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Inserto redazionale M. C., settembre 2006

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2006

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In coper t ina - Statua del Beato G. Allamano, posta nel cortile della Casa Generali-zia, a Roma, opera della scultrice Bruna Gasperini.

EDITORIALE 3

ATTUALITÀUna nuova chiesa in onore del B. Allamano 4L’Allamano e i parenti dei missionari 5La Consolata e l’Allamano a Kigamboni 8L’Allamano invita ad entrare 9

FAVORIProdigiosa guarigione 11

RICORDI 14

SULLA SCIA DELL’ALLAMANOFr. Benedetto Falda 18

SPIRITUALITÀ 23

ORIZZONTEL’Allamano nel Seminario di Torino 26Nuova icona del Beato Allamano 27

SPIGOLANDO 29

RICONOSCENZA 30

REDAZIONE e POSTULAZIONEIstituto Missioni ConsolataViale delle Mura Aurelie, 11-1300165 ROMATel. 06/393821Fax 06/3938.2255E-mail: [email protected] internet: www.ismico.org

REDATTOREP. FRANCESCO PAVESE

Distribuzione gratuita.Il bollettino non ha quota d’abbonamento ma è sostenutocon offerte libere dei lettori

C.C.P. n. 39573001 intestato a:MISSIONI CONSOLATAViale delle Mura Aurelie, 11-1300165 ROMA

oppure:c/c N. 33405135intestato a:MISSIONI CONSOLATA O.N.L.U.S.Corso Ferrucci, 14 10138 TORINO

Specificare sempre il motivodel versamento.

GRAFICAP. SERGIO FRASSETTO

ANNO LXVIIN. 3 - 2006

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EDITORIALE

Carissimi lettori, mi dirigo direttamenteal vostro cuore missionario. Se batte forteper la missione, se vi piace pensare, riflette-re e dedicare tempo, energia e doni nel farconoscere la persona e la buona novella diGesù a chi non lo conosce e ama, è perchéqualcuno vi ha toccato il cuore e vi hamesso dentro il seme dell’ideale missiona-rio.

Nel cuore del beato Allamano, fu il card.G. Massaia, con i suoi scritti, in cui raccon-ta i suoi 35 anni di missione in Etiopia, trail popolo Galla, a suscitare la passione perla missione. Sì, nel suo cammino vocazio-nale, la missione era presente, eccome! E lasua realizzazione non è stata ostacolata daisuoi. In una conferenza alle suore missiona-rie disse: «Non tocca a me far elogio a miamadre... Dovete sapere che era ammalata,quando le dissi che io desideravo farmi mis-sionario. “Non voglio ostacolarti, mi rispo-se, pensa solo se sei chiamato e poi quantoa me, non pensarci”».

I segni della vocazione missionariaerano chiari nell’Allamano. Avrebbe volutoentrare in un istituto e recarsi quale missio-nario in terra di missione, ma siccome lasua salute era fragile, i superiori non gli per-misero di realizzare questo suo desiderio.

Vorrei sottolineare l’importanza di averedei modelli positivi per la propria vita voca-zionale e di avere il coraggio nel mettere inpratica il proprio desiderio, se è volontà diDio. Il beato Allamano ci ha lasciato deigrandi modelli missionari. Tra tutti, spicca

la figura di S. Francesco Saverio, di cuicommemoreremo il 500º anniversario dellanascita, il prossimo 3 dicembre. Lo ha volu-to anche protettore del nostro Istituto, per-ché, dopo S. Paolo, è modello dei missiona-ri, lui che era tutto di Dio, tutto del prossi-mo e tutto di se stesso. Dopo aver compre-so che la sua vita non serviva ad altro cheamare Dio e a farlo amare, visse tutto inten-to a glorificarlo in sé e negli altri.

Il beato Allamano ce lo presenta comemodello e ci invita ad imitarlo: ad amare ilSignore, a cercare la sua gloria con tuttol’ardore possibile, a ripetere sovente con s.Paolo: «Siamo spinti dall’amore di Cristo».Potessimo anche noi essere così, tutti diDio, da disprezzare tutto il resto, operaresolo per Lui, ardere dal desiderio di portaretutti gli uomini a Dio!

Il beato Allamano, con il suo cuore mis-sionario, ha fatto quanto poteva in favoredella missione: nelle terre del Piemonte,particolarmente nel Santuario della Conso-lata, a Torino, e nel mondo, tramite la fon-dazione dei Missionari e delle Missionariedella Consolata.

Vi invito, oggi, a guardare, oltre s. Fran-cesco Saverio, all’Allamano, Padre e Model-lo. Interceda, presso il Signore della messe,per noi e in favore del mondo missionario,oggetto del suo sogno giovanile.

Con un saluto missionario, cordialmen-te mi congedo.

P. Aquiléo Fiorentini, IMCPadre Generale

Letteradel SuperioreGenerale

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Il 19 marzo 2006, III domenica di Qua-resima, nel villaggio di Adjamenè della par-rocchia di Grand-Béréby, in Costa d’Avorio,è stata inaugurata una chiesa in onore delbeato Giuseppe Allamano. Ha presieduto lacelebrazione il vescovo di San Pedro, mons.Barthélemy Djablà. Alla cerimonia eranopresenti, oltre a sacerdoti, seminaristi esuore di varie congregazioni, autoritàamministrative, politiche e militari del

posto ed un gran numero di fedeli - quasi2 mila -, venuti in pellegrinaggio da altrisettori della parrocchia, per partecipareall’evento e per esprimere il loro ricono-scimento all’opera dei Missionari dellaConsolata.

La maggior parte vestiva l’abito (ilpagne), confezionato per l’occasione, conl’effige della beato Allamano e il disegno

della chiesa. La giornata era soleggiata eventilata e, grazie ad una grande “appatam”(tettoia) fatta di bambù e di foglie di palma,la folla ha potuto seguire la celebrazioneall’ombra e nella tranquillità. La cerimoniaè stata semplice, ma molto partecipata,arricchita dall’animazione di tre corali, chehanno aiutato a pregare, a cantare e a dan-zare le meraviglie di Dio.

L’opera costituisce un importanteservizio per i cristiani di Adjamenè erappresenta un segno di “consolazio-ne” che l’Istituto lascia a questacomunità. Chiediamo al beato Alla-mano che protegga questa comunità,la faccia crescere e la benedica coldono di sante vocazioni per il benedella Chiesa.

P. Pietro Villa

ATTUALITÀ

UNA NUOVA CHIESAIN ONORE DEL BEATO GIUSEPPE ALLAMANO

In alto: la nuova chiesa di Adjamenè, dedicata al beato Allamano,nel giorno della benedizione.A lato: l’immagine del Beato stampata su casacche e vestiti confezio-nati per l’occasione.

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ATTUALITÀ

Domenica, 21 maggio scorso, nella nostraCasa Madre a Torino, si sono incontrati moltiparenti dei Missionari della Consolata origina-ri del Piemonte. C’erano oltre un centinaio dipersone, di ogni età: mamme, papà, fratelli,sorelle, anche nipoti di confratelli per la mag-gior parte ancora impegnati nella missione,fuori Italia.

L’incontro è stato organizzato e animato dap. Giovanni Bertello, missionario prima inTanzania, poi negli Stati Uniti ed ora a Torino.Diversi parenti si conoscevano già, perché que-sti incontri sono diventati una consuetudineannuale, e quindi si è subito creato un clima difesta familiare. Ovviamente i missionari assen-ti sono stati tra le persone più ricordate.

Caratteristica dell’incontro di quest’anno èstato il tema della relazione tenuta dal p. Fran-cesco Pavese, postulatore generale dell’Istituto:«L’Allamano e i parenti dei missionari». Dopo

aver premesso che il nostro Fondatore eramolto affezionato alla sua famiglia, in partico-lare alla mamma, ma, nello stesso tempo,totalmente libero di seguire la propria vocazio-ne senza condizionamenti, p. Pavese ha ricor-dato sia il modo con cui l’Allamano si rappor-tava con i famigliari dei missionari e sia lesagge direttive che dava ai suoi giovani, perchésapessero vivere in modo positivo il loro rap-porto con la famiglia, senza condizionare ilproprio impegno vocazionale. Riportiamo alcu-ni tratti della relazione.

Il primo atteggiamento di un Missiona-rio della Consolata verso i famigliari è quel-lo di volere loro molto bene. Sono lo stessosangue, il naturale punto di riferimentoaffettivo e concreto. Sentiamo l’Allamano:«E riguardo ai parenti, sì, dobbiamo amar-li. Nostro Signore per primo ce ne ha datol’esempio, ed Egli, la Madonna e S. Giusep-

L’ALLAMANO E I PARENTI DEI MISSIONARI

I postulanti di Alpignano, i novizi di Bedizzole e il diacono Zachariah Kariuki di Bravetta, si presentano ai parenti,mentre p. Giovanni Bertello,organizzatore dell’incontro,assiste.

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pe li amava con tutto il cuore. Vogliamobene ai parenti, amiamoli più che tutti glialtri. Certe volte la mia buona mamma midiceva: “Io sono vecchia, tutti gli altri midimenticheranno, ma tu mai, dici messatutti i giorni, pregherai poi per me”. Eccoche noi vogliamo bene più che tutti glialtri». Sono espressioni sicuramente spon-tanee e indicano lo spirito di famiglia delnostro Istituto, nel quale il Fondatore coin-volge anche i famigliari.

Le sue non erano solo parole. L’Allamano trattava i parenti con sponta-

neità e simpatia, al punto che diversi di loroci hanno lasciato testimonianze molto belle.Sentiamo quella che riguarda la mamma dip. G. Gallea, che, con il parroco, avevaaccompagnato il figlio alla Consolata, con ilproposito di convincere l’Allamano a nonaccettarlo. Ovviamente non vi riuscì.

Ecco come il figlio, anni dopo, raccontacome la mamma, al ritorno, riferì l’incontroal marito: «Giunti a casa, mio padre l’inter-rogò sull’esito del suo tentativo. Ed essa:“Che vuoi? Rispondeva in modo che non sipoteva più dire niente. Tra gli altri sacerdo-ti e quello lì c’è una differenza grande”».

