione i beni all’interno del territorio dell’Unione europea.

5.4.1 COMMITTENTI SOGGETTI PASSIVI COMUNITARI

Se il committente comunitario della lavorazione invia beni in Italia prevedendo il ritorno dei prodotti lavorati nel proprio Stato membro da cui sono partiti, egli può agire nell’ambito del regime sospensivo senza alcun obbligo di identificarsi ai fini IVA in Italia e senza adempimenti in materia di fatturazione. Il terzista italiano annota i beni ricevuti in lavorazione nello specifico registro dedicato ai trasferimenti che avvengono a titolo non traslativo della proprietà, disciplinato dall’articolo 50, comma 5, del D.L. n. 331/1993; verranno, così, indicati i “carichi” e gli “scarichi” post lavorazione sulla base dei documenti di trasporto e della corrispondenza commerciale relativa all’incarico di lavorazione. Qualora, invece, sia previsto che i beni lavorati siano successivamente ceduti a soggetti passivi o privati stabiliti in Italia o in altri Stati membri od in Paesi extracomunitari, il committente comunitario deve aprire una posizione IVA nel territorio dello Stato, nominando un rappresentante fiscale o identificandosi direttamente ai sensi dell’art.

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35-ter del D.P.R. n. 633/1972, per poter formalizzare l’acquisto intracomunitario “assimilato”. Tramite la partita IVA attivata in Italia, l’operatore comunitario potrà effettuare cessioni intracomunitarie, cessioni all’esportazione o cessioni interne a “privati” (non soggetti passivi) residenti nel territorio dello Stato. Per le vendite dei beni a soggetti passivi stabiliti in Italia, invece, come chiarito con risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 21/E del 20 febbraio 2015, il fornitore comunitario deve emettere la fattura indicando il codice identificativo IVA attribuitogli nello Stato membro in cui è stabilito, annotandola con il riferimento alla “inversione contabile”. Il cessionario italiano dovrà, quindi, integrare e registrare la predetta fattura con le regole di cui agli articoli nn. 46 e 47 del D.L. n. 331/1993 ai sensi di quanto previsto dall’art. 17, comma 2, ultimo capoverso, del D.P.R. n. 633/1972.

5.4.2 COMMITTENTI SOGGETTI PASSIVI ITALIANI

Le stesse modalità operative devono essere osservate dal soggetto passivo italiano che invia beni in lavorazione in altro Stato membro comunitario, il cui comportamento è funzionale alla destinazione dei beni post lavorazione. Se non è previsto il rientro in Italia al committente e, quindi, non è applicabile il regime sospensivo, l’operatore residente deve interrogarsi sulle possibili destinazioni dei beni lavorati per individuare il relativo regime fiscale alla luce della normativa interna dello Stato membro in cui il servizio di lavorazione è stato prestato, ferma restando la necessità di aprire una posizione IVA in tale Stato per ivi formalizzare l’acquisto intracomunitario assimilato. Qualora i beni lavorati vengano esportati o siano oggetto di cessioni intracomunitarie, verrà utilizzato il codice identificativo IVA acquisito ai fini della fatturazione. Se, invece, i beni stessi vengono ceduti nello stesso Stato membro in cui si trovano post lavorazione, occorre verificare lo status dell’acquirente. Per le vendite a clienti “privati” (non soggetti passivi) sarà utilizzata la partita IVA acquisita per emettere fattura secondo la normativa locale. Qualora i prodotti lavorati siano venduti a soggetti passivi occorre, invece, accertarsi se nello Stato membro di destinazione è applicabile o meno il meccanismo del “reverse charge” obbligatorio per gli acquisti di beni, territorialmente rilevanti in tale Stato, effettuati da non residenti (italiani, nel nostro caso). Se non opera il meccanismo del reverse charge per gli acquisti di beni (com’è possibile, non essendo previsto come obbligatorio dalla direttiva n. 2006/112/CE), il fornitore italiano userà la posizione IVA attivata per gli adempimenti di fatturazione ed applicazione dell’imposta locale. Qualora il reverse charge sia, invece, previsto nello Stato membro di destinazione, occorrerà accertare se esso sia applicato mediante emissione di “autofattura”, in via autonoma da parte dell’acquirente, oppure con integrazione della fattura emessa dal fornitore non residente.

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Nel primo caso, non sorgeranno obblighi di fatturazione mediante la partita IVA acquisita in loco, secondo quanto previsto dall’art. 219 bis, paragrafo 1, n. 2), lettera a), ultimo periodo, della direttiva n. 2006/112/CE. Si tratta, comunque, di una situazione particolare che determina complicazioni amministrativo-contabili e, per questo motivo, tale ipotesi deve essere attentamente valutata verificando con precisione la normativa locale. Nel secondo caso, il fornitore residente dovrà emettere fattura con la partita IVA italiana con l’annotazione obbligatoria “inversione contabile”, ai sensi di quanto previsto dall’art. 21, comma 6-bis, lettera a), del D.P.R. n. 633/1972.

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6 GLI ULTIMI ORIENTAMENTI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA E DELLA CORTE DI CASSAZIONE SULLA RILEVANZA DELLA PARTITA IVA NELL’OTTICA DELLA PROVA DELLE CESSIONI INTRACOMUNITARIE

L’anno 2014 è stato interessato da importanti pronunce giurisprudenziali, sia della Corte di giustizia che della Corte di Cassazione, le quali hanno “consolidato” indirizzi interpretativi inaugurati negli anni precedenti con esiti alterni, ponendo le basi per considerare ormai “acquisiti” alcuni principi riguardanti la valenza del numero di partita Iva. Più in particolare, le sentenze che hanno caratterizzato il 2014, sono intervenute sulla rilevanza del codice identificativo Iva nell’ottica del regime esentativo delle cessioni intracomunitarie, ai fini della verifica della sua applicabilità o meno nei casi in cui tale codice è inesistente o irregolare.

6.1 LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 9 OTTOBRE 2014

Con la sentenza del 9 ottobre 2014, nella causa C-492/13 (“Traum EOOD”), la Corte di giustizia europea si pronuncia su una fattispecie complessa, articolata in più questioni pregiudiziali, in cui le prime due, in particolare, sono relative al regime delle prove delle cessioni intracomunitarie sotto diversi profili. La prima questione riguarda il possesso della partita Iva, risultata esistente ad un primo controllo e successivamente cancellata con effetto retroattivo dalle Autorità fiscali dello Stato membro dell’acquirente dei beni (la Grecia, nel caso di specie). La seconda questione concerne la valutazione della buona fede del fornitore (bulgaro, nel caso di specie) e della diligenza del suo comportamento in relazione all’adozione delle misure previste dalla legislazione dello Stato membro in cui è stabilito (Bulgaria) per fornire le prove delle cessioni intracomunitarie. Quanto alla problematica sollevata dalla seconda domanda pregiudiziale, occorre sottolineare che la legislazione bulgara vigente all’epoca cui si riferiscono i fatti e citata nella sentenza, indicava espressamente i documenti previsti da fornire all’Amministrazione fiscale comprovanti la spedizione o il trasporto dei beni in altro Stato membro e, in particolare, “il documento di trasporto o la conferma scritta rilasciata dall’acquirente o da una persona da esso autorizzata attestante che i beni sono stati ricevuti nel territorio di un altro Stato membro”. Nel caso sottoposto alla Corte di giustizia, la posizione della società fornitrice era stata valutata regolare dall’Amministrazione fiscale bulgara in sede di controllo, in quanto risultava dal sistema VIES che la società greca era identificata ai fini Iva ed aveva un numero di partita Iva valido esistente da tempo (2005) precedente a quello di effettuazione delle cessioni dei beni (2009). Inoltre, la società fornitrice aveva prodotto i documenti previsti in materia della normativa bulgara e, specificamente: le fatture contenenti il numero di partita Iva della

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società greca acquirente, i verbali di consegna dei beni, le lettere di vettura internazionali e “una bolla di ricevuta delle merci firmata” (punto 8). A causa di una frode riscontrata in capo alla società acquirente che non aveva dichiarato l’acquisto intracomunitario in Grecia né versata l’Iva, la società fornitrice è stata sottoposta ad un successivo controllo dall’Amministrazione fiscale bulgara che constatava l’inesistenza del codice identificativo Iva della società greca, in quanto cancellato con effetto retroattivo dal 2006 e, quindi, prima dell’effettuazione delle cessioni intracomunitarie. In esito a tale nuovo accertamento, è stato contestato il fatto che “la bolla di ricezione della merce in oggetto e i verbali di consegna prodotti non contenevano indicazioni … sull’identità, la posizione e i poteri di rappresentanza della persona che, all’interno della società …, l’aveva ricevuta, sicchè tali documenti non possedevano valore probatorio” (punto 13); conseguentemente era stato negato il regime di esenzione dall’Iva per le cessioni considerate “intracomunitarie” dalla società fornitrice bulgara. Proprio con riferimento a tale rilievo, con la seconda domanda pregiudiziale è stato chiesto se i principi fondamentali del diritto comunitario di neutralità fiscale, proporzionalità e legittimo affidamento, risultano violati nel caso in cui la prassi amministrativa e la giurisprudenza nazionali richiedano che competa al fornitore dei beni verificare l’autenticità della firma dell’acquirente e accertare se essa è apposta da una persona che rappresenti legalmente la società o che a ciò sia delegata.

6.2 IL POSSESSO DELLA PARTITA IVA

La Corte di giustizia, dopo avere sottolineato la rilevanza del principio della certezza del diritto, il cui corollario è il principio della tutela del legittimo affidamento, afferma che esso deve essere osservato con rigore per consentire agli operatori di conoscere con esattezza l’estensione degli obblighi che la normativa impone loro, da ciò seguendone che i soggetti passivi devono essere “a conoscenza dei loro obblighi fiscali prima di concludere un’operazione” (punto 29). In tale ottica, vengono richiamati criteri interpretativi già enunciati in precedenti pronunce (sentenza “Mecsek-Gabona”, C-273/11, e sentenza “Teleos”, C-409/04). Il giudice europeo, quindi, dopo aver sottolineato che l’attribuzione del numero di partita Iva “fornisce la prova dello status fiscale del soggetto passivo … e agevola il controllo tributario delle operazioni intracomunitarie” (punto 35), richiamandosi alla sentenza “Mecsek-Gabona” (C-273/11), afferma che un’eventuale irregolarità riguardante l’inserimento di soggetti passivi nella banca dati VIES da parte delle singole Autorità fiscali nazionali, non può comportare che sia negata l’esenzione a cui avrebbe diritto l’operatore che si sia correttamente basato sui dati presenti nel sistema VIES nel momento in cui ha effettuato l’operazione, facendo affidamento su di essi. Sulla base di tali premesse, la Corte ritiene contrario al principio di proporzionalità (e al principio della certezza del diritto, n.d.a.) che venga richiesta a posteriori l’Iva al

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contribuente “per la sola ragione che si è verificata una cancellazione retroattiva del numero di partita Iva dell’acquirente” (punto 36). Le conclusioni della sentenza, pertanto, s’innestano nel solco interpretativo che privilegia gli aspetti sostanziali delle operazioni sterilizzando, ad eccezione dei casi di frode con la partecipazione del fornitore, il requisito “formale” rappresentato dal possesso del codice identificativo Iva, finalizzato a favorire le attività di controllo e monitoraggio delle Autorità fiscali nazionali. Il requisito sostanziale è costituito, dal punto di vista soggettivo, dal fatto che l’acquirente (oltre che il fornitore) sia un soggetto passivo Iva che agisce in qualità di operatore economico, rappresentando la partita Iva un elemento di natura formale che fa presupporre tale status, agevolando, così, l’attività di controllo volta a verificare l’effettiva partecipazione all’operazione intracomunitaria di soggetti aventi tale requisito sostanziale. Tale orientamento, ormai consolidatosi, del percorso interpretativo inaugurato con le due sentenze della Corte di giustizia del settembre 2012 (6 settembre 2012, causa C-273/11, “Mecsek-Gabona” e 27 settembre 2012, causa C-587/10, “VSTR”), secondo cui il codice identificativo Iva è un requisito formale che non può mettere in discussione il diritto all’esenzione Iva quando ricorrono le condizioni sostanziali della cessione intracomunitaria, si fonda, come già osservato, sul presupposto che l’operatore sia in buona fede ed abbia adottato tutte le misure cui poteva ragionevolmente ricorrere per evitare di partecipare ad una frode, comportandosi, in altri termini, in modo diligente. E proprio la diligenza è, in sostanza, l’oggetto della seconda domanda pregiudiziale, volta a chiarire i contenuti di tale concetto.

6.3 LA DILIGENZA DEL FORNITORE

Nel caso sottoposto al vaglio della Corte di giustizia, il giudizio sulla diligenza del comportamento del fornitore è, in sostanza, “misurato” in funzione del corretto adempimento degli obblighi stabiliti dalla normativa bulgara in tema di prove per le cessioni intracomunitarie di beni. Su tale aspetto, il giudice europeo afferma che al fornitore non può essere negata l’esenzione dall’Iva, anche se questi non è in grado di dimostrare né l’autenticità della firma sui documenti prodotti né che la persona che li ha sottoscritti in nome dell’acquirente avesse la facoltà di rappresentarlo, “laddove le prove che giustificano il diritto all’esenzione prodotte dal fornitore per corroborare la sua dichiarazione erano conformi all’elenco di documenti stabilito dal diritto nazionale, da presentare alla suddetta amministrazione” (punto 43). In sostanza, viene tutelato il contribuente che ha posto in essere gli adempimenti richiesti dalla normativa specifica in materia di prove, osservando le prescrizioni di legge che, espressamente, non richiedono un controllo ad hoc sull’autenticità delle firme e sui poteri di rappresentanza.

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L’osservanza degli adempimenti di legge implica, quindi, in linea di principio, un comportamento diligente del fornitore. Tali conclusioni non sono però del tutto appaganti, in quanto sono “tarate” sulla specifica situazione della Bulgaria, la cui normativa specifica in tema di prove stabilisce i metodi ed i documenti necessari per fornirle indicandoli esplicitamente. Per la realtà italiana un equivalente normativo non esiste e, pertanto, i fornitori residenti non potranno “adagiarsi” su tale interpretazione facendovi totale affidamento.

6.4 L’ORDINANZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE DEL 29 LUGLIO 2014

Con l’ordinanza n. 17254 del 29 luglio 2014, la Corte di Cassazione si pronuncia sulla problematica relativa all’indicazione di un codice identificativo Iva errato sulle fatture emesse da un fornitore residente, a fronte della quale l’Agenzia delle entrate aveva ripreso a tassazione l’Iva, sul presupposto che non poteva essere applicato il regime di non imponibilità previsto per le cessioni intracomunitarie ex art. 41 del D.L. n. 331/1993. L’ordinanza ha un assoluto rilievo perché, di fatto, conferma e consolida l’orientamento interpretativo più recente che attribuisce alla partita Iva la natura di elemento formale non sufficiente, di per sé, a condizionare l’applicazione del regime di esenzione sulle cessioni intracomunitarie di beni quando sono verificati i requisiti sostanziali. Ciò avviene dopo un’attenta e compiuta ricostruzione dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria e nazionale e, proprio per questo motivo, i principi enunciati nell’ordinanza sono decisivi nell’aggiornare gli approdi interpretativi ormai resi definitivi. La Corte di Cassazione inizia la sua analisi partendo dalla precedente sentenza n. 22127 del 27 settembre 2013, fondata, a sua volta, sui principi enunciati dalla più recente giurisprudenza comunitaria di cui alle sentenze del 6 settembre 2012, nella causa C-273/11 (“Mecsek - Gabona”) e del 27 settembre 2012, nella causa C-587/10 (“VSTR”). Con la sentenza del 2013, il giudice di legittimità ha richiamato le predette sentenze della Corte di giustizia per affermare che il solo fatto della mancanza del requisito rappresentato dal possesso della partita Iva “non può determinare il venir meno della possibilità di inquadrare la cessione nell’ambito di quelle intracomunitarie, allorchè l’operatore provi in modo rigoroso tutti i requisiti sostanziali della normativa di settore”. Con la stessa sentenza n. 22127/2013, viene inoltre precisato che, né la direttiva comunitaria, né la giurisprudenza della Corte di giustizia indicano tra le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria l’obbligo di disporre di un numero d’identificazione ai fini Iva.

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I requisiti sostanziali che devono necessariamente sussistere per qualificare una cessione come intracomunitaria, conformemente a quanto indicato dalla giurisprudenza comunitaria e recepito nella precedente sentenza dalla Corte di Cassazione del 27 settembre 2013, sono confermati nell’ordinanza nei seguenti:

• il trasferimento dei beni, i quali devono essere trasportati o spediti fuori dal territorio dello Stato membro di partenza con destinazione ad altro Stato membro dell’Unione europea;

• l’effettuazione della cessione nei confronti di un altro soggetto passivo “che agisce in quanto tale in altro Stato membro”;

• il trasferimento del “potere di disporre di un bene come proprietario”, utilizzando l’espressione con cui, nell’art. 14 della direttiva n. 2006/112/CE, viene definito il concetto di “cessione di beni”.

Sulla base di tali premesse, la Cassazione sottolinea come la posizione assunta con la precedente sentenza n. 22127/2013 abbia comportato un “riallineamento” della giurisprudenza nazionale con quella comunitaria, essendo il nuovo indirizzo assunto nel 2013 “l’unico compatibile con i principi espressi dalla Corte di giustizia”, dovendosi così dare ad esso continuità. La Cassazione, pertanto, adottando il nuovo indirizzo interpretativo abbandona, delegittimandola espressamente, la precedente impostazione fondata su logiche rigide e formalistiche secondo cui l’assenza del codice identificativo Iva, come anche la mancata ulteriore richiesta di verifica di tale codice presso l’Agenzia delle entrate ex art. 50, comma 2, del D.L. n. 331/1993, rappresentano di per sé elementi ostativi al riconoscimento del regime di non imponibilità ai fini Iva delle cessioni intracomunitarie. Il giudice di legittimità cita espressamente le sentenze emesse nell’ottica del precedente orientamento interpretativo disconosciuto con l’ordinanza del 2014, alle quali deve aggiungersi quella del 13 febbraio 2009, n. 3603, che, particolarmente rigorosa, ha sottolineato che “la mancata utilizzazione della procedura di controllo esclude il requisito della buona fede, la quale non può ipotizzarsi quando, …, non siano state rispettate le norme che garantiscono la legittimità degli scambi”. Il superamento del preoccupante quadro interpretativo precedente, rappresenta sicuramente un elemento positivo ma non deve indurre gli operatori a diminuire il livello di attenzione. L’ordinanza del 2014, infatti, riferendosi al requisito sostanziale costituito dal trasferimento effettivo dei beni nello Stato membro di destinazione, torna sul tema delle prove delle cessioni intracomunitarie, il cui onere grava sul fornitore, il quale, pur non essendo tenuto ad attività investigative sulla movimentazione dei beni ceduti, deve però “verificare con la diligenza dell’operatore commerciale professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte”, fermo restando che il medesimo deve provare “in modo rigoroso tutti i requisiti sostanziali della normativa di settore” fra i quali, ovviamente, è compreso quello della soggettività passiva dell’acquirente che

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agisce in quanto tale come operatore economico; tale qualità va, quindi, debitamente dimostrata. In tale contesto, l’adempimento relativo alla richiesta di conferma di validità del codice identificativo Iva attribuito al cessionario estero non è un obbligo, ma una facoltà del fornitore residente, come indica chiaramente il D.M. 28 gennaio 1993, ai sensi del quale gli operatori “possono” ottenere tale conferma facendone richiesta agli Uffici. Nell’ottica della sentenza, tale adempimento, inoltre, pare non rappresentare nemmeno un onere finalizzato a dimostrare la diligenza degli operatori e, con essa, la buona fede, considerato che la mancata attivazione della procedura di cui all’art. 50, comma 2, del D.L. n. 331/1993 non costituisce di per sé un motivo sufficiente per negare l’applicazione del regime di esenzione. Tuttavia, la richiesta agli Uffici della conferma di validità del codice identificativo Iva comunicato in prima battuta dall’acquirente comunitario, è comunque una prassi opportuna perché sintomatica di un comportamento diligente del fornitore, il quale, anche nell’ottica della verifica di affidabilità della controparte più volte sottolineata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, dimostra in tal modo di fare tutto ciò che è nelle sue possibilità per rimanere estraneo a casi di frode riconducibili ai clienti esteri. A maggior ragione, tale prassi dovrà essere attuata nei casi in cui il sistema VIES non abbini al codice identificativo Iva i dati anagrafici della controparte comunitaria, considerato che è a carico del fornitore l’onere di provare che la cessione è effettuata ad un soggetto passivo Iva, il quale, risultando esistente nell’altro Stato membro, agisca come tale.

6.5 LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE DELL’8 OTTOBRE 2014

La sentenza della Corte di Cassazione n. 21183 dell’8 ottobre 2014, s’innesta nel filone giurisprudenziale inaugurato con la sentenza n. 22127 del 27 settembre 2013 e ribadito con la successiva ordinanza del giudice di legittimità n. 17254 del 29 luglio 2014, aggiungendo un ulteriore tassello nel quadro interpretativo generale in tema di rilevanza del codice identificativo Iva. La sentenza n. 22127 del 2013 è stata pronunciata in merito a casi di codici Iva (di soggetti passivi francesi) cessati e non attivi indicati, quindi, erroneamente nelle fatture emesse dal fornitore residente in regime di non imponibilità. L’ordinanza n. 17254 del 2014 si riferisce a fatture emesse recanti codici identificativi Iva errati. Con la sentenza dell’8 ottobre 2014, la Corte di Cassazione si pronuncia su un rilievo formulato dall’Agenzia delle dogane concernente la compilazione dei modelli Intrastat delle cessioni di beni, ove erano state indicate operazioni con un acquirente comunitario la cui partita Iva risultava cessata. In essa viene preliminarmente delineato il quadro di riferimento della giurisprudenza in materia, anche richiamando espressamente la sentenza n. 22127 del 2013,

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deducendo da esso che le conclusioni in chiave esimente raggiunte in merito alla fattispecie dell’omessa indicazione in fattura del codice identificativo Iva del cessionario, sono “senza difficoltà estensibili anche al diverso caso … della partita Iva cessata, non sussistendo diversità fattuali apprezzabili tra le due ipotesi”. Da tali premesse, la sentenza trae il convicimento che l’indicazione di una partita Iva cessata, “non diversamente dalla mancata indicazione di essa, non è sanzionata dalla legge”, da ciò seguendone che non può aver luogo la ripresa a tassazione dell’Iva sulle cessioni per il solo fatto di aver indicato nei modelli Intrastat una partita Iva cessata. La Corte di Cassazione, pertanto, sottolinea il duplice errore commesso dalla CTR Lombardia che aveva confermato la legittimità della ripresa a tassazione ai fini Iva dell’Ufficio, sotto i seguenti aspetti: sotto un primo profilo, perché la violazione ha carattere formale non potendo, così, comportare l’effetto di rendere le cessioni imponibili ai fini Iva; sotto un secondo profilo, perché, ignorando tale criterio interpretativo, l’imponibilità delle operazioni è stata affermata nonostante gli “elementi di cognizione allegati favorevolmente dalla parte” potessero altrimenti dimostrare la correttezza del regime di esenzione. La sentenza non brilla certo per chiarezza e completezza di argomentazioni ma, tuttavia, il messaggio che se ne ritrae è che la Corte di Cassazione sposa ancora l’approccio “sostanzialista”, confermando il regime di esenzione quando la “patologia” connessa all’irregolarità del codice identificativo Iva, avente natura formale, “non impedisca la dimostrazione certa che i requisiti sostanziali dell’operazione intracomunitaria siano stati soddisfatti”.

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7 DILIGENZA E BUONA FEDE DEL FORNITORE CHE DEVE PROVARE LE CESSIONI INTRACOMUNITARIE DEI BENI: LA CORTE DI CASSAZIONE, CON DUE SENTENZE DEL 2015, TORNA SUI PROPRI PASSI

Con due sentenze del 2015, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sullo “spinoso” problema della prova che il fornitore residente deve fornire per giustificare l’applicazione del regime di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie di beni, ai sensi dell’art. 41 del D.L. n. 331/1993. Il tema, più specificamente, è quello dell’incidenza del possesso della partita IVA nell’ottica della dimostrazione del requisito della soggettività passiva dell’acquirente comunitario. L’importanza delle sentenze n. 5632 del 20 marzo 2015 e n. 15639 del 24 luglio 2015, risiede nel fatto che, con esse, la Corte di Cassazione pare fare un deciso passo indietro rispetto al più “rassicurante” approdo interpretativo che sembrava ormai consolidatosi nel 2014, in aderenza alla giurisprudenza della Corte di Giustizia sviluppatasi in modo coerente dal 2012 al 2014.

7.1 LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE DEL 2014

Con l’ordinanza n. 17254 del 29 luglio 2014 e la sentenza n. 21183 dell’8 ottobre 2014, la Suprema Corte ha confermato e ribadito l’orientamento interpretativo inaugurato con la sentenza n. 22127 del 27 settembre 2013 in chiave “sostanzialista”, attribuendo alla partita IVA la natura di elemento formale. In tale ottica interpretativa, è stato recepito il principio enunciato della Corte di Giustizia nelle più recenti sentenze (cfr. causa C-492/13 “Traum Eood” del 9 ottobre 2014, causa C-273/11 “Mecsek-Gabona” del 6 settembre 2014 e causa C-587/10 “VSTR” del 27 settembre 2012), secondo cui il requisito sostanziale delle cessioni intracomunitarie è costituito, dal punto di vista soggettivo, dal fatto che l’acquirente dei beni (oltre che il fornitore) sia un soggetto passivo che agisce in qualità di operatore economico, rappresentando la partita IVA un elemento di natura formale che fa presupporre tale status, avendo la funzione di agevolare l’attività di controllo delle Autorità fiscali. Il codice identificativo IVA, in quanto requisito formale, non può, quindi, mettere in discussione il diritto all’esenzione IVA quando ricorrono tutte le condizioni sostanziali, fra le quali lo status di operatore economico dell’acquirente, purchè il fornitore dei beni sia in buona fede ed abbia adottato tutte le misure cui poteva ragionevolmente ricorrere per evitare di partecipare ad una frode. La buona fede del fornitore, pertanto, implica un comportamento improntato alla diligenza del “commerciante avveduto”. In aderenza a tale principio, la Corte di Cassazione ha sottolineato come l’operatore debba comunque provare “in modo rigoroso tutti i requisiti sostanziali della normativa di settore” (Cass., ord. n. 17254 del 29.07.2014); nello stesso senso è la

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sentenza n. 21183 dell’8 ottobre 2014, dove viene confermato il diritto al regime di esenzione quando la “patologia” connessa all’irregolarità del codice identificativo IVA (nel caso specifico, partita IVA cessata), avente natura formale, “non impedisca la dimostrazione certa che i requisiti sostanziali dell’operazione intracomunitaria siano stati soddisfatti”. Venendo al tema specifico della diligenza, nell’ottica dell’ordinanza n. 17254 del 29 luglio 2014 la mancata richiesta di conferma della validità del codice identificato IVA comunicato dall’acquirente, non comporta automaticamente il venir meno del regime di non imponibilità. L’ordinanza, infatti, richiamandosi alla precedente sentenza della Corte di Cassazione n. 22127 del 27 settembre 2013, afferma che il nuovo orientamento con essa assunto, in linea con la giurisprudenza comunitaria, ha comportato il superamento di quello precedente secondo il quale “l’assenza di codice di identificazione per come prevista dall’art. 50, come anche la mancata ulteriore richiesta di verifica del codice sancita dal comma 2 dello stesso articolo, rappresentano, di per sé, elementi impeditivi del riconoscimento della non imponibilità ai fini IVA delle cessioni intracomunitarie – Cfr. Cass. n. 20575/11 Cass. n. 2227/11 Cass. n. 3167/2012”.

7.2 LE DUE SENTENZE DEL 2015

Le sentenze del 2015 intervengono entrambe su casi di partite IVA cancellate, relative a società acquirenti comunitarie che avevano cessato l’attività. La situazione di fondo è, dunque, quella più grave, in cui il codice identificativo IVA inesistente è relativo ad un soggetto passivo non più attivo. Non si tratta, infatti, di codici identificativi errati ma relativi a soggetti passivi esistenti, né di mancata indicazione dei codici identificativi nelle fatture di vendita e, nemmeno, di codici identificativi originari prima cancellati e poi riattribuiti allo stesso operatore economico, dove la natura meramente formale di essi è più evidente. Nei casi sopra indicati, ivi compreso quello dell’assenza della partita IVA (non attribuita o non ancora riattribuita), è possibile, infatti, dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti sostanziali della cessione intracomunitaria e, tra questi, l’esistenza effettiva del soggetto passivo acquirente che agisce in qualità di operatore economico. La fattispecie della partita IVA cessata, invece, affrontata un po’ troppo sbrigativamente dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 21183 dell’8 ottobre 2014, può implicare situazioni in cui essa si accompagna all’effettiva cessata attività del soggetto passivo, con la conseguenza che l’aspetto formale può assumere anche una connotazione di sostanza, venendo a mancare l’operatore economico nel ruolo di acquirente e, così, uno dei requisiti fondamentali per la realizzazione della cessione intracomunitaria non imponibile. Proprio in questi casi, un comportamento diligente e, quindi, in buona fede, del fornitore, può evitare a quest’ultimo di porre in essere erroneamente cessioni non imponibili e, in ogni caso, di prendere parte inconsapevolmente a frodi IVA.

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Nel contesto sopra delineato, entrambe le sentenze “rivalutano” il ruolo della richiesta di conferma del codice identificativo IVA all’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 50, comma 2, del D.L. n. 331/1993, sebbene la stessa sia una facoltà e non un obbligo per il fornitore residente.

7.3 LA SENTENZA N. 5632 DEL 20 MARZO 2015

La sentenza n. 5632 del 20 marzo 2015 è indubbiamente strutturata e, proprio per questo, importante nei suoi esiti interpretativi. La Corte di Cassazione, infatti, riepiloga accuratamente i principi elaborati dalla Corte di Giustizia e la sua giurisprudenza più recente per dimostrare di non volersi porre in contrasto con l’orientamento ormai consolidatosi nel corso del 2014. Dopo le premesse, allineate con la giurisprudenza nazionale e comunitaria, la sentenza poi “vira” decisamente, tornando, di fatto, al rigore interpretativo precedente, affermando che “occorre anche che il soggetto attivo dello scambio dia impulso all’apposita procedura di verifica, richiedendo al Ministero la conferma della validità attuale del numero d’identificazione del cessionario (Cass. 20279/13). In assenza di tali adempimenti, legittimamente l’Ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell’IVA (cfr. Cass. 20575/11, 2227/11) perché è onere del cedente provare la sussistenza dei fatti costitutivi del diritto, che intende far valere in giudizio, e cioè dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (Cass. 3703/09; conf. 20279/12, 3167/12)”. Nel passo successivo della sentenza, la Corte di Cassazione cerca di legittimare tale asserzione, affermando che “tale consolidato orientamento è coerente col principio Eurounitario secondo cui la corretta indicazione di un valido numero d’identificazione riguardo al cessionario intracomunitario garantisce la capacità di tale soggetto di applicare l’imposta nel Paese di appartenenza secondo il principio della tassazione nel luogo di destinazione dei beni in ragione della tendenziale imponibilità nello Stato membro in cui la merce giunge al consumo finale (cfr. Corte di Giustizia in causa EMAG, cit.)”. Il Giudice di legittimità, di fatto, giunge ad attribuire la natura di violazione sostanziale, e non formale, alla mancata richiesta di verifica della correttezza del codice identificativo IVA, idonea ad impedire la fruizione del regime di non imponibilità. Poi l’affondo finale sul concetto della “diligenza dell’operatore commerciale professionale”, necessario per provare il comportamento in buona fede; diligenza che, nel caso di specie, non vi sarebbe stata, non essendo stata verificata l’affidabilità della controparte. Infatti, a causa della mancata attivazione della procedura di controllo sulla validità dei numeri identificativi IVA degli acquirenti comunitari, il fornitore italiano non ha dimostrato di essere stato diligente. Nel caso di specie, dunque, non essendo provato il comportamento in buona fede, viene negato al fornitore residente l’accesso al regime di non imponibilità.

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Le conclusioni, tuttavia, non paiono trancianti, in quanto non fanno derivare l’imponibilità ad IVA delle cessioni in modo automatico dalla mancata attivazione del procedimento di conferma della validità della partita IVA. La sentenza, infatti, sembra fare comunque salva la possibilità per il fornitore di dimostrare che “gli acquirenti fossero effettivamente soggetti passivi d’imposta che agivano in quanto tali nell’ambito delle operazioni di cui trattasi relativamente a beni realmente destinati a essere utilizzati nell’ambito d’imprese proprie di coloro che apparivano come acquirenti nelle fatture contestate”. Da quanto affermato nella sentenza, quindi, pare dedursi che la mancata richiesta di conferma del codice identificativo IVA, pur implicando un comportamento non diligente, non precluda in assoluto al fornitore la possibilità di provare che la cessione ha natura intracomunitaria non imponibile, dimostrando che la stessa è stata effettuata comunque ad un operatore economico “attivo” nello Stato membro di destinazione dei beni. Se così fosse, quindi, la sentenza non si porrebbe in completa antitesi con la giurisprudenza del 2014, mantenendo la possibilità di poter dimostrare rigorosamente i requisiti sostanziali dell’operazione. Dove, tuttavia, incide la sentenza, è nei casi in cui il fornitore residente non sia in grado di dimostrare, assolvendo l’onere probatorio a suo carico, che i beni sono giunti a destinazione di un operatore economico “attivo” nello Stato membro di arrivo; in questi casi, infatti, un comportamento diligente e, quindi, in buona fede, consentirebbe al fornitore di vedersi “garantito” il regime di non imponibilità, avendo fatto quanto poteva per non partecipare ad una frode. In questi casi, non avere attivato la procedura di conferma della partita IVA dell’acquirente comunitario ai sensi dell’art. 50, comma 2, del D.L. n. 331/1993, implicherebbe, secondo la sentenza, un comportamento non diligente, con conseguente negazione del regime di non imponibilità.

7.4 LA SENTENZA N. 15639 DEL 24 LUGLIO 2015

La sentenza n. 15639 del 24 luglio 2015 si pone nel solco interpretativo della precedente e riguarda un caso ancora più eclatante, in quanto la società acquirente risultava cessata, in seguito a fallimento (2002) già da due anni al momento delle forniture dei beni (2004), in modo tale che le stesse “non avevano dato luogo ad imposizione alcuna in Lussemburgo”. Nel caso di specie, si aggiunge un ulteriore elemento di complicazione, rappresentato dal fatto che le transazioni erano state effettuate rapportandosi ad un falso rappresentante legale della società acquirente, sull’identità del quale la società fornitrice residente non aveva svolto alcuna verifica. Il Giudice di legittimità prima afferma che “nella giurisprudenza della Corte di giustizia, la buona fede è identificata col legittimo affidamento, ossia con la buona fede in senso soggettivo, che è scaturente dalla condotta avveduta ed in quanto tale diligente” e, poi,

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sottolinea come il fornitore “non ha dato mostra di condotta diligente ed avveduta ex art. 1176 c.c., comma 2, in quanto, secondo quanto emerge dagli elementi di fatto sunteggiati in narrativa, ha ritenuto d’intrattenere rapporti commerciali con la società lussemburghese, poi risultata fallita, dopo due anni dagli ultimi contatti, per mezzo di un sedicente suo rappresentante, del quale non era ben individuato neanche il nominativo, variamente indicato e comunque non rispondente alle reali generalità del soggetto, senza avere pienamente svolto alcun accertamento sulla permanente esistenza ed operatività della cessionaria”. Il passaggio successivo della sentenza richiama, quindi, l’art. 50, comma 2, del D.L. n. 331/1993, sottolineando che “con questa norma, il legislatore si limita a disciplinare le modalità tramite le quali il cedente esercita il proprio controllo diligente, in coerenza, d’altronde, con l’art. 1393 c.c., comma 1, il quale prevede che il terzo che contratta col rappresentante può sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri. L’omesso esercizio del controllo, dunque, con riferimento agli elementi della fattispecie in esame, segnata, come visto, da rilevanti ambiguità già in relazione alle generalità del falso rappresentante, concorre ad escludere la sussistenza di un affidamento incolpevole”. La chiusura è sulla stessa linea della sentenza n. 5632/2015, ribadendo la Corte di Cassazione che “per accedere al regime non imponibile, non basta che gli esercenti imprese, arti e professioni indichino il numero identificativo ai fini IVA nella documentazione relativa allo scambio intracomunitario, ma occorre anche che il soggetto attivo dello scambio dia impulso ad una apposita procedura di verifica, richiedendo all’amministrazione competente la conferma della validità attuale del numero di identificazione attribuito al cessionario; di guisa che, in assenza di tali adempimenti, legittimamente l’ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell’IVA, facendo pur sempre salva la facoltà del contribuente di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo”.

7.5 CONCLUSIONI

Le due sentenze del 2015 sono un evidente sintomo del fatto che la questione interpretativa relativa alla diligenza ed alla buona fede del contribuente, in relazione alla verifica della soggettività passiva della controparte comunitaria, è tuttora aperta e comporta notevoli incertezze e difficoltà operative per i contribuenti. Il legislatore italiano, infatti, a differenza di quanto avvenuto in altri Stati membri, non ha disciplinato in via normativa i mezzi di prova delle cessioni intracomunitarie e, con essi, gli adempimenti procedurali da osservare per valutare la diligenza degli operatori. In un quadro interpretativo e giurisprudenziale come quello attuale, il comportamento più prudente implica, quindi, che il fornitore residente proceda alla conferma presso l’Agenzia delle Entrate del codice identificativo comunicatogli dall’acquirente comunitario, per evitare alla radice che gli venga imputato un comportamento non diligente.

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Al riguardo, però, un ulteriore aspetto da valutare è quello della sempre maggiore efficienza che negli ultimi anni ha acquisito il sistema VIES, nel cui ambito ormai quasi tutti gli Stati membri hanno aggiornato i dati, abbinando al codice identificativo IVA i dati anagrafici dei relativi soggetti passivi. Nell’ottica di una auspicabile semplificazione degli adempimenti per i contribuenti, limitando i casi di ricorso alla procedura di verifica di cui all’art. 50, comma 2, del D.L. n. 331/1993, sarebbe certamente opportuno che l’Agenzia delle Entrate confermasse espressamente, una volta per tutte, che tale procedura è a tutti gli effetti sostituita dalla verifica attuata tramite il sistema VIES per il controllo delle partite IVA comunitarie quando lo stesso fornisce tutti i dati necessari.

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8. IL REGIME IVA DELLA CESSIONE DI STAMPI NEI RAPPORTI CON COMMITTENTI COMUNITARI

I contratti di appalto, anche nella forma di appalto-fornitura, comportano rilevanti problematiche in ambito Iva nei rapporti internazionali, a causa delle difficoltà d’inquadramento che si incontrano nei singoli casi. Tra le difficoltà che spesso gli operatori si trovano ad affrontare, vi sono anche quelle connesse alla corretta fatturazione degli stampi utilizzati per la produzione di beni su commessa, soprattutto in ambito comunitario.

8.1 LA FATTURAZIONE DEGLI STAMPI

Nei rapporti internazionali aventi ad oggetto la produzione di beni sulla base di contratti d’appalto, in conformità alle specifiche tecniche e ai requisiti di qualità che i prodotti finiti devono rispettare secondo le esigenze del committente/acquirente, è frequente che al fornitore venga richiesto di realizzare lo stampo necessario per la produzione dei beni. Nella prassi contrattuale, può avvenire che venga pattuito un prezzo specifico per lo stampo che, realizzato dal produttore per conto del committente, è acquisito in proprietà da quest’ultimo con l’obbligo di pagare il corrispettivo dietro emissione di fattura da parte del fornitore. Il prezzo di vendita dello stampo, soprattutto se d’importo rilevante, è usuale venga addebitato al committente una volta ultimata la sua realizzazione, con conseguente emissione di fattura quando ancora non è avviata la fase produttiva oppure la stessa è solo agli inizi. Tale situazione implica profili di criticità nell’ottica dei rapporti intracomunitari in quanto, fra i requisiti sostanziali richiesti per l’applicazione del regime di non imponibilità, è previsto che i beni mobili vengano spediti o trasportati nello Stato membro di destinazione. Nel caso di specie, diversamente da quanto richiesto dall’art. 41, comma 1, lett. a), del D.L. n. 331/1993, gli stampi, sebbene ceduti dal fornitore residente a un soggetto passivo comunitario, non vengono trasferiti nell’altro Stato membro, ma rimangono necessariamente in Italia in quanto necessari per la produzione dei beni. Solo in un secondo momento, ultimata la fase produttiva per la fornitura delle quantità di beni previste da contratto, si può ipotizzare il trasferimento dello stampo al committente/acquirente. Tale ipotesi, però, spesso non si realizza, poiché lo stampo si presenta ormai usurato e obsoleto e, ultimata la produzione oggetto del contratto di appalto-fornitura, non è nell’interesse del committente acquisirne il possesso, tanto che nei contratti non è infrequente la clausola che prevede la distruzione in loco dello stampo a ciclo produttivo ultimato.

