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U NIVERSITÀ DEGLI STUDI DI C AMERINO SCUOLA DI SCIENZE E TECNOLOGIE Sezione di Fisica Corso di Laurea in Fisica (classe25) TITOLO TESI Interazione degli elettroni in un bersaglio sottile: studio della correlazione tra la sezione d’urto per scattering coulombiano e la perdita di energia per ionizzazione. Elaborato finale in Fisica Nucleare Laureando Relatore Francesco Nasuti Stefano Simonucci Correlatore Alessandro Saltarelli Leonardo Guerro ANNO ACCADEMICO 2011 / 2012

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAMERINO

SCUOLA DI SCIENZE E TECNOLOGIE

Sezione di Fisica

Corso di Laurea in Fisica (classe25)

TITOLO TESI

Interazione degli elettroni in un bersaglio sottile: studio della correlazione tra la sezione d’urto per scattering

coulombiano e la perdita di energia per ionizzazione.

Elaborato finale in Fisica Nucleare

Laureando Relatore

Francesco Nasuti Stefano Simonucci

Correlatore

Alessandro Saltarelli

Leonardo Guerro

ANNO ACCADEMICO 2011 / 2012

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A Dina e DavideA Dina e DavideA Dina e DavideA Dina e Davide

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Indice

Indice Introduzione pag. I

Capitolo 1 Interazione di particelle cariche con la materia pag. 1

1.1 Lo scattering delle particelle cariche nella materia pag. 1

1.2 La sezione d'urto di Rutherford pag. 1

1.3 La formula di Bethe - Block pag. 8

1.4 Rivelatore a semiconduttore pag. 20

Capitolo 2 Geant4 pag. 30

2.1 Il toolkit Geant4 pag. 31 Cenni storici Il ruolo dell’ingegneria del software in Geant4

2.2 Le principali componenti di Geant4 pag. 35 Il kernel La descrizione dell’apparato sperimentale I processi fisici Interazione elettromagnetica:

− Fisica adronica − Fotoni ottici − Componenti ausiliari

2.3 La fisica elettromagnetica Low Energy di Geant4 pag. 40 Modelli fisici per elettroni e fotoni Modelli fisici per adroni e ioni

2.4 Sviluppo di un’applicazione basata su Geant4 pag. 42 Mandatory user classes Optional user classes

Capitolo 3 Distribuzione della perdita di energia per ionizzazione pag. 44

3.1 Equazione del trasporto pag. 44

3.2 Risoluzione numerica dell’equazione del trasporto pag. 49

3.3 Distribuzioni di Landau, Vavilov e Sperimentale pag. 53

Appendice pag. 62

Codice dei programmi di simulazione pag. 62

Bibliografia pag. 63

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Introduzione

I

Introduzione Uno dei problemi fondamentali della fisica nucleare sperimentale è legato alla misura degli elettroni e alla determinazione del peak shape sul rilevatore. Per i motivi che saranno chiariti più avanti, a differenza di

quanto avviene nei picchi γ, in cui si hanno forme gaussiane di FWHM corrispondente alla risoluzione del rilevatore, nel caso degli elettroni hanno una forma non gaussiana. In quest’ultimo caso infatti, la forma del picco è determinata oltre che dalla risoluzione del rilevatore anche dalla dispersione energetica degli elettroni nel target. Questo determina la forma asimmetrica del picco: la larghezza a metà altezza a sinistra del centroide risulta maggiore di quella destra. L’esperienza nell’analisi dati, ha mostrato che la funzione che meglio rappresenta questa forma è:

( ) 22

2 22

2 2

0

( )1,

22 2

0 0E E E E E

0 00

A E Epeak E A p E e dE e Erfc

σ

τσ τ

σ τ

τ

τπ σ σ τ

′− − −+∞ − −⋅ ⋅

+ − ⋅ ′ ′= ⋅ ⋅ ⋅ = ⋅ ⋅ ⋅⋅ ⋅⋅

⋅ ⋅ ∫

dove 1,E

p E e ττ τ

′−− ′ =

(I.1)

Fig.I.1 Plot della funzione peak[E] con xc=1000 KeV, A0=1, σ=1.5 KeV e τ=2 KeV Inoltre

• il parametro σ, come abbiamo detto, dipende dalla risoluzione del rivelatore; • E0, l’energia con cui l’elettrone viene emesso: questa è determinata dalla transizione γ

corrispondente meno l’energia di estrazione degli elettroni dalle corrispondenti shell (K, L, M ).

• τ è legato alla perdita di energia nel bersaglio: dato che le principali interazioni tra gli elettroni e gli atomi del target, a queste energie, sono dovute essenzialmente alle interazioni coulombiane, il parametro τ dipenderà dall’energia degli elettroni e dal valore Z del target.

L’obbiettivo di questo lavoro è quello di determinare in modo quantitativo il parametro τ. In questo modo, avendo determinato a priori tre dei quattro parametri (cioè E0, σ, τ) rimarrà da fittarne uno solo cioè A0 legato alla intensità di emissione degli elettroni. Ciò renderà più semplici e credibili anche i fit su picchi non risolti, cioè costituiti da una convoluzione di molti picchi della forma suddetta.

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Introduzione

II

Come esempio di quanto sopra detto, possiamo considerare lo spettro di elettroni ottenuto da una misura sotto fascio della reazione seguente:

20484

11 1975 79

20384

4 n

55

5 n

Po +

B + Au @ MeV

Po +

ր

ց

(I.2)

e del conseguente decadimento β+ del Polonio in Bismuto ed in Piombo.

Fig.I.2 Spettro sotto fascio di elettroni ottenuti dalla reazione (I.2)

Se anche non tenessimo conto dell’emissione degli elettroni di conversione delle shell più esterne (cioè L e M, che risultano effettivamente meno probabili ) e ci focalizzassimo quindi solo sull’emissione degli elettroni dalle shell K, lo spettro risulterebbe comunque alquanto complesso da analizzare. Dato che il problema che stiamo approcciando è risultato essere sin da subito non banale e considerato che i dati sperimentali in nostro possesso sono in beam (quindi in condizioni sperimentali complicate) e si riferiscono a target con numero atomico estremamente elevato (Z=79 per l’Au), abbiamo approcciato la questione in modo più semplice. Il software GEANT4, sviluppato al CERN negli anni’80, allo scopo di prevedere i risultati degli esperimenti in alte energie (e questo con il duplice scopo di dimensionare i detector e di avere una idea della loro risposta ai complicatissimi eventi prodotti dal LEP), ci consente di realizzare, tramite calcolatore, esperimenti quasi ideali. Cioè ci permette di eliminare dai nostri spettri tutte quelle righe non strettamente legate al fenomeno di emissione elettronica che vogliamo studiare e la cui presenza ci impedirebbe di avere un confronto immediato con i dati sperimentali.

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Introduzione

III

Nella seguente figura I.3 vediamo la simulazione, fatta con GEANT4, del picco di energia a 884 KeV, emesso attraverso uno strato di 20 µm di 197Au.

Fig.I.3 Spettro di elettroni ottenuti tramite simulazione GEANT4 della reazione (I.2): in rosso il picco relativo al 204Po Nel primo capitolo si richiamano i principali risultati sull’interazione tra particelle cariche e materia, focalizzando l’attenzione sulla formula di Bethe - Block per la perdita di energia delle particelle in strati spessi. L’ultimo paragrafo è dedicato ad introdurre alcune principali caratteristiche dei rilevatori a semiconduttore. Nel secondo capitolo sono forniti gli elementi strutturali del codice di simulazione GEANT4 che, come sopra menzionato, verrà utilizzato per testare la bontà dei risultati teorici circa l’andamento della funzione di distribuzione della perdita di energia nella materia. Infine nel terzo capitolo si cercherà di determinare tale funzione di distribuzione, considerando la perdita di energia nella materia come un processo statistico descritta dall’equazione del trasporto, come proposto da Landau nel suo articolo del 1944 [1]. La soluzione analitica dell’equazione del trasporto, trovata da Landau in [1], è illustrata anche nella versione proposta da Vavilov in [2]. Si proporrà una soluzione dell’equazione del trasporto per via numerica, attraverso un codice scritto in Mathematica 8 della Wolfram, basato su una formula empirica della sezione d’urto per scattering di elettroni nella materia. Successivamente definiremo la probabilità che l’elettrone perda energia in un intervallo infinitesimo

[ ], dε ε ε+ nel bersaglio, a partire dalla sezione d’urto per ionizzazione da collisioni elettroniche.

Utilizzando tale probabilità nella soluzione dell’equazione del trasporto, otterremo una funzione di distribuzione Sperimentale. Da ultimo confronteremo la distribuzione Sperimentale con quelle determinate da Landau e Vavilov, nonché con i risultati degli esperimenti quasi ideali determinati con il GEANT4. La formula di Bethe-Block ci spiega come le particelle cariche perdano energia in strati spessi di materia, cioè nella situazione in cui il fascio viene completamente assorbito dal target.

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Introduzione

IV

Come si è visto nell’esempio (I.2), in cui abbiamo uno strato di oro di 20 µm, la funzione di distribuzione della perdita di energia delle particelle cariche nello strato diventa fondamentale. Dunque prevederne la forma diventa di estrema importanza per calcolare quanta energia gli elettroni dissipano all’interno del target. Dato che questa dipende dall’andamento della sezione d’urto in funzione dell’energia degli elettroni, una parte cospicua di questo lavoro è dedicato alla sua determinazione o in modo analitico (vedi Landau e Vavilov) o in modo numerico come in [3].

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 1

- 1 -

Capitolo 1: Interazione di particelle cariche con la materia

1.1 Lo scattering delle particelle cariche nella materia

Si consideri una particella di carica z che attraversa un materiale di numero atomico Z; per fissare le idee, un protone (di massa 938 MeV/c2) che attraversa uno strato di alluminio. Lungo la sua traiettoria il protone incontra atomi di alluminio, quindi nuclei circondati dalla loro nube elettronica: il protone interagisce elettricamente sia con gli elettroni sia con il nucleo. Se per semplicità approssimiamo che il sistema formato dalla particella incidente e dall’atomo bersaglio è isolato, quindi nell’urto si conserva la quantità di moto totale e l’energia. Poiché gli elettroni sono molto più leggeri dei nuclei, accade che le particelle incidenti trasferiscono energia negli urti elettronici, senza apprezzabilmente deviare dalla loro traiettoria. Viceversa, negli urti con i nuclei le particelle, oltre a perdere energia, subiscono apprezzabili deviazioni rispetto alla direzione incidente. Talvolta gli elettroni atomici ricevono una quantità di energia tale da essere strappati dall’atomo, che resta così ionizzato. Altre volte invece l’atomo viene semplicemente eccitato ma non ionizzato. In ogni caso per questi processi è fornita dell’energia dalla particella incidente, che pertanto viene rallentata. Se la particella incidente è un elettrone (di massa 0.511 MeV/c2), il tipo di interazione coulombiana con gli elettroni e i nuclei del mezzo è la stessa; ma in questo caso, avendo l’elettrone una massa confrontabile con quella dei bersagli, può subire deflessioni rilevanti rispetto alla direzione di volo. Durante l’urto inoltre decelera maggiormente: infatti, a parità di interazione essendo molto più leggero dei protoni, subisce un’accelerazione (inversamente proporzionale alla massa) estremamente più intensa. Dall’elettromagnetismo classico si sa che una carica elettrica accelerata irraggia energia elettromagnetica al ritmo di:

2

23

23em

dE eW a

dt c= = ⋅ ⋅ (formula di Larmor) (1.1.1)

proporzionale al quadrato della sua accelerazione. Quindi gli elettroni, nelle interazioni con la materia, perdono energia anche per irraggiamento; il termine usato è bremsstrahlung (di origine tedesca) che vuol dire appunto radiazione di frenamento. Nel seguito di questo capitolo esamineremo entrambi questi processi: ionizzazione o eccitazione degli atomi ed irraggiamento. Come abbiamo visto, in entrambi i casi si tratta d’interazioni atomiche: i processi nucleari (che pure avvengono) hanno sezione d’urto 105 volte minori di quelli elettroniche, per cui si possono trascurare. 1.2 La sezione d'urto di Rutherford

Si consideri un fascio uniforme di particelle non interagenti, monoenergetico, incidenti su di un target costituito da n centri di diffusione (scattering). Assumeremo i centri di scattering, sufficientemente separati, di modo che ogni processo di collisione coinvolga uno solo di tali centri. Il fascio di particelle di massa m raggiunge il target dall’infinito con velocità iniziale di modulo v0 e con direzione parallela all’asse Z. Indichiamo con I0 il flusso delle particelle incidenti (numero di particelle che attraversano l’unità di superficie nell’unità di tempo) e con dNɺ il numero delle particelle che vengono diffuse per unità di tempo in un piccolo angolo solido dΩ , centrato intorno alla direzione ( ),Ω θ φ≡ rispetto all’asse Z, come rappresentato nella

seguente figura 1.2.1.

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 1

- 2 -

asse Z

(θ φ)I0

Fig.1.2.1 Geometria di scattering: fascio incidente, target e fascio diffuso nell’angolo solido dΩ centrato

intorno alla direzione (θ, φ) Nelle condizioni sperimentali appena descritte, il numero dNɺ delle particelle emergenti per unità di tempo nell’angolo solido dΩ è proporzionale a I0, n e dΩ . Si può dunque scrivere: 0dN I n ( , )dσ θ φ Ω=ɺ (1.2.1)

dove, con ( , )σ θ φ , abbiamo indicato il fattore di proporzionalità che spesso viene scritto nella seguente notazione differenziale:

d ( , )

( , )d

σ θ φσ θ φ Ω≡ (1.2.2)

In definitiva la sezione d’urto differenziale può essere definita come il rapporto tra il numero dNɺ di particelle diffuse in un angolo solido dΩ (per unità di tempo, di angolo solido e di centro diffondente) sul flusso di particelle incidenti I0:

0 0

11

dNnd ( , ) dNd

d I nI dσ θ φ Ω

Ω Ω⋅

= = ⋅ɺ

ɺ (1.2.3)

Integrando la sezione d’urto differenziale su tutto l’angolo solido si ottiene una quantità (avente le dimensioni di un’area) che è proporzionale alla probabilità che si abbia una diffusione elastica secondo un angolo qualsiasi. La nozione di sezione d’urto non è limitata allo scattering elastico, ma si applica anche allo scattering anelastico e ai vari tipi di reazioni nucleari. Quando i processi possibili sono più di uno la probabilità che si abbia un’interazione è proporzionale alla sezione d’urto totale, σt, che è la somma delle sezioni d’urto relative ai singoli processi. Consideriamo lo scattering coulombiano di tipo elastico di una di particella di massa m e carica ze, soggetta ad un campo di forza centrale (scattering Rutherford), dovuto alla presenza del nucleo target, considerato infinitamente massivo rispetto al proiettile e di carica Ze. La traiettoria della diffusione è tipo quella rappresentata in figura 1.2.2.

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 1

- 3 -

asse Z

θ

p ize

p f

asse Y

br β

bisettrice

b

| pi |=m v0

| p f |=m v0

∆ p

θ12(π−θ)

m v0 sen θ2θ2

Fig.1.2.2 Traiettoria di una particella sottoposta allo scattering Rutherford

Lo scattering ha simmetria cilindrica intorno all’asse del fascio (asse Z), in quanto la forza di Coulomb è simmetrica, ciò rende la sezione d’urto indipendente dall’angolo φ. Possiamo dunque riferirci ad una geometria anulare come mostrato in figura 1.2.3, dove particelle incidenti con parametro d’urto tra b e b+db sono diffuse in un anello individuato dagli angoli θ e θ+dθ.

asse Z

b

db

θ

Fig.1.2.3 Geometria anulare di scattering: particelle entranti nell’anello tra b e b+db sono distribuite

uniformemente lungo un anello di larghezza angolare dθ Come vedremo classicamente ad ogni angolo di diffusione corrisponde un determinato valore del parametro d’urto, dunque possiamo esprimere la sezione d’urto in termini del parametro b. Infatti il numero delle particelle che incidono per secondo con parametro d’urto compreso tra b e b+db è dato da 02dN I b dbπ=ɺ . Conseguentemente dalla (1.2.3) la sezione d’urto differenziale per un

singolo centro di scattering diventa:

0

0

212I b dbd ( ) b db

d I sen d sen dπσ θ

Ω π θ θ θ θ= ⋅ = ⋅ (1.2.4)

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 1

- 4 -

in cui abbiamo considerato 2d sen dΩ π θ θ= , cioè sen d dθ θ φ integrata su φ.

Dobbiamo ora trovare la relazione tra il parametro d’urto b e l’angolo di diffusione θ. Allora osservando la figura 1.2.2, dove la posizione del nucleo diffondente è fissata nell’origine del sistema di riferimento, avremo che il momento lineare netto della particella diffusa cambia solo in direzione. Infatti, lontano dal centro diffondente, il modulo della quantità di moto resta invariato, cioè pari a 0mv (questa è una diretta conseguenza dell’aver assunto che la massa del

target sia infinitamente maggiore rispetto a quella del proiettile). Guardando sempre la figura 1.2.2, il cambiamento della quantità di moto, è un vettore il cui modulo è:

( )02 2f ip p p mv sen∆ θ= − =

(1.2.5) e la cui direzione è la bisettrice dell’angolo (π-θ). Dalla relazione tra la variazione della quantità di moto e l’impulso della forza, dp=Fdt, avremo:

2

2

0

14z Z e

p dp Fdt cos dtr

∆ βπ ε⋅= = =∫ ∫ ∫ (1.2.6)

dove β é l’angolo tra la bisettrice ed il vettore istantaneo r

, che localizza la particella lungo la

sua traiettoria. Il carattere centrale della forza, ha come conseguenza la conservazione del momento angolare,

l r mv≡ ×

. Considerando ora la velocità istantanea v

, espressa in coordinate polari, cioè:

dr d ˆ ˆˆ ˆv r r r r rdt dt

β β β β= + = + ɺɺ (1.2.7)

dove r e β sono rispettivamente i versori radiali e tangenziali, avremo che il contributo al momento angolare della particella diffusa rispetto al nucleo, è fornito dalla sola componente tangenziale, quindi 2l r mv mr β= × = ɺ . Dalla imposizione della conservazione del momento

angolare, otteniamo:

20 2

0

d dt dm v b mr

dt mv br

β β= ⇒ = (1.2.8)

Dall’uguaglianza (1.2.8), possiamo esprimere l’integrale (1.2.6) nella seguente maniera:

( )

( )

( )

( )2 2 2 2

2 2 2 2

2 2 2

0 0 0 0 0 0

1 14 4 2 2z Z e z Z e z Z e

p cos d cos d cosv b v b v b

π θ π θ

π θ π θ

θ∆ β β β βπ ε π ε π ε

+ − + −

− − − −

⋅ ⋅ ⋅= = =∫ ∫ (1.2.9)

dove gli estremi di integrazione sono determinati immaginando che la posizione iniziale (t=0) e finale (t=∞) della particella sia lontana dal centro di scattering, allora β sarà compresa nell’intervallo ( ) ( )2 2 2 2;π θ π θ− − + − (vedi fig. 1.2.2).

Uguagliando la (1.2.9) alla (1.2.5), otteniamo la cercata espressione del parametro d’urto b in funzione dell’angolo di scattering θ:

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 1

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2 2

20 00 0

2 8 24

z Z e z Z eb cot cot

Emv

θ θπ επ ε

⋅ ⋅= ⋅ = ⋅ (1.2.10)

In quest’ultima equazione abbiamo introdotto l’energia (cinetica) della particella incidente,

20 0

12

E mv= ; con ciò si rende anche manifesta la dipendenza del parametro d’urto dall’energia

della particella a parità di angolo di scattering considerato. Derivando b rispetto a θ otteniamo:

2

20 0

116

2

db z Z ed E

senϑ π ε θ

⋅= − ⋅ (1.2.11)

dove il segno meno indica il fatto che aumentando il parametro d’urto b, diminuisce l’angolo di diffusione θ (vedi figura 1.2.3). Ciò considerato, possiamo dimenticarci di tale segno, ed ottenere l’espressione definitiva della sezione d’urto differenziale per la diffusione Rutherford, sostituendo le (1.2.10) e (1.2.11), nella (1.2.4):

22

40 0

1 14 4

2

d ( ) z Z ed E

sen

σ θΩ π ε θ

⋅= ⋅ ⋅

(1.2.12)

La formula di Rutherford fu verificata dai noti esperimenti condotti da Geiger e Marsden che utilizzarono particelle α (cioè nuclei dell’atomo di elio) come proiettili su di un target costituito da una sottile lamina d’oro. In particolare fu appurata la dipendenza della sezione d’urto da Z2,

20E e ( )4 2sen θ− .

Concludiamo il paragrafo eseguendo il calcolo della sezione d’urto di perdita di energia per interazione coulombiana particolarizzato ad un problema di scattering elettrone-elettrone. Ciò risulterà utile in seguito, quando affronteremo il problema della distribuzione di perdita di energia per ionizzazione. Nell’ambito di un problema di scattering, rappresentabile con un diagramma di Feynman come in figura 1.2.4,

q

Q

q

Q

Fig.1.2.4 Diagramma di Feynman dello scattering tra le particelle cariche q e Q

possiamo schematizzare le traiettorie come in figura 1.2.5.

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 1

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particella carica incidente (q)

particella carica bersaglio (Q)

θ

Fig.1.2.5 Schema delle traiettorie nello scattering tra le particelle cariche q e Q

La sezione d’urto di Rutherford, nel sistema del centro di massa, sarà:

2

4

0

14 4 2

d qQsen

d Eσ θΩ πε

−′ = ′ ′

1 (1.2.13)

in cui 212

E vµ′ ′= con µ massa ridotta e v′ velocità relativa. Nel caso di urto fra due elettroni,

cioè quando q e≡ e Q e≡ avremo:

22

4

0

14 4 2

d esen

d Eσ θΩ πε

−′ = ′ ′ (1.2.14)

Per quanto riguarda la sezione d’urto, possiamo dire che il flusso relativo e il flusso nel sistema

di laboratorio coincidono(0 0I I ′≡ ). Dunque la (1.2.3) nel sistema del centro di massa sarà:

0

d dNd I d

σΩ Ω

′ ′=′ ′ ′

ɺ (1.2.15)

in cui abbiamo considerato un unico centro di scattering (n=1). Ricordiamo inoltre che dN′ɺ è il numero di eventi per unità di tempo ed è un invariante (a livello non relativistico) e che

2d sen dΩ π θ θ′ = . Per quanto riguarda le velocità dei due elettroni nel sistema di riferimento del laboratorio possono essere espresse in funzione dell’angolo θ di deviazione subito dall’elettrone incidente. La velocità longitudinale iniziale dell’elettrone 1 (rosso) sia 0v mentre l’elettrone 2 (verde) sia

inizialmente fermo; dunque la situazione prima dell’urto è:

( )1 0 0v v ,= , ( )2 0 0v ,= per cui le componenti della velocità relativa sono: ( )( ) ( )1 2 0 0p

v v v ,− = .