Dall’incontro di questa mamma con l’Al-

lamano, appare anche come il nostro Fon-datore non si accontentasse di parole.Quando ella vide che non c’era più nulla dafare, si rivolse al figlio, un po’ stizzita,dicendogli: «Ma allora, se questa era la tuaidea, potevi dirlo prima, e non adesso cheabbiamo fatto dei debiti». L’Allamano inter-venne subito: «Avete fatto dei debiti? Equanto? Ci penserò io». Ed ecco la conclu-sione: «La mamma non sapeva più che cosadire e cominciarono a piovere le lacrime».All’Allamano non rimase che consolarla:«Là, si faccia coraggio, vedrà che si troveràcontenta». Quella mamma fu poi moltocontenta del figlio missionario!

Riconoscenza alla famiglia che ha donatoun figlio o una figlia.

L’Allamano, in occasione delle partenzedei missionari e missionarie o di qualchealtra celebrazione alla quale partecipavanoanche alcuni parenti, esprimeva sempresimpatia e riconoscenza verso di loro. Ilmotivo di fondo era che i famigliari sono daconsiderarsi i primi benefattori in quantooffrono un figlio o una figlia alle missioni e,di conseguenza, vengono coinvolti nell’av-ventura missionaria dell’Istituto e parteci-pano al bene che i figli fanno nella vigna del

Signore. Per spiegarmi,

riporto le lodi chel’Allamano ha rivol-to alla mamma di p.Benedetto, in occa-sione della parten-za: «Ogni volta chesi rinnovano questigiorni, lasciano sem-pre il cuore pieno dipena e specialmenteil mio... si staccauna parte di me

ATTUALITÀ

P. Francesco Pavese mentre parladell’Allamano ai parenti.

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ATTUALITÀstesso. […].

Ho da dirvi che quest’oggi ho ricevutouna grande consolazione: mi ha consolatomolto il vedere una madre veramente cri-stiana: sono andato per consolarla, ma nonne aveva bisogno, è la madre qui del nostroP. Benedetto. Ella disse: Sono contenta chevada, proceda bene, se il Signore lo chia-ma!... Ah! non è facile trovar delle madricosì! Capisce che cos’è il prezzo delleanime, madre veramente cristiana, madreche guarda col lume della Fede... Portatenel’esempio quando parlate coi vostri parenti,... madre secondo il cuore di Dio... […].

Queste sono madri! Devono lasciarli efanno il sacrificio, ma non li lasciano spiri-tualmente! ... Parenti cristiani! Che capisco-no! È una consolazione che il Signore dà ditanto in tanto nel mio difficile ministero!».

Da queste parole, che non sono le solepronunciate con questo tono di profondapartecipazione, emerge bene l’animo del-l’Allamano, che si sente solidale con i fami-gliari.

Libertà interiore e coraggio apostolico.Dopo avere evidenziato altri aspetti dello

spirito dell’Allamano, in particolare la suacapacità di partecipare alle gioie e ai doloridelle famiglie, p. Pavese ha concluso indicandoanche l’esigenza di fondo propria della voca-zione di un missionario e di una missionaria,che l’Allamano proponeva senza mezzi termi-ni: essere liberi, per poter partire senza condi-zionamenti.

L’Allamano ha pure trasmesso ai suoifigli e figlie la libertà e la forza interiore chegli erano proprie. Ha sempre chiesto di sen-tirsi liberi riguardo alla vocazione e di rima-nere distaccati da qualsiasi legame, anchefamiliare, che potesse impedire di seguire lachiamata del Signore.

Le parole dell’Allamano, al riguardo,sono piuttosto forti e seguono la culturaascetica e la pedagogia del suo tempo. Non

le ripeto qui, non per addolcire il pensierodell’Allamano, ma solo perché richiedereb-bero tempo per spiegarne il senso nel preci-so contesto e ambiente.

Sottolineo, invece, la sua forte convin-zione di fondo, che è quella dei santi: iparenti, anche se non sempre comprendo-no subito il valore della vocazione missio-naria, devono essere coinvolti nel meritodell’offerta e del distacco. Comprenderannoin seguito, perché il loro amore avrà ilsopravvento. Questa libertà nel seguire lapropria vocazione, che vale per chi intendesposarsi, deve valere anche per chi vuoleessere missionario.

Sentiamo questo concetto dall’Allama-no, mentre parlava della necessità di nonlasciarci condizionare dai legami di sangue:«Se possiamo conciliare l’amore di Dio conl’amore dei parenti, tanto bene, se no, civuole una santa crudeltà. Nostro Signorevuole il merito del sacrificio dei parenti e dinoi; e in questo ci vuole energia: il distac-co». Notiamo la profondità dello spiritodell’Allamano: non solo i missionari, maanche i loro famigliari, di fronte a Dio,hanno il merito del sacrificio connesso conil distacco e la partenza.

A conclusione del discorso, ascoltiamole parole dell’Allamano ai genitori del p.Peirani, in occasione della sua vestizioneclericale: «E voi, o genitori, che non badan-do ai sacrifici fatti per il figlio, concedeste almedesimo di seguire la voce di Dio che lochiamava a missionario della Consolata,abbiate l’abbondanza delle benedizionicelesti. Dio più generoso vi compartirà incompenso su questa terra il centuplo deibeni temporali, e vi riserberà parte ai meri-ti ed al premio promesso a chi si sarà vota-to e sacrificato nella conversione delleanime infedeli. Ecco l’augurio ch’io depon-go per voi ai piedi della Consolata». ❏

Il 29 gennaio scorso, dal Nunzio Apo-stolico in Tanzania, è stata consacrata lanuova chiesa parrocchiale di Kigamboni,Dar es Salaam. La data scelta ha un signifi-cato speciale per i Missionari della Consola-ta, perché nel lontano 29 gennaio 1901, ilbeato Giuseppe Allamano ha fondato l’Isti-tuto missionario. La costruzione della chie-sa, iniziata nel marzo 2003, è stata portata atermine in breve tempo, dando la possibili-tà di svolgere le celebrazioni già da diversi

mesi. Quando tutti i dettagli sono staticompletati, è stata stabilita la data dellasolenne consacrazione, da parte del NunzioApostolico, mons. Joseph Chennoth, suincarico dell’arcivescovo di Dar es Salaam,card. Polycarp Pengo.

La celebrazione della consacrazione, difronte a una grande folla di parrocchiani, èstata molto solenne, con canti e danze,come si usa fra questa gente, che sa espri-

mere con entusiasmo la pro-pria fede.

Il parroco, p. LucianoScaccia, ha fortemente volutoquesta chiesa, in sostituzionedi quella precedente ormaiinsufficiente, e ne ha seguitocon passione la costruzione.Proprio perché missionariodella Consolata, figlio dell’Al-lamano, ha desiderato che nefosse sigillata una preziosareliquia al centro dell’altaremaggiore, di modo che, ognigiorno, il Padre accompagnas-se i suoi figli missionari nellacelebrazione del SacrificioEucaristico e divenisse protet-tore speciale del popolo diDio, che si raduna in questotempio. Lui stesso ha intro-dotto la celebrazione, spiegan-do alla gente, attraverso preci-si riferimenti biblici, il signifi-cato del tempio, dei suoi sim-

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ATTUALITÀ

LA CONSOLATA E L’ALLAMANO A KIGAMBONI

In alto: il Nunzio Apostolico mentre consacra l’altare, assistito dal parroco, p. Luciano Scaccia.A lato: l’interno della nuova chiesa.

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ATTUALITÀboli e delle sue decora-zioni. Tra l’altro, rivol-gendosi al Nunzio Apo-stolico, ha come conse-gnato la chiesa al pasto-re della diocesi, perchéservisse al culto delpopolo di Dio, dicendo:«Attraverso di Lei, con-segniamo questa chiesaal nostro arcivescovo,chiedendo che sia con-sacrata a gloria di Dio,in onore della beataVergine Consolata e delbeato Giuseppe Alla-mano, patroni e inter-cessori».

Il Nunzio Apostolico, a testimonianzadell’avvenuta consacrazione, ha rilasciatoun documento firmato e sigillato: «Sia notoche in questo giorno, 29 gennaio dell’annodel Signore 2006, commemorativo dellafondazione dell’Istituto dei Missionari dellaConsolata, io, arcivescovo Joseph Chen-

noth, Nunzio Apostolico in Tanzania, inpresenza di sacerdoti, religiosi e di fedelicristiani, ho consacrato e dedicato la chiesaparrocchiale di Kigamboni, sotto la prote-zione della beata Vergina Maria Consolata edel beato Giuseppe Allamano, le cui reli-quie sono state sigillate nell’altare». ❏

L’esteno della nuova chiesa parrocchiale di Kigamboni

L’ALLAMANO INVITA AD ENTRAREEsiste un dato di

fatto: ovunque vada-no, i nostri missiona-ri portano con sé laloro Madonna, laConsolata, e il loroFondatore, il beatoG. Allamano. Da piùdi 40 anni questofatto si è verificatoanche in Sardegna.Invitati dal vescovodi Tempio, mons.

Mons. Sanguinetti benedice la sta-tua del beato Allamano, assistitoda p. Pierino Gaiero.

Carlo Re, lui pure figlio dell’Allamano,espulso dal Kenya dopo la seconda guerramondiale, nel 1962 i missionari preseroservizio nella parrocchia di Tergu, Sassari,istituendo anche un piccolo seminario.

Per diverse ragioni, dal 1974 la comuni-tà si è spostata in un luogo meno isolato,nella città di Olbia, alle porte della CostaSmeralda, fondando un centro di animazio-ne missionaria per tutta la zona.

Quest’anno, su ini-ziativa dei tre missionariche lavorano ad Olbia, èstata rinnovata edampliata la cappella,aperta al pubblico, per-ché quella precedenteera troppo angusta per ilcrescente afflusso difedeli. La sera del 17giugno, nel contestodella festa della Conso-lata, la nuova cappella èstata benedetta dalvescovo di Tempio,mons. Sebastiano San-guinetti.