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Nella normalità dei casi, pertanto, accade che lo stampo non venga mai trasportato nello Stato membro del committente/acquirente, sebbene la relativa vendita sia stata fatturata in regime di non imponibilità come cessione intracomunitaria. La sentenza del 20 novembre 2015 della Corte di Cassazione è l’occasione per fare il punto su tale problematica, anche alla luce delle pronunce dell’Amministrazione finanziaria che hanno avuto ad oggetto lo specifico tema.

8.2 IL CASO SOTTOPOSTO ALL’ATTENZIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Con la sentenza n. 23761 del 20 novembre 2015, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di una società italiana, in seguito “ITA 1”, che aveva stipulato con una società inglese committente un contratto di appalto per la produzione di beni (testate cilindriche). La stesso contratto di appalto prevedeva anche la costruzione di stampi da utilizzare nell’attività di produzione. La società italiana appaltatrice (ITA 1), su richiesta della società inglese committente come previsto dal contratto d’appalto, aveva incaricato una seconda società italiana subappaltatrice, in seguito “ITA 2”, per la realizzazione degli stampi e la fabbricazione dei beni. Giunto al termine l’originario contratto di appalto tra ITA 1 e la società committente, gli stampi erano rimasti presso ITA 2 senza essere trasferiti alla società inglese committente nel proprio Stato membro. Era accaduto, infatti, che la produzione dei beni era continuata anche dopo la cessazione del contratto originario, in seguito alla stipulazione di ulteriori contratti di fornitura direttamente fra la società inglese committente e ITA 2, utilizzando i medesimi stampi che erano rimasti presso quest’ultima. Tale situazione aveva indotto l’Agenzia delle entrate a contestare la mancata applicazione dell’Iva per la cessione degli stampi in quanto, in assenza del loro trasferimento all’acquirente estero “o della loro consunzione nel processo produttivo, o ancora della loro distruzione pattuita dai contraenti all’esito della esecuzione della fornitura dei prodotti finiti, difettava il presupposto applicativo della non imponibilità della operazione di cessione intracomunitaria”. Nella sostanza, l’Agenzia aveva ribadito la necessità di fare riferimento esclusivamente al contratto originario stipulato tra ITA 1 e il committente/acquirente, verificando alla cessazione di esso la destinazione degli stampi all’estero o, alternativamente, la relativa dismissione o distruzione, contrariamente alla tesi sostenuta dal contribuente secondo cui, invece, occorreva attendere il termine finale del ciclo produttivo, comprendendovi anche i successivi contratti di fornitura stipulati da ITA 2.

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8.3 LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

La sentenza n. 23761/2015 della Corte di Cassazione si articola in tre passaggi successivi. In primo luogo, viene affrontato il problema della tassazione relativo agli stampi quali beni ad utilizzo ripetuto a fini produttivi, connesso al fatto che la fatturazione immediata dei corrispettivi degli stampi avviene in assenza della corrispondente consegna degli stessi al committente, con trasporto o spedizione nello Stato membro ove quest’ultimo è stabilito. Sul punto, il Giudice di legittimità interpreta la “ratio legis” del disposto di cui all’art. 41, comma 1, lett. a), del D.L. n. 331/1993 in modo sostanzialmente analogo a quello già adottato dall’Amministrazione finanziaria con la circolare n. 73 del 27 maggio 1994, paragrafo 10.5, in merito alla fatturazione autonoma e separata del corrispettivo degli stampi. In tale ottica, quindi, viene dato rilievo alla stipulazione di un contratto unico nel cui ambito disciplinare sia la fornitura dei beni che la realizzazione degli stampi necessari a produrli, dove entrambi gli adempimenti vengono considerati connessi in una fattispecie negoziale unitariamente considerata. Sulla base di tale premessa di ordine logico-giuridico, s’innesta il secondo passaggio della sentenza, secondo cui il materiale trasferimento degli stampi nel territorio dello Stato membro del committente/acquirente può essere differito alla cessazione del rapporto contrattuale, posticipando così al termine del contratto la verifica del presupposto del trasferimento fisico degli stampi nell’altro Stato membro per giustificare il regime di non imponibilità. Tenendo conto della peculiarità della fattispecie, la sentenza legittima il regime di non imponibilità della cessione degli stampi anche quando gli stessi vengono “consumati” o “distrutti” in conseguenza del processo di lavorazione dei prodotti finiti o in adempimento a quanto previsto dal contratto, “in tal caso ritenendo egualmente assolto il presupposto indicato nel venir meno della stessa esistenza di un autonomo bene suscettibile di trasporto o spedizione”. In altri termini, la distruzione dello stampo al termine del periodo di utilizzo o la sua “dismissione” dal processo produttivo secondo le previsioni contrattuali, rendono impossibile il trasferimento fisico del bene nell’altro Stato membro, dando luogo a situazioni equiparate ad esso negli effetti sostanziali; lo stampo, infatti, benché non trasferito all’estero, non può nemmeno dirsi consegnato al committente/acquirente nel territorio dello Stato, non avendone quest’ultimo ottenuto il possesso. Il terzo passaggio è quello finale, in cui la Cassazione conferma l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate, attribuendo rilievo esclusivo al solo contratto originario d’appalto che prevede la realizzazione (e cessione) dello stampo strumentale alla fornitura dei beni. In relazione al caso di specie, quindi, la sentenza afferma che il presupposto per la corretta applicazione del regime di non imponibilità dev’essere verificato al momento

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della cessazione del primo contratto d’appalto, stipulato tra ITA 1 e la società inglese committente, e non successivamente, all’esaurirsi del ciclo produttivo continuato attraverso gli ulteriori e distinti contratti fra ITA 2 e la medesima società committente, “dovendo ritenersi esaurita la operazione di cessione intracomunitaria con la estinzione del rapporto contrattuale avente ad oggetto la realizzazione del bene-strumentale”.

8.4 ASPETTI APPLICATIVI

Come anticipato, la sentenza n. 23761/2015 conferma, di fatto, l’interpretazione già fornita dall’Amministrazione finanziaria con la citata circolare n. 73 del 27 maggio 1994 in relazione alla fattispecie degli stampi ceduti al committente/acquirente comunitario che, durante la fase produttiva, rimangono presso il fornitore dei beni, il quale li utilizza avendone il possesso ma non la proprietà. La predetta circolare, nel paragrafo 10.5, sottolinea che la fatturazione separata degli stampi, con addebito del relativo corrispettivo in via autonoma, può avvenire in regime di non imponibilità ex art. 41, comma 1, lett. a), del D.L. n. 331/1993, alla duplice condizione che: sia stipulato un unico contratto d’appalto tra il fornitore nazionale e il committente/acquirente comunitario che preveda sia l’obbligo di realizzazione dello stampo, sia l’obbligo di fornitura dei beni prodotti tramite l’uso dello stampo; alla fine del ciclo produttivo, con la cessazione del contratto d’appalto, lo stampo venga inviato nell’altro Stato membro; tale seconda condizione, si ritiene comunque rispettata, “pur in mancanza del materiale invio all’estero, qualora, per accordi contrattuali o in conseguenza dell’ordinario processo di produzione lo stampo, sia distrutto o risulti inservibile, a fine produzione”. I riferimenti al contratto d’appalto che prevede la realizzazione e vendita dello stampo al committente/acquirente sono, dunque, molto precisi, dovendo gli accordi disciplinare la “gestione” dello stampo a fine produzione e tale rigore è stato fatto proprio dalla sentenza in commento che ha escluso la legittimità dell’applicazione del regime di non imponibilità nei casi in cui, cessato il contratto originario, lo stampo continui a essere utilizzato in base ad accordi successivi e diversi, in ciò ravvisandosi, di fatto, una consegna dello stampo, ancora funzionante, in Italia al committente comunitario. La circolare n. 73/E del 1994, ribadendo quanto già indicato nella circolare n. 13 del 23 febbraio 1994, paragrafo 15.1, lett. h), completa l’esame della fattispecie, sottolineando che quando il corrispettivo dello stampo è autonomamente indicato in fattura, l’elenco Intrastat “agli effetti fiscali è compilato con riferimento al periodo di registrazione della fattura, ancorché lo stampo non sia ancora spedito; mentre agli effetti statistici il valore va proporzionalmente aggiunto a quello delle singole forniture nella compilazione dei relativi elenchi”.

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9 LA FATTURAZIONE DEI SOGGETTI PASSIVI COMUNITARI IDENTIFICATI AI FINI IVA IN ITALIA PER LE CESSIONI DI BENI EFFETTUATE NEL TERRITORIO DELLO STATO ALLA LUCE DELLA RISOLUZIONE N. 21/E DEL 2015

Il regime di fatturazione delle cessioni di beni esistenti nel territorio dello Stato effettuate da soggetti passivi comunitari nell’ambito dei rapporti “B2B”, è stato profondamente innovato, con riferimento alle operazioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2013, in seguito alle modifiche apportate all’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972. Con il recepimento della direttiva n. 2010/45/CE del 13 luglio 2010, avvenuta con legge 24 dicembre 2012, n. 228, sono state introdotte nell’ordinamento interno numerose disposizioni di matrice comunitaria in materia di fatturazione e, fra queste, quella contenuta nel secondo periodo del secondo comma dell’art. 17 del decreto IVA.

9.1 LA NOVITÀ

La norma come modificata, prevede ora che, nel caso di cessioni di beni (o prestazioni di servizi) effettuate in Italia da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione europea, il cessionario (o committente) residente adempie agli obblighi di fatturazione e di registrazione “secondo le disposizioni degli artt. 46 e 47 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427”. La nuova disposizione stabilisce, in sostanza, che per le cessioni di beni (e prestazioni di servizi) effettuate da operatori economici comunitari nel territorio dello Stato, ivi rilevanti ai fini IVA, gli adempimenti in materia di fatturazione e registrazione sono quelli specifici previsti per gli acquisti intracomunitari di cui al D.L. n. 331/1993. Si tratta, quindi, di integrare, con le modalità indicate nell’art. 46 del D.L. n. 331/1993 le fatture ricevute dai soggetti passivi comunitari senza addebito dell’imposta, e di registrarle “distintamente” nei registri IVA delle vendite e degli acquisti. La norma in vigore dal 2013, amplia il perimetro applicativo delle modalità di fatturazione e registrazione “intracomunitarie” a tutte le tipologie di operazioni (cessioni e prestazioni), precedentemente limitate alle sole prestazioni di servizi “generiche” ex art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972 rese da soggetti passivi comunitari. Per le cessioni di beni rilevanti nel territorio dello Stato effettuate da soggetti non residenti comunitari cambiano, quindi, le modalità attraverso cui applicare il meccanismo del reverse charge obbligatorio, attuato non più con l’emissione dell’autofattura in unico esemplare ex art. 21, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972, bensì con l’integrazione della fattura emessa dal soggetto passivo comunitario. Nel recepire le novità introdotte dalla direttiva n. 2010/45/CE, il legislatore italiano ha correttamente evidenziato, con l’introduzione del comma 6-ter nell’art. 21 del decreto IVA, la differenza esistente tra le due modalità alternative con cui attuare il meccanismo dell’inversione contabile (“reverse charge”):

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• emissione di autofattura da parte del cessionario dei beni (o committente dei servizi) residente “in virtù di un obbligo proprio”, con l’annotazione “autofatturazione”;

• integrazione della fattura estera emessa dal cedente (o prestatore) soggetto passivo comunitario.

L’adozione del meccanismo dell’integrazione della fattura estera implica che il soggetto passivo comunitario, cedente dei beni esistenti nel territorio dello Stato, debba emettere la fattura secondo le norme applicabili nello Stato membro ove è stabilito, con l’annotazione specifica “inversione contabile”. Tale meccanismo è quello previsto dalla normativa comunitaria di cui all’art. 219 bis, paragrafo 1, punto 2), lett. a), della direttiva n. 2006/112/CE, per i casi in cui “il debitore dell’IVA é l’acquirente dei beni o il destinatario dei servizi”.

9.2 PROBLEMATICHE APPLICATIVE

La cessione di beni esistenti nel territorio dello Stato al momento di effettuazione dell’operazione, da parte del soggetto passivo comunitario non residente, costituisce una cessione “interna”, in quanto i beni stessi non vengono trasferiti in Italia da un diverso Stato membro di partenza. Se i beni si trovano fisicamente già in Italia nel momento in cui vengono ceduti o nel momento in cui, per effetto della cessione, inizia il trasporto o la spedizione a destinazione dell’acquirente residente, è l’Italia il luogo in cui si considera effettuata l’operazione ai sensi degli artt. 31 e 32 della direttiva n. 2006/112/CE. Il caso tipico è quello del fornitore comunitario che ha istituito un deposito in Italia in cui spedire i beni, con preventiva nomina di un rappresentate fiscale ai fini IVA per formalizzare l’acquisto intracomunitario e svolgere gli adempimenti relativi al modello Intrastat degli acquisti; la cessione interna avviene, quindi, successivamente. Sebbene ai fini della fatturazione e registrazione si applichi la disciplina degli acquisti intracomunitari, si tratta comunque di operazioni interne dal punto di vista del meccanismo impositivo, creandosi così una dicotomia tra l’aspetto formale e quello sostanziale. Sempre di un’operazione interna si tratta, quando i beni ceduti dal fornitore comunitario vengono trasferiti direttamente dallo Stato membro ove questi è stabilito a destinazione dell’Italia, nell’ottica di un’operazione astrattamente riconducibile a una “triangolare”, realizzata con l’interposizione del rappresentante fiscale del soggetto passivo comunitario nominato in Italia; a fronte di un unico spostamento fisico dei beni, infatti, si configurano due operazioni distinte in linea temporale. In tale fattispecie, l’acquisto intracomunitario effettuato in Italia tramite il rappresentante fiscale precede la successiva cessione “interna” all’operatore residente, come confermato dall’Agenzia delle entrate (c.m. n. 36/E del 21.06.2010, caso n. 31, r.m. n. 4/E del 09.01.2003 ed r.m. del 05.08.1994).

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In entrambi i casi sopra indicati, all’acquisto “interno” deve essere attribuita rilevanza IVA applicando il reverse charge obbligatorio mediante l’integrazione della fattura estera emessa dal fornitore comunitario. In tale ottica, non assume alcun rilievo l’eventuale emissione della fattura da parte del rappresentante fiscale del soggetto passivo non residente nominato in Italia, in quanto il meccanismo del reverse charge obbligatorio implica che il soggetto passivo residente, quale debitore dell’imposta, debba provvedere in proprio ad attribuire rilevanza IVA all’acquisto interno di beni, anche se il fornitore è identificato ai fini dell’imposta in Italia (tramite rappresentante fiscale o identificazione diretta). Da ciò consegue che a nessun adempimento IVA in Italia è tenuto il fornitore comunitario non residente, anche se identificato nel territorio dello Stato, in relazione a cessioni interne di beni (r.m. n. 89/E del 25.08.2010). La fattura eventualmente emessa dal rappresentante fiscale nominato in Italia nei confronti del soggetto passivo residente, non è dunque mai rilevante ai fini IVA quando si riferisce a cessioni interne di beni (reverse charge obbligatorio), sia che i beni si trovino già in Italia al momento della cessione, sia che i beni stessi vengano spediti direttamente dallo Stato membro ove è stabilito il fornitore comunitario e nell’operazione “intervenga” il rappresentante fiscale.

9.3 LE DIFFICOLTÀ D’INDIVIDUAZIONE DELLE OPERAZIONI

L’operatore residente deve distinguere, pertanto, tra acquisti “interni” e “intracomunitari”, in ciò avvalendosi dei documenti di trasporto dei beni (ad es. CMR e DDT) e delle fatture ricevute. Quanto alle fatture si pone il problema più rilevante, in quanto l’Agenzia delle entrate, con la recente risoluzione n. 21/E del 20 febbraio 2015, ha ribadito come “il documento emesso con partita IVA italiana dal rappresentante fiscale di un soggetto passivo estero residente nella UE (o fuori dalla UE), per una cessione effettuata nei confronti di un soggetto passivo IVA residente in Italia, sia da considerare non rilevante come fattura ai fini IVA e debba essere richiesta al suo posto la fattura emessa direttamente dal fornitore estero”. Da ciò consegue che, in caso di mancata ricezione della fattura regolarmente emessa dal fornitore comunitario con l’annotazione “inversione contabile”, entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, l’acquirente residente deve “emettere autofattura entro il giorno 15 del terzo mese successivo”. L’operatore nazionale, pertanto, non può integrare la fattura eventualmente emessa dal rappresentante fiscale, in quanto documento irrilevante ai fini IVA, ma dovrà emettere la cd. autofattura “da regolarizzazione” ex art. 46, comma 5, del D.L. n. 331/1993. Il compito dell’operatore italiano è semplice quando la fattura estera contiene esclusivamente i riferimenti anagrafici e la partita Iva del rappresentante fiscale (o della identificazione diretta), come nel caso oggetto della risoluzione, oppure solo quelli

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del fornitore comunitario; il compito diventa molto più complicato quando nella fattura ricevuta siano indicati i riferimenti ed i numeri di partita IVA sia del cedente comunitario sia del rappresentante fiscale, senza precisazioni chiare sull’effettivo emittente del documento. Se le fatture fossero emesse correttamente dubbi non vi dovrebbero essere, in quanto dovrebbe comparire esclusivamente l’anagrafica del soggetto comunitario con l’annotazione “inversione contabile” nel caso di operazione “dirette”, mentre, nel caso in cui la cessione sia “veicolata” tramite il rappresentate fiscale, la fattura dovrebbe essere cointestata e contenere gli estremi “del rappresentante (e la sua qualità) e del soggetto rappresentato” (r.m. n. VII-15-7 del 15.09.1993). Tuttavia, le fatture contengono spesso gli estremi identificativi ed i numeri di partita IVA di entrambi i soggetti coinvolti non con la volontà di esplicitare l’effettivo emittente del documento ma, più banalmente, perché tale è l’impostazione standard dell’anagrafica delle fatture. In alcuni casi, poi, oltre alla partita IVA del vero soggetto passivo comunitario, sono riportati più numeri identificativi riferiti alle posizioni IVA assunte dal fornitore in diversi Stati membri dell’Unione europea. Quanto sopra implica per gli acquirenti residenti onerosi adempimenti informativi, a fronte dei quali possono comunque verificarsi errori nella fatturazione determinati da obiettive difficoltà d’interpretazione o di reperimento dei dati necessari. Al riguardo, è auspicabile che l’Agenzia delle entrate si pronunci in merito a tali problematiche in modo espresso, chiarendo quale possa essere il comportamento dell’operatore “diligente” che lo esoneri da sanzioni, anche se, considerata l’enfasi attribuita dalla risoluzione n. 21/E del 2015 alla presenza della sola partita IVA nazionale al fine di escludere la riconducibilità della fattura al fornitore comunitario, potrebbe argomentarsi, ragionando al contrario, che la contemporanea presenza dell’identificativo IVA attribuito a tale soggetto dal proprio Stato, possa valere quale indice della riferibilità del documento all’operatore estero, anziché al suo rappresentante fiscale (o identificazione diretta).

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10. LE NOVITÀ SULLA TERRITORIALITÀ DEI SERVIZI IMMOBILIARI IN VIGORE DAL 2017: SERVIZI DI LOGISTICA E PARTECIPAZIONE A FIERE

La nozione di bene immobile ed il perimetro definitorio dei servizi immobiliari hanno da sempre implicato notevoli problemi nell’applicazione dell’Iva all’interno dell’Unione europea, a causa dei differenti approcci interpretativi ed interventi normativi adottati nei diversi Stati membri. Per quanto riguarda, in particolare, i servizi di natura immobiliare, è di fondamentale rilevanza stabilire la loro effettiva sussistenza a causa del differente regime Iva rispetto ai servizi “generici”, in relazione al luogo in cui le prestazioni devono considerarsi effettuate. Ai fini dell’inquadramento “territoriale”, infatti, i servizi immobiliari sono disciplinati nell’art. 47 della direttiva n. 2006/112/CE e, quanto alla normativa interna, nell’art. 7-quater, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, mentre i servizi “generici” hanno la loro fonte normativa, per i rapporti B2B, nell’art. 44 della direttiva n. 2006/112/CE, e nell’art. 7-ter, comma 1, del decreto Iva. Per i servizi immobiliari, il luogo di effettuazione è individuato nello Stato membro ove è situato l’immobile oggetto delle prestazioni di servizi, sulla base di un criterio di natura oggettiva che prescinde dallo “status” nazionale od estero del prestatore e del committente, applicabile sia ai rapporti B2B che ai rapporti B2C. Si tratta, quindi, di un regime territoriale completamente diverso da quello relativo ai servizi “generici”, fondato sul luogo di stabilimento del soggetto passivo committente, ivi identificato ai fini Iva, per i rapporti B2B; per i rapporti B2C, invece, il luogo di effettuazione della prestazione è individuato nel luogo ove è stabilito il soggetto passivo Iva fornitore del servizio (art. 7-ter, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972). Le difficoltà interpretative connesse alla nozione di servizi immobiliari e le differenze riscontrate nei diversi Stati membri, con riflessi negativi nella gestione della corretta fatturazione da parte degli operatori interessati e possibili rischi di doppia imposizione o salto d’imposta, hanno originato ripetuti interventi del Giudice europeo. Tali criteri sono i seguenti:

• il servizio deve presentare un nesso sufficientemente diretto con un bene immobile;

• la prestazione di servizi deve essere collegata a un bene immobile espressamente determinato;

• la prestazione di servizi deve avere per oggetto il bene immobile stesso, verificandosi tale situazione quando un bene immobile espressamente determinato deve essere considerato come elemento costitutivo di una prestazione di servizi, in quanto ne costituisce un elemento centrale ed indispensabile.

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In particolare, le situazioni più complicate sono quelle dove l’uso diretto del bene immobile è un elemento che, unitamente ad altri, concorre a formare un servizio complesso percepito come prestazione economicamente e sostanzialmente unitaria nell’ottica del beneficiario. Tale situazione, per esempio, è quella che si presenta per i servizi fieristici (sentenza della Corte UE del 9 marzo 2006, nella causa C-114/05, caso “Gillan Beach”) e per i servizi di magazzinaggio e logistica integrata (sentenza della Corte UE del 27 giugno 2013, nella causa C-155/12, caso “RR Donnelley Global Turnkey Solutions”). In considerazione delle diversità riscontrate nelle legislazioni e nelle prassi amministrative dei singoli Stati membri, il legislatore comunitario ha ritenuto necessario intervenire a livello normativo, con l’obiettivo di garantire un trattamento fiscale uniforme alle prestazioni di servizi immobiliari.

10.1 IL NUOVO REGOLAMENTO D’ESECUZIONE (UE) N. 1042/2013

Il regolamento d’esecuzione (UE) n. 1042/2013 del Consiglio del 7 ottobre 2013 (pubblicato sulla G.U.U.E. del 26.10.2013), con cui viene modificato il regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011, interviene, infatti, direttamente sui servizi immobiliari e sulla nozione di bene immobile, dedicando ad essi due nuovi articoli aggiunti nel testo del precedente regolamento n. 282/2011:

• articolo 13 ter: relativo alla definizione di “beni immobili”, • articolo 31 bis: relativo alla definizione dei servizi “relativi a beni immobili”,

con individuazione di esempi costituenti “un elenco non esaustivo” (dodicesimo “considerando”).

Nonostante lo sforzo compiuto, il regolamento n. 1042/2013 si è rivelato fin da subito non idoneo, in relazione ad alcune fattispecie di servizi, a dirimere in modo sufficientemente chiaro i dubbi interpretativi. Tra le fattispecie per le quali il predetto regolamento si è manifestato assolutamente carente, rientrano proprio i casi delle prestazioni complesse e, in particolare, quelle dei servizi di magazzinaggio e della partecipazione ad eventi fieristici. Nella consapevolezza delle carenze riscontrate nel regolamento, con il permanere di consistenti problematiche interpretative, e dell’entrata in vigore dal 1° gennaio 2017 delle nuove disposizioni di cui agli articoli 13 ter (immobili) e 31 bis (servizi immobiliari), il 26 ottobre 2015 la Commissione europea ha pubblicato le “Note esplicative sulle norme dell’UE in materia di Iva concernenti il luogo delle prestazioni di servizi relativi a beni immobili che entreranno in vigore nel 2017” di cui al regolamento di esecuzione (UE) n. 1042/2013 del Consiglio. Come espressamente indicato nel documento, le “note esplicative non sono giuridicamente vincolanti e si limitano a fornire orientamenti pratici informali sulle modalità di applicazione del diritto dell’UE secondo la Direzione generale della Fiscalità e dell’unione doganale della Commissione europea”.

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Tali note, tuttavia, sebbene giuridicamente non vincolanti per le Amministrazioni fiscali degli Stati membri, costituiscono indubbiamente un utile strumento interpretativo di riferimento e, alle fattispecie di prestazioni complesse sopra citate, dedicano ampio spazio.

10.2 I SERVIZI DI MAGAZZINAGGIO E LOGISTICA

L’art. 31 bis, paragrafo 2, lettera h), inserito nel regolamento UE n. 282/2011 per effetto del regolamento di esecuzione n. 1042/2013, stabilisce che rientrano, “in particolare”, fra i servizi relativi a beni immobili “la locazione finanziaria o la locazione di beni immobili diversi da quelli di cui al paragrafo 3, lettera c), compreso il magazzinaggio di merci con assegnazione di una parte specifica dell’immobile ad uso esclusivo del destinatario”. Nel successivo terzo paragrafo, lettera b), viene correlativamente previsto che non è compreso nella nozione di servizi immobiliari “il magazzinaggio di merci in un bene immobile qualora non sia assegnata alcuna parte specifica dell’immobile ad uso esclusivo del destinatario”. Con tale disposizione, di fatto, il legislatore comunitario ha cercato di “tradurre” i principi interpretativi elaborati dalla Corte di giustizia nella sentenza del 27 giugno 2013, nella causa C-155/12, caso “RR Donnelley Global Turnkey Solutions”, ma senza coglierne gli elementi decisivi. In primo luogo, non viene definita dalla norma la nozione di “magazzinaggio” o “stoccaggio” (nel testo in inglese il termine utilizzato è “storage”), diversamente da quanto si deduce implicitamente dalla sentenza, da cui emerge che tale servizio può essere di natura complessa, se articolato in una serie di molteplici attività tutte connesse fra loro, oppure può ridursi ad una prestazione meramente “statica”, costituita dalla semplice messa da disposizione dell’area di stoccaggio e dalla detenzione dei beni in custodia. Proprio partendo da tale differenza, la Corte di giustizia giunge poi alle conclusioni finali. In secondo luogo, la norma del regolamento attribuisce rilievo esclusivo, ai fini della differenziazione tra servizio immobiliare e “generico”, al fatto dell’assegnazione o meno di una parte specifica dell’immobile ad uso esclusivo del committente della prestazione.

10.2.1 LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA SUL CASO “DONNELLEY”

Nella sentenza sul caso “Donnelley”, invece, vengono individuati due precisi elementi di fatto e di diritto, alla cui sussistenza è subordinata la configurazione del servizio immobiliare:

• “il diritto di utilizzare in tutto o in parte un bene immobile espressamente determinato” (prima condizione di natura giuridico-contrattuale);

• il fatto che “lo stoccaggio costituisce la prestazione principale di un’operazione unica” (seconda considerazione di natura sostanziale).

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Sulla seconda condizione, la sentenza non brilla per chiarezza, tuttavia, dal contesto complessivo delle motivazioni come illustrate ai punti da 35 a 39, si deduce che il concetto di “stoccaggio” a cui si fa riferimento è inteso nella sua accezione “statica” di messa a disposizione dell’area e mera custodia dei beni, configurandosi così la situazione in cui la prestazione di servizi ha “per oggetto il bene immobile” (punto 35), tanto che la sentenza, quando indica i servizi oggetto del giudizio, si riferisce ad essi specificando la loro natura “complessa” (punti 30, 37 e 39). L’attività oggetto della domanda pregiudiziale indicata con il termine “stoccaggio merci”, viene descritta, infatti, come un servizio complesso che include, in particolare “il ricevimento delle merci in magazzino, la sistemazione delle stesse nelle apposite aree di stoccaggio, la custodia, l’imballaggio per i clienti, la consegna, lo scarico e il carico”, dove “la messa a disposizione di aree di stoccaggio rappresenta soltanto uno dei tanti elementi facenti parte del processo logistico” (punto 10). La società che gestisce l’attività di logistica (polacca, nel caso di specie), per fornire i propri servizi “ricorre peraltro al proprio personale nonché a materiali d’imballaggio i cui costi costituiscono una voce del corrispettivo del servizio” (punto 10). “L’intento delle parti non sarebbe di concedere ai beneficiari del servizio di cui trattasi diritti di utilizzazione dell’area di stoccaggio, ma unicamente di conservare le merci in condizioni inalterate e di assicurare tutte le prestazioni complementari connesse a un siffatto servizio” (punto 11). La descrizione dell’attività oggetto della domanda lascia, dunque, chiaramente intendere che il servizio prestato si caratterizza per essere un servizio complesso, il quale comprende una pluralità di attività fra loro connesse ed accomunate dal fatto che il loro svolgimento “ruota” attorno alla struttura immobiliare (area di stoccaggio). Preso atto dell’esistenza di una prestazione complessa, comprensiva di più tipologie di servizi (punto 19), e richiamata brevemente la giurisprudenza comunitaria in materia, la Corte di Giustizia giunge ad un primo approdo interpretativo, affermando come “la prestazione complessa di stoccaggio in esame nel procedimento principale configuri un’unica operazione la cui prestazione principale consiste nello stoccaggio merci” (punto 26). La Corte, poi, precisa che “dovesse risultare che i beneficiari di una simile prestazione di stoccaggio non hanno, per esempio, alcun diritto di accesso alla parte dell’immobile in cui sono stoccate le loro merci o che l’immobile sul quale o nel quale le medesime devono essere stoccate non costituisce un elemento centrale e indispensabile della prestazione di servizi, cosa che spetta ai giudici nazionali verificare, una prestazione di servizi come quella in esame nel procedimento principale non può rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 47 della direttiva Iva” (punto 38). La sentenza, quindi, si conclude evidenziando che il servizio complesso di stoccaggio dei beni, in cui è compresa l’attività di custodia degli stessi, può costituire una prestazione immobiliare solamente nel caso in cui lo stoccaggio “costituisce la

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prestazione principale di un’operazione unica e ai suoi beneficiari viene riconosciuto il diritto di utilizzare in tutto o in parte un bene immobile espressamente determinato”. Se, dunque, la sentenza sul caso “Donnelley” è chiara nelle sue conclusioni, la disposizione come delineata nel regolamento non lo è affatto.

10.2.2 LE NOTE ESPLICATIVE DELLA COMMISSIONE EUROPEA DEL 2015

Le note esplicative della Commissione europea dedicano il paragrafo 2.4.9.2 e 2.4.9.3 alla nozione di magazzinaggio di merci ai sensi dell’art. 31 bis, paragrafo 2, lettera h), inteso come servizio a se stante e fornito insieme a servizi aggiuntivi, proprio in relazione ai principi espressi nella sentenza della Corte di giustizia nella causa “RR Donnelley”. Nonostante l’importante riferimento costituito dalla sentenza che, sicuramente, avrebbe consentito di superare le “limitazioni” delle disposizioni regolamentari, le note illustrative non appaiono di certo risolutive, lasciando aperti dubbi interpretativi. Dopo avere inizialmente evidenziato l’importanza dei due elementi – “l’accesso alle merci immagazzinate e il carattere essenziale indispensabile dei beni immobili per la prestazione del servizio” -, il cui scopo è quello di “coadiuvare i tribunali nazionali nella loro valutazione”, le note, nonostante tale “incipit” corretto, non chiudono però in modo chiaro e definitivo il tema interpretativo. Nei punti 194 e 195 del paragrafo 2.4.9.3, dopo aver indicato che il magazzinaggio della merce (in senso “statico”?) può essere reso unitamente ad altri servizi aggiuntivi, le note evidenziano che può così configurarsi un servizio unico indissociabile di natura complessa, dove non esiste un’attività principale di maggiore pregnanza contrattuale che “assorba” le altre collaterali, oppure un servizio principale fornito insieme a prestazioni puramente accessorie “che non costituiscono per il destinatario un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio di magazzinaggio”. Se, dunque, ricorre una delle due ipotesi sopra indicate, la prestazione complessa “può essere assimilata a una sola prestazione”. E fino a qui le osservazioni della Commissione europea sono corrette e coerenti con la giurisprudenza comunitaria. Ciò che lascia perplessi è la frase di chiusura contenuta nel punto 195, in cui si afferma in modo sintetico ed eccessivamente sbrigativo che, “fermo restando il requisito di assegnare una parte specifica dell’immobile ad uso esclusivo del destinatario, le prestazioni indissociabili (nel primo caso) e, nel secondo caso, tutti i componenti della prestazione complessa (sia il magazzinaggio di beni che le relative prestazioni accessorie) sono soggetti all’IVA nel luogo in cui è situata la struttura di magazzinaggio”. Tali conclusioni, lette in modo superficiale, potrebbero indurre a ritenere che basti il solo presupposto dell’assegnazione in esclusiva al committente dell’uso di una parte specifica dell’immobile, a prescindere dalla seconda condizione molto più significativa dal punto di vista sostanziale, affinchè il bene immobile sia considerato il vero ed unico oggetto della prestazione di stoccaggio intesa nella sua forma “statica”.

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Se ciò fosse, non verrebbero correttamente applicati i principi interpretativi enunciati nella causa “RR Donnelley”.

10.2.3 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Nonostante il quadro interpretativo non sia chiaramente delineato, si ritiene legittimo fare riferimento ai principi enunciati dalla Corte di giustizia nel caso “RR Donnelley” e, ove si tratti di un servizio di logistica integrata in cui al committente ciò che interessa veramente sono i servizi di carico, scarico, smistamento, imballaggio e spedizione delle merci, dubbi non ve ne possono comunque essere sulla natura “generica” e non immobiliare della prestazione, in quanto oggetto del contratto è la fase “dinamica” dell’attività e non certo quella “statica” della mera detenzione in custodia dei beni (e ciò, a prescindere dall’uso esclusivo di una parte dell’immobile). In tali fattispecie contrattuali, infatti, i corrispettivi sono normalmente parametrati al volume di attività, non rilevando solo la metratura dei locali. Tuttavia, a livello prudenziale, per scongiurare il diverso avviso delle Amministrazioni fiscali potenzialmente interessate in base al luogo di ubicazione dei magazzini e delle aree di stoccaggio delle merci, è opportuno non prevedere, se non ritenuto strettamente necessario, una clausola specifica che riservi al committente un diritto esclusivo di accesso ad un’area specificamente individuata nei locali del prestatore dei servizi di logistica; in tal caso, infatti, si potrebbe indurre a configurare l’esistenza di un servizio immobiliare.

10.3 SERVIZI FIERISTICI

Il regime territoriale ai fini Iva applicabile alle prestazioni fieristiche, intese come servizi resi a soggetti che pagano un corrispettivo per “partecipare”, in senso lato, ad un evento fieristico (come soggetti espositori od organizzatori), ha da sempre dato luogo a problematiche interpretative, oltre che per le intrinseche difficoltà a classificarli in una precisa categoria di servizi, anche per le differenti posizioni assunte dalle Amministrazioni fiscali dei diversi Stati membri. A decorrere dal 2011, per le prestazioni fieristiche rese nei rapporti B2B il dubbio riguarda il loro inquadramento come:

• servizi immobiliari, disciplinati nella direttiva n. 2006/112/CE nell’art. 47 e nella normativa interna nel D.P.R. n. 633/1972 all’art. 7-quater, lett. a);

• servizi “generici”, disciplinati nella direttiva n. 2006/112/CE nell’art. 44, per i rapporti B2B, e nella normativa interna nel D.P.R. n. 633/1972 all’art. 7-ter, comma 1.

Il problema del difficile inquadramento dei servizi fieristici, analogamente a quanto già osservato per i servizi di stoccaggio e logistica, si pone a causa della natura complessa delle diverse attività a cui danno luogo, recepite come una prestazione sostanzialmente ed economicamente unica per il soggetto Iva committente. La natura complessa dei servizi fieristici è stata posta in luce dalla Corte di giustizia con la sentenza del 9 marzo 2006, nella causa C-114/05, caso “Gillan Beach”, in vigenza della

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normativa precedente all’entrata in vigore delle nuove regole di territorialità delle prestazioni di servizi dal 2010, esprimendo comunque principi interpretativi ancora attuali dal punto di vista concettuale. All’indomani dell’entrata in vigore delle nuove regole che disciplinano il luogo di effettuazione delle prestazioni di servizi, la norma di riferimento per la legislazione interna è rappresentata dall’art. 7-quinquies, comma 1, lettera a), del D.P.R. n. 633/1972, ove sono comprese le prestazioni relative alle fiere ed esposizioni, le prestazioni di servizi degli organizzatori di dette attività, nonché le prestazioni di servizi ad esse accessorie. L’Agenzia delle entrate si è pronunciata una prima volta sulla nozione di “fiere ed esposizioni” con la circolare n. 37/E del 29.07.2011 (par. 3.1.4), a commento delle nuove disposizioni sulla territorialità dei servizi, senza però offrire contributi interpretativi significativi e senza delineare un quadro d’insieme esaustivo. Con la successiva circolare n. 26/E del 7 agosto 2014, diramata a commento delle questioni di carattere fiscale connesse a “Expo 2015”, l’Agenzia perde l’occasione di esprimersi in modo compiuto ed organico sul tema, pur avendo a disposizione gli ulteriori elementi interpretativi desumibili dal regolamento (UE) n. 1042/2013. L’Agenzia, infatti, sebbene nel paragrafo 7 della circolare n. 26/E affronti direttamente le problematiche del regime Iva applicabile agli “spazi espositivi e relativi servizi” si limita, fondamentalmente, a richiamare la circolare n. 37/E del 2011, offrendo spunti interpretativi comunque “tarati” sulla specifica realtà di Expo 2015, definita come un’“attività complessa”, e quindi fondati su tale presupposto di partenza che induce a ravvisare, in linea generale, servizi “generici” ex art .7-ter, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 e servizi ad essi accessori. Se, a livello di documenti di prassi, non esistono contributi chiari ed esaustivi da parte dell’Agenzia delle entrate sulla nozione di “servizi fieristici” e sui criteri da adottare per decidere se, caso per caso, si tratta di servizi immobiliari o di servizi “generici”, può comunque farsi riferimento alla normativa comunitaria di cui al regolamento n. 1042/2013. Con il più volte citato regolamento, infatti, sono stati presi in esame anche i servizi connessi alle fiere, anche se con risultati non completamente appaganti.

10.3.1 IL REGOLAMENTO N. 1042/2013

L’art. 31 bis, paragrafo 3, lettera e), introdotto nel regolamento (UE) n. 282/2011 per effetto del regolamento di esecuzione (UE) n. 1042/2013, stabilisce che non rientra nell’ambito di applicazione dei servizi immobiliari “la messa a disposizione di stand in fiere o luoghi d’esposizione, nonché servizi correlati atti a consentire l’esposizione di prodotti, quali la progettazione dello stand, il trasporto e il magazzinaggio dei prodotti, la fornitura di macchinari, la posa di cavi, l’assicurazione e la pubblicità”. La definizione proposta nel regolamento è sicuramente ambigua in quanto, riferendosi espressamente alla “messa a disposizione di stand in fiere”, pare riferirsi specificamente alla fattispecie dello studio, realizzazione, trasporto e messa a disposizione, presso i

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locali di una fiera, di stand predisposti dal fornitore per conto del committente ed a quest’ultimo concessi in uso dietro corrispettivo. Tale fattispecie ha un suo preciso riferimento giurisprudenziale nella sentenza della Corte di giustizia del 27 ottobre 2011, causa C-530/09, caso “Inter-Mark Group”, con cui il Giudice europeo ha compiuto un esame completo dei possibili contesti in cui può essere effettuato l’allestimento e la locazione di stand fieristici, specificando che comunque tali prestazioni non possono essere qualificate come servizi immobiliari (punto 29). In particolare, secondo la Corte di Giustizia la prestazione di servizi “consistente nella progettazione e messa a disposizione temporanea nonché, se necessario, nel trasporto e montaggio di uno stand fieristico o espositivo per clienti che presentano i loro prodotti o servizi in occasione di fiere o di esposizioni”, può rientrare:

• nei servizi pubblicitari, quando lo stand è concepito o utilizzato a fini promo-pubblicitari;

• nei servizi di cui al vigente art. 7-quinquies del D.P.R. n. 633/1972 (art. 52, lett. a), della direttiva n. 2006/112/CE), quando lo stand è progettato e messo a disposizione “per una fiera o esposizione determinata su un tema culturale, artistico, sportivo, scientifico, educativo, ricreativo o simile”, oppure quando lo stand “corrisponde ad un modello per il quale l’organizzatore di una fiera o di un’esposizione determinata ha stabilito la forma, la dimensione, la composizione materiale o l’aspetto visivo”;

• nei servizi di locazione di beni mobili materiali, quando la messa a disposizione temporanea degli elementi materiali che costituiscono lo stand rappresentano “il fattore determinante” della suddetta prestazione.

