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INDICE
INTRODUZIONE 1
CAPITOLO I IL DIRITTO DI LIBERA MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO 7
I.1 Il riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero negli ordinamenti statali occidentali e nel diritto internazionale 7
I.2 La nascita del diritto di manifestazione del pensiero in Italia 11
I.3 La natura del diritto 12
I.4 La libertà di manifestazione del pensiero e la democrazia 14
I.5 Il significato dell’art. 21 della Costituzione 16
I.6 I confini della libertà di manifestazione del pensiero 17
I.7 Il buon costume 21I.7.1. Il buon costume e le manifestazioni privilegiate 22 I.7.2 Il significato di buon costume secondo la dottrina 26 I.7.3 Il significato di buon costume secondo la Corte costituzionale 29 I.7.4 La nuova lettura di buon costume connessa alla tutela dei minori 34
I.8 Gli interventi statali di controllo della manifestazione del pensiero 40I.8.1 Gli strumenti tradizionali del controllo della libertà di espressione 41 I.8.3 I doveri dello Stato nel bilanciamento della tutela dei minori e della libertà di espressione 48
CAPITOLO II LA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO NELLA CINEMATOGRAFIA 53
II.1 La censura cinematografica: l’unico controllo preventivo della manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano 53
II.2 Le radici della censura cinematografica italiana 56
II.3 La legge n. 161/1962 sulla revisione dei film e dei lavori teatrali 58
II.4 La legittimità della legge n. 161/1962 61
II.5 Il buon costume come parametro di valutazione per la concessione del nulla osta alla proiezione 64
II.6 L’osceno e l’opera d’arte 67
II
II.7 La legge n. 161 nella storia del cinema 72II.7.1 Il metodo della contrattazione dei tagli 72 II.7.2 Il diniego di nulla osta alla proiezione 74 II.7.3 Il divieto di visione per i minori 77
CAPITOLO III INTERNET E LA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO 84
III.1. Le peculiarità di Internet come mezzo di comunicazione 84
III.2 Internet e la libertà di espressione: tendenze normative degli ordinamenti stranieri a confronto 87
III.2.1 I Paesi che adottano rigide forme di controllo 88 III.2.2 I Paesi dove l’accesso ad Internet è libero 91
III.3 La netiquette 99
III.4 Internet come “altro mezzo di diffusione” del pensiero ai sensi dell’art. 21 della Costituzione italiana 101
III.5 La libertà di manifestazione del pensiero in rete e la politica europea 107III.5.1 L’America e l’Europa: due scuole a confronto 108 III.5.2 I primi studi europei sulla libertà in rete 109 III.5.3 Il Piano pluriennale d’azione comunitario per l’uso sicuro di Internet 116 III.5.4 La proposta di modifica del Piano pluriennale per l’uso sicuro di Internet 120
III.6 Critica alle misure adottate dall’Europa 125III.6.1 Valutazione dei programmi di filtraggio 127 III.6.2 Valutazione della rete europea di hot line 131 III.6.3 Valutazione dell’autoregolamentazione 131 III.6.4 Valutazione della responsabilizzazione dei provider 133 III.6.5 Valutazione dell’azione di sensibilizzazione 137
III.7 Le azioni di sensibilizzazione al corretto uso di Internet 138
III.8 La libertà di manifestazione del pensiero in rete e la prassi italiana dei sequestri di siti per reati di opinione 143
III.9 La legge sull’editoria 62/2001 147III.9.1 Il rapporto tra pubblicazioni in Internet e a mezzo stampa prima della legge 147 III.9.2 Le pubblicazioni in Internet secondo la legge 150
III.10 Le altre proposte di legge italiane per la regolamentazione di Internet come mezzo di divulgazione del pensiero 152
III.11 L’autoregolamentazione della rete in Italia 157
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INTRODUZIONE
Pietra angolare di tutti gli ordinamenti di matrice liberale, a partire dalla
Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, è la libertà di
manifestazione del pensiero, senza la quale il valore della democrazia risulterebbe
privo di contenuto. A nulla vale, infatti, permettere la partecipazione attiva della
comunità alla vita politica, ampiamente intesa, se non viene contemporaneamente
riconosciuto il diritto di esprimere le proprie idee.
Recepito anche nell’ordinamento internazionale e in quello comunitario1, il
principio della libertà di espressione trova in ogni regime democratico limiti
distinti, ma accomunati da un’intenzione quanto più permissiva di garantire ad
ognuno tale libertà.
Nella convivenza con altri valori giuridici, anche il diritto in questione subisce
delle compressioni e degli adattamenti. Tuttavia, dato il suo carattere primario, nel
concreto bilanciamento tra principi supremi dell’ordinamento spesso risulta
gerarchicamente superiore ad altri.
In Italia l’art. 21 Cost. prevede, quale suo unico limite espresso, il buon costume,
oltre a vincoli esterni posti soprattutto a tutela dell’onore e della riservatezza
altrui. La definizione di buon costume, essendo una clausola generale, ha subito
nel tempo modifiche rilevanti, che potrebbero riassumersi nel passaggio da
espressione della morale corrente, intesa nello specifico come morale sessuale, a
espressione della tutela dei minori e del loro sviluppo psichico.
1 Art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; art. 19 del patto sui diritti civili e politici; art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; art. 6 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, nella versione consolidata successiva al Trattato di Amsterdam.
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Riflettono chiaramente il passaggio di significato le questioni che, de iure
condendo, stanno interessando la regolamentazione di Internet e della
cinematografia.
L’intenzione originaria del presente studio era di ripercorrere la storia giuridica
della censura cinematografica2, l’unica forma di controllo preventivo prevista dal
nostro ordinamento e retaggio dell’epoca precostituzionale.
Qui, infatti, più che altrove, si può percepire il peso dei limiti alla manifestazione
del pensiero, dato che essi intervengono ad impedire la diffusione delle idee prima
ancora della loro divulgazione. L’analisi della revisione dei film sottolinea,
pertanto, l’evoluzione dell’interpretazione circa il buon costume, che sta via via
lasciando il posto, come già detto, alla tutela dei minori. Non solo le commissioni
di censura, ma anche il legislatore sembrano ormai porre attenzione alla sola
protezione della gioventù, atteso che, da anni, si sta tentando una riforma della
legge sulla revisione cinematografica che abbia come unica ratio la tutela della
sensibilità e della crescita dei più giovani.
Insofferente ad una concezione superata di buon costume e ad un sistema di
controllo corporativo che sembra poco adatto ad una società evoluta che non
reputa più il cinema “scuola di vizio e crimine”3, la cinematografia sembra esigere
una modifica sostanziale della legge n. 161/1962.
Sebbene il testo sia già stato modificato, abrogando la revisione degli spettacoli
teatrali e mutando la composizione delle commissioni censorie, il passo più
importante per una definitiva abrogazione del nulla osta generale alla proiezione
dei film ancora non è stato fatto. Nonostante siano stati formulate proposte di
2 Legge sulla revisione delle opere filmiche e cinematografiche, n. 161/1962, in G. U. 28 aprile 1962, n. 109. 3 E. POULAIN, Contre le cinéma. Ecole du vice et du crime, Besançon, 1918, riportato in G. P. BRUNETTA (a cura di), Storia del cinema mondiale, l’Europa, miti, luoghi, divi, Einaudi, Torino, 1999, p. 16.
3
legge che mantengano in vita solo il diniego alla visione per i minori, queste non
sono mai riuscite a diventare legge.
L’ultimo di questi disegni è in via di definizione e dovrebbe arrivare in aula entro
la prossima estate. Le sue previsioni ancora non sono chiare, essendo stato reso
noto solo un comunicato stampa da parte del Ministero dei beni culturali, con cui
si descrive l’intenzione di eliminare la censura generale e di differenziare in più
fasce d’età quella per i minori.
Lo studio sui mutamenti della censura cinematografica sarebbe potuto divenire, ad
ogni modo, un mero excursus da relegare negli scaffali della storia del diritto, se
non si fosse tenuto conto anche dei nuovi mezzi di comunicazione. Durante le
ricerche, infatti, sono venute alla luce le problematiche riguardanti Internet.
Oltre al profilarsi di un nuovo scopo, quale la tutela dei minori, ai controlli della
manifestazione del pensiero, si affaccia nel panorama della libertà d’espressione
un nuovo campo di indagine, vale a dire la regolamentazione di Internet.
Il rivoluzionario mezzo di comunicazione, che sta introducendo la nuova era
chiamata dell’informazione, pretende un riadattamento della legislazione già in
vigore o un’elaborazione ex novo di regole per ogni settore del diritto. Dal diritto
commerciale al diritto d’autore, dal diritto bancario al diritto d’immagine, ogni
ambito giuridico è stato investito dal problema di trovare soluzioni appropriate per
la rete. Dunque, anche il settore della libertà d’espressione.
Il fenomeno di Internet è ancora giovane e occorrerà tempo prima che si riesca ad
inquadrare, anche normativamente, la realtà virtuale. Così, nella materia della
libertà di manifestazione del pensiero, lo scenario risulta estremamente
magmatico.
Benché la formulazione di questo diritto non sia recentissima, benché la storia ne
abbia collaudato svariate tecniche di controllo, oggi sembra che i quesiti posti dai
4
nuovi mezzi di comunicazione e dall’evoluzione dei costumi stiano cancellando
con un colpo di spugna le vecchie impalcature. Internet non si presta ai classici
sistemi di disciplina, anzi, riesce a scavalcarli ed eluderli senza difficoltà,
rendendo poco efficaci i controlli verso gli altri mezzi. Per ora, tribunali, dottrina
e legislatori stanno cercando di mettere delle toppe ai problemi che mano a mano,
nella prassi, sorgono.
Gli Stati Uniti sono stati i primi a tentare una regolamentazione dei contenuti del
web, con la legge nota come Telecommunication Act del 1996, la cui sezione
quinta, il Communication Decency Act, è stata dichiarata incostituzionale per
contrarietà al Primo emendamento, che garantisce la più ampia libertà
d’espressione.
L’Unione Europea inizia ad occuparsi del problema intorno agli stessi anni, con
una serie di attività di tipo consultivo e comunque non vincolante, tra le quali si
sottolineano per importanza la risoluzione del Consiglio sulle informazione di
contenuto illegale e nocivo su Internet4, il Libro verde sulla protezione dei minori
e della dignità umana nei servizi audiovisivi e di Internet5 della Commissione, il
Piano pluriennale d’azione comunitario per l’uso sicuro di Internet6.
Poiché Internet è uno spazio fittizio che supera i confini statali, gli eventuali
interventi normativi, per risultare efficaci, debbono essere presi a livello
possibilmente internazionale. E’ stata così adottata, negli ultimi mesi, una
Convenzione sul Cybercrime7, a cui è allegato un protocollo addizionale sulla
lotta al razzismo e alla xenofobia, che ha suscitato ampie polemiche per il
carattere censorio delle previsioni.
4 G. U. n. C 70 del 06 marzo 1997. 5 COM (96) 483. 6 Decisione n. 276/1999, in G. U. n. L 033 del 06 febbraio 1999. 7 Consultabile in www.cybercrime-conference.tim.it.
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Se a livello internazionale e comunitario il dibattito sulle forme di controllo dei
contenuti immessi in Internet è vivace, benché privo ancora di un quadro
normativo comune di riferimento, a livello statale sembra regnare ancora il
silenzio, interrotto di tanto in tanto da qualche proposta di legge, che tradisce
ansie e timori di chi ancora non si è abituato al web.
Mentre l’attenzione continua ad essere concentrata sulla tutela dell’infanzia e dei
minori riguardo alle trasmissioni televisive o sulla lotta alla pornografia e alla
pedofilia in Internet, l’unica effettiva regolamentazione dei contenuti della rete è
data dalla legge n. 62/20018, che equipara alla stampa le testate on line, con
conseguente obbligo di registrazione e organizzazione editoriale, legge che ha
acceso un intenso dibattito per la sua formulazione ambigua e sibillina.
Le altre proposte di regolamentazione prevedono l’adozione di sistemi di
controllo tecnologici per tutelare i minori non solo da pedofilia e pornografia in
rete, ma anche da messaggi razzisti, indecenti, blasfemi o xenofobi. L’analisi di
questi meccanismi mostra che non solo è cambiato il significato di tutela del buon
costume, ma anche che sono mutate le modalità di controllo preventivo.
Se fino ad oggi, infatti, hanno operato, prima di interventi repressivi, interventi
censori di carattere centralizzato, con l’avvento di Internet l’unico controllo
efficace e già realizzabile potrebbe essere di natura solo decentralizzata. Un
controllo, cioè, parentale, affidato esclusivamente ai genitori e agli istituti
educativi che possono autonomamente, con il supporto di software appositi,
rendere Internet un contenitore variabile, a seconda della sensibilità e della cultura
di ciascuna comunità.
In Italia, resta dunque un duplice sistema censorio. Quello classico, di cui è chiaro
esempio la censura cinematografica, ancorata a vecchi sistemi e criteri di
8 G. U. n. 67 del 21 marzo 2001.
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controllo, benché ci siano tentativi di adeguamento per restringere i divieti di
proiezione solo per i minori. Quello nuovo riguardante la rete, non regolato da
leggi nazionali né da vincolanti atti comunitari o internazionali, ancora in via di
definizione.
Un punto soltanto sembra essere fermo ed accomunare i due sistemi: come nel
cinema, anche in Internet pare ormai pacifico che l’unico bene da difendere, che il
legislatore deve considerare nel comprimere la libertà di espressione, è la tutela
dei più piccoli.
La premura dell’ordinamento giuridico sembra aver cambiato definitivamente
oggetto di protezione: dal buon costume, interpretato in maniera differente a
seconda dell’evoluzione dei tempi, alla sana crescita intellettiva dei minori.
Così, da un lato si studia come modificare la vecchia disciplina di revisione degli
spettacoli cinematografici, dal momento che, nella attuale formulazione, si
dimostra più un peso alla libertà di espressione artistica che un supporto alla
protezione di valori costituzionali confliggenti, come il buon costume o la tutela
della gioventù; dall’altro si studia come affrontare la rete, verificando se sia più
opportuno lasciarla libera da vincoli o regolamentarla, dall’altro.
Con il presente studio si intende mettere in luce le differenze dei due regimi, in
particolare i mutamenti subiti dal concetto di buon costume e le nuove forme di
controllo limitative della libertà d’espressione, e verificare se essi siano davvero
in grado di garantire un corretto equilibrio dei valori costituzionali coinvolti.
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CAPITOLO I
IL DIRITTO DI LIBERA MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO
SOMMARIO: I.1 il riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero negli ordinamenti statali occidentali e nel diritto internazionale – I.2 La nascita del diritto di manifestazione del pensiero in Italia – I.3 La natura del diritto – I.4 La libertà di manifestazione del pensiero e la democrazia – I.5 Il significato dell’art. 21 della Costituzione – I.6 I confini della libertà di manifestazione del pensiero – I.7 Il buon costume – I.7.1 Il buon costume e le manifestazioni privilegiate – I.7.2 Il significato di buon costume secondo la dottrina – I.7.3 Il significato di buon costume secondo la Corte costituzionale – I.7.4 La nuova lettura di buon costume connessa alla tutela dei minori – I.8 Gli interventi statali di controllo della manifestazione del pensiero – I.8.1 Gli strumenti tradizionali del controllo di libertà di espressione – I.8.2 Le nuove forme di controllo della libertà di espressione – I.8.3 I doveri dello Stato nel bilanciamento della tutela dei minori e della libertà di espressione
I.1 Il riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero negli
ordinamenti statali occidentali e nel diritto internazionale
La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, che include la libertà di
esprimere le proprie idee ma anche di diffonderle, benché sia un valore di antiche
radici, ha ottenuto solo in tempi relativamente recenti la sua consacrazione
giuridica.
Se Sartori riconosce che essa “è un valore occidentale, scoperto e affermato dal
pensiero greco”1, la garanzia giuridica che l’ha reso un principio di diritto si fa
strada solo con le moderne ideologie liberiste e costituzional-democratiche.
In Inghilterra, nemmeno il Bill of rights del 1689 la riconosceva, affermando solo
la libertà di parola in Parlamento, mentre già nel 1644, in seguito all’invenzione
della stampa, Milton scriveva della speranza di “un diritto alla libertà di
espressione che permetta che le lagnanze siano liberamente ascoltate”2. Sogno che
fu raggiunto nel 1694, quando la libertà di parola fu riconosciuta negativamente,
mediante l’abolizione della censura.
1 G. SARTORI, Elementi di teoria politica, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 174. 2 J. MILTON, Aeropagitica, discorso per la libertà della stampa, Rusconi, Milano, 1998, p. 3.
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Nel 1789, come frutto della rivoluzione francese, la Déclaration des droits de
l’homme et du citoyen recitava all’art. 11 che “la libre communication des pensées
et des opinions est une droits les plus précieux de l’homme”, anche se subito dopo
puntualizzava “sauf à repondre de l’abus de cette liberté dans les cas déterminés
par la loi”3.
Nel 1791 venne approvato negli Stati Uniti d’America il primo emendamento alla
Costituzione, che riconosce ampiamente: “Congress shall make no law respecting
an stablishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging
the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to
assemble, and to petition the governement for a redress of grievances”4.
A partire dalla Dichiarazione francese e dalla Costituzione americana,
praticamente ogni Costituzione degli Stati contemporanei consacra i diritti e le
libertà fondamentali dell’uomo, tra cui, senza dubbio, trova spazio la libertà di
espressione.
Tra i Paesi dell’Unione Europea, tutti, ad eccezione della Gran Bretagna, che non
ha una Costituzione scritta, riconoscono il diritto in questione come principio
costituzionale, benché la cultura e le tradizioni giuridiche di ognuno apportino
differenti limiti5.
La libertà di espressione fa ormai parte della rosa dei diritti universalmente
riconosciuti, almeno a livello di droit international coutumier.
Se non bastasse l’omogeneità delle Carte Costituzionali degli Stati democratici, si
può prendere in considerazione la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo,
3 “La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti fondamentali dell’uomo (…) salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”. 4 “Il Congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione o per proibirne il libero culto; o per limitare la libertà di parola o di stampa; o il diritto che hanno i cittadini di riunirsi in forma pacifica o di inoltrare petizioni al Governo per la riparazione dei torti subiti”. 5 Si rimanda all’appendice per una sintesi schematica della libertà di espressione negli ordinamenti degli Stati dell’Unione Europea.
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approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948, il cui art. 19
recita “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione ed espressione, incluso il
diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare , ricevere
e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a
frontiere”. La dichiarazione ha ormai riconosciuta efficacia vincolante, tanto che
gli Stati che mantengono una condotta stridente con i principi ivi stabiliti
invocano sempre condizioni di urgenza o necessità, accettando implicitamente la
validità del trattato.
Sempre a livello internazionale, occorre ricordare una convenzione multilaterale
che codifica i principi riconosciuti dai singoli Stati, il Patto sui diritti civili e
politici del 1966, che all’art. 19, riconoscendo il diritto in esame, ne ammonisce la
possibilità di restrizioni stabilite dalla legge e necessarie “al rispetto dei diritti e
della reputazione altrui, alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine
pubblico, della sanità o della morale pubbliche”.
Si possono ancora ricordare la Proclamazione di Teheran, adottata durante la
Conferenza internazionale sui diritti dell’uomo del 19686 o i Johannesburg
Principles on national security, freedom of expression and access to information,
adottati da un gruppo di esperti in diritto internazionale, diritti umani e sicurezza
statale nel 19957.
A livello regionale esistono ulteriori convenzioni che tutelano la libertà di
espressione, tra cui spicca la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, elaborata dal Consiglio d’Europa e firmata
6 Ogni paese deve accordare ai propri cittadini “la liberté d’expression, d’information, de conscience et de religion, ainsi que le droit de parteciper pleinement à la vie politique, èconomique, culturelle et sociale de son pays”. 7 Secondo questa dichiarazione, la libertà di espressione può essere limitata solo quando “the governement can demonstrate that the restriction is prescribed by law and is necessary in a democratic society to protect a legitimate national security interest”.
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a Roma nel 1950. L’art. 10 della CEDU sancisce che “1. Ogni persona ha diritto
alla libertà d'espressione (…) 2. L'esercizio di queste libertà, poiché comporta
doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni
o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in
una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l'integrità territoriale o per
la pubblica sicurezza, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la
protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei
diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire
l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.”
La libertà di espressione è, dunque, il piedistallo di ogni regime politico di matrice
liberale. La sua presenza o assenza, i suoi limiti legali, l’uso come libertà anche
d’informazione, l’abuso, la disciplina, l’interpretazione che ne danno i cittadini, i
mezzi di comunicazione, la classe politica o i giuristi, le sue basi teoriche
rivelano, ognuna singolarmente e tutte globalmente considerate, la natura più o
meno liberale o più o meno democratica della forma di potere vigente in una
società.
Il grado di libertà di espressione e le sue variazioni indicano ugualmente lo stadio
del progresso sociale raggiunto. Così, se nelle prime dichiarazioni costituzionali di
ideologia liberale era intesa come una libertà negativa dall’ingerenza dello Stato,
come una liberazione dalla censura prima e dal castigo poi, nell’ottica
democratica è intesa anche come libertà positiva dell’uomo, che gli permetta,
come singolo e come membro della collettività, di crescere ed arricchirsi8.
Attualmente la libertà di manifestazione del pensiero è dunque, anche nel diritto
internazionale, un’espressione ellittica, che riassume sia la libertà di esprimersi
8 S. S. GONZALEZ, La libertad de expresion, Marcial Pons, Madrid, 1992.
11
senza impedimenti che quella di diffondere idee ed opinioni, attraverso qualsiasi
mezzo di diffusione.
I.2 La nascita del diritto di manifestazione del pensiero in Italia
Nella storia d’Italia, la prima cauta ammissione della sola libertà di stampa risale
all’art. 28 dello Statuto Albertino, il quale, se da un lato riconosceva che “la
stampa sarà libera”, dall’altro subordinava tale libertà ad una “legge che ne
reprimerà gli abusi”. Nessuna garanzia, nemmeno a livello di legislazione
ordinaria, copriva le altre modalità di espressione del pensiero, al contrario, le
attività di pubblico intrattenimento erano sottoposte a sistemi censori altamente
discrezionali e rigidamente basati su vaghi parametri di moralità e ordine
pubblico, di rispetto dell’ordinamento politico e della religione cattolica, nonché
dei principi della famiglia9.
Su un terreno dove era così radicata la censura, al legislatore fascista risultò
agevole la costruzione di un sistema che consentisse a priori di garantire che l’uso
dei mezzi di divulgazione del pensiero avvenisse in modo omogeneo all’indirizzo
politico dominante10. Così, la tutela dell’ordine pubblico e del buon costume fu
tradotta nella tutela all’offesa del Re, del Pontefice, del Capo del Governo e delle
istituzioni, del sentimento nazionale o dei principi costitutivi della famiglia11.
Appare naturale che la solenne proclamazione dell’art. 21 Cost. secondo cui “Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione” nasce come reazione di stampo liberale e
9 Leggi di pubblica sicurezza n. 3720/1859 e n. 2248/1865. 10 Si veda sul punto F. RIMOLI, La libertà dell’arte nell’ordinamento italiano, CEDAM, Padova, 1992, il quale sostiene che “l’intervento è stato passaggio obbligato e tipico di ogni Stato totalitario, e che la cultura ha sempre svolto un ruolo primario come instrumentum regni”.11 Per un’analisi approfondita della legislazione fascista in materia di controllo delle attività teatrali, cinematografiche e tipografiche si vedano i testi unici di pubblica sicurezza del 1926 e del 1931.
12
democratico al sistema previgente. Tuttavia, i seguenti commi dell’articolo si
affrettano a precisare la possibilità di sequestro per stampati e di provvedimenti
preventivi e repressivi degli spettacoli, seppur confinati entro ristretti limiti.
Resta dunque, nell’attuale sistema costituzionale, una disciplina legislativa a tratti
limitativa della libertà di manifestazione del pensiero, accusata spesso, specie in
tema di censura cinematografica, di incostituzionalità. Si tratta di una
caratteristica che, legata forse a particolari effetti suggestivi che si riconnettono a
queste forme di espressione, nonché alla fruibilità collettiva e quindi
potenzialmente foriera di disordine, costituisce un elemento di continuità nella
legislazione di questo settore, nel passaggio dal periodo liberale a quello fascista a
quello, infine, repubblicano12.
Il cambiamento e l’evoluzione verso un sistema maggiormente garantista, che la
Costituzione rigida ha promosso, concerne il valore della libertà di manifestazione
del pensiero e, conseguentemente, i limiti che lo Stato deve rispettare nella
regolamentazione in questione.
I.3 La natura del diritto
Fra tutte le libertà garantite dalla Costituzione, si ritiene che quella di manifestare
il proprio pensiero sia la fondamentale13. A nulla varrebbe assicurare le altre
libertà (personale, di domicilio, di riunione, di associazione, di religione, ecc.) se
non si desse ai cittadini il diritto di esprimere giudizi e valutazioni, a tal punto che
la stessa Corte Costituzionale la definisce “pietra angolare dell’ordine
democratico”14.
12 P. CARETTI, Diritto pubblico dell’informazione, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 137 ss. 13 T. MARTINES, Diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992, p. 665 ss. 14 C. cost. n. 84/1969 in Giur.Cost. 1969, p. 1175 ss.; per una definizione della libertà in questione come primaria nel nostro ordinamento si vedano anche sent. n. 9/1965, in Giur. Cost. 1965, p. 79 (“la libertà di manifestazione del pensiero è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla
13
La libertà di pensiero è infatti condizione essenziale per la effettiva partecipazione
dell’individuo alla vita sociale e per la sua realizzazione personale.
Questa duplicità di azione sia privata, in quanto tutela la persona nella sua
formazione, sviluppo e manifestazione, sia sociale, perché grazie ad essa si
alimenta il confronto di opinioni e la vita intellettuale della comunità, ha favorito
il dubbio circa la qualificazione giuridica della libertà in esame come diritto
funzionale o individuale15.
In realtà, la portata funzionale del diritto in questione non equivale a sostenerne la
natura strumentale. Pur riconoscendo che chi esprime un pensiero ha il diritto e il
dovere di comunicarlo ad altri non solo per una soddisfazione personale, ma
perché nulla di ciò che può arricchire la collettività venga taciuto, la libertà di
pensiero è uno dei diritti inviolabili che, per l’art. 2 della Costituzione, la
Repubblica riconosce e garantisce all’uomo “sia come singolo, sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
Il carattere funzionale può essere accettato se inteso in termini metodologici, che
prescindono da ogni preclusione di contenuti, e che anzi pongono la diffusione di
ogni ideologia quale momento irrinunciabile del metodo democratico16.
nostra Costituzione una di quelle…che meglio caratterizzano il regime vigente dello Stato, condizione com’è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale”) ; sent. n. 11/1968, in Giur. Cost. 1968, p. 351 e p. 356 (“la più eminente manifestazione” delle libertà democratiche e “diritto coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione” ); sent. n. 168/1971, in Giur. Cost. 1981, p. 18 (“cardine del regime di democrazia garantito dalla Costituzione”); sent. n. 126/1985 in Giur. Cost. 1985, p. 908 (“la libertà di manifestazione del pensiero assume ai fini dell’attuazione del principio democratico rilevanza centrale”). 15 L’identificazione della libertà come diritto soggettivo è stata messa in dubbio da G. AMATO, Libertà (dir. cost.) in Enc. Dir., XXIV, Giuffrè, Milano, 1974, p. 272; A. BALDASSARRE, Le ideologie costituzionali dei diritti di libertà, in Dem. Dir., Editori riuniti, Roma, 1976; A. BARBERA, Le libertà tra “diritti” ed “istituzioni”, in Scritti in onore di C. Mortati, I, Giuffrè, Milano, 1977.16 C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, I, Utet, Torino, 1970.
14
Ogni altra lettura del carattere strumentale darebbe adito a restrizioni che
potrebbero derivare non solo dal bilanciamento di valori costituzionali, ma anche
dall’adesione o meno a ideologie e politiche dominanti17.
Se è vero, pertanto, che nella storia d’Italia il passaggio dallo Stato assoluto allo
Stato costituzionale portò al riconoscimento della libertà di parola, ma lo Statuto
Albertino ne fece un diritto discrezionalmente comprimibile dalla legge ordinaria;
se è vero che la parentesi fascista lo riconobbe solo come strumento di
propaganda18, con la Costituzione Repubblicana la libertà di espressione ha
raggiunto le caratteristiche di un diritto soggettivo assoluto, portatore anche di un
interesse generale alla crescita della società.
In definitiva, solo l’attuale Costituzione, e non anche le precedenti, “sancisce un
diritto individuale, garantito al singolo come tale indipendentemente dai vantaggi
o svantaggi che possano derivarne allo Stato, indipendentemente dalle qualifiche
che il singolo possa avere in una comunità e dalle funzioni connesse a tali
qualifiche; si vuole dire che esso è garantito perché l’uomo possa unirsi all’altro
uomo nel pensiero e col pensiero ed eventualmente insieme operare”19.
I.4 La libertà di manifestazione del pensiero e la democrazia
Il Parlamento europeo, in una recente Risoluzione sulla libertà di espressione del
cittadino e la libertà di stampa e d’informazione, ricorda solennemente che “la
piena esistenza della libertà di espressione caratterizza uno Stato democratico” e
17 “La necessità di una regolamentazione e di una disciplina deriva dal fatto che questi diritti non rimangono nella sfera del privato, ma contengono attività sociali”: C. SCHMITT, Dottrina della costituzione, Giuffrè, Milano, 1984, p. 221. 18 Per un confronto tra regimi totalitari v. anche Cost. dell’URSS, art. 125: “In armonia con gli interessi dei lavoratori ed allo scopo di rafforzare l’organizzazione socialista, la legge garantisce ai cittadini la libertà di parola”. 19 C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero, Giuffrè, Milano, 1958, p. 9.
15
che “il diritto di espressione è un diritto costituzionale inalienabile in uno Stato
democratico”20.
Non solo la democraticità di un ordinamento è direttamente proporzionale al
grado in cui la libera manifestazione del pensiero viene riconosciuta e attuata, ma
non esiste nemmeno un prius e un posterius tra libertà di espressione e
democrazia, essendo la prima contenuto della seconda e questa condizione
indispensabile della prima. I cittadini non potrebbero partecipare alla vita sociale e
politica se non fosse riconosciuta loro la libertà di parola e di critica. Essa,
dunque, corrisponde primariamente ad un bisogno dell’individuo,
secondariamente ad una necessità dell’ordinamento democratico, senza esserne
comunque uno strumento, sicché non possa rivolgersi contro la pace o i principi
dell’ordinamento stesso.