1 L’apice indica il riferimento al sistema del centro di massa

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 1

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Dopo l’urto avremo:

( )01 1

2v

v cos , senθ θ= +, ( )0

2 12v

v cos , senθ θ= − −, dunque le componenti della velocità relativa

sono:( )( ) ( )1 2 0

dv v v cos , senθ θ− =

.

L’energia cinetica della particella 2 dopo l’urto, che è anche l’energia persa dalla particella 1, sarà:

2 2 2 2 22 0 0 0

1 1 1 12 2 2 2 2 2

cosmv mv mv sen E sen

θ θ θε − = = = =

(1.2.16)

avendo posto 20 0

12

E mv= . Differenziando la ( )20 2E senε θ= otteniamo:

0 0

12 4

dd E sen d E

Ωε θ θ π′

= = (1.2.17)

La sezione d’urto di perdita di energia è:

22

4

0 0 0 0 0 0

4 4 4 14 4 2

d dN dN d esen

d I d E I d E d E Eσ π π σ π θε ε Ω Ω πε

−′ ′ = = = = ′ ′ ′ ′

ɺ ɺ (1.2.18)

Nel caso dello scattering tra due elettroni, la massa ridotta è 2mµ = e la velocità relativa è

( )( ) ( )1 2 0

dv v v v cos , senθ θ′ = − =

. Quindi ( )2 2 2 2 00

1 12 2 2 2 2

m m EE v v cos senθ θ′ ′= = + = .

Sostituendo questo risultato nella sezione d’urto e considerando ance che ( )202sen Eθ ε= ,

otteniamo:

2 222 2

02

0 0 0 0 0

4 1 14 2 4

d e E ed E E Eσ π πε πε ε πε ε

= =

(1.2.19)

Questo risultato ci permette di concludere che la sezione d’urto di perdita di energia per ionizzazione è inversamente proporzionale al quadrato dell’energia scambiata tra i due elettroni durante l’urto. Tale risultato sarà ripreso nel terzo capitolo caratterizzando gli andamenti delle distribuzioni di probabilità di perdita di energia che verranno trattate.

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 1

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1.3 La formula di Bethe - Block

Consideriamo una particella non relativistica di massa m, carica z ed energia cinetica E0 che si muove in un materiale di numero atomico Z e di densità na atomi/cm3. Essa interagisce con gli elettroni del mezzo tramite forze coulombiane. La traiettoria della particella pesante non è modificata in misura apprezzabile dall’elettrone che è molto più leggero e si può pensare che l’urto abbia una durata talmente breve che l’elettrone vi acquisti un impulso senza cambiare posizione, cioè abbiamo sostanzialmente scambio di energia tra particella pesante ed elettrone che porta quest’ultima ad acquisire l’energia persa dalla prima. Consideriamo per ora un singolo elettrone: se il parametro d’urto dell’interazione è b e se la velocità della particella è abbastanza grande da poter considerare l’elettrone in quiete, la quantità di moto acquistata dall’elettrone nell’urto è data da:

p dp Fdt e dt∆+ ∞ + ∞ + ∞

− ∞ − ∞ − ∞

= = =∫ ∫ ∫ E (1.3.1)

dove ⊥E rappresenta la componente del campo elettrico perpendicolare alla direzione di moto

della particella come rappresentato nella figura 1.3.1 (la componente parallela, per motivi di simmetria, dà un contributo nullo). Dal teorema di Gauss per una superficie cilindrica di raggio b, avente l’asse lungo la direzione di volo della particella carica il campo elettrico applicato all’elettrone dovuto alla particella di carica z risulta:

( ) ( )14

0

24 2 4N

cilindro

in a.u.ze

u dS q x b dx ze x dxb

πε

π π π+ ∞ + ∞

⊥ ⊥

− ∞ − ∞

= ⇒ ⋅ = ⋅ ⇒

= =∫ ∫ ∫ E E E

(1.3.2)

Possiamo riscrivere la (1.3.1), tenendo conto della (1.3.2), in modo tale da esprimere la quantità di moto acquistata dall’elettrone in funzione del parametro d’urto:

Fig.1.3.1 Geometria d’interazione tra particella carica ed elettrone

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 1

- 9 -

( )22dx e z e

p e dt e x dxv v b v

+ ∞ + ∞ + ∞

⊥ ⊥ ⊥

− ∞ − ∞ − ∞

∆ = = = =∫ ∫ ∫E E E (1.3.3)

Da ciò, l’energia trasferita all’elettrone atomico quando il parametro d’urto è b, risulta essere:

( )2 2 4

2 2

22 e e

p z eE

m m b v∆

∆= = (1.3.4)

Se la particella si muove in un materiale di numero atomico Z e di densità Aa

Nn

Aρ= atomi/cm3

per un tratto infinitesimo di percorso dx, il numero di elettroni incontrati dalla particella con parametro d’urto compreso nell’intervallo [b, b+db] è:

[ ]

2e avolume relativodensità

intervallo b,b dbelettronica

dn Z n b db dxπ+

= ⋅ ⋅ ⋅ (1.3.5)

Per cui l’energia persa dalla particella carica, ovvero acquisita dagli elettroni del target, nel tratto dx è fornita dal prodotto tra l’energia acquistata dal singolo elettrone per il numero di elettroni presenti nel volume relativo all’intervallo del parametro d’urto [b, b+db]. In formule ciò si ottiene moltiplicando la (1.3.4) con la (1.3.5):

2 4 2 4

2 2 2

2 42a a

e e

z e dE z e dbdE Z n b db dx Z ndx bm b v m v

ππ= ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⇒ = ⋅ ⋅ (1.3.5)

Infine l’energia complessivamente persa per unità di lunghezza (stopping power) si ottiene integrando su tutti i possibili parametri d’urto.

2 4 2 4

2 2

4 4max

min

b

maxa a

mine eb

bdE z e z edbZ n Z n lndx b bm v m v

π π = = ⋅ ∫ (1.3.6)

Si tratta ora di definire bmax e bmin nell’ambito di validità delle assunzioni fatte per determinare la (1.3.6). Valutiamo bmax: essendo v la velocità della particella possiamo immaginare che il tempo di interazione sia dell’ordine di b vτ ≈ . Questa espressione in generale, tenuto conto della

contrazione relativistica, si scrive: ( )b vτ γ≈ ⋅ , dove ( ) 1 221γ β−

= − e v cβ = .

Ora, l’elettrone può essere considerato fermo se la sua velocità orbitale è minore della velocità v dello ione incidente, ossia se il periodo T del suo moto è maggiore di τ. Qualora questa relazione non fosse rispettata, la velocità orbitale dell’elettrone sarebbe confrontabile con la velocità dello ione, allora la perturbazione si dice che è adiabatica e non vi è trasferimento di energia (principio dell’invarianza adiabatica). Dalla relazione T ≥τ si ricava:

max

vb v T v b T v

γτ γ γ γ ν⋅≈ ⋅ ⋅ ≤ ⋅ ⋅ ⇒ = ⋅ ⋅ =

(1.3.7) In effetti, invece di parlare di una frequenza ν ben determinata, si deve parlare di frequenza media ν degli elettroni orbitanti attorno all’atomo che caratterizza la materia. Allora la (1.3.7) può essere così riscritta:

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- 10 -

max

vb

γν⋅= (1.3.8)

Valutiamo adesso bmin: tale limite inferiore del parametro d’urto è ottenuto considerando che ∆E, l’energia trasferita all’elettrone in funzione di b, non può eccedere, per un processo di scattering la massima energia trasferita in una collisione frontale, ovvero 2 2 22maxE mc∆ β γ= . Allora

uguagliando la (1.3.4), valutata a bmin, con la massima energia trasferibile, avremo:

2 4 2 4 2

2 2 2 22 2 2 2 2 2 2

2 22

2max e min mine min e e e

z e z e z eE m c b b

m b v m m c v m v∆ β γ

β γ γ/= = ⇒ = ⇒ =

/ (1.3.9)

Da quanto sopra otteniamo:

3 2

2max e

min

b m vb z e

γν

⋅ ⋅=⋅ ⋅

(1.3.10)

che sostituita nella (1.3.6) porta alla seguente forma per l’energia complessivamente persa per unità di lunghezza, nota come formula classica di Bohr:

3 24 2

2 2

4 ea

ion e

m vdE e zZ n ln

dx m v z e

γπν

⋅ ⋅ = ⋅ ⋅ ⋅ (1.3.11)

La formula classica di Bohr fu corretta da quella quantistica di Bethe - Block, in cui si tiene conto che l’energia trasferita agli elettroni atomici avviene per quantità discrete e della natura ondulatoria delle particelle. La teoria di Bethe classifica le collisioni atomiche sulla base dell’ammontare della quantità di moto o dell’energia trasferita all’elettrone legato. Queste quantità osservabili risultano in antitesi con il parametro d’urto utilizzato nella teoria classica. Comunque è possibile associare piccoli trasferimenti di energia con grandi parametri d’urto (collisioni distanti) e grandi trasferimenti di energia con piccoli parametri d’urto (collisioni vicine). Nelle collisioni distanti, la particella incidente interagisce con l’atomo considerato nella sua interezza; in tale quadro c’è una certa probabilità che la perdita di energia della particella incidente produca l’eccitazione di un elettrone atomico ad un alto livello energetico, ovvero sia causa della ionizzazione dell’atomo. L’energia persa dalla particella incidente è la somma di tutte le energie di eccitazione pesate con la relativa sezione d’urto:

a n nw n

dEn E d

dx η

σ<

= ∑∫ (1.3.12)

Per le collisioni vicine l’interazione può essere considerata con l’elettrone libero, dunque le proprietà atomiche non sono coinvolte. L’energia persa in questo caso può essere scritta come:

( )maxW

aW

dE dn W E,W dW

dx dWη η

σ>

= ∫ (1.3.13)

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- 11 -

Ricordiamo che nelle due precedenti relazioni Aa

Nn

Aρ= indica il numero di atomi per cm3,

mentre η indica un limite di energia trasferita per la quale è possibile individuare la suddivisione tra i due tipi di collisioni.

Nella (1.3.13), ( )dE,W

dWσ

indica la sezione d’urto della particella incidente, con energia E, di

perdere una quantità di energia W nella collisione con l’elettrone libero. In generale tale sezione d’urto dipenderà dallo spin della particella incidente; comunque nei casi per cui W<<Wmax essa si riduce a quella dello scattering Coulombiano, cioè dipendente da 21 W , infatti lo spin gioca un

ruolo importante solo quando W ∼ E. L’energia totale persa per ionizzazione è dunque fornita dalla somma dei contributi delle collisioni vicine e distanti, ed il risultato è dato dalla nota relazione di Bethe - Bloch:

22 2 2 2 24 22 2 2 2

2

2 244e eA A

e eB.B. e elettrone

mezzoparticella materialeincidente

m v m cN NdE e z zZ ln r m c Z ln

dx A I A Im v

γ β γρ ρπ β π ββ = ⋅ − = ⋅ −

(1.3.14) dove abbiamo raggruppato la costante davanti alla equazione (1.3.14) in tre termini pertinenti rispettivamente all’elettrone, alla particella incidente ed al mezzo dove avviene la perdita di energia. Ricordiamo il significato dei simboli:

( )2 2e er e m c= raggio classico dell’elettrone (∼2.818 fm); me massa dell'elettrone

z carica della particella incidente in unità e v cβ = della particelle incidente Z numero atomico del materiale A massa atomica del materiale NA numero di Avogadro; ρ densità del materiale in g/cm3

I potenziale di ionizzazione medio del materiale 21 1γ β= −

Può essere utile raggruppare le costanti e le proprietà elettroniche con un unico valore numerico,

infatti: ( )2 2 24 0 307075e e Ar m c N A . MeV cm gπ = ⋅ per 1A g mole= .

L’unità in cui si ottiene la perdita di energia utilizzando l’equazione (1.3.14) è MeV/cm; portando al denominatore del primo membro il parametro densità dalla formula si ottiene invece una perdita di energia misurata in MeV cm2/g e si ha il vantaggio che il valore di dE/dx dipende poco dal materiale attraversato. Nella figura 1.3.2 è riportato l'andamento dell'equazione di Bethe-Bloch (divisa per la densità del materiale) per protoni in vari materiali, come funzione del prodotto β γ = p/Mc. La curva ha un minimo per β γ ∼ 3: particelle con energia corrispondente a questo valore sono comunemente dette al minimo di ionizzazione. Analizzando la (1.3.14) osserviamo che l’energia persa dipende in modo quadratico dalla carica e dalla velocità della particella incidente, ma non dalla sua massa. Allora per un fascio di particelle con una data carica, l’energia persa è solo funzione della loro velocità (energia cinetica). Inoltre, l’energia persa dipende linearmente dalla densità degli elettroni atomici e in modo logaritmico dal potenziale di ionizzazione medio 10I eV Z⋅≃ . All’aumentare della velocità della particella incidente dE/dx decade come 1/v2, fino ad arrivare al minimo di ionizzazione che capita, come già detto, nell’intorno di β γ ≈ 3 dove dE/dx ≤ 2 MeVcm2/g . Fa eccezione l’idrogeno per il quale dE/dx minimo è circa 4 MeVcm2/g; ciò è dovuto essenzialmente al rapporto Z/A che è pari ad 1, a differenza degli altri elementi in cui tale rapporto è prossimo ad 1/2.

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Per un ulteriore aumento della velocità il fattore 2lnγ inizia a dominare e dE/dx comincia a crescere, dando origine alla regione denominata salita relativistica. Tale effetto lo si poteva prevedere anche dalla trattazione semiclassica, infatti il limite superiore del parametro d’urto si incrementa all’aumentare di γ (vedi 1.3.8), per cui ci aspettiamo una maggior perdita di energia a parità di lunghezza del percorso eseguito dalla particella incidente.

Fig.1.3.2 Curva di perdita di energia di Bethe - Bloch per protoni in vari materiali in funzione del prodotto β γ

Naturalmente la salita relativistica non continua indefinitamente. Fino ad ora abbiamo trattato l’interazione della particella incidente con il singolo atomo considerato isolato; in realtà per materiali densi, dove cioè le distanze interatomiche sono piccole, il limite superiore del parametro d’urto permesso può coinvolgere molti atomi. In questo caso l’interazione tra gli elettroni atomici può causare uno schermo al campo elettrico del proiettile, riducendo di fatto l’energia persa in particolare per le collisioni distanti. Questo fenomeno è conosciuto come effetto densità, in quanto riguarda appunto la densità del mezzo. Per tenere in conto di questo effetto secondario si introduce un termine correttivo, indicato con

( )δ γ nella relazione della perdita di energia che diventa:

( )2 2 2 22 2 22

42

eAe e

B.B. elettronemezzo

particella materialeincidente

m cNdE zr m c Z ln

dx A Iδ γβ γρπ ββ

= ⋅ − −

(1.3.15)

Energia persa da protoni in diversi materiali

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A causa di tale effetto, la perdita di energia nella regione di crescita relativistica non avrà più un andamento del tipo 2lnγ ma piuttosto come un lnγ , causando il tipico appiattimento della curva di perdita di energia, denominato plateau di Fermi. Un’ulteriore correzione, denominata di shell, è necessaria nel caso in cui la velocità della particella incidente diventa confrontabile con la velocità orbitale degli elettroni legati agli atomi del mezzo che dunque non possono più considerarsi fermi come ipotizzato all’inizio. In questo intervallo di energie occorre correggere la formula di Bethe - Bloch, introducendo un ulteriore termine in quanto lo ione incidente (per esempio carico positivamente) tende ad attirare elettroni riducendo il suo stato di carica e, di conseguenza, anche il ritmo di perdita dell'energia. Tutte queste correzioni sono contenute in un codice Montecarlo (SRIM 2008) che determina le traiettorie degli ioni nella materia. Nella figura che segue diamo un esempio di una tale simulazione relativa a protoni su uno strato (spesso) di rame

Fig.1.3.3 Simulazione SRIM: fascio di protoni a 50 MeV su 5 mm di rame

Ritornando alla figura 1.3.2, si vede che l’energia persa per unità di lunghezza aumenta al diminuire della velocità della particella incidente, cioè della sua energia cinetica. Ciò produce il peculiare andamento della curva di ionizzazione delle particelle cariche pesanti che risulta appuntita verso la fine del loro percorso, dove la loro energia cinetica tende a zero e il valore di dE/dx aumenta. L’andamento della perdita di energia delle particelle cariche pesanti in funzione della profondità del mezzo, noto come picco di Bragg, è rilevabile nella figura 1.3.4 per un fascio di protoni di 200 MeV in acqua. Tali particelle hanno un picco di ionizzazione subito prima della fine del loro percorso quando si legano ad un elettrone del mezzo e non ionizzano più. Nella stessa figura è riportato, per confronto, il comportamento di neutroni, fotoni ed elettroni. Assumendo che la perdita di energia nel mezzo sia continua, la distanza massima di penetrazione è un numero ben definito per tutte le particelle identiche con stessa energia iniziale che attraversano lo stesso materiale. Questa quantità è chiamata range della particella. Possiamo calcolare il range medio di una particella di una data energia iniziale E0 mediante il seguente integrale:

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( )0

0 1

0

E

dER E dE

dx

− = − ∫ (1.3.16)

Fig.1.3.4 Energia persa per unità di percorso percentuale in funzione della profondità per diverse particelle e fotoni Terminiamo il paragrafo considerando la perdita di energia nel caso in cui le particelle cariche incidenti siano leggere ovvero elettroni e positroni. In tale situazione bisogna considerare che:

- non si può trascurare la deflessione dell’elettrone/positrone incidente; - la trattazione è necessariamente relativistica; - la trattazione è necessariamente quantistica

La perdita di energia per ionizzazione continua ad essere presente come per le particelle cariche pesanti. Comunque, a causa della loro piccola massa, esse hanno anche una significativa perdita di energia dovuta alla produzione di radiazione (radiazione di frenamento o bremsstrahlung). Altri significativi motivi di perdita di energia per elettroni a bassa energia sono lo scattering elastico e l’annichilazione con il positrone. Per elettroni ad alta energia la radiazione di frenamento e il processo di produzione di coppie sono le principali manifestazioni di perdite elettromagnetiche.

Energia persa per ionizzazione (elettroni e positroni) Riprendendo il quadro interpretativo delle collisioni vicine e distanti, avremo che la porzione di perdita di energia per ionizzazione derivante dalle collisioni distanti è la stessa per tutte le

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particelle incidenti. D’altra parte la porzione risultante dalle collisioni vicine dipende dalla forma della sezione d’urto della particella incidente sull’elettrone libero (vedi integrale 1.3.13). Nel caso in cui la particella incidente sia un elettrone, la sezione d’urto per scattering relativistico da parte di un elettrone libero è quella calcolata da Møller. La sezione d’urto per trovare un elettrone diffuso con energia cinetica compresa nell’intervallo

[ ]W ,W dW+ è la seguente [4]:

( )( )

( ) ( ) ( )2 24

0

2 2 2 2 22 20 00 0

22 1 1 1 1e e

e e e

m c E m cd edW W E Wm v W E WE m c E m c

σ π + = − + + − −+ +

(1.3.17)

in cui E0 indica l’energia cinetica iniziale dell’elettrone incidente. L’energia persa per elettroni relativistici usando questa sezione d’urto1 è pari a:

24

2

222 3 1 95

e e

eA

B.B. e

m cNdE eZ ln ln .

dx A Im c

ρπ γ− −→

= + −

(1.3.18)

Considerando l’espressione (1.3.14), specializzata per una particella a carica singola (z=1), viaggiante a velocità relativistica (v ≈ c), facendo il limite per 1β → , otteniamo:

24

2

222 4 2

e e

eA

B.B. e

m cNdE eZ ln ln

dx A Im c

ρπ γ− −→

= + −

(1.3.19)

Il confronto tra le due ultime equazioni mette in evidenza che al primo ordine tutte le particelle a singola carica, con 1β → , perdono energia per ionizzazione approssimativamente con lo stesso tasso. Il secondo termine indica invece che la crescita relativistica per gli elettroni sarà leggermente più piccola di quella relativa alle particelle pesanti. A causa della piccola massa, gli elettroni seguono un percorso molto irregolare all’interno della materia. E’ proprio per questo motivo che il range ha una distribuzione molto più larga rispetto a quella delle particelle pesanti. Il range medio per elettroni da 1 MeV varia da circa 0.22 g/cm2 in idrogeno a 0.78 g/cm2 nel piombo.

Energia persa per radiazione: bremsstrahlung Il meccanismo di perdita di energia dominante per elettroni di alta energia è la produzione di radiazione elettromagnetica. Nel caso di acceleratori circolari si parla di radiazione di sincrotrone, mentre per il moto all’interno della materia avremo la radiazione di frenamento o bremsstrahlung. La conservazione dell’energia richiede che: i fE E k= + (1.3.20)

dove Ei ed Ef sono rispettivamente l’energia iniziale e finale dell’elettrone, mentre k indica l’energia del fotone prodotto. Un calcolo semiclassico della sezione d’urto di bremsstrahlung per una particella relativistica produce [4]:

1 Nel caso in cui le particelle incidenti siano positroni, l’energia persa per ionizzazione è leggermente diversa in quanto la sezione d’urto da utilizzare non è quella di Møller ma quella di Bhabha.