Per la Corte di Giustizia, quindi, non esiste una soluzione univoca ma occorre verificare caso per caso in quale situazione delle tre individuate si colloca la prestazione di servizi. Dal tenore letterale della sentenza, pare potersi dedurre che l’applicazione dell’art. 7-quinquies del D.P.R. n. 633/1972 sia limitata ai casi in cui l’allestimento (e locazione) dello stand sia finalizzato alla partecipazione alla singola fiera e non si sia in presenza di una struttura standard, utilizzabile in generale per altre fiere anche in Stati membri diversi. Deve trattarsi, quindi, di una prestazione di servizi ad hoc, “mirata” ad una fiera determinata; in caso contrario, prevarrebbe il “fattore determinante” della locazione di beni mobili. Si ritiene, comunque, che in caso di contratto di appalto per la progettazione, realizzazione ed allestimento di uno stand, commissionato specificamente per la partecipazione ad una determinata fiera, ed ivi utilizzato in locazione, avente caratteristiche particolari per essere allestito nello spazio espositivo all’interno dell’immobile di tale fiera, ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 7-quinquies del D.P.R. n. 633/1972.

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Pertanto, ai sensi di tale articolo, nel testo vigente a decorrere dal 1° gennaio 2011, i servizi della specie resi nei rapporti tra operatori economici (rapporti B2B) sono divenuti soggetti al criterio base di territorialità di cui all’art. 7-ter, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 previsto per i servizi “generici”, con riferimento al soggetto committente del servizio, ad eccezione dei servizi connessi all’accesso alle manifestazioni (ex art. 7-quinquies, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972). Una lettura limitata alla fattispecie della locazione dello stand quale bene mobile non sarebbe però esaustiva e lascerebbe fuori dal campo applicativo della norma tutti i casi in cui si tratta di corrispettivi pagati per poter partecipare alla manifestazione fieristica, acquisendo la disponibilità di spazi e relativi servizi accessori (e non), in un’ottica, quindi, molto più ampia. Proprio a causa di tali problematiche interpretative, è intervenuta la Commissione europea, dedicando ampio spazio alla fattispecie delle fiere.

10.3.2 LE NOTE ESPLICATIVE DELLA COMMISSIONE EUROPEA DEL 2015

Le note esplicative della Commissione europea dedicano il paragrafo 2.4.20 alla nozione di “messa a disposizione di stand insieme ad altri servizi correlati” di cui all’art. 31 bis, paragrafo 3, lettera e). Nel sottoparagrafo 2.4.20.1, ai punti 274 e 275, viene precisato che “274. l’articolo 31 bis, paragrafo 3, lettera e), concerne le situazioni in cui la messa a disposizione di uno stand in fiere o luoghi d’esposizione è accompagnata da altri servizi correlati, definiti come non relativi a beni immobili. 275. Anche se la messa a disposizione di uno stand è accompagnata da un unico servizio correlato e i servizi sono prestati come un pacchetto di servizi, ciò è sufficiente affinché la prestazione rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 31 bis, paragrafo 3, lettera e), ovvero che sia assimilata alla prestazione di un servizio non relativo a beni immobili. Questo approccio è necessario, se si vuole garantire un’applicazione armonizzata di tale disposizione in tutta l’UE ed evitare una doppia o mancata imposizione”. Affinchè il servizio “fieristico” sia considerato “generico” (ex art, 7-ter del D.P.R. n. 633/1972) e non “immobiliare” (ex art. 7-quater, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972) è necessario, quindi, verificare contemporaneamente tre requisiti:

• la messa a disposizione di uno stand; • la messa a disposizione di uno o più “servizi correlati”; • il fatto che i servizi correlati devono essere “atti a consentire all’espositore

l’esposizione dei prodotti e la promozione dei suoi servizi o prodotti”. Le note illustrative si soffermano, poi, sulla definizione del concetto di “messa a disposizione” di uno stand (punto 277). “La «messa a disposizione di stand» consiste nel mettere temporaneamente una superficie delimitata e/o una struttura mobile (ad esempio una cabina, un banco o un bancone) a disposizione di un espositore ai fini della partecipazione a un’esposizione o fiera. Questo servizio non è considerato relativo a beni immobili ai sensi dell’articolo 31

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bis, paragrafo 3, lettera e), nella misura in cui lo stand è messo a disposizione insieme ad “altri servizi correlati”, vale a dire nella misura in cui il prestatore del servizio non affitta semplicemente la nuda superficie ma fornisce piuttosto un pacchetto di servizi necessari all’espositore per la promozione temporanea dei propri prodotti o della propria attività”. Da quanto osservato, pertanto, si desume che:

• l’affitto del solo immobile non rientra nell’art. 31 bis, paragrafo 3, lettera e); • la messa a disposizione di stand e servizi correlati rientra nell’art. 31 bis,

paragrafo 3, lettera e). Nel successivo punto 280, le note cercano di delineare la natura dei “servizi correlati” legandone la definizione al vincolo finalistico. Si specifica, infatti, che i “servizi correlati forniti insieme ad uno stand devono essere atti a consentire all’espositore l’esposizione di prodotti. I servizi menzionati sono la progettazione dello stand, il trasporto e il magazzinaggio dei prodotti, la fornitura di macchinari, la posa dei cavi, l’assicurazione e la pubblicità. L’elenco non è esaustivo, ma puramente indicativo. Altri tipi di servizi possono essere ricompresi dal riferimento fatto dall’articolo 31 bis, paragrafo 3, lettera e), a servizi correlati, purché atti a consentire l’esposizione di prodotti”. Tale tentativo di definizione deve però essere letto con quanto affermato nel punto 279 precedente, ove si precisa che “occorre tener conto di tutte le circostanze di fatto dell’operazione, compresi i servizi inclusi implicitamente nel contratto, come la fornitura di elettricità, la connessione internet, il riscaldamento, l’aria condizionata, ecc.”. La lettura combinata dei punti 279 e 280 induce a ritenere che ci sia una netta differenza tra le varie tipologie di servizi prestati all’espositore e che, solo i “servizi correlati” in senso tecnico “definiti come non relativi a beni immobili” (punto 274), sono rilevanti ai fini della configurazione di un servizio complesso “generico”. Si potrebbe dedurre che sono servizi “correlati” solo quelli idonei a consentire all’espositore di svolgere la tipica funzione promo-pubblicitaria in fiera, mentre sarebbero servizi “accessori” alla locazione della superficie (o struttura mobile) quelli necessari al funzionamento della struttura (elettricità, riscaldamento, etc.) e, quindi, strettamente connessi all’immobile. Anche le modalità con cui i servizi correlati sono disciplinati in contratto sono prese in esame nelle note illustrative, tenendo presente la loro valenza interpretativa nello stabilire la natura del servizio fieristico e, con essa, il relativo regime Iva. Nel punto 281, infatti, viene precisato che “i servizi sono considerati come altri servizi correlati alla messa a disposizione di uno stand ai sensi dell’articolo 31 bis, paragrafo 3, lettera e), a prescindere dal fatto che siano prestati nell’ambito di un contratto (con la messa a disposizione dello stand) o tramite contratti separati stipulati con il medesimo prestatore. L’applicazione delle norme relative al luogo della prestazione del

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servizio non è pregiudicata da una modifica degli accordi contrattuali volta ad aggirare l’imposizione in una data giurisdizione”. Viene evidenziata, in tal modo, la possibile esistenza di manovre elusive per manipolare gli aspetti sostanziali degli accordi attraverso soluzioni strumentali volte a indirizzare la tassazione in un determinato Stato membro, come la suddivisione in contratti separati.

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SLIDE

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A cura di Riccardo Zavatta

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ü  Le cessioni all’esportazione (art. 8, D.P.R. n. 633/1972) ü  Il regime Iva degli acconti su esportazioni ü  Gli esportatori abituali ü  Le operazioni intracomunitarie ü  Le operazioni triangolari comunitarie e improprie ü  Le operazioni quadrangolari in ambito comunitario ü  La fatturazione delle operazioni nei rapporti con soggetti non residenti,

autofatture, integrazioni e regolarizzazioni ü  L’autofattura per royalties su beni in importazione (Cassazione, sentenza n.

8473 del 06.04.2018) ü  Fornitura di beni mobili con installazione all’estero ü  Territorialialità delle prestazioni di servizi (artt. 7-ter / 7-septies del D.P.R. n.

633/1972) ü  Il caso delle fiere e dei servizi accessori (Le note esplicative della Commissione

europea del 26 ottobre 2015 sui servizi immobiliari a commento del Regolamento di esecuzione (UE) N. 1042/2013)

ARGOMENTI

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LE CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE (art. 8, D.P.R. n. 633/1972)

CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

In linea di principio, le cessioni all’esportazione devono avere ad oggetto beni usciti dal territorio dell’Unione europea che hanno dato luogo ad esportazioni definitive dal punto di vista doganale.

Un’ESPORTAZIONE DEFINITIVA DOGANALE, invece, non implica necessariamente la realizzazione di una cessione all’esportazione in senso «fiscale».

L’espressione utilizzata nella normativa IVA è quella di “CESSIONE ALL’ESPORTAZIONE”, da ciò deducendosi una differenziazione rispetto alla più ampia portata che il termine “esportazione” ha nella disciplina doganale.

Cessione all’esportazione

Oggetto

Esportazione definitiva doganale

Definizione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

L’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 disciplina le cessioni all’esportazione non imponibili, per configurare le quali devono ricorrere contemporaneamente DUE CONDIZIONI:

trasferimento FISICO DEI BENI AL DI FUORI DEL TERRITORIO COMUNITARIO, con la relativa uscita risultante dalla documentazione doganale; trasferimento dei beni a titolo TRASLATIVO DELLA PROPRIETÀ, inteso nell’accezione giuridica di matrice civilistica.

Definizione

Trasferimento dei beni

art. 8, D.P.R. n. 633/1972

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

L’ulteriore requisito dell’“ONEROSITÀ”, ossia che alla cessione corrisponda un pagamento proveniente dall’estero con relativa rimessa valutaria, NON appare ESSENZIALE ai fini della rilevanza ai fini IVA dell’operazione.

Può, pertanto, essere emessa fattura non imponibile ai sensi dell’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 ANCHE nel caso di CESSIONI GRATUITE.

Definizione art. 8, D.P.R. n. 633/1972

L’irrilevanza del requisito dell’onerosità sembra confermata anche dall’Amministrazione finanziaria la quale, sebbene in tema di operazioni triangolari, ha ribadito che i beni possono essere inviati all’estero gratuitamente, con la procedura del cosiddetto “franco valuta” (C.M. n. 12 del 9 aprile 1981 e R.M. n. 416596 del 4 novembre 1986).

Onerosità

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Il requisito dell’“onerosità” di una cessione all’esportazione non imponibile assume, però, rilevanza ai fini del cosiddetto “plafond” degli esportatori abituali. L’assenza del corrispettivo rende, infatti, le operazioni “franco valuta” ininfluenti ai fini della formazione del “plafond” (nota Ministero delle finanze n. 10367 dell’11 febbraio 1998).

L’ONEROSITÀ, quindi, è il terzo requisito che, unitamente al TRASFERIMENTO FISICO DEI BENI FUORI DEL TERRITORIO COMUNITARIO ed alla TRASLAZIONE DELLA PROPRIETÀ, consente di configurare una cessione all’esportazione a tutti gli effetti IVA.

Definizione art. 8, D.P.R. n. 633/1972

Plafond

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Le fattispecie nelle quali è evidente la discrasia esistente tra i concetti di “ESPORTAZIONE (DEFINITIVA)” (dal punto di vista doganale)

e di “CESSIONE ALL’ESPORTAZIONE” (nell’ottica fiscale della normativa IVA), sono le seguenti:

ü  le esportazioni “franco valuta”; ü  le esportazioni “definitive” senza passaggio della proprietà; ü  le esportazioni di beni ceduti a titolo gratuito.

Definizione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Un esempio tipico è quello dei trasferimenti di beni all’estero in depositi situati in Paesi extracomunitari in attesa di una futura (e programmata) vendita. La logica dei trasferimenti in c/deposito all’estero è quella di razionalizzare la logica distributiva delle merci all’estero, semplificando le procedure e riducendo i costi di spedizione e trasporto.

Trasferimento di beni all’estero

in deposito

Sono le esportazioni che avvengono senza che sia pagato un corrispettivo quando si effettua la procedura doganale di esportazione definitiva

Esportazioni «franco-valuta»

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

I beni trasferiti all’estero in conto deposito rimangono di proprietà dell’impresa che provvede alla relativa vendita; l’effetto traslativo della proprietà si verifica (eventualmente) solo in un momento successivo, allorchè viene individuato il cliente. Solo con la CESSIONE AL CLIENTE ESTERO sorge l’obbligo di emettere la “fattura”. Prima del momento della cessione, deve essere semplicemente “monitorato” il trasferimento fisico dei beni dall’impresa al deposito all’estero.

Trasferimento di beni all’estero

in deposito

Esportazioni «franco-valuta»

La cessione e la fattura

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La R.M. n. 520657 del 4 dicembre 1975 affronta il problema del rapporto esistente tra

le operazioni di esportazione dei beni, destinati in deposito “franco valuta”, ossia senza il pagamento di corrispettivi provenienti dall’estero,

e le successive fatturazioni nei confronti dei clienti esteri (oppure nei confronti dei

propri commissionari, se l’invio dei beni all’estero avviene in favore del commissionario non residente), una volta avvenuta la vendita dei beni in

precedenza esportati.

Sebbene SUPERATA DALLA PIÙ RECENTE EVOLUZIONE INTERPRETATIVA IN MERITO AGLI ASPETTI SPECIFICI DELLA FATTURAZIONE, la risoluzione rimane comunque valida con riferimento agli adempimenti operativi e procedurali da osservare

N.B.

Risoluzione n. 520657 del 4.12.1975 Esportazioni «franco-valuta»

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

ü  In particolare, secondo la R.M. n. 520657 del 4 dicembre 1975 all’atto dell’invio all’estero dei beni si configura UN’ESPORTAZIONE DEFINITIVA DAL PUNTO DI VISTA DOGANALE, con emissione del relativo documento in cui l’operazione viene catalogata fra le transazioni che comportano un trasferimento della proprietà, sia pure successivo e solo previsto, per le quali avrà luogo un futuro pagamento.

ü  In assenza di fattura di vendita (non ancora emessa), è necessario elencare i beni oggetto di esportazione definitiva in apposita “lista valorizzata”, redatta su carta intestata del soggetto esportatore, od in altro documento di analogo contenuto.

Risoluzione n. 520657 del 4.12.1975 Esportazioni «franco-valuta»

Lista valorizzata

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

All’atto della vendita, quando i beni già si trovano all’estero, dovrà essere emessa la relativa fattura. Per poter dimostrare il necessario collegamento fra le operazioni, la risoluzione prevede la seguente procedura:

ü  ANNOTAZIONE IN APPOSITO REGISTRO, tenuto a norma dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972, delle spedizioni all’estero in c/deposito, riportando per ogni singola annotazione gli estremi del documento doganale di esportazione;

ü  EMISSIONE SUCCESSIVA DELLA FATTURA DI VENDITA, la quale rechi il

riferimento alla relativa annotazione nel registro riguardante gli stessi beni oggetto di fatturazione.

Risoluzione n. 520657 del 4.12.1975 Esportazioni «franco-valuta»

Fattura

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

L’Agenzia delle entrate, nel pronunciarsi in merito alla fattispecie del consignment stock agreement in Paesi extracomunitari, con la risoluzione n. 58 del 5 maggio 2005, ha ribadito la non applicabilità dell’art. 8 del decreto IVA per le cessioni di beni esistenti in Paesi non appartenenti alla U.E., presso depositi propri.

Con specifico riferimento alla fatturazione in regime di non imponibilità ex art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, la R.M. n. 520657/1975 è stata superata dal nuovo orientamento interpretativo consolidatosi negli anni dal 1997 al 2005, secondo cui la cessione dei beni esistenti all’estero deve essere considerata un’OPERAZIONE FUORI CAMPO IVA ai sensi dell’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.

Attenzione, però, alle ulteriori precisazioni di cui alla

risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013

Risoluzione n. 58 del 5.05.2005 Esportazioni «franco-valuta»

Fattura

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La fattispecie rappresentata dalle ESPORTAZIONI “DEFINITIVE” AI FINI DOGANALI,

non comportanti il trasferimento della proprietà dei beni in senso giuridico, è stata esaminata dall’Amministrazione finanziaria

con la nota del Ministero delle finanze - Dipartimento delle Dogane e delle Imposte Indirette - prot. n. 1248, del 6 maggio 1997.

Esportazione definitiva doganale di beni da sottoporre a lavorazione all’estero e da reimportare

«sotto forma di prodotti compensatori»

Nota prot. 1248 del 6.05.1997

Esportazioni «definitive» senza trasferimento della proprietà

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La nota del 6 maggio 1997 è intervenuta in merito al REGIME DOGANALE utilizzabile

in presenza di invio di beni in Paesi extracomunitari da sottoporre a lavorazione o trasformazione

e da reimportare una volta effettuato il ciclo delle lavorazioni, “sotto forma di prodotti compensatori”.

Nota prot. 1248 del 6.05.1997

Esportazioni «definitive» senza trasferimento della proprietà

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Esportazioni «definitive» senza trasferimento della proprietà

Criteri procedurali illustrati nella nota del 6 maggio 1997 a) Per i beni inviati all’estero in lavorazione e destinati a rientrare in Italia sotto

forma di prodotti «compensatori» (risultanti dalla fase di lavorazione), NON È NECESSARIO RICORRERE ALLA TEMPORANEA ESPORTAZIONE, poiché non sussiste alcun obbligo di utilizzare il regime del “perfezionamento passivo” (soggetto a preventiva autorizzazione), in quanto lo stesso costituisce un’agevolazione per l’operatore economico, il quale ha, quindi, la facoltà di ricorrervi o meno.

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Esportazioni «definitive» senza trasferimento della proprietà

Criteri procedurali illustrati nella nota del 6 maggio 1997 b) L’operatore interessato, anche al fine di evitare l’espletamento della

procedura prevista per il “perfezionamento passivo”, può, quindi, decidere liberamente di scegliere l’esportazione definitiva.

c) L’effettuazione, dal punto di vista doganale, dell’esportazione definitiva, non implica il realizzarsi di una cessione all’esportazione ai fini IVA ai sensi dell’art. 8, del D.P.R. n. 633/1972 e, pertanto, non vi è costituzione di “plafond”.

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

In assenza del trasferimento della proprietà dei beni e, quindi, in assenza di una cessione all’esportazione rilevante ai fini IVA, non ha luogo l’emissione della fattura ed il documento necessario per l’effettuazione della pratica doganale di esportazione definitiva può essere costituito da:

ü  LISTA VALORIZZATA, redatta su carta intestata dell’impresa “esportatrice”

con l’indicazione dei beni inviati all’estero, da annotare in apposito registro IVA, tenuto e conservato ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972;

ü  DOCUMENTO DI TRASPORTO O DI CONSEGNA, di cui all’articolo unico, comma 3, del D.P.R. 14 agosto 1996, n. 472, da conservare sempre a norma dell’art. 39 del decreto IVA.

Criteri procedurali illustrati nella nota del 6 maggio 1997

Esportazioni «definitive» senza trasferimento della proprietà

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Gli Uffici doganali provvedono ad invalidare la documentazione presentata dall’esportatore a corredo della bolletta di esportazione definitiva emessa, con la dicitura “non valida ai fini dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972”. L’aspetto più importante della nota n. 1248 del 6 maggio 1997 è, però, contenuto nel periodo con cui essa si chiude, dove si afferma che: “resta inteso che, ove le merci esportate dovessero durante la permanenza all’estero formare oggetto di cessione, tale transazione non assume rilevanza ai fini dell’IVA, ai sensi dell’art. 7, comma 2 del D.P.R. n. 633/1972” (ora art. 7-bis, comma 1)

Criteri procedurali illustrati nella nota del 6 maggio 1997

Esportazioni «definitive» senza trasferimento della proprietà

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Le conclusioni raggiunte con la nota del 6 maggio 1997, sono state, inoltre, confermate dal Ministero delle Finanze con la circolare n. 156/E del 15 luglio 1999 e, successivamente, dalla nota n. 839/Div/V/Sd, del 5 giugno 2000 del Dipartimento delle dogane, dove viene ribadito il ricorso all’art. 7, comma 2, del D.P.R. 633/72 (ora art. 7-bis, comma 1), con conseguente disapplicazione dell’art. 8 dello stesso decreto, per i casi di cessione di beni precedentemente trasferiti in Paesi terzi in regime di esportazione temporanea, ex art. 214 del Testo unico delle leggi doganali e con utilizzo di carnet A.T.A., ex art. 91 del Regolamento CEE 12 ottobre 1992, n. 2913 (Codice doganale comunitario).

Cessione di beni trasferiti in regime di esportazione temporanea

Esportazioni «definitive» senza trasferimento della proprietà

Nota n. 839/Div/V/Sd del 5.06.2000 Circolare n. 156/E del 15.07.1999

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La nota del 5 giugno 2000 ha ad oggetto, in modo specifico, l’invio di beni all’estero per TENTATA VENDITA, con successiva cessione degli stessi in Paesi extracomunitari. Anche in tali ipotesi, è affermato che l’operazione deve ritenersi al di fuori del campo di applicazione dell’IVA, in assenza del requisito della territorialità, in quanto i beni non si trovano nel territorio dello Stato nel momento in cui si realizzano gli effetti traslativi della proprietà con la loro cessione.

Esportazioni «definitive» senza trasferimento della proprietà

Nota n. 839/Div/V/Sd del 5.06.2000

Tentata vendita

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Gli istituti doganali richiamati nella nota del 5 giugno 2000, relativi al regime della temporanea esportazione ai sensi dell’art. 214 del T.U.L.D. ed all’utilizzo del carnet A.T.A. ex art. 91 del Codice doganale comunitario, paiono riferibili ed applicabili anche alle MANIFESTAZIONI FIERISTICHE, le quali, unitamente alla tentata vendita, sono espressamente annoverate tra le fattispecie rientranti nel “traffico internazionale” in regime di temporanea importazione ed esportazione (art. 214, comma 2, del D.P.R. n. 43/1973).

Esportazioni «definitive» senza trasferimento della proprietà

Nota n. 839/Div/V/Sd del 5.06.2000

Fiere

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Con la risoluzione n. 58 del 5 maggio 2005, l’Agenzia delle Entrate, esaminando il caso di un contratto di

CONSIGNMENT STOCK in Paesi extracomunitari, sottolinea come, in mancanza di un rapporto riconducibile a tale schema contrattuale,

“la rivendita effettuata nel paese terzo non rileverà agli effetti dell’IVA”, ai sensi dell’art. 7, comma 2 (ora art. 7-bis, comma 1).

Risoluzione n. 58 del 5.05.2005 … le aperture della risoluzione n. 94/E/2013

Esportazioni «definitive» senza trasferimento della proprietà

Il contratto di consignment stock

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Viene evidenziato che, nel caso di specie … “all’atto dell’espletamento delle formalità doganali di esportazione si è in presenza di una cessione a titolo oneroso delle merci in uscita, cessione che, in virtù delle pattuizioni di cui al contratto di consignment stock, è realizzata secondo un procedimento che si perfezionerà solo in un secondo momento, all’atto del prelievo dal deposito”.

Risoluzione n. 58/E del 5.05.2005

CESSIONE DI BENI CON EFFETTI TRASLATIVI DELLA PROPRIETÀ DEI BENI DIFFERITI

CESSIONE ALL’ESPORTAZIONE NON IMPONIBILE EX ART. 8, COMMA 1, LETT. A), D.P.R. N. 633/1972

Il plafond si costituisce nel momento e nella misura in cui i beni sono prelevati dall’acquirente e fatturati dal fornitore residente

Cessioni di beni in deposito in Paesi extracomunitari

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

CASO A

Risoluzione n. 58/E del 5.05.2005

Cessioni di beni in deposito in Paesi extracomunitari

FATTURAZIONE EX ART. 8, COMMA 1, LETT. A, D.P.R. N. 633/1972

PRESENZA di un contratto di consignment stock

Beni immagazzinati in un deposito di proprietà dell’acquirente estero

o di un soggetto terzo cui può accedere esclusivamente l’acquirente stesso

CASO B

FATTURAZIONE EX ART. 7-BIS, COMMA 1, D.P.R. N. 633/1972

ASSENZA di un contratto di consignment stock

Beni inviati in un deposito del fornitore residente

in un Paese extracomunitario per la successiva rivendita in loco

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013

Integrato il contenuto della risoluzione n. 58/E del 2005

Esteso ad ipotesi anche diverse dal contratto di consignment stock inteso nella sua accezione

“canonica” come delineata nelle precedenti pronunce dell’Agenzia delle entrate

Cessioni di beni in deposito in Paesi extracomunitari

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013

Cessioni di beni in deposito in Paesi extracomunitari

LA FATTISPECIE Fornitura in esclusiva di beni (pompe) ad una società statunitense da installare all’interno di macchinari complessi Per garantire le tempistiche di consegna, il fornitore residente si impegna a costituire un proprio deposito negli Stati Uniti presso i locali di una sua società controllata americana, ove stoccare i beni Beni esportati con procedura doganale di “franco valuta”, in quanto non ancora giuridicamente venduti e destinati ad essere stoccati nel deposito, pronti per essere consegnati all’unico acquirente rispettando le tempistiche di approvvigionamento di quest’ultimo

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013

Cessioni di beni in deposito in Paesi extracomunitari

LA FATTISPECIE Fino al momento della successiva vendita i beni rimangono di proprietà del fornitore residente La vendita dei beni all’unico cliente americano è l’effetto “naturale” dell’esportazione, in presenza di obblighi contrattuali vincolanti assunti da entrambe le parti Il passaggio della proprietà è già previsto ed è solo differito al momento di esecuzione del contratto di compravendita conseguente gli ordini trasmessi dal cliente

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

IMPORTANTE!

Risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013

Cessioni di beni in deposito in Paesi extracomunitari

ELEMENTO DI DIFFERENZIAZIONE

La particolarità della fattispecie oggetto della risoluzione n. 94/E del 2013, è rappresentata dal fatto che i beni sono stoccati in un deposito che

non è di proprietà dell’acquirente o di un terzo, in cui i beni sono custoditi per conto dell’acquirente che ha l’accesso ai locali,

ma è nella disponibilità del fornitore residente

DIFFERENZA RISPETTO A FATTISPECIE RISOLUZIONI N. 58/E/2005 E N. 44/E/2000

Deposito NON di proprietà dell’ACQUIRENTE

o con accesso esclusivo bensì nella disponibilità

del FORNITORE residente

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Analogia con consignment stock

Nonostante la presenza dell’importante elemento di differenziazione connesso alla disponibilità del deposito, l’Agenzia estende comunque gli aspetti fiscali del consignment stock anche alla fattispecie oggetto d’interpello evidenziando

che … “le merci, ancorché stoccate in un deposito di proprietà della controllata

statunitense, di cui l’interpellante ha la disponibilità in virtù del contratto di locazione appositamente stipulato, appaiono vincolate, sin dall’inizio, all’esclusivo trasferimento in proprietà del cliente estero in relazione alla sue esigenze di

approvvigionamento”.

Risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013

Cessioni di beni in deposito in Paesi extracomunitari

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013

Cessioni di beni in deposito in Paesi extracomunitari

PROCEDURA

ü  Le cessioni all’esportazione non imponibili ex art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, rilevanti anche ai fini del plafond, si considerano effettuate al momento del prelievo dei beni dal deposito per la consegna all’acquirente.

ü  Viene confermata la validità delle indicazioni fornite con la risoluzione n. 520657 del 04.12.1975, relative alla dimostrazione del collegamento tra i beni esportati con procedura “franco valuta”, documentati con fattura pro forma o lista valorizzata, in assenza di vendita, e quelli ceduti secondo gli accordi contrattuali, documentati da regolare fattura.

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Risoluzione n. 520657 del 04.12.1975

Risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013

Cessioni di beni in deposito in Paesi extracomunitari

MODALITÀ PER DIMOSTRARE IL COLLEGAMENTO TRA ESPORTAZIONE E CESSIONE

ü  Annotazione delle spedizioni dei beni all’estero in apposito registro tenuto ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972, “riportando per ciascuna annotazione gli estremi del documento di esportazione”

ü  Indicazione nella fattura di vendita, emessa al momento della consegna dei beni al cliente estero, della “corrispondente annotazione del registro relativa ai medesimi prodotti”

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Con la sentenza n. 5168 del 16 marzo 2016 che ribadisce il contenuto della precedente sentenza n. 5894 dell’8 marzo 2013,

entrambe aventi ad oggetto la cessione di beni all’estero nell’ambito di esposizioni fieristiche,

la Cassazione ha affermato che: «l'esportazione temporanea, a fini di esposizione fieristica e tentativo di vendita,

con successiva cessione, dei beni esportati, con controllo dell'autorità doganale ed adempimento dei relativi incombenti (D.P.R. 43 del 1973, art. 214),

vale certamente ad integrare la cessione all'esportazione ex art. 8, lett. a) e b), come tale riconducibile al plafond costituito nell'anno precedente,

utilizzabile, nell'anno successivo, ai fini dell'acquisito senza applicazione dell'Iva».

Il nuovo e più recente orientamento della Corte di Cassazione

Cessioni di beni all’estero nelle fiere

Cessioni di beni esistenti all’estero in temporanea esportazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Con tali sentenze, la Corte di Cassazione dimostra di attribuire principale rilievo al concetto di esportazione sotto l’aspetto doganale, lasciando in secondo piano gli aspetti giuridico-fiscali

connessi al concetto di «cessione all’esportazione» che si fondano sugli artt. 31 e 32 della direttiva n. 2006/112/CE.

Si afferma, infatti, che «la vendita della merce temporaneamente esportata, che conserva - come detto - la condizione giuridica di bene nazionale,

vale, pertanto, a determinare, nel caso di specie, la trasformazione dell'esportazione temporanea, cui la merce è vincolata,

per effetto del compimento delle formalità doganali e per le finalità di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 199 e 214

in esportazione definitiva, come tale rilevante anche ai fini della non imponibilità delle operazioni

di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, lett. c)».

Cassazione, sentenza n. 5168 del 16 marzo 2016

Il nuovo e più recente orientamento della Corte di Cassazione

Cessioni di beni esistenti all’estero in temporanea esportazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Agli stessi esiti finali delle sentenze n. 5168 del 16 marzo 2016 e n. 5894 dell’8 marzo 2013, era giunta anche la sentenza n. 23588 del 20 dicembre 2012

sebbene con un percorso interpretativo diverso, fondato sul vincolo «finalistico» fra l’esportazione ed il successivo trasferimento della proprietà:

…«non si riscontra disposizione nè esigenza sistematica che imponga una sequenza temporale vincolata degli effetti della transazione

nel senso della necessaria anteriorità dell'effetto traslativo del diritto reale rispetto a quello dell'uscita delle merce dal territorio comunitario».

Pertanto, «l'accezione "cessione all'esportazione", utilizzata dalla disposizione, appare, infatti, denunciare la necessaria ricorrenza di un vincolo finalistico tra trasferimento

della proprietà e esportazione, ma non anche quella di un'obbligata successione temporale tra i due termini dell'operazione.

Il nuovo e più recente orientamento della Corte di Cassazione

Cessioni di beni esistenti all’estero in temporanea esportazione

Cassazione, sentenza n. 23588 del 20 dicembre 2012

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI DI BENI ESISTENTI ALL’ESTERO

Cassazione, sentenza n. 23588 del 20 dicembre 2012

La sentenza continua affermando che …«sul piano sistematico, poi, l'osservanza del richiamato principio

della tassazione dei beni nel luogo di consumazione richiede solo il carattere definitivo dell'operazione,

sicchè ciò che risulta essenziale, e che la norma persegue al fine di evitare iniziative fraudolente, è la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l'operazione,

fin dalla sua origine e nella relativa rappresentazione documentale, sia stata concepita in vista del definitivo trasferimento e cessione della merce

all'estero».

Il nuovo e più recente orientamento della Corte di Cassazione

Cessioni di beni esistenti all’estero in temporanea esportazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Un altro esempio di esportazione definitiva ai fini doganali effettuata «franco valuta», è rappresentato dalla spedizione dei beni presso la propria stabile organizzazione istituita in un Paese extacomunitario, da parte di imprese residenti.

Come affermato dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 306/E del 21 luglio 2008, dette esportazioni non costituiscono «cessioni all’esportazione» ai sensi dell’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, non concorrendo, pertanto, né alla formazione del plafond, né alla qualifica di esportatore abituale, in quanto l’invio dei beni all’estero «costituisce una mera esportazione «franco valuta» in cui manca uno degli elementi caratterizzanti le «cessioni all’esportazione» di cui al citato art. 8» e, cioè, «il TRASFERIMENTO DEL DIRITTO DI PROPRIETÀ sui beni stessi»

Risoluzione n. 306/E del 21.07.2008

Stabile organizzazione in Paese extraUe

Esportazioni «franco-valuta»

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Le cessioni di beni a titolo gratuito (destinati ad omaggio), inviati fuori del territorio comunitario,

configurano un’esportazione, non solo ai fini doganali, ma anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto,

con il conseguente regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.

Esportazioni di beni ceduti a titolo gratuito Omaggi

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE Esportazioni di beni ceduti a titolo gratuito Omaggi

A tali conclusioni si può giungere sulla base di un triplice ordine di considerazioni:

si è in presenza a tutti gli effetti di UN’OPERAZIONE DOGANALE DI ESPORTAZIONE DEFINITIVA;

l’IMMISSIONE IN CONSUMO dei beni ceduti gratuitamente AVVIENE ALL’ESTERO e non nel territorio dello Stato;

i beni vengono trasferiti al soggetto estero A TITOLO TRASLATIVO DELLA PROPRIETA’.

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

In presenza di tali presupposti, quando l’invio gratuito di beni in Paesi extracomunitari configura una cessione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 2, comma 2, n. 4), del D.P.R. n. 633/1972, come avviene nel caso di beni ordinariamente prodotti o commercializzati dall’impresa, si ritiene corretto, ai fini della fatturazione, procedere con le seguenti modalità:

ü  EMISSIONE DI REGOLARE FATTURA, recante il titolo di non imponibilità ex art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972;

ü  INDICAZIONE DEL PREZZO D’ACQUISTO o, in mancanza, del prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinato nel momento in cui è effettuata la cessione a titolo gratuito (ex art. 13, comma 2, lett c), del D.P.R. n. 633/1972);

ü  ANNOTAZIONE che si tratta di OMAGGI.

Fatturazione

Esportazioni di beni ceduti a titolo gratuito Omaggi

NO PLAFOND

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Nonostante le cessioni di beni in omaggio costituiscano esportazioni nell’ottica dell’art. 8, la loro rilevanza ai fini IVA non è “piena”, in quanto non costituiscono titolo per la costituzione del “plafond”. Anche se, da un punto di vista “fiscale”, gli omaggi di beni di propria produzione o commercio costituiscono cessioni “assimilate” ai fini impositivi, per effetto dell’art. 2, comma 2, n. 4), del D.P.R. n. 633/1972, ciò non è sufficiente per realizzare compiutamente il requisito dell’“onerosità”, necessario per la concorrenza dell’operazione al “plafond” degli esportatori abituali.

Esportazioni di beni ceduti a titolo gratuito

Omaggi e plafond

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La nozione di “CESSIONE ALL’ESPORTAZIONE” è contenuta nell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972 e riguarda ESCLUSIVAMENTE i

rapporti con PAESI EXTRACOMUNITARI.

Tipologie di cessioni all’esportazione Definizione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Seguendo l’elencazione contenuta nell’art. 8 del decreto IVA, le cessioni all’esportazione possono tipologicamente distinguersi

nelle seguenti categorie:

1.  CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE DIRETTE (art. 8, comma 1, lett. a), a loro volta classificabili in:

ü  semplici; ü  triangolari;

2.  CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE INDIRETTE (art. 8, comma 1, lett. b); 4.  CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE “ASSIMILATE” (art. 8, comma 1, lett. c).

Tipologie di cessioni all’esportazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

“le cessioni, anche tramite commissionari, eseguite mediante trasporto o spedizione di beni fuori del territorio della Comunità economica europea, a cura o a nome dei cedenti o dei commissionari, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi. I beni possono essere sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, montaggio, assiemaggio o adattamento ad altri beni. L’esportazione deve risultare da documento doganale, o da vidimazione apposta dall’ufficio doganale su un esemplare della fattura ovvero su un esemplare della bolla di accompagnamento emessa a norma dell’art. 2 del D.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, o, se questa non è prescritta, sul documento di cui all’art. 21, quarto comma, terzo periodo, lettera a). Nel caso in cui avvenga tramite servizio postale l’esportazione deve risultare nei modi stabiliti con decreto del Ministro delle Finanze di concerto con il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni”.

Le esportazioni dirette sono disciplinate nel primo comma dell’art. 8 alla lettera a), il cui testo è il seguente:

Esportazioni dirette semplici

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Ai sensi di quanto previsto dalla lett. a), dell’art. 8, nell’ambito delle cessioni all’esportazione “dirette” sono ricomprese fattispecie diverse a seconda degli elementi che di volta in volta le contraddistinguono.

Gli elementi che DEVONO COMUNQUE RICORRERE sono : ü  la DESTINAZIONE dei beni FUORI DEL TERRITORIO

COMUNITARIO; ü  la cessione con EFFETTI TRASLATIVI DELLA PROPRIETÀ.

Gli altri FATTORI VARIABILI, invece, sono rappresentati dalla circostanza che: ü  il trasporto o la spedizione dei beni avvenga a cura del soggetto

cedente, oppure a suo nome con l’intervento di terzi (vettori o spedizionieri);

ü  il trasferimento dei beni all’estero sia effettuato o meno tramite l’interposizione di commissionari.

Elementi obbligatori

Elementi variabili

Esportazioni dirette semplici

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

1)  Il cedente emette fattura in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, con l’annotazione “operazione non imponibile”.

2)  La cessione a titolo oneroso costituisce “plafond”. 3)  Il vettore italiano emette fattura in regime di non imponibilità ex art. 9, comma

1, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972, con l’annotazione “operazione non imponibile”, per l’intero corrispettivo addebitato al committente nazionale soggetto passivo d’imposta (a decorrere dall’anno 2010 non rileva più la distinzione fra la tratta del trasporto percorsa in territorio nazionale e quella eseguita fuori da esso).

Senza intervento di commissionario nazionale

Esportazioni dirette semplici

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Nelle esportazioni dirette semplici, non vi è la possibilità per l’esportatore di ricorrere alla FATTURA DIFFERITA, considerando che si rende necessario esibire la fattura per l’espletamento della pratica doganale (C.M. n. 35/E del 13 febbraio 1997). Con la risoluzione n. 108/E del 20 agosto 1998, è stato ribadito che la facoltà di emettere fattura differita è limitata alle sole ipotesi in cui “più soggetti siano interessati di fatto all’operazione di esportazione e tutti debbano poter fornire la prova dell’effettiva uscita della merce dal territorio comunitario”, come avviene, ad esempio, nel caso delle triangolazioni.

Attenzione! Risoluzione n. 108/E del 20.08.1998

Fattura differita Esportazioni dirette semplici

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La PROVA dell’USCITA DEI BENI dal territorio comunitario ha sempre rappresentato l’elemento decisivo ai fini dell’accertamento della non imponibilità delle cessioni all’esportazione. Dal 1° luglio 2007, è entrato in funzione il sistema doganale ECS per il controllo informatizzato delle operazioni d’esportazione (prima fase del progetto AES – Sistema Automatizzato delle Esportazioni), attuato attraverso lo scambio di messaggi telematici fra la dogana d’esportazione e la dogana di uscita dal territorio comunitario. La seconda fase – ECS fase 2 – è operativa dal 1° luglio 2009, unitamente alle nuove modalità di presentazione telematica delle dichiarazioni d’esportazione.

Sistema doganale ECS Prova dell’uscita delle merci

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

In sintesi, la procedura prevede che: ü  l’ufficio doganale di esportazione metta a disposizione del dichiarante il

Documento di Accompagnamento delle Esportazioni (DAE). ü  Il DAE sostituisce la copia n. 3 del Documento Amministrativo Unico (DAU), con

la funzione di accompagnare la merce dalla dogana di esportazione alla dogana di uscita.

