insegnamento 3.0 ….. capovolto e altro……....la traduzione di ciò che a livello internazionale...
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Insegnamento 3.0 ….. capovolto e altro……. In ambito educativo, con classe capovolta o insegnamento capovolto ci si riferisce a un approccio
metodologico che ribalta il tradizionale ciclo di apprendimento fatto di lezione frontale, studio individuale a
casa e verifiche in classe, con un rapporto docente-allievo piuttosto rigido e gerarchico. Il termine italiano è
la traduzione di ciò che a livello internazionale è conosciuto come Flipped Classroom.
L'insegnamento capovolto nasce dall'esigenza di rendere il tempo-scuola più produttivo e funzionale alle
esigenze della società nella <<information era>> radicalmente mutata in pochi anni. La rapida mutazione
indotta dalla diffusione del web ha prodotto un distacco sempre più marcato di gran parte del mondo
scolastico dalle esigenze della società, dalle richieste del mondo delle imprese e dalle abilità e desideri degli
studenti e delle loro famiglie. Si è osservato anche che gli interessi degli studenti nascono e si sviluppano,
ormai, sempre più all'esterno dalle mura scolastiche. L'insegnante trova sempre più complesso sostenere
l'antico ruolo di trasmettitore di sapere: la tradizionale lectio medievale in cui la lettura/dettatura del
manoscritto (unico e in mano a pochi) era fondamentale per riprodurre la conoscenza è stata superata con
la rivoluzione della stampa che ha reso il testo massivamente disponibile. Con la presenza del testo scritto
in tutte le case l'insegnante da lettore è divenuto interprete, colui che sa decodificare il sapere simbolico e
lo sa tradurre agli allievi. La rivoluzione internet ha riprodotto, in un certo senso, ciò che è accaduto con
l'avvento della stampa: ha permesso la diffusione massiva non solo del sapere scritto ma anche dei
contenuti multimediali, rendendo possibile fruire da casa le lezioni/spiegazioni dei docenti. Il sapere non è
più confinato tra le mura delle istituzioni scolastiche e pertanto si pone il problema dell'improduttività di
trasmettere a scuola quello che è già disponibile a casa.
L'insegnamento capovolto risponde a questo stato di cose con l'inversione dei due momenti classici, lezione
e studio individuale:
la lezione viene spostata a casa sfruttando appieno tutte le potenzialità dei materiali didattici online;
lo studio individuale viene spostato a scuola dove il setting collaborativo consente di applicare, senza il
timore di ristrettezze temporali, una didattica di apprendimento attivo socializzante e personalizzata.
L'insegnante può esercitare il suo ruolo di tutor al fianco dello studente.
Metodologia
L'insegnamento capovolto fa leva sul fatto che le competenze cognitive di base dello studente (ascoltare,
memorizzare) possono essere attivate prevalentemente a casa, in autonomia, apprendendo attraverso
video e podcast, o leggendo i testi proposti dagli insegnanti o condivisi da altri docenti. In classe, invece,
possono essere attivate le competenze cognitive alte (comprendere, applicare, valutare, creare) poiché
l'allievo non è solo e, insieme ai compagni e all'insegnante al suo fianco cerca, quindi, di applicare quanto
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA
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appreso per risolvere problemi pratici proposti dal docente. Il ruolo dell'insegnante ne risulta trasformato:
il suo compito diventa quello di guidare l'allievo nell'elaborazione attiva e nello sviluppo di compiti
complessi. Dato che la fruizione delle nozioni si sposta a casa, il tempo trascorso in classe con il docente può
essere impiegato per altre attività fondate sull'apprendimento attivo, in un'ottica di pedagogia
differenziata e apprendimento a progetto. Il nuovo ciclo di apprendimento si può schematizzare così:
Il primo passo consiste nel cercare di attivare negli studenti l’interesse, la curiosità, il desiderio di
conoscenza di uno specifico argomento. Questo passaggio è fondamentale perché non c’è
apprendimento significativo senza coinvolgimento cognitivo ed emotivo degli allievi. Per l’insegnante si
tratta perciò di problematizzare un tema, di trasporre i contenuti disciplinari da una forma espositiva,
dimostrativa e risolutiva ad una dubitativa, ipotetica, il più possibile ancorata alla realtà, e lasciare agli
studenti il compito di ideare e proporre una soluzione. Questa fase può svolgersi con modalità diverse e
impegnare gli alunni fuori della scuola e prima della lezione, ma è anche possibile svolgerla in classe.