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2 22 2 2

4 25 erd e m c M vz Z ln

dk c M v k kσ γ

≃ℏ

(1.3.21)

Notiamo che la sezione d’urto ha una dipendenza inversa dal quadrato della massa M della particella incidente; ciò porta a dedurre che la perdita di energia per radiazione acquista importanza per quelle particelle con una ridotta massa, dunque in particolare per gli elettroni e positroni. Si osserva inoltre che la sezione d’urto dipende dal mezzo attraverso il fattore Z2, quindi gli elementi pesanti sono più efficienti nel causare la perdita di energia per radiazione. A tale proposito è appena il caso di far notare che la perdita per ionizzazione è proporzionale a Z (vedi equazioni 1.3.18 e 1.3.14) Infine la sezione d’urto decade, con l’incremento dell’energia dei fotoni, approssimativamente come 1/k. Dall’analisi appena svolta risulta che per quasi tutti gli elementi più leggeri la sezione d’urto di bremsstrahlung è dominata dall’interazione con il nucleo piuttosto che con gli elettroni atomici; d’altra parte quest’ultimi causano un altro importante effetto di schermo della carica nucleare. Classicamente questo effetto è comprensibile non appena consideriamo un parametro d’urto degli elettroni incidenti maggiore del raggio atomico. Allora la sezione d’urto decade bruscamente dal momento che l’effettiva carica nucleare vista dalla particella incidente è notevolmente ridotta. Tale effetto può essere considerato anche dal punto di vista quantistico, dal momento che è possibile definire una distanza efficace dell’elettrone dal nucleo, pℏ , dove p è il momento lineare trasferito dall’elettrone al nucleo. Il calcolo quantistico della sezione d’urto di bremsstrahlung, fatto da Bethe e Heitler, considera un elettrone in un campo di un nucleo puntiforme, senza spin e infinitamente pesante. Il calcolo fa uso dell’approssimazione di Born e l’effetto di schermo sopra richiamato è tenuto in conto attraverso un parametro Γ, definito come il rapporto tra il raggio atomico di Thomas-Fermi sul massimo valore permesso di pℏ [12Fernow].

L’espressione assunta da Γ è la seguente:2

1 3

100

i f

mc kE EZ

Γ = . La sezione d’urto nel caso di

schermo completo ( 1Γ ≪ )è data da:

201 3

4 2 1831

3 9d w

w w lndk k Z

σσ = + − +

(1.3.22)

dove f iw E E= con 2

iE mc≫ e 20 eZ rσ α= con α costante di struttura fine (≈ 1/137) e re

raggio classico dell’elettrone (≈ 2.818 fm). Il termine logaritmico nell’equazione (1.3.22) è dovuto allo schermo della carica nucleare da parte degli elettroni atomici; inoltre la sezione d’urto dipende solo dalla frazione di energia

f iw E E= e non unicamente dalla sola Ei dell’elettrone incidente. La dipendenza dal mezzo

disperdente è essenzialmente legata al fattore Z2 che compare in 0σ . Il contributo degli elettroni

atomici può essere incluso sostituendo ( )2 1Z Z Z→ + nell’espressione di 0σ .

L’espressione della sezione d’urto per il caso 0Γ > è stata definita utilizzando una funzione ausiliaria [4]. Per quanto riguarda la situazione di schermo parziale, misure accurate in merito hanno rilevato lievi scostamenti rispetto al caso di schermo completo ( 0 1.Γ ≃ ottenuto con il Pb). Dunque all’interno di tale livello di confidenza e purché 2

iE mc≫ , possiamo assumere come riferimento

la situazione di schermo completo.

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Il fattore k nel denominatore dell’equazione (1.3.22) implica che la sezione d’urto per una produzione di fotoni con bassa energia aumenta senza nessun limite. L’equazione non è dunque valida quando k tende a zero. Allo scopo di illustrare la dipendenza dall’energia della sezione d’urto di bremsstrahlung, è conveniente usare una variabile indipendente adimensionale, così definita:

2i

kf

E mc=

− (1.3.23)

che rappresenta la frazione di energia cinetica incidente dell’elettrone ceduta al fotone. Moltiplicando la sezione d’urto per k si ottiene la distribuzione dell’intensità dei fotoni; in figura 1.3.5 viene mostrato tale grandezza in funzione della variabile indipendente f per il caso di schermo completo per due diversi bersagli l’alluminio e piombo.

Fig.1.3.5 Sezione d’urto di bremsstrahlung in funzione della variabile f, per il caso di schermo completo La più importante caratteristica della figura è che la distribuzione di energia decade meno velocemente di 1/k. L’energia persa dovuta alla radiazione di un elettrone che attraversa un certo materiale è la seguente:

0

k max

arad

dE dk n dk

dx dkσ= ∫ (1.3.24)

dove 2

max ik E mc= − è il massimo dell’energia fotonica permessa.

E’ conveniente tirar fuori l’energia dell’elettrone incidente, scrivendo l’energia persa come:

a i radrad

dEn E

dxσ= dove

0

1maxk

rad ai

dk n dk

E dkσσ = ∫ (1.3.25)

Per il caso di schermo completo e 2 1 3

iE mc Zα≫ avremo il seguente risultato:

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( )1 30

14 183

18rad ln Zσ σ − = ⋅ + (1.3.26)

dove ricordiamo che 20 eZ rσ α= . Si può notare come radσ in questo caso è indipendente

dall’energia dell’elettrone. Allora dalla (1.3.25) osserviamo che l’energia persa per radiazione è proporzionale ad Ei, mentre l’energia persa per ionizzazione si incrementa come ln Ei; in aggiunta ricordiamo che i due tipi di perdite di energia sono proporzionali rispettivamente a Z2 e Z. In figura 1.3.6 sono riportati i loro andamenti unitamente a quello delle perdita totale nel caso di un bersaglio di rame. Se eseguiamo il rapporto tra la perdita di energia per radiazione e quella per ionizzazione, avremo approssimativamente il seguente risultato:

21600i

rad ion

ZEdE dEdx dx mc

=⋅

(1.3.27)

Da tale risultato deduciamo che per alta energia degli elettroni incidenti e per materiali con elevato numero atomico, il meccanismo di perdita riguarda quasi totalmente il bremsstrahlung. L’energia alla quale le perdite dovute alla radiazione uguagliano quelle di ionizzazione è chiamata energia critica, come è ben evidenziato sempre nella figura 1.3.6. Nella successiva figura 1.3.7, si confrontano le perdite di energia sopra menzionati con quella relativa ai protoni.

Fig.1.3.6 Perdita di energia per ionizzazione, irraggiamento e totale degli elettroni nel rame

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Fig.1.3.7 Confronto della perdita di energia di elettroni e protoni nel rame

In conclusione abbiamo visto che la distribuzione di energia dei fotoni in funzione della variabile adimensionale f fornisce l’indicazione che c’è una sostanziale probabilità che il fotone emesso porti via una grande quantità dell’energia dell’elettrone incidente (vedi fig. 1.3.5). Allora ci aspettiamo che la distribuzione della perdita di energia degli elettroni sia piuttosto diversa da quella delle particelle cariche pesanti. La teoria di Landau è dunque applicabile solo per elettroni di bassa energia, dove l’energia persa è dominata dal processo di ionizzazione.

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1.4 Rivelatore a semiconduttore

Semiconduttore come rivelatore

Per la spettroscopia γ nella regione di energia tra i 100 KeV e qualche MeV, i rivelatori più utilizzati sono quelli a semiconduttore. La figura 1.4.1 mostra il percorso libero medio di un fotone γ nel silicio e nel germanio.

Fig.1.4.1 Cammino libero medio di fotoni γ nel silicio e nel germanio, in funzione dell’energia

Da qui risulta evidente come sia richiesta una profondità della regione di svuotamento di parecchi centimetri. A causa del più alto numero atomico, il germanio ha un coefficiente di attenuazione lineare più alto che fa sì che si abbia un più breve percorso libero medio. Quindi, nella rilevazione dei raggi γ o dei raggi X il germanio ha una più alta efficienza di rilevazione, mentre il silicio è preferito per la rivelazione di particelle cariche, come gli elettroni. Per un rivelatore a semiconduttore, la profondità di svuotamento è:

2 V

de Nε= (1.4.1)

dove V è la tensione di polarizzazione del diodo e la N rappresenta la concentrazione di impurità del semiconduttore. Se venissero impiegati del silicio o germanio con una purezza normale, la profondità della regione di svuotamento massima realizzabile sarebbe di qualche millimetro, anche alle tensioni di polarizzazione vicine al livello breakdown del diodo. Quindi, la concentrazione di impurità dovrebbe essere molto ridotta (sino a 1010atomi/cm3) per realizzare le profondità progettate di svuotamento dell’ordine di qualche centimetro. Per tali concentrazione una tensione di polarizzazione di un 1 kV può produrre una profondità di svuotamento di 1 cm. Quindi la concentrazione di impurità richiesta corrisponde a meno di 1 parte su 1012 che è abbastanza complicata da raggiungere. Un modo per migliorare la concentrazione di impurità è quella di compensare le impurità residue con un materiale di tipo opposto rispetto al drogante. Sia nel Si che nel Ge, il materiale con la più alta purezza disponibile tende ad essere quello tipo-p, dunque si richiede l’aggiunta degli atomi donatori (pentavalenti) per la compensazione. I metalli alcalini come Li o il Na tendono a formare livelli donatori interstiziali nel Si e nel Ge. Quando uno di questi materiali (tipicamente il Li) viene diffuso nel Si o nel Ge, i loro atomi vengono facilmente ionizzati e sono abbastanza

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liberi di andare alla deriva, alle temperature elevate e sotto l’azione di forti campi elettrici. Questo processo è detto lithium ion drifting, e può essere utilizzato sia nel Si che nel Ge. Per convenienza, si indica con Ge(Li) il germanio, drogato con il litio e con Si(Li) il silicio drogato con il litio . La mobilità del litio è di gran lunga maggiore nel germanio e rimane abbastanza alta anche a temperatura ambiente, che conduce ad una indesiderabile ridistribuzione del litio . Di conseguenza, la distribuzione del litio nei rivelatori di Ge(Li) deve essere mantenuta sempre alla temperatura LN2 (-195,80 °C), mentre i rivelatori di Si(Li) possono essere mantenuti anche a temperatura ambiente, anche per la bassa mobilità dello ione del Li in silicio. L'altro modo per migliorare la concentrazione di impurità è di aggiungere processi di raffinamento supplementari in modo da potere raggiungere la purezza voluta. Nuove tecniche per realizzare cristalli di Ge di elevata purezza sono state realizzate, sulla base di questo metodo e rivelatori di Ge iperpuro (HPGe), sono disponibili in commercio. Tuttavia, non vi è ancora una tecnica equivalente disponibile per il Si. I rivelatori di Ge(Li) erano molto comuni in passato e sono stati disponibili a lungo come rivelatori di grande volume. Anche se vi è poca differenza nella prestazione tra HPGe e il Ge(Li), la manutenzione del Ge(Li) è abbastanza complessa, il che ha facilitato la loro uscita dal commercio. Risoluzione di energia

La caratteristica più importante dei rivelatori a semiconduttore è la loro eccellente risoluzione di energia. Nella figura 1.4.2, vi sono 2 spettri, di cui uno preso da un HPGe e l’altro da NaI(Tl), di una sorgente di 60Co.

Fig.1.4.2 Diversa risoluzione tra un rivelatore HPGe e NaI(Tl)

La risoluzione superiore del rivelatore a semiconduttore consente di poter distinguere righe γ anche molto vicine ed è essenziale nella spettroscopia sotto fascio. La risoluzione di energia del sistema di spettroscopia γ basato su un semiconduttore è determinata dal numero dei portatori di carica, dal processo di raccolta della carica e dal rumore elettronico. Quindi, la FWHM di un picco nello spettro può essere rappresentato come una somma di 3 termini

2 2 2 2

T D X EW W W W= + + (1.4.2)

dove i 3 valori di W dal lato destro sono rispettivamente le FWHM dovute alla variazione statistica nel numero dei portatori di carica, alle fluttuazioni statistiche nella processo di raccolta

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della carica e al rumore elettronico. La variazione del numero dei portatori di carica è definita come:

2D 2

D

W F n F2.355 2.355 W

F5.54603 E 5.54603 F w

nE

E n n γγ

γδ⋅= ⋅ = ⋅ ⇒ = ⋅ ⋅ = ⋅ ⋅ ⋅ (1.4.3)

dove Eγ è l'energia del fotone, la n è il numero delle coppie elettrone-lacuna che si creano, F è il fattore di Fano e w è l'energia richiesta per la generazione di una singola coppia. Se il fattore di Fano si pone pari a 0.1, l'equazione mostra un valore di WD di 1.3 KeV per il fotone γ di 1.33 MeV del 60Co, se utilizziamo un valore di w pari a 3 eV. Il secondo termine è dovuto alla raccolta incompleta della carica elettrica prodotta dal passaggio di un fotone γ e diventa importante per rivelatori di grande volume o i rivelatori che hanno un campo elettrico interno molto piccolo. L’ultimo termine invece è quello che costituisce il contributo di tutta la catena elettronica a valle del rivelatore. Questa componente può essere misurata con la precisione utilizzando come riferimento un segnale, di ampiezza costante, emesso da un pulser. L'uscita del pulser viene mandata direttamente nell’amplificatore e quindi in tutta la catena elettronica che segue. La figura 1.4.3 mostra il contributo di ciascuno componente in funzione dell’energia del fotone.

Fig.1.4.3 Confronto tra i fattori che determinato la FWHM di un rilevatore a semiconduttore.

Alle energie basse, il rumore elettronico e la raccolta della carica sono relativamente importanti, mentre il rumore dovuto alla statistica nella generazione della carica, diventa significativo alle alte energie. Pulse shape e timing di un rivelatore semiconduttore

La forma del segnale di tensione in uscita da un rivelatore a semiconduttore contiene in se due informazioni di fondamentale importanza:

− l’altezza del segnale che è proporzionale all’energia del γ rilevato; − il fronte di salita del segnale, dal quale si può determinare l’istante in cui il γ ha

attraversato il rivelatore.

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Fig.1.4.4 Segnale di tensione in uscita da un HPGe

In definitiva, la risoluzione temporale di un rivelatore a semiconduttore dipende sia dal tempo medio di salita del segnale che dall’altezza del segnale di tensione (cioè dall’energia del γ rilevato). Due fattori limitano la risoluzione di tempo dei rivelatori a semiconduttore: il primo fattore è il lento processo di accumulazione dei portatori di carica. Se il campo elettrico è abbastanza forte, le velocità di drift dell'elettrone e delle lacune sono saturate. La velocità di drift in saturazione per un elettrone è dell’ordine di ~107 cm/s, cioè gli elettroni impiegano circa 75 ns per percorrere 1 cm (per le lacune invece abbiamo valori di velocità leggermente più piccoli e queste percorrono 1 cm in circa 90 ns). I tempi di salita tipici per l’impulso saranno quindi di questo ordine di grandezza e questo è molto più lungo di quelli dei rivelatori a scintillazione organici. Il secondo il fattore è la grande variazione di altezza degli impulsi in uscita. L’istante di tempo in cui il segnale ha inizio cambia sostanzialmente da evento a evento secondo la posizione cui viene creata la coppia.

Fig.1.4.5 Caratteristiche generali di un segnale di tensione

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La forma di impulso dei rivelatori planari può essere descritta attraverso il bilancio energetico nel modo seguente. La carica indotta infinitesimale è definita attraverso l’espressione: dW V dQ= ⋅ (1.4.4) dove dWè il lavoro compiuto dalle forze del campo elettrico del rivelatore, V la tensione applicata e dQ la frazione infinitesima di carica indotta. Sul singolo portatore di carica 0q che si

sposta, all’interno del rivelatore, tra un punto x e uno x+dx, il lavoro svolto è

( ) ( ) ( ) ( )0 0 0

dWdW q V x dx V x dW q E x dx q E x

dx= ⋅ + − ⇒ = ⋅ ⋅ ⇒ = ⋅ (1.4.5)

dove con E(x) abbiamo indicato il campo elettrico. Nella regione di svuotamento possiamo considerare un campo elettrico costante, quindi:

0

dW Vq

dx T= (1.4.6)

dove T è lo spessore della zona di svuotamento (vedi figura 1.4.6). Così il lavoro necessario a spostare la carica 0q dal punto x0 al punto x è

( )0

x0

0 0

x

V q VW q dx x x

T T

⋅∆ = ⋅ ⋅ = ⋅ −∫ (1.4.7)

La presenza di questo lavoro, genera una carica indotta pari a:

( ) ( )0 d0 0

x xW v tQ t q q

V T T

−∆ ⋅∆ = = ⋅ = ⋅ (1.4.8)

dove dv è la velocità di drift dei portatori di carica e T lo spessore della zona di svuotamento.

Il segnale di tensione generato sarà dato da:

( ) ( ) d

R 0

Q t vV t q t

C C T

∆∆ = = ⋅ ⋅

⋅ (1.4.9)

Fig.1.4.6 Generazione di una coppia elettrone-lacuna in un rilevatore a semiconduttore planare

eℓ

T

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In realtà, la carica indotta ha due componenti: una generata dal movimento degli elettroni, l’altra dalle buche. Supponiamo che le coppie vengano create ad una distanza x dall’elettrodo n+, dopo un'interazione con un γ, secondo le indicazioni della figura 1.4.7.

Fig.1.4.7 Formazione del segnale di tensione in un rilevatore a semiconduttore planare

Nella fase iniziale del processo di raccolta della carica, sia gli elettroni sia le lacune andranno alla deriva.

( ) ( )e h0d d

W qQ t v v t

V T

∆∆ = = ⋅ + ⋅ (1.4.9)

Nel caso in cui tutti gli elettroni siano raccolti e le lacune fossero ancora presenti nel rivelatore, avremo:

( )e h

d0

W v tQ t q

V T T

∆ ⋅∆ = = ⋅ +

ℓ (1.4.10)

dove eℓ è lo spazio percorso dagli elettroni. Nel caso opposto:

( )e ed

0

W v t TQ t q

V T T

∆ ⋅ −∆ = = ⋅ +

ℓ (1.4.11)

Una volta che tutte le cariche siano stato raccolte, avremo: ( ) 0Q t q∆ = (1.4.12)

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Acquisizione degli spettri con un rivelatore a semiconduttore

La figura 1.4.8 mostra lo spettro di una sorgente di 152Eu, presa con un HPGe coassiale, unitamente allo schema delle transizioni possibili.

Fig.1.4.8 Spettro di 152Eu acquisito con un HPGe coassiale e schema delle transizioni

Considerando il decadimento di una sorgente di 137Cs, il cui schema è riportato in figura 1.4.9, la risposta di un rivelatore a semiconduttore per una singola emissione γ è rappresentata nella figura 1.4.10

Fig.1.4.9 Schema di decadimento 137Cs

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Fig.1.4.10 Spettro di 137Cs acquisito con un rilevatore HPGe coassiale

I processi di assorbimento, della radiazione γ all’interno del rivelatore, che più contribuiscono alla formazione dello spettro sono quelli multipli, cioè quegli eventi in cui il fotone γ perde la sua energia in 2 3÷ eventi successivi, come ad esempio una dispersione Compton seguita da un assorbimento fotoelettrico del fotone diffuso. L'assorbimento di energia del fotone in un singolo processo fotoelettrico è abbastanza raro. La tabella 1.4.1 ricapitola un risultato di simulazione Monte Carlo e riporta il numero delle interazioni che contribuiscono al picco di 1332 KeV (del 60Co) per un rivelatore HPGe coassiale.

1 2 3 4 5 6 4.2% 17.8% 27.0% 25.1% 15.4% 7.0%

Tab.1.4.1 Probabilità di interazione multipla all’interno di un rilevatore HPGe coassiale

Fotopicco 662 KeV

Compton multipli all’interno del rivelatore

Spalla Compton (continuo), nel rivelatore e nella schermatura

Picco di backscattering nella schermatura

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Se l'energia del fotone γ aumenta al di sopra di 2 e2m c 1.022 MeV= , la produzione di coppie

diventa dominante ed i picchi di uscita degli elettroni diventano importanti. Gli spettri della figura 1.4.11 mette a confronto i fotopicchi, il single escape e il double escape peaks, in una sorgente di 88Y.

Fig.1.4.11 Spettro di 88Y acquisito con un HPGe coassiale: notare il double e il single escape peaks

Calibratura di energia

Il sistema di rivelazione deve essere preventivamente tarato in energia ed efficienza per poter identificare con esattezza i radioisotopi prodotti nel bersaglio ed eseguire le misure dell’attività ad essi relativa. La taratura in energia viene effettuata, prima dell’inizio di ogni esperimento, con una sorgente puntiforme di 152Eu, il cui ampio range di energie per i γ emessi permette di eseguire un buon fit di taratura. Nella tabella 1.4.2 sono riportati i valori utilizzati, quali l’energia di riferimento della sorgente di 152Eu ed i canali corrispondenti, per costruire la retta di taratura in energia, mostrata poi nella figura 1.4.12

2 fotopicchi (898 e 1836 keV)

Picco di fuga semplice o single escape (un γ della produzione di coppie esce dal rivelatore)

⇒ESE = EPE – 511 keV

Picco di fuga doppio o double escape (i due γ della produzione di coppie escono dal rivelatore)

⇒EDE = EPE - 1022 keV

γ di annichilazione a 511 keV

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Energia(kev) Canale 121.78 502.15 244.67 1012.49 344.30 1426.39 411.09 1703.26

444.00 1840.41

778.90 3233.03

1840.41 3600.03 964.00 4001.89 1085.80 4509.35 1112.07 4616.86 1408.08 5847.15

Tab. 1.4.2 Energia e canali di taratura di un rilevatore a S.C. attraverso una sorgente di 152Eu.

Fig. 1.4.12 Calibratura di energia attraverso una sorgente di 152Eu.

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Capitolo 2: Il codice di simulazione Geant4

Le simulazioni Montecarlo giocano un ruolo fondamentale in diversi domini ed in molte fasi dei progetti di fisica sperimentale. I principali aspetti applicativi riguardano soprattutto:

− il design delle situazioni sperimentali;

− la valutazione e la definizione dei risultati potenziali del progetto;

− la valutazione dei rischi potenziali del progetto;

− la valutazione delle prestazioni dell’esperimento;

− lo sviluppo, i test e le ottimizzazioni del software relativo alla ricostruzione ed

all’analisi dei dati;

− il contributo alla formulazione ed alla validazione dei risultati.