Il concetto individualistico della libertà viene logicamente prima rispetto alla sua
funzione di nutrimento della democrazia, ma non può negarsi che nei sistemi
democratici “la garanzia di buon funzionamento poggia proprio sulla più ampia
libertà di manifestazione del pensiero, essendo essa che alimenta la forza sociale
di base, che è la pubblica opinione”21.
Ogni avvento di democrazia porta con sé, prima di ogni altra cosa, la libertà di
parola, la quale, sebbene corredata con argomenti di tipo giusnaturalistico, che ne
sottolineano il carattere individualistico ed universalistico, non giunge mai sola o
come riconoscimento di un mero diritto civile, ma è contenuto della democrazia
stessa, così che l’affermazione costituzionale del diritto di manifestare
20 Risoluzione del Parlamento europeo A3-0282/93 in G.U. n. C 20/113. 21 C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, CEDAM, Padova, 1969, p. 972.
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liberamente il proprio pensiero non riflette un’esigenza puramente individuale, ma
è espressione di un interesse generale22.
Più oltre si spinge Esposito quando, introducendo quasi un ordine prioritario,
afferma che “non la democraticità di uno Stato ha per conseguenza il
riconoscimento di quella libertà (…) ma le ragioni ideali del riconoscimento di
quella libertà (e cioè del valore della persona umana) portano, tra le tante
conseguenze, anche l’affermazione dello Stato democratico”23.
I.5 Il significato dell’art. 21 della Costituzione
“Senza dubbio la garanzia costituzionale copre sia il diritto della libera
manifestazione del pensiero sia il diritto al libero e pieno uso dei relativi mezzi di
divulgazione”24, essendo la disponibilità del mezzo funzionale rispetto alla piena
realizzazione del primo aspetto del diritto, come ha anche riconosciuto la Corte
costituzionale, ribadendo il “nesso di indispensabile strumentalità” che lega la
divulgazione alla manifestazione25.
Poiché la disponibilità dei mezzi di comunicazione, almeno fino all’avvento dei
nuovi media e di Internet in particolare, era solo una disponibilità potenziale e non
anche effettiva – non a caso si parlava di libertà di esprimere le proprie idee e di
cercare in ogni modo di divulgarle26 - da sempre la dottrina ha legittimato la
differenziazione delle discipline in concreto di ciascun veicolo, in relazione al
potere di suggestione di ogni mezzo e alla possibilità concreta di accesso27.
22 G. GRISOLIA, Libertà di manifestazione del pensiero e tutela penale della riservatezza e dell’onore, CEDAM, Padova, 1992, p. 36.23 C. ESPOSITO, op. cit., pag. 12. 24 C. cost. n. 93/1972 in Giur. Cost. 1972, p. 1156 ss. 25 C. cost. n. 48/1964, in Giur. Cost. 1964, p. 605. ss. V. anche C. cost. n. 105/1972 in Giur. Cost. 1972, p. 1196 ss.26 C. A. JEMOLO, I problemi pratici della libertà, Giuffrè, Milano, 1972. 27 S. FOIS, Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, Giuffrè, Milano, 1957.
17
La tutela della libera diffusione del pensiero varia, dunque, col variare dei mezzi.
Se viene effettuata con quelli di cui tutti dispongono in parità di condizioni, ad
esempio la parola ed in qualche maniera anche Internet, la tutela riguarda
principalmente la libertà di contenuto. Se, invece, la diffusione avviene con mezzi
che, per costosità o per difficoltà tecnica, sono limitati nella accessibilità, va
garantito il più alto grado possibile di libertà e parità nell’uso del mezzo, o, per lo
meno, l’uso imparziale28.
A circoscrivere la libertà proclamata dall’art. 21, non ci sono solo condizioni
tecniche di accessibilità ai mezzi, ma anche limiti esterni e interni alla stessa
norma costituzionale, inevitabili nel necessario bilanciamento dei principi
giuridici fondamentali.
I.6 I confini della libertà di manifestazione del pensiero
A ben vedere, la Costituzione, proclamando la libertà giuridica di manifestazione
del pensiero, “non chiede regolamentazione, ma astensione dalla
regolamentazione”29, pur riconoscendo al legislatore, e solo a lui, di porvi limiti
nel rispetto di altri valori costituzionali. La riserva di legge in materia, garanzia da
arbitrarie decisioni dell’esecutivo, si desume da argomenti contestuali offerti dallo
stesso art. 21, laddove al comma sesto attribuisce alla legge il compito di
prevenire e reprimere le violazioni al rispetto del buon costume, mentre al comma
terzo ammette il sequestro di stampati solo nel caso di delitti per i quali la legge
sulla stampa lo autorizzi.
Spetta allora al solo legislatore il compito di porre i limiti sostanziali di questa
libertà, che “devono trovare fondamento in precetti e principi costituzionali, si
28 C. CERETI, voce Pensiero (libertà di) in Noviss. Dig. it., XII, Utet, Milano, 1965, p. 865 ss.29 C. ESPOSITO, op. cit., p. 14.
18
rinvengano essi esplicitamente nella Carta o si possano, invece, trarre da questa
mediante la rigorosa applicazione delle regole dell’interpretazione giuridica”30.
La questione della possibilità o meno di delimitare la libertà in esame, seppure
con la garanzia data dalla riserva di legge, si trasforma in quella di verificare se
esista un generale potere della legge di elevare a delitto manifestazioni del
pensiero e di vietarle secondo opportunità.
Il rischio di eccessiva discrezionalità pare insussistente se si interpreta in modo
corretto il dato costituzionale, che indica al legislatore, esplicitamente o
implicitamente, i confini del potere decisionale: “non è esatto che sia vietato alle
leggi, in modo specifico, di impedire le manifestazioni vietate, perché, in via di
principio, quando una manifestazione è vietata le leggi hanno questo potere. Non
è esatto che la Costituzione attribuisca alle leggi la potestà di discriminare
pensiero da pensiero e di vietare le manifestazioni per il loro contenuto, perché in
via di principio proprio questo potere è negato alle leggi”31.
La legge può restringere l’ambito della libera espressione, ma solo nel rispetto di
una Costituzione rigida, i cui precetti possono quindi mutare solo tramite legge
costituzionale.
Uno dei problemi più rilevanti che si è posto all’indomani dell’entrata in vigore
della Costituzione, in generale per tutti i diritti fondamentali disciplinati dalla
Carta e in particolare per il diritto alla libera manifestazione del pensiero, è stato
proprio quello di stabilire se l’elencazione dei limiti al loro esercizio, disposta
costituzionalmente, dovesse considerarsi tassativa o suscettibile di ammettere
limiti ulteriori.
30 C. cost., n. 9/1965, in Giur. Cost. 1965, p. 61 ss. 31 C. ESPOSITO, op. cit., p. 23.
19
La risposta generalmente condivisa da dottrina e giurisprudenza è stata nel senso
di affermare che, nel quadro del principio di tassatività dei limiti ai diritti
fondamentali, indissolubilmente legato alla natura rigida della Costituzione, siano
tuttavia da ammettersi anche restrizioni ulteriori, purché riconducibili ad
altrettanti interessi costituzionalmente protetti. Con l’importante precisazione che,
in caso di conflitto tra due interessi, entrambi di rilievo costituzionale, spetta
innanzitutto al legislatore, e in seconda battuta al giudice costituzionale,
assicurarne l’equo contemperamento, evitando che la tutela dell’uno finisca per
annullare la tutela dell’altro.
Alla luce di questa linea interpretativa, sono stati ritenuti ammissibili limiti alla
libertà di manifestazione del pensiero a tutela dell’onore, della reputazione e della
riservatezza, derivanti dall’uguaglianza e dalla pari dignità sociale dei cittadini
(art. 3 Cost.); forse anche l’ordine pubblico, se è vero, come sostiene Fois, che
non sono considerabili manifestazioni del pensiero quelle che “consistono in un
incitamento all’azione”32.
In realtà controversa è l’ammissibilità di vincoli basati sulla tutela dell’ordine
pubblico: criterio, quest’ultimo estremamente generico, di cui la Costituzione, non
a caso, non fa menzione, ma al quale viceversa si ispirano numerose fattispecie
criminose, tese a punire quelle manifestazioni del pensiero considerate forme
d’istigazione a commettere reati.
A fronte dell’opinione diffusa in dottrina, contraria a riconoscere all’ordine
pubblico la natura di fondamento costituzionale, sia pure implicito, per
l’introduzione di limitazioni all’esercizio dei diritti fondamentali, e, in particolare,
32 S. FOIS, op. cit., p. 113. Secondo P. BARILE è necessario che l’incitamento “spinga fattivamente a commettere reati” e non si fermi ad un mero stato di potenzialità, in Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984.
20
della libertà di manifestazione del pensiero, se non nelle accezioni espressamente
richiamate dalla Carta - sicurezza e incolumità pubblica - e con riferimento alle
ipotesi nelle quali esse ricorrono33, in nome del richiamato principio di tassatività
dei limiti ai diritti costituzionalmente protetti, la Corte Costituzionale ha invece
assunto una posizione più possibilista34, affermando l’esistenza di un limite
generale rappresentato dall’ordine pubblico costituzionale, da intendersi come
limite a tutela dell’ordine legale, sul quale si basa la pacifica convivenza sociale35.
Insussistente è invece il limite del dovere di fedeltà alla Repubblica, di cui all’art.
54 Cost. Tale dovere, infatti, non implica interiore adesione a dogmi o dottrine, né
divieto di discussione su di esse, ma significa leale impegno per il cittadino di
comportarsi come tale, astenendosi da comportamenti illegittimi volti al
rovesciamento violento delle istituzioni36.
La mancanza del limite in questione è stata ribadita recentemente dalla Corte
costituzionale37 quando, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 271 del
c. p. sulle associazioni antinazionali, spiega che “il sentimento nazionale
costituisce soltanto un dato spirituale che, sorgendo e sviluppandosi nell’intimo
della coscienza di ciascuno, fa parte esclusivamente del mondo del pensiero e
delle idealità, sicché la relativa propaganda – non indirizzata a suscitare violente
reazioni, né rivolta a vilipendere la nazione o a compromettere i doveri che il
cittadino ha verso la Patria, od a menomare altri beni costituzionalmente garantiti-
non può essere vietata senza che si profili il contrasto con la libertà di cui
all’articolo 21 della Costituzione.
33Art. 14, comma 3, in tema di libertà di domicilio; art. 16, comma 1, in tema di libertà di circolazione e soggiorno; art. 17, comma 3, in tema di libertà di riunione. 34 C. cost. n. 168/1971, in Giur. Cost. 1971, p. 1774 ss. 35 P. CARETTI, Manifestazione del pensiero e istigazione all’odio nell’ordinamento italiano,intervento al XVI° Congresso dell’Accademia Internazionale di diritto comparato, Brisbane, 14-20 luglio 2002. 36 C. CERETI, op. cit, p. 867.37 C. cost. n. 243/2001, in Giur. Cost. 2001, p. 2935 ss.
21
Oltre a quelli che possono definirsi limiti esterni e logici alla libertà di
espressione, l’art. 21 ne sancisce espressamente uno, il buon costume, laddove al
sesto comma recita che “sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e
tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume” 38.
I.7 Il buon costume
Il buon costume rientra tra le espressioni elastiche e legate al dinamismo della
società, usate dal costituente perché la Carta possa essere sempre attuale e
adeguata ai tempi.
Il limite in questione, quindi, è rimasto letteralmente lo stesso dall’entrata in
vigore della Costituzione, ma il suo significato ha subito nel tempo variazioni e
oscillazioni di notevole importanza.
La definizione più appropriata di buon costume ha occupato in larga misura le
discussioni dottrinali e anche giurisprudenziali, essendo in gioco non un semplice
confine ad una libertà costituzionalmente garantita, ma l’unico esplicito della
principale libertà democratica, per la cui attuazione il costituente ha persino
previsto la possibilità di interventi censori di natura precauzionale. È vero, infatti,
che altri beni costituzionalmente tutelati costituiscono limiti idonei alla libertà di
38 Altra questione è quella dei limiti soggettivi della libertà di pensiero. Sembra scontato accogliere la concezione universalistica di Esposito, per cui il diritto è riconosciuto a tutti, senza distinzioni tra cittadini, apolidi o stranieri. Contrario a questa tesi è invece Grisolia, secondo cui il diritto è riconosciuto ai soli cittadini, sia perché, nonostante il termine “tutti” adoperato dall’art. 21, l’art. è collocato nel titolo dedicato ai rapporti civili, sia perché la Costituzione italiana è un atto normativo statale, efficace nei soli confronti dei cittadini italiani. Infine, nota l’autore, l’art. 10 Cost. affida la condizione giuridica dello straniero alla legge, in conformità dei trattati e delle norme internazionali. Lo straniero potrebbe dunque vantare tale diritto solo a condizione di reciprocità e nella scia della normativa ordinaria. Nonostante tali argomentazioni, sembra inutile restringere soggettivamente la portata della libertà in esame, in considerazione del suo riconoscimento ad opera del diritto internazionale.
22
espressione, ma solo in quanto possano essere da questa effettivamente e
direttamente lesi39, mentre il buon costume è il solo apponibile in via preventiva40.
Con riferimento a quest’unico vincolo espresso, alla cui tutela è ispirata la
previsione dei delitti contro la morale pubblica e il buon costume contenuta nel
codice penale (Titolo IX, Libro II) la Corte costituzionale ha avallato, seppur con
qualche oscillazione, un’interpretazione restrittiva della nozione di buon costume,
da intendersi non già come riferita a valori generici quali quello di “morale
corrente” o di “etica sociale”, piuttosto come inerente alla sola sfera del pudore
sessuale, benché ampiamente intesa, con particolare riferimento alla tutela dei
minori. Questa interpretazione risale al contributo della legge penale, che,
trattando dei delitti contro il buon costume, tutela la libertà, l’onore e il pudore
sessuale.
I.7.1. Il buon costume e le manifestazioni privilegiate
Prima di analizzare i contributi di dottrina e giurisprudenza alla precisazione di
cosa sia il buon costume, è necessario richiamare la tesi che sostiene il suo diverso
atteggiarsi a seconda dell’incidenza su materie privilegiate o meno41. Questa si
basa sulla considerazione che gli artt. 19 e 33 Cost. tutelano espressamente le
manifestazioni religiose, scientifiche e artistiche e l’art. 3 implicitamente le
manifestazioni politiche, laddove sancisce il divieto di discriminazioni per motivi
politici42.
39 E. GRASSI, Ancora in tema di buon costume, politica demografica e altre cose, in osservazione alla sent. C. cost. n. 49/1971, in Giur. Cost. 1971 p. 525.40 Per una opinione contraria, S. FOIS, voce Censura, in Encicl. Dir., Giuffrè, Milano, 1958, p. 718: “Oltre alla tutela del buon costume, sarebbe ammissibile finalizzare le censure alla prevenzione di ogni eccitamento alla violenza e all’illegalità, come anche di ogni apprezzamento o notizia puramente ingiuriosa e vilipendiosa.” 41 F. RIMOLI, op. cit., p. 17 ss.; S. FOIS, op. cit, p. 45 ss., p. 87 ss., p. 111 ss.42 Per una nozione approfondita della libertà di pensiero come libertà di critica politica v. S.S. GONZALEZ, op. cit.
23
Fois individua nella particolare natura delle quattro materie suddette la ratio
capace di fondare una loro situazione di privilegio, che consiste nella esclusione,
per le relative manifestazioni di pensiero, del limite dell’ordine pubblico e –
relativamente alla sola libertà di scienza ed arte – del buon costume, salvo che non
si tratti di pensieri che fomentino l’azione, come l’istigazione di reato, o che
suscitino un “puro stato emozionale”, “un eccitamento che offenda l’onorabilità
altrui (o sia) contrario al buon costume”43.
Benché, nota Rimoli soffermandosi sulla sola espressione artistica, l’arte è stata
ormai sussunta nella generale categoria della manifestazione del pensiero, “sia
nelle intenzioni del costituente che nelle elaborazioni degli studiosi più
consapevoli, il concetto di arte e le ipotesi di disciplina del fenomeno artistico
hanno sempre comportato una più o meno sentita esigenza di eccezione”44.
L’opzione effettuata dal costituente per una concezione puramente estetica
dell’arte rispetto ad una utilitaristica, fondata sulla particolare natura dell’opera –
l’arte è libera per l’art. 33 – ha reso possibile la scissione della dialettica tra arte e
moralità, sicché il dettato dell’art. 33 “non solo non è un corollario dell’art. 21, ma
rifiuta con questo ogni legame diretto”45.
Il merito della tesi di Fois è, secondo Rimoli, quello di aver permesso
l’affrancamento da una pericolosa e imbarazzante necessità di un giudizio di
valore sul piano estetico della singola opera, cosicché il limite del buon costume
deve ritenersi “del tutto ininfluente”46.
Questa acquisita indipendenza dell’espressione artistica rispetto al divieto di
manifestazioni contrarie al buon costume, quando accolta dalla giurisprudenza, ha
43 S. FOIS, op. cit., p. 113 ss. 44 F. RIMOLI, op. cit., p.18. 45 M. GRISOLIA, voce Arte, in Encicl. Dir., vol. III, Giuffrè, Milano, 1958, p. 104. 46 F. RIMOLI, op. cit., p. 290.
25
può essere accolta, “giacché purtroppo, non soltanto nelle persone pervertite, ma
anche sovente negli uomini normali lo spettacolo di dipinti osceni, di statue
lascive per quanto artistiche, come anche la lettura di libri di reputati ed illustri
scrittori descriventi scene di lussuria o di turpi consuetudini, determina sensazioni
torbide di concupiscenza e trae alla corruzione e al vizio”50.
D’altronde anche Manzini sosteneva che il “valore letterario o artistico della cosa
oscena è di per sé insufficiente a scriminare il fatto. Anzi, l’effetto offensivo del
pudore è in tal caso più preciso e pronto”51.
Oltre a queste superate convinzioni, la teoria che divide in due la libertà di
pensiero appare ad alcuni priva di basi positive.
Secondo Crisafulli, la distinzione, “pur logicamente attendibile e rispondente ad
esigenze sulle quali si deve convenire, sembra urtare con la formulazione dell’art.
21, che non autorizza l’interprete a differenziare quantità e qualità dei limiti a
seconda della diversa materia”52. Ribadire la libertà di scienza, arte e religione, e
forse anche di politica, non deve infatti portare ad una riduzione della generale
libertà di pensiero, così da renderla “menomata”, ma serve solo a ribadire il
concetto in altri specifici campi, per un’esigenza di precisazione53.
Se si segue la tesi di Fois, che, secondo una parte della dottrina, è corretta nella
teoria ma pericolosa nella pratica, si rischia di tradurre la differenziazione delle
materie in una disparità di trattamento operata dagli organi giudiziari ed
amministrativi, che non possono fare affidamento su criteri positivi e definiti di
distinzione54.
50 G. MARCIANO, L’oltraggio al pudore e l’opera d’arte in Riv. It. Dir. Pen. 1932, p. 825.51 V. MANZINI, Trattato di diritto costituzionale, cit. da MARCIANO. 52 V. CRISAFULLI, In tema di limiti alla cronaca giudiziaria, in Giur. Cost. 1965, p. 245 ss. 53 G. BALLADORE PALLIERI, Diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 1972. 54 V. Trib. Milano 24 maggio 1972, in Giur. it. 1973, II, p. 139, che insiste sul pericolo della non uniforme protezione della libertà di manifestazione del pensiero.
26
È ovvia l’obiezione, particolarmente motivata da chi parte da un’idea
individualistica della libertà in questione e rifiuta che possa essere tutelata in
modo più o meno rigoroso a seconda dell’importanza sociale della materia in cui
si eserciti, secondo cui privilegiare alcune sue direzioni significa spezzare
l’unitarietà della tutela apprestata in suo favore e indebolirne la garanzia55.
I.7.2 Il significato di buon costume secondo la dottrina
La dottrina suole contrapporre una nozione civilistica e una penalistica di buon
costume, alle quali una corrente minoritaria ne aggiunge una costituzionale,
intrinseca all’art. 21.
La prima è richiamata da numerose norme del codice civile, come causa di
invalidità dei negozi giuridici. È ormai pacifico che in tale contesto si intende per
buon costume l’insieme delle regole di relazione che, secondo l’opinione comune,
in un determinato momento storico, sono conformi a morale: concetto
sicuramente troppo ampio e indeterminabile, che finirebbe per lasciare libero il
legislatore ordinario di vietare ogni rappresentazione contrastante con la morale
corrente, facendo prevalere le opinioni della maggioranza su quelle delle
minoranze e negando, dunque, la democraticità dello Stato.
Malgrado il pericolo che una tale lettura di buon costume svuoti di significato la
libertà di espressione, vi è chi ha parlato di comune sentimento morale56, di
moralità pubblica57, di vivere civile, il quale necessariamente abbraccia l’intero
campo sociale58.
Sintomo di un disagio nel ricondurre il limite in esame alla semantica di altri rami
legislativi è il tentativo, peraltro minoritario, di procedere ad un’autonoma
55 A. DI GIOVINE, I confini della libertà di manifestazione del pensiero, Giuffrè, Milano, 1988.56 P. VIRGA, Diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 1971.57F. PERGOLESI, Diritto costituzionale, CEDAM, Padova, 1960. 58 P. A. D’AVACK, voce Libertà religiosa (diritto ecclesiastico), Encicl. Dir, Giuffrè, Milano, 1974, p. 595 ss.
27
ricostruzione del concetto, fondata su un’interpretazione interna al sistema delle
norme costituzionali in cui è impiegato59. Secondo questa lettura, di indubbia
portata garantista ma di scarsa incisività ed eccessiva vaghezza, si dovrebbe
escludere, anche nell’area delle manifestazioni contrarie al buon costume, ogni
controllo ideologico, usando, piuttosto, come parametri di riferimento, gli
interessi costituzionalmente rilevanti come l’ordine pubblico o la giustizia.
La tesi penalistica, secondo cui il buon costume si identifica con la morale
sessuale e il comune senso del pudore, sembra quella di gran lunga prevalente,
giustificata dall’esigenza garantistica di restringere il più possibile l’area dei limiti
incidenti sulla libertà e di escludere il rischioso canone della moralità sociale.
I lavori preparatori della Costituzione suffragano questa interpretazione.
Il sesto comma, infatti, diede luogo a qualche dibattito tra chi sentiva l’esigenza di
un’azione più drastica contro le offese alla morale e chi temeva formule troppo
ampie. Furono così ritirati quattro emendamenti all’ultimo comma: il primo
voleva, accanto a “buon costume”, l’espressione “sentimento religioso del popolo
italiano”; il secondo aggiungeva tra le manifestazioni vietate quelle “che
offendano il sentimento religioso del popolo italiano”; il terzo proponeva al sesto
comma il divieto di spettacoli “contrari alla morale o al buon costume” per la
“tutela della pubblica moralità e la protezione della gioventù”; l’ultimo, infine,
includeva la parola “morale”. Decadde, invece, l’emendamento che sostituiva,
sempre all’ultimo comma, le parole “la legge determina misure adeguate” con “la
legge determina misure particolari per la protezione della gioventù”.
59 E. CAPACCIOLI, Rapporto fra prevenzione e repressione in tema di spettacolo, in Problemi giuridici della repressione in materia di spettacolo, Atti II Conv. di studi E. de Nicola, Milano, 1963; ABBAMONTE, Ius superveniens, giudizio di rilevanza e censura cinematografica, in Rass. Dir. Pubbl. 1963, p. 165.
28
L’approvazione di un testo come quello attualmente vigente mostra, alla luce
anche del dibattito avvenuto durante la sua redazione60, l’accantonamento delle
pesanti proposte teleologiche della libertà in esame e l’ispirazione alla concezione
individualistica, cara al pensiero laico-liberale.
In sintonia con l’intenzione del costituente di garantire un concetto ristretto e
specifico di limite alla libertà di espressione, la dottrina prevalente e la
giurisprudenza costituzionale, tra ripensamenti, oscillazioni ed eccezioni, hanno
alla fine aderito alla concezione penalistica, che mutua il concetto di oscenità,
individuato come parametro di valutazione della contrarietà al buon costume,
dall’art. 529 c. p., in base al quale “si considerano osceni gli atti e gli oggetti che,
secondo il comune sentimento, offendono il pudore.”
La tutela del buon costume si traduce, in questa prospettiva, in tutela del comune
sentimento del pudore. Vi è chi ulteriormente precisa che vietate dovrebbero dirsi
soltanto le manifestazioni in perversione dei costumi, caratterizzate, pertanto,
anche da un elemento soggettivo di opposizione alle regole della morale
sessuale61.
Peraltro, pure il riferimento alle norme penali non è esaustivo, in quanto anche la
riconduzione al comune sentimento del pudore e all’oscenità richiede un lavoro
ermeneutico tutt’altro che unidirezionale.
Abbastanza pacifica è ormai l’accezione relativistica delle espressioni, che
considera l’assoluta variabilità delle medesime sotto il profilo storico-evolutivo, a
fronte di quella deontologica, che crede di individuare valori tendenzialmente
immutabili dinanzi ai quali misurare ogni tutela. Questo modello interpretativo è
60 Ricostruzioni del dibattito avvenuto in seno alla prima Sottocommissione possono leggersi in V. ATRIPALDI, Il catalogo delle libertà civili in Assemblea costituente, Liguori, Napoli, 1979; L. ELIA, Cultura e partiti alla costituente: le basi della democrazia repubblicana, in Il sistema delle autonomie: rapporti tra Stato e società civile, Il Mulino, Bologna, 1985. 61 C. FOIS, op.cit., p. 103.
29
stato fatto proprio anche dalla Corte di Cassazione, che nel 1984 affermava: “la
nozione di comune sentimento del pudore va risolta nel senso di verifica ed
aggiornamento di esso nella sua mutevolezza con il divenire dei costumi e con
l’evoluzione del pensiero medio dei consociati” e nel 1985 continuava: “ai fini
dell’indagine sul comune sentimento del pudore assume rilevanza il pensare e il
sentire dell’intera comunità nazionale”62.
Così, il criterio di riferimento della reazione dell’uomo medio normale e del
comune sentire in un dato momento storico restano fermi, ma le decisioni, proprio
in virtù di tale aggancio alla mentalità corrente, sono fortemente influenzate dal
succedersi dei costumi.
Pur inteso, dunque, come attinente alla sola sfera sessuale, il buon costume risulta
spazio-temporalmente condizionato, aspetto, questo, che rende ragione della
oscillazione giurisprudenziale.
I.7.3 Il significato di buon costume secondo la Corte costituzionale
Nella sentenza n. 9/1965 la Corte costituzionale, dopo aver affermato che non era
necessario dare una “definizione puntuale ed esauriente del buon costume”,
sostiene che questo “non può essere fatto coincidere con la morale o con la
coscienza etica, concetti che non tollerano determinazioni quantitative del genere
di quelle espresse dal termine morale media di un popolo, etica comune di un
gruppo ed altre analoghe. La legge morale vive nella coscienza individuale e così
intesa non può formare oggetto di un regolamento legislativo.”
E continua: “Il buon costume risulta da un insieme di precetti che impongono un
determinato comportamento nella vita sociale di relazione, la inosservanza dei
quali comporta in particolare la violazione del pudore sessuale, sia fuori sia
62 Cass. Sez. III, 7 giugno 1984, n. 5308; Cass. Sez. III, 29 novembre 1985, n. 11696; v. anche Cass. Sez. III, 15 aprile 1985, n. 3494; Cass. Sez. III, 3 marzo 1986, n. 1780.
30
soprattutto nell’ambito della famiglia, della dignità personale che con essa si
congiunge, del sentimento morale dei giovani”63.
La Corte, implicitamente, sembra negare, in questa sentenza, il riferimento al
concetto civilistico, mentre non ritiene rilevante la riconduzione a quello
penalistico o un’elaborazione nuova eventualmente più ampia, data la sommarietà
e genericità dei concetti di dignità personale e sentimento morale dei giovani,
affiancati a quello di pudore sessuale. L’intenzione è forse quella di creare un
concetto intermedio, che non dia importanza alla sola sfera sessuale, ma che al
tempo stesso non sia troppo impreciso o soggettivistico. Il risultato è, secondo
Grassi, “la sostanziale ricomprensione nell’area elastica e potenzialmente
omnicomprensiva dei civilistici boni mores”64.
Il buon costume, dichiara infatti la Corte, contraddicendo il suo affermato rifiuto
di scelta, è costituito da un insieme di precetti che impongono un determinato
comportamento nella vita sociale, comportamento che non deve violare, oltre al
pudore sessuale, la dignità personale e il sentimento morale dei giovani.
Da questa ricostruzione, un dato sembra inconfutabile: la nozione minimale di
buon costume supera per ampiezza quella penalistica, a prescindere
dall’intenzione del giudice.
D’altro canto, il rinvio al concetto penalistico, per quanto apprezzabile per
esigenze di determinatezza, vede notevolmente ridotta tale sua funzione dinanzi a
manifestazioni che offendano la coscienza collettiva senza turbare la sfera della
sessualità.
La tutela della dignità umana, richiamata dalla Corte, implica il riconoscimento
del valore dell’uomo come persona, in sintesi indissolubile di valori individuali e
63 C. cost. n. 9/1965, in Giur. Cost. 1965, p. 61 ss.64 E. GRASSI, op. cit.
31
sociali, valore che non può essere confinato nel solo momento sessuale. La citata
sentenza n. 9/1965 appare il tentativo della Corte di tutelare il bene della
personalità umana in tutta la sua globalità, senza irrigidire una nozione naturaliter
aperta e, d’altro lato, senza cadere negli equivoci di una definizione troppo duttile
nelle mani del legislatore ordinario.
Nota Grassi che la preoccupazione di evitare censure ideologiche non deve
necessariamente circoscrivere il buon costume alla sola sfera sessuale,
affermazione non solo troppo riduttiva, ma anche poco pacifica, data la sensibilità
anche del concetto di osceno e di offesa al senso del pudore rispetto ai mutamenti
sociali.
La lettura di buon costume, fornita dalla Corte nel 1965, è stata poi smentita o
modificata da altre pronunce della stessa.
Pochi anni dopo, nel 1971, la Corte ritiene che non offende il buon costume la
propaganda delle pratiche anticoncettive e l’incitamento ad esse, salvo che non si
traducano in manifestazioni oscene o contrarie alla pubblica decenza, secondo la
lettera del codice penale65.