Particolare interes-sante: a lato della portadella cappella, nellaparte esterna, p. PierinoGaiero, responsabiledella comunità, ha volu-to mettere una statua inbronzo dell’Allamano.

Chi entra nel piazza-le della casa, prima divarcare la soglia dellachiesa, s’incontra neces-sariamente con il PadreFondatore dei missiona-ri. Con il suo atteggia-mento sereno, sembra

che voglia accogliere paternamente la gentee, con il gesto della mano, invitare ad entra-re in chiesa.

L’Allamano, come ha sempre fattodurante gli anni di vita terrena, anche ades-so incoraggia ad incontrare con fiduciaGesù, nel suo mistero dell’Eucaristia, e laConsolata, fonte inesauribile di coraggio efiducia. ❏

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ATTUALITÀ

In alto: la nuova cappella con accanto la statua dell’Allamano che accoglie quanti entrano.Sotto: processione della Consolata animata dall’ultra novantenne, p. Giuseppe Caffaratto.

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FAVORI

PER INTERCESSIONE DELL’ALLAMANOPRODIGIOSA GUARIGIONE

DI P. V. MERLO PICH

La malattia stava mettendo in forseanche il proseguimento della sua missionedi supervisore [degli studi] già programma-ta per l’estate a venire.

Un primo ricovero p. Vittorio l’ebbe

presso l’Ospedale Maria Vittoria di Torinodal 13 al 23 settembre 1952, per angioliteacuta. Alcuni disturbi richiamavano a quel-li già sofferti durante il periodo di prigionianella Seconda Guerra Mondiale.

Ai primi del mese di marzo del 1953,

Adriano Bianco, nella tesi di laurea, difesa nel 1995 presso la Facoltà di Scienze Politichepresso l’Università di Torino, presentò il nostro confratello, p. Vittorio Merlo Pich sotto la veste dilinguista. Il titolo della tesi era appunto: “Un Missionario e un Linguista: Vittorio Merlo Pich”.Dato il valore di questo missionario, abbiamo già riportato alcuni brani di questa tesi nel N.1/gennaio-aprile 2006 della rivista, evidenziando il particolare legame che il p. Merlo Pich avevacon il Fondatore.

Proprio in forza di questa stima e amore, in occasione di una grave malattia, il p. Vittorio siè rivolto all’intercessione dell’Allamano, ottenendo una risposta prodigiosa, della quale si parladiffusamente nella tesi citata. Anche se questo segno di intercessione prodigiosa non è stato valo-rizzato in vista della beatificazione dell’Allamano (ne fu presentato un altro avvenuto in Kenya),crediamo utile renderlo noto ai nostri lettori, per sottolineare la forza dell’intercessione del beatoAllamano in favore di quanti si rivolgono a lui, con fiducia, nei momenti di necessità.

P. Merlo Pichguarito in modo straordinario

dall’Allamano.

FAVORI

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venne nuovamente ricoverato per l’aggrava-mento dei disturbi gastrici e per l’accen-tuarsi di un dolore epigastrico. Dagli esamisi diagnosticò trattarsi di ulcera duodenale.Fu sottoposto ad una dieta speciale e aduna cura farmacologica specifica che pro-dussero lievi miglioramenti. Nel mese diottobre 1953 i disturbi ricomparvero conmaggior intensità, accompagnati da unagrave enterorragia che perdurò sei giorni, eche causarono uno stato di grave prostra-zione in p. Vittorio.

Nel mese di dicembre 1953, una nuovaricaduta indusse i medici ad un nuovo rico-vero. Prima del ricovero però p. Merlo Pichvolle andare a pregare, come lui stesso rac-conta: «Prima di recarmi all’Ospedale MariaVittoria il 26 dicembre, mi portai a pregaresulla tomba del Servo di Dio, Can. Giusep-pe Allamano, chiedendo la sua intercessio-ne per la mia guarigione. Pregai la SS. Con-solata di unire la sua mediazione per otte-nere così la glorificazione del suo Servo ediniziai una prima novena di preghiere. Conme si unirono a pregare i miei Confratellidella Casa Madre…».

Il ricovero avvenne il 26 dicembre. Daun nuovo esame radiografico eseguito il 4

gennaio 1954 venne confermata la presen-za dell’ulcera duodenale, per la quale fuconsigliato l’intervento chirurgico.

«Durante questa novena le condizioninon migliorarono; […] iniziai il 10 gennaiouna seconda novena di preghiere. Miasorella Caterina chiese anche le preghieredei bambini dell’asilo e delle scuole di Nolemio paese natio. Mia sorella mi portò anchel’immagine della Consolata, con paroleautografe dello stesso Servo di Dio, imma-gine che tenni sullo stomaco durante lanovena».

Terminata la seconda novena, p. MerloPich ebbe la sensazione di essere guarito elo manifestò ad un dottore che lo aveva incura.: «…il mattino del 18 gennaio recitan-do il nono giorno le solite preghiere dellanovena ebbi la sensazione di essere statoesaudito. Pregai allora il Servo di Dio cheprovvedesse anche a provare il miracoloottenutomi in modo che servisse per lacausa della sua beatificazione […]; confidaila mia convinzione di essere guarito…».

L’intervento ebbe luogo il mattino dei 21gennaio 1954, ma con grande sorpresa delchirurgo non venne riscontrata traccia del

male di cui si avevano avutosintomi palesi. «Appena apertigli occhi dopo l’effetto dellanarcosi - ricorda ancora MerloPich -, a mia sorella che midisse che non avevano più tro-vato l’ulcera, osservai: - Allora èprovato il miracolo. Deo gra-tias!».

P. Merlo Pich potè lasciarel’ospedale il 2 febbraio 1954

P. Merlo Pich festeggiato nel 50º della sua profes-sione religiosa, accompagnato dai pp. Fiorina e Bes-sone, superiore e vice-superiore generale.

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clinicamente guarito. Era certo di essereguarito solo per una “grazia speciale” delPadre Fondatore che abbiamo visto avevainvocato prima del ricovero. A tal proposi-to esistono ulteriori precise testimonianzeal “Processo Ordinario di Beatificazione eCanonizzazione del Servo di Dio GiuseppeAllamano”.

Leggendo attentamente le molte deposi-zioni di conoscenti, confratelli e medici,riportate nel volume sul processo di Beatifi-cazione dell’Allamano, emergono ulteriori ecuriosi piccoli particolari che aiutano anchea conoscere le debolezze dell’uomoMerlo Pich. In una di queste depo-sizioni, il dr. Domenico David, cheaveva in cura il missionario, cosìricorda alcune leggerezze delpadre nolese che avrebbero potutocomplicare l’esito della malattia:«Il guarito di cui si tratta è il moltorev. P. Merlo Pich Vittorio che ioconobbi nel 1952 quando venneda me per disturbi al fegato. So cheè missionario della Consolata, eche è un forte fumatore e cheindulgeva assai al caffé».

La notizia della “guarigionemiracolosa” venne messa in granderisalto da molti quotidiani deltempo, quali “La Voce del popolo”,“L’Italia”, “La Gazzetta del Popolo”.

“La Stampa” parecchi annidopo, durante il processo di Beati-ficazione del Canonico Allamano,ricorderà ancora il fatto scrivendo:«Il Postulatore della Causa di Bea-tificazione, P. Giacomo Fissore, hainoltrato alla Congregazione dei

Riti la definitiva approvazione di un fattogiudicato ‘miracoloso’ avvenuto una quin-dicina di anni fa. Si tratta della guarigioneistantanea del P. Merlo Pich che, gravemen-te malato di ulcera allo stomaco, potè evita-re un difficile intervento chirurgico ed esse-re dichiarato fuori pericolo dopo aver invo-cato il Can. Allamano. Una Commissione dimedici, interpellata dalla Curia arcivescovi-le di Torino, ha recentemente dichiaratoche le circostanze della improvvisa guari-gione del religioso sono tali da oltrepassarele possibilità umane».

Dr. Adriano Bianco

FAVORI

P. Merlo Pich in conversazione con il Prefetto di Propagan-da Fide, card. Agagianian, in occasione di una sua visitaalla Casa Madre di Torino.

Quello che vogliocommemorare oggi è ilCanonico Giuseppe Al-lamano, Rettore del San-tuario della Consolata edel Convitto Ecclesiasti-co dell’Archidiocesi diTorino, ecc. ecc. Fonda-tore e Superiore dell’Isti-tuto Missioni Consolatae delle Suore Missionariee per questo nostroPadre, perché nel mo-mento che varcammo lesoglie dell’Istituto perentrare nelle sue schierenoi venimmo allo stessoistante annoverati fra i suoifigli prediletti.

La sua figura eccola davanti a noi coisuoi lineamenti, ma lui non c’è più col suodolce mite sorriso che dava confidenza, colsuo sguardo profondo e indagatore, che

sapeva scandagliare nelpiù profondo dell’anima,ah! no non c’è più la suaparola persuasiva, inco-raggiante che quasi bal-samo prezioso scendevaal cuore e sanava le feri-te.

Ah! allora si credevaimpossibile e si cercavadi nascondere, di rigetta-re distante come tenta-zione solo l‘idea d’unprossimo distacco. Levolte che ebbi la fortunadi avvicinarlo in sì poco

tempo, due anni e mezzoappena, dei quali cinque mesi passatiaccanto a lui al Santuario. Che mesi furonoquelli! Quanti esempi e quanti consigli! Eroaddetto specialmente al mantenimento del-l’altare maggiore. Quale fu la mia sorpresafin dai primi giorni quando, incontrandolo

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RICORDI

COL SUO PIÙ BEL SORRISO

Il fr. Alfondo Caffo (1890 – 1976), accolto dal Fondatore come aspirante coadiutore nel 1921,fu missionario in Etiopia per 10 anni. Rimpatriato per motivi di salute, visse il suo calvario del-l’artrite deformante, durato 40 anni, che lo ha limitato nelle attività, ma sublimato nella vita spi-rituale. Il 16 febbraio 1936, ha tenuto una commemorazione molto bella e spontanea dell’Alla-mano nella casa di Alpignano (TO), che allora era la sede dove venivano formati i FratelliCoadiutori, prima di partire per le missioni.