Il DAE riporta gli estremi del Movement Reference Number (MRN), attraverso il quale l’operatore può interrogare il sistema informatico per seguire le fasi della movimentazione delle merci oggetto di esportazione.

Prova dell’uscita delle merci

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

ü  A conclusione delle formalità di uscita, non viene apposto alcun timbro di visto uscire sul retro del DAE, in quanto l’ufficio doganale di uscita invia alla dogana di esportazione il messaggio, in via telematica, con i “risultati di uscita” al più tardi il giorno lavorativo successivo a quello in cui le merci lasciano il territorio doganale della Comunità. Tale messaggio costituisce la prova dell’uscita delle merci dal territorio comunitario per le operazioni svolte in ambito AES.

Prova dell’uscita delle merci

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Validità delle prove alternative

Le prove alternative richieste all’esportatore (se l’“ufficio di uscita” non conferma l’uscita della merce) sono le seguenti:

a)  la prova del pagamento oppure la fattura di vendita unitamente a

b)  copia della bolla di consegna firmata o autenticata dal destinatario fuori dal territorio doganale della Comunità oppure un documento di trasporto con attestazione di arrivo a destino del rappresentante del vettore

Con la Nota n. 88970 del 30.06.2009 (par. 6) e la Nota n. 166840/RU del 16.12.2009 l’Agenzia delle dogane commenta la procedura di “follow up” relativa al controllo delle operazioni di esportazione effettuate a decorrere dal 1° luglio 2009 in “Ecs fase 2”, disciplinata dagli artt. 796 quinquies bis e 796 sexies del regolamento (CEE) 2 luglio 1993, n. 2454, e, in osservanza a tali disposizioni, illustra il sistema delle PROVE ALTERNATIVE delle esportazioni che viene attivato qualora, dopo 90 giorni dallo svincolo delle merci, l’Ufficio doganale di esportazione non abbia ricevuto il messaggio “risultati di uscita”, così configurandosi una “esportazione scaduta”

Follow up Prova dell’uscita delle merci

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

A decorrere dal 1 LUGLIO 2009 è iniziata la FASE 2 del sistema ECS (Export Control System), senza che ciò abbia comportato novità

normative in materia di documentazione da predisporre ai fini fiscali, anche in tema di prove, per le operazioni di esportazione dirette, semplici ed in

triangolazione

ECS fase 2 “Prove” all’esportazione

ADEMPIMENTI DOCUMENTALI Art. 8, comma 1, lett. a),

D.P.R. n. 633/1972 Art. 13, comma 1,

legge 30 dicembre 1991, n. 413 INTEGRA la disposizione

dell’art 8, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 633/1972

Prevede, per le operazioni triangolari, la presentazione in Dogana delle fatture

SIA del cedente CHE del cessionario (promotore)

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La prova dell’esportazione può essere fornita con DOCUMENTI ALTERNATIVI rispetto ai metodi ordinari previsti «a regime»

per dimostrare l’effettiva uscita dei beni dal territorio comunitario

ECS fase 2 “Prove” all’esportazione

VALIDITA’ DELLE PROVE ALTERNATIVE ALL’ESPORTAZIONE Art. 346,

D.P.R. n. 43 del 23 gennaio 1973 Testo Unico delle Leggi Doganali

TULD

Art. 796 quinquies bis, Reg. (CEE) 2 luglio 1993, n. 2454,

paragrafi 3 e 4

Richiamato espressamente dalla C.M. n. 35/E del 13 febbraio 1997

Da rileggere alla luce dell’art. 335 del Regolamento

d’esecuzione n. 2015/2447 del 24 novembre 2015

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Riconoscimento delle attestazioni rilasciate da autorità estere «Il Ministero delle finanze, può, in via generale, consentire che: a)  l’uscita delle merci dal territorio doganale possa essere provata, agli effetti

doganali, anche per mezzo di attestazioni e certificazioni rilasciate da una dogana o da altre pubbliche amministrazioni estere, ovvero per mezzo di idonei documenti di trasporto internazionale;

b)  alle attestazioni apposte da autorità estere, sui documenti doganali emessi a scorta di merci introdotte nel territorio doganale sia riconosciuta, a condizione di reciprocità, la medesima efficacia attribuita alle analoghe attestazioni apposte dalle dogane italiane sui documenti relativi alla spedizione di merci estere da una ad altra dogana.»

Art. 346 TULD

“Prove” all’esportazione ECS fase 2

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE “Prove” all’esportazione ECS fase 2

L’art. 335 del Regolamento n. 2015/2447 (attuativo dell’art. 267 del nuovo CDU – Codice Doganale dell’Unione europea – Regolamento n. 952/2013) prevede che:

dopo 90 giorni dallo svincolo delle merci per l’esportazione, se l’Ufficio di esportazione non è stato informato dall’Ufficio di uscita in merito all’avvenuta esportazione, può chiedere informazioni all’esportatore.

L’esportatore può fornire tali informazioni di propria iniziativa precisando data di uscita e Ufficio doganale di uscita.

Per confermare, certificandola, l’uscita delle merci, l’Ufficio d’esportazione chiede informazioni all’Ufficio di uscita che risponde entro 10 giorni.

Decorso tale termine, l’Ufficio d’esportazione informa il dichiarante che può fornire la prova dell’esportazione, ricorrendo alle prove alternative.

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Viene confermato che in assenza dell’esemplare n. 3 del DAU, la PROVA della SPEDIZIONE DEI BENI

FUORI del TERRITORIO DOGANALE DELLA COMUNITÀ EUROPEA può essere fornita con DOCUMENTI ALTERNATIVI,

purchè aventi carattere di “CERTEZZA ED INCONTROVERTIBILITÀ”, ribadendo sul punto la validità degli strumenti di prova indicati nell’art. 346 del

TULD

In tema di prove all’esportazione, si cita l’importante sentenza n. 19750 del 28.08.2013 della Corte di Cassazione che, in sostanza, riassume le problematiche ad esse connesse assumendo una posizione chiara su vari aspetti interpretativi

Non possono, invece, costituire idonea prova dell’esportazione «semplici documenti di origine privata, come la documentazione bancaria dell’avvenuto pagamento»

Possibili «aperture» da art. 335 del Regolamento UE n. 2015/2447 di attuazione del nuovo Codice doganale

“Prove” all’esportazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

1)  Il cedente emette fattura in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 con l’annotazione “operazione non imponibile”, in quanto nel rapporto tra cedente e commissionario si configura una cessione all’esportazione.

2)  La cessione a titolo oneroso costituisce plafond “libero” per l’intero importo del corrispettivo fatturato (100).

3)  Il commissionario italiano emette fattura in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, con l’annotazione “operazione non imponibile”.

4)  La cessione a titolo oneroso costituisce plafond in parte “libero”, per (30), ed in parte “vincolato”, per (100).

Esportazioni dirette semplici Con intervento di commissionario nazionale

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Nel caso di esportazione tramite commissionario, le OPERAZIONI DOGANALI avvengono mediante esibizione della fattura emessa da questi al cliente extracomunitario.

L’intervento del commissionario non interrompe l’operazione di esportazione che, di fatto, viene considerata unitariamente; in questo caso, anche se i beni vengono trasferiti fuori del territorio comunitario ad opera del commissionario italiano, vengono considerate “ESPORTAZIONI DIRETTE” ENTRAMBI I PASSAGGI (C.M. n. 28/520372 dell’ 11 agosto 1976) : ü  quello dal cedente (italiano) al proprio commissionario (italiano); ü  quello dal commissionario (italiano) all’acquirente finale extracomunitario.

Esportazioni dirette semplici Con intervento di commissionario nazionale

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Il COMMISSIONARIO è un operatore commerciale che agisce, in sostanza, quale intermediario nelle operazioni di compravendita, ottenendo il proprio vantaggio economico dalla differenza tra prezzi di acquisto e prezzi di vendita; egli, infatti, agisce in nome proprio e per conto del committente, risultando soggetto destinatario delle fatture, in relazione agli acquisti di merci, e soggetto emittente delle stesse con riguardo alle cessioni nei confronti dei cessionari esteri.

L’Amministrazione finanziaria ha sottolineato che l’impresa può considerarsi una “commissionaria” solamente nel caso in cui agisca in base ad un tipico contratto di commissione e, quindi, acquisti o venda beni “in nome proprio e per conto del committente” (R.M. n. 521060 del 6 luglio 1976).

Impresa commissionaria

Attenzione! Risoluzione n. 521060 del 6.07.1976

Esportazioni dirette semplici Con intervento di commissionario nazionale

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

L’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 comprende tra le ESPORTAZIONI DIRETTE

anche quelle definite “IN TRIANGOLAZIONE”, richiamando espressamente le cessioni effettuate mediante

trasporto o spedizione di beni al di fuori del territorio comunitario “a cura o a nome dei cedenti o dei commissionari,

anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi”.

Esportazioni in triangolazione Definizione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Esportazioni in triangolazione

Il beneficio del regime di non imponibilità ai fini IVA viene esteso anche ai rapporti trilaterali, dove intervengono, limitatamente alle triangolari in esportazione, DUE OPERATORI ECONOMICI ITALIANI, dando luogo alla seguente configurazione dei rapporti commerciali: ü  1° rapporto: cedente nazionale – cessionario/venditore nazionale

(“promotore” della triangolazione); ü  2° rapporto: cessionario/venditore nazionale – acquirente finale

extracomunitario.

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

I soggetti sono tre: ü  il fornitore dei beni italiano; ü  il promotore dell’operazione triangolare italiano; ü  l’acquirente destinatario finale dei beni extracomunitario. L’operazione si articola su due rapporti autonomi, ma tra loro collegati dal punto di vista operativo, in quanto il promotore della triangolare incarica il proprio fornitore di provvedere al trasporto od alla spedizione dei beni nel Paese extracomunitario direttamente o tramite terzi per suo conto.

Soggetti nella triangolazione Esportazioni in triangolazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Meccanismo applicativo

A differenza di quanto avviene per le triangolari comunitarie e le triangolari «nazionali», dove è necessaria la presenza di tre soggetti passivi IVA

al fine di realizzare le cessioni e gli acquisti intracomunitari (con transazioni a titolo oneroso), nelle triangolari in esportazione

la norma non prevede espressamente una seconda cessione a titolo oneroso effettuata ad un soggetto terzo.

Le triangolari in esportazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La stessa Amministrazione finanziaria in numerose pronunce, secondo un orientamento consolidato da molti anni, ha più volte dimostrato di non ritenere

rilevante, ai fini della configurabilità dell’operazione triangolare e, più specificamente, ai fini della non imponibilità della cessione al promotore residente, il fatto che quest’ultimo effettui l’acquisto dei beni in vista di una contestuale

rivendita, ben potendo l’invio dei predetti beni dipendere da necessità del promotore di disporne all’estero per esigenze proprie.

C.M. n .12 del 09.04.1981; R.M. n. 416596 del 04.11.1986;

R.M. n. VII-15-58 del 15.09.1993; R.M. n. 72/E del 26.05.2000 confermata con R.M. n. 223 del 10.08.2007

Meccanismo applicativo Le triangolari in esportazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Ai fini della triangolare in esportazione, quindi, rileverebbro gli ASPETTI OGGETTIVI dell’operazione intesi nella loro materialità, rappresentati dall’USCITA

FISICA dei beni dal territorio comunitario per effetto del trasporto unico, con conseguente CONSUMO DEI BENI STESSI ALL’ESTERO

(R.M. n. 357136 del 3 marzo 1986)

Nella triangolare all’esportazione, inoltre, NON SAREBBE NECESSARIO che il cessionario/promotore residente abbia la qualifica di SOGGETTO PASSIVO

D’IMPOSTA, proprio per il carattere oggettivo dell’operazione disciplinata nell’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972

(R.M. n. 357136 del 03.03.1986; R.M. n. 416596 del 04.11.1986

e R.M. n. VII-15-58 del 15.09.1993).

Risoluzione n. 357136 del 3.03.1986

Meccanismo applicativo Le triangolari in esportazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

L’orientamento consolidato dell’Amministrazione finanziaria è stato posto in discussione dalla

risoluzione n. 17/E del 23 gennaio 2009, con cui l’Agenzia delle entrate si è pronunciata su

una particolare ipotesi di triangolazione con Paese di destinazione la Repubblica di San Marino.

Risoluzione n. 17/E del 23.01.2009 Ancora più tranciante è la posizione della Cassazione

nella sentenza n. 22172 del 27 settembre 2013

Meccanismo applicativo Le triangolari in esportazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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LE TRIANGOLARI IN ESPORTAZIONE

Successivamente alla risoluzione n. 17/E del 23 gennaio 2009, è intervenuta anche la Corte di Cassazione

con la sentenza n. 22172 del 27 settembre 2013 ad «incrinare» l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria,

sebbene con una pronuncia relativa ad un caso specifico avente ad oggetto il contratto di leasing

Corte di Cassazione, sentenza 27 settembre 2013, n. 22172

Meccanismo applicativo

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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Per i giudici di Cassazione, il contratto di leasing si configura come prestazione di servizi e non muta la sua natura, anche se al termine del contratto sia prevista

l’opzione per l’acquisto del bene locato da parte dell’utilizzatore.

LE TRIANGOLARI IN ESPORTAZIONE

(1) Non è possibile applicare il regime di non imponibilità IVA nel caso in cui il trasferimento all’estero (2) dipende della stipulazione di un contratto di leasing tra il promotore nazionale (locatore) e il cliente finale estero (utilizzatore).

Cassazione, sentenza n. 22172 del 27.09.2013

La sentenza riguarda la cessione di un bene spedito all’estero

a seguito della stipulazione di un contratto di leasing Cedente nazionale

(1) Promotore nazionale (società di Leasing)

(2) Utilizzatore dei beni

residente in un paese estero (utilizzatore)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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Per effetto della sentenza ogni qualvolta il primo fornitore non ha la ragionevole certezza che i beni saranno venduti all’estero, dovrebbe fatturare con IVA. La non imponibilità spetta ‘‘naturalmente’’ alla vendita nei confronti del cessionario non residente, mentre la detassazione della cessione interna è solo una agevolazione data dal legislatore, in quanto è considerata strumentale alla realizzazione dell’esportazione o della cessione intracomunitaria.

Tale posizione rischia di rendere illegittime molte prassi in uso

Conseguentemente il fornitore nazionale che non sappia dell’esistenza di una seconda vendita (e delle generalità dell’ultimo acquirente) dovrebbe sempre

fatturare con IVA a prescindere dalla destinazione estera. Questo introdurrebbe obblighi d’informativa che pregiudicano la riservatezza

commerciale dell’operazione finale.

LE TRIANGOLARI IN ESPORTAZIONE

Cassazione, sentenza n. 22172 del 27.09.2013

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Condizione assolutamente necessaria affinché possa realizzarsi l’operazione triangolare in regime di non imponibilità è che i beni vengano trasportati o spediti all’estero “a cura o a nome” del primo soggetto del rapporto (fornitore italiano), senza che i beni stessi vengano previamente consegnati nel territorio dello Stato al soggetto promotore della triangolare (cessionario italiano).

Importante! Condizione necessaria per la triangolazione

Esportazioni in triangolazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE Esportazioni in triangolazione

REQUISITI OGGETTIVI

I REQUISITI OGGETTIVI dell’operazione triangolare sono due:

primo requisito secondo requisito

i beni NON devono essere “consegnati” nel territorio dello Stato all’operatore economico nazionale cessionario/venditore;

il trasporto o la spedizione dei beni fuori del territorio comunitario devono essere effettuati A CURA O A NOME del fornitore.

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La consegna dei beni nel territorio dello Stato avrebbe l’effetto di interrompere l’operazione triangolare, scindendola, di fatto, in due distinte operazioni commerciali: ü  una CESSIONE “INTERNA”, assoggettata ad IVA, tra fornitore e cessionario

italiani; ü  una CESSIONE ALL’ESPORTAZIONE DIRETTA, non imponibile, realizzata dal

cessionario italiano promotore della triangolazione.

Con la risoluzione n. 621268 del 21 febbraio 1990, il Ministero delle Finanze ha negato la configurabilità della triangolazione nel caso di beni consegnati “franco dogana italiana” e, cioè, in territorio nazionale.

N.B.

Risoluzione n. 621268 del 21.02.1990

Esportazioni in triangolazione Primo requisito

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Quanto al trasporto o spedizione dei beni fuori dal territorio comunitario, nel paragrafo 2 della C.M. n. 35/E del 13 febbraio 1997, viene precisato che il “vero esportatore” è il soggetto promotore della triangolare, il quale, nel duplice ruolo di acquirente – cedente, può comprovare l’avvenuta esportazione dei beni tramite il documento doganale.

Viene, quindi, ribadito che l’esportazione triangolare sussiste solamente quando “il primo cedente comprovi di aver provveduto, su incarico del proprio acquirente, anche tramite terzi, a trasportare o spedire i beni direttamente fuori dal territorio comunitario”.

C.M. n. 35/E del 13.02.1997

Importante!

Esportazioni in triangolazione Secondo requisito

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Con l’art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 viene specificato che, ai fini dell’applicazione del regime di non imponibilità di cui all’art. 8, primo comma, lettera a), del D.P.R. n. 633/1972, a nulla rileva, per la documentazione della cessione all’esportazione, che i documenti contabili di cui all’art. 21 del decreto IVA (fatture) “siano emessi dagli spedizionieri o trasportatori nei confronti dei cedenti o altri soggetti”. Il legislatore, pertanto, ha ritenuto ininfluente l’elemento formale dell’intestazione della fattura del trasportatore o dello spedizioniere, ritenendo ammissibile la triangolazione anche in assenza d’intestazione della stessa in capo al fornitore italiano.

Trasporto o spedizione “a cura o a nome”

del fornitore nazionale

Esportazioni in triangolazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

A ribadire la preminenza degli aspetti sostanziali su quelli formali è intervenuta anche la circolare ministeriale n. 13 del 23 febbraio 1994 che, sebbene riguardante la specifica fattispecie della triangolare nazionale con trasporto o spedizione dei beni in uno Stato comunitario, di cui all’art. 58, comma 1, del D.L. n. 331/1993, si può fondatamente ritenere che esprima un principio di carattere generale. Viene ivi previsto che “la prova che consente di superare la presunzione di consegna nello Stato può essere rappresentata dalla documentazione relativa al trasporto ovvero da qualsiasi altro documento dal quale risulti che l’incarico del trasporto o della spedizione è stato conferito al cedente dal proprio cessionario”.

C.M. n. 13 del 23.02.1994 Prova della consegna

Trasporto o spedizione “a cura o a nome”

del fornitore nazionale

Esportazioni in triangolazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

L’Amministrazione finanziaria ha affrontato più direttamente il problema riguardante la definizione dell’espressione “altri soggetti” di cui all’art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, in relazione ai possibili intestatari delle fatture relative alle spese di trasporto.

Con la risoluzione n. 51/E del 4 marzo 1995 viene sottolineata l’ampiezza dell’espressione usata nell’art. 13 della L. n. 413/1991, la quale consente di legittimare, nell’ambito di una operazione in triangolazione, “la possibilità di emettere fattura nei confronti del cessionario residente, in qualità di soggetto che provvede concretamente al pagamento della prestazione di trasporto o di spedizione pur non avendola direttamente commissionata”.

R.M. n. 51/E del 4.03.1995

Intestatari della fattura di trasporto

Trasporto o spedizione “a cura o a nome”

del fornitore nazionale

Esportazioni in triangolazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Sul tema, si segnala l’ulteriore intervento dell’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 35/E del 13 maggio 2010. Con tale pronuncia, l’Amministrazione finanziaria ritiene che l’incarico del trasporto dei beni possa essere affidato anche dal promotore della triangolare, a condizione, tuttavia, che tale soggetto stipuli il relativo contratto in nome e su incarico del primo fornitore nazionale (mandato con rappresentanza), con ciò ritenendosi garantito il fatto che il promotore non avrà la disponibilità dei beni nel territorio nazionale. Si tratta di una presa di posizione che offre una soluzione parziale e che non pare tenere conto né delle esigenze concrete degli operatori, né dell’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Risoluzione n. 35/E del 13.05.2010

Trasporto o spedizione “a cura o a nome”

del fornitore nazionale

Esportazioni in triangolazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

A partire dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 4098 del 4 aprile 2000, infatti, l’approccio del Giudice di legittimità appare improntato ad un atteggiamento di natura “sostanzialista”, volto a privilegiare gli aspetti operativi e l’effettiva volontà delle parti di realizzare l’operazione in triangolazione (lo scopo della norma, infatti, è quello d’impedire operazioni fraudolente collegate all’entrata in possesso dei beni nel territorio nazionale da parte del cessionario/cedente). In linea con tale impostazione sono le successive sentenze della Cassazione n. 6114 del 13 marzo 2009, n. 2590 del 4 febbraio 2010, n. 21956 del 27 ottobre 2010 e n. 6898 del 25 marzo 2011.

Trasporto o spedizione “a cura o a nome”

del fornitore nazionale

Esportazioni in triangolazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

L’approccio “sostanzialista” si è ulteriormente consolidato (nonostante la sentenza della Cassazione di segno contrario n. 22233 del 26.10.2011) con le sentenze della Cassazione n. 23735 del 21.10.2013, n. 23331 del 15.10.2013 e n. 14186 del 05.06.2013, richiamate nella sentenza n. 14405 del 25.06.2014 in cui il Giudice di legittimità conclude affermando quanto segue: “questo Collegio, nel dare continuità all’orientamento prevalente, da ultimo consolidatosi, reputa ininfluente – ai fini della configurazione di una triangolazione esente da Iva – il fatto che il trasporto all’estero sia avvenuto a cura o in nome del cedente, essendo al contrario decisiva la prova che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta dalle parti come cessione nazionale finalizzata al successivo trasporto a cessionario estero”.

Cassazione, sentenza n. 14405 del 25.06.2014 Conferme anche nella recente Cassazione n. 2460 del 31 gennaio 2017

Trasporto o spedizione “a cura o a nome”

del fornitore nazionale

Esportazioni in triangolazione

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LE TRIANGOLARI IN ESPORTAZIONE Ultimi orientamenti della Corte Di Cassazione

Con l’ordinanza n. 25527 del 2 dicembre 2014, la Corte di Cassazione, nel confermare l’orientamento ormai consolidato

secondo cui risulta decisiva la prova che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale,

sia stata voluta dalle parti come triangolare finalizzata al trasporto o spedizione dei beni al cessionario estero,

si pronuncia sul tema dell’onere della prova a carico del fornitore (primo cedente) idonea a dimostrare la comune volontà delle parti di dar luogo alla triangolazione, come tale concepita

fin dall’inizio del rapporto

La Cassazione conferma la sentenza della CTR di Milano che, «nel corretto esercizio dei poteri suoi propri», ha ritenuto decisiva,

ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova, la documentazione prodotta dal contribuente rappresentata

dai «modelli DAU» e dalla documentazione «relativa alle fatture emesse

nei confronti della prima cessionaria ed alla merce da quest’ultima esportata»

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

1)  I beni vengono trasportati o spediti direttamente in territorio extracomunitario senza essere consegnati in Italia al cessionario promotore della triangolare.

2)  Il cedente italiano (fornitore) emette fattura nei confronti del cessionario italiano suo cliente (promotore) con l’annotazione “operazione non imponibile” in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, in quanto nel rapporto tra cedente e cessionario italiani si realizza una cessione all’esportazione.

3)  La cessione a titolo oneroso costituisce plafond “libero” per l’intero importo del corrispettivo fatturato (100).

4)  Il cessionario/venditore italiano (promotore) emette fattura con l’annotazione “non imponibile” in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972.

5)  La cessione a titolo oneroso costituisce plafond in parte “libero”, per (30), ed in parte “vincolato”, per (100).

Esportazioni in triangolazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Le PROVE ALL’ESPORTAZIONE devono essere rese sia dal fornitore che dal cessionario italiani,

in quanto entrambe le operazioni in triangolazione costituiscono cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972.

(C.M. n. 35/E del 13 febbraio 1997)

“Prove” all’esportazione

C.M. n. 35/E del 13.02.1997

Esportazioni in triangolazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

FINO AL 30 GIUGNO 2007, la procedura era la seguente: Il CESSIONARIO/VENDITORE (promotore), avente la “qualifica” di esportatore, poteva provare l’esportazione con il documento doganale (D.A.U.) su cui era apposto il visto della Dogana di uscita dal territorio comunitario.

Il CEDENTE (fornitore) aveva due possibilità: ü  la PROVA era costituita dal visto apposto sulla fattura emessa, nei confronti del proprio

cessionario, dall’Ufficio doganale al momento dell’effettuazione delle pratiche di esportazione, con l’indicazione degli estremi del documento doganale emesso, integrato successivamente con la menzione dell’uscita dei beni dal territorio comunitario, apposta dallo stesso ufficio doganale su presentazione dell’esemplare del documento di esportazione recante il visto della Dogana di uscita;

ü  la PROVA poteva essere fornita conservando, insieme alla fattura di vendita, la copia o fotocopia del documento doganale vistato dalla Dogana di uscita dal territorio comunitario.

ATTENZIONE!

“Prove” all’esportazione

Esportazioni in triangolazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

DAL 1° LUGLIO 2007 con l’avvio della Fase 1 del progetto comunitario ECS, la cui base giuridica è rappresentata dal regolamento CE n. 1875/2006 del 18 dicembre 2006, tale situazione è mutata. L’Agenzia delle dogane, tuttavia, non si è pronunciata in modo chiaro ed esauriente sulle prove in tema di operazioni triangolari.

Nella nota n. 3945 del 27 giugno 2007, nel paragrafo 4 dedicato alla documentazione a corredo del DAE, l’Agenzia delle dogane, dopo aver premesso che il sistema ECS supera l’uso dell’esemplare n. 3 del DAU, con lo scambio dei messaggi elettronici tra le dogane coinvolte nell’operazione di esportazione documentata dal DAE, si limita ad accennare come “nessun cambiamento interviene sull’ulteriore eventuale documentazione richiesta per motivi fiscali (ad esempio, l’apposizione del visto doganale sulle fatture commerciali in caso di triangolazioni), la cui funzione e relativa applicazione risultano al momento invariate”.

ATTENZIONE! Nota n. 3945 del 27.06.2007

“Prove” all’esportazione

Esportazioni in triangolazione

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ESPORTAZIONI IN TRIANGOLAZIONE

A decorrere dal 1 LUGLIO 2009 è iniziata la FASE 2 del sistema ECS (Export Control System), senza che ciò abbia comportato novità

normative in materia di documentazione da predisporre ai fini fiscali, anche in tema di prove, per le operazioni di esportazione dirette, semplici ed in

triangolazione

ECS fase 2 “Prove” all’esportazione

ADEMPIMENTI DOCUMENTALI Art. 8, comma 1, lett. a),

D.P.R. n. 633/1972 Art. 13, comma 1,

legge 30 dicembre 1991, n. 413 INTEGRA la disposizione

dell’art 8, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 633/1972

Prevede, per le operazioni triangolari, la presentazione in Dogana delle fatture

SIA del cedente CHE del cessionario (promotore)

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ESPORTAZIONI IN TRIANGOLAZIONE

Rimane valido quanto affermato con la NOTA N. 3945 DEL 27 GIUGNO 2007 dell’Agenzia delle dogane e, quindi,

invariato il «sistema» documentale previsto ai fini fiscali per la formalizzazione delle operazioni triangolari e

per la dimostrazione dell’effettiva uscita dei beni dal territorio della Comunità europea

Rimangono validi, di fatto, i criteri di cui alla C.M. N. 35/E DEL 13 FEBBRAIO 1997 in materia di prove all’esportazione, anche per le operazioni triangolari,

sebbene detti criteri siano da «rileggere» alla luce del nuovo sistema ECS, nel cui ambito la prova principale è rappresentata dallo scambio di messaggi

elettronici tra la dogana di «esportazione» e la dogana di «uscita»

ECS fase 2 “Prove” all’esportazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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ESPORTAZIONI IN TRIANGOLAZIONE

La prova dell’esportazione può essere fornita con DOCUMENTI ALTERNATIVI rispetto ai metodi ordinari previsti «a regime»

per dimostrare l’effettiva uscita dei beni dal territorio comunitario

ECS fase 2 “Prove” all’esportazione

VALIDITA’ DELLE PROVE ALTERNATIVE ALL’ESPORTAZIONE Art. 346,

D.P.R. n. 43 del 23 gennaio 1973 Testo Unico delle Leggi Doganali

TULD

Art. 796 quinquies bis, Reg. (CEE) 2 luglio 1993, n. 2454,

paragrafi 3 e 4

Richiamato espressamente dalla C.M. n. 35/E del 13 febbraio 1997

Da rileggere alla luce dell’art. 335 del Regolamento

d’esecuzione n. 2015/2447 del 24 novembre 2015

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Nell’ambito delle esportazioni “dirette” regolate dalla lett. a) dell’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972,

i beni ceduti, destinati all’esportazione, possono essere fatturati in regime di non imponibilità anche se sono

sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi,

a lavorazione, trasformazione, montaggio, assiemaggio o adattamento ad altri beni.

Esportazioni in triangolazione con lavorazioni

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Nell’ambito dell’art. 8, comma 1, lett. a), il fatto che i beni vengano sottoposti a lavorazione

PRIMA di essere presentati in dogana non determina un effetto interruttivo dell’operazione di esportazione,

la quale rimane in essere conservando il regime IVA agevolato.

Esportazioni in triangolazione con lavorazioni

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La specifica disciplina dell’ESPORTAZIONE “CONGIUNTA”, la quale permette sia al fornitore dei beni

che al prestatore dei servizi di lavorazione, entrambi residenti, di fatturare in regime di non imponibilità,

prevede il verificarsi di precisi requisiti e va letta unitamente alla norma di cui

all’art. 9, comma 1, n. 9), del D.P.R. n. 633/1972 in tema di servizi internazionali.

Esportazione «congiunta»

Esportazioni in triangolazione con lavorazioni

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Ai sensi dell’ art. 9, comma 1, n. 9), del D.P.R. n. 633/1972 costituiscono SERVIZI INTERNAZIONALI NON IMPONIBILI

quelli di lavorazione (rientranti fra i “trattamenti” di cui all’art. 176 del Testo Unico

delle disposizioni legislative in materia doganale) eseguiti “su beni nazionali, nazionalizzati o comunitari destinati ad essere

esportati da o per conto del prestatore del servizio o del committente non residente nel territorio dello Stato” .

Esportazioni in triangolazione con lavorazioni Servizi internazionali non imponibili

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Fino al 31 dicembre 2009, se l’impresa italiana terzista, esecutrice delle lavorazioni, provvedeva successivamente all’adempimento delle formalità doganali per l’esportazione, fatturando la propria prestazione di servizi al committente estero acquirente dei beni, si realizzavano le condizioni per l’applicazione del beneficio della non imponibilità per entrambe le imprese italiane.

ATTENZIONE!

Esportazioni in triangolazione con lavorazioni

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Ai fini della configurabilità dell’esportazione “congiunta”, tuttavia, è necessario che sia il

COMMITTENTE ESTERO A RICHIEDERE I SERVIZI DI LAVORAZIONE e non il fornitore dei beni italiano

(C.M. n. 73/400122 del 19 dicembre 1984; R.M. n. 470074 del 30 luglio 1990; risoluzione n. 223/E del 10 agosto 2007)

Esportazioni in triangolazione con lavorazioni Esportazione «congiunta»

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

ü  il fornitore dei beni effettuava una cessione all’esportazione non imponibile ex art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972;

ü  il prestatore di servizi effettuava una lavorazione su beni in esportazione non imponibile ex art. 9, comma 1, n. 9), del D.P.R. n. 633/1972.

Sul documento doganale di esportazione, intestato ad entrambi gli operatori nazionali, inoltre, dovevano essere indicati sia il prezzo di cessione dei beni, risultante dalla fattura emessa dal fornitore, sia il corrispettivo della lavorazione, risultante dalla fattura emessa dal terzista nei confronti del committente estero (R.M. n. 470074 del 30 luglio 1990).

Fino al 31 dicembre 2009

Tali adempimenti dovrebbero essere necessari, anche alla luce della nuova disciplina in materia di territorialità delle prestazioni di servizi

Esportazioni in triangolazione con lavorazioni

Adempimenti per la spedizione

all’estero

Fatturazione

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Dal 1° gennaio 2010, per effetto della nuova disciplina sulla territorialità dei servizi di cui all’art. 7-ter, del D.P.R. n. 633/1972, il terzista italiano effettua una prestazione di lavorazione senza applicare l’imposta, se il committente è un soggetto passivo stabilito all’estero. Dal 2010, pertanto, il fornitore dei beni continua a fatturare la cessione come non imponibile, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972. Il prestatore di servizi, invece, realizza un’operazione non soggetta ad IVA per mancanza del requisito territoriale, in quanto resa a committente soggetto passivo estero, per la quale rimane comunque l’obbligo di emissione della fattura ex art. 21, comma 6-bis, D.P.R. n. 633/1972.

ATTENZIONE!

Esportazioni in triangolazione con lavorazioni Dal 1° gennaio 2010

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Sono disciplinate nel primo comma dell’art. 8 alla lettera b): “le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità economica europea entro 90 giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto, ad eccezione dei beni destinati a dotazione o provvista di bordo di imbarcazioni o navi da diporto, di aeromobili da turismo o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato e dei beni da trasportarsi nei bagagli personali fuori del territorio della Comunità economica europea; l’esportazione deve risultare da

vidimazione apposta dall’ufficio doganale o dall’ufficio postale su un esemplare della fattura”.

Esportazioni indirette

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

I beni vengono consegnati dal cedente nazionale al CESSIONARIO NON RESIDENTE,

il quale provvede a curarne il trasporto o la spedizione fuori del territorio comunitario

o direttamente (in proprio) o conferendo l’incarico a terzi.

Art. 8, comma 1, lett. b

Esportazioni indirette

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

I beni devono essere esportati nello STATO ORIGINARIO, in quanto non è espressamente previsto, a differenza della lettera a),

che gli stessi possano essere sottoposti a lavorazione, trasformazione, montaggio, assiemaggio o adattamento ad altri beni

(C.M. n. 26/411138 del 3 agosto 1979).

I beni devono essere esportati entro il termine di 90 giorni dalla loro consegna al cessionario;

se la data di consegna non risulta da un apposito documento, il termine decorre dalla data della fattura (C.M. n. 26/411138 del 3 agosto 1979).

Status dei beni esportati

Termine di consegna

dei beni al cessionario

Requisiti oggettivi necessari

C.M. 26/411138 del 3.08.1979 Compatibilità con

la disciplina comunitaria Sentenza Corte UE

19 dicembre 2013, C-563/12

Esportazioni indirette

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Per il cedente nazionale diventa necessario avere un esemplare della fattura su cui è riportata la vidimazione doganale, al fine di provare la correttezza dell’operazione di esportazione e la legittimità dell’emissione della fattura in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972 (tale modalità è seguita anche a seguito dell’avvio del sistema ECS).

Gli Uffici doganali, al momento dell’espletamento delle pratiche di esportazione, devono accertare: ü  il rispetto del termine dei 90 giorni; ü  l’identità (nonché lo stato originario) dei beni esportati con

quelli indicati in fattura. La regolarità dell’operazione dovrà, quindi, risultare da apposita vidimazione apposta dagli stessi Uffici doganali su un esemplare o un duplicato della fattura (C.M. n. 26/411138 del 3 agosto 1979).

I controlli delle Dogane

Attenzione!

Requisiti oggettivi necessari Esportazioni indirette

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE Eccezioni Esportazioni indirette

Il regime IVA di cui all’art. 8, comma 1, lett. b) previsto per le esportazioni indirette, NON È APPLICABILE alle cessioni di:

beni destinati a dotazione o provvista di bordo di imbarcazioni o navi da diporto,

di aeromobili da turismo o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato;

beni da trasportarsi nei bagagli personali

fuori dal territorio comunitario

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La norma sanzionatoria prevede che: «chi effettua cessioni di beni senza addebito d’imposta,

ai sensi dell’articolo 8, primo comma, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633,

relativo alle cessioni all’esportazione, è punito con

la sanzione amministrativa dal CINQUANTA al CENTO PER CENTO del tributo, qualora il trasporto o la spedizione fuori del territorio dell’Unione europea

non avvenga nel termine ivi prescritto. La sanzione NON si applica se, NEI TRENTA GIORNI SUCCESSIVI, viene

eseguito, previa REGOLARIZZAZIONE della fattura, il versamento dell’imposta»

Art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997

Termini per l’esportazione dei beni

Esportazioni indirette

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Con la sentenza del 19.12.2013, nella causa C-563/12, la Corte di Giustizia si pronuncia su una domanda di pronuncia pregiudiziale del giudice ungherese,

avente ad oggetto l’interpretazione degli articoli 131, 146 e 273 della direttiva n. 2006/112/CE in merito al REGIME DI ESENZIONE DALL’IVA

di cessioni di beni spediti o trasportati al di fuori dell’Unione europea.

La sentenza del 19.12.2013 della Corte di Giustizia

In sostanza, viene chiesto “se gli articoli 146, paragrafo 1, e 131 della direttiva 2006/112 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale

secondo la quale, nell’ambito di una cessione all’esportazione, i beni destinati ad essere esportati al di fuori dell’Unione

devono aver lasciato il territorio dell’Unione entro un termine prestabilito di tre mesi o di 90 giorni successivi alla data di cessione,

qualora il semplice superamento di tale termine abbia la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione riguardo a tale

cessione” (punto 21)

Esportazioni indirette Termini per l’esportazione dei beni

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La Corte di Giustizia, in conclusione, rileva che “una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale,

che assoggetta l’esenzione all’esportazione a un termine di uscita, con l’obiettivo, in particolare, di lottare contro l’elusione e l’evasione fiscale,

senza per questo consentire al soggetto passivo di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione,

che la condizione di uscita è stata soddisfatta dopo lo scadere di tale termine, e

senza prevedere un diritto del soggetto passivo al rimborso dell’IVA già corrisposta in ragione del non rispetto del termine,

qualora fornisca la prova che la merce ha lasciato il territorio doganale dell’Unione, eccede quanto necessario per il conseguimento di detto obiettivo”

(punto 39)

La sentenza del 19.12.2013 della Corte di Giustizia

Esportazioni indirette Termini per l’esportazione dei beni

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

107

CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

La Corte di Giustizia, quindi, interpreta gli artt. 146, paragrafo 1, e 131 della direttiva n. 2006/112/CE

nel senso che gli stessi OSTANO

ad una NORMATIVA NAZIONALE che, prevedendo un TERMINE PRESTABILITO entro cui effettuare

NECESSARIAMENTE le cessioni all’esportazione, abbia come conseguenza quella di PRIVARE DEFINITIVAMENTE

il soggetto passivo DEL REGIME DI ESENZIONE applicabile a tali cessioni

La sentenza del 19.12.2013 della Corte di Giustizia

Esportazioni indirette Termini per l’esportazione dei beni

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

108

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119

CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Con la risoluzione n. 98/E del 10.11.2014, l’Agenzia delle entrate recepisce l’orientamento espresso dalla Corte di giustizia

nella sentenza del 2013, causa C-563/12, con cui viene fornita l’interpretazione della normativa comunitaria di cui all’art. 146, paragrafo 1, lett. b), della direttiva n. 2006/112/CE, corrispondente alla disposizione di cui all’art. 8, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972

in tema di esportazioni «indirette»

Il beneficio della NON IMPONIBILITÀ non può essere negato quando è possibile dimostrare

l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione europea, anche se dopo lo scadere del termine dei 90 giorni

e, inoltre, deve essere consentito il RECUPERO DELL’IVA corrisposta «in sede di regolarizzazione»

Accoglie il principio comunitario

La risoluzione n. 98/E del 10.11.2014

Esportazioni indirette Termini per l’esportazione dei beni

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

109

CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Qualora i beni vengano esportati oltre i 90 giorni ma entro i 30 giorni previsti per la «regolarizzazione»

e il cedente ne abbia la prova, «il contribuente potrà esimersi dal versamento dell’imposta senza per questo incorrere

in alcuna violazione sanzionabile»

La risoluzione n. 98/E del 10.11.2014

Esportazioni indirette Termini per l’esportazione dei beni

Il REGIME di NON IMPONIBILITÀ previsto per le esportazioni «indirette» si applica quando:

il bene è stato esportato entro i 90 giorni

ma il cedente ne acquisisce la prova oltre il termine dei 30 giorni

previsto per eseguire la «regolarizzazione»

il bene esce dal territorio comunitario dopo il decorso

del termine di 90 giorni di cui all’art. 8, comma 1, lett. b),

del D.P.R. n. 633/1972, semprechè sia acquisita

la prova dell’avvenuta esportazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

110

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120

CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

Termine da aggiornare???