In tempi più recenti, nel 1992, la Corte restringe ancora di più l’area offensiva.
Nella sentenza n. 368/199266 considera il buon costume come un limite
contrapposto alla libertà dei singoli in adempimento non della tutela di altre
libertà individuali, ma di un’esigenza generale di convivenza sociale, in relazione
ai contenuti morali e alle modalità di espressione del costume sessuale in un
determinato momento storico.
Non solo, dunque, la contrarietà al buon costume è correlata all’oscenità, ma
persino “l’osceno attinge l’antigiuridicità penale quando sia destinato a
65 C. cost. n. 49/1971, op. cit. 66 C. cost. n. 368/1992, in Giur. Cost. 1992, p. 2935 ss.
32
raggiungere la percezione della collettività”, quando cioè la collettività percepisca
il messaggio in maniera offensiva.
La contrarietà al sentimento del pudore, in altre parole, non dipende dall’oscenità
intrinseca, ma dall’offesa che può derivarne al pudore sessuale, considerato,
naturalmente, il contesto sociale.
Lo Stato può e deve, in quest’ottica, intervenire solo se l’offesa al buon costume
equivalga ad offesa del comune sentimento del pudore, quale risulta dagli
atteggiamenti etico-sociali più diffusi. È chiaro come, per la valutazione del
pudore, non si possa usare una visione deontologica che tenda ad assolutizzarlo
alla stregua di un valore obiettivo. Lo Stato non è certo legittimato a intervenire
per affermare modelli etici di condotta, a pena di cadere nella concezione
funzionale della libertà di manifestazione del pensiero. I principi di tolleranza
ideologica e di protezione delle minoranza si frappongono come ostacoli
insormontabili.
Questo sforzo ermeneutico che punta a rendere maggiormente afferrabile il
parametro valutativo dell’osceno, e dunque del buon costume, rischia di scivolare
in un concetto della dignità umana - il bene per la cui protezione è, in ultima
analisi, previsto la tutela del buon costume - nella sola dimensione sessuale.
Si giunge, per questa via, ad una sorta di attrazione della tutela del pudore
nell’ottica della protezione di un bene tradizionale: il bene della libertà personale
in una delle sue tante sfaccettature, “cioè come diritto ad essere protetti dalle
molestie provocate dal dover assistere, contro la propria volontà, ad atti o
rappresentazioni di contenuto sessuale”67.
67 G. FIANDACA, Problematica dell’osceno e tutela del buon costume, CEDAM, Padova, 1984, p. 106.
33
La certezza del diritto è stata, in sostanza, pagata con l’impoverimento del
concetto di buon costume, mentre esistono altre offese rilevanti che la collettività
e l’individualità senza dubbio avvertono, come quelle derivanti dalla violenza o
dall’odio razziale.
Nella sentenza n. 293/2000 la Corte torna ad un ampliamento del buon costume.
Trattando della repressione degli stampati idonei a turbare il comune sentimento
della morale, spiega che questo comune sentire è dato dalla “pluralità delle
concezioni etiche che convivono nella società contemporanea. Il contenuto
minimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore che anima l’art.
2 della Costituzione”, e continua dicendo che “quello della dignità della persona è
valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo e deve dunque incidere
sull’interpretazione del comune sentimento della morale”68.
Da questo punto di vista, la Corte non farebbe altro che attribuire al limite del
buon costume un significato alquanto esteso, confondendolo con la morale tout
court.
Nonostante il pericolo di svuotare di contenuto la ratio garantista dell’art. 21, la
Corte ha confermato la stessa impostazione, con richiami testuali a questa
sentenza, nella recentissima ordinanza n. 92/200269, forse tenendo a mente le
parole di Moro durante i lavori di redazione dell’art. 21, per cui “la libertà cessa di
essere tale quando diventa un abuso”.
L’inserimento di manifestazioni che non siano contrarie alla morale sessuale ma
ugualmente offensive della personalità umana non può però essere tollerata, se si
68 C. cost. 293/2000 in Giur. Cost. 2000, p. 2239 ss., con osservazione di A. ODDI, La riesumazione dei boni mores.69Ord. n. 92/2002 in Giur. Cost. 2002, p. 814 ss.
34
traduce in un controllo legislativo delle manifestazioni contrarie alla morale
prevalente, poiché “il di più di libertà soppressa costituisce un abuso”70.
I.7.4 La nuova lettura di buon costume connessa alla tutela dei minori
Negli ultimi anni si è tentato un diverso approccio ermeneutico al concetto di
buon costume, che mira alla tutela dei minori e recupera, in questo modo, il
controllo di manifestazioni non contrarie alla morale sessuale, ma comunque
nocive.
Prendendo avvio da una visione teleologica del limite diversa da quella dello Stato
“moralizzatore” e più vicina ad uno Stato garante del sano sviluppo psichico della
gioventù, quest’interpretazione considera leciti e, in alcuni casi, auspicabili, i soli
interventi di controllo sulle manifestazioni di pensiero che pregiudichino,
appunto, la crescita.
Si è già visto come, già in Assemblea costituente, era stato proposto di modificare
la locuzione “la legge determina misure adeguate” con “la legge determina misure
particolari per la protezione della gioventù”71 e di inserire accanto alla tutela della
“pubblica moralità” quella della “protezione della gioventù”72.
Negli anni ’80 inizia a levarsi una voce secondo cui il sesto comma dell’art. 21
non deve valere per le manifestazioni rivolte ai maggiorenni che, determinandosi
liberamente nella loro piena capacità, non hanno bisogno di protezione da parte
dello Stato73. In coerenza con il superamento del vecchio concetto di uno Stato-
tutore a difesa di un cittadino perennemente immaturo, l’intervento statale, specie
quello preventivo, sembra costituzionalmente legittimo se limitato al solo scopo
della tutela dei minori.
70 C. cost. n. 487/1989 in Giur. Cost. 1989, p. 2267 ss. 71 Emendamento 855 proposto dall’on. SCHIAVETTI, decaduto. 72 Emendamento 851 proposto dall’on. ANDREOTTI, ritirato. 73 P. BARILE, op. cit.
35
Il vero significato dell’art. 21, in tale prospettiva evolutiva, è da intendersi in
questo ristretto ambito, che deriva, secondo Barile, dalla combinazione di questa
disposizione con quelle degli artt. 30 e 31 del testo costituzionale.
È pacifico che, per le manifestazioni destinate ai minori, la legge possa adottare
un trattamento più restrittivo, “vietando quanto turbi il processo educativo o sia
genericamente contrario alla morale”74. Il ruolo sussidiario rispetto a quello
familiare nell’educazione della gioventù, richiamato all’art. 30 Cost. che recita
“nei casi di incapacità dei genitori la legge provvede a che siano assolti i loro
compiti”, giustifica un’estensione dell’area di buon costume, soprattutto in una
società in cui è sempre più incisiva l’influenza di altre agenzie sociali (scuola,
mass media, movimenti collettivi, etc.) che riducono la capacità di controllo dei
genitori.
Quel che resta meno ovvio è una lettura dell’art. 21 orientata a limitare
soggettivamente i destinatari del sesto comma. La formula dell’articolo, infatti,
non è tale da consentire una simile impostazione restrittiva, ma questa nuova
interpretazione tiene sapientemente conto dell’evoluzione laica e scevra da ogni
intenzione eticizzante in ordine al problema del buon costume.
Nella prospettiva de iure condendo, questo della tutela dei minori è in effetti uno
dei pochi limiti che sembrano doversi mantenere, in generale, per ogni
manifestazione del pensiero75.
L’evoluzione semantica della clausola di buon costume è avallata dalla
legislazione in materia di censura cinematografica e dalle sue prospettive di
riforma.
74 C. CERETI, op. cit, p. 867.75 Sul tema della censura ad esclusiva tutela dei minori si veda A. FRAGOLA, Legittimità costituzionale della censura minorile e nozione di buon costume, in Rass. Dir. Cinem. 1965, p. 39 ss.; T. MAZZAROCCHI, Censura cinematografica minorile, in Quaderno dell’Ist. Giur. Spett. Inf., Roma, 1983, p. 45.
36
Già nella legge n. 161/1962 sulla “Revisione dei film e dei lavori teatrali” c’è una
distinzione tra tutela del buon costume per i maggiorenni e per i minorenni,
laddove, accanto ad una generale negazione di nulla osta per la proiezione dei
film, l’art. 5 prevede la concessione di un nulla osta subordinata al divieto di
proiezione per i minori degli anni quattordici e diciotto.
La legge n. 203/1995 e poi il decreto legislativo n. 3/1998 hanno in seguito
modificato la composizione delle commissioni di censura. Nella previsione della
legge 161, queste, istituite presso il Ministero del turismo e dello spettacolo, erano
composte da un magistrato ordinario, tre docenti, uno di materie giuridiche, uno di
psicologia ed uno di pedagogia, tre membri scelti all’interno di associazioni di
categoria del settore cinematografico. La soppressione del Ministero è stata
l’occasione per cambiare la composizione delle commissioni, operanti ora al
Ministero dei beni culturali, inserendo, tra gli altri, due rappresentanti dei genitori
designati dalle associazioni più rappresentative76.
Nella XIII legislatura, il ministro per i Beni culturali e ambientali ha presentato il
disegno di legge n. 3180, indicativo dei tentativi di riformare la censura al solo
scopo della tutela dei minori. La proposta, infatti, era di abolire il nulla osta per la
proiezione e di lasciare solo la possibilità di divieto per i minori di quattordici o
diciotto anni. La riforma, si legge nella relazione al disegno, vorrebbe adeguare
“la normativa vigente (…) all’attuale contesto sociale” rendendola maggiormente
“coerente con la libertà di manifestazione del pensiero, di cui all’art. 21 della
Carta Costituzionale”77.
76 Insieme a questi, fanno parte delle commissioni un docente di diritto, uno di psicologia, uno di pedagogia, due esperti di cultura cinematografica, due rappresentanti delle categorie di settore. 77 Già il 26 gennaio 1983 era stato presentato alla Camera il progetto di legge n. 3890, che limitava il divieto delle offese al buon costume agli spettacoli cinematografici, teatrali e televisivi tali da offendere la sensibilità dei minori e restringeva i poteri delle commissioni di censura al controllo sulla tutela dei minori. Il progetto decadde con la fine anticipata della legislatura.
37
La proposta pare recepire gli auspici formulati da una parte della dottrina78, che,
seguendo un’interpretazione forse contestabile sul piano letterale ma fondata su
quello storico-evolutivo, considera la tutela dei minori un requisito
imprescindibile per gli interventi statali, sia preventivi che repressivi, i quali “non
possono che avere lo stesso oggetto”.
Non vi sarebbe alcuna ragione di protezione costituzionale del pudore e della
decenza dei maggiorenni, che possono liberamente e criticamente valutare e
giudicare, mentre vi sarebbe ancora il dovere di proteggere i minori, risultante dal
combinato disposto dell’art. 21 e 30, non solo dalle manifestazioni contrarie alla
decenza, ma anche da quelle pericolose per la sana crescita psichica e mentale
degli stessi79. L’orientamento della proposta di legge n. 3180 rispecchia l’idea di
un unico dovere da parte dello Stato, proteggere i minori.
Caduta questa proposta di legge, è di questi giorni la notizia di un nuovo tentativo
di riforma della censura cinematografica, che segue lo stesso indirizzo80.
Il progetto, che sarà presentato entro giugno al Ministero dei beni culturali,
individua infatti un primo divieto ai minori di otto anni e un altro per
quattordicenni o sedicenni, con o senza il vincolo che il minore sia accompagnato
da un adulto. Oltre a questa nuova formulazione dei divieti, si prevede una più
intensa attività informativa della classificazione dei film, il risarcimento per il
danno morale subito dallo spettatore a carico dell’esercente che non faccia
78 P. BARILE, op. cit. Dello stesso autore si veda altresì Costituzione, censura cinematografica e autorità giudiziaria, in Studi Furno, MILANO, 1973, P. 65. 79 Non a caso l’art. 9 reg. di esecuzione della l. 161/1962 stabilisce che “debbono ritenersi in ogni caso vietate ai minori le opere cinematografiche e teatrali che, pur non costituendo offesa al buon costume, ai sensi dell’art. 6 della legge contengano battute o gesti volgari; indulgano a comportamenti amorali; contengano scene erotiche o di violenza verso uomini o animali, o relative ad operazioni chirurgiche od a fenomeni ipnotici o medianici se rappresentate in forma particolarmente impressionante, o riguardanti l’uso di sostanze stupefacenti; fomentino l’odio o la vendetta; presentino crimini in forma tale da indurre all’imitazione o al suicidio in forma suggestiva”. 80 V. Cinema, fine del divieto per i minori di 18 anni, in Corriere della sera, 16 gennaio 2003.
38
rispettare i divieti, l’aumento dei membri delle commissioni censorie, la
sottoposizione obbligatoria a tali commissioni anche dei film prodotti solo per la
televisione.
Il progetto, si legge nel commento rilasciato alle agenzie di stampa, nella ratio di
“difendere i minori senza intaccare la libertà artistica”, abolisce il visto di censura
per gli adulti e diversifica in modo più adeguato i divieti ai minori.
La riforma è ancora ai primi sviluppi e sembra prematuro commentarla, anche se
non si nega un’impressione di confusione ed aggravio maggiori di quelle attuali.
Ai fini del presente studio, è, tuttavia importante sottolineare le intenzioni
dichiarate di questa riforma, che si allineano al bene della tutela dei minori.
La nuova idea di difesa dell’infanzia anziché della moralità pubblica o del comune
senso del pudore pare accettata anche da chi ha sempre sottolineato il carattere
persecutorio degli interventi statali, specie censori.
L’avvocato Massaro, che difese decine di film in tribunale, seguendo le tappe più
importanti della censura cinematografica, distingue la tutela dei maggiorenni,
definendola un abuso e una prevaricazione, dalla tutela minorile, la quale è
perfettamente legittima in questo come in ogni altro settore del diritto, perché
nella fase dello sviluppo psico-evolutivo il minore assorbe incondizionatamente e
acriticamente ogni stimolo esterno81.
L’attenzione del legislatore, in armonia con l’evoluzione della nozione di buon
costume a tutela della crescita, si è negli ultimi tempi concentrata proprio su tale
aspetto.
Oltre al disegno di legge n. 3180, altre proposte, volte a regolamentare i contenuti
di Internet, hanno come ratio principale la difesa dei minori.
81 G. MASSARO, intervista rilasciata al sito www.promoimmagine.it; per un’analisi approfondita si veda dello stesso autore L’occhio impuro, SugarCo, Milano, 1976.
39
A prescindere dall’idoneità e congruità degli strumenti che si vogliono usare,
rileva il disegno di legge AS 4560 del 2000, Norme per la tutela dei minori nelle
trasmissioni radiotelevisive, nella cui relazione introduttiva si invita ad un
adeguamento della legislazione radiotelevisiva, cinematografica e
dell’informatica, finalizzato alla salvaguardia del corretto sviluppo dei minori,
usando i mezzi tipici del controllo della comunicazione e dell’informazione82.
Anche l’attività dell’Autorità Garante per le Telecomunicazioni è orientata, nel
settore della libertà di espressione, alla protezione dei minori, come testimonia la
relazione del 2000 Tv, internet e minori83, che sottolinea l’importanza di tenere
sotto controllo la violenza dei programmi televisivi, “che non possono non
condizionare la formazione della personalità del bambino”, e di adottare misure
efficaci per proteggere i bambini dai rischi legati all’accesso a siti nocivi o
finalizzati allo sfruttamento minorile.
Fioriscono, per la protezione dell’infanzia, anche Commissioni e Codici di
autoregolamentazione, anch’essi indizio di una sensibilità maggiore non tanto al
problema del buon costume classicamente concepito, quanto a quello della
protezione dei giovani. Solo per esemplificare, riservando un’analisi più
approfondita al capitolo II, si ricordano il Comitato Tv e minori, la Commissione
Parlamentare di vigilanza, Il Consiglio nazionale degli utenti, il progetto di ricerca
Tutela dei minori dell’Autorità Garante per le Comunicazioni, il nuovo Codice di
autoregolamentazione Tv e minori, firmato nel febbraio 2003 dal Ministro per le
comunicazioni ed i rappresentanti delle emittenti televisive pubbliche e private, la
Carta di Desenzano del 1996.
82 Il disegno di legge e la relazione introduttiva sono consultabili sul sitowww.interlex.it, Le regoledell’internet.83 Relazione delle conss. POLI e STURLESE, approvata dal Consiglio il 24 novembre 2000 e consultabile al sito www.agcom.it.
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Pure a livello comunitario le iniziative delle istituzioni tradiscono questa nuova e
primaria esigenza, nel regolamentare soprattutto i nuovi media. Anche qui, a solo
titolo dimostrativo, si cita l’intensa attività normativa sui contenuti illegali e
nocivi di Internet e il Libro verde elaborato dalla Commissione, che affianca alla
dignità umana la tutela dei minori nei servizi audiovisuali e dell’informazione84.
In ultima analisi, se l’intervento statale si dovesse concentrare solo in tale
specifica direzione, si potrebbe allargare l’orizzonte dei divieti al di là dell’osceno
in senso erotico, ma anche, come da più parti giustamente si invoca, per cause
relative alla violenza, all’incitamento all’uso di droghe o alla volgarità in genere,
al razzismo e alla xenofobia85.
Se è questo la nuova cornice entro cui inserire la problematica degli interventi
autoritativi sulla libertà di espressione, occorre allora analizzare l’opportunità e
l’efficacia dei classici strumenti adottati dallo Stato.
I.8 Gli interventi statali di controllo della manifestazione del pensiero
L’art. 21 garantisce sia la libertà di manifestazione di pensiero nel suo contenuto
sia la libertà di usare i mezzi attraverso i quali diffonderlo. Da questa
precisazione, ne deriva che, se tanto l’aspetto sostantivo quanto quello strumentale
della libertà in esame sono oggetto di garanzia costituzionale, ogni loro
limitazione sarà lecita solo se trova positivo fondamento nella Carta. In altre
parole, gli interventi dovranno ritenersi ammissibili con i mezzi positivamente
previsti e solo in quanto finalizzati ad assicurare, secondo congruità e
proporzionalità, il rispetto dei limiti logici e del buon costume.
84 Anche per questi atti si rinvia ad un’analisi specifica nel secondo capitolo. 85 F. RIMOLI, op. cit., p. 328; P. BARILE, Costituzione, censura cinematografica e autorità giudiziaria, in Studi in memoria di Carlo Furno, Milano, 1973, p. 83.
41
I.8.1 Gli strumenti tradizionali del controllo della libertà di espressione
I tradizionali strumenti di controllo della manifestazione del pensiero e della sua
diffusione si distinguono in preventivi e repressivi.
Tra i primi, sono comprese la censura e l’autorizzazione, la cui distinzione, per
dirla con Fois86, sta nel fatto che la prima riguarda il prodotto dell’attività di
manifestazione del pensiero, ossia il contenuto, la seconda riguarda l’attività
stessa connessa all’uso dei mezzi di diffusione. In relazione alla stampa periodica,
ad esempio, si parla di autorizzazione per la modalità di controllo che condiziona
la possibilità di pubblicare un giornale, mentre di censura per la misura che serve
a controllare il contenuto dello stampato.
Né all’una forma di controllo né all’altra è, comunque, soggetta la stampa, per
espresso divieto del comma secondo art. 21 Cost. Non vale ad incidere sulla
libertà di stampa nemmeno la registrazione presso la cancelleria del tribunale
competente, atto dovuto che non implica alcuna valutazione discrezionale del
tribunale ed a cui devono sottoporsi la stampa periodica, in base alla l. 47/1948, e
le testate giornalistiche on line, secondo la recente e discussa l. 62/2001, al fine di
identificare preventivamente i responsabili dei reati commessi a mezzo stampa e a
reprimere gli abusi della stampa clandestina87.
Sorge, per la stampa, la questione di conciliare il divieto sancito dal comma
secondo art. 21 con il sesto comma, il quale vieta le manifestazioni contrarie al
buon costume, legittimando l’uso di provvedimenti diretti a reprimere e prevenire
le violazioni.
L’interprete si è trovato dinanzi al problema di verificare quale dei due commi
avesse natura derogatoria o eccezionale. Pare importante notare la tesi di Fois,
86 S. FOIS, voce Censura in op. cit, p. 721.87 C. cost. n. 31/1957 in Giur. Cost. 1957, p. 420 ss.
42
secondo cui la categoria delle misure preventive è molto più ampia di quella delle
autorizzazioni e censure. Conseguentemente, in materia di stampa sono
ammissibili quelle misure preventive dirette alla tutela del buon costume che non
si traducano in censure e autorizzazioni, ossia provvedimenti cautelari capaci di
vietare l’esercizio del diritto, disposti prima della pronuncia del giudice sulla
sussistenza della violazione del buon costume, nell’ambito dell’attuazione di una
misura repressiva88.
Un’opinione contraria è, invece, espressa da Bettinelli, secondo il quale “che la
tutela del buon costume comporti una deroga al divieto di autorizzazione e
censura è ormai escluso dalla quasi unanimità della dottrina, mentre sta
prevalendo la tesi che ammette come unico provvedimento di tipo autoritativo il
sequestro di cui ai commi 3 e 4 art. 21”89.
D’altra parte, al di là della possibilità o meno di interventi censori sulla stampa,
anche il sequestro potrebbe forse essere considerato misura preventiva, se si
concorda con Fois che anch’esso è “capace di impedire la diffusione o l’ulteriore
diffusione di una data pubblicazione ed è adatto ad interrompere o limitare
quell’obiettivazione permanente dell’idea delittuosa che rappresenta una
caratteristica essenziale dei reati commessi a mezzo stampa”90.
Una forma di censura vera e propria, intesa come approvazione del contenuto
della manifestazione di pensiero da parte dell’autorità competente prima che la
diffusione abbia inizio, grava, invece, sugli spettacoli teatrali e cinematografici.
La mancanza di un divieto come quello risultante al secondo comma dell’art. 21
per la stampa ha permesso, infatti, l’emanazione della l. 161/1962, che prevede il
88 S. FOIS, op. cit, p. 721; in senso analogo v. C. cost. n. 115/1957, in Giur. Cost. 1957, p. 1053. 89 E. BETTINELLI, Controllo sul contenuto delle pubblicazioni da parte dei rivenditori di giornali in relazione all’art. 725 c.p. e libertà di manifestazione del pensiero, in osservazione a C. cost. 159/1970 in Giur. Cost. 1970, p. 2009 ss.90 S. FOIS, voce Censura, op. cit.
43
nulla osta amministrativo per le proiezioni cinematografiche e il divieto di
proiezione per i minori di quattordici o diciotto anni91. Più semplice la disciplina
delle opere teatrali, abrogata dal decreto legislativo n. 3/1998: ad eccezione delle
riviste e dei musicals, che necessitavano del nulla osta, tutte le altre
rappresentazioni erano soggette solo a parere per ammettere la visione dei
minori.
Sempre per la tutela degli stessi, sono state previste fasce protette di
programmazione televisiva, cosicché i film che contengono scene nocive per la
sensibilità dei minori debbono essere mandati in onda nella fascia notturna, a pena
di cadere nelle sanzioni amministrative irrogate dall’Autorità per la garanzia nelle
Telecomunicazioni. In caso di dubbio, produttori, concessionari e distributori
possono chiedere la revisione preventiva del film, che è solo volontaria e non più
obbligatoria92.
Gli interventi repressivi alla libertà di manifestazione del pensiero riguardano,
invece, anche gli stampati.
L’unica forma di limitazione espressa della libertà di stampa è il sequestro, che
può essere effettuato solo dopo la pubblicazione, per impedire la divulgazione. Le
condizioni poste dal terzo comma art. 21, in base a cui occorre un atto motivato
dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa lo
autorizzi o nel caso di violazione di norme per l’indicazione dei responsabili, sono
a tutela di un uso discrezionale di tale strumento.
91 Una ratio differente, riferita alla commercializzazione dei prodotti artistici o all’incolumità ed igiene pubblica, sta alla base della normativa delle licenze e autorizzazioni e non verrà dunque trattata per ragioni di coerenza tematica. Allo stesso modo, si tralasciano per la vastità dell’argomento, nonostante le ripercussioni sulla possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero, le problematiche legate al diritto di accesso ai mezzi di diffusione, al loro finanziamento e alle situazioni di monopolio o di posizione dominante, che affliggono, soprattutto, stampa e radiotelevisione. 92 L. 203/1995.
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Per il cinema ed il teatro, accanto al suddetto controllo preventivo, può intervenire
anche un controllo successivo alla proiezione o rappresentazione, affidato
all’autorità giudiziaria, la quale può operare il sequestro delle pellicole o impedire
la rappresentazione qualora vi ravvisi la commissione di un reato o la violazione
del buon costume.
Censura, autorizzazione e sequestro sono, in ultima analisi, gli strumenti classici
con cui il potere statale ha controllato e controlla ancora, seppur parzialmente, la
libertà di espressione.
Della loro legittimità, specie per quelli di natura preventiva, si è molto dubitato,
auspicando in special modo l’abrogazione della censura cinematografica e
teatrale.
Le consuete ragioni addotte da sempre contro le misure preventive, ovvero la
fallibilità dei censori, la inutilità della censura, la incertezza delle distinzioni
concettuali, la non pericolosità delle manifestazioni di opinioni, la incongruenza
di ogni soluzione autoritaria, non provano, in verità, solo contro le censure, ma
più in generale contro la ammissibilità di poteri del legislatore.
Nonostante la scarsa fiducia per queste misure, può comunque ritenersi
opportuno, a prescindere dalla stretta legittimità giuridica, eliminare quelle
manifestazioni nocive per l’ordine pubblico, contrarie al buon costume o dannose
per i minori. A questo scopo, tuttavia, sembrano sufficienti le misure repressive,
rappresentando le altre un’ingerenza eccessiva rispetto al fine della tutela del buon
costume e della gioventù93.
All’abbattimento di ogni ostacolo alla libertà di espressione si frappone,
comunque, prima che una ragione filosofica voltariana, la lettera della
93 T. MARTINES, op. cit., p. 675. Secondo l’Autore, la libertà di manifestazione del pensiero è classificabile come libertà negativa, cioè libertà dalla ingerenza del potere statale.
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Costituzione, che non solo non vieta, ma anzi richiede un intervento del
legislatore in caso di delitti o di manifestazioni contrarie al buon costume.
Il punto, allora, non è quello di osteggiare a priori la competenza statale, quanto
quello di individuare una disciplina il più possibile conforme o adeguata al
raggiungimento del fine, in particolare evitare misure preventive che “per
impedire le poche manifestazioni condannate, intralcerebbero o difficulterebbero
le molte garantite dalla Costituzione”94.
Così, in tema di spettacoli cinematografici, la norma costituzionale, se permette
che si possa impedire una rappresentazione contraria al buon costume, “non solo
non obbliga necessariamente ad operare preventivamente, ma non vincola
minimamente all’attuale controllo preventivo di tipo amministrativo”95. La
censura amministrativa, infatti, non è un obbligo costituzionale contro le offese al
buon costume e può certamente essere sostituita con altri strumenti che si
dimostrino più efficaci e giusti96.
Ammessa l’opportunità degli interventi, anche preventivi, occorre trovare, in
sostanza, quello più adatto e meno lesivo della libertà di espressione.
L’affermazione di una libertà non significa, infatti, eliminazione del contrapposto
valore dell’ordine, ma è piuttosto “la condizione che permette ai due termini di
coesistere (…) e va da sé che fissare limiti alla trasgressione ideologica costituisca
per gli ordinamenti d’ispirazione liberale problema di ardua e controversa
soluzione” 97.
94 C. ESPOSITO, op. cit., p. 24. 95 U. DE SIERVO, Osservatorio sulle fonti, Giappichelli, Torino, 2000, op. cit., p. 324. 96 Un'altra critica che si solleva contro la censura amministrativa è l’incoerenza e il conflitto tra le decisioni delle commissioni di censura e quelle dei tribunali in sede repressiva. Si richiamano, per tutti, i casi dei film Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci e Salò e le 120 giornate di Sodoma Pier Paolo Pasolini. 97 A. DI GIOVINE, op. cit., p. 18.
46
Rileva, a questo proposito, la composizione e la natura giuridica degli organismi
preposti al controllo. Un apparato capace di assicurare il più possibile obiettività e
lungimiranza nella fase di valutazione sostanziale è garanzia della libertà di
espressione. Il giudizio dell’uomo comune di media esperienza si dimostra
assolutamente insufficiente. Si rende perciò inevitabile la creazione di
commissioni composte da esperti di settore, in grado di rappresentare con
saggezza non il sentire dell’uomo comune, ma quella pluralità di impostazioni
ideologiche richiamate dalla Corte costituzionale che consentano l’espressione
anche di voci minoritarie98.
Quale che sia la composizione degli organismi competenti, non è comunque ovvia
la loro capacità di impedire con sapienza le manifestazioni vietabili.
Tre ordini di problemi non possono infatti essere risolti mediante la semplice
formazione delle stesse.
Il primo riguarda, metagiuridicamente, la fallibilità umana e il conseguente
pericolo di affidare a organismi mai perfetti un giudizio di valore che richiede
inevitabilmente una componente soggettiva.
Il secondo riguarda, invece, l’inefficacia di un controllo centralizzato ed unico di
fronte a nuove modalità di espressione del pensiero, in special modo Internet.
Il terzo, infine, concerne l’opportunità di tale forma di controllo nella nuova
prospettiva teleologica. Se, come è stato sottolineato, il problema attuale non
consiste tanto nel divieto di manifestazioni contrarie al buon costume quanto nel
divieto di manifestazioni che turbino la sensibilità dei minori, pregiudicandone la
sana crescita, ci si deve chiedere se sia giusto affidare tale compito ad istituzioni o
organismi centrali, come le commissioni di revisione dei film, o se sia più
98 F. RIMOLI, op. cit., p. 201.
47
opportuno lasciare il compito ai genitori e agli educatori, in un’ottica sussidiaria
dei doveri statali.
I.8.2 Le nuove forme di controllo della libertà di espressione
Nascono, per questa via, nuove modalità di controllo, mentre si spinge il
legislatore ad abolire le vecchie.
Nell’indagine dottrinale, Barile individua come sistemi sostitutivi l’autocensura,
mediante codici di comportamento, il mantenimento della censura amministrativa
e del sequestro solo per la tutela dei minori, ma estesi a tutte le manifestazioni
nocive alla loro educazione, in appoggio al controllo genitoriale; un mero obbligo
di informazione per i maggiorenni circa la contrarietà al buon costume; la
partecipazione di giudici popolari al processo che segue il sequestro; la previsione
di fasce orarie per la programmazione televisiva99.
