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1 Signor Ministro, Signor Presidente della Regione, Signora Sindaca, Autorità civili, militari e religiose, Magnifici Rettori, Colleghi Professori, Ricercatori e Tecnici-Amministrativi, Collaboratori, Studenti, Signore e Signori, mi unisco al benvenuto espresso dal Magnifico R n ettore all’inaugurazione dell’anno accademico 2016-2017 del Politecnico di Torino. Riprendo l’intervento del Magnifico Rettore per incentrare il mio discorso sul paradigma di “Industria 4.0” e sulla creazione al Politecnico di Torino di uno dei Competence Center previsti dal recente piano nazionale. Nell’ambito di un tema ampio e complesso come “Industria 4.0” vorrei evidenziare come alla ricerca universitaria sarà chiesto di assumere un ruolo di primo piano nel far sì che le “breakthrough technologies” trovino applicazioni capace di creare ricchezza e ridurre i divari economici e sociali creatisi negli ultimi venti anni. Si tratta di un tema condiviso a livello mondiale, oggetto di consistenti programmi di ricerca avviati nel corso dell’ultimo quinquennio da molti paesi.. Per questo motivo nella discussione odierna su Industria 4.0 intendo riflettere sulle implicazioni poste circa il ruolo atteso di università e sistema della ricerca nel favorire sviluppo economico e sociale tramite il trasferimento di conoscenza verso il mondo dell’industria e del lavoro. Essendo i Competence Centers un punto di snodo fondamentale fra ricerca e industria nel piano Industria 4.0 messo a punto dal MISE, ritengo importante discutere sia le RAGIONI di una tale scelta, sia le MODALITA’ più opportune per la sua realizzazione. La storia ci può aiutare nel comprendere l’importanza di questo rapporto e a contestualizzarne l’evoluzione. Un primo punto di attenzione riguarda i tempi nella diffusione delle nuove tecnologie e nel modo in cui il mondo dell’industria è capace di metterne a frutto il loro impatto in contesti di forte discontinuità con il passato. Se consideriamo gli effetti avuti a fine Ottocento a seguito dell’introduzione dell’elettricità nelle fabbriche, si vede come essa non portò per circa 30 anni aumenti di produttività in molti paesi. Torino fu in Europa uno dei luoghi capace di valorizzare maggiormente l’apprendimento su questa breakthrough technology”. A Torino a inizio Novecento nacquero numerose imprese nel campo automobilistico (oggi le chiameremmo startup). A sostenerle vi furono molteplici fattori, come evidenziato dalle ricerche del collega Aldo Geuna, fra cui la decisione di investire sull’educazione di ampi strati della popolazione, le scelte di politica industriale, l’emergere di nuove tecnologie favorito dal sistema universitario, un sistematico spillover di conoscenze fra settori, un nuovo modo di produrre (e la relativa dialettica sociale che ne sarebbe scaturita). Questo ecosistema portò la città a recuperare il ritardo esistente rispetto ad altre regioni, e a raggiungere la Prolusione / Introductory lecture Emilio Paolucci Vice Rettore per il Trasferimento Tecnologico / Vice Rector for Technology Transfer

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Signor Ministro, Signor Presidente della Regione, Signora Sindaca, Autorità civili, militari e religiose, Magnifici Rettori, Colleghi Professori, Ricercatori e Tecnici-Amministrativi, Collaboratori, Studenti, Signore e Signori, mi unisco al benvenuto espresso dal Magnifico R n ettore all’inaugurazione dell’anno accademico 2016-2017 del Politecnico di Torino.

Riprendo l’intervento del Magnifico Rettore per incentrare il mio discorso sul paradigma di “Industria 4.0” e sulla creazione al Politecnico di Torino di uno dei Competence Center previsti dal recente piano nazionale. Nell’ambito di un tema ampio e complesso come “Industria 4.0” vorrei evidenziare come alla ricerca universitaria sarà chiesto di assumere un ruolo di primo piano nel far sì che le “breakthrough technologies” trovino applicazioni capace di creare ricchezza e ridurre i divari economici e sociali creatisi negli ultimi venti anni. Si tratta di un tema condiviso a livello mondiale, oggetto di consistenti programmi di ricerca avviati nel corso dell’ultimo quinquennio da molti paesi..