Si passa quindi alla fase nella quale gli studenti sono chiamati a mettere in atto, sia pur con forme e
modalità adeguate alle loro capacità e al contesto, le strategie cognitive e le procedure di indagine
proprie della disciplina oggetto dell’attività di apprendimento. Si tratta di sollecitare negli studenti quei
processi di pensiero che sono alla base della costruzione delle conoscenze, esercitando il loro spirito
critico, imparando a fare domande appropriate, a formulare ipotesi attendibili, a escogitare metodi per
verificare le loro supposizioni. Questo si può attuare predisponendo un setting didattico che favorisca
la ricerca d’informazioni, la riflessione profonda, il confronto fra pari, la sperimentazione sul campo.
Generalmente questa fase prevede la produzione di materiali e documenti da parte degli alunni,
individualmente o in gruppo, che saranno poi utili nella terza fase. In questa fase il docente assume il
ruolo del tutor, del méntore che assiste ogni alunno in base alle sue specifiche esigenze, una
competenza importante di ogni buon insegnante che qui diviene centrale.
Il ciclo si completa con una fase di rielaborazione e valutazione. Si tratta di un processo collettivo di
riflessione e confronto su quanto appreso condotto dal docente attraverso il coinvolgimento di tutta la
classe. L’obiettivo è quello di chiarire, rendere espliciti e consolidare gli apprendimenti partendo
dall’analisi dei lavori che gli studenti hanno realizzato nella seconda fase. Qui l’insegnante svolge la
funzione di stimolo e di moderatore del confronto, di facilitatore dei processi di astrazione e di
formalizzazione di quanto appreso. È in questa fase che prendono corpo in modo più articolato attività
di valutazione, anche se esse, in realtà, permeano tutte le fasi come prassi formativa continua
attraverso l’osservazione e l’annotazione dell’operosità degli studenti in contesto, la valutazione,
individuale e di gruppo, dei loro prodotti, con pratiche di co- auto- valutazione da parte degli alunni,
nonché attraverso attività valutative più tradizionali.
Non serve banda larga, non servono computer, non serve la lavagna interattiva multimediale né le
fotocopie. Servono però insegnanti formati, capaci di fare anche i blogger, di lavorare in modo
cooperativo. E - cosa non banale – serve che ogni studente abbia a disposizione uno smartphone e una
connessione internet quando si trova a casa. Tutto sommato, forse, un obiettivo più raggiungibile che
fornire una connessione a circa l'80% delle scuole – tra primarie e secondarie – che ancora oggi ne
sono prive.
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Sono questi gli ingredienti della "flipped classroom", ovvero la "classe capovolta", una rivoluzione della
scuola che non passa per le riforme di sistema ma per la sperimentazione quotidiana degli insegnanti.
In Italia la "flipped classroom" fa breccia, visto che dal 2014 (anno di fondazione dell'associazione
Flipnet Onlus) a oggi ci sono già 600 insegnanti formati e 120 sezioni di scuola in cui 'ufficialmente' si
pratica la didattica capovolta. L'interesse pare destinato a crescere: a Roma la Palestra
dell'Innovazione è stata presa d'assalto da docenti arrivati da tutta Italia per assistere al primo
convegno nazionale sul tema.
Una didattica inclusiva. "La scuola italiana è una scuola di qualità, soprattutto le scuole dell'infanzia e
elementari. Quindi non riformatele: semmai date più soldi per comprare la carta igienica – ha detto il
linguista e ex ministro dell'Istruzione Tullio De Mauro – Quando comincia il disastro? Negli ultimi anni
delle scuole superiori. E allora cosa differenzia il primo pezzo dal secondo? Che la scuola primaria è
inclusiva, non ci sono bocciati, che utilizza lo spazio per favorire l'interattività dei gruppi e valorizza la
dimensione laboratoriale". "La flipped classroom – ha proseguito De Mauro - apre la strada a una
didattica inclusiva, in cui gli studenti stanno in classe non per assistere passivi alla lezione, ma per
studiare insieme ed essere seguiti individualmente".