La risoluzione n. 98/E del 10.11.2014

Esportazioni indirette Termini per l’esportazione dei beni

Nei casi in cui la prova dell’avvenuta esportazione venga acquisita dal cedente dopo aver proceduto alla «regolarizzazione» nei 30 giorni previsti,

l’Agenzia delle entrate ammette la possibilità di RECUPERARE L’IVA nel frattempo versata

ex art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997, con le seguenti modalità alternative: emissione di nota di variazione

ex art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, «entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa

al secondo anno successivo a quello in cui è avvenuta l’esportazione»

richiesta di rimborso ex art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992

«entro il termine di due anni dal versamento o dal verificarsi del presupposto del rimborso»

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

111

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121

CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE

1)  Il cedente italiano emette fattura nei confronti del cessionario non residente in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972, con l’annotazione “operazione non imponibile”, in quanto si realizza un’esportazione.

2)  La cessione a titolo oneroso costituisce plafond.

3)  Il trasporto o la spedizione dei beni fuori del territorio comunitario avvengono a nome o a cura del cessionario non residente.

Esportazioni indirette

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

113

IL REGIME IVA DEGLI ACCONTI SU ESPORTAZIONI

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122

IL REGIME IVA DEGLI ACCONTI

Gli acconti su operazioni di esportazione, quindi, anche se non immediatamente connessi alla spedizione dei beni all’estero,

devono comunque essere fatturati in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972,

con l’annotazione “operazione non imponibile” apposta ai sensi di quanto previsto dall’art. 21, comma 6, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972

Tale concetto è stato condiviso dall’Amministrazione finanziaria, la quale, proprio in tema di esportazioni, con la circolare n. 4/411169 del 15 gennaio 1977

ha affermato che “rappresentando tali anticipi l’adempimento parziale dell’obbligazione cui si riferiscono, essi non hanno

un’autonoma fisionomia giuridica e debbono, pertanto, essere ricondotti all’obbligazione stessa anche per quanto concerne la regolamentazione fiscale”

Il regime IVA applicabile agli acconti è quello relativo all’operazione nel cui ambito vengono previsti, in conformità agli accordi intervenuti fra le parti, in quanto non hanno una loro autonomia specifica, rappresentando un adempimento parziale del più generale obbligo di pagamento del corrispettivo

Acconto: adempimento

parziale

Natura degli acconti

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

115

IL REGIME IVA DEGLI ACCONTI

IL RIFERIMENTO AGLI ACCORDI CONTRATTUALI

È FONDAMENTALE

Elementi da verificare

Qui il Giudice europeo sottolinea come “nel momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano specificamente individuati”

Tale principio interpretativo è coerente con quello enunciato

dalla Corte di giustizia nella sentenza del 21 febbraio 2006, causa C-419/02, causa «BUPA Hospitals Ltd» (punto 48)

La sentenza n. 10606 del 22 maggio 2015

Viene enunciato il principio generale secondo cui, affinchè l’imposta possa diventare esigibile, e quindi possa considerarsi effettuata ai fini IVA l’operazione (cessione di beni o prestazione di servizi), occorre verificare

che tutti gli elementi qualificanti di tale futura operazione, con cui si realizza il fatto

generatore dell’imposta, siano già conosciuti dalle parti

che, quando vengono pagati gli acconti, i beni o i servizi cui si riferiscono siano

specificamente individuati

Il versamento di un acconto del prezzo in via anticipata implica l’obbligo di emettere la fattura, ma ciò avviene solo se esiste un collegamento immediato e diretto

con la futura operazione (cessione di beni o prestazione di servizi) di cui l’acconto è parte

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

116

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123

IL REGIME IVA DEGLI ACCONTI

In presenza di accordi non chiaramente disciplinati che non consentono di definire compiutamente l’operazione,

le somme incassate dal fornitore prima di effettuare la consegna o spedizione dei beni all’estero, con specifico riferimento alle esportazioni,

potrebbero essere inquadrate giuridicamente come depositi cauzionali o caparre che, in un’ottica fiscale, costituiscono

somme fuori del campo applicativo dell’Iva, non avendo natura corrispettiva

Occorre che l’acconto sia riferito ad operazioni esattamente delineate nei loro aspetti contrattuali con riguardo

alla TIPOLOGIA dei beni ed alle relative QUANTITÀ, per evitare che le somme anticipate vengano disconosciute

come acconti in senso proprio, con i conseguenti rischi di possibile applicazione alle stesse

di regimi IVA differenti da quello adottato

Attenzione!

Depositi o caparre

Tipologia e quantità dei beni RIFLESSI CONTRATTUALI

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

117

IL REGIME IVA DEGLI ACCONTI RIFLESSI CONTRATTUALI

In base al contenuto del contratto, le pattuizioni che potrebbero indurre gli Organi di controllo a disconoscere la natura di acconti ai pagamenti anticipati,

potrebbero, a titolo esemplificativo, essere le seguenti: la previsione di

una somma forfettaria da versare per beni indicati in modo generico

in un elenco che può essere successivamente modificato di comune

accordo fra le parti e nell’ambito del quale l’acquirente può

scegliere quali articoli comprare

la previsione della facoltà di recesso unilaterale

dell’acquirente esercitabile in qualsiasi momento,

con la restituzione della parte non utilizzata

del versamento anticipato

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

118

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124

IL REGIME IVA DEGLI ACCONTI

I principi già statuiti in tema di acconto con la sentenza del 21.02.2006, causa C-419/02 (“BUPA Hospitals Ltd”), sono stati ribaditi successivamente dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 31.05.2018, causa C-660/16 e C-661/16 (“J.A.K” e “J.E.W”), con ulteriori precisazioni in merito alla consapevolezza (o meno) della reale fattibilità dell’operazione (punto 51).

“il diritto a detrazione dell’iva riguardante il versamento di un acconto non può essere negato al potenziale acquirente dei beni in questione, in una situazione in cui tale acconto è stato versato e riscosso e, al momento di tale versamento, si poteva considerare che tutti gli elementi rilevanti della futura cessione erano noti a tale acquirente e la cessione di tali beni sembrava in quel momento certa. Un siffatto diritto potrà tuttavia essere negato al suddetto acquirente qualora si accerti, alla luce di elementi oggettivi, che, al momento del versamento dell’acconto, egli sapeva o non poteva ragionevolmente ignorare che la realizzazione di tale cessione era incerta”.

RIFLESSI CONTRATTUALI

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

119

GLI ESPORTATORI ABITUALI E IL PLAFOND

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125

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, sono fatturate in regime di non imponibilità

“le cessioni, anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le prestazioni di servizi

rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche

tramite commissionari, o importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta”

Tra le cessioni all’esportazione sono comprese le cessioni effettuate nei confronti di operatori economici

aventi la speciale qualifica di “esportatori abituali”

Esportatori abituali NORMATIVA

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

121

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND ESPORTAZIONI ASSIMILATE

Ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di cui alla lettera c) possono essere effettuate senza

pagamento dell’imposta alle seguenti condizioni: il cessionario ha

la qualifica soggettiva di “ESPORTATORE ABITUALE”

ed effettua gli acquisti nei limiti del plafond disponibile

il soggetto acquirente che intende fruire del beneficio della non imponibilità deve manifestare espressamente

tale intenzione, sotto la sua responsabilità, con apposita

dichiarazione scritta (cosiddetta “LETTERA DI INTENTO”)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

122

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126

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

ESPORTAZIONI ASSIMILATE Utilizzo del plafond: disposizioni particolari

Disposizioni particolari riguardanti L’UTILIZZO DEL PLAFOND sono previste per i seguenti soggetti:

CESSIONARI NAZIONALI che rivestono il ruolo di promotori di

operazioni triangolari

COMMISSIONARI che intervengono nell’ambito di

operazioni di esportazione diretta disciplinate dall’art. 8, comma 1, lett. a),

del decreto IVA

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

123

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

ESPORTAZIONI ASSIMILATE

Per tali soggetti, l’ammontare complessivo del plafond viene idealmente suddiviso in due parti:

plafond “libero”, cioè liberamente utilizzabile per gli acquisti di ogni tipo consentiti dalla

norma, per la parte corrispondente

all’eccedenza del corrispettivo di vendita fatturato ai clienti e quello di

acquisto addebitato dai fornitori

plafond “vincolato”, utilizzabile esclusivamente per gli

acquisti di beni da esportare nello stato originario

nei sei mesi successivi alla loro consegna

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

124

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127

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Cedente italiano

fornitore

Cliente extra comunitario destinatario

finale

100

Cessionario italiano

promotore triangolare

o o o

committente acquirente finale commissionario

130

ESPORTAZIONI ASSIMILATE

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

125

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Il CESSIONARIO ITALIANO (od il COMMISSIONARIO), con la cessione all’esportazione di 130

si costituisce un plafond complessivo di pari importo da suddividere, quanto al suo utilizzo, come segue:

100, corrispondente al costo di acquisto, “vincolato” (utilizzabile solo per l’acquisto di beni da esportare nello stato originario nei 6 mesi successivi alla consegna);

30, corrispondente alla differenza tra corrispettivo di vendita (130) e d’acquisto

(100), “libero”.

ESPORTAZIONI ASSIMILATE

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

126

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128

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Le cessioni di cui alla lettera c), dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, sebbene “assimilate” alle cessioni all’esportazione

e fatturate in regime di non imponibilità, NON concorrono a DETERMINARE IL PLAFOND

per gli esportatori abituali

Attenzione!

ESPORTAZIONI ASSIMILATE

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

127

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c), costituiscono CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE le cessioni, anche tramite commissionari, di beni

diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili e le prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato

cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare,

anche tramite commissionari, o importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta.

La normativa nazionale ammette l’utilizzo del PLAFOND ai soggetti che effettuano prevalentemente operazioni “internazionali” non imponibili

(cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie e altre operazioni assimilate)

L’utilizzo del plafond consente di evitare che tali soggetti si trovino strutturalmente in posizione creditoria nei confronti dell’Erario, per effetto dell’esercizio del diritto di detrazione dell’imposta gravante

sugli acquisti di beni e servizi.

Plafond e operazioni internazionali non imponibili

CESSIONI EFFETTUATE NEI CONFRONTI DI ESPORTATORI ABITUALI

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

128

Page 130: IORNATA DI STDIO - formazionecommercialisti.org

129

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

L’esportatore abituale può avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni

senza applicazione dell’imposta.

A tal fine, tuttavia, l’esportatore abituale deve rilasciare ai propri fornitori apposita DICHIARAZIONE D’INTENTO (lettera

d’intento)

Un soggetto si considera “ESPORTATORE ABITUALE” se, nell’anno solare precedente (ovvero negli ultimi dodici mesi),

ha registrato cessioni all’esportazione,

cessioni intracomunitarie ed altre operazioni assimilate per un ammontare superiore al 10% del volume d’affari

Dichiarazione d’intento

Definizione

Lo status di esportatore abituale

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

129

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND Lo status di esportatore abituale

Possono acquisire lo “status” di esportatore abituale:

SOGGETTI RESIDENTI nel territorio dello Stato

SOGGETTI ESTERI IDENTIFICATI AI FINI IVA IN ITALIA

(identificazione diretta o nomina di un rappresentante fiscale).

Anche tali soggetti possono avvalersi della facoltà di acquistare beni

e servizi senza applicazione dell’IVA utilizzando,

nel rispetto dei limiti di legge, il plafond (cfr. R.M. n. 102 del 21 giugno 1999

e, più recentemente, risoluzione n. 80/E del 4 agosto 2011)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

130

Page 131: IORNATA DI STDIO - formazionecommercialisti.org

130

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

ü  Cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a) e b), del D.P.R. n. 633/1972 (dirette, triangolari, con trasporto all’estero dei beni effettuato dal cessionario non residente)

ü  Operazioni assimilate alle esportazioni, ove realizzate nell’ambito dell’attività propria dell’impresa (art. 8-bis)

ü  Servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, ove realizzati nell’ambito dell’attività propria dell’impresa (art. 9)

ü  Operazioni non imponibili per effetto di Trattati ed Accordi internazionali (art. 72)

ü  Operazioni con lo Stato del Vaticano e con la Repubblica di San Marino (art. 71)

ü  Cessioni intracomunitarie non imponibili, comprese quelle in triangolazione (art. 41 del D.L. n. 331/1993)

ü  Cessioni interne non imponibili nell’ambito di triangolari nazionali (art. 58 del D.L. n. 331/1993)

Formazione plafond: SI’

Principali operazioni che CONCORRONO alla formazione del plafond

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

131

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

QUADRO VE Nel rigo VE30 al campo 5 vanno indicate le

“Operazioni assimilate alle cessioni all'esportazione”

Le operazioni rilevanti ai fini della formazione del plafond vanno riepilogate nella dichiarazione annuale Iva, precisando la natura

delle stesse. In base al modello Iva 2018, esse trovano spazio nel quadro VE, al rigo VE30

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

132

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131

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Il quadro VI, presente anche nel modello Iva 2018, è riservato ai fornitori di esportatori abituali,

prevede l’indicazione dei dati delle dichiarazioni d’intento ricevute, relative all’anno solare di riferimento

I dati da riportare sono: •  la partita Iva dell’esportatore abituale (campo 1);e •  il numero di protocollo attribuito dall’Agenzia alla dichiarazione d’intento trasmessa in via

telematica (campo 2).

Nella dichiarazione Iva 2016, relativa all’anno 2015, ha debuttato il riepilogo dei dati delle dichiarazioni d’intento

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

133

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

ü  Cessioni ad esportatori abituali (art. 8, comma 1, lett. c)

ü  Cessioni a viaggiatori extracomunitari (art. 38-quater)

ü  Cessioni di beni in transito e di beni depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale e operazioni fuori campo Iva per carenza del requisito territoriale, anche se soggette a fatturazione

ü  Cessioni di beni destinati ad essere introdotti o giacenti in depositi Iva ai sensi dell’art. 50-bis del D.L. n. 331/1993 (che non siano estratti per essere inviati in un altro Paese UE o extra-UE)

ü  Cessioni ad organismi dello Stato per cooperazione (art. 28 della legge n. 49/1987 e D.M. n. 379/1988)

ü  Prestazioni non imponibili delle agenzie di viaggio (art. 74-ter del D.P.R. n. 633/1972)

Formazione plafond: NO

Principali operazioni che NON concorrono alla formazione del plafond

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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132

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Nel testo attuale della norma, pertanto, NON SONO PIÙ INDICATE operazioni fuori campo IVA,

per carenza del presupposto territoriale, idonee a ridurre il volume d’affari

L’obbligo di fatturazione (e registrazione) delle operazioni non soggette all’imposta ai sensi degli artt. da 7-bis a 7-septies, per mancanza del requisito territoriale,

di cui all’art. 21, comma 6-bis, lettera a) (annotate con «inversione contabile») e b) (annotate con «operazione non soggetta»), ha una diretta incidenza

sul volume d’affari, determinandone un conseguente aumento.

La modifica apportata all’art. 20, primo comma, secondo periodo, per effetto del recepimento delle regole di fatturazione di cui alla direttiva comunitaria n. 2010/45, infatti, ha eliminato dal testo della norma il riferimento precedente, relativo ai servizi non soggetti all’imposta ex art. 7-ter resi a soggetti passivi comunitari, che non concorrevano a formare il volume d’affari, e non ripropone alcuna integrazione in sua sostituzione

Operazioni non soggette ad IVA e volume d’affari

Volume d’affari rilevante agli effetti del plafond

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

135

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

L’aumento del volume d’affari determinato dalle fatture emesse (e registrate) per operazioni non soggette all’imposta per carenza del requisito territoriale, implica effetti negativi sulla possibilità di ottenere

i rimborsi IVA in relazione alla fattispecie di cui all’art. 30, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972 (operazioni non imponibili ex artt. 8, 8-bis e 9 per un ammontare superiore al

25% dell’importo complessivo di tutte le operazioni effettuate)

Volume d’affari rilevante agli effetti del plafond

L’estensione dell’obbligo di fatturazione (e registrazione) delle operazioni non soggette all’imposta, per carenza del requisito territoriale, determina, in linea generale, l’effetto di aumentare il volume d’affari, con i conseguenti riflessi su vari istituti che ad esso fanno riferimento

la periodicità delle liquidazioni IVA, mensile o trimestrale

la possibilità di accedere al regime IVA per cassa (limite dei 2 milioni di

euro)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

136

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133

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Gli effetti dell’estensione dell’obbligo di fatturazione vengono invece «sterilizzati» in relazione alla disciplina specifica del «plafond» degli esportatori abituali, per effetto di una apposita integrazione apportata all’art. 1, comma 1, lett. a), primo periodo, del D.L. n. 746/1983 (convertito con L. n. 17/1984)

Per effetto di quanto previsto al comma 329 della L. n. 228/2012 vengono aggiunte, alle operazioni irrilevanti ai fini della determinazione del volume d’affari (cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale), le

operazioni di cui all’art. 21, comma 6-bis, del D.P.R. n . 633/1972

IRRILEVANZA SULLA DISCIPLINA DEL PLAFOND

Obbligo fatturazione e plafond

Volume d’affari rilevante agli effetti del plafond

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

137

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Non si può utilizzare il plafond per l’acquisto di fabbricati, aree edificabili e, in generale, per tutti i beni o i servizi per i quali l’IVA è indetraibile

Cassazione, sentenza n. 23329 del 15 ottobre 2013 (leasing immobiliare) → apertura

Cassazione, sentenza n. 7504 del 15 aprile 2016 (appalto immobiliare) → apertura

Limiti all’utilizzo del plafond

Non possono applicare il plafond:

coloro che iniziano l’attività limitatamente al primo anno solare

(così si esprime, fra l’altro, la circolare n. 8/D del 27 febbraio 2003)

gli operatori in regime agricolo (recuperano l’imposta ai sensi dell’articolo

34, del D.P.R. n. 633/1972); il divieto è previsto dall’art. 13, comma 2, della legge n. 413/1991 (vedi C.M. n. 7 del 10.02.1992

e C.M. n. 11 del 29.02.1992)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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134

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

PLAFOND ANNUALE O FISSO si riferisce all’ammontare delle operazioni attive non imponibili

registrate nell’anno solare precedente

PLAFOND MENSILE O MOBILE si riferisce all’ammontare delle operazioni attive non imponibili

registrate nei dodici mesi precedenti

N.B.: La scelta del metodo utilizzato non può essere modificata in corso d’anno

Modalità di determinazione Tipologie di plafond

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

139

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

In CIASCUN MESE va VERIFICATO LO STATUS di esportatore abituale

e rideterminato il plafond disponibile,

prendendo in considerazione le operazioni effettuate nei DODICI MESI PRECEDENTI

Il metodo mensile appare conveniente se il fatturato relativo alle operazioni non imponibili

che generano plafond è crescente

Attenzione!!!

Plafond mensile o mobile Profili operativi

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

140

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135

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Se nell’anno solare precedente è stato utilizzato il metodo fisso e si vuole passare al metodo mobile,

il PLAFOND DISPONIBILE all’inizio dell’anno è pari alle esportazioni e alle altre operazioni assimilate registrate

nell’anno solare precedente (circolare n. 8/D del 27 febbraio 2003)

Se nell’anno solare precedente è stato utilizzato il metodo mobile e si vuole passare al metodo fisso,

il PLAFOND DISPONIBILE all’inizio dell’anno è pari al plafond che sarebbe risultato disponibile per il mese di gennaio

se si fosse mantenuto il metodo mobile (R.M. n. 77 del 6 marzo 2002)

Dal metodo fisso al metodo mobile

Dal metodo mobile al metodo fisso

Passaggio da un metodo all’altro

Profili operativi

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

141

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

PLAFOND VINCOLATO

riguarda i promotori di operazioni triangolari ed i commissionari

Tali soggetti, oltre al plafond “libero”, commisurato alla differenza fra

il corrispettivo addebitato al momento della cessione e l’ammontare loro addebitato dai propri fornitori/committenti,

dispongono altresì di un plafond ridotto (“vincolato”) di ammontare pari al costo sostenuto per l’acquisto dei beni

(nel caso di promotori di operazioni triangolari) o

all’addebito effettuato dal committente (in caso di commissionari)

Tale plafond è utilizzabile SOLO per l’acquisto di beni da esportare nello stato originario (senza lavorazioni o trasformazioni)

nei sei mesi successivi alla consegna.

Tipologie di plafond

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

La dichiarazione dev’essere rilasciata prima dell’effettuazione

dell’operazione d’acquisto o d’importazione (valgono, al riguardo, i criteri di cui all’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972)

La dichiarazione di intento, redatta in duplice esemplare, deve essere progressivamente datata e numerata dal dichiarante ed annotata, entro i 15 giorni successivi a quello di emissione,

in apposito registro tenuto a norma dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972 (ovvero in apposita sezione del registro IVA

delle vendite o dei corrispettivi)

Per avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell’imposta, l’esportatore abituale deve rilasciare a ciascun fornitore o alla Dogana competente (in caso d’importazione)

apposita DICHIARAZIONE DI INTENTO (o lettera d’intento)

Dichiarazione d’intento:

modalità di rilascio

Le violazioni di tali adempimenti

sono punite con la sanzione

da 516 a 2.582 euro (art. 2, comma 2, D.L. n. 746/1983)

Obblighi dell’esportatore abituale

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

143

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND Obblighi dell’esportatore abituale Dichiarazione

d’intento: contenuto

La dichiarazione non può mai superare l’anno solare (R.M. n. 355235 del 27 luglio 1985) La dichiarazione può essere riferita:

ad una singola operazione (in caso d’importazione, la lettera d’intento va –

rectius: andava - ripetuta per ogni operazione);

a più operazioni effettuate nell’anno solare,

entro un certo periodo di tempo (è ammessa la presentazione nel mese di dicembre in relazione agli

acquisti da effettuare nell’anno successivo;

R.M. n. 355803 del 26 luglio 1985).

a più operazioni effettuate

nell’anno solare, fino alla concorrenza

di un determinato ammontare;

Tale possibilità rimane valida per le lettere d’intento relative alle operazioni d’acquisto effettuate fino al 28.02.2017;

dal 1 marzo 2017, tale possibilità non è più prevista dal nuovo modello di dichiarazione d’intento

approvato con Provvedimento direttoriale del 02.12.2016

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

144

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137

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Le dichiarazioni di intento ricevute devono essere progressivamente numerate

anche dal fornitore (o prestatore) e annotate, entro i 15 giorni dal ricevimento,

in apposito registro tenuto a norma dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972

(o in apposita sezione del registro IVA vendite o corrispettivi)

Dichiarazione d’intento: adempimenti al ricevimento

Gli estremi della dichiarazione di intento (numero e data d’emissione) devono essere indicati nelle fatture emesse dai fornitori,

unitamente all’annotazione di “operazione non imponibile” ed al riferimento alla norma di cui all’art. 8, comma 1, lett. c)

o all’art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 (non più strettamente obbligatorio)

Le violazioni di tali adempimenti

sono punite con la sanzione da 516 a 2.582 euro

(art. 2, comma 2, D.L. n. 746/1983)

Adempimenti dei fornitori

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

145

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND Dopo le modifiche introdotte

con il D.Lgs. n. 175/2014

In base alla nota delle dogane n. 58510 del 20 maggio 2015, non è più necessaria la presentazione della copia cartacea della dichiarazione alla Dogana.

Inoltre, è possibile utilizzare la lettera d’intento per più operazioni d’importazione. Il controllo dell’utilizzo del plafond è eseguito direttamente

utilizzando un apposito «conto a scalare»

Procedura rivista dal 25 maggio 2015

Adempimenti degli operatori

ADEMPIMENTI DELL’ESPORTATORE ABITUALE Con il «Decreto Semplificazioni» (D.Lgs. n. 175 del 21 novembre 2014)

gli OBBLIGHI DI COMUNICAZIONE delle lettere d’intento sono stati trasferiti dal fornitore all’esportatore abituale, il quale deve:

trasmettere in via telematica all’Agenzia delle entrate,

la quale è tenuta a rilasciare apposita ricevuta telematica,

le lettere d’intento emesse

inviare al fornitore o prestatore di servizi, ovvero alla Dogana,

le lettere d’intento unitamente alla ricevuta di avvenuta trasmissione

rilasciata dall’Agenzia delle entrate

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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138

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND Dopo le modifiche introdotte

con il D.Lgs. n. 175/2014 Adempimenti degli operatori

ADEMPIMENTI DEL FORNITORE Il fornitore/prestatore deve:

effettuare la cessione di beni o

la prestazione di servizi senza applicazione dell’Iva solo dopo aver ricevuto da

parte dell’esportatore abituale la lettera

d’intento e la relativa ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate

riepilogare nella dichiarazione Iva

annuale i dati contenuti nelle

lettere d’intento ricevute

riscontrare telematicamente

l’avvenuta presentazione

all’Agenzia delle entrate, da parte dell’esportatore

abituale, delle lettere d’intento

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

147

LA COMUNICAZIONE DELLE LETTERE D’INTENTO Il nuovo modello di dichiarazione d’intento

approvato con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 02.12.2016

Da utilizzare dal 1 marzo 2017

Da utilizzare fino al 28 febbraio 2017

Art. 5, Provvedimento

direttoriale del 2 dicembre 2016

Chiarimenti in materia sono stati forniti con la risoluzione n. 120/E del 22 dicembre 2016,

con la Nota dell’Agenzia n. 27195 del 7 febbraio 2017

e con la risoluzione n. 35/E del 20 marzo 2017

Gli obblighi dell’esportatore abituale

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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139

LA COMUNICAZIONE DELLE LETTERE D’INTENTO

Qualora l’esportatore abituale, nel medesimo periodo di riferimento, voglia acquistare senza applicazione dell’Iva per un importo superiore

a quello inserito nella dichiarazione d’intento presentata, è tenuto a produrre una nuova dichiarazione, indicando l’ulteriore ammontare fino a concorrenza del quale

si intende continuare ad utilizzare la facoltà di effettuare acquisti senza imposta (risoluzione n. 120 del 22 dicembre 2016)

Risoluzione n. 120 del 22 dicembre 2016 e risposta n. 27195 del 7 febbraio 2017

È possibile presentare una lettera d’intento «integrativa» di una dichiarazione precedentemente rilasciata «prima di effettuare l’operazione».

La nuova lettera d’intento «sostituisce la dichiarazione integrata»

Provvedimento 2 dicembre 2016

Gli obblighi dell’esportatore abituale

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

149

LA COMUNICAZIONE DELLE LETTERE D’INTENTO

Secondo i giudici, qualora la lettera d’intento sia revocata, «l’effetto esonerativo cessa immediatamente – o quantomeno

dal momento in cui essa è portata a conoscenza –» e la fattura emessa successivamente (in via differita),

ancorchè relativa a consegne di beni effettuate nella vigenza della lettera d’intento

(ossia prima della revoca), deve tenerne conto, «restando l’intera operazione soggetta al regime ordinario»

Assonime, Circolare n. 5/2017

Cassazione, sentenza n. 5174

del 28 febbraio 2017

ATTENZIONE a una revoca intervenuta tra emissione della fattura in acconto e fattura a saldo

Gli obblighi dell’esportatore abituale

Nella Circolare n. 41/E del 26 settembre 2015, è stato precisato che non occorre l’invio di una nuova dichiarazione d’intento – né al fornitore, né all’Amministrazione finanziaria –

se s’intende ridurre il plafond già comunicato oppure revocare la dichiarazione già inviata.

Tale comunicazione è effettuabile in forma libera, purchè – si ritiene – con mezzi idonei a provarne l’invio e la ricezione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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LA COMUNICAZIONE DELLE LETTERE D’INTENTO

Con la risposta n. 954-6/2018 dell’11.07.2018, fornita in seguito alla richiesta di consulenza giuridica avanzata da Assonime, l’Agenzia delle entrate ha ulteriormente chiarito i seguenti aspetti: ü  se il cliente/esportatore abituale intende revocare la dichiarazione d’intento oppure non

intende avvalersi del plafond per alcune operazioni, l’emissione di fattura con Iva da parte del fornitore è legittima; di fatto, si riattiva immediatamente la regola generale d’imponibilità;

ü  il cliente/esportatore abituale può manifestare la volontà di non avvalersi del plafond anche solo per alcune operazioni, «senza per questo revocare del tutto la dichiarazione d’intento presentata»;

ü  per le rettifiche in diminuzione dell’ammontare del plafond disponibile già comunicato o per la revoca della lettera d’intento già inviata, non è previsto l’obbligo di inviare una nuova comunicazione all’Agenzia delle entrate; in assenza di specifiche formalità, tali comunicazioni possono essere formalizzate per semplice corrispondenza o, anche, verbalmente o per comportamenti concludenti (la forma scritta si ritiene comunque opportuna per «datare» la rettifica e monitorare con certezza l’avvenuto cambio del regime di fatturazione)

Gli obblighi dell’esportatore abituale

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Ai sensi del riformulato comma 4-bis, dell’art. 7 del D.Lgs n. 471/1997, è punito con la sanzione prevista nel terzo comma dello stesso art. 7 e, quindi,

con la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta, il fornitore o prestatore che effettua cessioni di beni o prestazioni di servizi

senza applicazione dell’Iva ad esportatori abituali «prima di aver ricevuto da parte del cessionario o committente la dichiarazione di intento

e riscontrato telematicamente l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate» di tale dichiarazione.

Il D.Lgs. n. 175/2014 è intervenuto in materia sanzionatoria sostituendo il comma 4-bis, inserito nell’art. 7 del D.Lgs. n. 471/1997 per effetto dell’art. 1, comma 383,

della legge n. 311/2004, ma nulla ha disposto in merito al comma 384 del medesimo art. 1 che disciplina la responsabilità solidale con il soggetto acquirente correlata

all’infedeltà della dichiarazione d’intento ricevuta

In base alle nuove regole di cui al D.Lgs. n. 158 del 24 settembre 2015 (decreto di riforma del sistema sanzionatorio), la misura della sanzione dell’art. 7, comma 4-bis,

è stata ridotta ed è divenuta fissa (da 250 a 2.000 euro). Dovrebbe essere il caso in cui la lettera d’intento esiste, ma, magari, è stata presentata alle Entrate

(o trasmessa al fornitore) dopo l’effettuazione dell’operazione

Violazioni in materia di lettere d’intento Dopo le modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 175/2014

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Se il cessionario/committente riceve fattura emessa senz’Iva dal cedente/prestatore in assenza della dichiarazione d’intento,

deve provvedere alla regolarizzazione prevista dall’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997

Entro 30 giorni dalla registrazione della fattura: presentazione di «autofattura» da regolarizzazione all’Ufficio competente, previo versamento dell’imposta, successiva

annotazione del documento recante l’annotazione dell’Ufficio In caso contrario, scatta la sanzione del 100% dell’imposta non regolarizzata

(invariata anche dal 2016)

Fattura senz’Iva in assenza

di lettera d’intento

Regolarizzazione

L’emissione di una fattura oltre all’importo del plafond comunicato è assimilabile

al caso della fattura emessa in assenza della lettera d’intento

Il rilascio della lettera d’intento in mancanza dei presupposti di legge, avviene sotto la responsabilità

del cessionario/committente/importatore

Punisce con la sanzione dal 100 al 200% (invariata anche dal 2016) dell’imposta non applicata (il cui importo dev’essere versato), il cedente/prestatore

che emette fattura senz’Iva, in mancanza della lettera d’intento Art. 7, comma 3, D.Lgs. n. 471/1997

Violazioni alla disciplina degli esportatori abituali

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

153

Necessaria la collaborazione cliente/fornitore

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Sebbene «l’indicazione nella dichiarazione dell’utilizzo del metodo mensile per la determinazione del plafond Iva, invece di quello concretamente adottato (ovvero il metodo solare), non abbia arrecato danno erariale – che non risulta essere stato contestato e neppure dedotto dall’amministrazione finanziaria -, tale errata indicazione era senz’altro idonea ad arrecare pregiudizio alle azioni di controllo, incidendo sulla verifica da parte dell’amministrazione finanziaria della sussistenza e dell’entità di quel plafond, che ovviamente dipende dal metodo (plafond fisso/annuale o mobile/mensile) utilizzato dalla società contribuente».

Cassazione, Ordinanza n. 14158 del 04.06.2018

Non si tratta di violazione meramente formale, non punibile ex art. 10, comma 3, della legge n. 212/2000 («Statuto del contribuente») e, quindi, viene ritenuta applicabile la sanzione di cui all’art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997 (da 250 a 2.000 euro)

Violazioni alla disciplina degli esportatori abituali

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

154

Page 143: IORNATA DI STDIO - formazionecommercialisti.org

142

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

L’utilizzo del plafond in mancanza del requisito soggettivo, non avendo il committente/acquirente lo «status» di esportatore abituale, implica l’emissione di lettere d’intento in assenza di obbligatori requisiti di legge e, conseguentemente, una indebita fruizione dell’agevolazione consistente nel non assoggettamento ad Iva dell’operazione

Cassazione, sentenza n. 15835 del 15.06.2018

Si tratta di una violazione di carattere sostanziale alla quale non può opporsi, in fase difensiva, l’argomentazione secondo cui, anche se fosse stata applicata (correttamente) l’Iva sugli acquisti, la stessa imposta sarebbe stata detraibile per il committente/acquirente senza comportare un danno per l’Erario.

Violazioni alla disciplina degli esportatori abituali

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

155

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

L’art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, stabilisce che le cessioni sono senza applicazione dell’Iva agli esportatori abituali “su loro dichiarazione scritta e sotto la loro responsabilità”. Si tratta, infatti, di una agevolazione di cui l’esportatore abituale può avvalersi o meno in virtù della facoltà che gli è concessa dalla norma. L’art. 7, comma 3, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 471/1997, in coerenza con tale principio, prevede che “qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell’omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa”.

Il principio della responsabilità esclusiva dell’esportatore abituale in merito all’utilizzo della lettera d’intento non implica, però, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, una completa deresponsabilizzazione del fornitore, il quale deve comunque comportarsi con diligenza evitando di essere coinvolto in una frode

Violazioni alla disciplina degli esportatori abituali

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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143

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Secondo la costante e ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, in caso di dichiarazione d’intento falsa, emessa da soggetti privi dello status di esportatore abituale, il fornitore ha l’onere di provare la sua buona fede dimostrando la sua estraneità alla frode. L’Ufficio non deve necessariamente fornire prove certe e incontrovertibili ma può argomentare ricorrendo a presunzioni semplici (gravi, precise e concordanti) per ribaltare l’onere della prova della buona fede e comportamento diligente sul fornitore

“Dunque, ove l’Amministrazione fornisca attendibili riscontri indiziari circa l’assenza di buona fede del cedente, quest’ultimo resta esposto al recupero dell’Iva, salvo che dimostri di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità oppure di non aver potuto abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni” (Cassazione, sentenza n. 4593 del 06.03.2015)

Violazioni alla disciplina degli esportatori abituali

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

157

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

La non imponibilità delle cessioni all’esportazione effettuate nei confronti degli esportatori abituali “non può essere subordinata alla sola formale specifica dichiarazione d’intento dell’esportatore ove questa sia ideologicamente falsa, occorrendo in tale ipotesi che il contribuente cedente dimostri l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione del regime di non imponibilità o di non essersene potuto rendere conto pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere”. (Cassazione, sentenza n. 14937 dell’08.06.2018) Sulla base di tale rigoroso orientamento consolidato della Corte di Cassazione (cfr., tra le tante, sentenza n. 14937 dell’08.06.2018; sentenza n. 19898 del 05.10.2016 ; sentenza n. 4593 del 06.03.2015; sentenza n. 176 del 09.01.2015). La buona fede implica che il fornitore si sia comportato in modo diligente, ponendo in essere le attività di controllo ed assunzione di informazioni sul cliente tipiche del “commerciante avveduto”, verificando l’affidabilità della sua controparte.

Elementi da verificare potrebbero essere, ad esempio: ü  anzianità del cliente (se esiste o meno da almeno un anno); ü  tipo di attività svolta; ü  numero di dipendenti e struttura organizzativa aziendale; ü  tipologia dei mezzi di pagamento; ü  presentazione o meno dei bilanci in Camera di Commercio.

Violazioni alla disciplina degli esportatori abituali

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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144

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

A seguito di operazioni straordinarie (conferimento d’azienda, fusione, scissione),

il soggetto avente causa subentra nella posizione di esportatore abituale

e, conseguentemente, può fruire del plafond maturato dal soggetto dante causa, a condizione che

l’avente causa prosegua l’attività in precedenza svolta dal dante causa e subentri nelle posizioni attive e passive necessarie ad assicurare,

in situazione di continuità, la prosecuzione dell’attività d’impresa rivolta a clienti non residenti

(R.M. n. 165/E del 21 aprile 2008)

Plafond ed operazioni straordinarie

Trasferimento del plafond in presenza di operazioni straordinarie

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND Trasferimento del plafond in presenza di affitto d’azienda

L’affittuario subentra nella posizione di esportatore abituale e conseguentemente può fruire del plafond maturato dal locatore,

a condizione che:

il trasferimento del plafond sia

espressamente indicato nel contratto

di affitto d’azienda (art. 8, comma 4,

del D.P.R. n. 633/1972)

venga effettuata apposita

comunicazione con lettera raccomandata

all’Ufficio competente dell’Agenzia delle

Entrate, anche utilizzando i modelli di

variazione dati (art. 8, comma 4,

del D.P.R. n. 633/1972)

l’affittuario prosegua l’attività di esportazione

e subentri nelle posizioni attive e

passive del locatore

(R.M. n. 450173 del 24.11.1992)

Plafond ed affitto d’azienda

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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145

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

La posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria con la risoluzione n. 450173 del 24.11.1992, in cui si afferma che «ovviamente,

viene previsto il trasferimento del beneficio solo se vengono ceduti quantomeno i rapporti con la clientela, oltre all’università costituente l’azienda», pare superata dall’orientamento

espresso nella risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-02385 del 27 gennaio 2010, dove l’Agenzia sottolinea come, in relazione all’affitto d’azienda, la norma non richieda che

nel relativo contratto «sia espressamente indicata la trasmissione in capo all’affittuario di tutti i rapporti con la clientela o, più in generale, di tutte le posizioni creditorie e debitorie

relative all’azienda affittata», ai fini della trasmissibilità del plafond.

Tale orientamento pare confermato dalla Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 21772 del 20.10.2011, sottolinea come, ai fini del «passaggio»

della posizione d’esportatore abituale, vadano osservate le condizioni stabilite dall’art. 8, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, senza alcun espresso riferimento all’ulteriore

requisito del subentro nei rapporti con i clienti.

Trasferimento del plafond in presenza di affitto d’azienda

Plafond ed affitto d’azienda

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

161

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Con la sentenza n. 19366 del 20.07.2018, la Corte di Cassazione ha in sostanza affermato che la mancata comunicazione all’Ufficio Iva competente per territorio del trasferimento del plafond con l’affitto d’azienda, qualora il contratto sia stato regolarmente registrato presso l’Agenzia delle entrate, costituisce una violazione di natura formale e non sostanziale del precetto di cui all’art. 8, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, non pregiudicando l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria.

“La condotta ascritta al contribuente, seppure formalmente non corretta, si risolve in una mera irregolarità dichiarativa in quanto la volontà di avvalersi del plafond è stata comunque veicolata mediante la registrazione del contratto, sicchè la stessa non può concretizzare un effettivo illecito avente ad oggetto il mancato versamento di imposte, occorrendo che esso sussista effettivamente e che abbia causato un concreto danno erariale. Né può ipotizzarsi un tentativo di illecito fiscale (amministrativo), considerato che non è dubbia la condotta in buona fede del contribuente che ha utilizzato un reale credito Iva”.

Trasferimento del plafond in presenza di affitto d’azienda

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Per completezza, si rammenta altresì che il quadro A della lettera d’intento può non essere consegnato al fornitore

(la precisazione è contenuta nelle istruzioni per la compilazione del modello)

Trasferimento del plafond in presenza di affitto d’azienda

Si ricorda che il modello di lettera d’intento contiene, nel quadro A (rigo A2), la casella 6 che va barrata in presenza di operazioni straordinarie, quali:affitto d’azienda, conferimento, fusione, trasformazione ovverosia in presenza di operazioni che possono determinare un trasferimento di plafond tra i soggetti interessati (così, la circolare n. 6/E del 19 febbraio 2015, al par. 4.2)

Il nuovo modello di dichiarazione d’intento

approvato con il Provvedimento direttoriale

del 2 dicembre 2016 ripropone

le stesse indicazioni

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

163

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Le diverse modalità di regolarizzazione sono illustrate nelle circolari n. 98/E del 17 maggio 2000 e n. 50/E del 12 giugno 2002

Lo splafonamento e la regolarizzazione

SPLAFONAMENTO

se il contribuente utilizza il plafond oltre il limite consentito, è possibile procedere alla regolarizzazione della violazione

secondo tre diverse metodologie

Primo metodo: INTERVENTO

DEL FORNITORE

Secondo metodo: con EMISSIONE

DI AUTOFATTURA

Terzo metodo: nella

LIQUIDAZIONE PERIODICA

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

164

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147

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

Tale modalità di regolarizzazione (confermata anche dalla circolare n. 12/E del 19 febbraio 2008)

implica l’intervento del fornitore.