Pubblichiamo le parti salienti di questa commemorazione, lasciando inalterate le sue espres-sioni, nonostante le inesattezze grammaticali, per non alterarne la spontaneità. Si noti quantevolte questo figlio affezionato dell’Allamano pronuncia la frase «col suo più bel sorriso», riferitaproprio al Fondatore. È un segno evidente che il volto sorridente del Padre gli era rimasto pro-fondamente impresso nel cuore. La parte della commemorazione che riguarda le reazioni degliallievi alle conferenze domenicali del Fondatore è stata già pubblicata nel n. 1 della rivista di que-st’anno.

per i corridoi, mi fermava, oppure miaccompagnava; avevo la camera poco dis-costo dalla sua; dopo avermi fatto il più belsorriso, sentirlo che si interessava minuta-mente di tutto.

Una sera, finito il lavoro, mi soffermaiun pochino a pregare sui gradini dell’altare.La mattina seguente, nel corridoio nuovoincontro, col suo amabile sorriso si avvici-na, si ferma, poi proseguiamo lentamentementre lui mi interroga su diverse cose, miincoraggia ed infine a bruciapelo mi dice:sai ti ho visto ieri sera mentre pregavi aipiedi dell’altare, va bene, son contento,continua a pregare. L’altare va tenuto conmolta cura. Mi parlò della biancheria, diquesto e di quello e venne alle genuflessio-ni, mezzo per dimostrare la nostra fede e difare un gran bene col buon esempio. Dopodi che mi lasciò col suo più bel sorrisosulle labbra che sempre mi era di grandeconforto.

Allontanandomi mi persuasi che quel-l’uomo coi capelli bianchi, che cominciavaa curvarsi sotto il peso degli anni e piùancora sotto l’immane lavoro, la sua piùgrande premura fosse quella di portarsi ilpiù sovente possibile là sul coretto, in alto,non visto da alcuno; di là poteva controlla-re tutto e nello stesso tempo passare tutto iltempo disponibile in fervorose preghiereper l’incremento delle sue opere. Là forseera noto a pochi il tempo che passava inadorazione, là era nascosto, là la sua bell’a-nima si univa col Datore di tutte le energie,là prendeva forza e coraggio a intraprende-re nuove fatiche. Questo avveniva special-mente la sera, quando tutte le porte eranochiuse e le visite terminate. Lui terminava lasua giornata ai piedi di Gesù Sacramentatoe la SS. Vergine Consolata.

Venni all’Istituto: quali non furono lesue premure per me. Allora ero quasi com-

messo viaggiatore e col carretto o senza equando capitava di recarmi alla Consolata onelle adiacenze; sovente era non una voltaal giorno, ma anche due, anche da princi-pio ero un po’ titubante ad andarlo a trova-re per timore di disturbarlo; imparai peròpresto dagli altri ad approfittare di tutte leoccasioni per avvicinarlo, però sempre conun po’ di paura da un momento all’altro dipigliarmi qualche rimostranza.

Possono immaginare quale non fu la miasorpresa e gioia quando un giorno sentiidirmi a bruciapelo: lo so che tu esci soven-te per commissioni, ma ricordati che sevengo a sapere che passi qui vicino e nonvieni a trovarmi qui, la prima volta che titrovo ti tiro le orecchie, e questa sua uscitafu accompagnata da uno dei suoi più beisorrisi, che io non avrei cambiato per chis-sà che cosa. Questo lo potete immaginare lopresi come un suo espresso comando. IlFondatore lo voleva ed io lo desideravo piùdi lui, la colpa dunque non è mia.

Per noi non c’era né parlatorio né anti-camera, eccetto che fosse già impegnatocon qualcuno, l’udienza era pronta imme-diata, anzi lui stesso ci insegnò come fare.Appena entrato mi faceva sedere accanto alui, ci pigliava la mano e la teneva alle voltea lungo, interrogava sullo stato individuale,la salute, consigliando, confortando, esor-tando, ed anche se necessario un po’ didolce rimprovero, portando a l’occasionequalche bel fatterello a mo’ d’esempio,senza dimostrare la minima stanchezza onoia. Era sempre lui sorridente padrone dise stesso da sembrare che non avesse altroda fare.

Quando poi alle volte mi sembrava,quasi con vergogna, essergli causa di perdi-tempo che avrebbe occupato nelle suediversissime occupazioni, tempo a lui certa-mente preziosissimo che al vederlo così

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RICORDI

calmo e tranquillo, nessuno avrebbe potutoimmaginare che a quell’età e debole di salu-te con tutte le cariche già sopra accennate,più consigliere d’una gran parte del clerotorinese e anche del Piemonte, di autoritàecclesiastiche e civili, direttore spirituale econfessore di diversi monasteri, la recitaquotidiana dell’ufficio divino coi canoniciin cattedrale che tralasciava solo rarissima-mente per impossibilità. Dopo tutte questeed altre occupazioni ancora pareva l’uomopiù tranquillo al mondo ed una volta chefeci la mossa di andarmene, sentii dire conmeraviglia: ma vuoi andare? Aspetta lì, staitranquillo, te lo dirò io quando deviandare.

Senza tema di esagerare ma tante volte,posso dire di aver potuto godere della suapresenza, sentire la sua parola, i suoi consi-gli ecc. per ben mezz’ora o anche un’oraconsecutiva. Cosa assai rara questo agli altrimembri, benché a quei tempi fosse ancoracosa facile, e tanti un po’ ci invidiavano.Quando poi credeva opportuno diceva: orati do la mia benedizione e puoi andare. Cosìaccadeva con me e credo che lo era ancheper tutti gli altri Coadiutori. Non contentodi averci tenuto così a lungo gli piaceva allevolte accompagnarci collo sguardo giù nellastrada e questo lo seppi pure da lui stessocome tante altre cose ancora.

[…] Altre volte mi portava l’esempio diconfratelli anziani che lavoravano nelcampo dell’apostolato e specialmente diquelli già passati da questa vita. Parlavadella necessità del missionario ad essersanto, devi farti santo, devi esser santo, tuttisanti. Io poco m’importa il numero ma è laqualità che voglio, piuttosto pochi ma santi,non le mezze volontà, non gli indecisi mauomini sacrificati, mortificati, zelanti per laGloria di Dio e di Maria SS. Consolata edella propria santificazione. Abbiamo biso-gno di santi, di grandi santi da mettere sotto

l’altare, non ne abbiamo ancora nessuno damettere. Metteremo lei il primo, mi vennelesto sulla punta della lingua, ma non miazzardai a pronunziarlo. È vero, mi disse, cisono, sì ne abbiamo santi, ma bisognaesserlo tutti, e questo lo ripeteva con forzae particolarità tutta sua propria.

[…] Giunse anche per me l’ora dellapartenza per l’Africa tanto sospirata. Rievo-care quella veneranda figura la sera del 7gennaio 1923, vigilia della partenza. Ciaccolse tutti con maggior amorevole solleci-tudine e con più che paterna bontà; colcuore commosso ci diede alcuni avvisi eraccomandazioni e d’incoraggiamento e poicon vera espansione di cuore e d’affetto cisalutò; poi soggiunse: noi non ci rivedremopiù su questa terra. Oh! Che parole stra-zianti furono quelle, si fermarono alla gola eper non commuovere di più ci diede coneffusione di cuore e con le lacrime agliocchi la sua ultima benedizione sulla terra eci congedò. L’indomani mattina il treno ciportava al porto. Tra tutte le persone piùcare che avevamo lasciato una era quelvenerando Vegliardo con la sua dolce sorri-dente figura che più non avremmo visto.

Giunse anche il settembre 1923, mese incui Egli celebrava con entusiasmo e ringra-ziamento il suo giubileo Sacerdotale, 50° diMessa, in unione con tutti i suoi figli e figliesparsi nel mondo, con tutti i cristiani dellemissioni, con tutti i parenti amici, ammira-tori e benefattori e beneficati; a noi in Afri-ca ci giunse la sua bella circolare che ciriempì tutti di intensa e santa gioia. Ebbianche un suo scritto particolarmenteimportante, con altri di minor entità, mache a forza di tenerlo caro, finii per perder-lo del tutto con mio grande rammarico.

L’anno giubilare 1925 ebbe la gioia divedere i suoi sforzi coronati del successo. Ilsuo zio materno Giuseppe Cafasso saliva

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RICORDI

agli onori dell’altare, era beatificato. Lacausa gli procurò non poche fatiche. Eccoin questa faustissima occasione giungerciun’altra sua circolare in cui manifesta tuttala sua contentezza nell’aver potuto condur-re a termine questa causa che gli stava tantoa cuore. Nelle ultime righe ci invita a pre-gare il nuovo Beato che lo aiuti a finire benei suoi giorni. Quasi come il vecchio Simeo-ne che non ha più nulla a desiderare sullaterra canta il suo “Nunc dimittis”, “Oralascia che il tuo Servo se ne vada”… La suaopera è compiuta, lo sente, il mondo non èpiù fatto per lui, è maturo per il cielo. Nontarderà ad arrivare il Padrone della vigna apagare il suo intrepido operaio, che soppor-tò tutto il peso della lunga a laboriosa gior-nata.

Seduti attorno ad una malferma tavolastavamo concertando il lavoro più urgenteda farsi, quando d’improvviso giunse trafe-lato il postino con un piccolo plico. Il posti-no interrogato e d’ordinario tanto ciarlonequasi non parla. Il Padre apre, la prima let-tera è per me, ma guardo bene cre-dendo di veder male, ma no, non hovisto male, la lettera è mia, cioè scrit-ta da me indirizzata però al Fondato-re. L’avevo scritta per la festa di S. Giu-seppe. Aspetta, sussurra l’altro Padre,può darsi che ci sia qualche cosa dinuovo. Un velo di tristezza s’impos-sessò di noi, tra il resto si trovava purel’annunzio della morte avvenuta. Ciseparammo muti. Il Padre il nostroFondatore non c’era più. Ed ora cheLui non c’è più, da chi andremo noi?