Dobbiamo focalizzare la differenza tra conoscenze e competenze e cominciare a cambiare noi
stessi, come insegnanti, diventando capaci di lavorare in rete".
Una classe a testa in giù: 9 consigli per capovolgere la scuola (e funziona!)
Con la classe rovesciata quasi il 90% dei docenti hanno maggiore soddisfazione in ambito lavorativo
mentre il 67% degli studenti degli riporta voti più alti nei test.
L’innovazione a scuola spesso nasce da un’esigenza concreta. Raramente un insegnante si
sveglia la mattina con in testa un’idea geniale che rivoluzioni il modo d’insegnare; la maggior
parte delle volte si deve risolvere un problema, e la sua soluzione, apparentemente banale,
diventa una di quelle cose che ci fanno esclamare: “Perché non c’avevamo pensato prima?!“.
La flipped classroom è una di quelle cose. Talmente semplice, talmente immediata da essere
geniale.
Per chi non lo sapesse, la “classe rovesciata” o “classe capovolta” è nata negli Stati Uniti circa
sette anni fa, grazie all’iniziativa di due docenti di scienze e chimica: Jonathan Bergmann e Aaron
Sams. Jonathan ed Aaron non insegnano in un grande campus, ma in una high school in Colorado.
Una piccola realtà rurale, niente di apparentemente sfavillante in termini di risorse ed utenza. La
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classica scuola americana devota allo sport ed alle attività secondarie, così come siamo abituati a
vedere nei film o nelle serie televisive.
Vuoi per le partite delle varie squadre delle scuola, vuoi per le altre attività, vuoi per le malattie,
gli studenti di Jon e Aaron saltavano un sacco di lezioni importanti. I due insegnanti si
domandavano come potessero fare per evitare che i loro ragazzi rimanessero indietro, quando un
giorno Aaron trovò la risposta in una rivista di tecnologia: esisteva un software che permetteva di
registrare voce ed annotazioni sopra ad una presentazione in PowerPoint. Nel 2007 YouTube non
aveva raggiunto la popolarità di oggi, ma i due provarono a registrare una lezione e a condividerla
con i loro studenti. Avevano appena creato la flipped classroom. Gli studenti guardarono a casa
la lezione registrata e arrivarono in classe già preparati, pronti per fare esperienze
laboratoriali, ma anche con quesiti che approfondivano quanto avevano visto il giorno
prima. Jon e Aaron si resero subito conto del potenziale di questo nuovo modo d’insegnare, e
forse dovremmo rendercene conto anche noi. Ma perché sarebbe bene provare almeno una volta
la flipped classroom? Eccovi nove buoni motivi.
1) IL VERO APPRENDIMENTO PERSONALIZZATO. La scuola dovrebbe essere ritagliata attorno
ai nostri studenti, ma le classi sovraffollate, il poco tempo e le poche risorse a disposizione
lasciano che spesso e volentieri non si applichi davvero questo principio. Con la classica lezione
uguale per tutti abbiamo “sparato nel mezzo”, penalizzando non solo quelli che avevano difficoltà,
ma anche le eccellenze. Grazie alla flipped classroom ogni alunno diventa davvero protagonista
della propria formazione (non solo sulla carta delle programmazioni di noi insegnanti). Chi ha
bisogno di guardarsi la lezione due o tre volte, può farlo tranquillamente, mentre chi è più dotato
può approfondire. Davanti al video ogni studente procede con il proprio passo.
2) UN NUOVO RUOLO DELL’INSEGNANTE. La mattina l’insegnante diventa un tutor,
un facilitatore, una guida per le varie esperienze laboratoriali, di gruppo o individuali. Potrà
predisporre attività di recupero o consolidamento per chi ne ha bisogno, ma anche sfidare le
eccellenze con qualcosa che li valorizzi davvero. Inoltre, prima d’iniziare la lezione, potrà sempre
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fare un rapido brainstorming per puntualizzare nuovamente quanto espresso nel video che ha
fatto vedere ai suoi alunni.