Per questo motivo nella discussione odierna su Industria 4.0 intendo riflettere sulle implicazioni poste circa il ruolo atteso di università e sistema della ricerca nel favorire sviluppo economico e sociale tramite il trasferimento di conoscenza verso il mondo dell’industria e del lavoro. Essendo i Competence Centers un punto di snodo fondamentale fra ricerca e industria nel piano Industria 4.0 messo a punto dal MISE, ritengo importante discutere sia le RAGIONI di una tale scelta, sia le MODALITA’ più opportune per la sua realizzazione.

La storia ci può aiutare nel comprendere l’importanza di questo rapporto e a contestualizzarne l’evoluzione. Un primo punto di attenzione riguarda i tempi nella diffusione delle nuove tecnologie e nel modo in cui il mondo dell’industria è capace di metterne a frutto il loro impatto in contesti di forte discontinuità con il passato. Se consideriamo gli effetti avuti a fine Ottocento a seguito dell’introduzione dell’elettricità nelle fabbriche, si vede come essa non portò per circa 30 anni aumenti di produttività in molti paesi. Torino fu in Europa uno dei luoghi capace di valorizzare maggiormente l’apprendimento su questa “breakthrough technology”. A Torino a inizio Novecento nacquero numerose imprese nel campo automobilistico (oggi le chiameremmo startup). A sostenerle vi furono molteplici fattori, come evidenziato dalle ricerche del collega Aldo Geuna, fra cui la decisione di investire sull’educazione di ampi strati della popolazione, le scelte di politica industriale, l’emergere di nuove tecnologie favorito dal sistema universitario, un sistematico spillover di conoscenze fra settori, un nuovo modo di produrre (e la relativa dialettica sociale che ne sarebbe scaturita). Questo ecosistema portò la città a recuperare il ritardo esistente rispetto ad altre regioni, e a raggiungere la

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massa critica necessaria per diventare un cluster industriale di riferimento nel panorama mondiale. Tale legame è ancora visibile oggi nella sede che il Politecnico ha presso il Lingotto e nella sua forte tradizione di ricerca in ambito automotive che si rinnova con il relativo Centro Interdipartimentale e la partecipazione alla KIC europea sulla “Urban Mobility”.

Nel suo complesso lo sviluppo della Seconda Rivoluzione Industriale si portò dietro trasformazioni epocali nell’economia e nella società. Il paradigma del fordismo da inizio Novecento agli anni Novanta contribuì ad aumentare la quota del PIL mondiale dei paesi del G7 dal 40% al 70% circa. Negli ultimi venti anni abbiamo compiuto il percorso inverso (ovvero la quota del PIL mondiale dei paesi del G7 è passata dal 70% al 40% circa). Vi sono diverse spiegazioni tecnologiche, economiche e istituzionali di tale discontinuità, tra cui la capacità favorita dall’Information Technology di coordinare processi produttivi a distanza, riorganizzare le filiere di produzione su scala mondiale traendo vantaggi da differenziali nel costo del lavoro. Se confrontiamo le serie storiche sulla crescita produttività, di questa capacità sembra essere stata soprattutto l’Europa a non trarne vantaggio, anche per via della sua limitata capacità di favorire la crescita o la sopravvivenza di grandi fornitori di ICT. La slide 4 mostra infatti che il recupero della produttività dell’Europa rispetto agli Stati Uniti si è interrotto circa 20 anni fa, momento in cui è si è anche fermata la crescita della produttività italiana. Tale DIVERGENZA si manifestò a partire dal momento in cui il World Wide Web iniziò a cambiare la struttura dell’economia globale, velocizzando l’accesso alle informazioni disponibili, e intermediando i processi di generazione di conoscenza. Appare evidente la difficoltà delle imprese italiane nel confrontarsi con questo cambiamento tecnologico e nell’acquisire le competenze da esso richieste. Riguardo tale fenomeno non si può dimenticare come la ricerca in Europa pur essendo di elevata qualità oggi si caratterizzi per una strutturale difficoltà ad avere un impatto sostanziale in termini di applicazione, fenomeno indicato come European Paradox. Anche l’andamento di margini di profitto e volumi di produzione nei paesi a maggiore tradizione manifatturiera ha manifestato negli ultimi due decenni una significativa divergenza. Pur essendo l’accesso alle tecnologie disponibile in modo omogeneo, la diversità di percorso intrapreso dai settori manifatturieri di USA, Italia, Germania e Francia, conferma l’esistenza di modelli alternativi di rapporto fra produzione, ricerca, sviluppo tecnologico e del capitale umano. Questi dati dimostrano come i diversi livelli di investimento congiunto in conoscenze e tecnologie in alcuni paesi abbiano portato ad risultanti che non dipendono dai livelli di costo del lavoro.