Durante la vita, in particolare ed inpubblico aveva detto: Quando sarò inParadiso non vi lascerò, ma usciròfuori sul poggiolo e di là guarderò

quello che fate, se farete bene vi aiuterò, seinvece farete male vi tirerò le orecchie e vimanderò dei fulmini. Forse che non neabbiamo già avuto le prove che mantiene lasua promessa!

Ed ora, oh!, Veneratissimo Fondatore,che sacrificasti tutta la tua vita per noi, orache godi nella beatifica visione di Dio fra glieletti del cielo, deh degnati ricordarti ognorpiù di noi, ora più che mai assistici col tuopotente patrocinio. Deh ricordati di noi tuoiprediletti Fratelli Coadiutori che tanto ama-sti qui sulla terra. Moltiplica il numero e fache tutti siano secondo il cuor tuo, tutti diprimissima qualità. Tutti stoffa da santi.Questo era il tuo desiderio, questo il mioaugurio, questa la mia preghiera, affinchétutti giungano al porto senza tradire l’inesti-mabile dono della loro vocazione […] e fache degnamente lavorando nella vigna delSignore possiamo finalmente raggiungerti lànel bel Paradiso, per non separarci più, can-tando l’inno di ringraziamento ai piedi diGesù e di Maria Santissima Consolata. ❏

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RICORDI

Fr. Caffo, anziano e minato dal male, in serena lettura sul terrazzo della Casa Madre.

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SULLA SCIA

«SENTA, PADRE, IO SONO MECCANICO…»

FR. BENEDETTO FALDA RACCONTA COME L’ALLAMANOLO HA COINVOLTO NELLA MISSIONE

Fr. Benedetto Falda (1882-1969) può considerarsi a ragione il primo e il modello dei fratellicoadiutori missionari della Consolata, maturato secondo i desideri e gli insegnamenti del Fonda-tore, del quale fu uno dei beniamini. Giovane assai vivace ed estroverso, dopo un incontro con ilFondatore scoprì la propria vocazione missionaria. Entrò nell’Istituto nel 1903 e, nello stessoanno, partì per il Kenya, dove lavorò fino al 1940, anno del suo rimpatrio definitivo.

Fr. Benedetto ha lasciato due grossi volumi di oltre 700 pagine dattiloscritte, intitolati “Memo-rie di vita missionaria del coadiutore Falda Benedetto IMC – 1901 Kenya 1961, che dedicò agliallievi coadiutori. Le pagine sono documentate da numerose fotografie e ritagli di giornale, tenu-te insieme da una rilegatura piuttosto artigianale. L’italiano è alla buona, proprio di chi è abituatoesprimersi più in dialetto piemontese o in lingue indigene che nell’idioma di Dante, con periodimolto lunghi, intercalati da una punteggiatura discutibile.

Da questi due volu-mi, che sono miniere dinotizie missionarie diprima mano, raccon-tate con l’entusiasmodi un missionario veroed appassionato, stral-ciamo alcuni passaggiche riguardano lavocazione missionariadel protagonista, nellaquale ha avuto grandeparte il nostro Fonda-tore. Per non snatura-re la spontaneità delloscritto, conserviamoimmutato lo stile e nonci permettiamo ritoc-chi di ortografia.

Frontespizio del primo volumedei ricordi di fr. Benedetto Falda.

IL PRIMO INCONTROIncominciamo dal primo incontro con l’Al-

lamano alla stazione di Porta Nuova, Torino,l’8 maggio 1902, giorno della partenza deiprimi quattro missionari della Consolata, duesacerdoti e due coadiutori laici, uno dei qualiera Luigi Falda, fratello di Benedetto: «Allastazione mi trovai presente, benché noncondividessi il loro entusiasmo, però neldividermi da mio fratello che partiva per l’i-gnoto, fu per me commovente. Il R. Cano-nico, dopo aver benedetto i partenti, veden-domi commosso, disse a mio fratello Luigi:“perché non ti può imitare?”. Fu un felicepronostico per me. Undici mesi dopo loraggiungevo in Africa».

Dopo aver narrato le vicende in Kenya deiprimi quattro e la loro sistemazione a Thuthu,villaggio del capo Karoli, continua: «Damio fratello ebbimo solo una letterada Zanzibar, in cui manifestava tuttala sua gioia per essere arrivato in Afri-ca, poi silenzio! Quando mio fratellosi trovava ancora in Corso Duca diGenova (sede della prima casa madre,detta “Consolatina”), mi ero recatoqualche volta a trovarlo, ma la suavita mi sembrava tanto scialba emonotona, che francamente noncomprendevo come lui avesse potutoadattarvisi. Per conto mio fui allevatoin una famiglia cristiana e praticante,anzi, fin dall’età di otto anni frequen-tai l’oratorio di S. Filippo Neri e finoall’età di sedici anni fui molto osser-vante, assiduo alla scuola di canto e

di recitazione. Ma il lavorare nelle officinemeccaniche, dove è usuale il turpiloquio ela bestemmia, agì molto sul mio spirito inmodo malefico, facilitato dal mio grandeamore per i divertimenti e per la danza».

LA VOCE MISTERIOSA«Una domenica di novembre, avevo

perduto l’appuntamento coi miei amici epensai di recarmi all’Istituto per vedere sefossero arrivate notizie dall’Africa. Volle for-tuna che proprio là si trovasse il Ven. Fon-datore Can. Allamano, il quale mi ricevettecome un’antica conoscenza e mi introdussenel parlatorio, dicendomi che proprio inquei giorni erano arrivate lettere e fotogra-fie dal Kenya e me le fece vedere, illustran-done i particolari coi suoi entusiastici com-menti!

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SULLA SCIA

Terza spedizione: fr. Benedetto Falda è il terzo a destra inalto (senza mantellina); gli altri sono per ordine: in alto, ch.Cattaneo e p. Sebastiano Scarzzello; sotto, p. Giocosa, p.Rodolfo Bertagna e p. Arese Mario.

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SULLA SCIA

Così appresi che i Missionari si trovava-no colà, assolutamente privi di ogni mezzodi comunicazione, tranne i portatori. Nonvi erano né ponti e né strade e la ferrovia sitrovava 200 km lontana. Ma vi erano mera-vigliose foreste, ricche dei più pregiati albe-ri di mogano, altissimi “sandalo” ed enormicedri e piante conifere. Invece, mancavaassolutamente, pel momento almeno, lapietra da taglio e buona argilla. Si era perciòdeciso di inviare colà una sega idraulica,perché l’acqua non mancava dai vicini tor-renti e poteva fornire forza sufficiente, datele numerose cascate, per la costruzione dicase prefabbricate e fornire le Missioni.

La conclusione era di inviare, collasegheria, un buon meccanico che se neassumesse l’andamento, anche come laicoesterno, pagato. Quell’intervista fu per meuna rivelazione. Quelle fotografie su cui sivedevano negri nei loro primitivi costumi,quegli orizzonti illuminati dal sole equato-riale che imprimeva una novella vita a quel-le fotografie e soprattutto il paterno accogli-mento di quell’amabile Sacerdote che mi

parlava con tanto entusiasmo di quell’operaa cui si era votato, benché oppresso da tanteoccupazioni e che, pur non conoscendomi,si intratteneva con me come un amico, lasua parola calda e avvincente che mi affa-scinava, sconvolse in poco tempo quell’av-versione che nutrivo verso i preti.

Avevo fino allora seguito con giovanileentusiasmo le teorie che correvano fra glioperai per mezzo di una propaganda cheentusiasmava i giovani. Era vero, […] lapropaganda cercava di allontanare i giovanidalla Chiesa e dai Sacerdoti, pei quali sifiniva per concepire un odio anche alla tala-re che li rivestiva, schernendoli colla stam-pa blasfema e oscena!

Qui invece trovavo un’anima che si eravotata per un ideale che l’egoismo umanonon conosceva e non poteva concepire.Tutto l’insieme mi avvinse in tal modo chemi sentivo già legato a quella sacra causa emi sentii spinto a fare la grande domanda!Senta, Padre, gli dissi, io sono meccanico,ha quasi ventun anni, dovrei essere presto

soldato, sentiiche i membridell’Istituto sonoesenti dal servi-zio militare, d’al-tronde ho giàmio fratello colà,se crede; io misento dispostoad assumere il

Segheria di Thuthu: fr. Falda in gilet, sotto la tettoia,

con gli altri missionari e gli operai.

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SULLA SCIA

posto di meccanico che abbisognate!Il santo Canonico mi guardò col suo sor-

riso buono, poi colla sua calma, posandomiuna mano sulla spalla, mi disse: Bravo, mipare che ci intenderemo, ci pensi bene e poivenga a trovarmi alla Consolata. Ma senta,signor Canonico, io intendo entrare nell’I-stituto come membro, non come salariato!Allora il Santo Fondatore mi avvolse conuno dei suoi, direi Celestiali sorrisi e midisse, faccia una novena alla Consolata chedisponga Lei per il suo bene, intanto io loconsidero già fin d’ora uno dei nostri, e colsuo signorile e dignitoso contegno miaccompagnò fino alla porta».

NON PIÙ COME PRIMA«All’indomani ritornai al mio lavoro, ma

con la mente assolutamente assorta e voltaa quel che avevo visto e udito il giornoprima. Mi vedevo già in mezzo alle foreste,circondato da indigeni a cui avrei insegnatoa lavorare, ecc. Il buon Canonico mi avevapur detto di pregare e per quanto mi sfor-zassi a mormorare un’Ave Maria, non pote-vo assolutamente. […].

All’indomani, dopo una giornata diangustie per sentirmi inabile a pregare eperciò inabile a diventare un buon Missio-nario, mi recai alla sera a bussare alla portadel buon Canonico come mi aveva lui stes-so suggerito.