3) ABBASSARE LA FRUSTRAZIONE E VINCERE L’ABBANDONO SCOLASTICO. Un alunno in
difficoltà, da solo a casa di fronte ad un problema di matematica, una versione di latino, degli
esercizi di grammatica, è molto probabile che provi frustrazione, e si arrenda. Quella stessa
frustrazione potrebbe risucchiarlo in un vortice di insuccessi che rischierebbe di portarlo in
pochissimo tempo lontano dalla scuola. Eseguire gli stessi compiti in classe, affiancato da
insegnanti e compagni riduce il senso d’inadeguatezza e previene l’abbandono.
4) NON E’ VINCOLANTE. Aaron e Jon hanno iniziato con un video. Non dovete per forza
registrare tutte le lezioni che farete: iniziate con una o due e vedete l’effetto che fa sui vostri
alunni. Sarete sorpresi della reazione.
5) LA RETE E’ UNA MINIERA D’ORO. Non ve la sentite di registrare dei video? Vi imbarazza?
Nessun problema! Forse non avete idea della mole di video educativi presenti in Rete. Dal 2007 ad
oggi i contenuti disponibili per il settore education si sono moltiplicati a dismisura. Potete fare
affidamento su contenitori di risorse già pronte e molto valide come YouTube
EDU, BIGnomi, Repetita Treccani, OilProject.
6) CREARSI LA PROPRIA MINIERA. Col tempo, tra risorse esterne e risorse personalizzate,
riuscirete a mettere da parte un numero consistente di video, materiali ed attività, i quali vi
permetteranno di fronteggiare qualsiasi contenuto, qualsiasi classe e qualsiasi alunno.
7) REGISTRARE LE LEZIONI E’ DAVVERO SEMPLICE. Ci sono applicazioni e software totalmente
gratuiti che sono facilissimi da utilizzare (e quando dico facili intendo “Schiaccia un pulsante e
parla”). Per registrare lo schermo del vostro computer potete usare il sito Screencast-O-Matic,
mentre su iPad e tablet Android avete davvero l’imbarazzo della scelta. Tra le migliori vi segnalo:
Show Me (iOS), Educreations (iOS) ed Adobe Voice (iOS), oppure Lensoo Create (Android) e
UTGreat Whiteboard (Android).
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8) TRASFORMARE GLI OGGETTI DI TUTTI I GIORNI IN MEZZI PER APPRENDERE. Nei video
che Aaron e Jon hanno girato nelle loro classi per spiegare il funzionamento del loro nuovo
metodo non si vedono grandi laptop, computer nuovi di zecca o tablet costosissimi. I ragazzi
guardano i video che li guidano negli esperimenti con i loro cellulari, o addirittura con degli iPod.
Chi l’ha detto che per fare innovazione servono sempre grandi fondi a disposizione?
9) RISPONDERE IN MANIERA DIVERSA AI GENITORI. “Come si comporta mio figlio a scuola?“.
Sta seduto, è educato, non disturba né l’insegnante, né i suoi compagni. Tutto qui? Vogliamo
continuare a concentrarci solo sulla singola prova scritta oppure quella orale? Con la flipped
classroom possiamo raccontare molto di più ai genitori. Possiamo farci domandare: “Mio figlio sta
imparando?“. Potremo quindi rispondere sì o no, ma comunque forti del fatto che all’interno della
classe vengono proposte attività che puntano all’apprendimento, ma anche all’esperienza. Avremo
il polso della situazione, perché saremo presenti nel momento fondamentale dell’apprendimento
che prima ci vedeva assenti, quello che prima si svolgeva nelle case dei nostri studenti.
Funziona!
I risultati di un sondaggio del 2012 organizzato dal sito ClassroomWindow parlano chiaro:
88% degli insegnanti che hanno sperimentato la classe rovesciata provano maggiore
soddisfazione in ambito lavorativo;
67% riporta voti più alti nei test;
80% ha notato un miglioramento nella vita di classe, soprattutto nel comportamento
degli studenti;
99% avrebbe continuato ad usare la flipped classroom anche l’anno seguente.
Se volete continuare ad informarvi su questo nuovo modo di fare scuola, leggete La Classe
capovolta, Innovare la didattica con la Flipped Classroom di Maurizio Maglioni e Fabio Biscaro,
pubblicato da Erickson.