Regolarizzazione con intervento del fornitore

1° PASSO RICHIESTA AL FORNITORE

di emissione di nota di variazione in aumento (per l’imposta dovuta)

2° PASSO Il fornitore addebita l’IVA al cliente (esportatore abituale)

3° PASSO Il cliente deve versare l’IVA al fornitore e versare gli interessi e le sanzioni ridotte (Modello F24)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

165

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND Regolarizzazione con emissione di autofattura

1° PASSO

L’esportatore abituale emette AUTOFATTURA in duplice esemplare indicando: ü  i dati di ciascun fornitore, ü  il numero di protocollo delle fatture ricevute, ü  l’ammontare eccedente il plafond disponibile, ü  l’imposta che avrebbe dovuto essere indicata nelle singole fatture.

2° PASSO

VERSAMENTO di imposta, interessi e sanzioni ridotte (Mod. F24), indicando come codice tributo, quello in cui è stato erroneamente effettuato l’acquisto senza applicazione dell’imposta. La diminuzione delle sanzioni è ammessa

a condizione che sia possibile accedere al ravvedimento operoso.

3° PASSO ANNOTAZIONE DELL’AUTOFATTURA nel registro IVA acquisti

4° PASSO PRESENTAZIONE DI UN ESEMPLARE DELL’AUTOFATTURA al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate.

5° PASSO INDICAZIONE IN DICHIARAZIONE di una posta di debito pari all’IVA assolta, per evitare di duplicare la detrazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

166

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148

ESPORTATORI ABITUALI E PLAFOND

La regolarizzazione dello splafonamento può avvenire direttamente in sede di LIQUIDAZIONE PERIODICA DEL TRIBUTO, mediante contabilizzazione della maggiore imposta

derivante dall’autofattura emessa, entro il 31 dicembre dell’anno di splafonamento

e degli interessi dell’IVA a debito, e annotazione dell’autofattura anche nel registro Iva degli acquisti

L’emissione dell’autofattura e gli altri adempimenti vanno eseguiti in modo del tutto simile alle modalità precedentemente esaminate

Risoluzione n. 16/E del 6 febbraio 2017

L’autofattura dev’essere presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva in cui sono riepilogati

i dati delle singole liquidazioni periodiche ed è determinata l’imposta a debito/credito relativa all’anno

in cui la violazione è stata regolarizzata

Regolarizzazione in sede di liquidazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

167

LE OPERAZIONI INTRACOMUNITARIE

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149

REQUISITO SOGGETTIVO

I requisiti soggettivi e oggettivi degli acquisti e delle cessioni intracomunitarie sono i seguenti:

1.  “status” di operatore economico, identificato ai fini IVA, di entrambe le parti (venditore ed acquirente) in Stati membri diversi;

2.  onerosità dell’operazione relativa a beni mobili materiali;

3.  trasferimento del diritto di proprietà (o di altro diritto reale) sui beni;

4.  effettiva movimentazione dei beni da uno Stato membro all’altro.

A tali requisiti, si deve aggiungere un pre-requisito: la natura “comunitaria” dei beni oggetto delle transazioni.

(risoluzione n. 127/E del 7 settembre 1998.)

Circolare n. 13 del 23 febbraio 1994

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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TERRITORIALITÀ DELLE CESSIONI DI BENI

Le CESSIONI effettuate DA SOGGETTI PASSIVI NAZIONALI nei confronti di SOGGETTI D’IMPOSTA COMUNITARI, aventi ad oggetto

BENI INTRODOTTI IN ITALIA IN REGIME DI TEMPORANEA IMPORTAZIONE, per essere sottoposti a lavorazione,

NON possono essere qualificate come CESSIONI INTRACOMUNITARIE, considerato che per poter assumere tale qualifica è necessario

che i beni oggetto della transazione siano ORIGINARI DELLA COMUNITÀ O IVI IMMESSI IN LIBERA PRATICA.

Risoluzione n. 127/E del 07.09.1998

Tali cessioni, pertanto, avendo per oggetto beni mobili vincolati al regime della temporanea importazione, esistenti nel territorio dello Stato, costituiscono CESSIONI INTERNE ASSOGGETTATE AD IVA IN ITALIA

La territorialità Iva delle cessioni di beni mobili e immobili

Beni mobili

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA Operatività

rapporti B2B

La circolare n. 37/E del 2011 dedica ampio spazio (l’intero par. 2) al tema della SOGGETTIVITÀ PASSIVA, osservando che, in effetti,

al fine di verificare l’operatività della nuova regola generale di territorialità di cui all’art. 7-ter, comma 1, lett. a), del decreto IVA (rapporti B2B),

“assumono rilevanza solo tre circostanze: il fatto che il committente sia un soggetto passivo (c.d. “status”),

il fatto che detto committente agisca nella veste di soggetto passivo (c.d. “qualità”) e il luogo di stabilimento dello stesso”

Naturalmente, ANCHE IL PRESTATORE “deve agire nell’esercizio di una delle attività d’impresa, arte o professione …

(il che vale a dire che lo stesso deve agire nell’ambito di un’attività economica di cui all’articolo 9 della direttiva 2006/112/CE)”

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

L’art. 7 del D.P.R. n. 633/1972, espressamente dedicato alle “definizioni” concernenti la territorialità dell’imposta

Soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato: ü  un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello Stato, o ü  un soggetto passivo residente nel territorio dello Stato che non abbia stabilito il

domicilio all’estero, ovvero ü  una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di un soggetto domiciliato e

residente all’estero, ma limitatamente alle operazioni rese o ricevute dalla stabile organizzazione.

Per i soggetti DIVERSI DALLE PERSONE FISICHE, si considera: DOMICILIO

il luogo in cui si trova LA SEDE LEGALE

e RESIDENZA

Il luogo in cui si trova LA SEDE EFFETTIVA

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

gli ESERCENTI IMPRESE, ARTI O PROFESSIONI (categoria nella quale rientrano anche le persone fisiche

limitatamente alle prestazioni ricevute quando agiscono nell’esercizio di tali attività);

gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni di cui all’articolo 4, quarto comma, anche quando agiscono al di fuori

delle attività commerciali o agricole (ENTI NON COMMERCIALI CHE SVOLGONO

SIA ATTIVITÀ COMMERCIALI, SIA ATTIVITÀ ISTITUZIONALI);

L’art. 7-ter, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, stabilisce che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni relative

al LUOGO D’EFFETTUAZIONE DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI, si considerano soggetti passivi per le prestazioni di servizi ad essi rese:

Art. 7-ter, comma 2, D.P.R. n. 633/1972

a)

b)

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, non soggetti passivi, che siano identificati ai fini IVA

(si tratta dei SOGGETTI CHE SVOLGONO SOLO ATTIVITÀ ISTITUZIONALI, ma che SONO IDENTIFICATI AI FINI DELL’IMPOSTA avendo effettuato acquisti intracomunitari di beni

al di sopra della soglia fissata in 10.000 euro dall’art. 38, comma 5, lett. c, del D.L. n. 331/1993 – il nuovo limite di 10.000 euro è stato determinato

dalla legge 7 luglio 2009, n. 88, cosiddetta “legge comunitaria 2008”).

Art. 7-ter, comma 2, D.P.R. n. 633/1972

c)

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

A tale questione, il Regolamento UE n. 282/2011 dedica l’art. 18,

dal cui esame, come sottolinea l’Agenzia, emerge che, almeno per le prestazioni rese a committenti comunitari,

“un ruolo centrale è sicuramente da attribuire al NUMERO IDENTIFICATIVO IVA

comunicato dal committente comunitario”

La verifica dello STATUS DI SOGGETTO PASSIVO del COMMITTENTE assume una rilevanza fondamentale

nel nuovo sistema delle regole di territorialità delle prestazioni di servizi.

Status

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

L’art. 18 del Regolamento, al par. 1, individua due distinte fattispecie, nelle quali, “salvo che disponga di informazioni contrarie,

il prestatore può considerare che un destinatario stabilito nella Comunità ha lo status di soggetto passivo:

il committente gli ha comunicato il proprio numero identificativo IVA; è però necessaria la CONFERMA DI VALIDITÀ di tale numero d’identificazione,

ottenibile tramite il sistema VIES, “nonché del nome e dell’indirizzo corrispondenti”, in conformità all’art. 31 del Regolamento CE n. 904/2010;

il COMMITTENTE NON HA ANCORA RICEVUTO UN NUMERO DI IDENTIFICAZIONE IVA,

ma informa il prestatore di averne fatto richiesta e quest’ultimo ottiene “qualsiasi altra prova” che attesta che

il committente è un soggetto passivo (od un soggetto equiparato) ed effettua “una verifica di ampiezza ragionevole dell’esattezza delle informazioni”

fornitegli dal committente, “applicando le normali procedure di sicurezza commerciali” (controlli di identità o di pagamento).

Committente comunitario

a)

b)

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

In tale ipotesi, l’operatore È TENUTO A DIMOSTRARE che

il COMMITTENTE NON HA COMUNICATO il proprio numero di partita IVA.

Occorrerà, pertanto, munirsi di PROVE che attestino l’effettuazione della RICHIESTA di comunicazione.

L’art. 18 del Regolamento, al par. 2, esamina la situazione nella quale

IL COMMITTENTE NON HA COMUNICATO al prestatore IL PROPRIO NUMERO IDENTIFICATIVO IVA

Committente comunitario

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

In mancanza di detto certificato, l’art. 18, par. 3, lett. b), del Regolamento, attribuisce rilievo: ü  all’eventuale attribuzione di un numero identificativo IVA o di altro analogo

numero assegnato al destinatario del servizio dalle autorità del proprio Paese che serva “per identificare le imprese” od a qualsiasi altra prova attestante lo status di soggetto passivo

ed ü  alla verifica dell’esattezza delle informazioni fornite, da eseguire “applicando

le normali procedure di sicurezza commerciali”

Quando il committente è extracomunitario ed il prestatore non dispone di informazioni contrarie,

la qualifica di soggetto passivo può essere dimostrata dalla certificazione dell’autorità fiscale estera che attesti che l’operatore “svolge un’attività economica

che gli dà diritto ad ottenere un rimborso dell’IVA”, ai sensi dell’art. 38-ter del D.P.R. n. 633/1972

(la fattispecie riguarda gli operatori di Svizzera, Norvegia ed Israele).

Committente extracomunitario

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA La circolare n. 37/E sottolinea come, una volta accertato

lo status del committente, occorra anche verificare se questi acquisisce i servizi in tale sua qualità.

La pertinente disposizione del Regolamento n. 282/2011

è rappresentata dall’art. 19, il quale, in sostanza, distingue tre situazioni:

servizi destinati esclusivamente ad un uso privato del committente, “ivi compreso l’uso da parte dei suoi dipendenti”;

1° caso

servizi destinati ad un uso promiscuo personale e professionale;

2° caso

prestazioni richieste da parte del committente “spendendo” il proprio numero identificativo IVA.

3° caso

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

Nel primo caso, il committente è considerato, ai fini dell’acquisto del servizio, un SOGGETTO NON PASSIVO

(si applicheranno le regole previste per i rapporti B2C). Tale disciplina è già prevista dalla normativa interna (art. 7-ter, comma 2, lett. a, del

decreto IVA), ma solo con riguardo alle persone fisiche.

In ogni caso, occorre che, in questa ipotesi, il prestatore “effettui una valutazione di compatibilità complessiva” per accertare la destinazione (personale o meno) del servizio reso.

Quando un servizio di tal genere è acquisito da società commerciali o da enti che siano soggetti passivi, invece, la circolare precisa come

“la previsione comunitaria debba intendersi riferita ai casi in cui il servizio è destinato ad un uso privato delle persone facenti parte degli organi

delle società o enti in esame, ovvero dei dipendenti degli stessi”

Persone fisiche

Società commerciali ed Enti soggetti passivi

1° caso

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

Nelle situazioni in cui “il servizio risulti essere compatibile sia con la sfera privata sia con la veste di soggetto passivo”, diviene decisiva la comunicazione della partita IVA.

In tal caso, “il prestatore considera la prestazione acquisita dal committente, soggetto passivo comunitario, nell’ambito della propria attività di soggetto passivo”.

Se il committente è extracomunitario, “il prestatore potrà richiedere … gli elementi a supporto della non riconducibilità dell’acquisto alla sfera privata”

Quando il servizio è utilizzato promiscuamente (secondo caso), sia per “uso privato”, compreso quello dei dipendenti, sia per finalità “professionali”,

“trovano applicazione i criteri di territorialità previsti per le prestazioni rese nei confronti di committenti soggetti passivi”.

Qualora il committente abbia comunicato al prestatore il proprio numero IVA (terzo caso), questi “può considerare che i servizi sono destinati all’attività economica del

destinatario medesimo, a meno che non disponga di informazioni contrarie, ad esempio sulla natura dei servizi forniti”.

Semplificazione

2° caso

3° caso

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

L’art. 25 del Regolamento stabilisce che, “per l’applicazione delle norme relative al luogo delle prestazioni di servizi si tiene conto esclusivamente

delle circostanze esistenti al momento del fatto generatore dell’imposta” e che eventuali successivi cambi di destinazione del servizio,

non influiscono sull’individuazione della rilevanza territoriale dell’operazione

Il momento di effettuazione delle prestazioni di servizi è disciplinato dall’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972

nel testo modificato in vigore dal 17 marzo 2012.

Ciò può determinare rilevanti complicazioni in caso di pagamento di acconti, essendo necessario indagare a più riprese sulla destinazione del servizio

da parte del committente. Come evidenzia la circolare n. 37/E, pertanto, potrebbero

“trovare applicazione differenti regimi con riferimento all’acconto … e al saldo …”.

Attenzione!

Quando effettuare la verifica

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

Il terzo elemento per la determinazione del luogo di rilevanza della prestazione, è rappresentato dal PAESE DI STABILIMENTO del committente.

Come sottolinea la circolare n. 36/E del 2010, infatti, ai fini della territorialità dei servizi rileva il Paese di stabilimento del committente

e non quello di sua identificazione ai fini IVA.

Dopo aver rilevato, sulla base dell’art.10 del Regolamento, che il luogo nel quale il soggetto passivo fissa la sede della propria attività, va

individuato “in quello in cui sono svolte le funzioni dell’amministrazione centrale dell’impresa, vale a dire in cui sono prese le decisioni essenziali concernenti la gestione generale dell’impresa o dove si riunisce la direzione”

(normalmente la sede legale), la circolare n. 37/E si occupa di alcune questioni concernenti le “stabili

organizzazioni” (S.O.).

Luogo delle prestazioni

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183

SOGGETTIVITÀ PASSIVA

Richiamando l’art. 11 del Regolamento, viene precisato che per STABILE ORGANIZZAZIONE (S.O.) deve intendersi

qualsiasi organizzazione (diversa dalla sede principale), caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e da una struttura idonea (risorse

tecniche ed umane) che consenta a tale organizzazione di “1) ricevere e utilizzare i servizi che le sono forniti per le proprie esigenze …; 2) fornire i servizi di cui assicura la prestazione … ”

La disponibilità di un numero di partita IVA “NON COSTITUISCE DA SOLA una PROVA SUFFICIENTE

dell’ESISTENZA di una stabile organizzazione”

Attenzione!

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

la nomina di un RAPPRESENTANTE FISCALE ai sensi dell’art. 17, comma 3,

del D.P.R. n. 633/1972

l’IDENTIFICAZIONE DIRETTA ai sensi dell’art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972

Il soggetto passivo non residente potrebbe avere aperto nel territorio dello Stato una partita IVA attraverso:

In tali casi, NON si configura una STABILE ORGANIZZAZIONE nel territorio dello Stato

SOLO per il fatto di POSSEDERE UN NUMERO DI PARTITA IVA, semprechè non vengano svolte attività tali da poter ritenere, anche in presenza di una struttura operativa

permanente, che, in realtà, una stabile organizzazione effettivamente esista.

È da segnalare la (non condivisibile) presa di posizione assunta in materia da parte della Corte di Cassazione

(ordinanze nn. 12633 del 20 luglio 2012 e 21380 del 30 novembre 2012)

Attenzione!

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA La circolare n. 37/E del 2011 analizza anche la situazione di:

Committente con più S.O. in più Paesi

Committente stabilito in più di uno Stato

Per stabilire quale sia la S.O. committente della prestazione, occorre aver riguardo: ü  alla natura ed all’utilizzazione dei servizi forniti, ü  all’organizzazione che (contrattualmente ed in base all’identificazione IVA fornita

al prestatore) risulta commettere la prestazione, ü  all’organizzazione che provvede al pagamento.

In tal caso, la prestazione si considera effettuata nello Stato della sede dell’attività economica del committente,

a meno che questi non abbia una S.O., destinataria del servizio in altro Paese. In quest’ipotesi, la prestazione si considera effettuata nello Stato in cui è ubicata

la S.O. (ai sensi dell’art. 21 del regolamento n. 282/2011)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

L’art. 22 del regolamento n. 282/2011 stabilisce le regole da seguire “al fine di identificare la stabile organizzazione del destinatario

cui viene fornito il servizio”, indicando il criterio principale e quelli sussidiari

CRITERIO PRINCIPALE CRITERI SUSSIDIARI

Il prestatore deve esaminare la natura e l’utilizzazione

del servizio prestato

Quando la natura e l’utilizzazione del servizio

non consentono di individuare

la stabile organizzazione, il prestatore deve esaminare:

ü  il contratto, l’ordinativo ed il numero di identificazione IVA del contraente;

ü  chi (organizzazione) paga per il servizio.

Committente con più S.O. in più Paesi

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

Nell’ambito delle norme che regolano gli obblighi dei debitori d’imposta, il citato articolo prevede, infatti, che “un soggetto passivo che dispone di una stabile organizzazione nel territorio di uno Stato membro in cui è debitore di imposta si considera soggetto passivo non stabilito nel territorio di tale Stato membro qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) egli effettua in tale paese una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile; b) la cessione di beni o prestazione di servizi è effettuata senza la partecipazione di una sede del cedente o del prestatore di servizi situata nello Stato membro in questione”.

Perché una STABILE ORGANIZZAZIONE rilevi quale SOGGETTO PASSIVO è dunque necessario il “coinvolgimento” diretto di tale entità

nell’effettuazione delle operazioni

Rapporti sede-stabile organizzazione (S.O.)

art. 192-bis, Sez. 1, Capo 1, Titolo XI, direttiva n. 2006/112/CE introdotto dalla “direttiva servizi”

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA Ai sensi dell’art. 53 del regolamento n. 282/2011,

“per l’applicazione dell’art. 192-bis della direttiva 2006/112/CE, si prende in considerazione esclusivamente una stabile organizzazione

di cui dispone il soggetto passivo, qualora sia caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di effettuare la cessione di beni o la prestazione di servizi

alla quale partecipa”

Se un soggetto passivo dispone di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato membro in cui è dovuta l’IVA (dove l’operazione è territorialmente rilevante),

“si considera che tale organizzazione non partecipa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi ai sensi dell’art. 192 bis, lettera b),

della direttiva 2006/112/CE, a meno che i mezzi tecnici o umani di detta stabile organizzazione siano utilizzati dallo stesso per operazioni inerenti alla realizzazione

della cessione di tali beni o della prestazione di tali servizi imponibile effettuata in tale Stato membro, prima o durante la realizzazione di detta cessione o prestazione”

Rapporti sede-stabile organizzazione (S.O.)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

Ai sensi del paragrafo 3, dell’art. 53 del regolamento n. 282/2011, se i mezzi (umani o tecnici) della stabile organizzazione sono utilizzati “unicamente per

funzioni di supporto amministrativo, quali la contabilità, la fatturazione e il recupero di crediti, si considera che essi non siano utilizzati per la

realizzazione della cessione di beni o della prestazione di servizi”

Il paragrafo 4, dell’art. 53 del regolamento n. 282/2011, introduce una sorta di presunzione relativa volta a semplificare gli adempimenti degli operatori prevedendo che, qualora

venga emessa fattura con il numero di identificazione IVA attribuito alla stabile organizzazione dallo Stato membro ove essa è

stabilita, “si considera, salvo prova contraria, che tale stabile organizzazione abbia partecipato alla cessione di beni o

alla prestazione di servizi effettuata in tale Stato membro”.

Funzioni di supporto amministrativo

Presunzione relativa

Rapporti sede-stabile organizzazione (S.O.)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

In entrambi i casi, l’operazione si considera effettuata dalla STABILE ORGANIZZAZIONE (soggetto passivo) e non dalla casa madre

Rapporti sede-stabile organizzazione (S.O.)

Dal testo della norma comunitaria (art. 192-bis della direttiva n. 2006/112/CE) come interpretato dal regolamento di esecuzione n. 282/2011 (art. 53),

emerge che la stabile organizzazione può: realizzare direttamente e

compiutamente l’operazione rilevante ai fini IVA nello Stato membro in cui è

istituita, senza alcun intervento della casa madre con sede in altro Stato

membro

partecipare, unitamente alla casa madre con sede all’estero,

all’effettuazione dell’operazione rilevante ai fini IVA nello Stato membro in cui è

istituita

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

Ai sensi di quanto previsto dall’art. 192-bis della direttiva n. 2006/112/CE, come integrata per effetto della direttiva n. 2008/8/CE del 12 febbraio 2008,

i rapporti tra sede (dell’attività economica) dell’impresa e la sua stabile organizzazione istituita nell’altro Stato membro dove è rilevante territorialmente l’operazione ai fini IVA,

possono riassumersi nei seguenti:

il SOGGETTO PASSIVO non residente pone in essere direttamente l’operazione senza la partecipazione della stabile organizzazione A

il SOGGETTO PASSIVO non residente effettua direttamente l’operazione ma con la partecipazione della stabile organizzazione B

il SOGGETTO PASSIVO non residente non partecipa in alcun modo all’operazione che viene realizzata direttamente dalla stabile organizzazione C

Nei casi B e C la soggettività passiva ai fini IVA è attribuita alla stabile organizzazione, la quale provvede alla fatturazione in proprio dell’operazione

(cessione di beni o prestazione di servizi), rilevante ai fini dell’imposta nel territorio dello Stato membro ove essa è istituita

Rapporti sede-stabile organizzazione (S.O.)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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161

SOGGETTIVITÀ PASSIVA

Qualora il soggetto non residente sia dotato di una stabile organizzazione in Italia,

ma l’operazione (rilevante nel territorio dello Stato)

sia effettuata senza la partecipazione della stabile organizzazione (in quanto resa direttamente dalla “casa madre”)

nei confronti di un soggetto stabilito ai fini IVA in Italia (compresi i soggetti di cui all’art. 7-ter, comma 2, lett. b e c),

gli obblighi ad essa relativi sono adempiuti dal cessionario/committente mediante applicazione della procedura di reverse charge

Sotto il profilo degli adempimenti,

tali affermazioni vanno “rilette” alla luce delle disposizioni introdotte dalla

legge n. 228/2012 con effetto dal 1° gennaio 2013

Art. 17, commi 2, 3 e 4, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

La presenza di una stabile organizzazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

Nel paragrafo 4.5 della circolare n. 37/E, l’Agenzia conferma che, per le operazioni rese nei confronti di soggetti passivi residenti

o di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, il debitore dell’imposta è:

IL CESSIONARIO O COMMITTENTE RESIDENTE

(mediante reverse charge obbligatorio), “ove la stabile organizzazione del prestatore non partecipi

all’effettuazione dell’operazione”

IL CEDENTE O PRESTATORE

(tramite la propria stabile organizzazione) “ove la stabile organizzazione

del prestatore partecipi all’effettuazione dell’operazione”

Ciò implica che occorre verificare se la stabile organizzazione nel territorio dello Stato del prestatore soggetto passivo stabilito in altro Paese estero, partecipa o

meno all’effettuazione dell’operazione facendo riferimento, in particolare, agli articoli 21, 22 e 53 del regolamento n. 282/2011

Art. 17, commi 2, 3 e 4, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

Circolare n. 37/E/2011

La presenza di una stabile organizzazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

Ai sensi dell’art. 17, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, le disposizioni di cui ai commi 2 (reverse charge) e 3 (identificazione diretta/rappresentante fiscale),

NON si applicano per le operazioni effettuate da o nei confronti di soggetti non residenti,

qualora le stesse siano rese o ricevute per il tramite

di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato.

A norma dell’art. 7, comma 1, lett. d, del decreto IVA, la stabile organizzazione assume

la veste di DEBITORE DELL’IMPOSTA in quanto soggetto passivo limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute

La presenza di una stabile organizzazione

Art. 17, comma 4, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

195

SOGGETTIVITÀ PASSIVA

In entrambe le circostanze, in effetti, il cessionario/committente NON PUÒ APPLICARE IL REVERSE CHARGE

Art. 17, comma 3, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

La disciplina ordinaria sull’assolvimento dell’imposta, di cui all’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972,

continua ad applicarsi quando il CESSIONARIO/COMMITTENTE NON È RESIDENTE

nel territorio dello Stato ovvero è un PRIVATO

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

secondo le ordinarie modalità per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti derivanti dalle norme IVA.

Art. 17, comma 3, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

Ai sensi dell’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, nelle residuali ipotesi in cui il SOGGETTO PASSIVO NON RESIDENTE

è tenuto all’applicazione dell’IVA (operazioni effettuate nei confronti di privati

ovvero di altri soggetti non residenti), questi dovrà provvedere a

IDENTIFICARSI DIRETTAMENTE ovvero

NOMINARE UN RAPPRESENTANTE

FISCALE

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

197

SOGGETTIVITÀ PASSIVA

così come modificato, in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 16 luglio 2009

(causa C-244/08), prima dall’art. 11 del D.L. 25 settembre 2009, n. 135

(convertito nella legge 20 novembre 2009, n. 166) e, poi, dal decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 18

La norma è stata anche oggetto di modifica ad opera della legge n. 228/2012 che ha recepito le modifiche apportate

alla direttiva n. 2006/112 dalla direttiva n. 2010/45

Art. 17, commi 2, 3 e 4, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

La presenza di una stabile organizzazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

198

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SOGGETTIVITÀ PASSIVA

In tali fattispecie, pertanto, il soggetto non residente DOVRA’ NECESSARIAMENTE assolvere gli obblighi IVA

tramite la propria stabile organizzazione.

Art. 17, commi 2, 3 e 4, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

La presenza di una stabile organizzazione

Qualora il soggetto non residente sia dotato di una stabile organizzazione in Italia, NON potrà più procedere a

identificarsi direttamente ai fini dell’IVA in Italia ovvero nominare in Italia un

rappresentante fiscale per le operazioni effettuate nei confronti di cessionari/committenti

che non siano soggetti passivi IVA

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

199

SOGGETTIVITÀ PASSIVA

La circolare n. 37/E affronta il caso del soggetto passivo non residente che effettua operazioni nel territorio dello Stato, ove possiede una stabile organizzazione, nei confronti di cessionari o committenti non residenti (nel territorio dello Stato) oppure di non soggetti passivi (es. privati) specificando che: debitore dell’imposta è in ogni caso il cedente o prestatore non residente, il quale “assolverà ai relativi obblighi tramite il numero identificativo IVA già allo stesso attribuito, utilizzando una serie distinta di numerazione per le fatture non riferibili alle operazioni poste in essere attraverso la stabile organizzazione italiana”. “Tali ultime operazioni saranno annotate in apposito registro o blocco sezionale e riportate nella dichiarazione annuale del soggetto non residente, ma stabilito in Italia, in un distinto modulo”

Circolare n. 37/E/2011

Art. 17, commi 2, 3 e 4, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

200

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REQUISITO SOGGETTIVO

Lo “status” giuridico di SOGGETTO PASSIVO IVA è un REQUISITO FONDAMENTALE

nel meccanismo applicativo dell’imposta3

L’operatore economico residente DEVE verificare che il PARTNER ESTERO COMUNITARIO SIA UN SOGGETTO IVA

e, avuta comunicazione del suo numero di identificazione, può RIVOLGERSI ALL’AGENZIA DELLE ENTRATE che,

su presentazione di specifica richiesta, ai sensi del secondo comma dello stesso art. 50,

“CONFERMA LA VALIDITÀ DEL NUMERO DI IDENTIFICAZIONE attribuito al cessionario o committente da altro Stato membro della Comunità economica europea, nonché i dati relativi alla

ditta, denominazione o ragione sociale, e in mancanza, al nome e al cognome”

Soggetto passivo IVA

D.M. 28.01.1993

Di fatto, la richiesta di conferma è obbligatoria quando, nel sistema VIES, il codice identificativo Iva non risulta abbinato ai dati anagrafici del soggetto passivo

Art. 50, commi 1 e 2, D.L. n. 331/1993

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

201

VIES

Sono tenuti a chiedere l’iscrizione al Vies

i soggetti passivi Iva che intendono effettuare

operazioni intracomunitarie

o prestazioni di servizi in ambito UE (ex art. 7-ter,

D.P.R. n. 633/1972) imponibili Iva

(Circolare n. 39/E del 1° agosto 2011)

ü  i soggetti passivi Iva non residenti in Italia, ma ivi identificati direttamente o mediante rappresentante fiscale

ü  i soggetti che applicano il regime di vantaggio di cui all’art. 27 del D.L. n. 98/2011 o il regime forfetario di cui alla legge n. 190/2014 e che intendono effettuare acquisti intracomunitari di beni o servizi

ü  i produttori agricoli in regime di esonero ex art. 34, comma 6, D.P.R. n. 633/1972, nonché gli enti non commerciali non identificati ai fini Iva, laddove tali soggetti, nell’anno solare precedente, abbiano effettuato acquisti intracomunitari in misura superiore alla soglia di 10.000 euro, ovvero abbiano optato per l’applicazione dell’imposta in Italia ai sensi dell’art. 38, comma 5, lett. c) e 6 del D.L. n. 331/1993

La richiesta d’inclusione nel Vies è effettuata in sede d’inizio attività o con le apposite funzionalità dei servizi telematici dell’Agenzia delle entrate,

per i soggetti già titolari di partita Iva e per i non residenti.

Soggetti obbligati all’iscrizione al Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

202

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166

VIES

Ai sensi dell’art. 35, del D.P.R. n. 633/1972, come modificato dal D.Lgs. n. 175/2014, l’opzione espressa in sede di dichiarazione di inizio attività determina

l’immediata inclusione nella banca dati Vies.

L’Agenzia delle entrate include i soggetti passivi nella banca dati al momento della ricezione dell’istanza.

A partire dalla data di iscrizione, i soggetti interessati possono effettuare operazioni attive e passive con soggetti stabiliti nel territorio comunitario.

L’art. 35, comma 15-bis, del D.P.R. n. 633/1972 prevede che, al momento di attribuzione della partita Iva,

vengano attivati controlli per verificare che i dati forniti siano completi ed esatti e per individuare gli elementi di rischio connessi al suo rilascio.

In caso di esito «negativo» dei controlli,

l’Ufficio emana un provvedimento di cessazione della partita Iva e provvede alla sua esclusione dalla banca dati Vies

Inclusione immediata nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

203

VIES

Con il provvedimento n. 110418 del 12 giugno 2017, l’Agenzia delle entrate ha definito i criteri per l’esecuzione dei controlli,

al fine di determinare la possibile cessazione della partita Iva e l’esclusione dal Vies ai sensi dell’art. 35, comma 15-bis, del D.P.R. n. 633/1972 (per la chiusura d’ufficio della partita Iva ai sensi dell’art. 35, comma 15-quinquies,

modificato dal D.L. n. 193/2016, occorre un diverso provvedimento non ancora emanato)

Gli elementi di valutazione riguardano:

ü  elementi di rischio riconducibili al rappresentante legale, agli amministratori o ai soci della persona giuridica titolare della partita Iva (ovvero al titolare della ditta individuale);

ü  elementi di rischio legati alla tipologia di attività e alle modalità con le quali essa viene esercitata sotto il profilo operativo, finanziario e gestionale;

ü  eventuali collegamenti con soggetti direttamente e/o indirettamente coinvolti in fenomeni evasivi o fraudolenti

Sono eseguiti controlli anche sui requisiti soggettivi/oggettivi

Inclusione immediata nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

204

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167

VIES

L’analisi degli elementi di rischio avviene tramite proceduta automatizzata e successivi controlli periodici

di tipo formale e sostanziale (anche con accesso).

Analisi del rischio e controlli sono eseguiti entro 6 mesi dalla data di attribuzione della partita IVA o dalla comunicazione d’inclusione nel VIES.

Provvedimento n. 110418/2017

È sempre possibile presentare richiesta di nuova inclusione

L’esclusione dal Vies può, inoltre, essere disposta se l’operatore ancorché in possesso dei requisiti soggettivi/

oggettivi, abbia consapevolmente effettuato operazioni intracomunitarie in un contesto di frode all’IVA

In esito ai controlli effettuati può essere notificato un provvedimento di cessazione della partita IVA

che comporta l’esclusione dal VIES. La cessazione ha effetto dalla data di registrazione

in Anagrafe Tributaria della notifica del Provvedimento.

È sempre possibile l’esclusione in mancanza

di modelli Intrastat per 4 trimestri

consecutivi

Esclusione dal Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

205

VIES

Secondo l’Amministrazione finanziaria, l’assenza del numero identificativo IVA del cessionario o committente dall’archivio VIES determina

l’impossibilità di applicare il regime di non imponibilità all’operatore, in quanto non risulterebbe verificata la soggettività passiva della controparte.

In base alla giurisprudenza comunitaria e a quella nazionale, in particolare di merito,

è stato più volte affermato che l’iscrizione al VIES da parte dell’acquirente costituisce un requisito formale

ai fini della realizzazione di operazioni intracomunitarie.

Se sono soddisfatte le condizioni sostanziali, la mancata inclusione nel VIES non determina, di per sé, il disconoscimento

del regime di non imponibilità delle operazioni in argomento.

C-587/10 C-273/11 C-24/15 C-21/16

«VSTR» «Mecsek-Gabona» «Iosef Plockl» «Euro Tyre

BV »

Circolare n. 39/E del 1° agosto 2011 e Risoluzione n. 42/E del 27 aprile 2012

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

206

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168

VIES

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 17254 DEL 29.07.2014

Con l’ordinanza n. 17254 del 29 luglio 2014, la Corte di Cassazione si pronuncia sulla problematica relativa all’indicazione

di un codice identificativo Iva errato sulle fatture emesse da un fornitore residente, a fronte del quale l’Agenzia delle entrate aveva ripreso a tassazione l’imposta

negando il regime di non imponibilità ex art. 41 del D.L. n. 331/1993

Importanza dell’ordinanza

Conferma e consolida l’orientamento interpretativo più recente che attribuisce alla PARTITA IVA la natura di ELEMENTO FORMALE

non in grado, di per sé, di condizionare l’applicazione del regime di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie di beni

quando sono verificati i requisiti sostanziali Partita Iva:

elemento formale

La conferma della linea interpretativa «sostanzialista» avviene dopo un’attenta e compiuta ricostruzione dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria e nazionale

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

207

VIES

La Corte di Cassazione conferma i contenuti della sua precedente giurisprudenza di cui alla sentenza n. 22127 del 27 settembre 2013, fondata a sua volta sui principi enunciati dalla più recente giurisprudenza comunitaria di cui

alle sentenza del 6 settembre 2012, nella causa C-273/11 («Mecsek-Gabona») e del 27 settembre 2012, nella causa C-587/10 («VSTR»), ribadendo che

il solo fatto della mancanza del requisito costituito dal possesso della partita Iva non può determinare il venir meno della possibilità d’inquadrare l’operazione

come cessione intracomunitaria, quando «l’operatore provi in modo rigoroso tutti i requisiti sostanziali della normativa di settore»

Nella sentenza n. 22127 del 27 settembre 2013, inoltre, viene precisato che

né la direttiva comunitaria, né la giurisprudenza della Corte di giustizia indicano tra le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria

l’obbligo di disporre di un numero d’identificazione ai fini Iva

Sentenza n. 22127 del 27.09.2013

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 17254 DEL 29.07.2014

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

208

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169

VIES

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 17254 DEL 29.07.2014

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

Requisiti sostanziali per qualificare una cessione di beni come intracomunitaria:

1 IL TRASFERIMENTO DEI BENI i quali devono essere trasportati o spediti fuori dal territorio dello Stato membro di partenza con destinazione ad altro Stato membro dell’Unione europea

2 L’effettuazione della CESSIONE nei confronti di un ALTRO SOGGETTO PASSIVO “che agisce in quanto tale in altro Stato membro”

3 Il TRASFERIMENTO del “POTERE di DISPORRE DI UN BENE COME PROPRIETARIO”, utilizzando l’espressione con cui, nell’art. 14 della direttiva n. 2006/112/CE,viene definito il concetto di «cessione di beni»

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

209

VIES

Si sottolinea come la posizione assunta con la sentenza n. 22127/13 abbia comportato un «riallineamento» della giurisprudenza nazionale con quella comunitaria,

essendo il nuovo indirizzo assunto nel 2013 «l’unico compatibile con i principi espressi dalla Corte di giustizia»,

dovendosi così dare ad esso continuità

Confermando il nuovo indirizzo interpretativo, la Cassazione abbandona, delegittimandolo espressamente, il precedente orientamento

fondato su logiche rigide e formalistiche secondo cui l’assenza del codice identificativo Iva, come anche

la mancata ulteriore richiesta di verifica di tale codice presso gli Uffici ex art. 50, comma 2, del D.L. n. 331/1993,

rappresentano elementi ostativi all’applicazione del regime di non imponibilità

Vecchio orientamento

Nuovo orientamento

Con la sentenza n. 3603 del 13 febbraio 2009, la Cassazione aveva sottolineato che «la mancata utilizzazione della procedura di controllo esclude il requisito

della buona fede, la quale non può ipotizzarsi quando, …, non siano state rispettate le norme che garantiscono la legittimità degli scambi»

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 17254 DEL 29.07.2014

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

210

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170

VIES

Il superamento del preoccupante quadro interpretativo precedente, rappresenta sicuramente un fatto positivo ma non deve indurre gli operatori a diminuire il livello di attenzione

Occorre, infatti, dimostrare «in modo rigoroso» tutti i requisiti sostanziali della normativa

che disciplina le cessioni intracomunitarie di beni, fra i quali è compreso quello

della soggettività passiva dell’acquirente che agisce in quanto tale come operatore economico

Dimostrazione rigorosa

dei requisiti sostanziali

Tale «qualità» va debitamente provata da parte del fornitore residente, il quale, pur non essendo tenuto ad attività investigative

sulla movimentazione dei beni ceduti, deve però «verificare con la diligenza dell’operatore commerciale professionale

le caratteristiche di affidabilità della controparte»

Acquirente operatore economico Fornitore verifica diligente

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 17254 DEL 29.07.2014

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

211

VIES

La richiesta di conferma della validità del codice identificativo Iva

Nell’ottica dell’ordinanza, la mancata richiesta di conferma della validità del codice identificativo Iva comunicato dall’acquirente,

non comporta automaticamente il venir meno del regime di non imponibilità e la stessa, come si desume dal D.M. 28 gennaio 1993,

non è, inoltre, obbligatoria, rappresentando una facoltà per il fornitore residente

… tuttavia …

nell’ottica del comportamento diligente, funzionale alla dimostrazione della buona fede,

la conferma della validità del codice identificativo Iva costituisce una procedura certamente opportuna, soprattutto nei casi in cui il sistema VIES

non abbini al codice i dati anagrafici della controparte comunitaria

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 17254 DEL 29.07.2014

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

212

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171

Viene richiamato il quadro di riferimento della giurisprudenza in materia, nel cui ambito viene citata anche la precedente sentenza n. 22127 del 2013, deducendo da

essa che le conclusioni in chiave esimente raggiunte in merito alla fattispecie dell’omessa indicazione in fattura

del codice identificativo Iva del cessionario, sono “senza difficoltà estensibili anche al diverso caso … della partita Iva cessata, non

sussistendo diversità fattuali apprezzabili tra le due ipotesi”

VIES

Con la sentenza n. 21183 dell’8 ottobre 2014, la Corte di Cassazione si pronuncia su un rilievo formulato dall’Agenzia delle dogane

relativo alla compilazione dei modelli Intrastat delle cessioni di beni, ove erano state indicate operazioni con un acquirente comunitario

la cui partita Iva risultava cessata, con conseguente ripresa a tassazione dell’imposta «in difetto di un’indicazione corretta della partita Iva»

Il caso

Partita Iva cessata

Corte di cassazione – sentenza n. 21183 del 08.10.2014

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

213

VIES

Per la Cassazione, quindi, l’indicazione di una partita Iva cessata, “non diversamente dalla mancata indicazione di essa, non è sanzionata dalla

legge”, da ciò seguendone che non può aver luogo la ripresa a tassazione dell’Iva sulle cessioni

per il solo fatto di aver indicato nei modelli Intrastat una partita Iva cessata

Viene, pertanto, ribadito l’approccio “sostanzialista”, confermando il regime di esenzione quando la “patologia” connessa

all’irregolarità del codice identificativo Iva, avente natura formale, “NON IMPEDISCA la DIMOSTRAZIONE CERTA che i REQUISITI SOSTANZIALI

dell’operazione intracomunitaria siano stati SODDISFATTI”

Corte di cassazione – sentenza n. 21183 del 08.10.2014

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

214

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172

VIES

Nonostante i principi consolidati statuiti dalla Corte di giustizia, come recepiti dalle proprie sentenze del periodo 2013 e 2014, la Corte di Cassazione ha dimostrato ambiguità e oscillazioni

con la giurisprudenza successiva fino alla sentenza n. 21102 del 24.08.2018 che desta preoccupanti perplessità sull’effettiva applicabilità dei principi

elaborati dalla giurisprudenza comunitaria

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

215

DILIGENZA E BUONA FEDE E PROVA DELLE CESSIONI INTRAUE

Nel 2014 la giurisprudenza della Corte di Cassazione era sembrata ormai consolidata su posizioni allineate all’orientamento assunto

dalla Corte di Giustizia nel triennio 2012/2014 in chiave «sostanzialista», attribuendo alla partita Iva la natura di elemento formale

Le sentenze n. 5632 del 20 marzo 2015 e n. 15639 del 24 luglio 2015 segnano una parziale «retromarcia» della Corte di Cassazione

rispetto all’orientamento interpretativo del 2014

Le sentenze del 2015

Corte di giustizia UE Corte di Cassazione ü  Sentenza del 9 ottobre 2014, causa

C-492/13 «Traum Eood» ü  Sentenza del 6 settembre 2012, causa

C-273/11 «Mecsek-Gabona» ü  Sentenza del 27 settembre 2012, causa

C-587/10 «VSTR»

ü  Ordinanza n. 17254 del 29 luglio 2014 ü  Sentenza n. 21183 dell’8 ottobre 2014

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

216

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173

DILIGENZA E BUONA FEDE E PROVA DELLE CESSIONI INTRAUE

La sentenza riguarda il caso di partite Iva cancellate, relative a

società acquirenti comunitarie che avevano cessato l’attività

La Corte di Cassazione riepiloga accuratamente i principi elaborati dalla Corte di Giustizia e la sua giurisprudenza più recente

per dimostrare di non volersi porre in contrasto con l’orientamento ormai consolidatosi nel corso del 2014.