Lo trovai occupatissimo alla sua scriva-nia, ma mi ricevette come se nulla avesse dafare! Gli esposi candidamente il mio caso,sicuro che mi avrebbe rimandato, comeindegno di appartenere alla sua famiglia,inabile come ero a formulare una preghiera.Invece il buon Padre ebbe per me solo unsorriso paterno! Non vi era nulla di rigoro-so in lui. Non sono le parole, mi disse, cheil Signore gradisce di più, ma vuole il tuo

cuore, offrilo a Lui e anche alla sua MadreSantissima, interamente, tutti i giorni e nonriprendilo e poi sta tranquillo.

Dopo otto giorni avevo aggiustato ognicosa coi miei genitori e col principale e il seiDicembre entravo nell’Istituto. Il buonCanonico mi abbracciò commosso e il suobacio paterno si posò sulla mia fronte asuggello del patto concluso. Ero diventatosuo figlio e membro della sua famiglia».

Dopo aver narrato la vita che si conducevanella casa madre, fr. Benedetto continua: «AllaDomenica poi era tutto per i suoi figli.Giungeva per i Santi Vespri e dopo la S.Benedizione si recava nel salone, o tempopermettendolo in giardino e là ci volevatutti attorno a sé. La sua Conferenza nonaveva nulla di cattedratico o di rigido, maera il Padre che, seduto in mezzo ai suoifigli, che voleva ben vicini, specialmente iCoadiutori, ci parlava alla buona. Eranoconsigli detti quasi all’orecchio, ma cherestavano impressi nell’animo e ci imbevevadel suo spirito! Non voleva mortificazionispeciali ma rettitudine e sincerità. […].Così si ascoltava senza fatica quegli inse-gnamenti che sgorgavano piano, ma fluentidal suo labbro paterno!

Alla fine della Conferenza, faceva porta-re una bottiglia di vino scelto e distribuiva aciascuno dei biscotti (che veramente i bene-fattori gli regalavano per il suo stomacodelicato) poi si alzava e dopo una visita alSS. Sacramento lo si accompagnava tuttiassieme fino al cancello della palazzina edancora volevamo trattenerlo e dilungare diun altro po’ la gioia di udire la sua voce cosìpaterna e suasiva che ci lasciava in cuoreuna pace ed una volontà, come una passio-

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SULLA SCIA

ne di mettere in pratica i suoi insegnamen-ti e dimostrargli coi fatti quanto era profon-do il nostro amore filiale. Un chierico loaccompagnava al tramvay ed un giorno chetoccò a me l’onore di accompagnarlo, aduna svolta mi congedò dicendomi: Prose-guo a piedi, così risparmio due soldi chesono della Provvidenza! Dopo di allora ebbiscrupolo a spendere il denaro, che egli chia-mava della Provvidenza ed erano elemosinedei benefattori, alle volte poverissimi!».

ALLA VIGIGLIA DELLA PARTENZA«Pochi giorni prima della partenza per

le Missioni il Fondatore mi diede il permes-so i passare qualche giorno a casa collafamiglia. Veramente io abitavo a Torino epoco distante dal Santuario, ma nel conge-darmi mi porse una busta da consegnarealla mamma. In questa vi era una somma didenaro per le eventuali spese per la mia per-manenza a casa. All’indomani, dopo laSanta Messa al Santuario salii alla sua came-ra per porgergli i ringraziamenti dei mieigenitori, ed alla mia osservazione che erastato troppo generoso con quel dono, egliargutamente mi rispose: Vedi, ora sei mio

figlio ed io non ho alcun diritto di mandar-ti a casa a spese dei tuoi genitori. Ma sottoquell’arguzia, quanta finezza di un padre,prudente e disinteressato!

Volle ancora darmi una lezione sullapovertà. Alla vigilia della partenza, mi dissedi consegnare alla mamma tutto il denaroche mi rimaneva in proprio perché cosìvoleva che partissi completamente staccatoda tutto quello che era personale! Ed infat-ti in tanti anni di mia permanenza in Mis-sione, mai ebbi bisogno di alcuna cosa inparticolare, ma tutto mi venne sempreprovvisto largamente dalla Congregazione».

PARTENZA«In quella sera d’aprile 24 del 1903 i

viaggiatori della stazione di Porta Nuovasostavano ammirati al vedere quel gruppodi Religiosi che, in ginocchio, sotto allapensilina, facevano corona attorno ad unvenerando Sacerdote che alzava la suamano benedicente, sul capo dei figli a cuiaveva dato per viatico, come difesa ed aiutoper il lungo viaggio la formula: Purezza eSacrificio e l’augurio arrivederci in cielo.

[…]. Dopo gli ultimi svento-lio dei fazzoletti dai finestrinidel treno, ci trovammo ognu-no di noi coi nostri pensieripei nostro cari. Seppimo poiche il nostro caro Padre Can.Allamano era ritornato a casae si era rinchiuso nella suastanza perché la delicata suasalute lo faceva soffrire per ildoloroso distacco». ❏

I coadiutori Caffo e Falda, ormai anziani, in fraterna conversazione,

nella Casa Madre.

Verso il termine della vita, ringraziandoi missionari e le missionarie delle preghieredegli auguri per il 50° anniversario di ordi-nazione sacerdotale, l’Allamano ha potutofare loro questa confidenza paterna: «Se almio posto fosse stato un santo quanto mag-gior bene avrebbe operato, ed acquistatisipiù meriti! Mi consola però che cercai sem-pre di fare la volontà di Dio riconosciutanella voce dei Superiori. Se il Signore bene-dì molte opere cui posi mano, da eccitaretalora ammirazione, il segreto mio fu di cer-care Dio solo e la Sua Santa Volontà, mani-festatami dai miei Superiori. Questa fu ed èla mia consolazione in vita e la mia confi-denza al tribunale di Dio».

“Fare la Volontà di Dio” è stata unadelle convinzioni basilari sulle quali si ècostruita la spiritualità dell’Allamano.Ha manifestato questa sua convinzionein tante occasioni, prima di quella già

citata. Per esempio, rispondendo agli augu-ri per il compleanno, il 19 gennaio 1913,ha detto: «Domani compirò 62 anni; ed inquesti giorni il mio pensiero è rivolto a con-siderare tutta la catena di grazie di cui ilSignore mi fu generoso donatore, sia nel-l’ordine naturale come nel soprannaturale.– Una cosa mi consola quando penso allamia poca corrispondenza a tante grazie; e siè di avere sempre coll’aiuto di Dio seguito lavia che Dio mi aveva fissata da tutta l’eter-nità».

Dopo aver ricordato i momenti salientidella sua vita, prosegue: «Vedete quindicom’io ora dando uno sguardo al passato

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SPIRITUALITÀ

«LA MIA PIÙ BELLA CONSOLAZIONE»

L’ALLAMANOINSEGNAA “FARE LA VOLONTÀ DI DIO”

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possa con santa compiacenza rallegrarmi diavere ubbidito alla volontà di Dio manife-statami dai Superiori; ed ora godo della cer-tezza di aver sempre camminato per la viada Dio assegnatami. Perciò usai delle graziesparse nel cammino a mio ed altrui bene.Mi consola pure che avendo così fatta lavolontà di Dio, Egli avrà anche aggiustato lemie deficienze e perdonato alle mie man-canze per me e per gli altri».

E ancora, il 21 gennaio 1917: «So chequest’oggi avete pregato per me, ve ne rin-grazio. Quest’oggi è il mio anniversario dinascita, proprio adesso, alle sei di sera diquest’oggi. Quando ero ancora piccolinoavrei mai creduto che il Signore volesseconservarmi fino a quest’età, per tanti anni;sono 66 anni sapete […].

Quest’oggi ho fatto il ritiro mensile,naturalmente e ho ringraziato il Signore, edho supplicato il Signore a perdonarmiquando dovrò rendere conto di tutte le gra-zie che ho ricevuto. Ne avrò tanti rendicon-ti da rendere io sapete! Tuttavia non miaffliggo per questi rendiconti.

Ho sempre fatto la volontà di Dio, diquesto non ne dubito; dunque Signore,supplite voi! Questo sono certo che ho sem-pre cercato di fare la volontà di Dio in tutto,senza guardare in faccia a nessuno… Ma adogni modo non tocca a me fare il mio elo-gio; non c’è che da ringraziare il Signore».

Un altro incontro confidenziale è quellodel 20 settembre 1918. Ecco le sue parole:«Sapete cosa voglio dirvi stasera? […].Sono 45 anni che sono ordinato Sacerdote!Voi allora non c’eravate […].

Credetemi, c’è niente di più consolante etranquillo che aver fatta la volontà di Dio,manifestata dai Superiori. Sono così persua-so di aver sempre fatta la volontà di Dio,perché nei miei Superiori ho sempre avutoconfidenza, e fatto quello che mi dicevano,cominciando dai nostri Arcivescovi».

Raccontando alle suore le vicende deiprimi anni di sacerdozio, così conclude: «Iovi dico che la mia più bella consolazione èd’aver sempre fatto la volontà di Dio».

PER NON DIMENTICARE

L’Allamano, come educatore di missio-nari e missionarie, valorizzava un doppiometodo pedagogico: quello dei “modelli”,incominciando dai modelli per eccellenzache sono Gesù e Maria, e poi quello chepossiamo definire degli “slogan”. Spessevolte, l’Allamano, sia parlando che scriven-do, faceva affermazioni brevi, decise, chesintetizzavano tutto il suo pensiero inpoche parole. In questo modo facilitava aigiovani ricordare i suoi consigli. Riguardol’impegno di compiere la volontà di Dio, glislogan dell’Allamano sono molti. Sentiamo-ne alcuni, che ho desunto dalle conferenzealle suore, per ordine cronologico, e chepropongo in gruppi di cinque:

«Costi quel che vuole, anche sangue,quando si è pensato, esaminato, provato,bisogna fare la volontà di Dio»; «Che siadisposta a lasciar la vita, ma non la volontàdi Dio»; «Tutte le volte che ci rifiutiamo allavolontà di Dio, siamo peggiori dei buratti-ni»; «Ogni tanto dire a se stessi: Faccio lamia o la volontà di Dio?»; «La santità con-siste nel far la volontà di Dio; sta tutta quila perfezione e la felicità nostra».