I domini di applicazione delle simulazioni variano dalla fisica delle alte energie, nucleare e astro-particellare, che costituiscono le applicazioni più tradizionali, a studi sulle radiazioni, ad applicazioni mediche e biologiche. Cerchiamo di analizzare gli aspetti fondamentali per la simulazione delle interazioni di particelle con la materia. Innanzi tutto si deve modellizzare la situazione sperimentale, cioè si deve saper riprodurre geometrie e materiali coinvolti. Le particelle devono essere tracciate e le interazioni devono essere descritte. Si deve modellizzare la risposta dei rivelatori ed avere controllo sulle diverse fasi della simulazione che dovrà anche disporre di generatori di numeri random, di dati sulle particelle, costanti fisiche, ecc. Attualmente esiste una moltitudine di codici per la simulazione Montecarlo, molti dei quali non sono in distribuzione pubblica. Ne citiamo alcuni: EGS e sue evoluzioni (EGS4, EGSnrc), Fluka, Geant3, HERMES, ITS, LAHET, Mars, MCNP ed evoluzioni, Morse, Penelope, Peregrine (un software commerciale), Tripoli. Tra di essi, alcuni (ad esempio EGS, MCNP) sono diffusi in applicazioni fisico-mediche. In questo capitolo vogliamo introdurre le caratteristiche principali del codice di simulazione Geant4. Geant4 si differenzia notevolmente, rispetto ad altri codici Montecarlo, non solo per le sue funzionalità, ma anche per essere concepito, prodotto e mantenuto secondo metodologie avanzate di scienza del software, che permettono di conseguire la trasparenza necessaria per la validazione dei risultati sperimentali. Geant4 può essere definito un toolkit, cioè un insieme di componenti compatibili in cui:

− ogni componente è specializzata per una specifica funzionalità;

− la singola componente può essere rifinita indipendentemente fino ai dettagli;

− le diverse componenti possono essere integrate ad ogni grado di complessità;

− le componenti possono lavorare insieme per maneggiare domini interconnessi.

In un toolkit la possibilità di provvedere ed usare componenti alternative deve essere facile. In questo modo un utilizzatore può realizzare un’applicazione, e nel caso specifico, una simulazione, in accordo con i propri bisogni. Inoltre, il concetto di toolkit, prevede la grande facilità di mantenimento e di evoluzione sia delle componenti che delle applicazioni dell’utilizzatore.

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2.1 Il toolkit Geant4

Geant4 è un toolkit per la simulazione del passaggio delle particelle attraverso la materia. Le sue aree di applicazione comprendono gli esperimenti di fisica delle alte energie e nucleare, le applicazioni in campo medico, gli acceleratori e gli studi in fisica spaziale, astrofisica e astronomia. Geant4 rappresenta un esperimento riuscito di applicazione rigorosa dell’ingegneria del software e della tecnologia orientata agli oggetti nel dominio della fisica delle alte energie. Geant4 provvede un set completo di funzionalità per tutti i domini della simulazione dei rivelatori: geometria, tracce, risposte dei rivelatori, gestione del run, degli eventi e delle tracce, interfaccia per gli utenti e visualizzazione. Un ampio set di processi fisici, come richiesto dalla sua natura multi-disciplinare, gestisce le interazioni delle particelle con la materia in un ampio intervallo di energie e, per molti processi, sono disponibili differenti modelli.

Cenni storici

Geant3 rappresenta il passato di Geant4. Il vecchio codice di simulazione è stato usato dalla maggior parte degli esperimenti nella fisica delle alte energie, ma anche in applicazioni diverse: fisica nucleare, fisica medica, studi sul fondo di radiazione, ecc. La sua ultima versione, Geant3.21, risale al Marzo del 1994 ed è costituita da circa 200K righe di codice che, data la complessità del dominio di applicazione e la difficoltà di mantenimento e gestione del codice, lo rendono un sistema complesso. Geant3, inoltre, non è “autosufficiente” perché alcune funzionalità, per esempio la fisica adronica, non sono native, cioè incorporate in esso. L’evoluzione a Geant4 parte dalla volontà di soddisfare nuove esigenze. In campo prettamente fisico erano necessarie:

− estensioni dei modelli alle alte energie, per esempio negli esperimenti LHC o sui raggi cosmici;

− estensioni alle basse energie, per esempio nelle applicazioni spaziali ed in fisica medica;

− affidabilità per la fisica adronica, non solo per i calorimetri ma anche per applicazioni di identificazione di particelle (per esempio in esperimenti su violazioni CP).

Altre esigenze nascono dalla volontà di effettuare, per esempio, simulazioni ad alta statistica che siano robuste ed affidabili o di avere possibilità di scambi di informazione tra sistemi CAD per il disegno dettagliato di grossi rivelatori. Geant4 fu proposto ed approvato dal Detector Research and Development Committe (DRDC) del CERN alla fine del 1994 come R&D Project RD44. Dal 1995 fino al suo completamento nel 1998 il progetto ha riportato al comitato del LCB (LHC Computing Board) tutti gli obbiettivi proposti. Il primo release pubblico di Geat4, Geant4.0, risale alla fine del 1998. Il software di Geant4 è il risultato di una collaborazione internazionale di un centinaio di scienziati provenienti da oltre 40 istituti ed esperimenti in Europa, Asia e Americhe. La Collaborazione Geant4 cura adesso tutti processi di distribuzione, sviluppo e supporto agli utilizzatori. Le principali strutture interne alla collaborazione sono:

− il Collaboration Board, che gestisce le responsabilità e le risorse; − il Technical Steering Board, che si occupa delle questioni tecniche e scientifiche; − i Working Groups, che si occupano del mantenimento, dello sviluppo, dei

controlli di qualità, ecc., nei domini del codice di loro competenza. Le applicazioni di Geant4, oggi sono rivolte a esperimenti di fisica delle particelle in corso ed in preparazione, esperimenti di astroparticelle in laboratori sotterranei (fisica dei neutrini e ricerca di Dark Matter), esperimenti con telescopi X e gamma su satelliti, esplorazioni planetarie, scienze dello spazio, fisica medica, ecc.

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Il ruolo dell’ingegneria del software in Geant4

A differenza di altri sistemi di software tipici in fisica sperimentale, Geant4 è caratterizzato, fin dall’inizio del progetto, da un approccio rigoroso all’ingegneria del software e dall’adozione di tecnologie avanzate di software. Il design orientato agli oggetti è risultato fondamentale per l’approccio parallelo e distribuito:

− ogni parte può essere sviluppata, rifinita e mantenuta indipendentemente; − la decomposizione del dominio del problema e l’analisi e design OO hanno

portato una dipendenza unidirezionale di categorie di classi. In figura 2.1.1 possiamo vedere la struttura gerarchica che lega le categorie, cioè gli insiemi di classi collegate fra di loro, ma in debole relazione con altri domini.

I benefici della tecnologia OO, attraverso le implementazioni dei suoi concetti fondamentali (incapsulamento, ereditarietà, polimorfismo) sono ampiamente visibili. Geant4 risulta:

− aperto alle evoluzioni: l’estensibilità e l’implementazione di nuovi modelli ed algoritmi avviene senza interferire con altri parti del codice; l’utente stesso può estendere il toolkit con i suoi modelli e dati;

− trasparente: i modelli implementati non appaiono come scatole nere; l’utente può vedere la fisica che sta usando e questo è fondamentale per la validazione dei risultati;

− flessibile: dispone di diversi modelli già implementati e l’utilizzatore è quindi esposto alla scelta del modello più appropriato.

Fig.2.1.1 Rappresentazione dei domini in Geant4

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Fin dai primi anni del progetto, Geant4 è stato sviluppato seguendo degli standards avanzati per il processo di sviluppo, che ne determinavano le evoluzioni in tutte le sue fasi. La complessità del prodotto, l’ampio spettro di applicazioni, l’enorme quantità di codice scritto, la sua dimensione e la natura distribuita della collaborazione sono ingredienti che concorrono a coinvolgere diversi processi. Geant4 ha adottato quello iterativo ed incrementale. Citiamo, per rendere l’idea di quali possano essere questi processi, alcuni esempi. Il processo di sviluppo primario (primary life-cycle processes) riguarda il ciclo vitale di produzione e mantenimento del software, e comprende quindi le fasi che partono dalla raccolta degli User Requirements fino alla distribuzione, al mantenimento e al processo di supporto agli utilizzatori, comprendendo il design e la costruzione del codice. Un altro processo di sviluppo è quello che riguarda il ciclo vitale del supporto (supporting life-cycle processes) e che riguarda la produzione delle documentazioni, la gestione dei cambiamenti, sia nel software che nelle documentazioni, ed i processi di controllo di qualità. Un ulteriore processo è quello che riguarda le strutture organizzative che definiscono gli obbiettivi del progetto o quello relativo ai processi di miglioramento (SPI). Come già accennato precedentemente, i processi relativi all'assicurazione di qualità (Quality Assurance) sono sempre importanti, ma per un prodotto distribuito pubblicamente essi diventano fondamentali. In Geant4 viene fatto uso esteso di diversi metodi per il controllo di qualità. Citiamone alcuni: sistemi commerciali (Insure++, CodeWizard, Workshop, ecc.); ispezioni sul codice svolte sia all’interno dei Working Groups che in parallelo (si verifica che non ci siano violazioni di regole nella scrittura del codice); verifiche sulla gestione della memoria CPU durante le esecuzioni dei programmi e su eventuali violazioni delle dipendenze nelle strutture e categorie; monitoraggio e banchi prova vari. All’interno dei processi di QA devono anche essere anche comprese le diverse fasi di testing. In particolare, citiamo i banchi prova (Test Bench) sulle categorie, di cui i 375 test per i modelli parametrizzati di fisica adronica sono un esempio, e tra gli aspetti specifici dei test di validazione, i Physics testing, cioè le verifiche delle funzionalità attraverso il confronto con i risultati sperimentali. Geant4 si basa sull'uso di standards, dovunque essi siano disponibili: per esempio, STEP per sistemi CAD ingegneristici, OpenGL e VRML per la grafica, CVS per la gestione del codice, il C++ come linguaggio di programmazione. Inoltre Geant4 risulta indipendente dalle unità di misura di ogni quantità numerica che deve essere esplicitamente espressa con le proprie unità. Le librerie pubbliche di dati utilizzati in Geant4 (EPDL, EEDL, EADL, ICRU, ecc.) sono sistematicamente valutate ed aggiornate e provengono da diverse fonti (IAEA, TRIUMPH, FNAL, ecc.). L’uso di librerie con questi attributi è importante per la validazione dei risultati degli esperimenti. La documentazione disponibile a supporto di Geant4 è completa e comprende:

− la documentazione per gli utilizzatori (User Documentation) costituita da 6 guide: Introduction to Geant4, Installation Guide, Geant4 User’s Guide: For Application Developer , Geant4 User’s Guide: For Toolkit Developer, Software Reference Manual, Physics Reference Manual;

− gli esempi: raccolti in diversi gruppi (Novice, Extended, Advanced) illustrano, attraverso configurazioni sperimentali realistiche, le diverse potenzialità di Geant4;

− The Gallery: una raccolta su web di plots e valutazioni; − pubblicazioni e risultati: una raccolta su web dei principali lavori che hanno come

oggetto Geant4. Tutte queste risorse sono accessibili dalla Home Page di Geant4.

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Il supporto agli utilizzatori (Geant4 User Suppport) provvede all’aiuto ed all’analisi di problemi relativi al codice, a consulenze, a richieste di sviluppo per particolari esigenze ed all’analisi di risultati anomali. Tale supporto parte dalla Geant4 collaboration che distribuisce all’interno di se stessa, e quindi a ricercatori e laboratori impegnati nel progetto, le responsabilità ed il mantenimento dei diversi domini del software. In questo modo il supporto è reso da un numero molto grande di persone sempre in un dominio di loro competenza e, molto spesso, su parti di codice sviluppato da loro stessi. L’approccio alla risoluzione dei problemi con un tale modello distribuito, è molto diverso da quello tradizionale di tipo centrale e riflette la natura modulare del software. Per filtrare, analizzare e distribuire le diverse richieste è necessario avere una struttura adeguata che provveda inoltre a fornire un’interfaccia a chi non conosce i dettagli interni del processo di User Support. E’ disponibile in rete anche un moderno sistema di analisi dei problemi (Problem Tracking): attraverso la compilazione di un modulo il problema viene automaticamente girato al coordinatore del Working Groups responsabile del dominio connesso. Il problema sarà classificato in un data-base che permette di consultarne stato ed evoluzione.

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2.2 Le principali componenti di Geant4

In questo paragrafo cercheremo di analizzare le principali componenti di Geant4. Queste componenti, in base a quanto abbiamo cercato di spiegare nell’introduzione alle metodologie OO, non sono solo identificabili come entità logiche e concettuali; esse sono costituite da parti di codice separate e sviluppabili in maniera indipendente. Le principali componenti sono: il kernel, la descrizione dell’apparato sperimentale, i processi fisici, ed alcune componenti ausiliari.

• Il kernel

Il kernel rappresenta il nucleo centrale di Geant4. Possiamo distinguere in esso alcuni concetti fondamentali che costituiscono l’essenza della simulazione.

• Run

In Geant4 un Run è la più grande unità di simulazione ed in analogia con gli esperimenti reali, inizia con il metodo Beam On della classe G4RunManager. All’interno di un Run non è possibile cambiare né le definizioni delle geometrie dei rivelatori né l’insieme dei processi fisici implementati. Quindi, concettualmente, il Run risulta una raccolta di eventi con il rivelatore nelle stesse condizioni. La classe che rappresenta un Run è G4Run. Le classi relative a questo dominio sono raccolte nella categoria Run.

• Event

Un evento è costituito dall’insieme delle particelle primarie. Quando inizia una simulazione, le particelle primarie che costituiscono l’evento sono messe in una stack; quando la stack è vuoto, cioè le particelle processate, la simulazione di un evento è finita. La classe che rappresenta un evento è G4Event che contiene i metodi per ottenere le informazioni, per esempio, sul numero identificativo dell’evento processato, sulle caratteristiche delle particelle generate e, attraverso relazioni con altre classi, informazioni sulle interazioni avvenute durante l’evento. Il sofisticato design di Event e Stack di Geant4 permettono applicazioni sofisticate, quale la gestione del pile-up (eventi sovrapposti).

• Particles & Tracks

In Geant4 esistono tre livelli di oggetti per descrivere una particella: − G4ParticleDefinition, che definisce una particella attraverso sue proprietà (nome,

massa, spin, ecc.); − G4DynamicParticle, che descrive la dinamica di una particella attraverso quantità

come energia, momento, polarizzazione, ecc.; − G4Track, che descrive una particella come traccia nello spazio e nel tempo

attraverso informazioni che sono posizione, step ed informazioni dinamiche associate ad esse.

• Tracking Step

Il Tracking gestisce l’evoluzione dello stato delle tracce determinate dalle interazioni fisiche. Come vedremo successivamente, Geant4 non applica alcun taglio (cut) sulla tracce e le segue fino a range zero. Uno Step è l’intervallo definito da 2 punti spaziali ed è rappresentato dalla classe G4Step. Associato al concetto di Step ci sono diverse informazioni accessibili attraverso i metodi di G4Step: lunghezza, energia persa durante lo step, ecc.

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La descrizione dell’apparato sperimentale

I concetti fondamentali per la descrizione dell’apparato sperimentale sono i materiali, la geometria del rivelatore, i volumi sensibili e gli Hits.

• Materiali

In Geant4 possono essere definiti diversi tipi di materiali. Ad ogni tipo corrispone una classe: isotopi (G4Isotope), elementi (G4Elements), molecole (G4Material), composti e misture (G4Material). Ad essi è possibile associare diversi attributi: temperatura, pressione, stato, densità.

• Geometrie del rivelatore

La definizione di un volume necessita di tre passaggi logici. La creazione inizia specificando forma e dimensioni. L’oggetto che si crea è denominato, in Geant4, Solid. Ad ogni forma è associata una classe: la costruzione di un parallelepipedo si riferisce alla classe G4Box, quella di una sfera a G4Sphere, ecc.. Esistono anche solidi booleani originabili da unioni e sottrazioni di altri solidi e la possibilità di importare modelli da sistemi CAD. Determinato il solido, si devono ad esso aggiungere le proprietà. Associando ad esso gli oggetti relativi ai materiali, o, per esempio a campi magnetici, si costruisce quello che in Geant4 viene chiamato un Logical Volume. Se il volume che si sta costruendo sarà parte sensibile del rivelatore, esso dovrà essere dichiarato sensibile associandolo ad un oggetto Sensitive Detector. Il posizionamento del volume logico in un altro volume, attraverso traslazioni, rotazioni o ripetute operazioni di questo tipo (operazioni di replica), lo rende Physical Volume. Sulle geometrie reali del rivelatore è possibile anche costruire una geometria virtuale chiamata ReadOut Geometry che può servire per ricavare informazioni dal rivelatore.

• Hits

Un Hit è un’istantanea dell’interazione di una traccia o una raccolta di interazioni di tracce nelle regioni sensibili del rivelatore. Un oggetto Sensitive Detector crea gli Hit utilizzando le informazioni accessibili da parte di altre classi, per esempio a livello di step o evento. L’utilizzatore deve provvedere all’implementazione della risposta del proprio rivelatore. Gli oggetti relativi agli Hit sono raccolti in oggetti G4Event alla fine di un evento.

I processi fisici

I processi in Geant4 descrivono come le particelle interagiscono con i materiali e con volumi. A parte il processo di navigazione, che tratta l'interazione di una traccia con entità geometriche, ed il processo di parametrizzazione, che corrisponde al concetto normalmente noto sotto il nome di fast simulation, tutti gli altri processi di Geant4 sono processi fisici. In generale, gli esperimenti, richiedono modelli di descrizione dei processi fisici indipendenti ed alternativi. In Geant4 i modelli, diversamente da quelli a pacchetti che sono trattati come scatole nere, permettono all’utilizzatore di capire come sono prodotti i risultati della simulazione. In questo modo l’utilizzatore è direttamente esposto alla fisica che sta usando. L’approccio descritto è fondamentale per la validazione dei risultati degli esperimenti. Ovviamente la disponibilità di scegliere tra diversi modelli investe l’utilizzatore della responsabilità della scelta di quello che più corrisponde alle proprie esigenze. Non dimentichiamo inoltre che la metodologia adottata permette di implementare o modificare le caratteristiche dei processi senza indurre cambiamenti in altre parti del codice.

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In Geant4 esistono 7 maggiori categorie per la descrizione dei processi: electromagnetic, hadronic, transportation, decay, optical, photolepton_hadron, e parameterisation. Ognuna di queste categorie contiene le classi in cui sono implementati i modelli. Nei paragrafi che seguono saranno brevemente descritte le caratteristiche dei processi in alcune categorie. Nel capitolo successivo verrà descritta in modo più approfondito la categoria denominata Low Energy Elettromagnetic Physics.

Fisica elettromagnetica

Le descrizioni della fisica elettromagnetica in Geant4 gestiscono: elettroni e positroni; γ, raggi X e fotoni ottici; muoni; adroni carichi; ioni. Per gli stessi processi esistono modelli alternativi che obbediscono alla stessa interfaccia (polimorfismo). In particolare si hanno le estensioni ad alte energie, chiamate High Energy Extensions, fondamentali, per esempio, negli esperimenti di LHC e negli esperimenti sui raggi cosmici, e le estensioni alle basse energie, Low Energy Extensions, fondamentali, per esempio, per le applicazioni spaziali e mediche, per gli esperimenti sul neutrino e la spettroscopia di antimateria. Qui sotto è riportato un riassunto dei processi elettromagnetici Standard. Per i dettagli dell’implementazione si rimanda al Physics Reference Manual.

− Processi per fotoni: − Effetto Compton (classe G4Compton) − Effetto fotoelettrico (classe G4PhotoElettricEffect) − Conversione gamma (classe G4GammaConversion)

− Processi per elettroni e positroni: − Bremsstrahlung (classe G4eBremsstrahlung) − Ionizzazione (classe G4eIonisation) − Annichilazione (classe G4eplusAnnihilation) − Perdita di energia (classe G4eEnergyLoss), gestisce la perdita di energia continua

delle particelle proveniente da ionizzazione e Bremsstrahlung. − Radiazione di sincrotone.

− Processi elettromagnetici per adroni: − Ionizzazione (classe G4hIonisation) − Perdita di energia (classe G4hEnergyLoss)

− Processi di scattering multiplo (classe G4MultipleScattering)

Per i processi di ionizzazione, Bremsstrahlung, annichilazione, perdita di energia e scattering multiplo, esistono anche le implementazioni con l’approccio integrale sulla valutazione del punto d’interazione. Le classi, relative a questo tipo di implementazione, cambiano il nome con l’aggiunta di una I: G4Ionization, che ha l’approccio differenziale, diventa G4IeIonization. Una particolarità nella descrizione della fisica elettromagnetica di Geant4 è che non esistono tagli sulle tracce (tracking cuts) ma esiste solo una soglia di produzione (production thresholds) delle particelle secondarie: tutte le particelle prodotte sono tracciate fino a range zero. Questa soglia, chiamata cut-off, deve essere specificata in range ed è valida per tutti i materiali. Il valore di taglio in range viene convertito in taglio in energia a seconda del materiale ed a seconda della particella. La scelta di utilizzare il range piuttosto che l’energia sembra più sensata: un taglio di 10 keV in silicio corrisponderebbe a qualche cm per i gamma e qualche micron per gli elettroni e questo vorrebbe dire che le particelle, se sottoposte ad una soglia in energia, sono tracciate nel nostro rivelatore in modo diverso.