Tra i suggerimenti della dottrina, la prassi ha finora recepito, oltre alla
predisposizione delle fasce orarie per i programmi televisivi,
l’autoregolamentazione, l’attribuzione, in altri termini, di competenze normative a
soggetti estranei all’organizzazione diretta dell’apparato statale, per la disciplina
dei settori nei quali costoro svolgono la loro attività.
In questo modo, le regole di condotta aumentano il loro potenziale di efficacia,
coincidendo la validità con la auto-sottoposizione dei soggetti ai codici da loro
stessi compilati, e si rendono più capillari ed incisivi i controlli, svolti non da
autorità pubbliche esterne, ma da enti esponenziali degli stessi destinatari delle
99 P. BARILE, op. cit., p. 261 ss.
48
regole, che conoscono maggiormente le esigenze e le misure più opportune per la
disciplina settoriale100.
Nel settore della comunicazione telematica i codici di condotta sono senza dubbio
più efficaci, laddove naturalmente prevedano anche un sistema sanzionatorio,
rispetto alla fonti del diritto eteronome, dato il carattere universalistico, periferico
e sfuggente ad una normativa statale di questi sistemi comunicativi. Non è un caso
che le prime regole di Internet sono state rappresentate dalla netiquette, un
insieme di canoni di galateo in rete elaborato dagli stessi utenti.
Anche per la protezione dei minori, di fronte alla mancanza di frontiere dei nuovi
mezzi di comunicazione, sono indubbiamente più efficaci i singoli ordinamenti
privati deontologico-professionali rispetto all’ordinamento giuridico statale,
sempre che scattino i controlli delle autorità previste in questi ordinamenti e
interne al settore.
I codici di condotta e le sanzioni disciplinari, nonché i nuovi strumenti tecnici
adeguati ai mezzi di diffusione101, accantonano il problema dell’efficacia pratica
delle consuete forme di
49
etica dello Stato, il problema pare spostarsi da un dovere dell’autorità pubblica di
reprimere ad uno di coadiuvare le famiglie e le scuole nell’educare le nuove
generazioni allo sviluppo di uno spirito critico, che le renda libere di valutare
autonomamente ciò che le circonda.
Dovendo essere questo l’intervento principale, le misure di prevenzione e
repressione delle manifestazioni di pensiero assumono un ruolo sussidiario e
marginale. Non si vuole, per questa via, negare la opportunità di interventi
legislativi che comprimano la libertà di espressione, bensì sottolineare che tali
interventi da soli sono di scarso aiuto alla crescita delle nuove generazioni e di
eccessivo peso alla libertà di manifestazione del pensiero.
L’idea di una libertà sacra, intesa come qualcosa di esclusivo che non può venire a
patti con altri valori, si dimostra intrisa di un “optimisme naïf…frôlant
l’anarchisme”102. È proprio di un “liberalismo angelicato”103 chiedere la tolleranza
verso ogni forma di manifestazione del pensiero, in qualunque modo e in qualsiasi
forma espresso.
Ciononostante, l’idea di un’incondizionata libertà di manifestazione del pensiero
svolge un insostituibile ruolo di polo dialettico negli equilibri complessivi di un
sistema liberal-democratico, cosicché solo l’effettiva e concreta tutela di altri
principi costituzionalmente rilevanti possa giustificare una sua compressione.
Pertanto, solo se esistono non solo beni altrettanto rilevanti, ma anche misure
idonee a salvaguardarli, la libertà di espressione può essere vincolata.
102 H. BLIN – A. CHAVANNE – R. DRAGO, Traité du droit de la presse, Librairies techniques, Paris, 1969, p. 150.103 A. DI GIOVINE, op. cit., p. 88.
50
Nella prospettiva della tutela dei minori, occorre verificare se le recenti proposte
italiane e comunitarie di controllo sui media siano adeguate rispetto al fine, o se,
invece, “la libertà sia un male minore”104.
Scriveva Tocqueville nel diciannovesimo secolo, riferendosi all’unico grande
mezzo di comunicazione allora esistente: “alla libertà di stampa non mi lega quel
sentimento intero e naturale che ci fa prediligere le cose eminentemente buone per
se stesse: più assai che per i suoi benefici, sento d’esserle favorevole per la
considerazione dei mali che per essa si possono evitare. Se alcuno mai arrivasse
ad additarmi il giusto mezzo tra la completa libertà e l’assoluta servitù del
pensiero, e se in esso potessi sperare di sapermi mantenere, lo farei forse; ma chi
saprà trovare questo giusto mezzo?”105.
È naturale che nel passaggio dalla nozione filosofica di libertà a quella giuridica, e
dunque nel passaggio dalle coordinate teoriche a quelle pratiche , non esiste una
soluzione assolutamente giusta al bilanciamento tra diritto di espressione e altri
diritti costituzionali. Ogni decisione è il frutto di un’inevitabile forzatura e
semplificazione, cosa che induce a pensare che, nella dialettica fra securitaires e
libertaires106, non si affrontano una ragione ed un torto, ma piuttosto le ragioni fra
punti di vista ugualmente fondati sul piano teorico.
Sembra chiaro che esiste un punto di intolleranza nei confronti di determinate
manifestazioni del pensiero che contrastino con altri valori essenziali per
l’ordinamento.
104 N. BOBBIO, Libertà dello spettacolo e dello spettatore, in Cinema nuovo, 1962, p. 351. L’Autore si definisce nel passo un “liberale per forza” e non “per amore”. 105 A. DE TOCQUEVILLE, La democrazia in America, in Biblioteca di scienze politiche, I, Unione Tipografico-Editrice, Torino, 1884. 106 B. DE JOUVENEL, Du pouvoir, histoire naturelle de sa croissance, Les éditions du Cheval Aile, Genève, 1945, p. 414. Secondo l’Autore, i primi sono coloro che non si sentono mai abbastanza protetti, gli altri quelli che non si sentono mai abbastanza liberi.
51
Il problema che il diritto positivo deve affrontare non riguarda la loro esistenza,
ma l’individuazione del livello di attrito e della conseguente disciplina che
protegga tali valori senza intaccare quello della libertà di espressione, fermo
restando che il rapporto fra beni costituzionali non risponde ad una logica di
statica gerarchia, ma a una dinamica fluttuante sensibile anche ai mutamenti
sociali, quegli stessi che oggi fanno parlare più di tutela dei minori che di buon
costume107.
La problematica principale da affrontare non sta, quindi, nel rigore filosofico, si
potrebbe dire, delle misure di controllo della manifestazione del pensiero, ma
nella correttezza pratica di tali misure, che, nell’esperienza, dimostrano spesso di
ledere la libertà di espressione senza portare vantaggio agli altri beni in conflitto
con essa, siano essi il buon costume o, più recentemente, la tutela dei minori.
Già nel 1970 scriveva Bettinelli che “si tratta in sostanza di impostare una politica
legislativa tendente a sensibilizzare i consociati destinatari di queste
manifestazioni delittuose, rendendoli consapevoli dello sfruttamento e della
speculazione di cui sono succubi, attraverso un’assidua attività educativa108.
È in questo senso che i provvedimenti preventivi possono correttamente e
completamente definirsi adeguati. Interpretando tale termine sotto un duplice
profilo, e in relazione al conseguimento del fine e in relazione al metodo con cui
si vuole raggiungere il fine: nel rispetto, cioè, di quel sistema di libertà e di
inderogabili garanzie, cui si informa la Costituzione nella disciplina delle
manifestazioni del pensiero”109.
107 Per un’attenta analisi del principio del bilanciamento dei valori costituzionali v. A. DI GIOVINE, op. cit. e S. S. GONZALEZ, op. cit. 108 Del resto “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 comma 2 Cost.) e “proteggere…l’infanzia e la gioventù” (art. 31 comma 2 Cost.). 109 E. BETTINELLI, op. cit., p. 2009.
52
La ricerca delle modalità più idonee e meno invasive di controllo della libertà di
espressione insiste attualmente su due mezzi di diffusione del pensiero, Internet ed
il cinema.
Il primo perché, nella sua atipicità, ha creato una lacuna normativa difficile da
colmare, data la novità e la potenzialità del mezzo e l’inadeguatezza dei sistemi
normativi classici.
Il secondo perché è l’unico mezzo ancora sottoposto ad una vera e propria forma
di censura, che, oltre ad essere secondo alcuni incostituzionale, rischia di
diventare anche anacronistica nelle modalità e nei criteri di intervento.
In conclusione, è opportuno chiedersi, in relazione a queste due forme di
comunicazione, se davvero, come sostiene Bobbio, la libertà sia il male minore.
53
CAPITOLO II
LA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO NELLA
CINEMATOGRAFIA
SOMMARIO: II.1 La censura cinematografica: l’unico controllo preventivo della manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano – II.2 Le radici della censura cinematografica italiana – II.3 La legge n. 161/1962 sulla revisione dei film e dei lavori teatrali – II.4 La legittimità della legge n. 161/1962 – II.5 Il buon costume come parametro di valutazione per la concessione del nulla osta alla proiezione – II.6 L’osceno e l’opera d’arte – II.7 La legge n. 161 nella storia del cinema – II.7.1 Il metodo della contrattazione dei tagli – II.7.2 Il diniego di nulla osta alla proiezione – II.7.3 Il divieto di visione per i minori
II.1 La censura cinematografica: l’unico controllo preventivo della
manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano
Le misure di controllo della libertà d’espressione possono essere molteplici, come
si è visto nel capitolo precedente.
Gli ordinamenti più liberali tendono a preferire quelle repressive, che
intervengono dopo la diffusione del pensiero, piuttosto che quelle preventive, che
la impediscono a priori.
Nel vigente ordinamento italiano l’unica ed effettiva forma di discrezionale
controllo preventivo, ossia di censura in senso stretto1, è rappresentata dalla
revisione degli spettacoli cinematografici, stabilita dalla legge n. 161/1962 di
Revisione dei film e dei lavori teatrali2.
1 Per una definizione di censura come istituto di diritto pubblico consistente in un controllo preventivo della manifestazione del pensiero v. Corte cost. n. 31/1957 in Giur. Cost. 1957, p. 420; n. 115/1957 in Giur Cost. 1957, p. 115; n. 44/1960, in Giur. Cost. 1960, p. 677; n. 159/1970 in Giur. Cost. 1970, p. 209. 2
Merita di essere sottolineato che l’Italia non è l’unico Paese occidentale in cui vige la censura cinematografica. Così, negli Stati Uniti, un film può essere classificato come libero da vincoli, consigliato a tutti i minori solo se accompagnati da un adulto, consigliato a minori di tredici anni solo se accompagnati da un adulto, vietato ai minori di diciassette anni non accompagnati, vietato a tutti i minori di diciassette anni; in Gran Bretagna, oltre ad essere ammessa la proibizione assoluta di proiezione, i film si dividono tra adatti a tutti, vietati ai minori di quindici oppure diciotto anni, vietati ai minori di dodici anni non accompagnati, vietati a tutti i minori non
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Solo per questo tipo di spettacoli, a fronte della loro diffusività su larga scala e del
loro potere persuasivo, il legislatore ha percepito la necessità di attuare il limite
più efficace della libertà d’espressione. In tal modo, infatti, si elude il danno che
in certi casi l’espressione può recare alla collettività e che non potrebbe essere
evitato altro che parzialmente, qualora l’autorità intervenisse anche solo
immediatamente dopo la divulgazione.
L’istituto censorio, secondo questa concezione, “si dirige esclusivamente verso
quella libertà costituzionale che garantisce l’integrità dell’espressione del
pensiero”3, non potendosi accettare la definizione più generica di censura come
“controllo, da parte dell’autorità pubblica, sull’attività privata nella esplicazione
dei diritti di libertà”4.
È da rilevare, infatti, come l’unica volta che il termine viene impiegato è all’art.
21 Cost., in occasione del riconoscimento di una libertà riguardante l’esternazione
del pensiero5.
Per censura, dunque, si intende il controllo, da parte di un’autorità pubblica, su
una modalità di manifestazione delle idee, elaborato per vietare, in tutto o in parte,
l’esercizio del diritto di espressione ed effettuato in via discrezionale, sulla base di
regole e criteri adottati legislativamente. Tali criteri, naturalmente, debbono
modellarsi intorno ai valori e agli interessi protetti dalla Carta costituzionale,
concretizzando il bilanciamento tra principi dell’ordinamento giuridico, di cui il
costituente ha segnato le tracce.
accompagnati; anche in Francia è ammessa la proibizione assoluta della proiezione per un film, inoltre i limiti alla visione possono riguardare i minori di dodici, di sedici oppure di diciotto anni, oltre a limitare alcune pellicole ai circuiti X, cioè a luci rosse; in Germania si ha la possibilità di vietare la visione ai minori di quattordici o diciotto anni, consentirla a tutti, vietare totalmente la proiezione; in Spagna il visto censura non impone divieti ma suggerisce indicazioni. Sette, tredici o diciotto anni i limiti possibili, con facoltà al minore di entrare ugualmente. 3 P. BARILE, Costituzione, censura, cinematografia e autorità giudiziaria in Studi in memoria di Carlo Furno, Giuffrè, Milano, 1973, p. 66. 4 G. SABATINI, voce Censura, in Noviss. Dig. It., III, Utet, Torino, 1959, p. 104. 5 S. FOIS, voce Censura, in Encicl. Dir., Giuffrè, Milano, 1958, p. 718.
55
La legittimità dell’istituto risiede, pertanto, nella ragionevolezza sostanziale della
legge, che deve saper interpretare e dare attuazione agli equilibri costituzionali, in
modo tale che “le censure dovranno essere ritenute ammissibili purché finalizzate
ad assicurare esclusivamente il rispetto dei limiti sostantivi della libertà di
espressione”6.
La scelta del legislatore italiano di sottoporre a misure preventive le sole forme di
manifestazioni del pensiero teatrali e cinematografiche poggia su una loro
peculiare forza comunicativa.
In virtù della diffusione, con la quale il film viene tradotto nella dimensione
sociale e diventa strumento di comunicazione del pensiero, idoneo, per la sua
funzione educativa, così a promuovere come a mettere in pericolo l’interesse
pubblico, la produzione cinematografica sottostà al principio generale dell’art. 21.
Eppure, “vi è una sostanziale differenza, che rende possibile e necessaria una
diversa disciplina fra la stampa e gli altri mezzi di espressione del pensiero.
La comunicazione attraverso la stampa fa assegnamento sull’iniziativa
individuale: per quanto accessibili al pubblico, mezzi come un libro o un giornale
presuppongono destinatari che vogliano assoggettarsi a ricevere l’espressione del
pensiero altrui (…) Non è così per gli altri mezzi di comunicazione che operano
impersonalmente su di una dimensione sociale e contano su di una riconoscibilità
quasi automatica da parte della massa”7.
Nella dialettica fra le due categorie di interesse, quello alla libertà di espressione e
quello alla difesa sociale dai pericoli che questa può nascondere8, “per influenza
sul modo di pensare e di agire della massa di spettatori e per deficienza di auto-
6 S. FOIS, voce Censura, op. cit., p. 720. 7 E. BETTI, Il controllo del diritto sull’attività cinematografica, in Riv. Dir. Ind., 1962, p. 35. 8 C. ROEHRSSEN, intervento al Convegno del Centro internazionale di studi giuridici sulla stampa e lo spettacolo, Treviso e Venezia, 30 settembre- 2 ottobre 1960, in Rass. Dir. Cinem.,fasc. novembre-dicembre 1960.
56
controllo da parte del produttore”, l’autorità amministrativa è chiamata ad una
funzione di difesa sociale da “un danno o un pericolo all’interesse pubblico”9.
L’affermazione del regista Michel Carné, secondo cui “la censura è una
manifestazione di paura” poiché “vietare certi temi significa confessare la propria
impotenza di fronte a problemi di ordine sociale o morale”10 sembra, più che
provocatoria, estremamente realistica.
II.2 Le radici della censura cinematografica italiana
È forse un “atteggiamento di particolare diffidenza”11 nei confronti delle
manifestazioni di pensiero in forma di spettacolo che lega la revisione
cinematografica attuale ai suoi precedenti storici, a partire dalla legge di pubblica
sicurezza n. 3720/1859, che subordinava le attività di pubblico intrattenimento
alle valutazioni pienamente discrezionali della polizia.
Più tardi, in sintonia con la legislazione regia12, il fascismo intraprese una rapida
strada verso il controllo totale dei veicoli di diffusione del pensiero, con
particolare riguardo del mezzo cinematografico.
Tralasciando il controllo del teatro, della radio e dell’editoria, la parabola della
disciplina relativa agli spettacoli cinematografici comincia con la legge n.
785/1913, che autorizzava il governo alla “revisione”. Nel suo regolamento
esecutivo, in un successivo decreto n. 1953/1919, nel regio decreto n. 3287/1923
9 E. BETTI, op. cit., p. 39. 10 M. CARNÉ, in L. COSTANTINI, La fiera del cinema, Roma, 1960, p. 28. 11 P. CARETTI, Diritto pubblico dell’informazione, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 137. 12 Progressivamente, il decreto legge n. 532/1914, gli ordini di servizio del ministero dell’Interno del 1916 e 1917, il regio decreto legge n. 1954/1919, il regio decreto legge 531/1920 vietavano le pellicole che mettevano in buona luce i delitti o giustificavano i rei, riproducevano ambienti di depravazione o malavita, esaltavano i sentimenti dell’odio o della vendetta, avvilivano i fautori della morale o deprimevano l’azione dell’autorità nella tutela dell’onestà e della bontà contro il vizio, divulgavano vizi e abitudini antisociali, mettevano in luce l’adulterio determinato da pura abiezione sessuale, insistevano in atteggiamenti erotici provocanti, davano veste di credibilità a sortilegi, fatture, stregonerie, riproducevano sevizie familiari ripugnanti, non rispettavano il culto dei morti, offendevano o turbavano l’autorità o il prestigio dei pubblici ufficiali.
57
fino al regio decreto n. 635/1940 si imposero i motivi del divieto di nulla osta in
generici richiami a morale, a buon costume, a reputazione e decoro nazionale,
ordine pubblico, apologia di un vizio o di un delitto, eccitamento dell’odio, offesa
delle principali cariche politiche.
Nella morsa protezionistica di una legislazione di controllo e, insieme, di
promozione13, il cinema divenne un veicolo di cultura e propaganda.
Nel gennaio 1937 il Ministro della cultura popolare poteva affermare davanti al
Senato che la nuova produzione cinematografica aveva eliminato “tutto ciò che è
in antitesi con la morale del fascismo e la sua concezione di vita. Infatti non
ammettiamo le produzioni che consentano la casistica morale o inisinuino il
dubbio sulle immutabili direttive della coscienza individuale (…) Sono 700.000
gli italiani che frequentano ogni giorno il cinematografo, quindi il controllo dello
Stato non può non essere particolarmente vigile a tutela soprattutto del Regime e
della sanità della Razza”14.
Conclusa la guerra e intrapresa l’instaurazione di una Repubblica costituzionale,
dopo che la censura aveva lavorato alacremente, si provvide ad abrogare gran
parte dell’impalcatura dei controlli preventivi con il decreto n. 678/1945.
Rimaneva, tuttavia, in vigore la revisione dei film, limitatamente al prodotto
finito, per offesa al pudore, alla morale, al buon costume, alla pubblica decenza, al
decoro e al prestigio delle istituzioni, per contrarietà all’ordine pubblico, al
sentimento nazionale o religioso, per apologia o istigazione di reato, per
incitamento all’odio o all’avversione tra le classi sociali15. Molti di questi motivi
13 L’atteggiamento del legislatore fascista nei confronti della cinematografia non fu solo censorio. Al contrario, nel quadro di un sistema di rigidi controlli sui contenuti, furono promosse anche significative azioni di sostegno e promozione, ad esempio la creazione dell’Istituto cinematografico educativo Luce e il Centro sperimentale per la cinematografia, creati rispettivamente con decreto legge n. 1985/1925 e n. 419/1942. 14 Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Cultura Popolare, busta 113, fascicolo 2, in M. CESARI, La censura nel periodo fascista, Liguori Editore, 1978, p. 69. 15 Artt. 3 e 4 r.d. n. 3287/1923.
58
non trovavano più fondamento nella neonata Costituzione ed urgeva una nuova
disciplina che tenesse conto del dettato dell’art. 21 Cost.16.
La politica paternalistica del fascismo, che fece dire nel 1940 al Ministro della
cultura popolare “l’educazione estetica del popolo fa parte dell’educazione
etica”17, era conclusa; l’esigenza di controllo sulla libertà di espressione si
restringeva al “comune sentimento del pudore” o della “morale” o, infine,
all’incitamento al “tumulto” e alla “commissione di reati”18.
Il mantenimento della censura pareva, così, inevitabile, ma si richiedeva un
rinnovamento della legislazione fascista che eliminasse gli eccessivi poteri
dell’esecutivo sull’espressione cinematografica19.
Con la legge n. 897/1956 il Parlamento si ripromise di rivedere le norme sulla
censura dei film, con la chiara intesa che queste avrebbero dovuto essere conformi
al dettato costituzionale. Dopo vari, inutili tentativi20 si arrivò alla legge n.
161/1962.
II.3 La legge n. 161/1962 sulla revisione dei film e dei lavori teatrali
Nella versione originale della legge e del suo regolamento di esecuzione21, che
solo negli ultimi anni hanno subito alcune variazioni, la proiezione dei film era
soggetta a nulla osta del Ministro del turismo e dello spettacolo, previo parere
conforme di speciali commissioni di primo e secondo grado (art. 1). Oltre a poter
16 V. i dubbi sulla legittimità dei criteri di censura espressi da S. FOIS, voce censura, op. cit.17 Archivio centrale dello Stato, Ministero della Cultura Popolare, busta 11, fascicolo 154, in M. CESARI, op. cit., p. 104. 18 Disegno di legge n. C2306, presentato alla Camera dei deputati il 14 giugno 1956, decaduto con la fine della legislatura, in Giur. Cost. 1958, p.758 ss. 19 V. la mozione rivolta al Parlamento e votata dall’assemblea dell’associazione Cinema libero il 23 aprile 1955, in E. CONTINI, G. VISENTINI, Libero cinema in libero stato, Associazione italiana per la libertà della cultura, Roma, 1955, p. 33. 20 Disegni di legge Segni del 1956, Zotta del 1959, Simonacci e Borin del 1961. 21 L. n. 161/1962, G. U. n. 109 del 28 aprile 1962; D.P.R. n. 2029/1963, G. U. n. 14 del 18 gennaio 1964.
59
negare il nulla osta, si prevede la possibilità di rilasciarlo limitando l’accesso alla
visione ai minori di anni quattordici o diciotto (art. 5).
Il divieto generale di proiezione viene stabilito nei confronti di quelle opere che
costituiscano offesa al buon costume, da intendersi ai sensi dell’art. 21 Cost. (art.
6).
I minori, invece, possono non essere ammessi in base a motivazioni più ampie,
elencate all’art. 9 del regolamento esecutivo.
Contro il diniego alla proiezione delle commissioni è previsto ricorso al Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale, la cui pronuncia, anche nel merito, tiene luogo del
nulla osta a tutti gli effetti e senza altre formalità. Per evitare i divieti, è previsto
un potere di mediazione e di componimento attribuito ai commissari, che possono
invitare il produttore, o chi richiede l’autorizzazione, a sopprimere o modificare
singole scene, sequenze o battute (art. 11 del regolamento esecutivo).
Il controllo amministrativo delle commissioni non preclude, ad ogni modo, il
sequestro delle pellicole e l’instaurazione di procedimenti penali per reati
d’opinione, a seguito dei quali tutte le copie di un film possono essere tolte dalle
sale cinematografiche.
Le opere teatrali, invece, subivano un controllo meno ferreo. Solo se
appartenevano al genere di riviste musicali o opere coreografiche necessitavano
del nulla osta, mentre negli altri casi la visione era libera per i maggiorenni e
vincolata all’autorizzazione per i minorenni.
Attualmente, gli articoli di legge inerenti la censura teatrale sono stati abrogati ed
è rimasta in piedi, ultimo baluardo di difesa del buon costume, solo la censura
cinematografica, seppur con alcuni cambiamenti.
In seguito al referendum popolare svoltosi nel maggio 1993, che ha abrogato la
legge n. 617/1959 istitutiva del Ministero del turismo e dello spettacolo, il
60
Governo ha emanato una serie di decreti legge per il riordino delle funzioni di
detto dicastero, l’ultimo dei quali è stato convertito con decreto legge n. 203/1995,
poi sostituito dal decreto legislativo n. 3/199822. Questo affida le funzioni
amministrative in materia di censura al Ministero dei beni culturali, che le esercita
sentite le commissioni, la cui composizione viene cambiata inserendo un docente
di diritto, uno di psicologia ed uno di pedagogia, due esperti di cultura
cinematografica, due rappresentanti dei genitori e due delle categorie di settore
maggiormente rappresentative.
Al di là delle modifiche appena citate, rimane da accertare la compatibilità
costituzionale delle norme che tuttora prevedono e regolano la censura. Se è vero
che non c’è comma della Costituzione che ne vieti l’operatività, è anche vero che
non c’è neppure nessun comma che ne prescriva il funzionamento.
Secondo Fragola, “il problema della censura (o della revisione cinematografica,
come si può dire più eufemisticamente), è stato sdrammatizzato, almeno dal punto
di vista costituzionale ed amministrativo, con l’entrata in vigore della legge n.
161/1962”.
Tuttavia, se l’attuale legge n. 161 “ha relegato nel campo dell’archeologia” gran
parte delle questioni di costituzionalità che costituivano retaggio del periodo
fascista, “nuovi dubbi e nuove complicazioni sono sorti: perché il diritto ha questo
di affascinante: che il sipario non cala mai e sorprese sono sempre da attendere”23.
22 A. SIMONCINI, Decreti legge reiterati e sistema delle fonti: il caso della riforma della censura cinematografica, in U. DE SIERVO, Osservatorio sulle fonti, Giappichelli, Torino, 1996, p. 107 ss. 23 A. FRAGOLA, La cinematografia nella giurisprudenza, CEDAM, Padova, 1966, p. 16.
61
II.4 La legittimità della legge n. 161/1962
La nascita di questa legge deriva dal silenzio dell’art. 21 Cost., che, vietando
l’adozione di controlli preventivi solo per la stampa, lasciò aperta la possibilità di
una disciplina di revisione per gli altri mezzi.
Si acconsentì, in questo modo, alla sopravvivenza di una tecnica di controllo della
libertà d’espressione già usata nei periodi precostituzionali, adeguandola
naturalmente ai nuovi valori democratici che la Costituzione richiamava.
Già in sede di Assemblea Costituente si manifestò decisa la tendenza a consentire
limitazioni più estese per quanto riguarda i mezzi di manifestazione del pensiero
diversi dalla stampa, soprattutto nell’interesse della pubblica moralità. Fin dalla
relazione della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato –
I Sottocommissione, Problemi costituzionali – fu manifestata l’opportunità di
stabilire un’eccezione al divieto di censura preventiva, soprattutto a tutela della
pubblica moralità, in specie per la cinematografia, per le rappresentazioni teatrali
e per la radiofonia24.
Forte dell’opinione espressa dal costituente, cristallizzata nel combinato disposto
dei commi 2 e 6 dell’art. 21 Cost., il legislatore ha redatto una legge “in parte
equivoca ed in parte arretrata”25.
Tuttavia, non pare sostenibile la tesi della sua contrarietà alla Costituzione,
nonostante da più parti sia stata sostenuta. Una corrente di minoranza sostiene,
infatti, che la censura sia incostituzionale, dal momento che l’art. 21 Cost.,
riferendosi contemporaneamente alla stampa e agli spettacoli e sottoponendoli al
medesimo limite del buon costume ed escludendo categoricamente per la prima la
24 V. FALZONE, F. PALERMO, F. COSENTIN, La Costituzione della Repubblica italiana: illustrata con i lavori preparatori, Colombo, Roma, 1969, p. 72; R. CHIEPPA, Libertà di stampa e buon costume, in Civitas, 1952, 1, p. 85 ss.; R. CHIEPPA, Cinematografia e libertà di pensiero,nota a Giur. Cost. 1957, p. 150 ss. 25 A. FRAGOLA, voce Cinematografia, in Appendice al Noviss. Dig. It., Utet, Torino, 1980, p. 1177.
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censura preventiva, non può prevederla neppure per gli spettacoli26. Ma la
maggioranza degli scrittori ha replicato che tale ragionamento è in contrasto con
lo stesso secondo comma, che esclude la censura solo ed espressamente nei
confronti della stampa, e con il sesto comma, da intendersi nel senso che la legge
possa prevenire le violazioni del buon costume ricorrendo anche alla censura.
Al di là della conformità formale della legge alla Costituzione, occorre comunque
rilevare che, se una revisione preventiva non costituisce violazione della Carta,
non costituisce neppure adempimento di un obbligo, dato che il comma 6 parla di
“provvedimenti adeguati a prevenire” e non di censura. “Dall’affermazione della
legittimità costituzionale della censura preventiva anche amministrativa (…) ad
affermare che la sola censura ammissibile, o comunque che la censura più
corretta, sia quella amministrativa, ci corre”27.
Altri strumenti sarebbero stati possibili, dall’autocensura attuabile tramite codici
di comportamento per produttori ed autori28 all’accertamento penale preventivo,
vale a dire un giudizio penale obbligatorio per tutti i film che avrebbe forza di
precludere ogni intervento repressivo29. Affine a questa ipotesi è la proposta di
una licenza giudiziaria penale, ossia di un procedimento volontario di
accertamento penale preventivo, cui gli interessati potrebbero sottoporsi prima di
mettere in circolazione il film30.
Ci si è domandati, nella materia del processo penale, se una giuria popolare, ma
non volontaria, sarebbe da preferire ai giudici togati, dato che la prima sembra
rispecchiare con più fedeltà il comune senso del pudore e del buon costume,
26 G. MOSCON, Censura illegittima, Eliograf, Roma, 1961, p. 19; relazione degli onn. GIANQUINTO e CARUSO, durante la discussione parlamentare sulla legge n. 161, in E. CAPACCIOLI, P. RUSSO, Codice dello spettacolo, Giuffrè, Milano, 1963, p. 119 ss. 27 P. BARILE, Costituzione, censura, cit., p. 69. 28 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984, p. 261..29 F. CARNELUTTI, Accertamento penale preventivo, in Riv. Dir. Proc., 1961, I, p. 177. 30 L. BIANCHI D’ESPINOSA, Sulla censura cinematografica, in Giustizia e Costituzione, 1970, p. 18 ss.