«Fare le opere buone e non volute daDio è anche perdere tempo. Se il Signore[l’obbedienza] non vuole quest’opera è per-dere tempo»; «Mai fare la mia volontà, masempre quella del Signore»; «Tutto va benese si fa la volontà di Dio»; «Se noi vogliamoquello che vuole il Signore, dobbiamo vole-re la nostra santificazione»; «Essere indiffe-renti […], purché si faccia la volontà diDio».

SPIRITUALITÀ

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SPIRITUALITÀ«Guardate di conoscere pienamente la

volontà di Dio»; «Bisogna fare ogni cosaquando e come si deve fare […], purché siavolontà di Dio»; «Fa quel che vuole ilSignore da te»; «Volontà di Dio è quando ilSignore permette le cose»; «Se facciamo lavolontà dei Superiori, che è quella di Dio,avremo il merito».

«Qualunque cosa vogliate, oSignore, la farò, con la vostragrazia»; «Quelli che sonorisoluti di farsi santi, difare la volontà di Dio,Egli li benedirà»; «Dob-biamo cercare la vo-lontà di Dio»; «Intutto dovete ricono-scere la volontà diDio»; «Faccio lavolontà di Dio, eavanti… Non c’ènessuna qui per dor-mire, ma per fare lavolontà di Dio».

«[…] non bisognacercare il perché; il per-ché è la volontà di Dio»;«Aver di mira lo scopo percui siamo in questo mondo esiamo venuti qui, che è: fare lavolontà di Dio, e farla bene e sempre»;«Ma pregate che il Signore faccia la suasanta volontà: è poi tutto lì, vedete!»; «Nonsiamo mai sicuri come quando facciamo lavolontà di Dio»; «Che il Signore ci benedi-ca e ci aiuti affinché possiamo corrisponde-re alla sua santa volontà, perché è poi tuttolì, sapete. Egli benedice chi sa fare la suavolontà».

«Continuate a pregare che si faccia lavolontà di Dio: ciò che è meglio per tutti»;«Bisogna essere generose, proprio fare quel-lo che vuole il Signore»; «La vostra non è

una vita di estasi, ma di lavoro; ma di lavo-ro secondo la volontà di Dio, per amor diDio»; «Il segreto per essere felice anche inquesto mondo è di far la volontà di Dio»;«volere ciò che Dio vuole, in quel modo,luogo e tempo e circostanza che Egli vuole,e tutto ciò volerlo non per altro se non per-ché così vuole Iddio».

La conclusione la offre l’Allama-no stesso con l’esempio dato alla

fine della sua vita. Secondo ildiario di Sr. Paola Rossi, che

lo ha assistito durante l’ul-tima malattia, alla suorache si congratulava perla ripresa nella salute,l’Allamano ha ripetutoben tre volte: «Nonquesto dovete chiede-re, non questo voglio,ma solo il compimen-to della volontà diDio».

E alla Superiora, Sr.Agnese Gallo, mentre

gli ricordava che stavaper iniziare il mese di S.

Giuseppe, rassicurandoloche le suore avrebbero messo

l’intenzione per la sua guarigio-ne, il Fondatore «alzando gli occhi

al cielo, ed allargando un poco le braccia:“La volontà di Dio, la volontà di Dio”».Ecco il commento di Sr. Agnese: «sembrache non abbia altro da dire».

Infine, sr. Emerenziana, che lo trovòsensibilmente peggiorato, dopo essersi bre-vemente assentata per il pranzo, attesta:«Nella mia semplicità, col cuore angosciato,capii che si avviava al termine, e gli dissi:“Oh, Padre. Ci siamo. Lei mi muore”, edegli mi rispose con un fil di voce: “E tuprega perché si compia la volontà di Dio”».

P. Francesco Pavese imc

ORIZZONTE

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L’atrio della cappella del seminario diTorino è stato recentemente rinnovato. Inesso sono stati collocati otto quadri,dipinti da artisti viventi, raffiguranti ottosacerdoti santi o beati del Piemonte: sanGiuseppe Cafasso; beato Giuseppe Alla-mano; beato Francesco Faà di Bruno; sanLeonardo Murialdo; san Giovanni Bosco;san Luigi Orione; beato Federico Albert;san Giuseppe Benedetto Cottolengo.

Il Card. Severino Paletto così spiega ilsenso di questa iniziativa: «L’atrio dellachiesa del nostro Seminario Maggiorediventa spazio di sosta meditativa e nonpiù luogo di solo passaggio: la santitàsacerdotale che sfolgora dal nostro Clero erende unica nel mondo l’Archidiocesi tori-nese trova qui un riferimento esplicito ediventa richiamo immediato a quanti oggisi preparano all’ordinazione sacerdotale.

L’interpretazione delle singole figure,affidata all’intuizione artistica di professio-nisti contemporanei, è attestazione che lasantità non è solo storia di un passato glo-rioso, ma può essere colta come suggesti-va e coinvolgente proposta che rendeattuali anche coloro che prima di noihanno camminato nelle nostre strade e vihanno scoperto lacrime da asciugare,cuori da colmare con la proposta evange-lica e vita da orientare all’incontro con ilSalvatore».

Dato che nell’atrio, anche prima, c’era-no antichi quadri di alcuni santi sacerdo-ti, ma non di tutti, il Rettore del semina-rio, don Sergio Baravalle, giustifica l’ini-ziativa con il desiderio di «integrare ilnumero dei santi preti piemontesi e adot-tare un linguaggio artistico adatto per i

NEL SEMINARIO DI TORINOL’ALLAMANO NELL’ATRIO DELLA CAPPELLA

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nostri tempi e per i giovani che frequentanoil seminario. […]. I santi preti occupano lasoglia della chiesa, illuminano l’ingresso eincoraggiano per l’incontro; favoriscono l’u-scita e rassicurano sul fatto che l’esperienzadi grazia è destinata a sostenere e qualifica-re la vita e la missione».

Anche l’Allamano, ovviamente, vieneproposto come modello e protettore deigiovani che si preparano al sacerdozio nelseminario di Torino. In un opuscoletto,edito dal seminario stesso, che spiega leragioni dell’iniziativa, qualifica gli artisti ene pubblica e descrive le opere, la persona-lità dell’Allamano viene presentata con que-ste parole: «fu direttore spirituale del Semi-nario Maggiore di Torino, quindi Rettoredel Santuario della Consolata per 46 anni, edirettore dell’annesso Convitto per la for-mazione del clero giovane. Distintosi come

eccezionale maestro di dottrina e di vita,promosse molto gli esercizi spirituali pressoil Santuario di S. Ignazio. Attento alladimensione missionaria, fondò a questoscopo i Missionari e le Missionarie dellaConsolata».

Il dipinto è stato eseguito , olio su tela,cm 50x120, dall’artista valsusino GabrielGirardi. Ecco la descrizione che ne vienedata: «Il Rettore del Santuario della Conso-lata, Giuseppe Allamano, viene colto in unmomento di meditazione che nasce dallalettura del libro che egli tiene fra le mani. Ilsuo sguardo sembra perdersi in una lonta-nanza che in realtà è compresa nell’ambien-te di studio che si estende fra il mappa-mondo in primissimo piano e lo sfondo,contro il quale, in una specie di quadro nelquadro, intorno alla croce si incontrano e siuniscono le diverse genti e generazioni».

ORIZZONTE

Nella cappella del noviziato a Bedizzole,Brescia, è stata installata una nuova iconadel beato G. Allamano (cm 50x70), scrittadai coniugi Paola e Davide La Fede, i qualice ne offrono una descrizione:

«“Vidi poi un nuovo cielo e una nuovaterra, perché il cielo e la terra di primaerano scomparsi e il mare non c’era più.Vidi anche la Città Santa, la nuova Gerusa-lemme, scendere dal cielo, da Dio, prontacome una sposa adorna per il suo sposo”(Ap 21,1-2).

Nell’icona il beato Giuseppe Allamanoilluminato, nella sua santità, dalla luce cheviene propagata dall’oro dello sfondo edalla Gerusalemme Celeste che lo circonda,è in atteggiamento orante. Indossa unavesta liturgica Mariana, dai colori azzurrotenue e i riflessi cangianti delle perle di

fiume, perché è da lei, Maria, che ha rice-vuto la grazia dello Spirito Santo, che haagito in Giuseppe suscitando in lui l’anelitomissionario ed è a lei rivolta la sua supplicae nello stesso tempo la sua benedizione perla missione affidatagli.

Colpiscono le parole dell’Allamanoriguardo la santità: “La vostra santificazio-ne: ecco il mio pensiero precipuo, la miacostante preoccupazione. Persino durantele mie malattie non posso stare tranquillo epenso ancora a voi. Dio esige la santità e laesige da tutti i cristiani, che la possono con-seguire mediante l’osservanza dei comanda-menti, l’esercizio delle virtù e l’adempimen-to perfetto dei doveri del loro stato”. Eccoperché la figura dell’Allamano è stata inseri-ta nella Gerusalemme Celeste, simbolodella vita eterna; la città è senza ombre per-ché si manifesti la gloria di Dio (che è l’uo-

NUOVA ICONA DEL BEATO G. ALLAMANO

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mo “vivente” in Cristo, l’uomo nuovo, san-tificato); ha porte e finestre aperte perchéchiunque possa liberamente entrare e usci-re stando nella “vera pace”; ha sette torrisegno dei sette doni dello Spirito Santo. Èornata con l’albero della vita perché riportal’uomo alla sua situazione originaria, all’E-den, alla piena comunione con Dio.

“Dei cittadini di essa Pietro dice: Anchevoi venite impiegati come pietre vive nellacostruzione di questo edificio spirituale. EPaolo dice: Voi siete il campo di Dio, l’edi-ficio di Dio. Perciò questa città ha già quiun suo grande edificio nei costumi deisanti. In un edificio una pietra sostiene l’al-tra, e chi sostiene un altro è a sua voltasostenuto da lui. Così, proprio così, nellasanta Chiesa ciascuno sostiene ed è soste-nuto” (Dalle omelie su Ezechiele di S. Gre-gorio Magno).