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La “classe capovolta”: un esperimento di apprendimento attivo
Mai sentito parlare di “flipped classroom”? L’idea è quella, per l’appunto, di “capovolgere” la classe –
ovvero invertire il tradizionale schema di insegnamento e apprendimento, facendo dell’aula “non più il
luogo di trasmissione delle nozioni ma lo spazio di lavoro e discussione dove si impara ad utilizzarle
nel confronto con i pari e con l’insegnante”
Nel contesto della “flipped classroom”, l’insegnante fornisce ai ragazzi tutti i materiali utili
all’esplorazione autonoma dell’argomento di studio. Questi possono includere: libri, presentazioni, siti
web, video tutorial e simili. I video tutorial, in particolare, rappresentano un mezzo privilegiato per
l’apprendimento individuale: dinamici e immediati, sono la chiave del successo di Khan Academy e
analoghe piattaforme e-learning.
È fuori dalle mura scolastiche, quindi, che gli studenti – da soli o in gruppo, e ognuno nel rispetto dei
propri tempi – hanno modo di realizzare delle prime esperienze di apprendimento attivo, che
verranno poi continuate con compagni e docente in classe.
La classe, qui, è intesa come arena di confronto e dibattito, e vede l’insegnante nelle vesti di
moderatore e motivatore della discussione.
È proprio la motivazione umana ad essere la chiave di volta e la garanzia di successo di questo
approccio didattico: quando lo studente sa perché sta studiando ed è libero di affrontare lo studio coi
propri tempi e modi, si sentirà spinto ad esprimere le proprie idee, nella consapevolezza di stare
facendo un lavoro utile per sé e per gli altri.
“Aula 3.0”, la classe flessibile del futuro
Il progetto ”Aula 3.0” fa diventare la classe flessibile, trasformandola in un laboratorio attivo di ricerca.
La progettazione e l’attuazione di una classe flessibile implicano la correlazione di alcuni elementi
fondamentali:
l’organizzazione dello spazio fisico puntando su arredi funzionali agli studenti e alla didattica;
l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione;
l’applicazione di metodologie innovative basate sul dialogo e sulla collaborazione tra
insegnanti e studenti.
In quest’aula l’insegnante non fa la classica lezione frontale, non interroga nessuno, anzi spiega che non è
necessario imparare a memoria, ma d’ora in poi l’importante sarà apprendere un metodo basato sull’“Inquiry
Learning”, cioè su processi di apprendimento fondati sull’esperienza e sull’indagine.
L’aula così si configura come un laboratorio attivo di ricerca.
Il modello si chiama “Aula 3.0”: le tecnologie digitali e gli arredi si muovono in stretta relazione con gli spazi
dell’aula, che vengono modificati ogni volta in base alle esigenze didattiche.
Il modello Aula3.0 è la classe del futuro?
Possiamo affermare che il futuro è già iniziato.
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In questi ultimi dieci anni è cresciuta la consapevolezza che per elevare la qualità dell’apprendimento è
necessario ridisegnare la modalità del lavoro che si svolge nella classe, ancora oggi incentrato prevalentemente
sulla lezione frontale.
L’introduzione delle nuove tecnologie in ambito scolastico – la lavagna interattiva, il tablet e la lezione via web –
sta contribuendo a rinnovare i criteri per organizzare la lezione. Infatti, le esperienze messe in atto dal MIUR, con
particolare riferimento al progetto “[email protected]”, hanno dimostrato che l’apprendimento non si svolge solo nello
spazio fisico dell’aula, che risulta essere sempre più inadeguato, ma avviene in ambienti “virtuali”, in spazi che
vanno oltre la scuola che investono gli “ambienti quotidiani” di vita dello studente.
In molti Paesi del Nord Europa, nella progettazione di nuovi edifici scolastici, l’unità di base non è più
considerata l’aula, ma la costruzione delle scuole parte da ambienti di apprendimento polifunzionali.
Anche nel nostro Paese ci sono molte esperienze significative dove l’aula tradizionale è stata superata.
Penso, per esempio, al progetto “Scuole Senza Zaino”[d’ora in poi SZ], un movimento partito dal basso, che
coinvolge oltre 75 scuole, più di 6700 alunni e circa 650 insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola
primaria e secondaria di primo grado.
Se entriamo in un’aula SZ non troviamo né la cattedra né i classici banchi, troviamo invece lo spazio articolato in
aree di lavoro con postazioni per la matematica, le lingue, le arti, le scienze e le aree per attività di socializzazione
e relax.