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Fisica adronica

La descrizione della fisica adronica ha un approccio completamente differente rispetto al passato, essendo trasparente, nativa (nel senso che non ha bisogno di pacchetti esterni), e con una chiara separazione tra i dati utilizzati ed il loro uso negli algoritmi. I modelli di fisica adronica sono caratterizzati da diversi indirizzi: modelli teorici, parametrizzati a partire da dati sperimentali e direttamente basati su dati. I data-set delle sezioni d’urto (con data-set si intende un oggetto che incapsula i metodi ed i dati per calcolare le sezioni d’urto per un certo processo) sono molteplici e si differenziano per essere o semplici equazioni con pochi valori, oppure sofisticate parametrizzazioni che utilizzano tabelle di dati. Tra i modelli basati su dati sperimentali: alcuni sono derivati da GEISHA e ridisegnati completamente con il design orientato agli oggetti. Altri modelli, per esempio la sezione d’urto differenziale elastica del processo pp, le sezioni d’urto totali di nN o pN, hanno nuove parametrizzazioni. Ci sono anche modelli completamente nuovi come per il trasporto dei neutroni o la produzione di isotopi. I modelli teorici affrontano le diverse fasi delle interazioni adroniche in diversi intervalli di energia: in ordine di energie crescenti, la deeccitazione nucleare, la fase di pre-equilibrio, la cascata intra-nucleare, il regime di generatore adronico. L’ampia varietà di modelli, alternativi e complementari, rende la fisica adronica di Geant4 più completa rispetto alle altre descrizioni per simulazioni sul mercato. L’utilizzatore ha, anche in questo caso, il completo controllo sulla fisica usata nella simulazione.

Fotoni ottici

I fotoni ottici sono fotoni con lunghezza d’onda maggiore delle dimensioni atomiche. Nei rivelatori utilizzati in fisica delle alte energie, sono prodotti maggiormente per effetto Cherenkov e scintillazione. Le proprietà ottiche dei rivelatori sono assegnate attraverso associazioni ai Logical Volume dell’apparato sperimentale. Geant4 descrive, per i fotoni ottici, questi processi:

− assorbimento in volo,

− scattering Rayleigh,

− diffrazione e riflessione nelle interfacce tra materiali diversi.

Componenti ausiliarie

Le componenti ausiliarie permettono le visualizzazioni e le interfacce anche grafiche, per gli utenti. In Geant4 è possibile visualizzare diversi componenti della simulazione:

− le componenti del rivelatore;

− le strutture gerarchiche dei volumi;

− le traiettorie delle particelle e gli step della traccia;

− le interazioni delle particelle nelle componenti del rivelatore.

I requisiti che devono avere le visualizzazioni sono molteplici tra cui ricordiamo, per esempio, la possibilità di imprimere effetti speciali per le dimostrazioni, avere una risposta veloce che segua

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successioni di eventi, alta qualità, controllo flessibile della visuale per eseguire controlli sulle geometrie, risaltare le sovrapposizione di volumi. Le visualizzazioni possono essere attivate attraverso comandi o scrittura di codice C++ e necessitano l’interfacciamento a software grafici 3D supportati da Geant4 come, per esempio, DAWN (per PostScript tecnici ad alta qualità) e OpenGL (per visualizzazioni veloci e flessibili). Le interfacce utenti (UI, User Interface) permettono, per esempio di lavorare e gestire una simulazione con Geant4, attraverso l’esecuzione di comandi impartiti da terminale o da file macro. Esistono anche interessanti interfacce grafiche, (GUI, graphical user interface), e degli editors gestiti attraverso GUI, che scrivono automaticamente codice C++, per la fisica e per le geometrie di Geant4.

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2.3 La fisica elettromagnetica Low Energy di Geant4

Gli obiettivi dei modelli dei processi elettromagnetici, indicati come Low Energy Electromagnetics Extension, sono quelli di estendere le descrizioni dei processi elettromagnetici a basse energie. Queste estensioni sono motivate dall’interesse rivolto alle simulazioni che ambienti diversi da quelli della fisica delle alte energie, soprattutto medico, astrofisico e astroparticellare, hanno manifestato. Le descrizioni dei processi che in Geant4 vengono denominate Standard hanno limiti inferiori di validità che vanno da 1 keV a 10 keV. Questi limiti inferiori in energia sono, per alcune applicazioni, alti: in campo medico, per esempio, le richieste di esatte distribuzioni spaziali di radiazione assorbita nei tessuti implicano la necessità di basse soglie nella produzione delle particelle secondarie e modelli in grado di descriverle (se per esempio voglio seguire i fotoni che percorrono mezzo millimetro in acqua, devo avere buone descrizioni per i gamma da 2.2 KeV). Anche dove si vogliono studiare le emissioni caratteristiche di certi elementi, come in astrofisica, avere un limite di 1 KeV, per esempio, determina un elemento di soglia (Z=11, sodio) sotto il quale non può essere analizzata l'emissione della shell-K nella radiazione X che, per il carbonio è 250 eV. Le estensioni Low Energy forniscono modelli per elettroni, fotoni, adroni e ioni. Queste estensioni sono caratterizzate da un approccio rigoroso al software engineering: gli user requirements sono stati formalmente raccolti, analizzati e specificati utilizzando lo standard ESA PSS-05 e sono sistematicamente rivisti ed aggiornati. La metodologia OO è stata utilizzata in tutte le fasi di analisi e design del software; il processo di sviluppo seguito, sia nelle fasi di design che in quelle di produzione del software, è quello iterativo ed incrementale ed è stato monitorato seguendo il modello indicato nelle ISO/IEC 15504. Le procedure da adottare nelle fasi di testing sono state formalmente specificate e periodicamente aggiornate. Il processo di sviluppo del software è completato da una gestione di progetto in cui le interazioni con gli utilizzatori sono molto estese. Queste interazioni partono dalla definizione degli user requirements alla collaborazione con gli utilizzatori nella validazione dei modelli e del codice attraverso dati sperimentali. Nel design in figura 2.3.1 possiamo vedere come i moduli Low Energy dei processi elettromagnetici si inseriscono nell’architettura di Geant4.

Fig.2.3.1 Architettura dei moduli Low Energy dei processi elettromagnetici

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Modelli fisici per elettroni e fotoni

Le implementazioni dei processi elettromagnetici per elettroni e fotoni Low Energy coprono il range di energie da 100 GeV a 250 eV per gli elementi con numero atomico da 1 a 99. Di seguito riportiamo i processi implementati.

• Processi per fotoni: − Effetto Compton (classe G4LowEnergyCompton) − Effetto fotoelettrico (classe G4LowEnergyPhotoElettric) − Effetto Rayleigh (classe G4LowEnergyRayleigh) − Conversione gamma (classe G4LowEnergyGammaConversion)

• Processi per elettroni

− Bremsstrahlung (classe G4eLowEnergyBremsstrahlung) − Ionizzazione (classe G4eLowEnergyIonisation) − Perdita di energia (classe G4eLowEnergyEnergyLoss)

In aggiunta, viene anche generata l’emissione fluorescente degli atomi eccitati, ed è in preparazione l’implementazione dell’effetto Auger. Le implementazioni di questi modelli si basano sull’uso di librerie valutate: EPDL97 (Evaluated Photons Data Library), EEDL (Evaluated Electrons Data Library), EADL (Evaluated Atomic Data Library). Queste librerie forniscono, per i calcoli di sezioni d’urto e sati finali, i seguenti dati:

• sezioni d’urto totali per effetto fotoelettrico, scattering Compton, scattering Rayleigh e Bremsstrahlung

• sezioni d’urto integrate per le subshell per effetto fotoelettrico e ionizzazione • spettri di energia per i secondari nei processi per elettroni • funzione di scattering per effetto Compton • fattori di forma per effetto Rayleigh • energie di legame per elettroni per tutte le subshell • probabilità di transizione tra le subshell per fluorescenza e per effetto Auger.

Il range di energie coperto da queste librerie va da 100 GeV a 1eV per effetto Rayleigh e Compton; fino alla più bassa energia di legame per ogni elemento nell’effetto fotoelettrico; fino a 10 eV per Bremsstrahlung e fino alla più bassa energia di legame per ogni elemento nella la ionizzazione. Poiché gli errori su questi dati valutati sono molto elevati a bassissime energie (anche > 100%), in Geant4 se ne è limitato l'uso fino a 250 eV, dove l'accuratezza è buona. Lo sviluppo di processi che tengano in conto la polarizzazione è in progresso. Il primo, per il Compton polarizzato, è stato incluso nell'utimo release pubblico del giugno 2001.

Modelli fisici per adroni e ioni

Le estensioni Low Energy comprendono descrizioni per la ionizzazione di adroni e ioni. Queste descrizioni adottano differenti modelli dipendenti dall’energia e dalla carica della particella. Ad energie maggiori di 2 MeV, si utilizza la formula di Bethe - Bloch e a basse energie (E< 1 KeV per i protoni) si utilizza il modello di gas di elettroni liberi. Nel range di energie intermedio si usano modelli parametrizzati basati su dati sperimentali provenienti da Ziegler e ICRU. Le correzioni dovute alle strutture molecolari dei materiali e all’effetto del potere frenante nucleare sono prese in considerazione. L’effetto Barkas è preso in considerazione ed è disponibile un modello quantico di oscillatore armonico per adroni negativi.

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2.4 Sviluppo di un’applicazione basata su Geant4

Lo sviluppo di un’applicazione sfrutta il ruolo della tecnologia OO: il kernel è scritto in termini di classi astratte; l’utente deve solo derivare le sue classi concrete, specifiche per l’applicazione, che il kernel è in grado di trattare in modo trasparente grazie al polimorfismo e al dynamic binding. Le classi specifiche definibili dell’utilizzatore possono essere divise in due categorie: classi obbligatorie (mandatory user classes) e classi opzionali (optional user classes). Il tipico programma di simulazione sarà costituito da un main( ) e da un certo numero di classi, almeno tre, che descrivono i diversi componenti della simulazione. Nel main( ) si dovrà istanziare la classe G4RunManager, l’unica classe di gestione che deve essere esplicitamente istanziata e che, oltre ad inizializzare le altre classi, controlla e gestisce, attraverso le altre manager classes di Geant4, il flusso del programma.

Mandatory user classes

Ci sono tre classi che devono essere definite dall’utilizzatore. Due di esse sono definite user inizialization classes, cioè classi utilizzate per l’inizializzazione della applicazione, e l’altra è una user action classes, cioè utilizzata per l’esecuzione. Le classi base da cui devono essere derivate sono, come abbiamo detto, astratte, cioè comprendono funzioni per cui Geant4 non provvede alcuna implementazione. Le classi base da cui derivare le proprie classi di inizializzazione sono:

− G4VUserDetectorConstruction: nella classe concreta che deriva da questa deve essere descritto la completa configurazione dell’esperimento. Si devono descrivere i materiali e le geometrie utilizzati nel detector e si devono definire i volumi sensibili.

− G4VUserPhysicsList: nella classe concreta che deriva da questa devono essere specificate

tute le particelle e tutti i processi fisici che saranno utilizzati nella simulazione. Sempre in questa classe devono essere definiti anche i parametri di cut-off.

− La user action class, deve essere derivata invece da G4VUserPrimaryGenerationAction:

nella classe concreta derivata da questa deve essere specificato il modo in cui vengono generate le particelle primarie.

Il diagramma delle classi in UML in figura 2.4.1 rappresenta il modo in cui le classi definite dall’utilizzatore (verde chiaro) si inseriscono nella struttura di Geant4 in relazione alle classi da cui derivano (giallo), alla G4RunManager ed alle altre classi di gestione.

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Fig.2.4.1 Il design di implementazione delle classi definite dall’utilizzatore

L’esistenza di queste classi viene verificata dal G4RunManager quando vengono invocati i metodi initialize (di inizializzazione) e beamon (di inizio della simulazione).

Optional user classes

Oltre alle 3 classi obbligatorie viste prima, ci sono 5 action classes opzionali che possono essere definite per sfruttare le funzionalità di Geant4. Queste classi ereditano da:

− G4VuserRunAction

− G4VuserEventAction

− G4VuserStackingAction

− G4VuserTrackingAction

− G4VuserSteppingAction

La classe che eredita da G4VuserRunAction, per esempio, è la classe che si deve costruire per gestire azioni ad ogni Run, mentre la classe G4VuserEventAction deve essere costruita per azioni ad ogni Event. Gli usi tipici di queste classi sono l’elaborazione e le visualizzazioni di dati o istogrammi relativi alla porzione (Run, Event, Step, …) di simulazione considerata.

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Capitolo 3: Funzione di distribuzione della perdita di energia per ionizzazione Una particella carica, attraversando la materia perde la sua energia per collisione con gli elettroni atomici. Dato che le collisioni hanno una natura quanto-meccanica, l’energia persa in ogni collisone può variare. Considerata allora la natura statistica del processo, dovremmo calcolarci la funzione di distribuzione di probabilità per l’energia persa dagli elettroni nel target. Il calcolo della funzione di distribuzione prevede di trovare la legge di evoluzione nello spazio di un fascio di particelle incidenti (elettroni), perturbato dalla presenza di centri di interazione (atomi della materia). In questo ambito ipotizziamo che il problema sia di natura stocastica, tipo moto browniano, con eventi di interazioni tra loro non correlati. 3.1 Equazione del trasporto

Consideriamo un fascio di N particelle di energia E, ed indichiamo con ( )d dxω ε ε la probabilità

che una particella perda energia compresa nell'intervallo [ ], dε ε ε+ dopo avere attraversato uno

spessore dx di materia. Inoltre indichiamo con ( )f x, d dxε ε la probabilità di trovare in un tratto

[ ]x,x dx+ una particella con perdita di energia compresa nell'intervallo [ ], dε ε ε+ .

Assumiamo le seguenti ipotesi semplificative:

indipendenza statistica tra collisioni successive; mezzo assorbitore omogeneo; energia persa piccola rispetto ad E.

In queste condizioni la ( )f x,ε può essere determinata considerando la situazione in x e la sua

variazione dopo un ulteriore spessore infinitesimo dx. La variazioni entro [ ]x,x dx+ del numero

di particelle che hanno perso un dato valore di energia ε è uguale alla seguente differenza:

Fig.3.1.1: Variazione del numero di particelle incidenti che hanno perso un’energia ε nello spessore [x, x+dx] Quanto sopra schematizzato si esprime mediante la seguente equazione del trasporto:

( ) ( ) ( )0

ff x, d f x, d

xω ε ε ε ε ε

∞∂ = − − ∂ ∫ (3.1.1)

dove il limite di integrazione superiore (massima energia persa) è posto a + ∞, mentre quello inferiore è posto a zero in virtù del fatto che f(x,ε)=0 per ε < 0 e ω(ε)=0 per ε > E (ovvio che la probabilità di perdere energia, maggiore di quella posseduta dalla particella, è nulla).

numero delle particelle che avendo perso in x una energia (ε − dε), perdono nel tratto dx ancora una energia dε, raggiungendo una perdita totale di energia ε

MENO

numero delle particelle che avendo già perso in x una energia ε, perdono nel tratto dx un’ulteriore quantità di energia dε raggiungendo una perdita totale di energia (ε + dε)

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 3

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La risoluzione di questa equazione richiede la conoscenza della sezione d’urto ( )ω ε , dunque i

relativi metodi dipendono dalle assunzioni fatte sulla ( )ω ε . Qui vengono considerate le ipotesi

di risoluzioni svolte da Landau e successivamente riprese da Vavilov, oltre a quella relativa ad un modello empirico sviluppato in base ai risultati Sperimentali, di cui daremo illustrazione nel paragrafo 3.2. L’equazione (3.1.1) non contiene esplicitamente le variabili x ed ε, questo ci permette di trovare la soluzione utilizzando la trasformata di Laplace. Nel nostro caso applichiamo la trasformata rispetto alla variabile indipendente ε, per cui avremo:

∫∞

−=0

),(),( εεϕ ε dexfxp p (3.1.2)

Allora la ( )f ε può essere espressa in termini di ( )pϕ eseguendo l’antitrasformata di Laplace:

∫∞+

∞−

=i

i

p dpxpei

xfσ

σ

ε ϕπ

ε ),(2

1),( (3.1.3)

dove l’integrazione è eseguita su una linea parallela all’asse immaginario, traslata a destra ( 0>σ ). Il calcolo continua con la determinazione della ( )p,xϕ ; lo facciamo moltiplicando

ambo i membri dell’equazioni (3.1.1) per εpe− ed integrando rispetto alla dε. Ciò conduce ad ottenere:

∫∞

−−−=∂

0

)1()(),(),( εεωϕϕ ε dexp

x

xp p (3.1.4)

da cui integrando ancora rispetto a dx avremo:

−−= ∫

∞−

0

)1()(),( εεωϕ ε dexexpxp p (3.1.5)

dove è stata considerata la condizione che per x=0, ( )0 1p,ϕ = . Infatti, posto ( ) ( )0f ,ε δ ε= ,

dalla (3.1.2) avremo la trasformata di Laplace di una δ-Dirac. Inserendo la (3.1.5) nella (3.1.3), otteniamo l’espressione generale della funzione di distribuzione ( )f x,ε in termini della sezione d’urto ( )ω ε :

∫ ∫∞+

∞−

∞−

−−=

i

i

p dpdexpexpi

xfσ

σ

ε εεωεπ

ε0

)1()(2

1),( (3.1.6)

In linea di principio la (3.1.6) costituisce la soluzione generale all’equazione del trasporto; per esplicitare il calcolo, bisogna naturalmente conoscere la sezione d’urto ω(ε), al fine di valutare l’integrale presente nell’esponente della funzione integranda. Nel caso trattato da Landau, la sezione d’urto viene considerata proporzionale a 1/ε2, cioè pari a quella relativa ad un processo di perdita di energia per interazione elettromagnetica di cui abbiamo parlato nel § 1.2. Tale andamento indica chiaramente che risultano maggiormente probabili processi con piccoli trasferimenti di energia.

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Dunque ci attendiamo che la distribuzione della perdita di energia per unità di lunghezza (dE/dx) all’interno del bersaglio sia asimmetrica. In particolare dovremmo avere che:

il valore più probabile non coincide con il valore medio; presenza di una coda a destra, cioè per valori grandi di energia persa.

La situazione più probabile corrisponde ad una perdita di energia più piccola rispetto a quella prevista dalla formula di Bethe - Block (questo evento avrà la sezione d’urto più grande e conseguentemente la f(ε) dovrà avere un valore maggiore) ed è situata nella metà di sinistra dell’intervallo di tutti i possibili trasferimenti di energia. Analogamente gli eventi con alta perdita di energia (sezione d’urto più piccola), saranno meno probabili e corrisponderanno alla coda a destra della distribuzione f(ε). Quanto sopra atteso trova conferma nella soluzione dell’equazione del trasporto trovata da Landau, la quale risulta valida per perdite di energia comprese in un intervallo che possiamo così identificare:

energie piccole rispetto al massimo trasferimento di energia in una singola collisione; energie grandi rispetto alle energie di legame degli elettroni atomici.

Con le ipotesi espresse, Landau dimostra che è possibile fattorizzare la funzione f(x,ε) nel modo seguente:

)(1

),( λϕξ

ε =xf (3.1.7)

dove i due fattori sonocosì identificati:

xA

NZ

vm

e A

pe

ρπξ 2

42= (3.1.8a)

∫∞+

∞−

+=i

i

uuu duei

σ

σ

λ

πλϕ ])(ln[

2

1)( (3.1.8b)

Nella espressione di ξ (che misuriamo in MeV) abbiamo indicato con me la massa dell’elettrone, vp la velocità della particella incidente, NA il numero di Avogadro, Z, ρ, A rispettivamente numero atomico, densità (g/cm3) e peso atomico (g/mol) della sostanza costituente il target. La funzione ϕ(λ) è una funzione della variabile adimensionale λ ed è nota come la funzione universale di Landau per la distribuzione della perdita di energia per ionizzazione (vedi figura 3.1.2). La ϕ(λ) è espressa in termini della variabile adimensionale λ che è così definita:

1ln C

'ξε ξ ε

λ ξ

− + − = (3.1.9)

in cui

22

2 2

2 2

1

2

vI

c vln ' ln

m v cε

= + (3.1.10)

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Si osserva che C, nella (3.1.9), indica la costante di Eulero (che vale 0.577…), mentre I, che compare nella (3.1.10), è il potenziale di ionizzazione dell’atomo (stimato in 10I eV Z⋅≃ ).

La particolarità della funzione di distribuzione f(x,ε) risiede nel fatto che pur essendo una funzione delle due variabili indipendenti x e ε è possibile fattorizzarla nel prodotto di due funzioni 1/ξ e ϕ(λ), ciascuna esplicitamente dipendente da una singola variabile, ξ e λ, all’interno delle quali sono celati i parametri fisici in gioco.

Fig.3.1.2 Funzione universale di Landau ϕ(λ)

Ritornando al grafico della ϕ(λ), si vede che essa possiede un massimo per λ = – 0.05, spostato a sinistra, anche se di poco, rispetto al valore medio, che nella variabile normalizzata corrisponde a λ=0. Dal suo andamento, osserviamo una salita molto rapida a sinistra del valore massimo, ciò indica una distribuzione concentrata per valori di perdita di energia, minori del più probabile. In maniera opposta a destra del valore massimo si osserva una discesa lenta che dà origine ad una coda, ciò indica una distribuzione allargata per valori di perdita di energia, maggiori del più probabile. Osserviamo che mentre nella formula Bethe - Block si considera il numero di urti per unita di percorso costante, cioè dipende solo dalla densità degli elettroni del materiale attraversato che si presuppone costante essendo la materia isotropa. In questo caso adottando una trattazione quantistica la sezione d’urto ha un andamento dipendente dall’energia. L’integrale (3.1.6) viene risolto analiticamente da Landau sotto opportune limitazioni per quanto riguarda i valori assunti dalla variabile di integrazione p. In particolare essi sono così individuati:

1p I⋅ ≪ e 1maxp W⋅ ≫ ,

dove 10I eV Z⋅≃ è l’energia media di legame degli elettroni atomici, mentre 22max pW mv= è la

massima energia che può essere trasferita ad un elettrone dalla particella durante la ionizzazione Le condizioni sulla variabile ausiliaria p, si riflettono sull’intervallo di variabilità della ξ, che sarà limitata a:

maxI Wξ≪ ≪

ϕ(λ)

λ

valore medio

valore più probabile

valore massimo

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48

Dunque la soluzione proposta da Landau ha validità nell’ambito in cui la perdita di energia risulta:

grande rispetto alla energia di legame degli elettroni atomici;

piccola rispetto al massimo trasferimento di energia in una singola collisone.