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concetti a cui deve necessariamente far riferimento la motivazione della
decisione31. Meno persuasive sono le proposte di misure intermedie tendenti a
coordinare l’azione preventiva della censura con quella repressiva del giudice, ad
esempio permettendo alla magistratura di perseguire l’opera che ha avuto il visto
della censura, ma non ammettendone il sequestro se non dopo la sentenza e
prevedendo un’attenuazione di pena in questo caso32.
Da ultimo, più voci sostengono l’inutilità della revisione preventiva, in un sistema
che, tramite il giudizio penale, tutela già sufficientemente il buon costume e “ha
vanificato l’ingerenza della censura amministrativa”. L’autonomia dell’autorità
giudiziaria rispetto a quella amministrativa è stata sin dagli inizi proclamata senza
tuttavia una denuncia di irragionevolezza della disciplina, che forse “anche sotto il
profilo della inadeguatezza avrebbe potuto dar luogo a questioni di legittimità
costituzionale non manifestamente infondate”33.
In conclusione, anche negando l’incostituzionalità della censura, se, da un lato, si
tiene conto del fatto che legittimità costituzionale non significa obbligo
costituzionale34 e, dall’altro, si ricorda il disagio nascente dalla coesistenza della
censura amministrativa con il potere affidato ai pubblici ministeri di chiedere
l’incriminazione di ogni film anche provvisto di nulla osta35, “è assolutamente
chiara la sua inopportunità, almeno sotto la forma attuale della censura
amministrativa”36.
31 P. BARILE, Diritti dell’uomo, cit., p. 263. 32 A. C. JEMOLO, in Il corriere della sera, 17 giugno 1969, citato da P. BARILE in Costituzione, censura, cit., p. 71. 33 A. FRAGOLA, voce Cinematografia, op. cit., p. 1178. 34 On. PAOLICCHI, intervento alla discussione della legge n. 161/1962, in E. CAPACCIOLI, P. RUSSO, Codice dello spettacolo, Milano, 1963, p. 454 ss. 35 Disagio tanto estremo che si è ipotizzata persino un’efficacia scriminante oggettiva della licenza amministrativa nel processo penale, C. MIGNONE, Limiti all’intervento dell’autorità giudiziaria in materia cinematografica, in Foro it., 1966, p. 361. Secondo la concorde giurisprudenza della Corte costituzionale, comunque, gli accertamenti dell’autorità amministrativa non tolgono libertà di apprezzamento del giudice, Corte cost. n. 70/1961 Giur. Cost. 1961, p. 1282; n. 94/1962 in Giur. Cost. 1962, p. 1379; n. 63/1963 in Giur. Cost. 1963, p. 548.36 P. BARILE, Costituzione, censura, cit., p. 72.
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La possibilità, infatti, del giudizio penale non solo la rende inutile, ma forse
dannosa, poiché, essendo il giudice chiamato ad esprimersi sulla violazione del
buon costume, la sua decisione sarà sempre fortemente influenzata, sotto un
profilo umano, dal parere dei censori amministrativi, tanto che si è giunti ad
affermare che la presenza del nulla osta esclude di per sé il dolo37.
In sintesi, secondo autorevole dottrina38, la scomparsa dell’istituto censorio non
solo non avrebbe privato di adeguate garanzie la tutela del buon costume,
considerato l’intervento a posteriori dell’autorità giudiziaria, ma avrebbe anche
evitato le numerose ipotesi di conflitto derivanti da questo doppio regime, che in
certi casi hanno portato all’incriminazione da parte della magistratura di membri
delle stesse commissioni di censura39.
Ad ogni modo, lasciare in vigore solo l’intervento repressivo del giudice penale
non risolve i più gravi problemi sostanziali circa la discrezionalità dell’autorità
competente nel valutare la contrarietà o meno dell’opera al buon costume.
II.5 Il buon costume come parametro di valutazione per la concessione del
nulla osta alla proiezione
La legge in esame “può far pensare ad una soluzione all’italiana”40, giacché l’art.
6, premesso al primo comma che vanno colpiti i film che rechino in tutto o in
parte offesa al buon costume, al secondo stabilisce che il riferimento al buon
costume si intende fatto ai sensi dell’art. 21 Cost.
37 P.NUVOLONE, Premesse di diritto penale cinematografico, in Riv. Dir. Ind., 1959, p. 215; D. SANTAMARIA, Interpretazione e dommatica nella dottrina del dolo, Morano, Napoli, 1961, p. 3055; G. VASSALLI, Censura cineteatrale e leggi penali, in Riv. It. Proc. Pen., 1961, p. 657 ss.38 V. anche P. CARETTI, Diritto pubblico e dell’informazione, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 155, secondo il quale la soppressione del Ministero del turismo e dello spettacolo ha rappresentato un’occasione persa per un ripensamento complessivo della censura amministrativa. 39 V. Trib. Milano 29 febbraio 1964 per il film I dolci inganni, che ha accennato ad un ipotizzabile concorso dei censori “per aver violato il loro dovere consistente nell’impedire la rappresentazione dell’opera”, in Rass. Dir. Cinem., 1964, p. 26; Trib. Roma 21 dicembre 1963 per il film Mondo di notte n. 3, ove si legge l’obbligo dei censori di “rilasciare il visto di proiezione, ma di denunciare il fatto delittuoso all’autorità giudiziaria”, in Rass. Dir. Cinem., 1964, p. 22.
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Non è difficile immaginare come attorno a questa formula, “neppure tautologica
ma probabilmente astuta quanto immobilista”41, si sarebbe acceso il fuoco di un
dibattito parallelo a quello riguardante la generica definizione di buon costume.
L’enigmaticità dell’espressione e della sua propaggine penalistica di comune
sentimento del pudore permane, a dispetto della giurisprudenza sovrabbondante42
e dell’ottimismo della Corte costituzionale, secondo cui “non v’è momento in cui
il cittadino, e tanto più il giudice, non siano in grado di valutare quali
comportamenti debbano considerarsi osceni secondo il comune senso del pudore,
nel tempo e nelle circostanze in cui essi si realizzano”43.
Si è già visto, nel primo capitolo, come il concetto di buon costume non sia stato
definito dal legislatore costituente, il quale si è semplicemente limitato a
differenziarlo da quello di morale comune.
Lo Stato italiano, lungi dall’essere uno Stato etico che tutela alcuni valori ideali in
assoluto, non si avvale della censura come strumento di educazione, per cui il
buon costume debba essere inteso come boni mores, ma tutela quei sentimenti che
la comunità reputa come beni primari, cosicché il buon costume “è un sentimento
individuale o collettivo, al tempo stesso, che trova la sua rispondenza in quel
complesso di norme, per di più mutevoli nel tempo e nello spazio, che esistono in
noi stessi in quanto partecipi di una comunità civile”44.
La prassi giurisprudenziale e la dottrina hanno poi ristretto la concezione di buon
costume nell’ambito penalistico del termine, come offesa al comune senso del
40 A. FRAGOLA, voce Cinematografia, cit., p. 1177. 41 A. FRAGOLA, voce Cinematografia, cit., p. 1177. 42 “La nozione di comune sentimento del pudore ha dato luogo ad un nutrito campionario nel quale c’è tutto ed il contrario di tutto”, A. FRAGOLA, La cinematografia nella giurisprudenza, cit., p. 227.43 Corte cost. n. 191/1970, in Giur. cost. 1970, p. 2199.44 A. FRAGOLA, Aspetti amministrativi e civilistici della nuova disciplina della revisione dei film,in Atti dei congressi C.I.D.I.S., Venezia, p. 483.
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pudore, per evitare che una clausola troppo ampia lasciasse un eccessivo potere di
valutazione in mano ai commissari di censura o all’autorità giudiziaria.
Ricordate queste premesse, è interessante sottolineare che nei lavori preparatori
alla legge n. 161 il Parlamento si sforzò a lungo per trovare una definizione di
buon costume accettabile da ogni parte, ma i tentativi furono inutili45. Il dettato
della legge, pertanto, si risolve in un’affermazione d’impotenza rispetto
all’interpretazione della norma costituzionale da parte del legislatore ordinario. Il
risultato finale è stato quello di affidare ai commissari di censura e alla loro
sensibilità personale la concreta definizione della clausola, seppure sulla base
delle oscillanti interpretazioni costituzionali.
“È mancata, per dirla tutta, l’assistenza di una dottrina che, troppo impegnata a
sottilizzare su alcuni concetti appartenenti più ai distretti della storia e della
sociologia, è spesso caduta in bizantinismi e moralismi devianti al punto che si è
creato un vicolo cieco dal quale le magistrature di merito cercano di uscire,
appiccicando l’etichetta di artisticità alla maggior parte dei film accusati di essere
in tutto o in parte osceni”46.
La carta bianca lasciata alle autorità competenti, sia in sede preventiva che
repressiva, ha fatto sorgere, tra l’altro, seri problemi di capacità e di idoneità dei
giudici a pronunziarsi al riguardo, cercando l’ausilio di periti o l’appoggio della
critica cinematografica per qualificare e quantificare i livelli di artisticità47.
Nonostante i fiumi di parole spesi, le contraddizioni sono state evidenti. Basta
richiamare un caso per tutti, quello del film Ultimo tango a Parigi di Bernardo
45 E. CAPACCIOLI- P. RUSSO, op. cit. 46 A. FRAGOLA, voce Cinematografia, cit., p. 1178. 47 V. il ricorso avverso la sentenza del T.A.R. Lazio promosso dalla Società Cecchi Gori Group per il fatto che non fu accolta la richiesta di disporre una perizia sulla portata dei messaggi espressi dalla pellicola Pulp fiction. La Corte (sent. n. 709/1995) respinse la richiesta di perizia, concludendo nel senso della sua “idoneità a verificare se la pellicola sia priva o meno di messaggi suscettibili di incidere negativamente sulla morale dei minori e sulla loro sensibilità. Tale
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Bertolucci, che, dopo il parere sfavorevole alla concessione del nulla osta in data
30/10/1972, fu ammesso due anni dopo alla programmazione obbligatoria ai sensi
della legge n. 1213/1965, grazie ai suoi requisiti di artisticità, spettacolarità,
assenza di sfruttamento volgare di temi sessuali.
II.6 L’osceno e l’opera d’arte
“Ritenuto che l’ultimo comma dell’art. 21 della Costituzione, pur vietando lo
spettacolo cinematografico contrario al buon costume, non intacca il principio
fondamentale del successivo art. 33 sulla libertà dell’arte (…) non può essere
considerata contraria al buon costume l’opera cinematografica riconosciuta dagli
organi competenti quale opera d’arte”48.
La presunta incompatibilità tra arte49 ed osceno, inteso questo come ciò che
offende il comune senso del pudore ed è, dunque, contrario al buon costume, ha
ampiamente occupato le discussioni dottrinarie senza, peraltro, arrivare ad una
definitiva conclusione50.
La questione tocca solo in maniera tangenziale la revisione preventiva delle opere
filmiche. Infatti, ai commissari non sono affidate funzioni di valutazione circa
l’artisticità delle pellicole, “essendo fin troppo ovvio che non è compito
dell’autorità amministrativa (…) esprimere giudizi artistici che spettano alla libera
conclusione non potrebbe essere superata sul presupposto della riduzione del ruolo del giudice alla sola conoscenza della normativa giuridica”. 48 Convegno di studio “Enrico De Nicola”, Como, 1962, in P. BARILE, Costituzione, censura, cit.,p. 82. 49 Si precisa che, ai fini della presente problematica, opera d’arte non equivale a capolavoro, “altrimenti soltanto pochissimi film contenenti scene intrinsecamente oscene si salverebbero”, Trib. Avellino, 16 dicembre 1996, in Giur. Merito, 1997, p. 567. 50 D. SPIRITO, Profili storico-dommatici della problematica arte-osceno, Jovene, Napoli, 1981; A. CERRI, Opera d’arte e buon costume, in Giur. Cost., 1976, p. 2317 ss.; A. BATTAGLIA, L’osceno nell’opera d’arte, in Dem. Dir., 1960, p. 67 ss.; P. NUVOLONE, Prevenzione e repressione in tema di spettacoli cinematografici osceni, in Riv. It. Proc. Pen., 1961, p. 15 ss.; R. VENDITTI, La tutela penale del pudore e della pubblica decenza, Giuffrè, Milano, 1963; G. LATTANZI, La rappresentazione cinematografica, opera di scienza o di arte, e riflessi penali in caso di oscenità, in Riv. Pen., 1961, p. 453; CARNELUTTI, Arte ed oscenità, in Foro it., 1947, p. 94.
68
critica”51. Tuttavia, benché non si effettui una vera e propria valutazione peritale,
è indubbio che un implicito giudizio sui pregi artistici sia svolto anche in questa
sede, come dimostrano i verbali delle commissioni censorie dei primi anni
Settanta, dai quali si ricava l’importanza crescente dell’eventuale connotato
artistico dell’opera, anche ai fini dell’individuazione di una sorta di esimente per
concedere la programmazione del film52. D’altra parte, nel momento in cui la
commissione valuta l’offesa al buon costume, appare evidente che non possa
prescindere dal potenziale carattere artistico, in presenza del quale il giudizio di
oscenità potrebbe essere superato.
Si è già visto, nel primo capitolo, che parte della dottrina considera l’espressione
artistica materia privilegiata e libera anche di offendere il buon costume, sulla
base dell’art. 33 Cost. Al di là delle convincenti repliche mosse a questa lettura,
bisogna ammettere che il controllo preventivo e repressivo sull’attività
cinematografica si è spesso tradotto in una verifica del livello qualitativo dei film,
con conseguente autorizzazione alla proiezione per le opere che, seppur oscene,
presentano i requisiti di artisticità. Merita di essere menzionato, anche se attiene
all’indagine penale, un esemplare passo della motivazione della sentenza con cui
il Tribunale di Venezia assolse dall’imputazione di oscenità il film Teorema di P.
P. Pasolini: “la realizzazione della pellicola non ha tradito i proponimenti del
regista, la serietà e l’impegno del contenuto trovano rispondenza nella perfetta
ambientazione, nell’eccellenza della fotografia, nella essenzialità della costruzione
51 Commissione di primo grado, 28 luglio 1966, n. 589, citato in F. RIMOLI, La libertà dell’arte nell’ordinamento italiano, CEDAM, Padova, 1992, p. 327. 52 U. DE SIERVO, Gli attuali problemi relativi alla prevenzione e repressione degli spettacoli cinematografici contrari al buon costume, in AA. VV., Intervento pubblico e libertà d’espressione nel cinema, nel teatro e nelle attività musicali, Quaderni ISLE, Giuffrè, Milano, 1974, p. 303.
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filmica, nella sobrietà imposta alla recitazione degli attori (…) Ci si trova
indubbiamente dinanzi ad un’opera valida nel suo complesso”53.
I pareri sul nulla osta e le sentenze in sede penale hanno così avuto come punti
costituzionali di riferimento sia l’art. 21 che l’art. 33 Cost., “tenuto conto della
[loro] complementarietà”, in base alla quale “deve escludersi, comunque, che il
riconosciuto valore artistico di un’opera cinematografica importi di per sé la sua
libera ed incondizionata visione al pubblico”54.
Il dilemma ha coinvolto soprattutto i tribunali, chiamati ad applicare l’art. 529
c.p., che al secondo comma recita “non si considera oscena l’opera d’arte o
l’opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in
vendita, venduta o comunque procurata a persone minori degli anni diciotto”. È
evidente la ratio della norma di rendere libere la ricerca e l’espressione nei settori
indicati; l’unica remora si riferisce alla tutela dei minori, del resto legittima sotto
il profilo costituzionale, considerati gli artt. 30 e 31 Cost.
Nei lavori preparatori della legge n. 161 fu più volte affermato che anche l’opera
cinematografica, nell’ipotesi che raggiunga il grado di opera d’arte, può fruire
dell’esimente di cui al secondo comma dell’art. 52955. Da ciò si sono aggiunti, ai
dubbi circa l’interpretazione del buon costume, altri circa la definizione di arte e
la legittimazione delle autorità giudiziarie e censorie a esprimere giudizi validi sui
requisiti artistici.
Quando un’opera può dirsi artistica? Quando e secondo quali criteri è giusto
bandirla in nome dell’offesa al comune sentimento del pudore? E inoltre, non si
rischia, per questa via, di giustificare la libertà di espressione e l’esigenza di
53 Trib. Venezia, 23 novembre 1968, in Giur. Mer., 1969, p. 465. 54 Cons. di Stato, n. 139/1996, in Giur. Cost, 1996, p. 1249; v. anche Corte d’Appello di Roma, 15 aprile 1982, in Riv. Giur. scuola, 1986, p. 225. 55 E. CAPACCIOLI, P. RUSSO, op. cit., p. 201.
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rappresentabilità del reale solo con l’arte, da cui le parole di Pasolini “o fai della
poesia o vai in prigione”56?
Non a caso, si è tentata una via di fuga al problema sostenendo che “potrà darsi in
concreto il caso che il soggetto [autore] sia consapevole dell’oscenità, come
nozione statica, credendo però di fare opera d’arte: in tal caso dovrà escludersi, sul
piano del fatto, la coscienza dell’oscenità”57.
Che le manifestazioni del pensiero debbano essere garantite anche in virtù dei loro
pregi qualitativi resta un punto fermo di dottrina e giurisprudenza; che, però,
“delegare agli altri, censori o giudici, la propria protezione morale – ché di certo il
buon costume è parte della morale – mediante l’affidamento ad essi del rilascio
perfino di patenti di artista, è segno di sfiducia nell’uomo e nella ragione”58. È
davvero pericoloso porre l’alternativa oscenità – opera d’arte, dovendo prima
definire in modo esaustivo i due concetti, poi decidere se risulta decisiva
l’intenzione del giudice o il risultato finale dell’opera, senza considerare peraltro,
la possibilità di sconfinare in intenti pedagogici che vorrebbero l’arte un veicolo
di educazione. In particolar modo, “il grado di ambiguità delle opere
contemporanee è elevatissimo”59 e rende più arduo stabilire i confini fra una
manifestazione provocatoria delle proprie idee ed una indecente.
Rispetto alla contrapposizione netta tra arte ed oscenità, sembra più saggia la
convinzione che “anche l’opera d’arte potrebbe offendere il comune sentimento
del pudore”60, ben potendo procurare “emozioni forti, sconvolgimenti profondi ed
56 P.P. PASOLINI, Libertà e sesso secondo Pasolini, in Corriere della sera, 4 febbraio 1973. L’artista prosegue affermando che tale dilemma nasce da “un’idea spiritualistico-borghese dell’arte, che prevede una società selettiva in cui ci siano delle cerchie capaci di avere sentimenti e idee preclusi di fatto alla massa”. 57 F. BRICOLA, Limite esegetico, elementi normativi e dolo nel delitto di pubblicazioni e spettacoli osceni, in Riv. Dir. Proc. Pen., 1960, p. 780. 58 P. BARILE, voce Libertà di manifestazione del pensiero, cit., p. 464. 59 D. FERRATO, L’osceno ed i film di Pasolini e Bertolucci, in Riv. di polizia, 1973, p. 330. 60 Cass., sez. III, n. 391/1970, in Mass. 1970, n. 115074-115075.
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eccitazioni di ogni genere (…) purché ciò sia fatto raggiungendo un livello tecnico
relativo apprezzabile e, secondo quanto avviene in gran parte dei casi,
intenzionando esteticamente l’opera o l’attività”61. L’osceno, così, perderebbe
ogni significato, non perché purificato dal carattere artistico, bensì perché, su un
piano estetico, è voluto nell’opera dall’autore ed ivi rappresentato come elemento
funzionale e talora primario dell’opera stessa. Per dirla con Wilde, “la moralità
dell’arte consiste nell’uso perfetto di uno strumento imperfetto”.
Sul piano giuridico, il problema non si risolve tanto in termini di incompatibilità
reciproca tra i due caratteri di oscenità ed artisticità, quanto in termini di conflitto
fra valori di fondo dell’ordinamento, la cui tutela, talora contrapposta, deve
implicare una prioritaria disposizione gerarchica dei medesimi, in base alla quale
dare di volta in volta la prevalenza finale ora all’uno ora all’altro dei valori in
contrasto.
Le commissioni di revisione possono, dunque, considerare un film osceno, senza
che, ai fini del nulla osta, debba essere inevitabilmente necessaria una sua
redenzione in virtù della qualità artistica. Qualora l’opera riveli un effettivo
intenzionamento estetico il problema non è quello di compensare o celare
l’eventuale momento osceno, bensì quello di valutare in che modo debba essere
risolto, ad un livello più alto dell’ordinamento, il conflitto con altri valori
costituzionalmente protetti, siano essi il buon costume o la particolare sensibilità
dei minori.
Per dare concretezza alla teoria appena esposta, si può richiamare il giudizio
espresso dal Tribunale di Avellino, in merito al film Paprika di Tinto Brass, che
fa prevalere la libertà di espressione, anche sessuale, a fronte dell’offesa al
pudore, in considerazione della notorietà del genere di film realizzati dal regista,
61 F. RIMOLI, op. cit., p. 295.
72
attingibile dai mezzi di informazione di massa, che riduce il rischio di offerta
indiscriminata dell’osceno al pubblico62.
Considerati il dovere e il potere di informazione del pubblico, nonché l’acquisita
maturità critica dovuta ad un grado di istruzione sempre più alto, il timore di
concedere un’eccessiva libertà alle espressioni artistiche sembra poter essere
accantonato proprio in considerazione della valorizzazione dell’arte, effettuata dal
costituente all’art. 33 Cost. “Tutto ciò nella consapevolezza e fiducia del fatto che
le espressioni culturali ed artistiche, se lasciate libere, sono in grado di indirizzare
il proprio sviluppo verso un elevamento del livello di civiltà e non sono
inevitabilmente tese (…) a produrre l’esiziale dissoluzione di ogni ordine morale
o sociale”63.
II.7 La legge n. 161/1962 nella storia del cinema
II.7.1 Il metodo della contrattazione dei tagli
Il diniego del nulla osta generale alla visione di un film è assai raro. Poche sono
state le pellicole vietate sia dalla prima che dalla seconda commissione, mentre
più frequenti sono stati i casi di divieto ai minori.
Origine dello scarso utilizzo della censura, tuttavia, non è stato solo lo spirito di
adattamento ai cambiamenti dei costumi sociali, che ha reso le commissioni più
tolleranti, quanto l’accordo tra interessati e censori sui tagli e sulle modifiche
delle pellicole, previsto dall’art. 8 del regolamento esecutivo della legge n. 161.
Ciò che potrebbe essere ritenuto offensivo del buon costume non viene assunto
come motivo di mancata autorizzazione alla proiezione, ma diventa l’oggetto di
una richiesta di soppressione o modificazione agli interessati, normalmente
62 Trib. Avellino, 16 dicembre 1996, cit.; v. anche Trib. Torino 2 aprile 1981, in Foro it., 1981, p. 529.63 F. RIMOLI, op. cit., p. 310.
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almeno se si intende che una valutazione del tratto artistico dell’opera non può
prescindere da una lettura della medesima nel suo complesso.
Da ciò la condanna alla pratica di sezionare o mutilare un’opera altrimenti stimata
di qualità, ignorando che quelle stesse parti, di cui separatamente si può
riconoscere l’oscenità o la nocività per i minori, possono svolgere, nel contesto in
cui sono inserite, una funzione spesso essenziale e tale che la loro assenza finisca
inevitabilmente per compromettere l’unità e il valore della struttura intera69.
“Manca di sensibilità critica colui che, da una composizione d’insieme, enuclea
solo un aspetto del rappresentato ed esclusivamente questo fa oggetto del proprio
giudizio. Alla mancanza di sensibilità critica si accompagna l’insensibilità
artistica”70.
II.7.2 Il diniego di nulla osta alla proiezione
L’ultima sfida alla censura, secondo Pier Paolo Pasolini, fu il suo film Salò e le
120 giornate di Sodoma. Confidò all’editore Livio Garzanti che se lo avessero
lasciato passare, la censura, di fatto, non sarebbe più esistita71.
Ad una settimana dal suo assassinio, il 9 novembre 1975, la commissione di
primo grado vietò il film perché portava sullo schermo “immagini così aberranti e
ripugnanti di perversione sessuale che offendono sicuramente il buon costume”.
Non si può certo negare che il film sia difficile da vedere, sia per i profani di
cultura cinematografica che per i più esperti critici. Definito “una discesa agli
inferi di Eros per i condotti del cesso”, “orgia di noia e voltastomaco” o “atroce
testamento di Pasolini”72, resta senz’altro il suo film più spietato, triste, atroce e
69 F. RIMOLI, op. cit., p. 325-326. 70 Trib. Firenze, 22 novembre 1960, in A. FRAGOLA, La cinematografia nella giurisprudenza, cit., p. 221. 71 L. BETTI (a cura di), Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Garzanti, 1977, p. 404.72 I commenti sono estratti da recensioni apparse sui quotidiani dell’epoca e raccolte in Pasolini: cronaca giudiziaria, cit., p. 213 ss.
75
crudele. Sembra evidente che la volontà di scandalo e di contraddizione, nascosta
tra le pieghe delle scene livide e disgustose, rimanga oscura ai più, ma sembra del
pari evidente che il pubblico interessato al film sarebbe stato solo una ristretta
cerchia di appassionati della poetica e della politica pasoliniana.
Forse consapevole che dietro la brutalità di Salò, opinabile ma non superficiale,
c’erano un’estetica e una ragione forti, vale a dire la ribellione all’assuefazione al
consumismo tramite una trasgressione non digeribile, la commissione di secondo
grado, un mese dopo, annullò il precedente divieto di programmazione ed il film
poté uscire con il divieto di visione ai minori di diciotto anni.
Davvero, pertanto, la censura può dirsi scomparsa se non dall’ordinamento,
almeno dalla storia del cinema? Forse sì, se è vero che ha vinto la battaglia contro
il diniego del nulla osta un altro film, scandaloso, disgustoso e fetido come Salò:
Totò che visse due volte di Daniele Ciprì e Franco Maresco.
Con decreto ministeriale del 3 marzo 1998 la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Dipartimento dello spettacolo, in accoglimento del parere negativo
espresso dalla commissione di primo grado, non concedeva il nulla osta di
proiezione in pubblico al film. La pellicola, si legge nella motivazione della
commissione, rappresenta “una palese violazione dell’art. 21 Cost., in quanto
offensivo del buon costume, inteso come insieme di regole esterne di
comportamento che stabiliscono ciò che è socievolmente approvato o tollerato,
specie riguardo alla sfera delle relazioni sessuali tra individui”73.
Con successivo decreto del 16 marzo 1998, stante il parere della commissione di
secondo grado, si concedeva tale nulla osta, con divieto di visione per i minori
degli anni diciotto.
73 Estratti della motivazione sono apparsi su La Repubblica, 4 marzo 1998.
76
La commissione di revisione, pur condividendo il primo giudizio circa la
mancanza nel film di qualsiasi messaggio di riscatto e di speranza, ha ritenuto che
potesse essere visto solo da un pubblico maggiorenne, in quanto il suo contenuto,
pur non essendo di offesa al buon costume così come inteso dall'articolo 21 Cost.,
rappresenta “una umanità degradata e disperata, condizionata da una sub - cultura
della violenza di carattere mafioso che è permeato da un pansessualismo con un
rapporto alterato con la religiosità”. Il divieto ai minori è stato dunque giustificato
dalle ripetute scene di rapporti sessuali e di violenza di vario genere che possono
turbarne la sensibilità.
Il provvedimento è stato impugnato innanzi al T.A.R. del Lazio per l'unico motivo
di eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, sviamento,
ingiustizia manifesta e difetto di motivazione. La sentenza del T.A.R., che
respingeva il ricorso, è stata appellata dinanzi al Consiglio di Stato, che ha
confermato le precedenti decisioni considerando che, per quanto i registi
intendano il film come un'opera di forte denuncia dei valori della società,
realizzata con gli strumenti del grottesco, della satira e del surrealismo, “non
appare possibile rinvenire un richiamo a qualsivoglia contenuto culturale,
nonostante i giudizi estetici espressi da personaggi della cultura e i premi ricevuti
in talune manifestazioni”.
Il Collegio, più che dare credito alla critica cinematografica, sembra preoccupato
di valutare “la capacità [dell’uomo medio] di filtrare i messaggi che gli vengono
inviati dalle immagini e dalle scene cui egli assiste (…) Non appare pertanto
possibile condividere le affermazioni del ricorrente, che ravvisa nell'assenza di un
messaggio di riscatto o di speranza e nella crudezza di talune scene un messaggio
77
positivo per i minori, che li costringe a riflettere sulle azioni da non compiere
nella vita, sia pur senza fornire soluzioni inutili o banali”74.
Totò che visse due volte è obiettivamente un film crudo e sporco. Riuscire a
stabilire, come è accaduto per Salò, se sia motivato da esigenze artistiche di
rappresentazione del reale è certo un compito impossibile. Giustamente, si
esprime Barile, “dà l’impressione di cercare le farfalle sotto l’arco di Tito chi oggi
offra formule come fine estetico intrinseco”75.
Nella società attuale la difficoltà del compito non sembra neppure essere ripagata
dall’utilità della censura, non solo considerando che il pubblico è molto più
maturo ed istruito rispetto a ieri, ma tenendo anche conto delle possibilità di sviare
la censura.
È sufficiente pensare che, ormai, moltissimi film si possono scaricare da Internet.
La vittoria del film di Ciprì e Maresco contro la censura generale è forse di buon
auspicio per una revisione della legge.
II.7.3 Il divieto di visione per i minori
Mentre i dubbi sulla necessità o, quanto meno, sull’opportunità della censura
generale ed incondizionata permangono e invitano ad una modifica della legge,
come si è visto anche nel primo capitolo, nessuna voce contraria si leva contro il
divieto di visione per i minori di diciotto o quattordici anni, stabilito dalla
commissione sulla base “della gravità e della insistenza degli elementi” (art. 9
comma 2 reg. esec.) che danno ragione del divieto.
La protezione dei minori, si ricorda, non è rivolta contro le manifestazione del
pensiero offensive solo del buon costume, ma anche di altri interessi desumibili
74 Cons. Stato, n. 1005/2000, in Cons. Stato, 2000, p. 383. 75 P. BARILE, voce Libertà di manifestazione del pensiero, op. cit., p. 465.
78
dalla Costituzione, riassunti dalla legge n. 161 con la formula “particolare
sensibilità dell’età evolutiva” e “tutela morale” (art. 5 comma 1).