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Questi pochi fatti ci indicano una significativa discontinuità portata dal paradigma tecnologico di Industria 4.0, dovuta questa volta non tanto ad una singola tecnologia, quanto ad una pluralità di tecnologie complementari in cui produttività e capacità di innovazione sono determinate dalla capacità di raccogliere ed elaborare rapidamente informazioni provenienti dal mondo della progettazione e della produzione. Tale paradigma porta con sé anche una crescente difficoltà nell’utilizzo delle nuove tecnologie da parte di una parte ampia della società, con la creazione di significative ed evidenti differenze sociali ed economiche.

A guidare la trasformazione della Quarta Rivoluzione Industriale è quindi il ruolo di informazione e conoscenza quali fattori di produzione. La digitalizzazione dei processi produttivi è partita dai settori information intensive (banche e finanza, musica, editoria, advertising, ecc.) e si è allargata ad alcuni settori “fisici” (turismo, hotel, trasporto, ecc.) e alle relazioni fra persone (social networks).

L’elemento di novità di Industria 4.0 riguarda gli ambiti di digitalizzazione di tutte le attività produttive, che si estendono a settori fino ad ora considerati come “medium tech”, e che rappresentano il cuore della specializzazione produttiva italiana. Si tratta di ambiti produttivi diffusi su tutto il territorio nazionale, che garantiscono un elevato numero di posti di lavoro a individui con competenze molto differenziate. In assenza di una robusta iniezione delle tecnologie prima elencate sarà difficile per questi ambiti sopravvivere alla competizione. In parallelo prodotti ritenuti “meccanici” evolvono secondo nuove traiettorie tecnologiche (ad esempio l’automobile incorpora oggi 40 milioni di linee di codice). I confini fra prodotto e servizio diventano labili, con implicazioni non ancora chiare, con un peso comunque crescente dell’Information Technology come strumento di controllo della componente hardware dell’industria. Questo fenomeno evolutivo ha portato alcune imprese percepite come “IT-based” a vendere oggi prodotti fisici (occhiali, orologi, servizi di logistica e forse automobili…). Le nuove tecnologie consentono infine la produzione di oggetti prima non ottenibili e/o una trasformazione radicale di oggetti esistenti. Ad esempio le attività di ricerca congiunte fra Avio Aero ed il Politecnico di Torino sull’uso dell’additive manufacturing nella produzione di nuovi motori di aereo hanno contribuito ad un tasso di sostituzione di circa 100 a 1 fra vecchi e nuovi, con processi di progettazione molto più complessi e la sostanziale scomparsa delle fasi di prototipazione.

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Non di meno vi sono altre discontinuità rispetto al passato da affrontare: • L’adozione del paradigma di “Industria 4.0” deve avvenire su larga scala, e

questo è più difficile per l’Italia che per la Germania, data la diversadimensione media delle imprese e la maggiore conseguente difficoltà a creareawareness e a realizzare investimenti sempre più complessi. Ladiversificazione produttiva italiana rende difficili scelte nette nell’indirizzaregli investimenti, ma è parimenti arduo fare delle scelte a priori. Non di menonon è pensabile che il sistema delle imprese possa sviluppare da solo le nuoveconoscenze ad esso richieste.

• Dati, conoscenza e competenze costituiscono un fondamentale fattore diproduzione su cui si concentra la competizione in termini di capacità digenerare, raccogliere e analizzare grandi moli di dati, e di trasformazione deiprocessi decisionali a livello di fabbrica. Si tratta di processi capital intensive,e questo porta svantaggi strutturali alle PMI. Inoltre, dati e algoritmi utili pergestire la produzione possono non risiedere più nella stessa organizzazione eaddirittura nella stessa nazione, relegando chi produce ma non controlla datie software della sua produzione a una posizione marginale nella filiera e nellagenerazione di valore economico.

• L’Italia si presenta a questa sfida come una delle principali nazionimanifatturiere, con tuttavia una percentuale di laureati in tale settore inferiorealla media mondiale, dimostrando una sostanziale debolezza strutturale chepotrebbe peggiorare nei prossimi anni.