Sembra proprioche l’Allamano ab-bia assimilato in sé,e fatta sua a talpunto tale parola,che la vediamoconcretamente rea-lizzata nella suavita; infatti haavuto uno spiritomissionario, mal-grado la sua salutenon potesse per-mettergli di attuarespostamenti fisici;ma, come dice SanGregorio Magno,ecco che nellaChiesa ci si soccor-re e il carisma del-l’uno diviene quel-lo dell’altro.

Ciò che l’anima

e il desiderio ti chiama a fare non sempre losi può realizzare personalmente, ma nelcorpo mistico di Cristo questo è possibile el’Allamano lo sapeva e ne fece esperienza.

Ecco che dal suo cuore nasce l’amore,l’amore alla Vergine che è ben rappresenta-ta al centro della veste del beato, nell’icona.Madre alla quale lui si è totalmente affidato,Madre che, pur nelle sue infermità, ha man-tenuto fede al progetto suscitatogli nelcuore. È nel medaglione centrale dorato cheviene rappresentata la Consolata; da leinasce e prende vita (attraverso la sua conse-gna a Cristo) l’albero della vita che si inter-seca e si muove attorno al carro di fuoco “laMerlava”.

L’Allamano, infatti, nell’icona è quasisospeso su questa nuvola rossa, piena dilingue di fuoco che sembrano muoversisenza avere tregua. In essa si vedono i sim-boli dell’aquila (Giovanni), dell’uomo (Mat-

teo), del toro(Luca), del leone(Marco), che hannoognuno sei ali co-me i Cherubini, pervolare in ogni dire-zione della terra,per portare labuona novella allegenti e raggiungereogni zona delmondo (secondo lavisione di Ezechie-le). Le mani innal-zate non solo loidentificano comeil nostro intercesso-re, ma mostrano ilsuo atteggiamentodi disponibilità adaccogliere la volon-tà di Dio».

Paola e DavideLa Fede.

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SPIGOLANDO

Come erano accolte, in Africa, le lettere delFondatore, nei primissimi anni? Lo racconta, inuna pagina vivacissima del diario del 29 otto-bre 1902, padre Filippo Perlo, uno dei quattromembri della prima spedizione, divenuto poiVicario Apostolico di Nyeri e Superiore Gene-rale, successore dell’Allamano:

Un colpo di fucile rimbomba nella valla-ta ripercosso da tante eco. Per noi è l’an-nuncio di una lieta novella: il colpo che hafatto tremare gli abitanti delle valli circo-stanti ha, nello stesso tempo, fatto sussulta-re il nostro cuore di gioia; poiché ci dice chefra alcuni minuti cesseremo di essere soli,staccati a migliaia di miglia dal mondo civi-le.

L’arrivo delle lettere ha per effetto disospendere momentaneamente la vita dicomunità, interrompendo le ordinarieoccupazioni. In quel momento non è comequando il nostro amato Rettore (cioè l’Alla-mano) veniva a vederci nell’istituto, chel’andamento della comunità si concentravain lui? La corrispondenza è prestamentedistribuita ai destinatari, le cui mani si alza-vano frettolose ed impazienti; e nel silenziogenerale si possono leggere tranquillamentesulle fronti di ognuno le varie impressioniche vanno passando per la mente; qualcunoperò non tarda ad interrompere la lettura,per comunicare ai compagni qualche lietanovella e per trasmettere qualche ordinesuperiore o estendere dei saluti agli amici.

Le rare lettere del Sig. Rettore sono natu-ralmente lette le prime: e quando sono indi-rizzate a ciascuno in particolare, allora cia-scuno le legge quasi misteriosamente,temendo perfino che il vento gliene possa

portar via qualche parola e, dopo la primalettura, ogni frase, ogni parola viene studia-ta e analizzata; al dolce rimprovero succedenaturalmente una promessa, forse non sem-pre mantenuta; all’incoraggiamento, il desi-derio di fare di più; ed alla finale benedi-zione che manda si chiana riverente il capoben sapendo che è la benedizione di Dio.

Altre testimonianze: «Una cosa che più di tutto mi rallegrò fu

il ricevere la lettera dell’Amatissimo nostroSig. Rettore, le cui parole mi penetrano nelcuore e nella mente con soave dolcezza»;«[…] a mettere poi il mio buon umore aposto vi era una carissima lettera del Sig.Rettore, curta [piemontese] è vero, ma tantopiù cara; […]. In conclusione la lettera delsig. Rettore mi fece un grandissimo piacereed è certo che non mancherò di mettere inpratica i suoi consigli»: dal diario di P. M.Arese.

«[…] con le rose c’era una spina lungache m’andò fino al cuore… vi mancava undesideratissimo e aspettato biglietto dell’a-matissimo Sig. Rettore e più che padre perme»: dal diario di P. R. Bertagna.

«Solo il Sig. Rettore sembra che si siadimenticato di me, eppure leggerei tantovolentieri una sua lettera»; «Ma quella chemi consolò di più fu quella dell’amato Sig.Rettore, che rivive in queste poche righe»:dal diario di Fr. Benedetto Falda.

LE LETTERE DELL’ALLAMANOIN AFRICA

MI HA DATO MOLTA CONSOLAZIONE

Il Sig. Luiz Hiroiti Ikemoto, da San Paolodel Brasile, ci invia un breve messaggio: «Lescrivo per dirle che ho acquistato una brevebiografia del beato Giuseppe Allamano, lacui lettura mi ha dato molta consolazione esollievo. Nelle mie difficoltà l’ho invocatocon grande fiducia nella sua intercessioneed ho sempre ricevuto subito la sua rispo-sta. Per questo motivo, le chiedo la cortesiadi inviarmi una sua immagine con la reli-quia. Nella speranza di essere accontentato,le assicuro che ciò è importante per me».

ORA PARLA, CAMMINA E RIDE

Nel mese di aprile ci è stata inviata que-sta comunicazione, che ci piace pubblicareper la sua semplicità e, soprattutto, perchéevidenzia come l’Allamano, dal cielo, siavicino a quanti lo invocano con fiducia:

«Lunedì 1 agosto 2005, mio nipote BrunoAimetta, di 39 anni, ha un incidente strada-le. Perde i sensi ed è come morto. Vieneportato all’ospedale di Savigliano (CN) e lasituazione si presenta subito nella sua gra-vità: sfondamento del cranio sull’occhiodestro, perforazione dell’intestino, fratturemultiple (braccio destro, femore destro).Con urgenza viene trasferito nel reparto dirianimazione dell’Ospedale di Cuneo, doverimane due mesi. Bruno non parla, nonmuove, non risponde agli stimoli esterni,respira collegato ad una “macchina”.

L’equipe medica, sempre presente, nonha mai dato speranza di ripresa per Bruno.Gli interventi chirurgici sono stati tanti: allatesta, all’intestino, al femore, al braccio.

Dal giorno dell’incidente, ho affidatoBruno al Signore per intercessione del beatoGiuseppe Allamano ed ho iniziato unanovena con tutta la mia famiglia, recitandola preghiera:

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RICONOSCENZA

O Padre, fonte di ogni bene,salga a te il nostro inno di lode

per i doni che hai concessoal beato Giuseppe Allamano.Nella Chiesa egli fu ministrodella consolazione di Maria,

guida saggia e prudente delle anime,padre di famiglie consacrate alla missione.

Degnati, benigno, se è per la tua gloriae il bene delle anime,

di glorificarlo nella Chiesaconcedendoci la grazia

della guarigione di Brunoche con fiducia ti chiediamo

per sua intercessione.Amen.

Le novene al beato Allamano sono con-tinuate ed ora, dopo nove mesi dall’inci-dente, Bruno è ancora all’ospedale, maparla, cammina e ride.

Ho scritto questo perché avevo promes-so che, se Bruno si fosse ripreso, ne avreidato testimonianza, ringraziando pubblica-mente il beato Allamano per aver ottenutodal Signore la grazia della guarigione».

Aimetta Caterina, in Cravero.

MIGLIORO OGNI GIORNO

Da p. Salvatore Mura, missionario dellaConsolata, riceviamo questa lettera, tradot-ta dallo spagnolo e spedita da San Vicentedel Caguán, Colombia, il 1° maggio 2006:«Reverendissimo Padre, riceva il saluto piùcordiale da parte mia e della mia famiglia,con auguri di ogni bene. Con questa mialettera desidero esprimere pubblicamente ilmio “grazie” sincero al beato Giuseppe Alla-mano, per avermi liberato da una malattia,

che sembrava non avesse nessuna speranzadi guarigione.

Mi chiamo Miguel Aguillar Valencia.Sono nato in una cittadina del Dipartimen-to Amalfi di Antioquia, Colombia, ed ho 70anni. Nel mese di marzo dell’anno 2004,rimasi paralizzato in tutto il corpo fino allatesta: muovevo solo gli occhi ed avevo lalingua impedita. I medici dissero che avevocontratto il morbo di Guillen Barrè, malat-tia che non si può guarire con nessunamedicina specifica. Rimasi paralizzatodurante sei lunghi mesi.

Il padre missionario della Consolata,incaricato della parrocchia dello “SpiritoSanto” in San Vicente, venne a visitarminella vereda della Esmeralda e mi diede laS. Comunione. Mi disse di pregare il Signo-re, che, per intercessione del beato Giusep-pe Allamano, mi concedesse la salute. Midiede una immaginetta con la preghiera eduna reliquia del beato. Pregai tutti i giornicon insistenza e continuo a pregare.

Cominciai poco a poco a muovere ipiedi, tutto il corpo e, per ultimo, le mani.Oggi, a distanza di due anni, camminobene, mi alimento da solo, mi lavo da solo.Le mani non hanno ancora la forza suffi-ciente, però le muovo bene e con le miestesse mani provvedo a me stesso. Nonsono più dipendente e miglioro ogni giornosempre di più. I medici dicono che ormai lamalattia non è più un ostacolo e il processodi guarigione prosegue bene.

Grazie, beato José Allamano; continueròa pregare sempre, perché presto venga pro-clamato “santo”.

Miguel Angel Aguillar Valencia

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RICONOSCENZA