Fuori dalle precedenti condizioni l’utilizzo della distribuzione di Landau è improprio e può condurre ad errori di valutazione anche notevoli. La soluzione proposta da Vavilov all’equazione del trasporto ripercorre gli stessi passi condotti da Landau, con l’unica eccezione relativa all’estremo di integrazione della ϕ(p,x) che viene posto al finito e precisamente pari a maxW , oltre all’introduzione di una correzione relativistica

nella sezione d’urto ω(ε). Dunque per Vavilov la (3.1.6) diventa:

0

11

2maxWi p

if ( x, ) exp p x ( ) ( e ) d dp

i

σ ε

σε ε ω ε επ

+ ∞ −

− ∞∫ ∫

= − − (3.1.11)

Per capire l’importanza del contributo di Vavilov, dobbiamo fare una classificazione sulla base di un valore tipico della perdita di energia che è costituito dalla ξ. Esso assume il significato di valore di energia al di sopra della quale viene prodotto, nello spessore considerato, in media un δ-elettrone. Infatti quando si ha un grande trasferimento di energia, gli elettroni provenienti dalla ionizzazione atomica hanno una così elevata energia cinetica che a loro volta, sono in grado di ionizzare altri atomi. La discussione sulla condizione ξ << Wmax può convenientemente essere tradotta nell’analisi di un parametro k =ξ / Wmax, che costituisce una misura del contributo statistico alla distribuzione di dE/dx da parte delle collisioni con alto trasferimento di energia, ovvero prossimo Wmax.

k << 1 (ξ << Wmax) poche collisioni con grande trasferimento di energia; in tale situazione è valida l’approssimazione Wmax= ∞ quindi possiamo adottare la distribuzione di Landau.

k ≅ 1 (ξ ≅ Wmax) diventa importante il valore finito di Wmax e la teoria di Landau perde di validità. E’ qui che entra in gioco la trattazione di Vavilov, che sostituisce un valore finito all’estremo di integrazione come visto nella (3.1.11).

k >> 1 (ξ >> Wmax) numerose collisioni con grande trasferimento di energia; la distribuzione tende a divenire gaussiana, centrata intorno ad un valore medio dato dalla formula di Bethe-Block.

Fig.3.1.3 Funzione di Vavilov per valori di k crescenti: all’aumentare di k si tende ad una distribuzione gaussiana

k crescenti

( )ϕ λ

λ

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3.2 Risoluzione numerica dell’equazione del trasporto

Come abbiamo visto nel precedente paragrafo nella risoluzione dell’equazione del trasporto (3.1.6), risulta cruciale la scelta della sezione d’urto ω(ε). Nella nostra trattazione numerica abbiamo considerato una forma semiempirica della sezione d’urto per ionizzazione dovuto a collisione elettronica, determinata a partire dalla formula di Bell, migliorata secondo il modello di Kim e Rudd [3], per renderla efficiente e ridurre il numero dei coefficienti di fit in relazione all’esteso intervallo dei valori del numero atomico Z (1÷92) considerati. La relazione implementata è la seguente:

)1()()( EIBIELnAE

INE nlnlnlnl

nl

nlnl −+⋅=∑σ (3.2.1)

dove Anl e Bnl sono i parametri di fit (in cm2), determinati minimizzando la funzione2χ . Tali parametri sono espressi in funzione del potenziale normalizzato Ur (Ur=I nl/R)1, del potenziale di ionizzazione Inl (in KeV) e del numero di elettroni Nnl, dell’orbita nl ionizzata; E (in KeV) è l’energia cinetica degli elettroni incidenti. Nella figura 3.1.3 riportiamo l’andamento della sezione d’urto totale per ionizzazione dovuto a collisione elettronica nel caso del carbonio [3].

Fig.3.1.3 Sezione d’urto totale per ionizzazione dovuto a collisione elettronica su un target di carbonio

Osserviamo che nella (3.2.1) associati ai due parametri Anl e Bnl ci sono due termini di energia che agiscono sostanzialmente in maniera inversa l’uno rispetto all’altro; ciò garantisce un buon comportamento della sezione d’urto per basse ed alte energie di collisione. I valori Inl utilizzati nell’articolo sono ottenuti da calcoli teorici (tipo Hatree - Fock) mentre quelli utilizzati nel nostro calcolo numerico sono sperimentali, ricavati dalla banca dati alpha della Wolfram Research. 1 R= 13.606 KeV è l’energia di Rydberg

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L’algoritmo presente nel programma di calcolo si riassume nei seguenti punti:

Algoritmo A

1. Definizione delle costanti fisiche e dei parametri della simulazione

2. Estrazione dalla banca dati Wolfram delle energie di ionizzazione

3. Calcolo della sezione d'urto per interazione coulombiana elettrone-elettrone (non libero

perché c’è la Inl) in funzione dell'energia attraverso la formula semiempirica (3.2.1)

4. Calcolo della probabilità che l'elettrone perda energia compresa nell’intervallo [ε, ε + dε]

nel bersaglio, per il caso Sperimentale

5. Calcolo della probabilità che l'elettrone perda energia compresa nell’intervallo [ε, ε + dε]

nel bersaglio secondo Landau e Vavilov

6. Grafico delle tre probabilità: Sperimentale, Landau, Vavilov

7. Calcolo (numerico) dell’integrale nella funzione ( )p,xϕ (vedi 3.1.5)

8. Costruzione di una lista di valori dell’integrazione numerica di cui al punto 7

9. Fit degli integrali attraverso una funzione del tipo ( )20 1 2P P ln p P+ ⋅ +

10. Antitrasformata di Laplace della funzione ( )p,xϕ in cui la funzione integrale è sostituito

dalle funzioni di fit ricavate al punto precedente e rappresentazione grafica delle tre

distribuzioni di probabilità di perdita di energia opportunamente normalizzate.

11. Determinazione delle caratteristiche delle tre distribuzioni (valore medio e massimo della

perdita di energia, larghezza dx e sx a metà altezza).

Quanto svolto nell’algoritmo descritto in precedenza, è relativo ad un ben preciso spessore del target (fissato a 10 µm). Ora cerchiamo di estendere lo stesso procedimento per uno spessore variabile, simulando l’estrazione di elettroni di conversione all’interno del target. A tal proposito facciamo l’ipotesi che gli elettroni siano prodotti in maniera omogenea all’interno del target. Allora suddividendo il bersaglio in strati dx e considerando che su ogni strato venga prodotto lo stesso numero di elettroni, l’energia persa dipenderà dalla dimensione dello spessore di materiale che l’elettrone dovrà attraversare prima di fuoriuscire dal target. La situazione appena descritta può essere rappresentata come in figura 3.2.1:

asse Z

dx

spessore del bersaglio

elettroni di conversione

Fig.3.2.1 Rappresentazione grafica della formazione degli elettroni di conversione in un bersaglio

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Per dare seguito alla simulazione sopra descritta dovremo procedere secondo un ulteriore programma di calcolo sviluppato con il seguente algoritmo:

Algoritmo B

1. Definizioni delle costanti, in particolare dei parametri 0P , 1P , 2P delle funzioni di fit degli

integrali presenti nella funzione ( )p,xϕ , relativi al target spesso 10 µm

2. Antitrasformata di Laplace della funzione ( )p,xϕ in cui l’integrale è sostituito dalle

funzioni di fit con i coefficienti scalati proporzionalmente allo spessore del target, cioè

utilizzando una funzione del tipo: ( ) ( ) ( )20 1 210 10k P k P ln p P+ ⋅ +

3. Determinazione dei parametri caratterizzanti la probabilità di perdita di energia per vari

spessori del target

A. Creazione di una lista di valori delle antitrasformate calcolate al punto 2 al variare

dell’energia persa nella singola collisione

B. FIT1: fit dei valori della lista con la funzione del tipo ( ) ( ) ( )1 2

0

s ss P x PP e x−⋅ , dove i

parametri dipendono dallo specifico valore dello spessore del target

C. Creazione di una lista di coefficienti dei fit precedenti, relativi a tutti gli spessori

considerati

4. Creazione della lista dei parametri di FIT1

5. FIT2: fit dei parametri di cui al punto 4 con polinomi di grado opportuno per le diverse

distribuzioni di probabilità esaminate

6. Creazione di grafici e tabelle relative ai due fit eseguiti (FIT1 e FIT2)

7. Costruzione della funzione probabilità di perdita di energia per unità di percorso nel target

( )( )

( )

1

20

P s x

P s

eP s

x

⋅ ,

corrispondente a quella già considerata nel punto 3.B, dove abbiamo sostituito i parametri

( )0

sP ( )1

sP ( )2

sP con i polinomi ( )0P s ( )1P s ( )2P s , determinati con il FIT2 (punto 5)

8. Integrale (numerico) delle funzioni del punto 7 su tutto lo spessore del target

9. Lista di valori rappresentante la distribuzione di probabilità di energia persa mediamente

nel target (normalizzata) e loro interpolazione (di ordine UNO.)

10. Definizione della gaussiana rappresentante la risoluzione del rivelatore, ed esecuzione

della convoluzione (numerica) con le distribuzioni esaminate

11. Definizione di una lista di valori della funzione risultante dalla convoluzione, per valori

dell'energia dell’elettrone in un intorno di E0, e sua interpolazione (di ordine ZERO)

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12. Grafico delle distribuzioni e del risultato delle simulazioni GEANT4

Nel prossimo paragrafo faremo una rassegna dettagliata dei codici implementanti gli algoritmi di calcolo esposti, dando le necessarie giustificazioni alle scelte eseguite. Inoltre presenteremo alcuni grafici relativi ai passi più significativi ed ai risultati ottenuti.

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3.3 Distribuzioni di Landau, Vavilov e Sperimentale

Sulla scorta degli algoritmi descritti nel precedente paragrafo procediamo alla descrizione del codice di programma, realizzato con Wolfram Mathematica 8.0. Realizzazione dell’algoritmo A

Il programma che implementa l’algoritmo A (vedi in appendice energyloss_A.nb) inizia con la definizione delle costanti e dei parametri. In particolare viene specificata l’energia iniziale degli elettroni, che fissiamo a 1000 KeV in modo da posizionarci nella regione di validità della teoria di Bethe – Bloch, il numero atomico dell’elemento di cui è costituito il target, nel nostro caso è il carbonio (Z=6), unitamente alle sue caratteristiche peculiari, come peso atomico in u.m.a. e densità in g/cm3). Inoltre specifichiamo lo spessore del bersaglio che per noi è fissato a 10 µm. Proseguiamo con l’estrazione dalla banca dati Wolfram delle energie di ionizzazione, utilizzando l’apposita funzione ElementData[n," IonizationEnergies" ], che sono necessarie per il successivo calcolo della sezione d’urto elettrone-elettrone Sperimentale. Tale dato viene fornito in KJ/mol quindi deve essere opportunamente convertito in eV. Precisiamo che per alcuni elementi del target, in particolare quelli più pesanti, non si hanno a disposizione tutte le energie di ionizzazione. Quindi per i gradi di ionizzazione più elevati, cioè relative alle shell più interne, si è pensato di utilizzare in modo uniforme il valore di energia di massima ionizzazione a disposizione e di adoperarlo per tutti i gradi di ionizzazione mancanti. Si prosegue con il calcolo della sezione d'urto per interazione coulombiana elettrone-elettrone attraverso la realizzazione dell’equazione (3.2.1). Per fare questo è stata usata la funzione Which che esegue una condizione procedurale caratterizzata da una sequenza di test legati al tipo di elemento utilizzato come target. Infatti, relativamente al tipo di orbitale coinvolto, cambiano i parametri Anl e Bnl oltre ovviamente all’energia di ionizzazione ed al numero di elettroni dell’orbita nl ionizzata. A questo punto siamo in grado di calcolarci la probabilità di perdita di energia nel target, compresa nell’intervallo [ ], dε ε ε+ :

− nel caso Sperimentale lo facciamo eseguendo la derivata rispetto all’energia della sezione d’urto sopra determinata, moltiplicandola per il numero medio di atomi con cui l'elettrone collide considerando una superficie unitaria;

− per i casi di Landau e Vavilov tale probabilità sarà proporzionale ad 21 ε in quanto calcolata a partire dalla sezione d’urto d’interazione coulombiana (vedi § 1.2). Inoltre nel caso di

Vavilov è presente un fattore ( )21 maxWβ ε− ⋅ che tiene conto degli effetti relativistici.

I risultati delle tre probabilità (espressi per unità di energia) si presentano come in figura 3.3.1; si può notare come quelle utilizzate da Landau e Vavilov abbiano l’andamento atteso, secondo la dipendenza sopra indicata, con il taglio ad un valore costante per quella di Vavilov legata al fatto che in tale circostanza si prevede un valore massimo per l’energia persa nella singola collisione. Il caso Sperimentale riflette ovviamente la realtà delle cose, dove la probabilità di perdita dell’energia tenderà rapidamente a zero per valori prossimi a quello di minima ionizzazione del target. D’altra parte tenderà, anche se meno velocemente delle altre due, a zero per elevati valori dell’energia persa. Il programma prosegue realizzando i punti 7, 8 e 9 dell’algoritmo A. Come detto nel § 3.1, per poter procedere alla soluzione dell’equazione del trasporto (3.1.1), dobbiamo eseguire l’antitrasformata (3.1.3) della funzione ( p, x )ϕ , definita nella (3.1.5). In formule avremo:

1

2

ip

if ( x, ) e ( p, x ) dp

i

σ ε

σε ϕπ

+ ∞

− ∞∫= dove

01 p( p, x ) exp x ( ) ( e ) dεϕ ω ε ε

∞ −∫

= − − (3.3.1)

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Dunque nel codice abbiamo inizialmente calcolato l’integrale (numerico) che compare dentro la funzione ( p, x )ϕ considerando in luogo della ( )ω ε le tre diverse sezioni d’urto di perdita di

energia (vedi nel codice le funzioni φ1, φ2,φ3).

0.0 0.5 1.0 1.5 2.00

2

4

6

8

10

12

14

EnergiaHkeVL

ds deHk

eV-

1 L

Fig.3.3.1 Probabilità di perdita di energia: Landau(nero), Vavilov(grigio) e Sperimentale(rosso)

Successivamente abbiamo eseguito il fit con una funzione del tipo ( )20 1 2P P ln p P+ ⋅ + ;

la scelta di tale funzione di prova è motivata dagli andamenti dei tre integrali in funzione della variabile p (ausiliaria della trasformata di Laplace) che riportiamo nella figura 3.3.2.

0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.00.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

p HkeV-1L

f

Fig.3.3.2 Andamento degli integrali φ in funzione di p: φ1 Sperimentale (rosso), φ2 Landau (nero) e

φ3 Vavilov (grigio)

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Possiamo ora effettuare l’antitrasformata avendo a disposizioni le tre funzioni di fit, denominate fit1,2,3 nel codice, ricavate utilizzando i migliori parametri P0, P1, P2 (vedi tabella 3.3.1).

Distribuzione: P0 P1 P2Sperimentale: −1.37131 1.45929 1.26381

Landau: −5.53695 3.17561 1.5463Vavilov: −6.97796 3.27225 1.70421

Tab.3.3.1 Parametri migliori relativi al fit delle funzioni integrali φ1, φ2,φ3 Le tre funzioni distribuzioni di probabilità, opportunamente normalizzate (denominate nel codice normfunc1, 2, 3) sono riportate in figura 3.3.3:

Fig.3.3.3 Distribuzioni di probabilità: Sperimentale (rosso), Landau (nero) e Vavilov(grigio)

Come ultimo passo calcoliamo alcune caratteristiche tipiche delle distribuzioni di probabilità: il centroide, cioè l’energia media persa nel target, l’altezza massima della funzione di distribuzione, la larghezza a metà altezza sinistra (σ) e destra (τ) peculiari delle distribuzioni asimmetriche. I dati riassuntivi sono riportati nella tabella 3.3.2 sottostante.

Distribuzione: CentroideHkeVL Altezza s HkeVL t HkeVLSperimentale 0.572021 1.27298 0.0696573 0.445204

Landau 0.555466 1.48856 0.0972107 0.292228Vavilov 0.387931 2.15251 0.0677659 0.200641

Tab.3.3.2 Caratteristiche distintive delle tre distribuzioni

Dai grafici delle tre distribuzioni è abbastanza evidente il progressivo innalzamento e restringimento verso la forma gaussiana man mano che si passa dalla curva Sperimentale a

Altezza

σ

τ

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quella di Vavilov passando per la distribuzione di Landau. Ciò conferma quanto sostenuto nella classificazione eseguita al termine del § 3.1 dove si prevedeva la manifestazione sopra descritta. Anche i valori numerici, riportati nella tabella 3.3.2, confermano gli andamenti, visto che l’altezza massima delle tre curve è crescente, mentre la τ è decrescente rispetto all’ordine di presentazione delle distribuzioni. Per quanto riguarda la σ , il valore per il caso Sperimentale si pone in posizione intermedia tra quello di Landau (che è il maggiore) e quello di Vavilov (che risulta il minore). Ciò è essenzialmente dovuto al fatto che il valore massimo della distribuzione Sperimentale si ottiene per valori di energia persa piccoli rispetto a quelli di Vavilov e Landau. Da ultimo osserviamo anche l’andamento a zero delle tre distribuzioni: quelle di Landau e Vavilov mostrano una pendenza finita, mentre quella Sperimentale diverge. Questo è giustificato dall’ipotesi fatta che al di sotto dell’energia di minima ionizzazione non abbiamo perdite per collisione dunque la probabilità di questi eventi decade bruscamente a zero. Ricordiamo che la trattazione eseguita sino ad ora riguarda la perdita di energia di un fascio di elettroni che colpisce un bersaglio, nella fattispecie di carbonio, di spessore fissato (10 µm). Il contesto che invece si vuole indagare è quello in cui la formazione degli elettroni (di conversione) avvenga all’interno del bersaglio, come già schematizzato nel paragrafo precedente (vedi figura 3.2.1). Tale circostanza viene realizzata con il programma che implementa l’ algoritmo B (vedi in appendice energyloss_B.nb) che ora ci proponiamo di descrivere. Realizzazione dell’algoritmo B

Definiamo innanzitutto le costanti utilizzate, in particolare i parametri 0P , 1P , 2P delle funzioni

di fit degli integrali, presenti nelle funzioni ϕ(p,x), relativi al target spesso 10 µm (quelle che nel primo codice abbiamo chiamato φ1, φ2, φ3). Tali valori, riportati nella precedente tabella 3.3.1, sono rinominati nel presente codice con EXP0,1,2, LAN0,1,2 e VAV0,1,2, con un chiaro riferimento al tipo di distribuzione a cui si riferiscono. Si eseguono quindi le antitrasformate di Laplace delle funzioni ϕ(p,x) in cui gli integrali sono sostituiti dalle loro funzioni di fit con i coefficienti scalati, cioè utilizzando funzioni del tipo:

( ) ( ) ( )20 1 210 10k P k P ln p P+ ⋅ + (3.3.2)

Ciò permette di poter considerare un target a spessori variabile utilizzando i parametri di fit calcolati per uno spessore fisso (10 µm), in virtù del comportamento lineare delle funzioni (3.3.2) rispetto allo spessore del target. Le antitrasformate, opportunamente normalizzazione, sono denominate normfunc1,2,3. Per dare seguito agli intenti esposti, abbiamo necessità di eseguire un ciclo in cui venga variato lo spessore del bersaglio. Questo si realizza con un DO controllato dalla variabile k, considerata lo spessore corrente del target. Ogni ciclo, per uno spessore (k) fissato, è composto da tre fasi:

− nella fase A si produce una lista di valori delle antitraformate normfunc1,2,3 al variare dell’energia persa per singola collisione (denominate expdist, landist, vavdist);

− nella fase B si è realizzato il fit della lista di valori calcolati (FIT1), con una funzione del

tipo ( ) ( ) ( )1 2

0

k kk P x PP e x−⋅ . Così facendo determiniamo dei coefficienti di fit dipendenti dallo

spessore (k) corrente. La scelta della funzione di fit è basata sul fatto che essa rappresenta l’antitrasformata di Laplace della funzione ( )p,xϕ che risolve l’equazione del trasporto.

− Nella fase C si procede al concatenamento dei parametri del FIT1 relativi allo spessore corrente con quelli calcolati in precedenza, nelle liste dei coefficienti di fit (leggi nel codice exptabcoe, lantabcoe, vavtabcoe).

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Dopo avere effettuato il riordino delle liste di parametri riguardanti il FIT1, in modo da suddividerli per indice identificativo (0,1,2) e spessore di pertinenza, si prosegue effettuando un fit di tali parametri con polinomi di grado opportuno (FIT2) per le diverse distribuzioni di probabilità esaminate. Il grado dei polinomi da utilizzare è stato determinato da una semplice analisi delle distribuzioni puntuali dei parametri ricavati nel FIT1, che sono rappresentati nella figura 3.3.3 unitamente alle funzioni polinomiali che li fittano. I coefficienti del FIT2 sono invece riportati nella tabella 3.3.3.

5 10 15 200.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

Spessore del targetHmmL

Coe

ffici

enteA

0pe

rladi

strib

uzio

nesp

erim

enta

le

5 10 15 20

-1.5

-1.0

-0.5

0.0

0.5

Spessore del targetHmmL

Coe

ffici

enteA

1pe

rladi

strib

uzio

nedi

sper

imen

tale

5 10 15 201.59721

1.59721

1.59721

1.59721

1.59722

Spessore del targetHmmL

Coe

ffici

enteA

2pe

rladi

strib

uzio

nesp

erim

enta

le

5 10 15 200

1

2

3

4

5

6

7

Spessore del targetHmmL

Coe

ffici

enteA

0pe

rladi

strib

uzio

nedi

Land

au

5 10 15 20

-5

-4

-3

-2

-1

0

Spessore del targetHmmL

Coe

ffici

enteA

1pe

rladi

strib

uzio

nedi

Land

au

5 10 15 200

100

200

300

400

Spessore del targetHmmL

Coe

ffici

enteA

2pe

rladi

strib

uzio

nedi

Land

au

5 10 15 200

2

4

6

8

10

Spessore del targetHmmL

Coe

ffici

enteA

0pe

rladi

strib

uzio

nedi

Vav

ilov

5 10 15 20-1.5

-1.0

-0.5

0.0

0.5

Spessore del targetHmmL

Coe

ffici

enteA

1pe

rladi

strib

uzio

nedi

Vav

ilov

5 10 15 20

2.90433

2.90433

2.90433

2.90433

Spessore del targetHmmL

Coe

ffici

enteA

2pe

rladi

strib

uzio

nedi

Vav

ilov

Fig.3.3.3 Distribuzione dei parametri del FIT1 e polinomi derivanti dal FIT2 in funzione dello spessore

Distribuzione: A0 : A1 : A2 :

Sperimentale:

C0 : 0.0209112

C1 : 0.121777

C2 : 0.0324429

C3 : -0.00283131

C4 : 0.0000583684

C5 : 0

C0 : 1.