Il rinnovamento in questa direzione prevede che anche arredi e attrezzature assumano un’importanza decisiva
nello sviluppo di metodologie interattive e collaborative tra gli studenti e gli insegnanti.
Va ricordato come, a partire dagli anni Settanta, l’ambiente fisico, gli spazi e gli arredi sono stati oggetto della
ricerca di Loris Malaguzzi, condotta nelle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia.
Le esperienze portate avanti in questi anni stanno dimostrando che se si vuole effettivamente rinnovare la
didattica non basta introdurre le nuove tecnologie, è necessario ridisegnare il contesto di apprendimento
partendo, anche, dall’organizzazione dello spazio fisico e degli arredi.
In questo contesto l’insegnante va aiutato a progettare una didattica che metta al centro l’apprendimento dello
studente, che valorizzi le sue capacità relazionali e le sue conoscenze.
Come cambia il lavoro dell’insegnante in una classe flessibile?
Proviamo a immaginare.
Certo, fare lezione in un’“Aula 3.0” attrezzata con nuove tecnologie e arredi funzionali è senza dubbio stimolante
e molto diverso dal fare lezione in modo tradizionale. In un ambiente così strutturato, non possiamo
improvvisare, fare una lezione e basta, interrogare gli alunni uno a uno, né possiamo usare il libro di testo; siamo
invece costretti a progettare un intervento didattico strutturato e interattivo, molto diverso dalla solita didattica
frontale.
Allora cerchiamo di scrivere e progettare le fasi del percorso didattico, prendendo ad esempio una classe quinta
del liceo scientifico (la tematica potrebbe andare bene anche per la terza classe della media).
L’argomento che vogliamo introdurre è: il “Futurismo”.
Ne abbiamo parlato con la collega di Lettere, perché l’argomento si presta a un approccio di tipo
interdisciplinare. L’obiettivo di apprendimento è quello di fornire agli studenti una metodologia per leggere
un’opera d’arte vista in relazione a testi letterari, poetici e musicali.
La proposta si porta all’attenzione in una classe eterogena che esprime bisogni formativi e stili di apprendimento
differenziati; è comunque una classe motivata e interessata allo studio.
Come organizziamo il lavoro?
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Primo passo:
- spieghiamo l’obiettivo del lavoro;
- evidenziamo le fasi e i tempi necessari;
- definiamo come sarà organizzata l’attività.
Questa fase preliminare è fondamentale per condividere la proposta didattica con gli studenti. Tempo previsto:
10 minuti.
Secondo passo, l’argomento:
- chiediamo cosa significa il termine “Futurismo”, se ne hanno sentito parlare, se conoscono alcune opere di
artisti futuristi;
- contestualizziamo, con una breve lezione e avvalendoci della LIM, il movimento “futurista”, tracciandone un
rapido profilo storico, ed evidenziandone i concetti fondamentali.
In questo caso abbiamo disposto i tavoli in forma lineare.
Tempo previsto: 20 minuti.
Terzo passo, alla fine della breve lezione frontale:
- i tavoli vengono ricomposti in forma circolare creando così 5 gruppi eterogeni;
- in ogni gruppo c’è un conduttore/moderatore;
- il gruppo ha il compito di ampliare e approfondire la tematica del “Futurismo”;
- il lavoro di gruppo si basa sulla ricerca e sull’indagine che avviene tramite internet.
- il docente, intanto, gira tra i tavoli, dando suggerimenti, aiutando e supportando il lavoro di gruppo.
Tempo previsto: 40/50 minuti.
Quarto passo:
- si avvia un primo scambio delle informazioni raccolte;
- si organizza in tempo reale una disposizione dei tavoli a semicerchio o a ferro di cavallo;
- gli studenti, uno per gruppo, presentano i risultati e li discutono;
- svolgiamo un ruolo di mediatori;
- guidiamo e indichiamo eventuali sviluppi e approfondimenti.
Tempo previsto: 20 minuti.
Così le 2 ore a nostra disposizione sono terminate.
Da questo momento in poi il lavoro si sviluppa fuori dall’orario scolastico.