La caratterizzante vulnerabilità dei giovani rispetto agli adulti, distinti
dall’ordinamento in maggiorenni e minorenni, pone i primi in condizioni tali da
dover essere difesi da manifestazioni capaci di turbare la loro emotività, come le
scene violente, volgari, amorali, di fomento all’odio o alla commissione di
crimini.
La tutela dei minori travalica dunque il buon costume, “estendendosi alla
moralità, all’ordine familiare, all’ordine pubblico”76. Si tratta, come è evidente, di
formule aperte e, quindi, affidate alla discrezionalità quasi illimitata delle autorità
competenti al controllo. “Non possono sfuggire, al riguardo, le peculiarità e la
istituzionale relatività sia del potere discrezionale demandato alla
Amministrazione sia di quello, diverso nei fini, ma di contenuto analogo, devoluto
al giudice”77.
Ad ogni modo, il diverso fondamento costituzionale copre di legittimità l’istituto.
Questo, infatti, riposa non solo sull’art. 21 Cost., ma più saldamente sugli artt. 30
e 31 Cost., che configurano l’infanzia come una posizione soggettiva complessa,
destinata ad essere oggetto della tutela educativa da parte della famiglia prima,
dello Stato poi.
Lo scopo ultimo della norma costituzionale e delle sue traduzioni pratiche,
compreso il diniego di nulla osta per i minori, è salvaguardare la normalità
dell’evoluzione psico-pedagogica del minore78, valore fondamentale che ha reso
76 P. BARILE, voce Libertà di manifestazione del pensiero, op. cit., p. 466. 77 Cons. Stato n. 583/1998, con cui conferma il divieto di visione ai minori di anni quattordici del film Arancia meccanica di Stanley Kubrick, stante la totale assenza di “modelli comportamentali positivi” e di “modelli di speranza”, in Cons. Stato, 1998, p. 551. 78 NUVOLONE P., Premesse di diritto penale cinematografico, in riv. dir. ind. 1959, p. 215 ss.
79
del tutto tollerabile, anche da parte della dottrina più liberale e dello stesso mondo
cinematografico, il mantenimento della censura filmica.
Tra l’opportunità astratta della norma e la sua applicazione concreta c’è, tuttavia,
uno scarto inevitabile.
Data la complessità dell’argomento, non si ritiene indicato approfondire le
questioni della fictio iuris della distinzione netta tra minorenni e maggiorenni e
della omologazione dei livelli di maturità dei singoli, che investono un problema
irrisolvibile di tutto l’ordinamento e non solo della revisione dei film.
Specifico, invece, del controllo preventivo sulle pellicole è l’inconveniente di
affidare ad un ristretto numero di individui un parere valido per tutti. Nulla può
assicurare una adeguata e saggia valutazione da parte delle autorità,
amministrative o giudiziarie, chiamate a stabilire quando scene di violenza, droga
od oscenità possano configurare un pericolo per la salute psichica del minore. La
distinzione, infatti, tra modelli negativi di comportamento e messaggi forti e
provocatori, che comunichino spunti per riflessioni personali, è inevitabilmente
suscettibile di giudizi personali e soggettivi dei commissari, anche dei più attenti
ai mutamenti sociali.
Un parere lungimirante, frutto di equilibrio tra efficacia dell’azione e imparzialità
della stessa, che tenga sì conto della particolare impressionabilità dei minori, ma
anche delle possibilità di crescita degli stessi attraverso gli stimoli dell’arte
cinematografica, è, infatti, di difficile realizzazione79. Da qui, i contrasti nella
prassi, amministrativa e giudiziaria, sulla valutazione dei film.
79 Si richiamano le recenti vicende che hanno riguardato il film L’umanità (1999) di Bruno Dumont, Gran premio della giuria al Festival di Cannes, e Idioti (1998) di Lars Von Trier, film entrambi di grande interesse per le tematiche approfondite, ma tagliati in alcune sequenze considerate eccessivamente esplicite (v. L. TORNABUONI, Non per morale, per soldi, in L’espresso, 9 dicembre 1999.
80
Così, da un canto si possono leggere righe serene e fiduciose secondo cui
“nell’arte vi è sempre un inafferabile senso di ribellione a canoni prestabiliti, a
idee cristallizzate, che costituiscono il patrimonio culturale e sensibile dei più.
L’arte è inquietudine”80.
Dall’altro, non sono mancati atteggiamenti allarmisti: “idea conduttrice [del film]
è il disancoramento totale della sessualità da criteri deontologici e l’idea non è
proposta come prodotto del pensiero, ma come vaga giustificazione di un’opera di
suggestione esercitata non sulle facoltà intellettuali, ma a livello dei sensi e
dell’istinto”81.
Documenta la divergenza delle opinioni circa la nocività o meno dei messaggi il
caso di Full metal jacket, di Stanley Kubrick. Il film, riscattato poi dalla critica e
dal pubblico come un profondo manifesto contro la violenza, fu sottoposto a
censura per i minorenni a causa della volgarità del suo linguaggio e della violenza
di alcune scene.
La commissione di primo grado aveva espresso tale parere “per la molteplicità
delle battute e dei gesti volgari che possono turbare la sensibilità dei minori” e la
commissione di secondo grado aveva confermato il divieto “soprattutto per le
scene di particolare violenza”. Il T.A.R. del Lazio82 respinse la richiesta
principale di abolizione totale del divieto di visione poiché non dovrebbe essere il
valore artistico o pedagogico a permettere la visione di film particolarmente duri
anche ai minori. In linea di principio, infatti, “la strumentalità delle scene in
questione rispetto alle finalità espressive e contenutistiche dell’opera non è idonea
a consentire senz’altro la visione del film ai minori di anni diciotto, ove, per la
80 Provv. Trib. Firenze, 22 novembre 1960, con cui si negava il sequestro del film Rocco e i suoi fratelli di L. Visconti, in Rass. Dir. cinem., 1961, p. 87. 81 Provv. Trib. Benevento, 18 ottobre 1972 con cui si con cui si apriva il processo inerente il film IRacconti di Canterbury di P. P. Pasolini, concluso con assoluzione piena del regista e degli altri imputati e con il riconoscimento al film del carattere di opera d’arte. 82 Trib. Lazio, n. 262/1988, in Foro it., 1980, p. 394.
81
gravità ed insistenza degli elementi di volgarità e/o violenza, il film sia comunque
idoneo, di per sé, a turbare la sensibilità del minore”.
Tuttavia, il Tribunale accolse la richiesta subordinata di limitare la censura ai
minori di anni quattordici, essendo gli altri capaci di comprendere che le scene di
violenza e volgarità sono inserite in un più ampio contesto di critica dura e severa
della guerra.
Giungendo a tempi più recenti, Pulp fiction, di Quentin Tarantino, reputato
un’opera originale per il modo autoironico ed esorcizzante di trattare la violenza,
ha subito il diniego di visione per i minori, prima con il limite dei diciotto anni,
poi dei quattordici.
La commissione di revisione espresse il parere di divieto ai minorenni “in
considerazione del contenuto della pellicola ed in particolare delle numerose
scene di violenza, delle battute e dell’uso di sostanze stupefacenti da parte dei
protagonisti della stessa, il tutto costituendo pregiudizio per la corretta evoluzione
di minori della predetta età”83. Il parere fu confermato dalla commissione di
riesame.
Il Consiglio di Stato, sottolineando persino il valore pedagogico di alcune
sequenze, abbassò il divieto ai minori di quattordici anni e non accolse le proposte
di taglio, ad eccezione di una scena di sodomizzazione. Una diversa lettura
dell’opera portò infatti il Collegio a ritenere che il film, pur nella crudezza delle
immagini e del linguaggio, non costituisse un attentato alla tutela morale del
minore, non mancando “messaggi che rappresentano le possibilità di riscatto da
parte delle persone dedite al male” ed essendo l’estetica del film tale da
83 Lettera 5 dicembre 1994 del Dipartimento dello Spettacolo, richiamata dalla sent. Cons. Stato n. 139/1996, in Cons. Stato, 1994, p. 144.
82
raffigurare i personaggi come “soggetti grotteschi, alieni da qualunque eroicità e
quindi irriducibili a modelli da seguire”.
La casistica dei pareri relativi alla visione per i minori potrebbe continuare a
lungo84.
Del resto, si ripete, il controllo delle opere finalizzato alla loro protezione è
generalmente incontestato, purché lo si interpreti come un intervento sussidiario,
né sostitutivo né contrapposto, alle intenzioni educative dei genitori.
Lo stesso governo sembra andare incontro alla dottrina che chiede l’abrogazione
della censura generale, se è vero che prima dell’estate verrà presentato in
Parlamento un progetto di legge che, eliminando il nulla osta totale, lasci in
vigore, con alcune modificazioni, quello per i minori.
Si è già parlato di questo disegno nel primo capitolo, a proposito dell’evoluzione
dei controlli alla libertà d’espressione finalizzati alla sola tutela della gioventù.
Si rinvia, pertanto, a quella sede, ricordando qui che, in una comunità evoluta nel
campo dell’istruzione e della conoscenza sembra di troppo un istituto giuridico
tipico di uno Stato-tutore.
Come per ogni modalità di controllo della libertà di espressione, anche la
revisione dei film può nascere con le migliori intenzioni di salvaguardare altri
84 L’ultimo caso che vale la pena ricordare è quello del nulla osta con cui la commissione di revisione ha permesso la visione a tutti di Gangs of New York di Martin Scorsese, uscito nel dicembre 2002. Contro il parere della commissione, che si è dimostrata più lungimirante delle omologhe commissioni statunitensi ed inglesi, che hanno giudicato il film inadatto alla visione da parte di un pubblico di età inferiore rispettivamente a 17 e 18 anni, si sono levate vivaci proteste da parte delle associazioni rappresentative dei genitori, fino alle dimissioni di un loro rappresentante da una delle commissioni di revisione. I comunicati stampa relativi alla vicenda sono consultabili in www.sentieriselvaggi.it.
83
valori sociali, prima che giuridici. Ciononostante, date le accennate difficoltà di
attuazione, riguardanti la competenza delle autorità preposte, i criteri di
valutazione e l’enigmaticità dell’espressione artistica, gli astratti benefici della
censura non riscattano di certo l’istituto dagli errori commessi.
84
CAPITOLO III
INTERNET E LA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL
PENSIERO∗
SOMMARIO: III.1 Le peculiarità di Internet come mezzo di comunicazione – III.2 Internet e la libertà di espressione: tendenze normative degli ordinamenti stranieri a confronto – III.2.1 I Paesi che adottano rigide forme di controllo – III.2.2 I Paesi dove l’accesso ad Internet è libero –III.3 La netiquette – III.4 Internet come “altro mezzo di diffusione del pensiero” ai sensi dell’art. 21 della Costituzione italiana – III.5 La libertà di manifestazione del pensiero in rete e la politica europea – III.5.1 L’America e l’Europa: due scuole a confronto – III.5.2 I primi studi europei sulla libertà in rete – III.5.3 Il Piano pluriennale d’azione comunitario per l’uso sicuro di Internet – III.5.4 La proposta di modifica al piano pluriennale per l’uso sicuro di Internet – III.6 Critica alle misure adottate dall’Europa – III.6.1 Valutazione dei programmi di filtraggio – III.6.2 Valutazione della rete europea di hot line – III.6.3 Valutazione dell’autoregolamentazione – III.6.4 Valutazione della responsabilizzazione dei provider- III.6.5 Valutazione dell’azione di sensibilizzazione – III.7 Le azioni di sensibilizzazione al corretto uso di Internet – III.8 La libertà di manifestazione del pensiero in rete e la prassi italiana dei sequestri di siti per reati d’opinione – III.9 La legge sull’editoria n. 62/2001 – III.9.1 Il rapporto tra pubblicazioni in Internet e a mezzo stampa prima della legge – III.9.2 Le pubblicazioni in Internet secondo la legge – III.10 Le altre proposte di legge italiana per la regolamentazione di Internet come mezzo di divulgazione del pensiero – III.11 L’autoregolamentazione della rete in Italia
III.1. Le peculiarità di Internet come mezzo di comunicazione
Internet è una rete mondiale di comunicazione, che si basa sulla connessione di
migliaia di network tramite un insieme di protocolli noto come TCP-IP
(Transmission Control Protocol – Internet Protocol). Questa serie di collegamenti
decentralizzati tra elaboratori consente di trasmettere comunicazioni su scala
mondiale con rapidità e senza partecipazione o controllo umano1.
Internet nasce nel 1969 dal progetto statunitense Arpanet, con l’obiettivo di creare
una “rete di reti” capace di continuare a garantire la comunicazione anche in caso
di guerra. Dall’ambiente bellico è passata poi a quello civile, arricchendosi di
contenuti e risorse immesse da soggetti diversi per cultura, provenienza
geografica, lingua, tradizioni ed estrazioni sociali.
∗ Per una definizione dei termini informatici più importanti v. appendice. 1 E. PASINI, voce Internet in Grande dizionario enciclopedico, appendice 1997, Utet, Torino, 1997, pp. 309.
85
Tale evoluzione, per così dire, spontanea ha reso Internet una realtà multiforme e
complessa, difficile da inserire in una specifica categoria tecnica, economica e
giuridica. Per questo motivo, se ne parla come di un mondo virtuale, singolare per
varietà di contenuti, forme e usi, impalpabile ma concreto.
Con Internet si impara, si parla, si scrive, si comunica in ogni forma, si
commercia, si forniscono servizi, si insegna. Internet può essere, a seconda delle
scelte dell’utente, una piazza, un negozio, un cinema, un teatro, una banca, una
casella di posta, un luogo di lavoro…
Resta indiscutibile la sua essenza di veicolo di comunicazione, caratterizzato,
peraltro, da uno straordinario potenziale di democraticità. Per la prima volta nella
storia, infatti, pone chiunque nella condizione di diffondere le proprie idee presso
un pubblico mondiale e di accedere alle più disparate fonti informative, senza
costi economici eccessivi e senza difficoltà tecniche.
Internet segna il passaggio da una comunicazione autoritaria, dall’alto verso il
basso, come quella tradizionale, ad una nuova organizzazione in cui la
comunicazione corre lungo canali trasversali od orizzontali, piuttosto che
verticali: in rete, ciascuno può creare informazione, esprimere il proprio pensiero,
leggere le opinioni altrui.
Internet non ha governo, i suoi governanti sono al tempo stesso i suoi fruitori, per
questo è considerata “un’entità acefala”2, una struttura informe, generata dalla
decisione autonoma dei singoli operatori, che hanno stabilito di collegarsi fra loro
attraverso protocolli comuni, e alimentata dall’utenza che sfrutta la connessione
delle reti.
2 G. CORRIAS LUCENTE, Internet e libertà di manifestazione del pensiero, in Riv. Inf. Inf., 2000, p. 597.
86
A differenza delle vecchie reti informatiche, dove la gestione e l’elaborazione
delle informazioni avveniva presso un unico apparato centrale, sul quale
risiedevano sia i programmi che i dati, Internet permette la connessione periferica
di una molteplicità di computer o reti di computer sparsi in tutto il mondo, che
possono scambiarsi dati ed informazioni tra loro, indipendentemente dal supporto
dei grossi centri di calcolo, dai quali gli utenti potevano accedere grazie a
collegamenti telefonici o linee dedicate, per usufruire delle risorse messe a
disposizione degli stessi centri.
Si tratta, dunque, di un fenomeno spontaneo di considerevoli dimensioni, senza
archivi unici o punti di controllo. La quantità di dati trasmessi quotidianamente
lungo tutto il globo è così ingente che, anche a volerlo, non sarebbe possibile per
un singolo soggetto - privato o pubblico, individuale o collettivo - verificarli tutti.
Internet non presenta barriere di accesso, ovvero le presenta identiche per chi
immette e chi riceve i dati; instaura in maniera piena la parità tra comunicatori,
per effetto della natura interattiva del mezzo che rende creatori di contenuti gli
stessi clienti della rete; non ha limiti tecnici di diffusione, potendo contare su una
quantità di canali illimitata; non ha limiti economici, basta infatti un modem, una
linea telefonica ed un computer per accedervi, strumenti non solo relativamente
economici, ma oramai messi a disposizione di tutti da parte di università, centri di
ricerca, amministrazioni o esercizi commerciali.
In sintesi, Internet “ha realizzato il mercato più partecipativo delle comunicazioni
di massa che il mondo intero ha mai visto”3.
Come nuovo mezzo di diffusione del pensiero non è equiparabile a quelli finora
conosciuti, pur contenendoli tutti. Si avvale della parola scritta, ma anche di
3 Sent. Corte Federale USA sul Telecommunication Act, 11 giugno 1996, in Riv. Inf. Inf., 1996, pp. 638.
87
quella orale, impiega filmati, sia live, sia documentaristici sia di finzione. Ha
testate giornalistiche on line, ma anche fumetti, giochi e video animati che usano
immagini e suoni. Ha archivi bibliotecari, ma anche punti vendita e centri di
discussione. È, dunque, accentuato da un illimitato polimorfismo che rende la sua
regolamentazione ancora più difficile.
Le comunicazioni appartengono a diverse tipologie: messaggi one to one come la
posta elettronica; gruppi di informazione come la news group; messaggi one to
many come la mailing list; utilizzazione in tempo reale di apparecchiature
informatiche per dialogare, come la chat; reperimento e invio di informazioni ed
opinioni, come il World Wide Web. La sua natura è, perciò, duplice: è insieme
mezzo di telecomunicazione e di diffusione del pensiero, ed ancora è mezzo di
comunicazione individuale e di massa, sia professionale che amichevole.
Tutto ciò, naturalmente, ha prodotto degli effetti rivoluzionari nel mondo
dell’informazione, effetti che, restringendo l’indagine alla libertà di espressione,
consistono nella difficoltà di trovare la disciplina più opportuna e più efficace per
dare libero spazio all’espressione e controllare, al tempo stesso, che non vengano
pregiudicati gli altri valori degli ordinamenti democratici.
III.2 Internet e la libertà di espressione: tendenze normative degli
ordinamenti stranieri a confronto
Internet potrebbe rappresentare una valida piattaforma verso l’uguaglianza
sostanziale. La condivisione delle conoscenze, la divulgazione delle notizie ad
ogni livello sociale, l’immediatezza delle comunicazioni e l’abbordabilità dei costi
potrebbero permettere uno sviluppo parificato delle potenzialità di ciascun Paese.
La rete costituisce, infatti, un fattore di crescita sia economica sia culturale e
scientifica, che non necessita di opere dispendiose o interventi statali di sostegno,
88
ma che si alimenta autonomamente con l’utilizzo degli utenti. Questa straordinaria
risorsa, “uno dei fenomeni che più si avvicina agli ideali di libertà e socialismo in
scala così vasta nella storia dell’umanità”4, è, d’altro lato, una grave minaccia di
stabilità, specie per i regimi totalitari, poiché permette a ogni cittadino di
approfittare di una libertà di parola mai raggiunta e di approfondire conoscenze ed
esperienze in maniera semplice ed agevole.
Per questo motivo, alcune legislazioni nazionali hanno provveduto a
regolamentare l’accesso e il controllo della rete, a tutela dell’uniformità del
sentimento nazionale o della fedeltà allo Stato; mentre altre, nel tentativo di
mantenere la libertà, cercano di intervenire solo per combattere gli illeciti
commessi via Internet o per proteggere alcuni beni altrettanto fondamentali, come
la dignità umana, il diritto alla riservatezza o la sicurezza pubblica.
Benché Internet sia un fenomeno planetario, renitente ad ogni barriera nazionale,
questi differenti approcci legislativi rendono policroma la mappa della libertà di
manifestazione del pensiero in rete. Uno sguardo sintetico di questa pare
fondamentale, considerando il carattere universale del fenomeno5.
III.2.1 I Paesi che adottano rigide forme di controllo
Nel 2002 Reporters Sans Frontières6 hanno reso noto un rapporto sui
quarantacinque Paesi che sorvegliano l'accesso a Internet, di cui venti possono
essere qualificati come veri antagonisti di questo nuovo media.
In nome della tutela del pubblico dalle idee sovversive o per garantire la sicurezza
e l'unità del Paese, alcuni di questi regimi vietano totalmente ai loro cittadini
l'accesso alla rete. Altri governi hanno il pieno controllo sui provider, attuano filtri
4 G. ATTARDI, Voglio anch’io il First Amendment, in www.interlex.it. 5 Per una carta geografica dei Paesi in cui vige un sistema di controllo della rete v. appendice. 6Il rapporto è pubblicato integralmente su www.clarence.it, con un articolo di A. BURBA del 7 giugno 2002. Gli aggiornamenti possono, invece, essere consultati su www.rsf.rog.
89
per bloccare i siti web giudicati indesiderabili o costringono ogni utente a
registrarsi presso l'autorità statale competente. Tutto questo in nome di motivi
politici, ideologici e religiosi.
Ad ogni modo, gli utenti di Internet possono trovare delle scappatoie alla censura,
come criptografia, siti web anonimi, che servono come tramite per consultare
quelli vietati o scambiare e-mail, collegamenti via linee telefoniche internazionali,
Gsm o satellitari7.
I venti Stati che, secondo Reporters sans frontières, operano una vera e propria
censura su siti web o perseguitano gli utenti sono l'Arabia Saudita, alcuni Paesi
dell'Asia centrale e del Caucaso, vale a dire Azerbaïdjan, Kazakhstan,
Kirghizistan, Ouzbekistan, Tadjikistan e Turkmenistan, la Bielorussia, la
Birmania, la Cina, la Corea del Nord, Cuba, l'Iraq, l'Iran, la Libia, la Sierra Leone,
il Sudan, la Siria, la Tunisia e il Vietnam.
In Arabia Saudita Internet è considerato come un “vettore nocivo
dell'occidentalizzazione della mente” e per questo l’intero traffico transita da un
unico server che adotta filtri “allo scopo di preservare i valori islamici”, come
informa l’avviso che compare sullo schermo del computer a chi si collega a siti
vietati8.
In Bielorussia c’è un unico operatore, Belpak, di proprietà dello Stato, mentre in
Birmania ogni possessore di computer deve dichiararlo alle autorità, se non vuole
essere sanzionato con quindici anni di carcere.
7 Emblematica, in questo senso, la vicenda del blocco cinese ai motori di ricerca Google e Altavista nel settembre 2000: i navigatori aggirarono l’ostacolo accedendo a www.alltooflat.com/geeky/elgoog e www.raging.com, due siti completamente speculari ai celebri motori. 8 Chi firma questi divieti è l’Internet services unit – www.isu.net – un istituto governativo che ha tra i suoi compiti quello di “filtrare i contenuti Internet per prevenire la circolazione di materiale che sia in contraddizione con le nostre credenze e possa influenzare la nostra cultura”.
90
Peggio ancora nella Corea del Nord, dove Pyongyang non dispone di nessun
accesso a Internet e i pochi siti web ufficiali destinati a un pubblico estero sono
ospitati dal Giappone.
A Cuba una decina di agenzie stampa indipendenti e illegali, come Cubanet o
Cuba Free Press, cercano di eludere la sorveglianza totale del governo,
diffondendo le loro informazioni via telefono verso organizzazioni sistemate a
Miami, che le pubblicano sulle loro pagine web.
Baghdad non dispone di accesso a Internet, i siti dei giornali ufficiali e di alcuni
ministeri sono ospiti di domini giordani. La Libia non è collegata alla rete
mondiale, mentre in Siria l'accesso è ufficialmente vietato ai cittadini. In Vietnam
tutti gli utenti sono costretti a chiedere un'autorizzazione al Ministero degli Interni
e ad abbonarsi presso uno dei due provider pubblici, fermo restando che le pagine
web delle associazioni di base o di organizzazioni internazionali di difesa dei
diritti umani sono bloccate.
Il caso che, forse, ha suscitato più clamore nei media è quello cinese. Nel 2002,
durante i preparativi per il Congresso del partito comunista, il governo ha iniziato
ad irrigidire la censura, con la chiusura di tutti i cybercafé della capitale e con la
creazione di una “colossale Intranet controllata dallo Stato”9, dal momento che chi
si collega è reindirizzato a pochi siti istituzionali10.
Riassumendo, dei settanta paesi circa che sottopongono il mezzo a censure
culturali e politiche, trentadue si trovano in Africa, quattordici in Asia, nove in
Europa, tre in America Latina e undici nel Medio Oriente. Ciò fa supporre, come
9 E in Cina la rete finisce nella rete, in Venerdì di Repubblica, in www.nic.it. 10 Le tappe dei provvedimenti cinesi hanno occupato ampiamente forum di discussione e siti, come www.gsmbox.it, o www.punto-informatico.it.
91
si è sostenuto, che questo sia l’ultimo tentativo di tenere in piedi gli Stati,
arginando il prevaricare della cultura occidentale11.
Dal quadro, dunque, emerge che negli altri centotrenta circa Paesi che hanno
collegamento alla rete vige un sistema più liberale, che, se non altro, non filtra i
contenuti telematici per motivi politici o ideologici.
III.2.2 I Paesi dove l’accesso ad Internet è libero
La constatazione che nei Paesi occidentali non esistono forme di censura
ideologica né controlli pervasivi dei contenuti immessi in rete non significa che in
Occidente non si sia aperto il dibattito sull’equilibrio tra libertà di manifestazione
del pensiero e tutela di alcuni principi fondamentali, quali la dignità umana, la
sicurezza pubblica o la protezione dei minori. Al contrario, proprio la prassi
giurisprudenziale e i vivaci commenti di alcune importanti decisioni dei tribunali
hanno tracciato le linee fondamentali del diritto di libera espressione in Internet.
Emblema di tolleranza sono stati fino ad ora gli Stati Uniti, dove si sono avviate le
prime grandi discussioni sul tema.
Nel febbraio 1996, quando in Europa il binomio diritto e informatica era ancora ai
primi studi, il Presidente americano firmava il Telecommunication Act, per la
regolamentazione di tutto il settore audiovisuale e delle telecomunicazioni negli
USA. Il titolo V riguardava Obscenity and violence ed è comunemente conosciuto
come Communication Decency Act (CDA)12. Nello scopo di proteggere i minori
dall’accesso a materiale violento e sessualmente esplicito presente nei media, il
CDA bandiva dal web tutto quanto fosse stato osceno e indecente.
Già prima della sua approvazione, gruppi impegnati per i diritti civili iniziarono a
protestare per le possibili implicazioni antilibertarie di una disciplina dei contenuti
11 G. DEGLI ANTONI, responsabile del Polo di Didattica e Ricerca dell’Università di Milano, in V. DI DARIO, A. LIVI, Il buio nella rete, in www.panorama.web.mytech.it. 12 Il CDA è consultabile in www.epic.org/cda.
92
della rete. Molte pagine del web apparirono nere e adottarono il blue ribbon13, un
fiocco blu che ancora simboleggia la protesta contro la morte della libertà di
parola.
Le critiche alla legge non si muovevano nel senso di voler rendere legale ciò che
nella vita normale non lo è, ma partivano dalla convinzione che il CDA andasse
oltre lo scopo dichiarato di proteggere i minori, intaccando profondamente la
libertà di espressione di chi scambia idee ed opinioni tramite computer. La legge,
secondo gli oppositori, era infatti eccessivamente vaga nel definire ciò che è lewd,
lascivious, filthy or indecent14, in un modo che poteva facilmente generare
confusioni interpretative e, di conseguenza, applicazioni troppo elastiche da parte
di giudici zelanti nelle campagne moralizzatrici. Inoltre, il CDA, compiendo
un’erronea analogia con il broadcasting, conteneva misure inefficaci a tutelare i
minori da contenuti nocivi, non tenendo conto dell’interattività del mezzo, che
sposta il controllo dall’origine del messaggio alla destinazione. Per proteggere i
propri figli, in definitiva, non occorre controllare la programmazione, ma lasciare
che il destinatario finale decida se un determinato tipo di contenuti giunga o meno
nella sua casa.
Il CDA, dimenticando la differenza fra sistemi comunicativi invasivi, come
televisione e radio, e sistemi che, al contrario, richiedono un atteggiamento più
volontaristico dei destinatari, non usava the least restrictive means, ossia superava
l’adozione delle misure strettamente necessarie a proteggere i minori. Non si
metteva in dubbio il compelling interest della difesa dei minori, ma l’idoneità
delle sanzioni, che non erano narrowly tailored, attentamente pensate per il nuovo
mezzo.
13www.eff.org/br, sito ufficiale della campagna del blue ribbon;www.geocities.com/SunsetStrip/2988/bribbon.html, in versione italiana. 14 Volgare, lascivo, turpe o indecente.
93
Infine, il CDA rischiava non solo di diminuire la forza dirompente di Internet, ma
anche di creare dei censori privati, responsabilizzando i service provider per
quello che passa attraverso i loro network. La legge, infatti, applicava sanzioni ai
fornitori di servizi, obbligandoli a eliminare tutto il materiale che, nel dubbio,
poteva risultare contrario alle disposizioni.
Nel giugno 1996, a pochi mesi di distanza dall’approvazione, il Telecomunication
Act fu dichiarato incostituzionale dalla Corte federale della Pennsylvania, nella
parte in cui comminava sanzioni per chi diffondeva o agevolava la diffusione via
Internet di comunicazioni oscene, per contrarietà al Primo emendamento alla
Costituzione americana15.
Caduta quest’unica fonte di restrizioni per il web, in America, grazie alla totale
garanzia offerta dal Primo emendamento e alla cultura fortemente liberale della
società, Internet gode di totale libertà di espressione. Tuttavia, gli americani
continuano a sorvegliare attentamente questa libertà, come lo dimostrano le
attività a favore della free speech – la libertà di parola – di organismi e
associazioni di privati cittadini16. Ricorda un avvocato della Corte di Parigi che
“aux yeux des américains, toute loi restreignant la liberté de parole est une forme
de censure, et la censure est le pire des maux. Le premier amendement protège
donc également la diffusion de propos racistes et antisémites. On préfère la
confrontation des idées, plutôt que leur interdiction, aussi extrêmes soient-elles. Il
s’agit d’une différence culturelle fondamentale entre l’Europe et les Etats-Unis”17.