C1 : -0.145929

C0 : 1.59722

Landau:

C0 : 0.610909

C1 : -0.427353

C2 : 0.480011

C3 : -0.0602863

C4 : 0.00266528

C5 : -0.0000394771

C0 : 0.985641

C1 : -0.311744

C0 : 2.50054

Vavilov:

C0 : 0.0367593

C1 : 0.0937582

C2 : 0.0363271

C3 : 0.0000687322

C4 : -0.0000378087

C5 : 0

C0 : 1.

C1 : -0.127225

C0 : 2.90433

Tab.3.3.3 Coefficienti del FIT2 suddivisi peri tre casi esaminati

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A questo punto si determina la funzione probabilità di perdita di energia per unità di percorso nel target, corrispondente a quella utilizzata nel FIT1, dove in luogo dei parametri poniamo i polinomi trovati con il FIT2. In altri termini avremo:

( )( )

( )( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )( )

( )

( ) ( )

201

0 0 0 0 0 0

1 120 1

2 3 4 50 0 1 2 3 4 5

Ak

k A A

x CP xA A A A A Ak

P C C s

e eP C C s C s C s C s C s

xx

−−

+

⋅ ⇒ + + + + + ⋅

Eseguendo ora l’integrazione numerica su tutto lo spessore del target in esame (che noi abbiamo considerato essere di 20 µm) avremo l’energia mediamente persa nel bersaglio dagli elettroni. Si fa notare che nel calcolo di tali integrali abbiamo tenuto in conto del percorso non rettilineo degli elettroni (vedi figura 3.2.1) con un fattore correttivo √ 2 che moltiplica lo spessore del target. Per poter rappresentare il risultato ottenuto, si è redatta un’ulteriore lista di valori che rappresenta la distribuzione di probabilità (normalizzata) di energia persa mediamente nel target, per valori dell’energia, riferiti al singolo scattering, comprese nell'intervallo [0.05, 20.05] KeV. Una successiva interpolazione (di ordine UNO) produce il risultato di figura 3.3.4 dove si è scelto di rappresentare tutte insieme le tre distribuzioni: Sperimentale, di Landau e di Vavilov che nel codice sono denominate rispettivamente extotenlsint, lantotenlsint, vavtotenlsint.

0 2 4 6 8 100.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

D HkeVL

Pro

babi

litàdi

perd

itadi

ener

gian

ello

stra

toda

20m

m

Fig.3.3.4 Distribuzione di probabilità di energia persa nel target: Sperimentale (rosso), Landau (nero) e

Vavilov (grigio) La cosa importante da notare sul grafico delle tre distribuzioni è che quella Sperimentale è in posizione intermedia tra quella di Landau, che tende a sovrastimare la probabilità di perdita di energia e quella di Vavilov che invece la sottostima. Fin qui abbiamo tenuto in considerazione il target, ora dobbiamo dare conto della presenza del rilevatore che come sappiamo (vedi § 1.4), fornisce una risposta di tipo gaussiano.

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 3

59

Quindi, dopo aver fissato la larghezza a metà altezza e l’intensità della gaussiana (leggi FWHM e int nel codice), ne abbiamo eseguito la convoluzione (numerica) con ciascuna delle tre distribuzioni determinate, ottenendo i tre integrali indicati nel programma con expconv, lanconv, vavconv. Di seguito, come già fatto per le distribuzioni di probabilità, costruiamo una lista di valori risultanti dalla convoluzione (denominate nel codice con expeaktab, lanpeaktab, vavpeaktab), considerando dei valori di energia dell’elettrone in un opportuno intorno di E0. L’interpolazione (di ordine ZERO) delle tre liste di valori generate come appena detto, insieme al risultato di GEANT4 (mult.txt) sono rappresentate in unico grafico mostrato in figura 3.3.5.

960 980 1000 10200

2000

4000

6000

8000

10000

12000

EnergiaHkeVL

Con

tegg

i

Fig.3.3.5 Convoluzione: Sperimentale (rosso), Landau (nero), Vavilov (grigio) e dalla simulazione GEANT4 (blu)

Concludiamo questo lavoro determinando, come ci eravamo proposti fin dall’inizio, il parametro τ per le varie distribuzioni prese in esame. Per farlo, eseguiamo il fit tra i valori della lista relativa alla convoluzione, di cui abbiamo appena eseguito i grafici (figura 3.3.5), con la funzione peak[E] definita nel paragrafo introduttivo, vedi equazione (I.1), che meglio rappresenta la forma del picco. La realizzazione di quest’ultimi fit è attraverso un ulteriore piccolo codice, realizzato sempre con il Mathematica 8.0 (vedi in appendice tau_parameter.nb). I grafici di tali fit sono riportati nelle figure 3.3.6, 7 e 8, dove abbiamo sovrapposto le ricostruzioni dei picchi elettronici per le tre distribuzioni considerate, a quella del relativo fit. I valori numerici del parametro τ calcolato, sono elencati nella tabella 3.3.4. E’ evidente la progressiva diminuzione di tale valore, man mano che dal caso Sperimentale si passa a quello di Landau per giungere a quello di Vavilov; ciò indica la progressiva tendenza ad assumere la forma gaussiana che dobbiamo attenderci quando le collisioni con grande trasferimento di energia diventano numerose.

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 3

60

970 980 990 1000 1010 10200

2000

4000

6000

8000

10000

EnergiaHkeVL

Pic

codi

elet

tron

inel

ladi

strib

uzio

neS

perim

enta

le

Fig.3.3.6 Grafico del picco elettronico per il caso Sperimentale e relativo fit con la funzione peak[E]

970 980 990 1000 1010 10200

2000

4000

6000

8000

EnergiaHkeVL

Pic

codi

elet

tron

inel

ladi

strib

uzio

nedi

Land

au

Fig.3.3.7 Grafico del picco elettronico per il caso di Landau e relativo fit con la funzione peak[E]

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ELABORATO FINALE IN FISICA NUCLEARE Capitolo 3

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970 980 990 1000 1010 10200

2000

4000

6000

8000

10000

EnergiaHkeVL

Pic

codi

elet

tron

inel

ladi

strib

uzio

nedi

Vav

ilov

Fig.3.3.8 Grafico del picco elettronico per il caso di Vavilov e relativo fit con la funzione peak[E]

Distribuzione τ [KeV]

Sperimentale: 1.13

Landau: 0.71

Vavilov: 0.52

Tab.3.3.4 Coefficienti τ relativi ai casi esaminati

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- 62 -

Appendice

Codice dei programmi di simulazione:

energyloss_A.nb

energyloss_B.nb

tau_parameter.nb

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energyloss_A.nbINIZIO DEL CODICECostantiryd 13.60569253; Energia di Rydberg in keVqele 1.60217646 10^19; Carica dell'elettrone in CNA 6.0221412927 10^23; Numero di Avogadromec2 510.998910; Massa dell'elettrone in keV

Parametri della simulazioneE0 1000; Energia in keV degli elettronielm 6; Numero atomico del targetdens ElementDataelm, "Density" 1000; Densità del target in gcm3PA ElementDataelm, "AtomicWeight"; Peso atomico del target in umaspes 10 10^4; Spessore del target in cmspessore fisso a 10mS spes dens; spessore del target in gcm2 massa superficiale

Calcolo 2beta ExtractFindRootmec2 Sqrt1 x^2 mec2 E0 0, x, 0.95, 1, 2;

Estrazione dalla banca dati Wolfram

delle informazioni sulle energie di ionizzazioneionentab 1000 qele NA ElementDataelm, "IonizationEnergies";conversione da KJmol a eVdimionentab ExtractDimensionsionentab, 1;

Completamento delle energie di ionizzazione mancantiIfdimionentab elm,

totionentab ReverseJoinTableionentabk, k, 1, dimionentab,TableMaxElementDataelm, "IonizationEnergies", k, 1, elm dimionentab,

totionentab ReverseTableionentabk, k, 1, dimionentab;

Definisco la sezione d'urto sperimentale per scattering elastico elettrone

elettrone in funzione dell'energia.Vedi Eur.Phys.J.D 46,281–287 2008

Costruiamo la sezione d'urto totale in cm2ASOUTy_ : 9.14 10^-11 y 1 68.32 y^3;BSOUTy_ : 3.83 10^-11 y 1 60.95 y^3;APDOUTy_ : 1.22 10^6 y 1 566.46 y^3.5;BPDOUTy_ : 4.39 10^-9 y 1 102.87 y^3.7;

ASINy_ : 3.97 10^11 y 1 20.74 y^3.6;BSINy_ : 2.29 10^-10 y 1 39.9 y^3.6;APDINy_ : 3.88 10^-14 y 1 6.96 y^3;BPDINy_ : 4.36 10^-16 y 1 0.33 y^8;

Which1 elm 2,

sigmax_ :

Sumtotionentabk x ASOUTtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSOUTtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 1, elm,3 elm 8,

sigmax_ :

Sumtotionentabk x ASINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 1, 2

Sumtotionentabk x ASOUTtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSOUTtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 3, elm,

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BSOUTtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 3, elm,9 elm 18,

sigmax_ :

Sumtotionentabk x ASINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 1, 8

Sumtotionentabk x APDOUTtotionentabk ryd

Logx totionentabk

BPDOUTtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 9, elm,19 elm 36,

sigmax_ :

Sumtotionentabk x ASINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 1, 8

Sumtotionentabk x APDINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BPDINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 9, 18

Sumtotionentabk x ASOUTtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSOUTtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 19, elm,37 elm 54,

sigmax_ :

Sumtotionentabk x ASINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 1, 8

Sumtotionentabk x APDINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BPDINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 9, 18

Sumtotionentabk x ASINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 18, 36

Sumtotionentabk x APDOUTtotionentabk ryd

Logx totionentabk

BPDOUTtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 37, elm,55 elm 86,

sigmax_ :

Sumtotionentabk x ASINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 1, 8

Sumtotionentabk x APDINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BPDINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 9, 18

Sumtotionentabk x ASINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 19, 36

Sumtotionentabk x APDINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BPDINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 37, 54

Sumtotionentabk x APDOUTtotionentabk ryd

Logx totionentabk

BPDOUTtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 55, elm,87 elm 100,

sigmax_ :

Sumtotionentabk x ASINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 1, 8

Sumtotionentabk x APDINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BPDINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 9, 18

Sumtotionentabk x ASINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 19, 36

Sumtotionentabk x APDINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BPDINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 37, 54

Sumtotionentabk x APDINtotionentabk ryd Logx totionentabk

BPDINtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 55, 86

Sumtotionentabk x ASOUTtotionentabk ryd Logx totionentabk

BSOUTtotionentabk ryd 1 totionentabk x, k, 87, elm

Determinazione dei valori min e max dell'energia di ionizzazione

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Determinazione dei valori min e max dell'energia di ionizzazioneminionen ExtractFindRootsigmax 0, x, Mintotionentab, 1, 2;maxionen Maxtotionentab;

Tabella dati salienti della simulazionerestab ElementDataelm, "Abbreviation",

elm, PA, dens, 1000 S, 10^4 spes, minionen, maxionen;

GridPrependrestab,

TextStyle"Elemento: ", 16, Italic, Black, TextStyle"Z: ", 16, Italic, Gray,TextStyle"Peso atomico: ", 16, Italic, Gray,TextStyle"Densità: ", 16, Italic, Gray,TextStyle"Spessore del target mgrcm2: ", 16, Italic, Red,TextStyle"Spessore del targert m: ", 16, Italic, Red,TextStyle"Energia di minima ionizzazione eV: ", 16, Italic, Blue,TextStyle"Energia di massima ionizzazione eV: ", 16, Italic, Blue,

Frame All, Background None, LightBlue, White, 1 LightYellow

Definisco la sezione d'urto per energia comprese tra 0 e sigmacompx_ : Piecewise0, x minionen, 10^15 sigmax, x minionen;

LogLinearPlotsigmacompx, x, 10, 10000, PlotStyle Black, Thickness0.002,

Frame True, PlotRange Full, FrameLabel "Energia keV",

"Sezione d'urto per scattering coulombiano su un singolo atomo 1015 cm2",PlotPoints 10000, BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18,ImageSize 800, 600;

Numero medio di atomi con cui l'elettrone

collide considerando una superficie unitariaNOTA: 0,16 è una costante introdotta per tenere conto che l'interazione è

limitata, dunque non coinvolge tutti gli elettroni presenti nel volumeatnmb 0.16 NA dens PA spes;

Dalla sezione d'urto definisco la probabilità che

l'elettrone perda energia compresa in , d nel bersaglio,

eseguendo la derivata per il caso SPERIMENTALEsigmaenx_ : atnmb sigma'x 1000;zero ExtractFindRootsigmaenx 0, x, 0.001 minionen, 1, 2;x_ : Piecewise0, x zero, sigmaenx, x zero;

Calcolo di d : probabilità che l'elettrone perda energia compresa in , d nel bersaglio.

è definita in keV1 nella teoria di LANDAUx_ : Piecewise

0, x 0.001 minionen, 153.6 elm dens PA spes x^2, x 0.001 minionen;

Calcolo di d : probabilità che l'elettrone perda energia compresa in , d nel bersaglio.

è definita in keV1 nella teoria di VAVILOVx_ : Piecewise0, x 0.001 minionen,

153.6 elm dens PA spes x^2 1 beta^2 x 0.001 maxionen,0.001 minionen x 0.001 maxionen beta^2, 0, x 0.001 maxionen beta^2;

Grafico delle tre probabilitàpl1 Plotx, x, 0.001, 2, PlotStyle Red, Thickness0.0015,

Frame True, Axes False, PlotRange 0, 2, Full,

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FrameLabel "Energia keV", "d

d keV1", PlotPoints 10000,

BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 20, ImageSize 800, 600;

pl2 Plotx, x, 0.001, 2, PlotStyle Black, Thickness0.0015,Frame True, Axes False, PlotRange 0, 2, Full,

FrameLabel "Energia keV", "d

d keV1", PlotPoints 10000,

BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 20, ImageSize 800, 600;

pl3 Plotx, x, 0.001, 2, PlotStyle Gray, Thickness0.0015,Frame True, Axes False, PlotRange 0, 2, Full,

FrameLabel "Energia keV", "d

d keV1", PlotPoints 10000,

BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 20, ImageSize 800, 600;

Showpl1, pl2, pl3

Calcolo numerico dell'integrale all’esponente dell’

antitrasformata di Laplace vedi 3.1.111p_ : QuietNIntegratex 1 Expp x,

x, minionen 1000, 0.001 maxionen beta^2, MaxRecursion 100;2p_ : QuietNIntegratex 1 Expp x,

x, minionen 1000, 0.001 maxionen beta^2, MaxRecursion 100;3p_ : QuietNIntegratex 1 Expp x,

x, minionen 1000, 0.001 maxionen beta^2, MaxRecursion 100;

Rappresentazione puntuale tabella dell’

integrazione numerica e relativo graficophitab1 Tablep, 1p, p, 0.01, 3., 0.01;phitab2 Tablep, 2p, p, 0.01, 3., 0.01;phitab3 Tablep, 3p, p, 0.01, 3., 0.01;

pl4 ListPlotphitab1, PlotStyle Red, PointSize0.005,

Frame True, PlotRange 0, 3, Full, FrameLabel "p keV1", "",

BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

pl5 ListPlotphitab2, PlotStyle Black, PointSize0.005, Frame True,

PlotRange 0, 3, Full, FrameLabel "p keV1", "",

BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

pl6 ListPlotphitab3, PlotStyle Gray, PointSize0.005, Frame True,

PlotRange 0, 3, Full, FrameLabel "p keV1", "",

BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

Esecuzione del FIT per calcolo delle funzioni analitichefit1 NonlinearModelFitphitab1, K0 K1 Logp K2^2,

K0, K1, K2, p, AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations 1000;fit2 NonlinearModelFitphitab2, J0 J1 Logp J2^2, J0, J1, J2,

p, AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations 1000;fit3 NonlinearModelFitphitab3, L0 L1 Logp L2^2, L0, L1, L2,

p, AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations 1000;

pars1 fit1"BestFitParameters";pars2 fit2"BestFitParameters";pars3 fit3"BestFitParameters";

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pars3 fit3"BestFitParameters";

pl7 Plotfit1x, x, 0, 3., PlotStyle Red, Thickness0.002,

Frame True, PlotRange 0, 3, Full, FrameLabel "p keV1", "",

BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

pl8 Plotfit2x, x, 0, 3., PlotStyle Black, Thickness0.002,

Frame True, PlotRange 0, 3, Full, FrameLabel "p keV1", "",

BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

pl9 Plotfit3x, x, 0, 3., PlotStyle Gray, Thickness0.002,

Frame True, PlotRange 0, 3, Full, FrameLabel "p keV1", "",

BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

Showpl5, pl4, pl6, pl7, pl8, pl9

Tabella dei parametri P0,P1,P2partab "Sperimentale: ", Extractpars1, 1, 2, Extractpars1, 2, 2,

SqrtAbsExtractpars1, 3, 2, "Landau: ", Extractpars2, 1, 2,Extractpars2, 2, 2, SqrtAbsExtractpars2, 3, 2, "Vavilov: ",

Extractpars3, 1, 2, Extractpars3, 2, 2, SqrtAbsExtractpars3, 3, 2;

GridPrependpartab,TextStyle"Distribuzione: ", 16, Italic, Red, TextStyle"P0", 16, Italic, Gray,TextStyle"P1", 16, Italic, Gray, TextStyle"P2", 16, Italic, Gray,

Frame All, Background None, LightOrange, White, 1 LightPink

Antitrasformata di Laplace utilizzando la funzione di FIT dell'integrale,

normalizzazione e graficofunc1delta_ : InverseLaplaceTransformExpfit1p, p, delta;func2delta_ : InverseLaplaceTransformExpfit2p, p, delta;func3delta_ : InverseLaplaceTransformExpfit3p, p, delta;

Normalizzazionenormfunc1delta_ : func1delta NIntegratefunc1x, x, 0, E0^1;normfunc2delta_ : func2delta NIntegratefunc2x, x, 0, E0^1;normfunc3delta_ : func3delta NIntegratefunc3x, x, 0, E0^1;

Graficopl10 Plotnormfunc1x, x, 0, 4, PlotStyle Red, Thickness0.0025, Frame True,

PlotRange 0, 4, 0, 3, FrameLabel "keV", "Distribuzione", BaseStyle

FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600, Filling Axis;pl11 Plotnormfunc2x, x, 0, 4, PlotStyle Black, Thickness0.0025,

Frame True, PlotRange 0, 4, 0, 3, FrameLabel "keV", "Distribuzione",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18,ImageSize 800, 600, Filling Axis;

pl12 Plotnormfunc3x, x, 0, 4, PlotStyle Gray, Thickness0.0025, Frame True,

PlotRange 0, 4, 0, 3, FrameLabel "keV", "Distribuzione", BaseStyle

FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600, Filling Axis;

Calcolo delle caratteristiche peculiari delle tre distribuzioni

Valore medio di energia persa nello spessorex1cent

NIntegratenormfunc1x x, x, 0, 10 NIntegratenormfunc1x, x, 0, 10^1;x2cent NIntegratenormfunc2x x, x, 0, 10

NIntegratenormfunc2x, x, 0, 10^1;x3cent NIntegratenormfunc3x x, x, 0, 10

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x3cent NIntegratenormfunc3x x, x, 0, 10

NIntegratenormfunc3x, x, 0, 10^1;

Determinazione del valore max della

distribuzione e della energia persa corrispondentea1max ExtractFindMaximumnormfunc1x, x, 0.1, 1;valore max distribuzione SPERIMENTALEx1max ExtractFindMaximumnormfunc1x, x, 0.1, 2, 1, 2;valore energia persa corrispondente

a2max ExtractFindMaximumnormfunc2x, x, 0.1, 1;valore max distribuzione di LANDAUx2max ExtractFindMaximumnormfunc2x, x, 0.1, 2, 1, 2;valore energia persa corrispondente

a3max ExtractFindMaximumnormfunc3x, x, 0.1, 1;valore max distribuzione di VAVILOVx3max ExtractFindMaximumnormfunc3x, x, 0.1, 2, 1, 2;valore energia persa corrispondente

Determinazione della "sigma" e della "tau" larghezza a metà altezza a sx e dxsgm1 AbsExtractFindRootnormfunc1x 0.5 a1max 0, x, 0.05, 1, 2 x1max

2 Sqrt2 Log2;tau1 AbsAbsExtractFindRootnormfunc1x 0.5 a1max 0, x, 3, 1, 2 x1max

sgm1;

sgm2 AbsExtractFindRootnormfunc2x 0.5 a2max 0, x, 0.05, 1, 2 x2max 2 Sqrt2 Log2;

tau2 AbsAbsExtractFindRootnormfunc2x 0.5 a2max 0, x, 3, 1, 2 x2max

sgm2;

sgm3 AbsExtractFindRootnormfunc3x 0.5 a3max 0, x, 0.05, 1, 2 x3max 2 Sqrt2 Log2;

tau3 AbsAbsExtractFindRootnormfunc3x 0.5 a3max 0, x, 3, 1, 2 x3max

sgm3;

Showpl10, pl11, pl12

partab "Sperimentale", x1cent, a1max, sgm1, tau1,"Landau", x2cent, a2max, sgm2, tau2, "Vavilov", x3cent, a3max, sgm3, tau3;

GridPrependpartab, TextStyle"Distribuzione: ", 16, Italic, Red,TextStyle"Centroide keV", 16, Italic, Black,TextStyle"Altezza", 16, Italic, Black, TextStyle" keV", 16, Italic, Black,TextStyle" keV", 16, Italic, Black, Frame All,