Ma, dopo le premesse allineate con la giurisprudenza nazionale e comunitaria, torna al rigore interpretativo precedente, affermando che

“occorre anche che il soggetto attivo dello scambio dia impulso all’apposita procedura di verifica, richiedendo al Ministero la conferma della validità attuale del numero d’identificazione del cessionario (Cass. 20279/13). In assenza di tali adempimenti, legittimamente l’Ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell’IVA (cfr. Cass. 20575/11, 2227/11) perché è onere del cedente provare la sussistenza dei fatti costitutivi del diritto, che intende far valere in giudizio, e cioè dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (Cass. 3703/09; conf. 20279/12, 3167/12)”

La sentenza n. 5632 del 20 marzo 2015

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

217

DILIGENZA E BUONA FEDE E PROVA DELLE CESSIONI INTRAUE

La mancata attivazione della procedura di conferma presso l’Agenzia delle entrate implica un comportamento non improntato alla «diligenza dell’operatore commerciale

professionale» e, quindi, l’assenza della buona fede, non essendo sottoposta a verifica l’affidabilità della controparte

Il Giudice di legittimità, di fatto, giunge ad attribuire la natura di violazione sostanziale, e non formale, alla mancata richiesta di verifica della correttezza del codice identificativo

Iva, idonea ad impedire la fruizione del regime di non imponibilità

Diligenza dell’operatore commerciale professionale

Buona fede

Tali conclusioni non paiono trancianti, in quanto non fanno derivare l’imponibilità ad Iva delle cessioni in modo automatico dalla mancata attivazione del procedimento di conferma della validità della partita Iva. La sentenza, infatti, sembra fare comunque salva la possibilità per il fornitore di dimostrare che “gli acquirenti fossero effettivamente soggetti passivi d’imposta che agivano in quanto tali nell’ambito delle operazioni di cui trattasi relativamente a beni realmente destinati a essere utilizzati nell’ambito d’imprese proprie di coloro che apparivano come acquirenti nelle fatture contestate”.

Facoltà di prova

La sentenza n. 5632 del 20 marzo 2015

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

218

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174

DILIGENZA E BUONA FEDE E PROVA DELLE CESSIONI INTRAUE

Nel caso di specie, si aggiunge un ulteriore elemento di complicazione, rappresentato dal fatto che le transazioni erano state effettuate

rapportandosi ad un falso rappresentante legale della società acquirente, sull’identità del quale la società fornitrice residente non aveva svolto alcuna verifica

La sentenza n. 15639 del 24 luglio 2015 si pone nel solco interpretativo della precedente e riguarda un caso ancora più eclatante, in quanto

la società acquirente risultava cessata, in seguito a fallimento (2002), già da due anni al momento delle forniture dei beni (2004), in modo tale che le stesse

“non avevano dato luogo ad imposizione alcuna in Lussemburgo”

Il Giudice di legittimità prima afferma che “nella giurisprudenza della Corte di giustizia, la buona fede è identificata col legittimo affidamento,

ossia con la buona fede in senso soggettivo, che è scaturente dalla condotta avveduta ed in quanto tale diligente”

Buona fede

La sentenza n. 15639 del 24 luglio 2015

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

219

DILIGENZA E BUONA FEDE E PROVA DELLE CESSIONI INTRAUE

La sentenza, poi, richiama l’art. 50, comma 2, del D.L. n. 331/1993, sottolineando che “con questa norma, il legislatore si limita a disciplinare le modalità tramite le quali

il cedente esercita il proprio controllo diligente, in coerenza, d’altronde, con l’art. 1393 c.c., comma 1, il quale prevede che il terzo che contratta col rappresentante

può sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri. L’omesso esercizio del controllo, dunque, con riferimento agli elementi della fattispecie in esame, segnata, come visto, da rilevanti ambiguità

già in relazione alle generalità del falso rappresentante, concorre ad escludere la sussistenza di un affidamento incolpevole”

Le conclusioni sono del tutto analoghe a quelle della sentenza n. 5632/2015, confermando la centralità della procedura di conferma della validità del codice identificativo Iva presso l’Agenzia delle entrate, “di guisa che, in assenza di tali adempimenti, legittimamente l’ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell’IVA, facendo pur sempre salva la facoltà del contribuente di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo”

Facoltà di prova

La sentenza n. 15639 del 24 luglio 2015

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

220

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175

VIES

In particolare, con la sentenza del 09.02.2017, nella causa C-21/16 («Euro Tyre BV»), la Corte di giustizia consolidata in modo definitivo il suo orientamento «sostanzialista» e, richiamate tutte le più importanti sentenze precedenti (C-587/10, C-273/11, C-492/13 e C-24/15), conferma che il possesso della partita Iva, del codice identificativo Iva di operatore comunitario e l’iscrizione al VIES hanno natura formale e, da soli considerati, non possono implicare automaticamente la negazione del regime di esenzione dall’Iva delle cessioni intracomunitarie quando: ü  sono soddisfatti tutti i requisiti sostanziali dell’operazione intracomunitaria (1.

trasferimento all’acquirente del diritto di disporre dei beni come proprietario, 2. prova data dal fornitore che i beni sono stati trasportati/spediti in altro Stato membro, 3. il bene è uscito fisicamente dallo Stato Ue di partenza a destinazione di un soggetto passivo che agisce come tale in uno Stato Ue diverso da quello di partenza dei beni);

ü  il fornitore non ha partecipato intenzionalmente ad una frode, avendo adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare di essere coinvolto nella frode (diligenza del «commerciante avveduto»);

ü  la violazione del requisito formale non ha l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

221

VIES

Con la sentenza n. 21102 del 24.08.2018, la Cassazione si pronuncia su un caso avente ad oggetto cessioni intracomunitarie di beni fatturate come non imponibili nei confronti di clienti spagnoli di cui era stata verificata dal fornitore italiano l’effettiva esistenza ed operatività in Spagna ed il possesso della partita Iva (in Spagna NIF), ma risultanti non iscritti nel sistema VIES.

Dopo aver riepilogato correttamente tutti i principi ormai consolidati della giurisprudenza comunitaria e nazionale ed aver ribadito che «può certamente escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigativa sulla movimentazione dei beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario» e che «gli operatori intracomunitari non possiedono i poteri istruttori propri dell’Amministrazione finanziaria», pur potendosi dimostrare la buona fede del cedente, giunge alla conclusione che «ciò non esclude l’applicazione dell’imposta, stante il mancato assolvimento dell’onere della prova di cui in precedenza si è detto, non avendo la contribuente dimostrato, neanche nella fase processuale, l’avvenuto pagamento del tributo da parte del cessionario»

Sentenza errata nei presupposti (richiede, di fatto, la verifica di un requisito-pagamento dell’Iva nello Stato Ue dell’acquirente-non prevista dalla norma), illogica e contraria alla giurisprudenza della Corte di giustizia di cui alla sentenza del 09.02.2017, causa C-21/16, «Euro Tyre BV»

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

222

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176

VIES

Il punto focale sui cui pare incentrarsi l’attenzione della Corte di giustizia pare, di fatto, essere quello della verifica, con la diligenza dell’operatore commerciale professionale, delle caratteristiche di AFFIDABILITA’ della controparte, procurandosi mezzi di prova adeguati, oltre alla sua effettiva esistenza come soggetto passivo stabilito nell’altro Stato membro

Tale verifica, dilatata all’eccesso, non può però logicamente estendersi al punto di doversi accertare anche del regolare assolvimento dell’Iva da parte dell’acquirente nel proprio Stato membro e, questo, secondo i principi del diritto comunitario più volte ribaditi dalla Corte di giustizia (neutralità, certezza del diritto e proporzionalità)

Conseguenze della mancata presenza nel Vies

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

223

VIES

Va considerata come cessione intracomunitaria non imponibile la vendita eseguita da un fornitore nazionale

prima dell’iscrizione al Vies, violazione successivamente sanata mediante l’istituto della

remissione in bonis di cui all’art. 2 comma 1, del D.L. n. 16/2012

Commissione Tributaria Regionale di Torino, sentenza n. 1077 del 12 luglio 2017

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

224

Page 178: IORNATA DI STDIO - formazionecommercialisti.org

177

ONEROSITA’ Se non si verifica il REQUISITO DELL’ONEROSITÀ, la cessione (così come l’acquisto)

NON può qualificarsi come INTRACOMUNITARIA

Si deve applicare la normativa interna specifica per tali tipologie di cessioni (D.P.R. n. 633/1972):

per gli OMAGGI,

le cui cessioni siano rilevanti ai fini IVA ai sensi dell’art. 2, comma 2, n.

4), dovrà essere corrisposta l’imposta con le regole interne

per i CAMPIONI GRATUITI

di modico valore appositamente contrassegnati, si configura una cessione fuori campo applicativo

dell’IVA

per le SOSTITUZIONI IN GARANZIA

se effettuate in esecuzione di un’obbligazione

contrattualmente prevista (R.M. n. 502563 dell’11.11.1975),

si tratta di spedizioni F.C. IVA

INTRASTAT C.M. n. 13/E/1994, par. B.15.1

INTRA-QUATER per addebito spese di trasporto;

circolare n. 43/E/2010

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

225

Effettivo trasferimento dei beni

Un ulteriore requisito per poter applicare il regime di non imponibilità previsto per le cessioni intracomunitarie, è costituito dall’EFFETTIVO TRASFERIMENTO

DEI BENI, i quali devono essere trasportati o spediti

NEL TERRITORIO DI UN ALTRO STATO MEMBRO, diverso da quello di partenza.

In assenza di disposizioni normative interne e comunitarie, il principale contributo interpretativo è offerto dalle sentenze della Corte di Giustizia U.E. e dagli interventi dell’Agenzia delle Entrate.

La verifica di tale requisito impone la soluzione della problematica rappresentata dalle prove da fornire

all’Amministrazione finanziaria in sede di controllo delle operazioni.

Attenzione!!!

SPOSTAMENTO FISICO DEI BENI (IL REGIME DELLE PROVE)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

226

Page 179: IORNATA DI STDIO - formazionecommercialisti.org

178

SPOSTAMENTO FISICO DEI BENI (IL REGIME DELLE PROVE)

I principi della sentenza sul caso “Netto Supermarkt” (causa C – 271/06)

Non rischia di perdere il diritto all’“esenzione” dell’IVA (non imponibilità), l’operatore che “sia impossibilitato di (sic!) rendersi conto,

pur facendo prova di tutta la DILIGENZA DI UN COMMERCIANTE AVVEDUTO, che in realtà non sono soddisfatte le condizioni per l’esenzione”…

I principi della sentenza sul caso “Teleos” (causa C – 409/04)

Spetta AI CEDENTI l’ONERE DELLA PROVA

dell’avvenuto TRASFERIMENTO DEI BENI

Le condizioni per l’applicazione

della non imponibilità IVA devono rispettare i principi

di CERTEZZA DEL DIRITTO e di PROPORZIONALITÀ

Gli STATI, per assicurare la riscossione dell’imposta, NON possono ADOTTARE

PROVVEDIMENTI che LEDONO il PRINCIPIO di NEUTRALITÀ DELL’IVA

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

227

Nelle VENDITE “EX WORKS”, con la consegna dei beni al vettore, “il cedente perde ogni potestà di controllo sulla movimentazione dei beni stessi, cosicché SOLO IL CESSIONARIO può fornire al cedente la prova documentale

del fatto che detti beni siano effettivamente pervenuti nel territorio dello Stato membro di destinazione”.

In ogni caso, “può certamente escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigativa sulla movimentazione subita dai beni ceduti”

dopo la consegna al vettore; ciò non toglie, tuttavia, che occorra “verificare con la diligenza dell’OPERATORE COMMERCIALE PROFESSIONALE

le caratteristiche di affidabilità della controparte”

Sentenza n. 13457 del 27 luglio 2012

SPOSTAMENTO FISICO DEI BENI (IL REGIME DELLE PROVE)

L’orientamento della Corte di Cassazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

228

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179

…“in concreto, viene posto a carico del cessionario un obbligo di diligenza nella scelta del fornitore e di attenzione ai requisiti del soggetto cedente, NON FORMALI (essendo evidente che ogni meccanismo fraudolento si cura in primo luogo di esibire all’esterno una apparente correttezza contabile e cartolare) MA SOSTANZIALI, nel senso di una effettiva esistenza nel cedente di una efficiente struttura operativa e della capacità di fornire autonomamente i beni acquistati, senza ovviamente pretendere un inesigibile dovere di accurata indagine, ma fondandosi su quegli ELEMENTI OBIETTIVI (ad es. assenza di strutture, assenza di una clientela qualificata, mancanza di indici di capacità commerciale – pubblicità; giro di affari ecc.) che non possono sfuggire ad un contraente onesto che operi in un determinato settore commerciale e che in particolare (e qui è l’unica differenziazione terminologica accettabile) non devono sfuggire ad UN IMPRENDITORE MEDIAMENTE ACCORTO”.

Sentenza n. 10414 del 12 maggio 2011

SPOSTAMENTO FISICO DEI BENI (IL REGIME DELLE PROVE)

L’orientamento della Corte di Cassazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

229

L’affidabilità del cessionario non è comprovabile solo sulla base della mancanza di segnalazioni pregresse a suo carico o

della tempestività dei pagamenti o, ancora, dall’assenza di anomalie nei vettori utilizzati

L’onere di provare l’effettiva movimentazione dei beni è a carico del cedente. Non è sufficiente il rispetto degli adempimenti formali

(indicazione in fattura del numero identificativo IVA del cessionario)

SPOSTAMENTO FISICO DEI BENI (IL REGIME DELLE PROVE)

L’orientamento della Corte di Cassazione

Sentenza n. 1670 del 24 gennaio 2013

Sentenza n. 12964 del 24 maggio 2013

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

230

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180

Secondo i giudici, neppure la lettera di vettura sarebbe sufficiente, nelle vendite franco fabbrica, a provare il diritto alla non imponibilità della cessione.

Occorrerebbe ANCHE un DOCUMENTO FIRMATO DAL DESTINATARIO che attesti il ricevimento della merce nello Stato membro di arrivo.

Se tale documentazione non è disponibile, il cedente è tenuto a fornire la PROVA DI AVERLA RICHIESTA, prevedendo, ad esempio,

la restituzione dei documenti nei contratti con vettore, spedizionieri, cessionario

Ciò nonostante, se la controparte non fornisce quanto richiesto, occorre dimostrare di aver fatto tutto il possibile per ottenere l’adempimento,

eventualmente anche in via giudiziaria

La prova

La buona fede

SPOSTAMENTO FISICO DEI BENI (IL REGIME DELLE PROVE)

L’orientamento della Corte di Cassazione

Sentenza n. 19747 del 28 agosto 2013

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

231

Ulteriori contributi interpretativi sono contenuti nelle risoluzioni n. 477/E del 15 dicembre 2008 e n. 123/E del 6 maggio 2009,

nella nota n. 141933 del 4 novembre 2010 e nella risoluzione n. 19/E del 25 marzo 2013

(oltre che nella risoluzione n. 71/E del 24 luglio 2014, specificamente dedicata alle cessioni d’imbarcazioni da diporto).

Le prove dell’avvenuta cessione

SPOSTAMENTO FISICO DEI BENI (IL REGIME DELLE PROVE)

Risoluzione n. 345/E del 28 novembre 2007

L’effettuazione della cessione può essere comprovata da: 1. ELENCO INTRASTAT DELLE CESSIONI 2. DOCUMENTAZIONE BANCARIA 3. FATTURA DI VENDITA 4. DOCUMENTAZIONE CONTRATTUALE 5. LETTERA DI VETTURA CMR FIRMATA DAL DESTINATARIO

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

232

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181

LE OPERAZIONI TRIANGOLARI COMUNITARIE E IMPROPRIE

Page 183: IORNATA DI STDIO - formazionecommercialisti.org

182

LE TRIANGOLARI NAZIONALI Primo rapporto

Il fornitore (IT1) effettua una cessione interna, per la quale emette fattura non imponibile ex art. 58, primo comma, D.L. n. 331/1993. Non deve annotare l’operazione nel modello Intrastat.

Secondo rapporto Il cessionario/promotore (IT2) effettua una cessione intracomunitaria nei confronti dell’acquirente comunitario ed emette fattura in regime di non imponibilità ex art. 41, primo comma, D.L. n. 331/1993. Deve annotare l’operazione nel modello Intrastat delle cessioni, parte fiscale e statistica (se soggetto obbligato). Il regime di non imponibilità è applicabile anche se i beni, prima di essere trasferiti nell’altro Stato membro, vengono sottoposti “per conto del cessionario (nazionale o comunitario) a lavorazione, trasformazione, assiemaggio o adattamento ad altri beni” (cfr., C.M. n. 13 del 23.02.1994, paragrafo 16.1).

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

235

LE TRIANGOLARI NAZIONALI

In tale ipotesi di triangolazione, regolata dall’art. 58, comma 1, del D.L. n. 331/1993, intervengono due soggetti nazionali (fornitore e acquirente/promotore) ed un soggetto comunitario, ed i beni sono destinati in altro Stato membro della U.E.. Poiché il trasferimento avviene tra due Stati membri all’interno del territorio comunitario, ne deriva che non c’e’ un’esportazione. In ogni caso l’art. 58, comma 1, estende il regime di non imponibilità di cui all’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 alle cessioni di beni, anche tramite commissionari, effettuate nei confronti di cessionari o commissionari di questi, “se i beni sono trasportati o spediti in altro Stato membro a cura o a nome del cedente, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi”.

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

236

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183

LE TRIANGOLARI NAZIONALI

Il fornitore italiano effettua un’operazione interna (non è una cessione intracomunitaria né una esportazione) “non imponibile ai sensi dell’art. 58, comma 1, del D.L. n. 331/1993”. Il regime di non imponibilità è possibile solo se i beni non vengono consegnati nel territorio dello Stato, ma spediti o trasportati direttamente nell’altro Stato membro, per incarico del cessionario italiano, a cura o a nome del fornitore italiano (valgono, al riguardo, le osservazioni già rese con riferimento all’analoga problematica in materia di esportazioni triangolari). Il promotore italiano effettua una cessione intracomunitaria ed emette fattura in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 41, comma 1, del D.L. n. 331/1993”, annotandola come «operazione non imponibile».

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

237

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184

LE TRIANGOLARI COMUNITARIE

Nel caso ipotizzato, l’operatore italiano acquista i beni da un soggetto IVA olandese incaricandolo di spedirli direttamente al proprio cliente residente in Grecia.

Poiché il trasferimento avviene tra due Stati membri nell’ambito del territorio comunitario, ne deriva che non c’e’ un’esportazione.

Il fornitore olandese emette una fattura senza addebito d’imposta. Il promotore italiano: ü  effettua un acquisto intracomunitario ed integra e registra la fattura estera ai sensi degli

artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/1993, senza però indicare l’IVA secondo quanto previsto dall’art. 40, comma 2, dello stesso decreto legge;

ü  emette una fattura senza addebito d’imposta ai sensi dell’art. 41, comma 1, lett. a), del D.L. n. 331/1993, in quanto effettua una cessione intracomunitaria, “designando” espressamente sulla stessa fattura il cliente greco quale responsabile, in sua sostituzione, del pagamento dell’imposta all’atto dell’arrivo dei beni in Grecia.

Per entrambe le operazioni intracomunitarie (acquisto e successiva vendita) il promotore residente ha l’obbligo di compilazione dei relativi modelli Intrastat

(parte fiscale), evidenziando il ricorso all’operazione triangolare (nella colonna relativa alla “natura della transazione” dev’essere utilizzato un codice alfabetico)

Triangolare con soggetto italiano promotore

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

239

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LE TRIANGOLARI COMUNITARIE

Nel caso ipotizzato, l’operatore italiano cede i beni ad un soggetto IVA francese, il quale lo incarica di spedirli direttamente al proprio cliente in Spagna.

Il trasferimento fisico dei beni avviene tra due Stati membri

nell’ambito del territorio comunitario, da ciò seguendone che non si realizza un’esportazione.

Il fornitore italiano:

ü  effettua una cessione intracomunitaria ed emette fattura in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 41, comma 1, del D.L. n. 331/1993;

ü  compila il modello Intrastat delle cessioni indicando il codice identificativo IVA del soggetto acquirente francese (nel caso di compilazione della parte statistica del modello, va indicato come Paese di destinazione la Spagna).

Triangolare con soggetto italiano fornitore

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

241

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186

LE TRIANGOLARI COMUNITARIE

Nel caso di specie, il fornitore spagnolo cede i beni ad un soggetto IVA francese, il quale lo incarica di spedirli direttamente al proprio cliente italiano,

designando quest’ultimo come debitore dell’imposta.

L’acquirente italiano:

ü  riceve la fattura senza addebito di IVA da parte del promotore francese, con la quale è espressamente designato quale responsabile, in sostituzione di quest’ultimo, del pagamento dell’imposta in Italia;

ü  integra e registra la fattura estera ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/1993, tra gli acquisti intracomunitari;

ü  compila il modello Intrastat degli acquisti indicando il codice identificativo IVA del promotore francese, suo fornitore (nel caso di compilazione della parte statistica del modello, va indicato come Paese di provenienza la Spagna).

Triangolare con soggetto italiano acquirente finale

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

243

LE TRIANGOLARI IMPROPRIE

Le triangolari improprie sono operazioni in triangolazione non disciplinate specificamente da apposite norme di legge.

Sono operazioni triangolari nelle quali sono coinvolti nei diversi ruoli di

fornitore, promotore e acquirente finale, operatori economici nazionali, comunitari ed extracomunitari

Definizione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

244

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LE TRIANGOLARI IMPROPRIE

Il fornitore italiano vende i beni ad un soggetto comunitario (greco), con consegna diretta all’acquirente finale svizzero

in un Paese extracomunitario (Svizzera) su incarico del suo cliente greco.

Sebbene la vendita venga effettuata nei confronti di un soggetto comunitario, non si realizza una cessione intracomunitaria,

“venendo meno una delle prerogative principali, vale a dire la destinazione (immediata o, comunque, finale) dei beni

in altro Stato membro”.

Triangolare con destinatario soggetto extracomunitario e operatore italiano fornitore di beni

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

246

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188

LE TRIANGOLARI IMPROPRIE

Il soggetto italiano acquista i beni dal fornitore comunitario (greco) dandogli incarico di consegnarli direttamente

in un Paese extracomunitario (Svizzera) al proprio cliente svizzero.

“l’intera operazione non rileva ai fini del pagamento del tributo nel territorio dello Stato,

in quanto l’operazione di esportazione viene eseguita nel territorio greco”

(C.M. n. 13 del 23.02.1994, paragrafo 16).

Triangolare con destinatario soggetto extracomunitario e operatore italiano promotore dell’operazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

248

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189

LE TRIANGOLARI IMPROPRIE

ü  non si tratta di una cessione interna, poiché i beni “comunitari” non sono esistenti nel territorio dello Stato al momento della cessione;

ü  non si tratta di una cessione intracomunitaria, in quanto i beni non sono destinati in uno Stato membro comunitario (inoltre l’acquirente è extracomunitario);

ü  non si tratterebbe di una cessione all’esportazione, poichè la relativa pratica doganale viene espletata in Grecia (cfr., C.M. n. 13 del 23.2.1994, paragrafo 16.3).

Secondo il tenore letterale della C.M. n. 13 del 1994, per il promotore italiano dovrebbe trattarsi di una cessione di beni esistenti all’estero (Grecia), ai sensi dell’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, in quanto:

Triangolare con destinatario soggetto extracomunitario e operatore italiano promotore dell’operazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

249

LE TRIANGOLARI IMPROPRIE

Il fornitore greco dovrebbe emettere fattura senza addebito d’imposta

in conformità alla legislazione interna del proprio Stato.

Anche per il fornitore NON si tratta di una cessione intracomunitaria.

Triangolare con destinatario soggetto extracomunitario e operatore italiano promotore dell’operazione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

250

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LE TRIANGOLARI IMPROPRIE

Il soggetto greco acquista i beni dal fornitore extracomunitario (svizzero) dandogli incarico di consegnarli direttamente in Italia al proprio cliente italiano.

Il soggetto italiano acquista dal proprio fornitore greco dei beni che provengono direttamente dalla Svizzera e, quindi,

da un Paese extracomunitario.

Per l’impresa residente si realizza UN’OPERAZIONE D’IMPORTAZIONE in Italia;

ü  non si tratta di un acquisto intracomunitario, in quanto i beni non provengono da uno Stato membro comunitario; non è sufficiente che il soggetto cedente sia comunitario (greco);

ü  non si tratta di un acquisto interno, in quanto i beni sono esistenti all’estero (Paese extracomunitario) nel momento in cui avviene la cessione.

Triangolare in importazione con fornitore soggetto extracomunitario e operatore italiano destinatario dei beni

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

252

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LE TRIANGOLARI IMPROPRIE

Primo rapporto Il fornitore (IT1) effettua una cessione interna imponibile IVA nei confronti

del promotore comunitario, non realizzandosi né una cessione intracomunitaria (i beni non sono trasferiti da uno Stato membro all’altro),

né una cessione all’esportazione (i beni non escono dal territorio comunitario).

Secondo rapporto L’acquirente finale (IT2) effettua un acquisto interno presso

il proprio fornitore comunitario (l’operazione è territorialmente rilevante in Italia perché i beni oggetto della cessione sono ivi esistenti e movimentati)

da autofatturare con IVA, ai sensi dell’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 fino al 31.12.2012.

Dal 1° gennaio 2013 deve essere INTEGRATA la FATTURA del FORNITORE COMUNITARIO

ai sensi dell’art. 46 del D.L. n. 331/1993

Triangolari spurie

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

254

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193

VENDITE “A CATENA”

La problematica sottoposta ai giudici della Corte di giustizia europea (causa C-245/04) e risolta con sentenza 6 aprile 2006

(avente per oggetto un’analoga fattispecie), concerne la configurazione delle seguenti operazioni:

ü  l’acquisto dei beni da parte del promotore nello Stato membro di partenza, ü  l’acquisto dei beni da parte dell’acquirente finale nello Stato membro di

destinazione, nell’ambito di transazioni “a catena” implicanti due distinte cessioni, con un solo spostamento fisico dei beni, caratterizzate dall’intervento di tre soggetti appartenenti a due soli Stati membri.

Triangolare con soggetti italiani in veste di promotore e acquirente finale

Causa C-245/04 Sentenza 6.04.2006

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

257

VENDITE “A CATENA”

Causa C-245/04 Sentenza 6.04.2006

Le questioni pregiudiziali sollevate possono riassumersi nei seguenti quesiti: 1.  se più cessioni di beni possono essere considerate tutte come cessioni

intracomunitarie non imponibili nel caso in cui più soggetti IVA concludano un contratto di vendita relativo agli stessi beni ed il contratto medesimo abbia esecuzione con un unico spostamento della merce;

2.  se, nell’ambito dell’operazione a catena sopra descritta, sia decisivo stabilire a quale soggetto economico spetta il potere di disposizione dei beni durante il loro trasferimento.

Triangolare con soggetti italiani in veste di promotore e acquirente finale

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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194

VENDITE “A CATENA”

Dopo una complessa ricostruzione logico-giuridica della fattispecie, la Corte di giustizia giunge alle seguenti conclusioni:

1.  quando due cessioni successive relative agli stessi beni, effettuate a titolo

oneroso fra soggetti passivi IVA, danno luogo ad un unico trasferimento fisico dei beni tra due Stati U.E. (unica spedizione o unico trasporto), il trasferimento intracomunitario può essere attribuito ad una sola delle due cessioni, la quale avverrà in regime di non imponibilità quale cessione intracomunitaria;

2.  l’interpretazione di cui sopra, rimane valida indipendentemente da quale sia il soggetto passivo che può disporre dei beni durante la spedizione o il trasporto (fornitore, promotore/primo cessionario o destinatario/secondo acquirente).

Triangolare con soggetti italiani in veste di promotore e acquirente finale

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

259

VENDITE “A CATENA”

Con l’ulteriore precisazione, secondo cui: a.  se è la prima delle due cessioni successive quella che comporta la spedizione

o il trasporto dei beni, con conseguente acquisto intracomunitario tassato nello Stato membro di destinazione, la seconda cessione si considera effettuata nel luogo (Italia) in cui si è perfezionato l’acquisto intracomunitario precedente;

b.  se, invece, è la seconda cessione quella che determina il trasferimento fisico dei beni da uno Stato membro all’altro, la prima vendita, “avvenuta per definizione prima della spedizione o del trasporto dei beni”, si considera effettuata nello Stato membro di partenza (Francia).

I risultati interpretativi sopra illustrati sono stati in parte confermati anche

dalla sentenza della Corte europea nella causa C-430/09 del 16 dicembre 2010,

con ulteriori elementi di specificazione.

Triangolare con soggetti italiani in veste di promotore e acquirente finale

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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195

VENDITE “A CATENA”

Con la sentenza del 21.02.2018 nella causa C-628/16 (“Kreuzmayr”), la Corte di giustizia conclude l’iter interpretativo riguardante in generale le vendite “a catena” e, in particolare, le operazioni triangolari, inaugurato con la prima sentenza del 06.04.2006 nella causa C-245/04 sul caso “Emag”

Il giudice comunitario, dopo una dettagliata e completa ricostruzione dei fatti con i pertinenti richiami alla sua precedente giurisprudenza, conferma i seguenti principi: ü  nel caso di due cessioni successive relative agli stessi beni che formano oggetto di un

unico trasporto intracomunitario, l’esenzione da Iva è applicabile solo alla cessione che determina lo spostamento fisico dei beni tra Stati membri (sono escluse le triangolari “comunitarie” e le triangolari “nazionali” ex art. 58 del D.L. n. 331/1993, per le quali si applica lo specifico regime di doppia esenzione);

ü  il criterio oggettivo rilevante nelle vendite a catena per individuare quale di esse è la cessione intracomunitaria, è fondato sul momento in cui il cessionario finale dispone dei beni come proprietario; se il destinatario finale acquisisce la disponibilità dei beni nello Stato membro del primo fornitore prima che sia effettuato il trasporto intracomunitario, la prima cessione tra il fornitore ed il promotore della triangolare è una cessione interna

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

262

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TRIANGOLARI CON IL RAPPRESENTANTE FISCALE

L’Amministrazione finanziaria non ha mai assunto una presa di posizione chiara sulla possibilità

di costruire operazioni complesse in cui le parti contrattuali siano solamente due,

mentre uno dei «vertici» dell’operazione è costituito

dal rappresentante fiscale di una di esse

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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198

TRIANGOLARI CON IL RAPPRESENTANTE FISCALE

Sulla base delle indicazioni ritraibili da alcune pronunce dell’Amministrazione finanziaria (risoluzione n. 49/E del 2008, n 306/E del 2008 e n. 17/E del 2009),

tuttavia, pare desumibile il principio per cui nelle situazioni nelle quali

il rappresentante fiscale non operi in condizioni di effettiva terzietà rispetto alle altre parti dell’operazione,

non sia configurabile una triangolazione nell’ottica fiscale Iva.

La rilevanza dell’effetto traslativo della proprietà, valorizzata dalle risoluzioni delle Entrate, è ulteriormente enfatizzata

dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 22172 del 2013.

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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LE OPERAZIONI QUADRANGOLARI IN AMBITO COMUNITARIO

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201

OPERAZIONI QUADRANGOLARI IN AMBITO COMUNITARIO Secondo la C.M. n. 145/E del 10 giugno 1998, par. 8, tale tipologia di operazioni non può godere delle semplificazioni previste per le operazioni triangolari.

Rapporto FRA-ITA 1 ü  ITA 1 non effettua un acquisto intracomunitario, in assenza di uno dei quattro requisiti

fondamentali previsti dall’art. 38, comma 2, del D.L. n. 331/1993, rappresentato dal trasferimento fisico dei beni dalla Francia all’Italia; non ha luogo, infatti, l’arrivo dei beni nel territorio dello Stato.

ü  Da quanto sopra, discende che ITA 1 effettua un acquisto di beni esistenti all’estero (Francia), ponendo in essere un’operazione esclusa dal campo di applicazione dell’IVA per carenza del requisito territoriale ai sensi dell’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.

ü  Leggendo “a specchio” la situazione sopra delineata nei suoi riflessi operativi in Francia, ne deriva che il fornitore francese dovrebbe effettuare una cessione soggetta ad IVA locale nei confronti di ITA 1 (cessione interna), non realizzandosi né un’esportazione, né una cessione intracomunitaria.

Tale impostazione potrebbe essere messa in discussione sulla base dei principi enunciati nella sentenza della Corte di giustizia del 22 aprile 2010 (cause riunite C-536/08 e C-539/08).

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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202

OPERAZIONI QUADRANGOLARI IN AMBITO COMUNITARIO

Rapporto ITA 1-ITA 2

ü  L’operazione è irrilevante ai fini dell’imposta in Italia, in quanto i beni, al momento della cessione, non sono fisicamente presenti nel territorio dello Stato; ITA 1 effettua, quindi, nei confronti di ITA 2, una cessione di beni esistenti all’estero (Francia) fuori campo IVA ai sensi dell’ art. 7-bis, comma 1.

ü  Poiché al momento in cui avviene la cessione fra ITA 1 ed ITA 2 i beni sono fisicamente in Francia, non è ipotizzabile, nel caso di specie, una triangolare “nazionale” ai sensi dell’art. 58, comma 1, del D.L. n. 331/1993, pur in presenza di due soggetti passivi IVA nazionali.

ü  L’irrilevanza della cessione ai fini della normativa interna, non esclude che la cessione stessa possa essere considerata un’operazione fiscalmente rilevante in Francia.

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

275

OPERAZIONI QUADRANGOLARI IN AMBITO COMUNITARIO

Rapporto ITA 2-SPA

La cessione fra ITA 2 e SPA non costituisce una cessione intracomunitaria ai sensi dell’art. 41, comma 1, del D.L. n. 331/1993, “ma assume rilevanza ai fini dell’imposta dovuta in Spagna”.

Sebbene non chiaramente esplicitato nella citata circolare n. 145/E, pare lecito desumersi che l’acquirente spagnolo, soggetto passivo IVA, debba evidenziare l’IVA locale gravante sull’operazione interna ai sensi della normativa spagnola.

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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203

OPERAZIONI QUADRANGOLARI IN AMBITO COMUNITARIO Le più opportune procedure per l’applicazione della normativa comunitaria sono di seguito indicate:

Identificazione di ITA 1 in Francia

Qualora sia ITA 1 ad aprire una posizione IVA in Francia, nominando un rappresentante fiscale od ivi identificandosi direttamente, i rapporti fra i quattro soggetti coinvolti sarebbero i seguenti.

ü  La vendita effettuata da FRA ad ITA 1 viene assoggettata ad imposta in Francia quale operazione interna.

ü  ITA 1, ITA 2 e SPA possono dar corso ad una triangolare comunitaria, nel cui ambito ITA 2 svolge il ruolo di promotore, dando incarico ad ITA 1 (soggetto identificato ai fini IVA in Francia) di spedire i beni dalla Francia direttamente al proprio cliente finale spagnolo, “designando” quest’ultimo quale debitore dell’imposta.

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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OPERAZIONI QUADRANGOLARI IN AMBITO COMUNITARIO

Identificazione di ITA 2 in Spagna

Nel caso in cui sia ITA 2 ad aprire una posizione IVA in Spagna, identificandosi direttamente o nominando un rappresentante fiscale, i rapporti fra i quattro soggetti coinvolti sarebbero i seguenti.

ü  FRA, ITA 1 ed ITA 2 possono realizzare una triangolare comunitaria, dove ITA 1 assume il ruolo di promotore, conferendo incarico a FRA di spedire i beni dalla Francia direttamente in Spagna ad ITA 2 (soggetto identificato ai fini IVA in Spagna), “designando” quest’ultimo quale debitore dell’imposta.

ü  La successiva vendita effettuata da ITA 2 a SPA viene assoggettata ad imposta in Spagna quale operazione interna.

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

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204

LA FATTURAZIONE DELLE OPERAZIONI NEI RAPPORTI CON SOGGETTI NON RESIDENTI, AUTOFATTURE, INTEGRAZIONI E REGOLARIZZAZIONI

FATTURAZIONE DI SOGGETTI PASSIVI UE PER CESSIONI RILEVANTI IN ITALIA

Il regime di fatturazione delle cessioni di beni esistenti nel territorio dello Stato effettuate da soggetti passivi comunitari nell’ambito dei rapporti B2B,

con riferimento alle operazioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2013, è regolato dalle disposizioni di cui

al secondo periodo del secondo comma dell’art. 17, del D.P.R. n. 633/1972

«2. … nel caso di cessioni di beni o di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell'Unione europea, il cessionario o committente adempie gli obblighi di fatturazione e di registrazione secondo le disposizioni degli articoli 46 e 47 del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427.»

Art. 17, comma 2, secondo periodo, D.P.R. n. 633/1972

Normativa di riferimento

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

280

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205

FATTURAZIONE DI SOGGETTI PASSIVI UE PER CESSIONI RILEVANTI IN ITALIA

Con le disposizioni dell’art. 17, comma 2, secondo periodo, e dell’art. 21, comma 6-bis, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, viene recepita la disciplina comunitaria di cui all’art. 219 bis della direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006, come integrata dalla direttiva n. 2010/45/UE del 13/7/2010

«Fatti salvi gli articoli da 244 a 248, si applicano le disposizioni seguenti. 1) La fatturazione è soggetta alle norme applicabili nello Stato membro in cui si considera effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi, conformemente alle disposizioni del titolo V. 2) In deroga al punto 1, la fatturazione è soggetta alle norme applicabili nello Stato membro in cui il fornitore/prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica o dispone di una stabile organizzazione a partire dalla quale la cessione/prestazione viene effettuata o, in mancanza di tale sede o di tale stabile organizzazione, nello Stato membro del suo indirizzo permanente o della sua residenza abituale, quando:

a) il fornitore/prestatore non è stabilito nello Stato membro in cui si considera effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi, conformemente alle disposizioni del titolo V, o la sua stabile organizzazione non interviene nella cessione o nella prestazione ai sensi dell'articolo 192 bis, e il debitore dell'IVA è l'acquirente dei beni o il destinatario dei servizi. Tuttavia, quando l'acquirente/destinatario emette la fattura (autofatturazione) si applica il punto 1. b) la cessione di beni o la prestazione di servizi non si considera effettuata nella Comunità conformemente alle disposizioni del titolo V.»