15 La decisione è stata pubblicata da Riv. Inf. Inf., 1996, pp. 604, con nota di V. ZENO-ZENCOVICH, Manifestazione del pensiero, libertà di comunicazione e la sentenza sul caso Internet.16 Ricchi di notizie, commenti e analisi aggiornate sono i siti www.eff.org, dell’Electronic Frontier Fondation, per la protezione dei diritti informatici; ww.gilg.org, Golbal Internet Liberty Compaign; www.freedomhouse.com, della omonima organizzazione apartitica e no-profit per la democrazia e la libertà nel mondo; www.ifa.net, Internet Free Expression Alliance. 17 V. SÉDALLIAN, a commento al caso Yhaoo!.fr in www.internet-juridique.net: “Agli occhi degli americani ogni legge che limiti la libertà di parola è una forma di censura e la censura è il peggiore dei mali. Il primo emendamento, pertanto, protegge persino la diffusione di idee razziste
94
A dimostrazione della maggiore liberalità nei costumi americani, nonché
dell’intraprendenza dei singoli che si autotutelano dai pericoli della rete, è
opportuno citare il caso dei siti “sucks”, dove la libertà di espressione collide con
la tutela della reputazione altrui18.
“Sucks” è una eloquentissima parola anglosassone, di difficile traduzione, che
richiama alla mente una pratica offensiva come la fellatio.
Solitamente questi siti vengono costruiti premettendo al termine volgare il nome
di un marchio aziendale noto, e sono realizzati da consumatori o dipendenti adirati
che utilizzano la libertà di parola a basso costo per denunciare le malefatte
dell’azienda presa di mira.
In alcuni casi, i gestori dei siti e le persone che vi esprimono le proprie
considerazioni sono stati portati in tribunale, con scarsissimi risultati. Le corti
statunitensi, civili e penali, il più delle volte hanno ritenuto non sanzionabili i
comportamenti denunciati, ritenendoli espressione di libera critica, anche se aspra,
e di libera manifestazione del pensiero.
Nella grande maggioranza dei casi, dunque, le aziende bersagliate o hanno
utilizzato le considerazioni contenute come termometro degli stati d'animo dei
loro clienti o hanno provveduto alla registrazione anche del dominio polemico o
hanno, infine, trasformato l’occasione diffamatoria in opportunità
imprenditoriali19, risolvendo autonomamente a proprio vantaggio una situazione
diffamatoria, senza l’intervento giudiziario.
ed antisemite. Preferiscono il confronto tra idee, per quanto estreme, piuttosto che il divieto. Si tratta di una differenza culturale fondamentale tra l’Europa e gli Stati Uniti”. 18 M. BUCCARELLA, La manifestazione del pensiero nell’Internet. Due esperienze a confronto: newsgroup e siti sucks, in www.diritto.it. 19 Esemplificativi sono stati i curiosi casi di Verizon, che dopo aver citato il sito diffamatore con scarsi risultati, ha registrato il dominio www.verizonsucks.com. A seguito dell’iniziativa, ha visto comparire il sito www.verizonallsucks.com; naturalmente la Verizon ha tentato di nuovo le vie legali e, per tutta risposta, ha visto la registrazione di un altro dominio, www.VerizonShouldSpendMoreTimeFixingItsNEtworkAndLessMoneyOnLawiers.com,che suona
95
Sempre grazie alla totale garanzia della Costituzione americana alla libertà di
manifestazione del pensiero, nel giugno 2002 una corte speciale di tre giudici di
Philadelphia ha considerato incostituzionale il Children’s Internet Protection.
Il CIPA, firmato nel 2000 dal presidente degli Stati Uniti, prevedeva il blocco di
materiale visivo osceno, contenente pornografia infantile e dannoso per i minori,
tramite sistemi di filtraggio che le biblioteche dovevano installare, se volevano
continuare a godere dei finanziamenti pubblici. La disabilitazione dei filtri
software, affidata solo agli amministratori del sistema, poteva essere fatta
unicamente per gli utenti adulti e per scopi di ricerca e documentazione. Questo
significa che il CIPA conteneva una misura di censura che riguardava tutti e non
solo i minori.
Secondo la Corte di Philadelphia non solo la normativa era contraria al Primo
emendamento, ma non era nemmeno idonea a risolvere il problema della tutela dei
minori. Uno studio condotto da esperti nominati dalla Corte dimostrò che era
impossibile creare dei software capaci di distinguere ciò che è nocivo per
l’infanzia e ciò che, invece, può essere innocuo, quando non educativo, data la
velocità della crescita della rete, i suoi repentini mutamenti e lo stato attuale dei
sistemi di filtraggio.
Per i giudici, dunque, non era lecito che la legge imponesse alle biblioteche
sistemi di filtraggio che potessero bloccare l’accesso anche a siti importanti di
studio e non riuscissero, invece, a bloccare integralmente la pornografia in rete. Il
caso è arrivato nel novembre 2002 alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che dovrà
definitivamente chiarire se la legge è incostituzionale.
“VerizonDovrebbeSpenderePiùTempoAFarFunzionareLaSuaReteEMenoSoldiInAvvocati.com”; la principale società d’asta on line, Ebay, ha visto nascere l’antagonista www.ebaysucks.com, che oltre alle note polemiche, ospita anche un’attività d’asta concorrente.
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Il Primo emendamento non ha, ad ogni modo, portata di norma globale. La
maniera degli Stati Uniti di affrontare le problematiche della libertà di espressione
rappresenta, al contrario, un caso unico, in rapporto alla situazione vigente nelle
altre democrazie20. Già all’epoca della decisione statunitense sul CDA Zeno-
Zencovich vedeva il profilarsi di conflitti pratici “tra la (non) disciplina americana
e la futura disciplina di altri paesi occidentali”21.
La maggior parte dei governi, infatti, non accetta la protezione che gli Stati Uniti
accordano alla pornografia e ad altre manifestazioni del pensiero particolarmente
aggressive.
La decisione francese sul caso Yahoo! del 2000 dimostra che una visione talmente
ampia della libertà di manifestazione del pensiero non è poi così popolare in tutto
il mondo22.
Prima di questa decisione, occorre richiamare, tuttavia, un’altra vicenda che ha
interessato la Francia e che ripercorre per analogia la vicenda del CDA.
Nel giugno 1996, mentre negli USA il Telecommunication Decency Act scatenava
l’ostilità dell’opinione pubblica, in Francia veniva approvata la legge Fillon, dal
nome del proponente François Fillon, sul controllo di Internet. A venti giorni
dall’approvazione era già stato promosso un ricorso davanti al Conseil
Constitutionnel, per dichiarare l’illegittimità della legge nella parte in cui
instaurava un controllo amministrativo di un comitato ad hoc sui contenuti
espressi in rete e obbligava i fornitori di accesso a mettere a disposizione dei
clienti dei software di controllo parentale (art.43). “La procédure (...) peut
conduire à entraver la libre communication des pensées et des opinions, voire à
20 M. KNOBEL, Non à l’Internet de la haine, in Libération, luglio 2000, pp.5. 21 V. ZENO-ZENCOVICH, op. cit.22 J. R. REIDENBERG, intervista a cura di L. HOUMYRE sul caso Yahoo! in www.juriscom.net.
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instituer un système d'autorisation préalable”, si legge nel ricorso23. Il Conseil
Constitutionnel, alla luce dell’art. 34 della Costituzione, accolse parzialmente il
ricorso, eliminando il comitato e la sua attività, ma lasciando in piedi la
possibilità, per gli utenti, di ottenere sistemi di controllo parentale24.
Il caso di Yhaoo! ha avuto una risonanza molto più grande, anche per le soluzioni
ai problemi di competenza e giurisdizione che i giudici francesi hanno adottato.
Con una sentenza del 22 maggio 200025, il Tribunal de Grande Instance di Parigi,
adito dall’associazione UEJF - l’organizzazione francese degli studenti ebrei -
condannò la società Yahoo! e la sua filiale francese, per aver offerto, in un’asta
telematica, una vasta gamma di oggetti nazisti26.
La sentenza impose alla società americana di prendere le idonee misure, atte a
rendere impossibile ogni consultazione, sul proprio o su altri siti ospitati, dei
servizi che vendevano all’asta oggetti nazisti e di ogni altro servizio che potesse
costituire un’apologia del nazismo o una contestazione dei crimini razzisti. Alla
filiale francese, invece, fu imposto l’obbligo di avvertire tutti gli utilizzatori del
motore di ricerca della necessità di interrompere la consultazione, per non
incorrere nelle sanzioni previste dalla legge, allorquando il risultato della ricerca
portasse a dei siti, delle pagine o dei forum il cui titolo e/o i cui contenuti
costituissero una violazione della legge francese.
23 “La procedura può portare condurre ad ostacolare la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni, o peggio ad istituire un sistema di autorizzazioni preventive”: ricorso del gruppo socialista del Senato, depositato il 26 giugno 1996 alla cancelleria del Conseil Constitutionnel. 24 Cons. Const. n. 96-378 DC del 23/7/1996, consultabile in www.aui.fr. Secondo la Corte, la legge non rispettava la riserva legislativa che l’art. 34 Cost. impone per “les droits civiques et le garanties fondamentales accordées aux citoyens pour l’exercice des libertés publiques” (i diritti civili e le garanzie fondamentali accordate ai cittadini per l’esercizio delle pubbliche libertà). 25 Consultabile in www.conseil-constitutionnel.fr. 26 Mentre i giudici di Parigi emettevano la sentenza, un pubblico ministero di Monaco apriva un'inchiesta parallela sul portale Yhaoo!. Lo sfondo dell'accusa era lo stesso: la propaganda e la vendita di materiale neonazisti. La notizia è apparsa in www.repubblica.it/online/tecnologia_internet del 28 novembre 2000.
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Si legge nella sentenza che “l’exposition en vue de leur vente d’objets nazis
constitue une contravention à la loi française (article R 645-2 du Code pénal) mais
plus encore une offense à la mémoire collective du pays”27. Alla difesa
dell’americana Yhaoo.com, che insisteva sul conflitto di una simile decisione con
il Primo emendamento, i giudici francesi risposero, dunque, con una motivazione
che non poggia solo sul diritto positivo, ma anche su argomenti di diritto naturale.
Invocando, infatti, un’offesa alla memoria collettiva del paese, richiamavano
inevitabilmente i principi ideali del rispetto della dignità umana e della memoria
di una nazione: “L’affaire Yahoo! pose une question: certaines sociétés ne vont-
elles pas devoir réfléchir, pour préserver leur image de marque, à une ligne de
moralité publique internationale acceptable par tous?” è il pensiero di uno dei
magistrati del tribunale parigino28.
Oltre al profilo etico, che resta ancora senza risposta, vertendo su problematiche
senza soluzione di confine fra libertà ed abuso, moralità e immoralità, la sentenza
ha sollevato anche un’altra, nuova questione di natura tecnica. Se l’ordinanza del
tribunale imponeva a Yhaoo! di impedire l’accesso a determinati contenuti in base
alla nazionalità degli utenti, occorreva verificare la possibilità materiale di
eseguire un simile obbligo.
Lo sforzo del portale doveva essere duplice: identificare la provenienza degli
internauti e classificare, per poi filtrare, ciò che doveva essere loro vietato in base
alla loro nazionalità. Era talmente arduo il compito che il tribunale nominò una
commissione di esperti, affinché desse parere sulla fattibilità dell’obbligo29.
27 L’esposizione per la vendita di oggetti nazisti rappresenta non solo una violazione della legge francese (articolo R 645-2 del Codice penale) ma ancor più un’offesa alla memoria collettiva del paese”. 28 “Il caso Yhaoo! formula una domanda: alcune società non dovrebbero rispecchiare, per proteggere la loro immagine di fondo, una linea di moralità pubblica accettabile da tutti?”. 29 La Commissione concluse che, combinando le due tecniche della dichiarazione della propria nazionalità da parte degli internauti al proprio provider e della identificazione geografica dell'indirizzo IP, si poteva bloccare fino al 90% dei cittadini francesi che tentassero di partecipare
99
Da ciò se ne deduce che i problemi che legislatori, interpreti e giudici affrontano
nel campo della libertà di manifestazione del pensiero non sono solo di ordine
filosofico, ma soprattutto di ordine pratico. Riguardano, in buona sostanza, il
tentativo di trovare per Internet quello che in America è definito come the least
restrictive mean, ossia il giusto bilanciamento che permetta di tutelare ogni
interesse degno di protezione, senza eccessiva lesività degli interessi
complementari.
III.3 La netiquette
Internet, anche se in forma diversa dall’attuale, è nato trenta anni fa, ma solo nel
1996 i vari Parlamenti, a cominciare da quello statunitense, hanno iniziato a fare
leggi per regolarlo, con esiti piuttosto incerti, come si è visto.
Ciò non vuol dire, tuttavia, che la rete sia il regno dell’anarchia. Le leggi positive
emanate dal potere legislativo non sono, infatti, le uniche regole che governano le
azioni umane ed Internet ne è la dimostrazione avendo funzionato, per lungo
tempo, in base ad un corpo di norme imposte e condivise dagli stessi utenti.
Il gruppo di regole più importante e maggiormente riconosciuto prende il nome di
netiquette, dalla contrazione delle parole net ed etiquette. Come rivela il nome, si
tratta di una sorta di canoni di correttezza da rispettare mentre si naviga30.
Quando Internet passò ad essere da rete militare a mezzo di comunicazione tra
centri di ricerca ed università, la ristretta comunità di utenti, molto più compatta
ed omogenea di oggi, si diede spontaneamente un insieme di regole di
comportamento, note all’inizio come Acceptable Use Policy, norme che
imponevano di utilizzare con intelligenza il network solo per fini accademici e di
ad aste naziste ospitate da Yahoo!. Pertanto, presa visione del rapporto di tale Commissione, il 20 novembre il tribunale confermo l’ordinanza di maggio. 30 F. CASETTI, La libertà di espressione in Internet, in www.studiocelantano.it.
100
studio. Successivamente, con l’affacciarsi di utenti che non facevano parte della
comunità accademica, si svilupparono ulteriori norme lungo due direzioni guida,
una ideale e l’altra pratica. La prima si compone di ammonimenti, anche banali,
che ricordano che gli utenti sono persone di cui bisogna rispettare la riservatezza e
la dignità o che esortano alla condivisione della conoscenza; la seconda sembra
pensata tenendo d’occhio i costi di Internet e invita, ad esempio, a non spedire
posta inutile o a ridurre al minimo il tempo della connessione31.
La maggior parte di queste regole è stata dettata per le prime attività della rete, la
posta elettronica, le newsgroup e le mailing list. Il World Wide Web è molto più
recente e la netiquette vi è stata applicata solo in un secondo tempo.
I suoi precetti, per quanto riguarda la libertà di espressione, non impongono
divieti contenutistici. Non esiste alcuna norma che stabilisca cosa è lecito dire e
cosa non lo è, mentre ne esistono numerose su come esprimere le proprie idee.
Secondo la netiquette, infatti, in rete si può dire tutto, purché si usino alcuni
accorgimenti, come avvisi o criptazioni, se si pensa che il messaggio possa
offendere la sensibilità altrui o riveli informazioni che potrebbero essere
indesiderate, e purché lo si dica nei luoghi adatti, evitando di entrare in chat o
newsgroup disinteressati all’argomento che si vuole affrontare.
Tutto si può dire, dunque, purché tra utenti disposti a conoscere di un determinato
argomento, evitando che gli altri possano trovarsi di fronte a contenuti non graditi.
Per chi non rispetta la volontà, la dignità o la sensibilità altrui esiste anche un
sistema, per così dire, sanzionatorio. Più che di una sanzione, si tratta di una sorta
di vendetta consistente in bombardamento di posta elettronica, mail bombing, che
può portare fino al corto circuito della casella postale dell’utente bombardato. Al
31 Per un catalogo delle regole di buone maniere in rete v. www.aspide.it/netiquette in italiano;
www.nic.it; www.dtcc.edu/cs/rfcl1855.html in inglese.
101
di là della fantasia e della utopia di questo metodo, vale la pena citarlo come
esempio di sanzione pensata appositamente per il mezzo, esempio che fa da
contrappeso alle scelte dei legislatori, che continuano ad imporre punizioni
pensando alla rete come ad un tradizionale mezzo comunicativo.
Indubbiamente la netiquette sconta una buona dose di idealismo e, attualmente,
con l’aumento illimitato di abbonati che usano Internet come un qualsiasi mezzo
di comunicazione, non gode più di quel riconoscimento che i primi fruitori le
attribuirono. Essa nacque, infatti, per esigenze pratiche dei primi navigatori, che
non solo richiedevano un uso responsabile del mezzo, ma spesso si trovavano in
difficoltà di fronte alla scarsa conoscenza tecnica. La collaborazione tra ricercatori
contribuì a creare l’ideale di un impiego proficuo dello strumento e formò, al
tempo stesso, un’etica imposta dalla necessità di aiuto reciproco e basata sul
rispetto delle mutue conoscenze.
Oggi, la facilità della navigazione, dovuta alla semplificazione progressiva della
tecnologia, e la crescita costantemente alta degli utenti mettono in dubbio il
rispetto della netiquette, tanto da far ritenere che questo galateo sia sconosciuto ai
più.
III.4 Internet come “altro mezzo di diffusione” del pensiero ai sensi
dell’art. 21 della Costituzione italiana
Nel linguaggio informatico la rete è un sistema di trasmissione di dati che
consente uno scambio di informazioni e opinioni planetario, automatico, rapido e
senza controllo umano.
Per l’ordinamento italiano, risulta certamente qualcosa di assai più complesso dei
mezzi finora conosciuti, sembrando in grado di attingere contemporaneamente al
regime proprio di più libertà di godimento, individuali e collettive.
102
Nella prospettiva del diritto di espressione, è uno degli strumenti con cui tutti
possono manifestare liberamente le proprie opinioni e comunicare, sia in forma
privata, tramite i servizi di posta elettronica, che in forma pubblica, tramite il web,
le chat, i forum e tutte le altre attività rivolte ad una cerchia indeterminata di
individui.
Ricondurre l’esercizio di comunicazione all’una o all’altra modalità significa
inquadrare costituzionalmente la rete nell’ambito dell’art. 15 Cost., sul diritto alla
libertà e alla segretezza della corrispondenza privata, o all’art. 21, sul diritto alla
manifestazione del pensiero. A seconda della prospettiva, mutano i limiti, le
garanzie, le forme di intervento a tutela o a controllo di questo tipo di
comunicazione.
Nell’analisi che in questa sede si porta avanti, si avrà riguardo solo alla nozione di
Internet come mezzo di divulgazione pubblica delle opinioni, tralasciando le
forme di corrispondenza privata e le interferenze con l’art. 15 Cost.
In modo alquanto lungimirante, la Costituzione italiana garantisce a tutti il diritto
di manifestare il proprio pensiero “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione” (art. 21 Cost. comma primo). L’uso di una postilla dotata di così
ampia flessibilità ha permesso l’integra sopravvivenza del principio di libertà di
espressione all’introduzione di nuovi mezzi di comunicazione di massa che, come
Internet, non erano neppure ipotizzabili ai tempi della redazione della Carta.
Parlare, tra l’altro, della libertà di espressione secondo l’ordinamento italiano è
già segno di miopia. Internet è una rete mondiale che supera i confini statali e
qualsiasi intervento esterno che voglia regolamentarla deve avere carattere
internazionale, a pena di essere privo di valore.
103
Prima, comunque, di verificare quali sono, se già esistono, le forme più efficaci di
disciplina, occorre analizzare in che modo la libertà di espressione trova spazio
nella rete.
Non sussiste alcun ostacolo all’applicazione ad Internet del principio di libertà di
manifestazione del pensiero, grazie alla clausola aperta dell’art. 21 Cost.; anzi, nel
confronto con gli altri strumenti di divulgazione del pensiero, si dimostra terra di
elezione per tale libertà.
Se si considera che il raggiungimento del pluralismo è uno degli obiettivi dell’art.
21 Cost., ci si avvede che Internet risponde meglio degli altri mezzi allo scopo
della norma costituzionale. La stampa e la televisione, infatti, hanno mostrato
tendenze concentrazionistiche, potenzialmente centrifughe rispetto al pluralismo;
la cinematografia, il teatro e gli altri mezzi di spettacolo, parimenti, non sono alla
portata di tutti; la semplice parola orale, l’unico veicolo che tutti possono usare,
non può contare di per sé su di un pubblico vasto.
Internet evade tutte queste problematiche, cosicché ricade nel paradigma dell’art.
21 Cost. “in modo pieno ed esaustivo, potendo fruire sia della garanzia prevista
per il messaggio, sia di quella del tutto corrispondente prevista per il mezzo. Ciò,
se sotto il primo profilo omologa senz’altro Internet agli altri mezzi espressivi,
non tollerando limiti contenutistici diversi da quelli costituzionalmente previsti,
sotto il secondo profilo configura la rete come uno strumento di fatto dotato di una
diffusività massima, refrattario in punto di diritto a qualsiasi indirizzo
monopolista, oligopolista o soltanto dirigista”32.
32 P. COSTANZO, Le nuove forme di comunicazione in Rete: Internet, in Informatica e diritto,1997, II, p. 35.
104
Internet, grazie alla facilità di accesso, all’interattività e alla copertura mondiale, è
il solo mezzo che possa dare concreta attuazione al diritto sancito dall’art. 21
Cost., nel duplice senso di esprimere liberamente il proprio pensiero e diffonderlo.
Negli anni passati, preso atto della limitatezza degli strumenti di comunicazione,
la Corte costituzionale si era vista costretta a ridimensionare la portata di tale
libertà, affermando che esiste uno scarto tra il diritto astratto di manifestare il
proprio pensiero e la possibilità concreta33.
Attualmente questo nuovo e potentissimo veicolo riduce la distanza tra
uguaglianza formale e sostanziale in materia di libera diffusione del pensiero. In
dottrina, c’è chi parla di un nuovo diritto soggettivo, il diritto di libertà
informatica34 come pretesa positiva di valersi degli strumenti informatici per
fornire e ottenere informazioni di ogni genere, come diritto di partecipare alla
società virtuale in cui ogni individuo è sovrano delle sue decisioni e può
esprimere le proprie idee nella forma della libera comunicazione.
Ciò, naturalmente, segna un fondamentale passo verso la democrazia, ma solleva
anche diverse e complesse questioni giuridiche.
Come mondo a sé, simile a quello reale ma dotato di sue peculiarità che lo
distinguono, Internet necessita di una regolamentazione nuova e specifica, che
non sia, a rischio di inutilità, una semplice estensione del diritto già esistente. Il
carattere decentralizzato della rete, l’interattività, la spontaneità degli scambi
informativi che avvengono in tempo reale rendono Internet uno strumento di
comunicazione nuovo, ancora allo stato magmatico e dalle dimensioni fino a poco
tempo fa inimmaginabili.
33 Corte Cost. n. 59/1960, in Giur. Cost., 1960, p.759. Nella sentenza la Corte osservava che la limitatezza di fatto delle frequenze utilizzabili avrebbe caratterizzato in senso oligopolistico l’attività radiotelevisiva. 34 V. FROSINI, L’orizzonte giuridico di Internet, in Riv. Inf. Inf., 2000, p. 275.
105
In relazione a ciò sono necessari nuovi linguaggi e metodi legislativi, tanto che si
parla di cyberlaw come di un originale tipo di diritto mondiale applicabile solo
alla rete, che terrebbe conto delle sue caratteristiche e di quelle del cyberspace.
Con riferimento al diritto di manifestazione del pensiero, che si intreccia qui con
quello di comunicazione, la vigente disciplina del contenuto e delle forme di
espressione si conferma inappropriata, poiché pensata per una divulgazione delle
opinioni professionale e confinata entro precisi territori dove la legge statale è
sovrana. Internet, invece, è delocalizzata, non ha territorio e non ha dimensioni, se
non infinite.
Ciò, tuttavia, non deve indurre ad atteggiamenti nichilisti di rassegnazione alla
creazione di regole per la rete, o, all’opposto, libertari, nella convinzione
ottimistica che Internet si disciplini da sé, in via pressoché automatica. Né sono
vantaggiose le voci di criminalizzazione, per cui tale mezzo, di per sé, sarebbe
foriero di comportamenti illeciti o offensivi dei valori della società35.
Come l’esperienza ha ormai dimostrato, le funzioni della rete si sono rivelate in
grado di offendere, non diversamente dagli altri veicoli di comunicazione, sia
valori ordinamentali collettivi, sia interessi e diritti dei singoli. Ogni difficoltà
frapposta alla regolamentazione del mezzo, pertanto, non giustifica un esonero dal
dovere di tutela di quei valori fondamentali, ma esige uno studio approfondito, a
cominciare dall’esatta definizione concettualistica del fenomeno, che eviti
provvedimenti inappropriati dovuti alla frettolosità del legislatore.
Una delle questioni che l’interprete deve risolvere in via preliminare è, pertanto,
se sia sufficiente adeguare le regole esistenti al nuovo sistema o se occorre
introdurre regole nuove, che rispettino, in ogni caso, i principi costituzionali. Una
35 Per un’analisi dell’atteggiamento dei giuristi P. COSTANZO, Aspetti evolutivi del regime giuspubblicistico di Internet, in www.interlex.it.
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terza via, infine, potrebbe essere quella di lasciare che un sistema così anarchico,
nello stretto significato di insofferente a controllo centrale, si autoregolamenti.
Nel tema della manifestazione del pensiero, le problematiche giuridiche dell’art.
21 Cost., che dottrina e giurisprudenza hanno affrontato fino ad oggi, si
riaffacciano qui negli stessi termini, ma con un aggravio di interrogativi dovuti
alla mancanza di ogni barriera e alla immediatezza della comunicazione.
Internet deve sopportare le restrizioni che sopportano gli altri mezzi di diffusione
e avvalersi delle stesse garanzie, ma modifica il senso di quei limiti e di quelle
garanzie per le sue particolarità.
In via esemplificativa, il buon costume, unico confine della libertà sancito dalla
norma costituzionale, è un concetto aperto, con un valore contingente legato al
momento storico e alla società. In una comunità mondiale, quale si presenta quella
degli utenti della rete, che significato attribuirgli? In riferimento a quale cultura36?
Ancora, come controllare, non solo preventivamente ma anche repressivamente, i
contenuti della rete, che possono apparire e scomparire in pochi secondi? Chi è
responsabile dei contenuti immessi, considerando l’impossibilità, per chi fornisce
la connessione, di verificarli tutti e la facoltà dell’anonimato? Come, infine,
rendere valida una disciplina statale di un mezzo che non ha barriere nazionali o,
all’inverso, come renderla efficace nel solo territorio statale senza limitare la
sovranità delle altre nazioni?
I principi costituzionali restano gli stessi. Chi usa Internet gode della libertà di
manifestazione del pensiero ed è, al tempo stesso, soggetto agli stessi limiti che
operano per le altre forme di espressione. Ciò non significa che la rete debba
36 Dimostrativo dei problemi interpretativi è il caso United States adv. Robert Thomas, consultabile in www.eff.org/legal/Cases/AABBS_Thomases_Memphis: i coniugi Thomas gestivano una BBS per adulti con sede in California. Il tribunale di Memphis, Tennessee, ritenne di dover condannare i coniugi per l’oscenità delle immagini pornografiche contenute nella loro BBS. Una successiva sentenza in California, invece, li assolse perché, secondo il community standard californiano, non c’era nulla di osceno.
107
essere regolata al pari degli altri media. Non tener conto della sua diversità ed
originalità equivale a rischiare che una legislazione risulti incostituzionale37 o
inefficace.
Risolto positivamente il dubbio se Internet ricada nell’art. 21 e negativamente
quello se vada regolato con la legislazione già vigente, il nodo cruciale è un altro:
quali regole, coerenti alle innovazioni tecnologiche, bisogna applicare alla rete
perché i principi in materia di libertà di espressione vengano rispettati?
III.5 La libertà di manifestazione del pensiero in rete e la politica europea
Prima di analizzare l’approccio italiano alle problematiche giuridiche sollevate da
Internet come mezzo di manifestazione del pensiero, è doveroso ripercorrere
l’attività dell’Unione Europea sull’argomento. L’Italia, infatti, come membro
dell’UE, risente delle scelte condotte dalle istituzioni europee e attua i suoi
programmi anche in base ad esse, specie nei settori che richiedono soluzioni
universali: “in ossequio al principio di sussidiarietà di cui all’art. 3 B del Trattato,
gli obiettivi delle azioni proposte [del piano pluriennale per l’uso sicuro di
Internet] possono, a causa del carattere transnazionale delle problematiche toccate,
essere meglio realizzati a livello comunitario”38.
Si può anticipare l’impressione di due approcci differenti.
L’Unione Europea, infatti, si è dimostrata sensibile al fenomeno con numerosi, e
spesso ripetitivi, pareri e studi che hanno condotto ad un piano d’azione per
promuovere l’uso sicuro di Internet, attraverso la lotta alle informazioni di
contenuto illegale e nocivo. L’Italia, invece, sembra arenata in una prassi di
37 Si veda retro dello statunitense del Computer Decency Act e della francese loi Fillon. 38 Punto 21 della decisione n. 276/1999/CE del Parlamento Europeo del Consiglio che adotta un piano pluriennale d’azione comunitario per promuovere l’uso sicuro di Internet, G.U. n. L 033 del 06 gennaio 1999, pp.1.
108
sequestri di siti e in una serie di proposte legislative di cui solo una è diventata
legge39.
III.5.1 L’America e l’Europa: due scuole a confronto
Sembra utile iniziare l’analisi delle iniziative europee da un confronto con gli Stati
Uniti, dove si sono avute le prime pronunce giurisprudenziali e le prime
discussioni sulla libertà di espressione in rete.
Si richiama in proposito la recente Convenzione sul Cybercrime40 e il suo
Protocollo addizionale, adottato a Strasburgo nel novembre 2002 dal Comitato dei
ministri del Consiglio d’Europa, con cui si dichiara “tolleranza zero” verso i siti
che contengono o pubblicano materiali considerati razzisti, antisemiti oppure
xenofobi41. L’amministrazione americana ha sottoscritto la Convenzione, ma non
il Protocollo aggiuntivo, perché contrario ai suoi dettami costituzionali di libertà
di espressione, che proteggono anche le opinioni razziste o gli incitamenti
all’odio42.
La vicenda ha messo in luce la diversità della scuola americana ed europea sulla
libertà, sia intesa in assoluto, sia relativa alla comunicazione e all’informazione,
che proprio in Internet, grazie alla duttilità e incontrollabilità del mezzo, riescono
meglio a contrapporsi. Sono due concezioni e pratiche della libertà che generano
non solo dottrina, ma anche giurisprudenza e leggi. Se gli USA, come si è visto,
lasciano alle iniziative private la soluzione dell’equilibrio tra diffamazione e
libertà di espressione o garantiscono la libertà di qualsiasi messaggio, l’Europa
adotta azioni comuni, concertazioni e programmi per educare la rete, prima che gli
utenti. “Si tratta di una lotta impossibile tra due filosofie, quella della libertà che
39 L. n. 62/2001, G.U. n. 67 del 21 marzo 2001. 40 www.cybercrime-conference.tim.it. 41 Il protocollo è aperto alla ratifica anche di Stati estranei all’UE. Oltre agli Stati uniti, figurano, tra gli altri, il Canada, il Giappone, il Messico e il Sud Africa. 42 Per una ricostruzione cronologica delle firme alla Convenzione e al Protocollo v. www.punto-informatico.it.