La necessità di modificare in modo strutturale il paradigma di produzione e trasferimento di conoscenze e competenze introduce il tema delle modalità con cui fare fronte a questa sfida. Tenuto conto dell’intensità e rapidità del cambiamento dei modi di produrre, come università non possiamo che lavorare per evitare e eliminare asimmetrie e divergenze nella distribuzione e nell’accesso alle conoscenze. A questo fine che fa riferimento la costituzione del Competence Center che porta con sé alcune novità segno della discontinuità rispetto al passato:

• La necessità di creare luoghi fisici “aperti” in cui far convergere e coesistere irisultati della ricerca scientifica e tecnologica e le esigenze del sistemaproduttivo. La contiguità fisica è necessaria per combinare e crearecomplementarietà tra alcune delle breakthrough technologies viste prima,adattandole a diversi ambiti e processi produttivi, coerentemente con lelogiche di Trasferimento Tecnologico che l’Ateneo si è dato.. L’additivemanufacturing ad esempio ha bisogno che vengano sviluppati in paralleloHigh Performance Computing, Internet of Things, Intelligenza Artificiale e bigdata. Al fine di tenere conto dell’evoluzione delle Breakthrough Technologies edi raggiungere una massa critica adeguata, su di esso verrano anche fatteconvergere gli investimenti dei Centri Interdipartimentali presentati inprecedenza.

• La capacità di far crescere la scala degli investimenti della ricerca e la lorofocalizzazione, aumentando la capacità di confronto a livello internazionale.

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La scala subottimale attuale limita lo sviluppo e l’accesso alle nuove tecnologie.

• La comprensione degli standard internazionali nella fase di sviluppo ed applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, per evitare di avviare traiettorie di sviluppo tecnologico senza futuro.

Il Competence Center dovrà aiutare la collaborazione multidisciplinare fra ambiti di ricerca specialistici, la sperimentazione di nuove complementarietà fra tecnologie, la collaborazione con gli early adopters locali e la condivisione con loro di investimenti. Tutto ciò riprende e sviluppa le scelte fatte negli ultimi 20 anni con la costruzione della Cittadella Politecnica e della localizzazione in essa dell’Incubatore e di attività congiunte con le imprese. Ci si attende in sintesi che esso migliori la capacità del Politecnico di trasferire la conoscenza generata dalla ricerca scientifica, per farla convergere su ambiti applicativi differenziati in modo continuo e strutturale, includendo giovani, PMI ed il mondo della formazione pubblica. Il Competence Center vedrà la compresenza di «hardware» e «software» al fine di superare la «dualità» esistente oggi fra ICT e manifatturiero. L’ambito industriale di riferimento sarà l’automotive, e verrà via via allargato ai settori ad esso correlati; l’attenzione sulle tecnologie sarà ad ampio spettro (materiali, macchine, metodi di progettazione, laser, software, ecc.) al fine di cogliere tutti i punti di cambiamento. L’Additive Manufacturing sarà la tecnologia abilitante centrale in questo processo, ma l’obbiettivo è quello di sviluppare le complementarietà con le tecnologie prima citate, al fine di dare vita a sistemi di produzione ad alta efficienza energetica e basso impatto ambientale. Dal punto di vista del ciclo delle tecnologie sarà caratterizzato dalla compresenza di tecnologie di frontiera con uno stadio di maturità “intermedio” (TRL >=5) per supportarne l’industrializzazione tramite «Demo» e «Proof of Concept» fatti con le imprese. Come misura di accompagnamento strutturale sono stati anche previsti nuovi strumenti per rendere disponibile alle imprese in modo strutturato il portafoglio brevettuale del Politecnico. In tempi brevi il Competence Center sarà esteso a «rete» a livello regionale ed europeo. Essendo il Piemonte una delle regioni europee per maggiore capacità di brevettazione in nuovi ambiti tecnologici, verrà posta l’attenzione anche su settori correlati come l’aeronautico, il ferroviario, il biomedicale, l’agricoltura e l’alimentare. A livello territoriale il Competence Center opererà di concerto con il governo regionale per il pieno coinvolgimento dei diversi attori del territorio. Le