Background None, LightGreen, White, 1 LightGreenFINE DEL CODICE

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energyloss_B.nb

INIZIO DEL CODICECostantiE0 1000; Energia iniziale dell'elettrone incidente in keVsptrg 20; Spessore del target in m

Definisco come costanti i coefficienti per gli integrali

ricavati per un target spesso 10m vedi energyloss_A.nbcaso SperimentaleEXP0 1.37131;

EXP1 1.45929;

EXP2 1.26381;

caso LandauLAN0 5.53695;

LAN1 3.17561;

LAN2 1.5463;

caso VavilovVAV0 6.97796;

VAV1 1.27225;

VAV2 1.70421;

Antitrasformata di Laplace utilizzando le funzione di FIT degli integrali

con i coefficienti scalati proporzionalmente allo spessore del targetfunc1delta_, k_ : InverseLaplaceTransform

Expk 10 EXP0 k 10 EXP1 Logp EXP2^2, p, deltafunc2delta_, k_ : InverseLaplaceTransform

Expk 10 LAN0 k 10 LAN1 Logp LAN2^2, p, deltafunc3delta_, k_ : InverseLaplaceTransform

Expk 10 VAV0 k 10 VAV1 Logp VAV2^2, p, deltaNormalizzazionenormfunc1delta_, k_ : func1delta, k NIntegratefunc1x, k, x, 0, E0^1;normfunc2delta_, k_ : func2delta, k NIntegratefunc2x, k, x, 0, E0^1;normfunc3delta_, k_ : func3delta, k NIntegratefunc3x, k, x, 0, E0^1;

Ciclo DO propedeutico alla conoscenza dei parametri caratterizzanti

la probabilità di perdita di energia per vari spessori del target

Lista dei coefficienti di FIT1: dichiarazioneexptabcoe ;lantabcoe ;vavtabcoe ;

Ciclo DO di FIT1DoFaseA: costruzione di una lista di valori delle antitrasformate "normfunc1,2,3"

expdist Tableh, normfunc1h, k, h, 0.05, 10., 0.05;landist Tableh, normfunc2h, k, h, 0.05, 10., 0.05;vavdist Tableh, normfunc3h, k, h, 0.05, 10., 0.05;

Fase B FIT1: fit della lista dei valori con la funzione P0expP2xx^P1expfit

NonlinearModelFitexpdist, K0 ExpK2 x x^K1, K0, 30, K1, 3, K2, 0.,x, AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

lanfit NonlinearModelFitlandist, J0 ExpJ2 x x^J1, J0, 30, J1, 3,

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lanfit NonlinearModelFitlandist, J0 ExpJ2 x x^J1, J0, 30, J1, 3,J2, 0., x, AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

vavfit NonlinearModelFitvavdist, L0 ExpL2 x x^L1, L0, 30, L1, 3,L2, 0., x, AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

Fase C: memorizzazione dei parametri del FIT1 relativi allo spessore correnteexpars expfit"BestFitParameters";lanpars lanfit"BestFitParameters";vavpars vavfit"BestFitParameters";

exptabcoe Joinexptabcoe,k, Extractexpars, 1, 2, Extractexpars, 2, 2, Extractexpars, 3, 2;

lantabcoe Joinlantabcoe, k, Extractlanpars, 1, 2,Extractlanpars, 2, 2, Extractlanpars, 3, 2;

vavtabcoe Joinvavtabcoe, k, Extractvavpars, 1, 2,Extractvavpars, 2, 2, Extractvavpars, 3, 2;

PrintFramedTextStyleRow"Ho terminato l'analisi per lo spessore...", k, " m", 20,

Italic, Black, Bold,k, 2.2, sptrg 0.2, 0.25

numstr ExtractDimensionsexptabcoe, 1;dimensione tabella dei parametri FIT1

Creazione della lista dei parametri di FIT1 ciclo DO,suddivisi per indice identificativo del parametro 0,1,2 e relativo spessoreexpdist0

TableExtract exptabcoek, 1, Extract exptabcoek, 2, k, 1, numstr;expdist1 TableExtract exptabcoek, 1,

Extract exptabcoek, 3, k, 1, numstr;expdist2 TableExtract exptabcoek, 1, Extract exptabcoek, 4,

k, 1, numstr;

landist0

TableExtract lantabcoek, 1, Extract lantabcoek, 2, k, 1, numstr;landist1 TableExtract lantabcoek, 1, Extract lantabcoek, 3,

k, 1, numstr;landist2 TableExtract lantabcoek, 1, Extract lantabcoek, 4,

k, 1, numstr;

vavdist0

TableExtract vavtabcoek, 1, Extract vavtabcoek, 2, k, 1, numstr;vavdist1 TableExtract vavtabcoek, 1, Extract vavtabcoek, 3,

k, 1, numstr;vavdist2 TableExtract vavtabcoek, 1, Extract vavtabcoek, 4,

k, 1, numstr;

FIT2: fit dei parametri di cui al punto precedente con polinomi di

grado opportuno per le diverse distribuzioni di probabilità analizzateexpfit0 NonlinearModelFitexpdist0, p0 p1 x p2 x^2 p3 x^3 p4 x^4, p0, p1, p2,

p3, p4, x, Weights Table1 k^2, k, 1, ExtractDimensionsexpdist0, 1,AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

expfit1 NonlinearModelFitexpdist1, q0 q1 x, q0, q1, x,

Weights Table1 k^2, k, 1, ExtractDimensionsexpdist1, 1,AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

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AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;expfit2 NonlinearModelFitexpdist2, r0, r0, x,

Weights Table1 k^2, k, 1, ExtractDimensionsexpdist2, 1,AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

lanfit0 NonlinearModelFitlandist0,p0 p1 x p2 x^2 p3 x^3 p4 x^4 p5 x^5, p0, p1, p2, p3, p4, p5,x, Weights Table1 k^2, k, 1, ExtractDimensionslandist0, 1,AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

lanfit1 NonlinearModelFitlandist1, q0 q1 x, q0, q1, x,

Weights Table1 k^2, k, 1, ExtractDimensionslandist1, 1,AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

lanfit2 NonlinearModelFitlandist2, r0, r0, x,

Weights Table1 k^2, k, 1, ExtractDimensionslandist2, 1,AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

vavfit0

NonlinearModelFitvavdist0, p0 p1 x p2 x^2 p3 x^3 p4 x^4, p0, p1, p2, p3, p4,x, Weights Table1 k^2, k, 1, ExtractDimensionsvavdist0, 1,AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

vavfit1 NonlinearModelFitvavdist1, q0 q1 x, q0, q1, x,

Weights Table1 k^2, k, 1, ExtractDimensionsvavdist1, 1,AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

vavfit2 NonlinearModelFitvavdist2, r0, r0, x,

Weights Table1 k^2, k, 1, ExtractDimensionsvavdist2, 1,AccuracyGoal 5, PrecisionGoal 4, MaxIterations Infinity;

Parametri del FIT2pexdst0 expfit0"BestFitParameters";pexdst1 expfit1"BestFitParameters";pexdst2 expfit2"BestFitParameters";

plndst0 lanfit0"BestFitParameters";plndst1 lanfit1"BestFitParameters";plndst2 lanfit2"BestFitParameters";

pvvdst0 vavfit0"BestFitParameters";pvvdst1 vavfit1"BestFitParameters";pvvdst2 vavfit2"BestFitParameters";

Grafici dei paramtri del FIT1 ciclo DOe delle relative funzioni polinomi di fit FIT2

pla ListPlotexpdist0, PlotStyle Red, PointSize0.005,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A0 per la distribuzione sperimentale",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

plb ListPlotexpdist1, PlotStyle Green, PointSize0.005, Frame True,

Axes False, PlotRange Full, FrameLabel "Spessore del target m","Coefficiente A1 per la distribuzione di sperimentale",

BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;plc ListPlotexpdist2, PlotStyle Blue, PointSize0.005,

Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A2 per la distribuzione sperimentale",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pld ListPlotlandist0, PlotStyle Red, PointSize0.005,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

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Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A0 per la distribuzione di Landau",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

ple ListPlotlandist1, PlotStyle Green, PointSize0.005,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A1 per la distribuzione di Landau",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

plf ListPlotlandist2, PlotStyle Blue, PointSize0.005,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A2 per la distribuzione di Landau",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

plg ListPlotvavdist0, PlotStyle Red, PointSize0.005,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A0 per la distribuzione di Vavilov",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

plh ListPlotvavdist1, PlotStyle Green, PointSize0.005,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A1 per la distribuzione di Vavilov",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pli ListPlotvavdist2, PlotStyle Blue, PointSize0.005,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A2 per la distribuzione di Vavilov",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pl1 Plotexpfit0x, x, 0, sptrg,PlotStyle Red, Thickness0.002,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A0 per la distribuzione sperimentale",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pl2 Plotexpfit1x, x, 0, sptrg,PlotStyle Green, Thickness0.002,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A1 per la distribuzione sperimentale",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pl3 Plotexpfit2x, x, 0, sptrg,PlotStyle Blue, Thickness0.002,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A2 per la distribuzione sperimentale",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pl4 Plotlanfit0x, x, 0, sptrg,PlotStyle Red, Thickness0.002,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A0 per la distribuzione di Landau",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pl5 Plotlanfit1x, x, 0, sptrg,PlotStyle Green, Thickness0.002,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A1 per la distribuzione di Landau",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pl6 Plotlanfit2x, x, 0, sptrg,PlotStyle Blue, Thickness0.002,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A2 per la distribuzione di Landau",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

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BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pl7 Plotvavfit0x, x, 0, sptrg,PlotStyle Red, Thickness0.002,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A0 per la distribuzionedi di Vavilov",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pl8 Plotvavfit1x, x, 0, sptrg,PlotStyle Green, Thickness0.002,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A1 per la distribuzione di Vavilov",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

pl9 Plotvavfit2x, x, 0, sptrg,PlotStyle Blue, Thickness0.002,Frame True, Axes False, PlotRange Full, FrameLabel

"Spessore del target m", "Coefficiente A2 per la distribuzione di Vavilov",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 600, 500;

Griglia 2D, dove rappresentare i grafici precedentiGridShowpla, pl1, Showplb, pl2, Showplc, pl3,

Showpld, pl4, Showple, pl5, Showplf, pl6,Showplg, pl7, Showplh, pl8, Showpli, pl9, Frame All

Tabella con elencazione dei parametri relativi al FIT2partab

"Sperimentale: ", TextStyleColumnRow"C0: ", Extractpexdst0, 1, 2,Row"C1: ", Extractpexdst0, 2, 2, Row"C2: ", Extractpexdst0, 3, 2, Row"C3: ", Extractpexdst0, 4, 2,

Row"C4: ", Extractpexdst0, 5, 2, Row"C5: ", 0,FontFamily "Arial", Italic, 14,

TextStyleColumnRow"C0: ", Extractpexdst1, 1, 2, Row"C1: ",

Extractpexdst1, 2, 2, , , ,, FontFamily "Arial", Italic, 14,TextStyleColumnRow"C0: ", Extractpexdst2, 1, 2, , , , ,,

FontFamily "Arial", Italic, 14, "Landau: ",

TextStyleColumnRow"C0: ", Extractplndst0, 1, 2, Row"C1: ",

Extractplndst0, 2, 2, Row"C2: ", Extractplndst0, 3, 2, Row"C3: ", Extractplndst0, 4, 2, Row"C4: ", Extractplndst0, 5, 2,

Row"C5: ", Extractplndst0, 6, 2, FontFamily "Arial", Italic, 14,TextStyleColumnRow"C0: ", Extractplndst1, 1, 2, Row"C1: ",

Extractplndst1, 2, 2, , , ,, FontFamily "Arial", Italic, 14,TextStyleColumnRow"C0: ", Extractplndst2, 1, 2, , , , ,,

FontFamily "Arial", Italic, 14,"Vavilov: ", TextStyleColumnRow"C0: ", Extractpvvdst0, 1, 2,

Row"C1: ", Extractpvvdst0, 2, 2, Row"C2: ", Extractpvvdst0, 3, 2, Row"C3: ", Extractpvvdst0, 4, 2,

Row"C4: ", Extractpvvdst0, 5, 2, Row"C5: ", 0,FontFamily "Arial", Italic, 14,

TextStyleColumnRow"C0: ", Extractpvvdst1, 1, 2, Row"C1: ",

Extractpvvdst1, 2, 2, , , ,, FontFamily "Arial", Italic, 14,TextStyleColumnRow"C0: ", Extractpvvdst2, 1, 2, , , , ,,

FontFamily "Arial", Italic, 14;

GridPrependpartab, TextStyle"Distribuzione: ", 16, Italic, Red,TextStyle"A0: ", 16, Italic, Black, TextStyle"A1: ", 16, Italic, Black,TextStyle"A2: ", 16, Italic, Black, Frame All,

Background None, LightGreen, White, 1 LightGreen

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Background None, LightGreen, White, 1 LightGreen

Costruzione della funzione P0sexpP1sxx^P2s,cioè probabilità di perdita di energia per unità di percorso nel target,

utilizzando i polinomi P0s, P1s, P2s determinati con il FIT2.NOTA: s_spessore del traget, dlt_en. persa nelle singole collisioniexplosens_, dlt_ : Extractpexdst0, 1, 2 Extractpexdst0, 2, 2 s

Extractpexdst0, 3, 2 s^2 Extractpexdst0, 4, 2 s^3

Extractpexdst0, 5, 2 s^4 Exp Extractpexdst2, 1, 2 dlt dlt^ Extractpexdst1, 1, 2 Extractpexdst1, 2, 2 s;

lanlosens_, dlt_ :

Extractplndst0, 1, 2 Extractplndst0, 2, 2 s Extractplndst0, 3, 2

s^2 Extractplndst0, 4, 2 s^3 Extractplndst0, 5, 2 s^4

Extractplndst0, 6, 2 s^5 Exp Extractplndst2, 1, 2 dlt dlt^ Extractplndst1, 1, 2 Extractplndst1, 2, 2 s;

vavlosens_, dlt_ : Extractpvvdst0, 1, 2 Extractpvvdst0, 2, 2 s

Extractpvvdst0, 3, 2 s^2 Extractpvvdst0, 4, 2 s^3

Extractpvvdst0, 5, 2 s^4 Exp Extractpvvdst2, 1, 2 dlt dlt^ Extractpvvdst1, 1, 2 Extractpvvdst1, 2, 2 s;

Integro le funzioni appena costruite su tutto lo spessore del target

sptrg. Metto2 per tenere in conto il percorso non rettilineo degli elettroni

explosenavgdlt_ : Sqrt2 sptrg^1

NIntegrateexplosensp, dlt, sp, 0.001, Sqrt2 sptrg;lanlosenavgdlt_ : Sqrt2 sptrg^1

NIntegratelanlosensp, dlt, sp, 0.001, Sqrt2 sptrg;vavlosenavgdlt_ : Sqrt2 sptrg^1

NIntegratevavlosensp, dlt, sp, 0.001, Sqrt2 sptrg;

norm1 QuietNIntegrateexplosenavgdlt, dlt, 0.01, 20;norm2 QuietNIntegratelanlosenavgdlt, dlt, 0.01, 20;norm3 QuietNIntegratevavlosenavgdlt, dlt, 0.01, 20;

Lista di valori rappresentante la distribuzione di probabilità di

energia persa per singolo scattering normalizzata e interpolazione

di ordine UNO per determinare un andamento continuo della distribuzioneNOTA: Intervallo di energia considerato è 0.05,20.05 KeValpha 1;

extotenls Tableen, alpha norm1^1 explosenavgen, en, 0.05, 20.05, 0.05;lantotenls Tableen, alpha norm2^1 lanlosenavgen, en, 0.05, 20.05, 0.05;vavtotenls Tableen, alpha norm3^1 vavlosenavgen, en, 0.05, 20.05, 0.05;

extotenlsint Interpolationextotenls, InterpolationOrder 1;lantotenlsint Interpolationlantotenls, InterpolationOrder 1;vavtotenlsint Interpolationvavtotenls, InterpolationOrder 1;

pl10 Plotextotenlsintx, x, 0.1, 10, PlotStyle Red, Thickness0.0025,Frame True, PlotRange 0, 10, Full, FrameLabel " keV",

Row"Probabilità di perdita di energia nello strato da ", sptrg, " m",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

pl11 Plotlantotenlsintx, x, 0.1, 10, PlotStyle Black, Thickness0.0025,Frame True, PlotRange 0, 10, Full, FrameLabel " keV",

Row"Probabilità di perdita di energia nello strato da ", sptrg, " m",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

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BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

pl12 Plotvavtotenlsintx, x, 0.1, 10, PlotStyle Gray, Thickness0.0025,Frame True, PlotRange 0, 10, Full, FrameLabel " keV",

Row"Probabilità di perdita di energia nello strato da ", sptrg, " m",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

Showpl10, pl11, pl12

Definisco la gaussiana di larghezza a meta' altezza FWHMe intensita' int rappresentante la risoluzione del rivelatore

gaussx_, xc_, A_, _ : A Sqrt2 Pi^1 Expx xc^2 2 ^2;gaussexpx_, xc_, A_, _, _ : 0.5 A

Exp0.5 ^2 xc x 1 Erfxc x Sqrt2;FWHM 3.5;

int 50000;

sgm FWHM 2 Sqrt2 Log2;

Convoluzione numerica tra la gaussiana e le distribuzioni in esameexpconvx_ :

QuietNIntegrategaussx, E0 dlt, int, sgm extotenlsintdlt, dlt, 0.1, 20;lanconvx_ : QuietNIntegrate

gaussx, E0 dlt, int, sgm lantotenlsintdlt, dlt, 0.1, 20;vavconvx_ : QuietNIntegrategaussx, E0 dlt, int, sgm vavtotenlsintdlt,

dlt, 0.1, 20;

Costruiamo una lista di valori degli integrali del risultanti della convoluzione,

per valori dell'energia dell'elettrone in un opportuno intorno di E0expeaktab Tablek, expconvk, k, E0 30, E0 20;lanpeaktab Tablek, lanconvk, k, E0 30, E0 20;vavpeaktab Tablek, vavconvk, k, E0 30, E0 20;

Eseguiamo l'Interpolazione di ordine ZERO e rappresentiamo le

distribuzioni in un unico grafico insieme al risultato di GEANT4 mult.txtpl13 ListLinePlotexpeaktab, InterpolationOrder 0,

PlotStyle Red, Thickness0.0025, Frame True,

PlotRange E0 100, E0 80, Full, FrameLabel

"Energia keV", Row"Picco di elettroni nella distribuzione sperimentale",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

pl14 ListLinePlotlanpeaktab,InterpolationOrder 0, PlotStyle Black, Thickness0.0025,Frame True, PlotRange E0 100, E0 80, Full, FrameLabel

"Energia keV", Row"Picco di elettroni nella distribuzione Landau",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

pl15 ListLinePlotvavpeaktab,InterpolationOrder 0, PlotStyle Gray, Thickness0.0025,Frame True, PlotRange E0 100, E0 80, Full, FrameLabel

"Energia keV", Row"Picco di elettroni nella distribuzione Vavilov",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

geantdt ReadList"D:\\Francesco\\UNICAM\\simulazioni\\mult.txt", Number;expnorm 0.7;

geantab Tablek, expnorm Extractgeantdtk, 1,k, 1, ExtractDimensionsgeantdt, 1;

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pl16 ListLinePlotgeantab, Joined True,

Axes False, PlotRange E0 40, E0 20, 0, 13000,InterpolationOrder 0, PlotStyle Blue, Thickness0.0025,Frame True, Axes False, FrameLabel "Energia keV", "Conteggi",FrameTicks Automatic, None, Table20 k, k, 0, 100, None,BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 24, ImageSize 800, 600;

Showpl16, pl13, pl14, pl15FINE DEL CODICE

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tau_parameter.nb

INIZIO DEL CODICEDefinizione della funzione PEAKgaussexpx_, xc_, A_, _, _ : 0.5 A

Exp0.5 ^2 xc x 1 Erfxc x Sqrt2;

Grfico delle convoluzioni numerichepl1

ListLinePlotexpeaktab, InterpolationOrder 0, PlotStyle Red, Thickness0.0025,Frame True, PlotRange 970, 1020, Full, FrameLabel

"Energia keV", Row"Picco di elettroni nella distribuzione Sperimentale",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

pl2 ListLinePlotlanpeaktab, InterpolationOrder 0,

PlotStyle Black, Thickness0.0025, Frame True,

PlotRange 970, 1020, Full, FrameLabel

"Energia keV", Row"Picco di elettroni nella distribuzione di Landau",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

pl3 ListLinePlotexpeaktab, InterpolationOrder 0,

PlotStyle Gray, Thickness0.0025, Frame True,

PlotRange 970, 1020, Full, FrameLabel

"Energia keV", Row"Picco di elettroni nella distribuzione di Vavilov",BaseStyle FontFamily "Times", FontSize 18, ImageSize 800, 600;

Fit delle convoluzioni numeriche con la funzione PEAKgaussexpfit NonlinearModelFitexpeaktab,

gaussexpx, B1, C1, D1, E1, B1, 999, C1, 15000, D1, 2, E1, 1, x;gausslanfit NonlinearModelFitlanpeaktab, gaussexpx, B2, C2, D2, E2,

B2, 999, C2, 15000, D2, 2, E2, 1, x;gaussvavfit NonlinearModelFitvavpeaktab, gaussexpx, B3, C3, D3, E3,

B3, 999, C3, 15000, D3, 2, E3, 1, x;

Grafico delle funzioni determinate nel FITpl4 Plotgaussexpfitx, x, 970, 1020,

PlotRange Full, PlotStyle Magenta, Thickness0.002;pl5 Plotgausslanfitx, x, 970, 1020, PlotRange Full,

PlotStyle Magenta, Thickness0.002;pl6 Plotgaussexpfitx, x, 970, 1020, PlotRange Full,

PlotStyle Magenta, Thickness0.002;

Grafico dei risultati e visualizzazione de parametri di FITShowpl1, pl4Columngaussexpfit"BestFitParameters" E1tau Sperimentale

Showpl2, pl5Columngausslanfit"BestFitParameters" E2tau Landau

Showpl3, pl6Columngaussvavfit"BestFitParameters" E3tau VavilovFINE DEL CODICE

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Bibliografia [1] L. Landau, On the energy loss of fast particles by ionisation, J. Phys. U.S.S.R. 8, 201 (1944)

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