A livello individuale ogni studente, dopo aver scelto un’opera “futurista”, dovrà farne oggetto di studio, cercando
di analizzare la struttura, i significati, il contesto di formazione, ecc…
Questa fase verrà svolta online condividendo il lavoro con il gruppo-classe e con l’insegnante, che potrà
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intervenire, se chiamato in causa. Alla fine lo studente dovrà dimostrare di saper capire, leggere e apprezzare la
dimensione estetica di una o più opere d’arte, attivando così la consapevolezza per la salvaguardia del
patrimonio artistico.
Classe 3.0 di Bari, il preside: «Già dai banchi è partita la nostra innovazione»
Al liceo scientifico statale “Arcangelo Scacchi” di Bari si è andati oltre la didattica 2.0. La prima campanella per ventotto studenti del primo anno è suonata in una classe 3.0
In quest’aula non si trova la solita lavagna d’ardesia, ma tablet per tutti, banchi colorati a forma di trapezio, un’aula moderna e accogliente ma soprattutto professori pronti a fare le lezioni costruendole con i ragazzi attraverso la tecnologia. I docenti si sono preparati, sono andati a loro volta a scuola, hanno appreso metodologie nuove e ora sono pronti a dare il via a questa fase di sperimentazione. La novità, infatti, rispetto a ciò che avevamo visto fino ad oggi è proprio nel modo di insegnare. Gli alunni sono i veri protagonisti del processo di formazione e la classe sarà un’arena di confronto e di dibattito, con il professore nelle vesti di moderatore.
Un’altra scuola, insomma nata dalla sana caparbietà del dirigente e dalla volontà di questi ragazzi che hanno deciso di mettersi alla prova volontariamente, accettando questa sfida che li vedrà
impegnati in un nuovo modo di studiare.
Una scommessa per tutti che il dirigente sta seguendo attimo per attimo, ancor prima d’iniziare la scuola: «Abbiamo potenziato le classi virtuali, il cloud, la flipped classroom. Ci sarà un’integrazione di tutte le tecnologie, mettendo in campo tutte le potenzialità. Non vogliamo fare sperimentazioni selvagge o da vetrina: saremo molto prudenti ad integrare la didattica tradizionale a quella innovativa. I docenti saranno in grado di governare queste tecnologie evitando che diventino armi di distrazione di massa. Vogliamo integrare non rottamare e portare un valore aggiunto. Ci sono studi che si possono fare con la metodologia tradizionale e altri che si possono integrare con l’innovazione, con strumenti 3.0».
Che fine faranno i libri di testo?
Allo “Scacchi” , tuttavia, non spariranno i libri da subito: «La versione cartacea e digitale, potranno essere usate diversamente – spiega il preside – in base alle necessità e opportunità nella prospettiva di essere adoperati solo in versione digitale nei prossimi anni».
Tutti i ragazzi della classe 3.0, intanto, avranno il tablet: la scuola fornirà il computer in comodato d’uso a coloro che lo richiedono oppure potranno portare un loro dispositivo che si integrerà con tutti gli altri. Il tutto è stato reso possibile grazie al contributo di Auriga, un’azienda di Bari, che si
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è preoccupata anche di dipingere l’aula e ha fornito le suppellettili necessarie: una stretta collaborazione tra privati e scuola che anche in questo caso ha portato un buon risultato.
Dai banchi parte l’innovazione
«Tecnologia a parte, guardate i banchi. La disposizione – allineati e coperti – è out da parecchio. Questa composizione e disposizione apre alla collaborazione e al cooperare».
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Bibliografia
Maurizio Maglioni, Fabio Biscaro, La Classe Capovolta, Erickson editore,
Eric Mazur, Peer Instruction, A User's Manual, Prentice Hall Series in Educational Innovation Upper Saddle
River, 1997.
Jonathan Bergmann, Aaron Sams, Flip Your Classroom. Reach Every Student in Every Class Every Day, 2012,
Cecchinato G (2014). Flipped classroom: innovare la scuola con le tecnologie digitali, Tecnologie Didattiche,
Edizioni Menabò, ISSN: 1970-061X.
Atti del convegno ADi: relazione di G. Cecchinato sul Flipped Learning, ospitiweb.indire.it.
Cecchinato G. & Papa R. (2016). Flipped classroom: un nuovo modo di insegnare e apprendere. UTET, Torino.