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competenze dell’Università di Torino saranno un utile completamento in alcuni ambiti specialistici, e la collaborazione in tal senso è già stata avviata. La relazione con il Digital Innovation Hub, promosso da Confindustria Piemonte, sarà importante per consentire alle PMI di accedere e selezionare conoscenze ed esperienze che non possono altrimenti essere acquisite. Con le grandi imprese (ed avremo dopo il mio intervento un esempio di questo) la collaborazione riguarderà progetti di ampio respiro, con la capacità di sviluppare nuove competenze da diffondere su larga scala. Vorrei concludere con il ruolo di attenzione che il Competence Center dovrà avere verso il fattore umano come punto centrale di Industria 4.0, alla luce dell’accresciuta importanza delle competenze degli individui, del cambiamento dei modelli formativi e dell’emergere di nuovi modelli di organizzazione del lavoro capaci di superare il fordismo. Anche questo aspetto ha una importante valenza territoriale. L’accumulo di competenze e conoscenze in un territorio determina anche qualità e numerosità dei posti di lavoro, nonché la loro collocazione geografica (come espresso da Enrico Moretti in “The New Geography of Jobs”) e la loro distribuzione su tutti i livelli della società, generando maggiore ricchezza e coesione sociale. Credo i dati visti in precedenza evidenzino il fattore umano come il vero elemento differenziante fra paesi, e credo sia difficile porre rimedio ai processi di divergenza economica e sociale se la ricerca universitaria se ne dimenticasse. Non vorrei limitare questo aspetto al solo tema al ruolo della tecnologia nella creazione o distruzione di posti di lavoro; il tema è complesso e non credo sia questo il luogo per affrontarlo. Tuttavia è certo Industria 4.0 sta generando una radicale trasformazione del concetto di lavoro, di rottura rispetto al passato su molti aspetti. Le tecnologie di industria 4.0 offrono l’opportunità di rendere il lavoro più sostenibile dal punto di vista cognitivo, fisico e delle relazioni sociali. Sono quindi tre i temi che ritengo saranno centrali nell’attività del Competence Center:

- La progettazione di luoghi di lavoro sostenibili, finalizzata a garantire sicurezza, salute e benessere. Già oggi la ricerca del Politecnico affronta tali temi che riguardano un insieme di discipline che vanno dall’ergonomia, al confort ambientale, alla progettazione degli strumenti di lavoro e delle modalità di assemblaggio, alla progettazione di fabbriche capaci di essere sostenibili nel lungo periodo.

- La progettazione del cambiamento dei contenuti del lavoro e dell’apporto cognitivo dei singoli, che verrà accelerato dall’uso di algoritmi e “big data” in fabbrica. Il lavoro nell’assemblaggio non sparirà, anzi sta diventando maggiormente qualificato vista la complessità concettuale e manuale

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richieste, di cui robot e Intelligenza Artificiale potranno difficilmente appropriarsi. Sarà importante studiare il modo con cui la tecnologia cambierà le attività degli individui (meno fatica fisica e maggiore stress mentale per semplificare) e le competenze tecniche loro richieste. I fatti dimostrano come il superamento del fordismo stia causando l’abbattimento dei muri fra “chi sa” (ingegneri e specialisti) e “chi fa” (operai), con la compenetrazione a livello micro organizzativo tra saperi diversi.

- La progettazione di nuovi percorsi di formazione in logica life long learning capaci di includere tutti. I requisiti di istruzione e formazione tecnica nelle fabbriche sono aumentati (con un generale upskilling già oggi visibile) e creando nuove opportunità professionali. Il processo di cambiamento dovrà essere sostenuto in modo strutturale sia con giovani laureati e diplomati, sia con la formazione di chi è già nel processo produttivo, al fine di garantire equità ed inclusione sociale.

Concludo cercando di fissare l’attenzione su due aspetti. Il primo è relativo al fatto che il Competence Center rappresenta un ulteriore passo nel percorso di definizione della relazione futura fra ricerca e società, segnando una discontinuità necessaria per garantire l’accesso alle nuove conoscenze. Il secondo riguarda la necessità di lavorare rapidamente su quelli che sono i fattori critici di successo del Competence Center, ovvero la necessità di condividerne l’indirizzo strategico con il territorio, di assicurare la collaborazione fra istituzioni, la libertà di accesso e di trasferimento delle conoscenze, la garanzia di risorse finanziarie sufficienti e continue nel tempo, la capacità di assumere rischi e di avere una chiara visione del cambiamento del lavoro e dei suoi contenuti.

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