Testo risultante dopo le integrazioni apportate dalla direttiva n. 2010/45/UE del 13 luglio 2010

Normativa di riferimento

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

281

FATTURAZIONE DI SOGGETTI PASSIVI UE PER CESSIONI RILEVANTI IN ITALIA

Ai sensi dell’art. 17, comma 2, secondo periodo, del D.P.R. n. 633/1972, il soggetto passivo residente che acquista BENI ESISTENTI NEL TERRITORIO DELLO STATO

nel momento in cui gli vengono ceduti dal fornitore soggetto passivo comunitario (ad esempio, depositati in un magazzino in Italia),

deve applicare il meccanismo del «reverse charge» obbligatorio mediante l’INTEGRAZIONE della fattura emessa direttamente dal fornitore non residente,

secondo le regole ordinarie previste dall’art. 46 del D.L. n. 331/1993 per gli acquisti intracomunitari

Il fornitore comunitario, quindi, deve emettere fattura senza applicazione dell’Iva indicando espressamente su di essa che l’operazione è soggetta a reverse charge da parte dell’acquirente

Tale adempimento è il medesimo previsto per i soggetti passivi Iva stabiliti nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 21, comma 6-bis, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972,

i quali devono indicare in fattura l’annotazione obbligatoria «inversione contabile» quando le cessioni di beni (e le prestazioni di servizi) extraterritoriali sono effettuate nei confronti di

un soggetto passivo che è debitore dell’imposta in altro Stato membro dell’Unione europea

Reverse charge obbligatorio

Attenzione!!!

Meccanismo applicativo

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

282

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206

FATTURAZIONE DI SOGGETTI PASSIVI UE PER CESSIONI RILEVANTI IN ITALIA

Il meccanismo applicativo del reverse charge obbligatorio è stato recepito in Italia in modo completo e, quindi, sia per le prestazioni di servizio di ogni tipo («generiche» e

«specifiche»), sia per le cessioni di beni, ed è attuato con due modalità, a seconda del soggetto passivo comunitario od extracomunitario controparte dell’operazione

Reverse charge obbligatorio Meccanismo applicativo

Fornitore extracomunitario Fornitore comunitario

Obbligo di emissione della «autofattura» in unico esemplare ex art. 21, commi 5 e 6-ter, del D.P.R. n. 633/1972, con l’annotazione obbligatoria «autofatturazione»

Obbligo di integrazione della fattura emessa dal soggetto passivo non residente senza Iva ex art. 17, comma 2, secondo periodo, del D.P.R. n. 633/1972 Secondo la norma comunitaria e quella interna, è la fattura emessa dal soggetto passivo comunitario, con l’indicazione del codice identificativo Iva attribuitogli dallo Stato membro ove è stabilito, che va integrata, e non la fattura emessa dal suo rappresentante fiscale (o identificazione diretta) eventualmente attivato in Italia

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

283

Da ciò consegue che, in caso di mancata ricezione della fattura regolarmente emessa dal fornitore comunitario con l’annotazione “inversione contabile”,

entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, l’acquirente residente deve “emettere autofattura entro il giorno 15 del terzo mese successivo”

FATTURAZIONE DI SOGGETTI PASSIVI UE PER CESSIONI RILEVANTI IN ITALIA

L’Agenzia delle entrate, nel confermare quanto già indicato nella risoluzione n. 89/E del 25 agosto 2010, ha ribadito come “il documento emesso con partita IVA italiana dal

rappresentante fiscale di un soggetto passivo estero residente nella UE (o fuori dalla UE), per una cessione effettuata nei confronti di un soggetto passivo IVA residente in Italia,

sia da considerare non rilevante come fattura ai fini IVA e debba essere richiesta al suo posto la fattura emessa direttamente dal fornitore estero”

Risoluzione n. 21/E del 20 febbraio 2015 Reverse charge obbligatorio

L’operatore nazionale, pertanto, non può integrare la fattura eventualmente emessa dal rappresentante fiscale, in quanto documento irrilevante ai fini IVA, ma dovrà emettere

la cd. autofattura “da regolarizzazione” ex art. 46, comma 5, del D.L. n. 331/1993

Autofattura da regolarizzazione

Mancata ricezione di fattura da fornitore comunitario

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

284

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207

L’AUTOFATTURA PER ROYALTIES SU BENI IN IMPORTAZIONE (CASSAZIONE, SENTENZA N. 8473 DEL 06.04.2018)

LA SENTENZA SUL CASO EQUOLAND

obbligo (o meno) di introdurre fisicamente

i beni nel deposito Iva

obbligo (o meno) di versare l’Iva in Dogana

nonostante il fatto che l’imposta sia già stata assolta con

il meccanismo dell’inversione contabile, mediante emissione

dell’autofattura

Con la sentenza del 17 luglio 2014, nella causa C-272/13 (caso «Equoland»), la Corte di giustizia si è pronunciata in merito

alle operazioni d’introduzione ed estrazione di beni importati dai depositi Iva ed ai connessi obblighi documentali e di fatturazione e, in particolare,

su due aspetti fondamentali che regolano il meccanismo applicativo dell’Iva:

SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA NELLA CAUSA C-272/13

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

286

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208

LA SENTENZA SUL CASO EQUOLAND

Di fatto, la Corte di giustizia equipara l’Iva «all’importazione» all’Iva «interna», considerando il meccanismo del reverse charge attuato con emissione di autofattura un sistema idoneo all’ordinario assolvimento dell’Iva da parte del soggetto passivo

obbligato al pagamento dell’imposta

Viene enunciato un principio che sconfessa l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione secondo cui il mancato assolvimento dell’Iva all’importazione

di beni non comunitari immessi in libera pratica, non può essere «compensato» dall’assolvimento tramite autofatturazione dell’Iva interna, trattandosi di due tributi diversi (cfr., sentenza n. 12578 del 21.05.2010, n. 10734 dell’8.05.2013, n. 11642 del 15.05.2013

e n. 2254 del 03.02.2014)

Corte di giustizia

Corte di Cassazione

Rilevanza del versamento dell’Iva tramite autofattura

SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA NELLA CAUSA C-272/13

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

287

LA SENTENZA SUL CASO EQUOLAND

Rilevanza del versamento dell’Iva tramite autofattura

La Corte di giustizia, pur pronunciandosi nella specifica materia dei depositi Iva, elabora un principio interpretativo della normativa comunitaria che, di fatto,

ha valenza generale, nel momento in cui statuisce che l’Iva all’importazione non può essere richiesta in pagamento due volte a fronte di un’unica operazione per la quale, sebbene con modalità diverse,

l’imposta è già stata assolta con il meccanismo del reverse charge da parte del soggetto passivo

Tale approccio interpretativo non è condiviso dall’Agenzia delle Dogane che, con circolare n. 16/D del 20.10.2014, nel recepire l’orientamento espresso

dalla Corte di giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, causa C-272/13, limita i principi ivi statuiti alla sola fattispecie rappresentata

dall’importazione di beni destinati ad essere introdotti nei depositi Iva, escludendone l’applicazione generalizzata a situazioni diverse

Corte di giustizia

Agenzia delle dogane

SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA NELLA CAUSA C-272/13

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

288

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209

LA SENTENZA SUL CASO PUMA ITALIA

Con la sentenza n. 8473 del 06.04.2018, avente ad oggetto la determinazione del valore doganale delle importazioni di beni sui quali il licenziatario residente (“Puma Italia S.r.l.”) corrispondeva le royalties al titolare del marchio concesso in licenza, la Cassazione si pronuncia espressamente per la prima volta sulla problematica dell’applicazione dell’Iva sui maggiori valori accertati in dogana, sconfessando, di fatto, la rigida posizione assunta dall’Agenzia delle dogane con la circolare n. 16/D del 20.10.2014.

Il caso di specie, sicuramente importante a causa del consistente contenzioso riguardante tale materia, è relativo all’accertamento doganale determinato dall’inclusione delle royalties passive, pagate dall’importatore/licenziatario residente, nel valore doganale dei beni importati e, conseguentemente, nella base imponibile ai fini Iva all’importazione

SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE 6 APRILE 2018, N. 8473

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

289

LA SENTENZA SUL CASO PUMA ITALIA

Ricorrendo le specifiche condizioni previste dalla legislazione doganale, le royalties passive devono essere addizionate al valore delle merci da dichiarare in Dogana, così determinando un aumento della base imponibile anche ai fini Iva corrispondente all’importo delle royalties stesse. La Cassazione afferma il principio secondo cui, se l’importatore/licenziatario residente ha già assolto l’Iva prima dell’importazione mediante reverse charge sulle royalties fatturategli dal soggetto estero licenziante comunitario (o extracomunitario), mediante integrazione della fattura di servizi “comunitaria” (od emissione di autofattura in caso di licenziante extracomunitario), non gli può essere richiesto di versare l’Iva in Dogana.

Viene confermato, anche in un caso diverso da quello dell’importazione di beni con introduzione nei depositi Iva, la valenza del principio interpretativo secondo cui l’Iva all’importazione e l’Iva intracomunitaria sono la medesima imposta; in altri termini, si tratta comunque di Iva “interna” sebbene diverse siano le modalità di riscossione (in Dogana o tramite reverse charge)

SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE 6 APRILE 2018, N. 8473

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

290

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210

FORNITURA DI BENI MOBILI CON INSTALLAZIONE ALL’ESTERO

TERRITORIALITÀ DELLE CESSIONI DI BENI

“Quando il BENE spedito o trasportato dal fornitore o dall’acquirente oppure da un terzo

deve essere INSTALLATO O MONTATO CON O SENZA COLLAUDO da parte del fornitore o per suo conto,

si considera come LUOGO DI CESSIONE il luogo DOVE AVVIENE L’INSTALLAZIONE O IL MONTAGGIO”

Art. 36, direttiva n. 2006/112/CE

Tale previsione costituisce una DEROGA alla REGOLA GENERALE contenuta nell’art. 32 della direttiva n. 2006/112/CE, ai sensi del quale

“si considera come LUOGO DELLA CESSIONE, se il BENE è spedito o trasportato dal fornitore,

dall’acquirente o da un terzo, il LUOGO DOVE il BENE SI TROVA AL MOMENTO INIZIALE

DELLA SPEDIZIONE O DEL TRASPORTO a destinazione dell’acquirente”

Art. 32, direttiva n. 2006/112/CE

Luogo della cessione

Deroga

Regola generale

Fornitura di beni mobili con installazione Normativa interna

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

292

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211

TERRITORIALITÀ DELLE CESSIONI DI BENI

«Le CESSIONI DI BENI … si considerano effettuate NEL TERRITORIO DELLO STATO

se hanno per oggetto … BENI MOBILI spediti da altro stato membro

INSTALLATI, MONTATI O ASSIEMATI NEL TERRITORIO DELLO STATO dal fornitore o per suo conto».

Art. 7-bis, comma 1, D.P.R. n . 633/1972

Fornitura di beni mobili con installazione Normativa interna

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

293

TERRITORIALITÀ DELLE CESSIONI DI BENI

Tali acquisti si configurano come “acquisti interni” nell’ipotesi in cui:

ü  i beni siano oggetto di montaggio, installazione o assiemaggio IN ITALIA;

ü  l’attività di montaggio, installazione e assiemaggio sia ESEGUITA DAL FORNITORE o, comunque, sia svolta per suo conto.

Gli acquisti di beni presso un fornitore comunitario la cui installazione avvenga in Italia,

ai sensi dell’art. 38, comma 5, lett. b), del D.L. n. 331/1993, non configurano acquisti intracomunitari di beni,

bensì “ACQUISTI INTERNI” AL TERRITORIO DELLO STATO a norma dell’art. 7-bis, comma 1, D.P.R. n. 633/1972

Condizioni

La normativa interna appare CONFORME a quanto previsto nell’art. 36 della direttiva n. 2006/112/CE

Fornitura di beni mobili con installazione Acquisti da altri Stati comunitari di beni da installare

Art. 7-bis, comma 1, D.P.R. n . 633/1972

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

294

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212

TERRITORIALITÀ DELLE CESSIONI DI BENI

Se l’installazione, il montaggio o l’assiemaggio avvengono IN ITALIA a cura del FORNITORE COMUNITARIO O PER SUO CONTO

NON è un ACQUISTO INTRACOMUNITARIO (vi è comunque l’obbligo di compilare l’elenco Intrastat degli acquisti ai soli fini statistici

secondo la circolare n. 13 del 23.02.1994, par. B, punto 1.3)

L’operazione si considera EFFETTUATA IN ITALIA come ACQUISTO INTERNO

Se l’acquirente residente È un soggetto passivo Iva

Il CESSIONARIO integra la fattura emessa dal fornitore comunitario ai sensi dell’art. 17, comma 2, D.P.R. n. 633/1972

Se l’acquirente residente NON È un soggetto passivo Iva

Il FORNITORE COMUNITARIO deve nominare un rappresentante fiscale in Italia o identificarsi direttamente

Fornitura di beni mobili con installazione Acquisti da altri Stati comunitari di beni da installare

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

295

TERRITORIALITÀ DELLE CESSIONI DI BENI

Le cessioni di beni non sono qualificabili come operazioni extraterritoriali, ma costituiscono OPERAZIONI NON IMPONIBILI

Ai sensi dell’art. 41, comma 1, lett. c), D.L. n. 331/1993, sono considerate CESSIONI INTRACOMUNITARIE NON IMPONIBILI

“le cessioni, con spedizione o trasporto dal territorio dello Stato, nel territorio di altro Stato membro

di beni destinati ad essere ivi installati, montati o assiemati DA PARTE DEL FORNITORE O PER SUO CONTO”

Art. 41, comma 1, lett. c), D.L. n . 331/1993

Fornitura di beni mobili con installazione Cessioni in altri Stati comunitari di beni da installare

Tale DISPOSIZIONE È in DISTONIA con:

LA DISPOSIZIONE COMUNITARIA che prevede la tassazione come operazione interna

nello Stato membro in cui il bene viene installato

LA DISPOSIZIONE INTERNA riferibile

alla speculare operazione di acquisizione del bene nel territorio dello Stato

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

296

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213

TERRITORIALITÀ DELLE CESSIONI DI BENI

Se l’installazione, il montaggio o l’assiemaggio avvengono IN ALTRO STATO MEMBRO

a cura del FORNITORE NAZIONALE O PER SUO CONTO

È una CESSIONE INTRACOMUNITARIA (vi è l’obbligo di compilare l’elenco Intrastat delle cessioni sia ai fini fiscali

che ai fini statistici secondo la circolare n. 13 del 23.02.1994, par. B, punto 2.1)

Fornitura di beni mobili con installazione Cessioni in altri Stati comunitari di beni da installare

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

297

TERRITORIALITÀ DELLE CESSIONI DI BENI Fornitura di beni mobili con installazione

Lo Stato membro di destinazione dei beni da installare ha recepito correttamente la normativa comunitaria, ovvero considera gli acquisti di beni installati nel suo territorio come

“acquisti interni”?

Se si presume che lo Stato membro di destinazione abbia recepito correttamente la disposizione della direttiva comunitaria, occorre verificare il regime di tassazione

Nello Stato membro di destinazione vige il “reverse charge” obbligatorio per gli acquisti di beni da altri Stati membri?

Se la risposta è NO

Si pone il problema pratico di contemperare le normative interne confliggenti

In Italia, ha luogo una cessione intracomunitaria non imponibile

Nello Stato membro di destinazione ha luogo un acquisto «interno» ma senza reverse charge

Il CEDENTE NAZIONALE, in questo caso, deve aprire una posizione Iva nello Stato membro dell’acquirente per poter emettere fattura

con applicazione dell’Iva locale nei confronti di privati e soggetti passivi

Cessioni in altri S

tati comunitari

di beni da installare

Attenzione! Se chi acquista è un soggetto passivo Iva occorre porsi alcuni interrogativi

Ex artt. 17, par 2, lett. b) e 36, della direttiva

n. 2006/112/CE non si realizza un

trasferimento a se stessi

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

298

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214

TERRITORIALITÀ DELLE CESSIONI DI BENI

Nello Stato membro di destinazione vige il “reverse charge” obbligatorio per gli acquisti di beni da altri Stati membri?

Se la risposta è SI’

Il cessionario soggetto passivo integra con Iva

la fattura ricevuta dal cedente nazionale (o emette autofattura)

INTEGRAZIONE

Viene integrata la fattura emessa dal cedente nazionale

in regime di non imponibilità

Il cessionario privato non può attuare il reverse charge

Il cedente nazionale deve APRIRE una POSIZIONE IVA

Deve essere applicata l’Iva locale

Fornitura di beni mobili con installazione Cessioni ad altri Stati comunitari di beni da installare

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

299

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI (artt. 7-ter / 7-septies del D.P.R. n. 633/1972)

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215

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

A partire dal 2010, la regola generale in materia viene “sdoppiata”

Le regole per la territorialità dei servizi

Prestazioni Business to Business (B2B)

I servizi sono territorialmente rilevanti nel Paese

dove è stabilito il committente.

Quando il committente è un soggetto passivo stabilito

in uno Stato della Comunità europea, le prestazioni sono assoggettate a tassazione secondo le regole

dell’inversione contabile (reverse charge).

Prestazioni Business to Consumer (B2C)

I servizi rilevano nel Paese ove è stabilito

il fornitore della prestazione.

Ai fini della territorialità di tali tipologie di prestazioni,

non rileva il domicilio del committente.

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

301

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Art. 7-ter, comma 1, D.P.R. n . 633/1972

Le regole per la territorialità dei servizi

Dal punto di vista dell’ordinamento interno, le regole generali di territorialità comportano che,

ai sensi dell’art. 7-ter, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, «le prestazioni di servizi si considerano

EFFETTUATE nel TERRITORIO DELLO STATO a) quando sono rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato;

b) quando sono rese a committenti non soggetti passivi da soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato»

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

302

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216

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Anche nel sistema in vigore dal 2010 sono previste alcune disposizioni speciali che stabiliscono criteri di rilevanza territoriale,

derogatori rispetto alle nuove regole generali.

Art. 7-quater

ü  Servizi immobiliari ü  Trasporto passeggeri ü  Ristorazione e catering ü  Locazione mezzi di trasporto a breve termine

Art. 7-quinquies ü  Attività culturali, artistiche, sportive,

ecc., comprese fiere ed esposizioni

Le regole per la territorialità dei servizi Criteri derogatori

Deroghe

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

303

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Art. 7-sexies ü  Intermediazioni ü  Trasporti intracomunitari e non di beni ü  Lavorazioni e servizi accessori ai trasporti ü  Locazione mezzi di trasporto a lungo termine ü  Prestazioni rese tramite mezzi elettronici ü  Prestazioni di telecomunicazione e di

teleradiodiffusione

Rese a committenti non soggetti passivi

comunitari ed extracomunitari

Deroghe

Le regole per la territorialità dei servizi Criteri derogatori

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

304

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217

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Art. 7-septies ü  Cessioni, concessioni, licenze di diritti d’autore, etc. ü  Pubblicità ü  Consulenza, assistenza tecnica o legale, elaborazione dati ü  Operazioni bancarie, finanziarie, assicurative ü  Messa a disposizione di personale ü  Locazioni di beni diversi dai mezzi di trasporto ü  Accesso a sistemi di gas naturale o energia elettrica ü  Telecomunicazione e teleradiodiffusione (eliminato dall’01.01.2015) ü  Servizi prestati per via elettronica (eliminato dall’01.01.2015) ü  Obbligazioni di non esercitare una delle attività sopra elencate

Rese a committenti non soggetti passivi

extracomunitari

Deroghe

Le regole per la territorialità dei servizi Criteri derogatori

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

305

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Beni immobili (comma 1, lett. a)

Le prestazioni di servizi relativi a beni immobili a chiunque rese

sono rilevanti nel LUOGO OVE È SITUATO L’IMMOBILE.

Si considerano effettuate nel territorio dello Stato: «le prestazioni di servizi relativi a beni immobili,

comprese le perizie, le prestazioni di agenzia, la fornitura di alloggio nel settore alberghiero o in settori con funzioni analoghe, ivi inclusa quella di alloggi in campi

di vacanza o in terreni attrezzati per il campeggio, la concessione di diritti di utilizzazione

di beni immobili e le prestazioni inerenti alla preparazione e al coordinamento dell’esecuzione dei lavori immobiliari,

quando l’immobile è situato nel territorio dello Stato»

lett. a

Art. 7-quater

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

306

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218

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Le prestazioni di trasporto passeggeri a chiunque rese

rilevano territorialmente IN PROPORZIONE ALLA DISTANZA PERCORSA

Si considerano effettuate nel territorio dello Stato: «le prestazioni di trasporto di passeggeri,

in proporzione alla distanza percorsa nel territorio dello Stato»

Trasporto passeggeri (comma 1, lett. b) Art. 7-quater

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

307

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Prestazioni di servizi relative ad attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative, ricreative o affini, comprese fiere ed esposizioni e relativi servizi accessori, escluse le prestazioni di servizi per l’accesso alle manifestazioni della specie nonché le relative prestazioni accessorie.

Tali prestazioni di servizi dal 01.01.2011 rese a

soggetti passivi

rilevano in relazione al luogo ove è stabilito il committente conformemente alla regola generale

per i rapporti B2B

committenti che non sono soggetti passivi

rilevano in relazione al luogo in cui si svolgono le manifestazioni

Attività culturali, artistiche, sportive, etc., comprese fiere ed esposizioni

Art. 7-quater

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

308

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219

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

A decorrere dal 1° gennaio 2011 la regola di territorialità si sdoppia,

creandosi una differenza tra le prestazioni relative a:

servizi culturali, artistici, sportivi, scientifici, educativi, ricreativi e simili,

comprese fiere ed esposizioni, e servizi degli organizzatori di dette attività, nonché le relative prestazioni accessorie

servizi per l’accesso alle manifestazioni a lato indicate,

nonché i relativi servizi accessori

Attività culturali, artistiche, sportive, etc., comprese fiere ed esposizioni

Art. 7-quater

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

309

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

SERVIZI PER L’ACCESSO A MANIFESTAZIONI

La relativa disciplina applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2011 è contenuta nel riformulato art. 53 della direttiva comunitaria n. 2006/112/CE,

come modificato per effetto della direttiva “servizi” n. 2008/8/CE del 12 febbraio 2008.

«Il luogo delle prestazioni di servizi per l’accesso a manifestazioni culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative, ricreative ed affini, quali fiere

ed esposizioni, e servizi accessori connessi con l’accesso prestati a un soggetto passivo

è il luogo in cui tali manifestazioni si svolgono effettivamente»

Attività culturali, artistiche, sportive, etc., comprese fiere ed esposizioni

Art. 7-quater

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

310

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220

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

A decorrere dal 1° gennaio 2011

Nuova regola per i SOGGETTI PASSIVI

Per i servizi dell’art. 7-quinquies, ad eccezione dei servizi di accesso

e relativi servizi accessori, la regola di territorialità è

quella generale dell’art. 7-ter per i rapporti B2B e, quindi,

del luogo ove è stabilito il committente

Per i servizi di accesso e relativi servizi accessori nei rapporti B2B e B2C, la regola di territorialità rimane quella derogatoria

e, quindi, assume rilievo il luogo in cui si svolgono le manifestazioni

Regola invariata per i committenti che NON sono SOGGETTI PASSIVI

Per i rapporti B2C, continua ad applicarsi

la regola derogatoria del luogo in cui si svolgono le manifestazioni,

per tutte le prestazioni di servizi di cui all’art. 7-quinquies

L’eccezione

Attività culturali, artistiche, sportive, etc., comprese fiere ed esposizioni

Art. 7-quater

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

311

I SERVIZI INTERNAZIONALI

I servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali sono rappresentati

da prestazioni collegate ad operazioni svolte con l’estero, nei rapporti con Paesi extracomunitari,

e, per tale motivo, sono assoggettati ad un regime di NON IMPONIBILITÀ.

Servizi internazionali Nozione

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

312

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221

I SERVIZI INTERNAZIONALI

I servizi internazionali non imponibili sono disciplinati nell’art. 9 del D.P.R. n. 633/1972, il quale recepisce la normativa comunitaria di cui alla

direttiva 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE, come integrata e modificata dalle direttive comunitarie successive.

Gli articoli di riferimento per i servizi internazionali di cui alla direttiva n. 2006/112/CE, sono i seguenti: ü  144 (esenzione per i servizi connessi con l’importazione di beni); ü  146, par. 1, lett. d) (esenzione per i servizi di lavorazione su beni mobili importati) ü  146, par. 1, lett. e) (esenzione per i servizi, compresi i trasporti e le operazioni accessorie,

connessi alle esportazioni o importazioni di beni); ü  148, lett. d) (esenzione per i servizi destinati a sopperire ai bisogni delle navi); ü  148, lett. g) (esenzione per i servizi destinati a sopperire ai bisogni degli aeromobili); ü  153, par. 1 (esenzione per i servizi di intermediazione su operazioni di esportazione,

connesse ai trasporti internazionali e assimilate alle esportazioni).

Direttiva 28.11.2006 n. 2006/112/CE Fonti normative

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

313

I SERVIZI INTERNAZIONALI

I servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali di cui all’art. 9 del D.P.R. n. 633/1972 sono non imponibili e sono rilevanti ai fini del «plafond» e dell’acquisizione dello status di esportatore abituale (se resi nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa ex art. 9, comma 2)

Per effetto dell’entrata in vigore dal 1° gennaio 2010 delle nuove regole di territorialità delle prestazioni di servizi, introdotte per effetto della direttiva n. 2008/8/CE del 12 febbraio 2008, le stesse sono ora disciplinate unicamente nel D.P.R. n. 633/1972 e non più anche nel D.L. n. 331/1993 di cui vengono abrogate le disposizioni ad esse relative, con la conseguenza che non si configurano più i servizi intracomunitari non soggetti ad IVA (ex art. 46, comma 2, D.L. n. 331/1993 previgente) che, fino al 31.12.2009, davano diritto al «plafond» degli esportatori abituali (ex artt. 40, comma 9, e 41, comma 4, del D.L. n. 331/1993 previgenti).

Aumentano notevolmente le prestazioni di servizi fuori campo IVA

Regime di non imponibilità

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

314

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222

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Il regime di non imponibilità è applicabile esclusivamente alle prestazioni di servizi

che risultano effettuate nel territorio dello Stato ai sensi degli artt. da 7-ter a 7-septies, del D.P.R. n. 633/1972

e che, in quanto tali, rientrano nel campo applicativo dell’IVA

Le modifiche al regime di territorialità delle prestazioni di servizi in vigore dal 1° gennaio 2010, rendono necessario

«ridefinire» l’ambito di applicazione delle disposizioni di cui all’art. 9 del D.P.R. n. 633/1972

Circolare del 29.07.2011, n. 37/E, par. 5 Regime di non imponibilità

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

315

TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Regime di non imponibilità

Per le prestazioni di servizi generiche assoggettate alla regola base di territorialità di cui all’art. 7-ter, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972,

applicabile ai rapporti B2B (tra soggetti passivi IVA), secondo cui la rilevanza territoriale va verificata in relazione

allo STATO IN CUI È STABILITO IL COMMITTENTE, avviene che:

sono irrilevanti ai fini IVA i servizi resi nei confronti di committenti

stabiliti in altri Stati membri o Paesi extracomunitari,

anche se gli stessi rientrano in una delle fattispecie elencate nell’art. 9 del

D.P.R. n. 633/1972; si tratta di operazioni extraterritoriali

che, pertanto, non rilevano ai fini del «plafond»

le prestazioni di servizi rese da operatori esteri

(comunitari od extracomunitari) nei confronti di committenti stabiliti

nel territorio dello Stato, se rientranti nelle fattispecie

di cui all’art. 9 del D.P.R. n. 633/1972, continuano a configurare

operazioni non imponibili ai fini IVA

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

316

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223

Le note esplicative della Commissione europea del 26 ottobre 2015 sui servizi immobiliari a commento del Regolamento di esecuzione (UE) N. 1042/2013

IL CASO DELLE FIERE E DEI SERVIZI ACCESSORI

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

Il regime territoriale ai fini Iva applicabile alle prestazioni fieristiche, intese come SERVIZI RESI A SOGGETTI

che pagano un corrispettivo PER «PARTECIPARE», in senso lato, AD UN EVENTO FIERISTICO (come soggetti espositori od organizzatori),

ha da sempre dato luogo a problematiche interpretative, oltre che per le intrinseche difficoltà a classificarli in una precisa categoria di servizi,

anche per le differenti posizioni assunte dalle Amministrazioni fiscali dei diversi Stati membri

Prestazioni fieristiche Problematiche aperte

A decorrere dal 2011, per le prestazioni fieristiche rese nei rapporti B2B il dubbio riguarda il loro inquadramento come:

Servizi immobiliari disciplinati nella direttiva n. 2006/112/CE nell’art. 47

e nella normativa interna nel D.P.R. n.

633/1972 all’art. 7-quater, lett. a)

Servizi «generici» disciplinati nella direttiva n. 2006/112/CE nell’art. 44,

per i rapporti B2B e

nella normativa interna nel D.P.R. n. 633/1972

all’art. 7-ter, comma 1

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

318

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224

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

Sulla natura delle prestazioni di servizi relative agli immobili si è pronunciata più volte la Corte di giustizia, indicando criteri che, però, non si rivelano decisivi per individuarne l’esistenza con un sufficiente grado di certezza

Questo avviene, in particolare, quando un bene immobile espressamente determinato deve essere considerato come ELEMENTO COSTITUTIVO DI UNA PRESTAZIONE DI SERVIZI,

in quanto ne costituisce un ELEMENTO CENTRALE ed INDISPENSABILE

Giurisprudenza comunitaria sui servizi immobiliari

CRITERI

1. Il servizio deve presentare un NESSO SUFFICIENTEMENTE DIRETTO con un bene immobile

2. La prestazione di servizi deve essere COLLEGATA a un BENE IMMOBILE ESPRESSAMENTE DETERMINATO

3. La prestazione di servizi deve AVERE PER OGGETTO IL BENE IMMOBILE stesso

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

319

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

Le situazioni più complicate sono quelle dove l’uso diretto del bene immobile è un elemento che, unitamente ad altri, concorre a formare un servizio complesso percepito come prestazione economicamente e sostanzialmente unitaria nell’ottica del beneficiario

Tale situazione è quella che si presenta per i SERVIZI FIERISTICI, intesi come servizi complessi nella giurisprudenza della Corte di giustizia, il regime IVA dei quali implica notevoli problemi nei rapporti internazionali,

a causa delle differenti interpretazioni adottate dalle Amministrazioni fiscali dei diversi Stati membri

Servizi Fieristici

Giurisprudenza comunitaria sui servizi immobiliari

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

320

Page 226: IORNATA DI STDIO - formazionecommercialisti.org

225

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

Il nuovo regolamento d’esecuzione (UE) n. 1042/2013 del Consiglio del 7 ottobre 2013 (pubblicato sulla G.U.U.E. del 26.10.2013), con cui viene modificato il regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011, interviene direttamente sui servizi immobiliari e sulla nozione di bene immobile, dedicando ad essi due nuovi articoli aggiunti

nel testo del precedente regolamento n. 282/2011

L’obiettivo è garantire un trattamento fiscale uniforme alle prestazioni di servizi immobiliari, in considerazione delle diversità riscontrate nelle legislazioni e nelle prassi amministrative dei

singoli Stati membri Finalità del nuovo Regolamento

Regolamento d’esecuzione (UE) n. 1042/2013

Due nuovi articoli:

Articolo 13 ter Relativo alla definizione di “beni immobili”

Articolo 31 bis Relativo alla definizione dei servizi “relativi” a beni immobili, con i n d i v i d u a z i o n e d i e s e m p i c o s t i t u e n t i “ u n e l e n c o n o n esaustivo” (dodicesimo “considerando”)

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

321

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

L’entrata in vigore della nozione di bene immobile e della definizione delle prestazioni di servizi immobiliari

è stata posticipata dal legislatore comunitario tenendo conto delle … … “conseguenze rilevanti nella legislazione e sulle prassi amministrative degli Stati membri”

ai quali si è voluto “consentire una transizione agevole”

Ai sensi dell’art. 3 del nuovo regolamento di esecuzione (UE) n. 1042/2013, gli articoli 13 ter e 31 bis inseriti nel regolamento n. 282/2011, si applicano a decorrere DAL 1° GENNAIO

2017, invece che dal 1° gennaio 2015 (decorrenza ordinaria)

Regolamento d’esecuzione (UE) n. 1042/2013, diciottesimo “considerando”

Tuttavia, trattandosi di disposizioni aventi sostanzialmente valenza interpretativa, recependo, per molte fattispecie, principi interpretativi della normativa comunitaria già statuiti

nella giurisprudenza della Corte di giustizia, le nuove nozioni introdotte nel regolamento n. 282/2011, possono costituire un utile punto di riferimento per trovare soluzioni,

soprattutto quando non contrastanti con gli orientamenti già espressi dal giudice europeo

Regolamento d’esecuzione (UE) n. 1042/2013

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

322

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226

E’ AUSPICABILE UN CHIARIMENTO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

Il regolamento n. 1042/2013 disciplina anche la fattispecie dei servizi fieristici, annoverata nell’art. 31 bis, paragrafo 3, lett. e), fra quelle che NON COSTITUISCONO SERVIZI IMMOBILIARI, indicando «la messa a disposizione di stand in fiere o luoghi d’esposizione, nonché servizi correlati atti a consentire l’esposizione di prodotti, quali la progettazione dello stand, il trasporto e il magazzinaggio dei prodotti, la fornitura di macchinari, la posa di cavi, l’assicurazione e la pubblicità»

Il richiamo letterale alla «messa a disposizione di stand in fiere o luoghi d’esposizione» pare riferirsi alla specifica fattispecie oggetto della sentenza della Corte di giustizia del 27.10.2011, causa C-530/09, «Inter-Mark Group», riguardante i servizi di realizzazione, allestimento e locazione di stand fieristici, piuttosto che ai servizi connessi alla partecipazione alle fiere in senso lato, a prescindere dal loro livello di complessità, come sarebbe opportuno in un’ottica semplificatrice

RIMANGONO DUBBI SULLA NOZIONE DI SERVIZI FIERISTICI

I servizi fieristici

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

323

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

L’Agenzia delle entrate si è pronunciata una prima volta sulla nozione di «fiere ed esposizioni» con la circolare n. 37/E del 29.07.2011 (par. 3.1.4),

a commento delle nuove disposizioni sulla territorialità dei servizi, senza però offrire contributi interpretativi significativi e

senza delineare un quadro d’insieme esaustivo

L’Agenzia, infatti, sebbene nel paragrafo 7 della circolare n. 26/E affronti direttamente le problematiche del regime Iva applicabile agli «spazi espositivi e relativi servizi»

si limita, fondamentalmente, a richiamare la circolare n. 37/E del 2011, offrendo spunti interpretativi comunque «tarati» sulla specifica realtà di Expo 2015,

definita come un’«attività complessa», e quindi fondati su tale presupposto di partenza che induce a ravvisare, in linea generale, servizi «generici»

ex art .7-ter, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 e servizi ad essi accessori

Con la successiva circolare n. 26/E del 7 agosto 2014, diramata a commento delle questioni di carattere fiscale connesse a Expo 2015,

l’Agenzia perde l’occasione di esprimersi in modo compiuto ed organico sul tema, pur avendo a disposizione gli ulteriori elementi interpretativi

desumibili dal regolamento (UE) n. 1042/2013

La posizione dell’Agenzia delle entrate

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

324

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227

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

Il 26 ottobre 2015 la Commissione europea ha pubblicato le «Note esplicative sulle norme dell’UE in materia di Iva concernenti il luogo

delle prestazioni di servizi relativi a beni immobili che entreranno in vigore nel 2017» di cui al regolamento di esecuzione (UE) n. 1042/2013 del Consiglio

Come espressamente indicato nel documento, le «note esplicative non sono giuridicamente vincolanti e si limitano a fornire orientamenti pratici informali

sulle modalità di applicazione del diritto dell’UE secondo la Direzione generale della Fiscalità e dell’unione doganale della Commissione europea»

Giuridicamente NON vincolati

Tuttavia, le note esplicative costituiscono un utile strumento interpretativo cui gli operatori possono fare riferimento

Strumento interpretativo

Note esplicative della Commissione UE

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

325

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

«274. L’articolo 31 bis, paragrafo 3, lettera e), concerne le situazioni in cui la messa a disposizione di uno stand in fiere o luoghi d’esposizione è accompagnata da altri servizi correlati, definiti come non relativi a beni immobili. 275. Anche se la messa a disposizione di uno stand è accompagnata da un unico servizio correlato e i servizi sono prestati come un pacchetto di servizi, ciò è sufficiente affinché la prestazione rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 31 bis, paragrafo 3, lettera e), ovvero che sia assimilata alla prestazione di un servizio non relativo a beni immobili. Questo approccio è necessario, se si vuole garantire un’applicazione armonizzata di tale disposizione in tutta l’UE ed evitare una doppia o mancata imposizione».

Paragrafo 2.4.20.1

Servizio fieristico generico Note esplicative della Commissione UE

Affinchè il servizio «fieristico» sia considerato «generico» (ex art, 7-ter del D.P.R. n. 633/1972) e non «immobiliare» (ex art. 7-quater, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972) è necessario verificare contemporaneamente tre requisiti:

1. la messa a disposizione di uno stand

2. la messa a disposizione di uno o più «servizi correlati»

3. il fatto che i servizi correlati devono essere «atti a consentire all’espositore l’esposizione dei prodotti e la promozione dei suoi servizi o prodotti»

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

326

Page 229: IORNATA DI STDIO - formazionecommercialisti.org

228

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

«277. La “messa a disposizione di stand” consiste nel mettere temporaneamente una superficie delimitata e/o una struttura mobile (ad esempio una cabina, un banco o un bancone) a disposizione di un espositore ai fini della partecipazione a un’esposizione o fiera. Questo servizio non è considerato relativo a beni immobili ai sensi dell’articolo 31 bis, paragrafo 3, lettera e), nella misura in cui lo stand è messo a disposizione insieme ad “altri servizi correlati”, vale a dire nella misura in cui il prestatore del servizio non affitta semplicemente la nuda superficie ma fornisce piuttosto un pacchetto di servizi necessari all’espositore per la promozione temporanea dei propri prodotti o della propria attività».

Stand e servizi correlati

La messa a disposizione di uno stand 1

Affitto del solo immobile

NON rientra articolo 31 bis, paragrafo 3,

lettera e)

Messa disposizione di stand

con servizi correlati rientra

articolo 31 bis, paragrafo 3,

lettera e)

Note esplicative della Commissione UE

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

327

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

280. I «servizi correlati forniti insieme ad uno stand devono essere atti a consentire all’espositore l’esposizione di prodotti. I servizi menzionati sono la progettazione dello stand, il trasporto e il magazzinaggio dei prodotti, la fornitura di macchinari, la posa dei cavi, l’assicurazione e la pubblicità. L’elenco non è esaustivo, ma puramente indicativo. Altri tipi di servizi possono essere ricompresi dal riferimento fatto dall’articolo 31 bis, paragrafo 3, lettera e), a servizi correlati, purché atti a consentire l’esposizione di prodotti.».

2

Per distinguere la prestazione di servizi «complessa», classificabile tra i servizi generici, e la prestazione di servizi relativi ad un bene immobile, «occorre tener conto di tutte le circostanze di fatto dell’operazione, compresi i servizi inclusi implicitamente nel contratto, come la fornitura di elettricità, la connessione internet, il riscaldamento, l’aria condizionata, ecc.»

Si potrebbe dedurre che sono servizi «correlati» solo quelli idonei

a consentire all’espositore di svolgere la tipica funzione promo-pubblicitaria in fiera, mentre sarebbero servizi «accessori» alla

locazione della superficie (o struttura mobile) quelli necessari al

funzionamento della struttura (elettricità , riscaldamento, etc.) e, quindi,

strettamente connessi all’immobile

INTERPRETAZIONE NON CHIARA

I servizi correlati

I servizi relativi a un bene mobile

3

Note esplicative della Commissione UE

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

328

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229

REGOLAMENTO N. 1042/2013: FIERE E SERVIZI ACCESSORI

«281. I servizi sono considerati come altri servizi correlati alla messa a disposizione di uno stand ai sensi dell’articolo 31 bis, paragrafo 3, lettera e),

a prescindere dal fatto che siano prestati nell’ambito di un contratto (con la messa a disposizione dello stand)

o tramite contratti separati stipulati con il medesimo prestatore.

L’applicazione delle norme relative al luogo della prestazione del servizio non è pregiudicata da una modifica degli accordi contrattuali volta ad aggirare l’imposizione in una data giurisdizione».

Riflessi contrattuali

Viene evidenziata la possibilità di manovre elusive per manipolare gli aspetti sostanziali degli accordi attraverso soluzioni strumentali volte a indirizzare la tassazione

in un determinato Stato membro, come la suddivisione in contratti separati

Le possibili manovre elusive

Note esplicative della Commissione UE

IVA NELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO

329

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