109
tutela se stessa con la libertà e quella della dichiarata libertà che vorrebbe tutelare
se stessa con i divieti”43.
III.5.2 I primi studi europei sulla libertà in rete
L’Europa ha cominciato ad affrontare la questione della libertà di espressione in
Internet nel 1996, quando il Consiglio richiese alla Commissione di proporre
misure pratiche per intraprendere un’azione immediata di lotta al contenuto
illegale e nocivo su Internet.
La Commissione, in data 16 ottobre 1996, adotta la Comunicazione su
informazioni di contenuto illegale e nocivo44 e la presenta al Consiglio, al
Parlamento, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni,
simultaneamente al Libro verde sulla protezione dei minori e della dignità
umana45.
In materia di contenuto illegale, la Commissione propone di intensificare la
cooperazione tra gli Stati membri nel settore della giustizia e degli affari interni,
di esaminare la responsabilità dei fornitori di accesso e dei server, di incoraggiare
l’elaborazione e l’utilizzo di norme di autoregolamentazione da parte dei fornitori
d’accesso.
In materia di contenuto nocivo, prevede l’utilizzo di software filtro e di sistemi di
codifica, intende incoraggiare i produttori di contenuti europei a cooperare
istituendo una propria deontologia, promuovere azioni nazionali di
sensibilizzazione rivolte a genitori ed educatori, creare un sito d’informazione su
Internet che svolga un’attività di sostegno. In materia di cooperazione
internazionale, infine, propone di organizzare una riunione di lavoro dei paesi
43 Vincenzo Donvito, presidente ADUC (associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori), in www.aduc.it. 44 COM (96) 487, reperibile in www.echo.lu/legal/en/internet/content/communic.html. 45 COM (96) 483, reperibile in www.echo.lu/legal/en/internet/content/gpen-toc.html.
110
membri del G7 per esaminare il contesto giuridico esistente e la possibilità di
negoziare una convenzione internazionale sul contenuto illecito e nocivo in
Internet.
Ai fini della presente indagine, rileva in primo luogo la distinzione fra contenuti
illeciti e nocivi. I primi riguardano la commissione di fattispecie delittuose con il
mezzo Internet e la repressione di esse. Esulano, quindi, da questo studio per ciò
che concerne gli aspetti penalistici del problema. I contenuti nocivi sono, invece,
quelli che più interessano il problema del giusto equilibrio tra controllo e libertà di
manifestazione del pensiero, perché riguardano opinioni o comportamenti non
vietati, ma semplicemente ritenuti dannosi.
La distinzione è sottolineata nella Risoluzione del Parlamento sulla
comunicazione, che considera il contenuto illegale “pertinente al settore
giuridico”, mentre quello nocivo “pertinente essenzialmente all’ambito della
morale”46. Alla luce di questa differenziazione, le misure contro i contenuti
illegali devono essere volte a combattere la fonte delle informazioni, mentre per i
contenuti nocivi si esigono rimedi volte a sensibilizzare e responsabilizzare gli
utenti47.
Nel Libro verde sulla protezione dei minori e della dignità umana nei servizi
audiovisivi e di informazione la Commissione intende aprire le consultazioni con
le istituzioni comunitarie, le autorità nazionali e le altre categorie interessate per
individuare le soluzioni da adottare a medio e lungo termine in materia di
protezione dei minori e della dignità umana. Tali consultazioni, nelle previsioni
della Commissione, devono riguardare il rafforzamento della protezione giuridica,
lo sviluppo di meccanismi di arbitraggio, conciliazione e sorveglianza in materia
46 G.U. n. C 150 del 19 maggio 1997, p.38. 47Relazione intermedia sulle iniziative adottate negli stati membri dell’UE, reperibile in www.europa.eu.int/ISPO/legal/it/internet.
111
di regolamentazione nazionale e autoregolamentazione, la promozione della
cooperazione tra gli Stati membri in materia di giustizia e affari interni, il lancio
di sistemi di controllo parentale, tramite l’invito alla cooperazione delle industrie
interessate, l’elaborazione di codici di condotta, l’identificazione di standard
comuni per l’indicazione dei contenuti, lo sviluppo dell’informazione e della
sensibilizzazione degli utilizzatori.
La Commissione ritiene di fondamentale importanza la lotta ai contenuti offensivi
della dignità umana e nocivi ai minori. Imposta, pertanto, il problema del
controllo sulla comunicazione e l’informazione in rete proprio sull’equilibrio tra
tutela dei minori e della dignità da un lato e tutela della libertà di espressione
dall’altro. Gli stessi valori che l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale italiana
hanno posto come criteri guida per limitare la libera manifestazione del pensiero.
Si legge nel Libro verde che, “qualunque sia il peso dato alla libertà di
espressione, la protezione dei minori e della dignità umana è sempre stata una
preoccupazione fondamentale nella regolazione dei media. La nascita di nuovi
mezzi, non modifica l’esigenza di questa protezione. I progetti possono cambiare
da Paese a Paese, da epoca ad epoca. È comunque importante, al di là di questi
ostacoli, distinguere due tipi di problematiche. Dapprima, quella relativa al divieto
di accesso ad alcuni tipi di materiale per tutti, a prescindere dall’età o dalla
potenzialità di utenza del mezzo usato. Bisogna, dunque, identificare una
categoria generale di contenuto che viola la dignità umana e che consiste
primariamente nella pornografia infantile, nella violenza estrema e gratuita,
nell’incitamento all’odio razziale, alla discriminazione e alla violenza.
Secondariamente, quella relativa alla possibilità di accesso solo per adulti al
materiale che possa nuocere allo sviluppo psichico e mentale dei minori (…) Le
questioni sono spesso confuse, ma è essenziale mantenerne la distinzione: ci sono
112
differenti obiettivi che sollevano differenti problemi e chiedono differenti
soluzioni”48.
La Commissione riconosce che la portata dei concetti e l’ampiezza degli interventi
dipendono dalla tradizione culturale e giuridica di ogni Stato, ma ritiene che ci
siano delle classi di contenuti unanimemente considerate offensive della dignità
umana. L’Unione Europea ha il compito di individuare le nozioni e i criteri
comuni a tutti gli Stati per combattere la diffusione di questo tipo di materiale,
rispettando le diversità culturali di ogni Paese.
Nella lotta ai contenuti nocivi solo per l’infanzia, invece, il compito è quello di
realizzare sistemi di controllo che lascino la massima libertà di accesso per gli
adulti, mentre assicurino che i minori non siano esposti alla visione e alla
fruizione di tale materiale. In definitiva, sistemi di controllo parentale dove la
censura non si applica all’origine della diffusione, ma alla sua conclusione, ad
opera del destinatario.
La risposta che la Commissione, con il Libro verde e la comunicazione, dà al
Consiglio ha una natura marcatamente pragmatica. Senza soffermarsi troppo sulla
definizione di ciò che è nocivo e ciò che è illegale, di ciò che è vietabile solo ai
minori e ciò che, invece, deve essere bandito dalla rete, la Commissione si affretta
a dare soluzioni tecniche su come controllare Internet, sui sistemi migliori di
filtraggio e di cooperazione tra Stati o tra istituzioni pubbliche e private, sui
metodi legislativi di autoregolamentazione.
L’attenzione pare concentrata soprattutto sui meccanismi di filtraggio, che
vengono utilizzati dall’utente permettendo il libero flusso delle informazioni e il
rispetto delle preferenze individuali. A differenza delle normali misure censorie,
48 Capitolo 1, Contesto e problemi.
113
che bloccano la divulgazione di un messaggio, il filtraggio permette una censura a
valle, da parte principalmente di educatori e genitori.
Questo sistema costituisce, secondo la Commissione, il giusto compromesso fra
libertà e tutela dei minori, responsabilizzando coloro che ne curano l’educazione e
tenendo a mente le differenti sensibilità, non solo di ogni comunità, ma anche di
ogni individuo. Oltre ad essere utile come linea di difesa a livello dell’utente
finale, il software di filtraggio può anche venir utilizzato in vari stadi del processo
di trasmissione, ad esempio dai fornitori d’accesso o di servizi49.
Tuttavia, il ruolo più importante è svolto, qui, dai genitori e dagli educatori, come
evidenzia anche il Comitato delle Regioni nel Parere formulato sul Libro verde e
sulla Comunicazione della Commissione50.
L’organo ritiene, infatti, che l’educazione ai media sia di primaria importanza
perché le famiglie e gli educatori sappiano utilizzare nel modo più proficuo i
sistemi di controllo decentralizzato. Il ruolo dei genitori è, pertanto, quello di
attenti censori privati che, con piena cognizione del mezzo e delle potenzialità di
Internet, sappiano gestire il materiale in rete. “L’evoluzione degli strumenti di
comunicazione, infatti, esige l’adozione di nuove misure che consentano di
applicare le regolamentazioni ed i principi che garantiscono nelle nostre società
democratiche la libertà di espressione e il pieno rispetto delle sue restrizioni
giuridiche”51. Ciò implica la considerazione delle diversità culturali, regionali e
locali, che non può essere garantita semplicemente dall’adozione di misure
puramente tecniche, ma necessita di una previa ed attenta definizione concettuale
dei problemi.
49 Sollevò ampie critiche la scoperta, nell’ottobre del 2002, che Google.fr e Google.de, tramite uno di questi software, avevano censurato senza avvertire gli utenti 113 siti di ispirazione razzista, per evitare possibili conseguenze legali. La notizia è apparsa nelle news di www.punto-informatico.it il 25 ottobre 2002. 50 G.U. n. C 215 del 16 luglio 1997, pp. 37. 51 Punto 2, osservazioni generali.
114
A questo scopo, il Comitato si sofferma sulla nozione di contenuti illeciti e nocivi.
I primi devono formare oggetto di un divieto generale, mentre i secondi
dovrebbero essere accessibili solo agli adulti, in quanto suscettibili di nuocere allo
sviluppo fisico, mentale o morale dei minori. La linea scelta dal Comitato è quella
del “maggior controllo possibile da parte dell’utente finale sulla scelta dei
contenuti”52, la più appropriata, a prima vista per conciliare l’indispensabile tutela
dei minori con il carattere prevalentemente contestuale del concetto di contenuto
controverso e il principio fondamentale della libertà di espressione.
L’entusiasmo per i software di filtraggio si placa, tuttavia, quando il Comitato
sottolinea la necessità di procedere con cautela nell’elaborazione di programmi
informatici di etichettatura, affinché si eviti il rischio, tutt’altro che peregrino, che
siano i poteri pubblici, o peggio ancora i fornitori privati, a stabilire ciò che va o
non va visto.
Inoltre, sottolinea il Comitato, l’elaborazione di misure tecniche apporta benefici
del tutto marginali, se non accompagnata da una campagna di sensibilizzazione ed
educazione dei media. “A suo giudizio, la lotta ai contenuti illeciti e nocivi va
condotta anche sostenendo contenuti utili e di qualità. Deplora quindi che nel
Libro verde e nella Comunicazione tale aspetto venga trattato in maniera
succinta”53 ed auspica interventi positivi a sostegno della qualità dei contenuti, per
evitare gli appiattimenti alla libertà di espressione, al diritto d’informazione e al
libero arbitrio.
Il Consiglio e il Parlamento rispondono alla Comunicazione con due Risoluzioni.
Nella prima54, il Consiglio e i rappresentanti dei Governi degli Stati membri
rammentano, accanto agli “evidenti benefici offerti da Internet, in particolare nel
52 Punto 3.1.8, osservazioni particolari. 53 Punto 3.4.2 e 3.4.3, osservazioni particolari. 54 G.U. n. C 70 del 6 marzo 1997, pp.1.
115
settore dell’istruzione, in quanto consente ai cittadini di abbassare le barriere alla
creazione e distribuzione di informazioni”, la “necessità di lottare contro l’uso
illegale delle possibilità tecniche di Internet”. Compiacendosi, pertanto, del lavoro
della Commissione, invitano gli Stati membri ad agevolare i sistemi di
autoregolamentazione, i dispositivi di segnalazione hot-line, i meccanismi di
filtraggio, la ricerca sugli aspetti tecnici e la collaborazione internazionale.
Esortano, infine, ad un esame più approfondito sulla responsabilità giuridica di
Internet e ad uno sforzo degli Stati membri perché adottino tutte le misure
necessarie a potenziare l’efficacia degli orientamenti europei.
La Risoluzione del Parlamento55 si mantiene, invece, su un livello più teorico,
fornendo un’elencazione di dichiarazioni di principio che servano ad illuminare le
scelte pratiche. Così, il Parlamento ricorda solennemente che nessuno può essere
perseguitato per le proprie opinioni e che la libera comunicazione del pensiero è
un diritto fondamentale ed imprescrittibile di tutte le società democratiche;
considera che un’impostazione esclusivamente repressiva delle reti informatiche
nuocerebbe al contributo positivo di queste ultime allo sviluppo della comunità;
proclama che la libertà di espressione è un’esigenza assoluta delle società
democratiche; sottolinea che i preoccupanti fenomeni osservati su Internet non
devono occultare la rivoluzione culturale che il mezzo ha reso possibile; riconosce
che la libera circolazione dell’informazione costituisce una manifestazione
fondamentale della libertà di espressione; invita i governi e i genitori a far
sviluppare le capacità di analisi critica dei bambini.
Limitatamente al contenuto nocivo, insiste sul primato della responsabilità
individuale, in particolare in seno alle famiglie; invita Stati e Commissione alla
promozione di un sistema internazionale comune di classificazione,
55 G.U. n. C150 del 19 maggio 1997, pp.38.
116
sufficientemente flessibile da accogliere le differenze culturali; chiede
l’approfondimento delle questioni riguardanti la responsabilità degli operatori e
l’incoraggiamento delle iniziative di autoregolamentazione.
III.5.3 Il Piano pluriennale d’azione comunitario per l’uso sicuro di Internet
Gli studi, le consultazioni e gli scambi informativi delle istituzioni europee
susseguitisi a partire dal 199656 hanno condotto alla Decisione n. 276/1999 del
Parlamento europeo del Consiglio57, che adotta un piano d’azione comunitario
della durata di quattro anni, dal primo gennaio 1999 al 31 dicembre 2002, per
promuovere l’uso sicuro di Internet attraverso la lotta alle informazioni di
contenuto illegale e nocivo diffuse sulle reti globali.
Considerando l’importanza di creare un ambiente favorevole al progresso, non
solo economico, della società, l’istituzione individua le azioni necessarie per
raggiungere questo scopo, evidentemente ritenendo la mancanza di regole un
fattore negativo allo sviluppo del settore. Per raggiungere gli obiettivi, si
intraprendono le misure che, nei lavori preparatori al piano, erano risultate più
idonee e si dichiara la Commissione responsabile dell’attuazione del programma.
Le azioni coprono sia la lotta ai contenuti illegali che nocivi. I primi vanno
combattuti all’origine da parte di forze di polizia e autorità
giudiziarie, le cui attività devono essere regolate dalle leggi nazionali e dagli
56 Oltre a quelli citati nel paragrafo precedente, si vedano anche la risoluzione su “L’Europa e la società dell’informazione planetaria, raccomandazioni al Consiglio europeo” e sulla “Comunicazione della Commissione delle Comunità europee “La via europea verso la società dell’informazione: piano d’azione”, G.U. n. C 320 del 28 ottobre 1996, pp. 164; la già citata relazione intermedia sulle iniziative adottate negli Stati membri dell’UE per combattere le informazioni di contenuto illegale e nocivo su Internet, elaborata dal gruppo di lavoro sulle informazioni di contenuto illegale e nocivo, organizzato conformemente alle conclusioni del Consiglio delle Telecomunicazioni del 27 settembre 1996; la dichiarazione ministeriale con cui si è conclusa la Conferenza Global information networks: realising the potential, Bonn, 6-7 luglio 1997; la risoluzione legislativa recante il parere del parlamento europeo sulla proposta di raccomandazione del Consiglio concernente la tutela dei minori e della dignità umana nei servizi audiovisivi e dell’informazione, G.U. n. C 167 del primo giugno 1998, pp. 128; la posizione comune (CE) n. 56/1998 definita dal Consiglio in vista dell’adozione del piano pluriennale comunitario, G.U. n. C 360 del 23 novembre 1998, pp. 83. 57 G.U. n. L 033 del 6 febbraio 1999, p. 1.
117
accordi di cooperazione giudiziaria. L'industria può comunque dare un importante
contributo riducendo la circolazione di contenuti illegali, soprattutto nel caso di
pornografia infantile, razzismo e antisemitismo, attraverso i sistemi di
autodisciplina e l’istituzione di hot line, a complemento e sostegno del sistema
giuridico e con l'ausilio dei consumatori.
Per affrontare i contenuti nocivi, le azioni devono in primo luogo offrire agli
utenti la possibilità di rifiutare tali materiali tramite lo sviluppo di soluzioni
tecnologiche, ossia sistemi di filtraggio e di classificazione, di elevare il grado di
consapevolezza dei genitori e sviluppare l'autodisciplina, che può fornire una
copertura adeguata soprattutto alla tutela dei minori.
I campi di azione sono quindi l’autoregolamentazione, il filtraggio, la
classificazione e la sensibilizzazione, oltre alla creazione di una rete europea di
hot line.
Partendo da quest’ultima tecnica, le hot line sono centri che consentono agli
utenti di segnalare contenuti da essi incontrati su Internet e ritenuti illegali. Si
tratta, in sintesi, di creare dei centri virtuali di denuncia per privati cittadini,
affinché collaborino con le autorità competenti nella persecuzione dei reati e nel
controllo dei contenuti immessi in rete.
L’autoregolamentazione, invece, è considerata, assieme ai codici di condotta, una
tecnica normativa fondamentale per dare ordine ad un mezzo di comunicazione
planetario e senza centri di controllo. “Autodisciplina (…) è l’espressione
utilizzata per definire un fenomeno per il quale alcuni soggetti operanti nel
medesimo settore di attività e accomunati da interessi ben precisi decidono di
assoggettare i propri comportamenti a determinate regole di condotta”58.
58 AA.VV., Pubblicità, permessi e divieti nei Paesi CEE, Milano, 1992, p. 37.
118
Nel vuoto giuridico che circonda la comunicazione in rete, queste regole
potrebbero rappresentare l’unica forma di normazione.
Secondo le previsioni del piano, questa linea d’azione dovrebbe limitare il flusso
sia delle informazioni illegali che di quelle nocive, purché i codici assicurino un
elevato livello di protezione e siano rispettati. A tal fine, il piano propone la
creazione di un marchio di qualità per individuare i fornitori di servizi che
aderiscono a detti codici.
Quanto alla terza linea d’azione, il filtraggio, nella decisione si legge che il livello
di sofisticazione raggiunto dai software è ancora basso, tale da non consentire
ancora una classificazione adeguata secondo la volontà dell’utente. Oltre a
perfezionare i sistemi, si deve anche cooperare nel senso di armonizzare i criteri di
catalogazione a livello internazionale.
I principali modelli di filtraggio, già messi a punto all’epoca del Libro verde, sono
il blacklisting, che blocca i siti inseriti in apposite categorie; il whitelisting, che,
all’inverso, blocca tutto il materiale on line ad eccezione dei siti espressamente
autorizzati ed inseriti nella lista; l’etichettatura neutrale, che, dopo la
classificazione, lascia all’utente la decisione finale di arresto dei contenuti.
Il primo metodo, utilizzato ampiamente nei pacchetti di filtraggio della prima
generazione, si basa su un’eccessiva fiducia nell’intelligenza del filtro, che
sarebbe capace di discriminare i contenuti nocivi sulla semplice base di parole
chiave. La seconda tipologia è senz’altro la più limitativa e contraria alla logica di
Internet, pur risultando molto sicura tanto da essere stata utilizzata, ad esempio, in
ambito scolastico.
La tecnica dell’etichettatura neutrale è quella su cui più si concentrano gli attuali
studi. Essa è stata lanciata nel 1996 con il nome di Platform for Internet Content
120
della rete, nonché dei modi per identificare i contenuti utili e bloccare quelli
dannosi.
Il Parlamento del Consiglio auspica, nelle conclusioni del piano, un
coordinamento internazionale per garantire la coerenza e l’efficacia dell’azione.
Anche la Dichiarazione relativa alla lotta al razzismo e alla xenofobia del
Consiglio e dei rappresentanti dei Governi degli Stati, adottata il 28 giugno 2001,
insiste sui doveri di sensibilizzazione della società60.
Il documento ricorda che l’Unione Europea si fonda sul rispetto dei diritti umani,
delle libertà fondamentali e dello stato di diritto. Nonostante la cultura
democratica, correnti estremistiche sfruttano Internet per diffondere messaggi di
intolleranza e di odio razziale, contro cui è compito della società e delle autorità
politiche lottare. Per questo motivo il Consiglio sottolinea l’importanza e la
responsabilità delle scuole e delle associazioni nell’incoraggiare i giovani a
sviluppare i valori democratici della tolleranza e della solidarietà e nel favorire lo
sviluppo di un’analisi critica del materiale che si trova in rete; preme sulla
necessità di uno scambio di esperienze e informazioni tra Stati membri,
promuovendo programmi ed organi come l’Osservatorio europeo dei fenomeni di
razzismo e xenofobia o il Piano d’azione per l’uso sicuro di Internet; rileva la
necessità di incoraggiare i fornitori di servizi Internet ad offrire al pubblico i
mezzi per segnalare il materiale di contenuto razzista e xenofobo e a collaborare
con le autorità giuridiche e di polizia degli Stati membri.
III.5.4 La proposta di modifica del Piano pluriennale per l’uso sicuro di Internet
Il Piano d’azione doveva concludersi alla fine del 2002, ma la Commissione ne ha
chiesto la proroga di un biennio. Nel marzo del 2002 ha presentato al Parlamento,
al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni una
60 G.U. n. C 196 del 12 luglio 2001, p.1.
121
proposta di modifica della Decisione n. 276, istitutiva del Piano, sulla base dei
risultati conseguiti e di quelli ancora da raggiungere61.
Nel documento si riportano gli obiettivi conquistati e le attività in corso e si
circoscrivono i nuovi impegni che l’Unione Europea, gli Stati membri, gli Stati
candidati e i Paesi terzi dovrebbero assumere, anche alla luce delle esperienze
raccolte e delle tecnologie acquisite, per continuare a promuovere l’uso sicuro di
Internet. L’intervento comunitario in corso e quello proposto appaiono alla
Commissione complementari e coerenti.
La Commissione elenca i risultati raggiunti in tre anni nei campi di azione che la
Decisione aveva individuato. Considera la creazione della rete europea di hot line
il principale contributo del Piano alla lotta ai contenuti illegali. Nonostante la
crescita di questa rete, non tutti i Paesi dell’Unione ne sono ancora collegati. Tra
gli esclusi, figura, peraltro, l’Italia62.
Quanto all’azione di autoregolamentazione, l’istituzione sottolinea che il suo
compito non è sostenerla finanziariamente, ma sotto forma di consulenza. A
questo scopo, ha stipulato un contratto con l’Università di Oxford63 perché studi il
livello di autoregolamentazione raggiunto dai media europei e formuli un modello
unico transnazionale di riferimento, con la collaborazione delle industrie del
settore, delle autorità pubbliche interessate, dei rappresentanti degli utenti e dei
consumatori.
Relativamente all’azione dello sviluppo di sistemi di controllo parentale, nella
proposta si legge la necessità di perfezionare un sistema di classificazione
indipendente dalle esigenze di mercato e che tenga conto della tradizione culturale
61 G.U. n. C 203E del 27 agosto 2002, p. 6. 62 La Commissione ricorda che, grazie a questo sistema, è stato possibile combattere un circuito di pedofilia nel Regno Unito e uno di pornografia in Svezia. Nel frattempo, la hot line danese ha promosso una campagna di sensibilizzazione su come usare la chat in modo sicuro. 63 www.selfregulation.info.
122
europea, dal momento che i sistemi attualmente disponibili sono formulati per
l’utenza americana64.
Infine, quanto all’azione di sensibilizzazione, la Commissione dichiara di aver
finanziato, nel corso di questi tre anni, nove progetti europei, di aver dato vita
all’iniziativa di Safer Internet Awareness Exchange per lo scambio di
informazioni tra Paesi sulle modalità migliori di sensibilizzazione, di aver creato
un sito65 e una newsletter e di essere promotrice di dibattiti on line e incontri.
Le attività svolte sotto l’egida della Commissione, nel quadro relativo all’uso
sicuro di Internet, sono state valutate tra il novembre 2000 e l’aprile 2001 da una
società selezionata in base ad una gara d’appalto. I risultati della valutazione sono
confluiti in questa proposta. Nella attinente relazione, si consiglia un
prolungamento dell’operatività del Piano per perfezionare gli scopi prefissati o per
raggiungerne di nuovi, dato che lo sviluppo della tecnologia ha portato sia più
pericoli che più opportunità di crescita e che la posizione dell’UE è ben adatta per
conseguire gli obiettivi descritti, in sinergia con gli interventi degli Stati o di
organismi estranei all’Unione.
Si vuole, così, ampliare il piano a nuove tecnologie on line e non solo al web,
come videogiochi e chat room; sostenere collegamenti più solidi ed efficaci tra
Paesi dell’UE e tra UE e organizzazioni internazionali66, soprattutto per trattare
64 Si ricordano, a questo proposito, il progetto di classificazione dell’ICRA (Internet Content Rating Association) e gli orientamenti consigliati per una classificazione autonoma dal medCERTAIN.65 www.saferinternet.org. 66Un esempio è costituito dalla già citata Conferenza ministeriale di Bonn su come realizzare il potenziale delle reti globali di informazione, organizzata nel 1997 dal governo tedesco e dalla Commissione o la Conferenza internazionale sulla lotta alla pornografia infantile su Internet, co-organizzata nel 1999 dal governo austriaco, dal governo statunitense e dalla Commissione. Questo approccio è suffragato anche dal successo del Vertice internazionale sul contenuto di Internet, organizzato nel 1999 dalla Fondazione Bertelsmann, dal progetto INCORE finanziato attraverso il piano d'azione e dal fatto che l'associazione di hot line INHOPE ha ottenuto una partecipazione attiva degli Stati Uniti e dell'Australia. La Commissione e i partecipanti ai progetti del piano d'azione hanno svolto un ruolo di primo piano nella conferenza Safe surfing - navigare in modo sicuro- tenutasi nel 2001 a Singapore.
123
specifiche questioni di natura culturale e linguistica, capire le esigenze particolari
degli utenti e potenziare le strutture esistenti; completare l’integrazione dei Paesi
in ritardo nell’attuazione delle tecnologie; consentire una più intensa messa in rete
delle iniziative nazionali e di coordinamento; dare maggiore visibilità al Piano;
sostenere in maniera più decisa la campagna di sensibilizzazione e di istruzione,
promuovendo, ad esempio, il lancio di contenuti europei di qualità, soprattutto per
i bambini; rendere più partecipi gli operatori industriali e commerciali, mediante
un dialogo più costruttivo con gli organismi pubblici, specie nella prospettiva
dell’autoregolamentazione; ampliare la tipologia dei contenuti illegali e dannosi ai
comportamenti preoccupanti, come razzismo e violenza.
La proposta della Commissione ha ricevuto per primo il Parere del Comitato
economico e sociale in data 18 settembre67, che sottoscrive la valutazione
favorevole della Commissione al Piano d'azione Internet e ritiene che esso
dovrebbe beneficiare di un maggiore sostegno da parte dei governi e delle
imprese.
Il Comitato accoglie con favore l'intenzione della Commissione di incoraggiare i
contenuti Internet per i bambini, nonché le buone pratiche delle imprese
consistenti nell'indicare zone riservate a questi; auspica che siano elaborate anche
linee direttive per gli altri Paesi e in particolare per quelli candidati all'adesione;
raccomanda la coregolamentazione al posto dell'autoregolamentazione, che non
consente di proteggere i bambini sul piano del contenuto; in questo senso, ritiene
che il perfezionamento dei sistemi di filtraggio costituisca un compito prioritario.
Infine, il Comitato esorta la Commissione a massimizzare l'impatto dei messaggi
67 Boll. 9-2002, punto 1.3.73.
124
di sensibilizzazione, integrandoli nei programmi esistenti come eContent e
eLearning68.
Due mesi dopo anche il Comitato delle Regioni rende noto il suo Parere69,
approvando l'impostazione adottata dalla Commissione per il programma
d'intervento e le linee d'azione proposte per la seconda fase del Piano.
Per quanto riguarda le tecnologie per il controllo da parte dei genitori, suggerisce
di passare da un atteggiamento passivo di selezione dei software e dei servizi di
filtro alla loro promozione attiva, per garantire un controllo coerente con le
esigenze delle linee d'azione indicate.
Inoltre, il Comitato ritiene auspicabile “un’azione educativa incisiva” di
sensibilizzazione ad un impiego sicuro di Internet; in questo contesto, verrebbe ad
assumere particolare rilievo il ruolo delle regioni e delle comunità locali.
Al termine della valutazione del programma di azione svolto sulla base della
decisione n. 276/1999, le proposte di modifica della stessa riguardano l’estensione
del Piano a sei anni e dell’ambito di applicazione a nuove tecnologie on line come
contenuti mobili e a banda larga, comunicazioni in tempo reale e videogiochi. Si
amplia la categoria dei contenuti da tenere sotto controllo ai comportamenti
preoccupanti, si incarica la Commissione di organizzare work shop e seminari
con rappresentanti delle industrie, degli utenti e dei consumatori, con le
associazioni di difesa dei diritti civili e gli organismi statali competenti nel settore,
con esperti e ricercatori che collaborino all’individuazione delle azioni di
sensibilizzazione e di autoregolamentazione più efficaci.
68 Il programma eContent fa parte del piano d'azione eEurope e contribuisce a incentivare l'uso di Internet. Il programma si prefigge di stimolare la produzione, l'uso e la distribuzione di contenuti digitali europei e di promuovere la diversità linguistica sulle reti globali. La Commissione ha adottato l’azione eLearning per l’adattamento dei sistemi d’istruzione e di formazione all’economia della conoscenza e alla cultura digitale. 69 Boll. 11-2002, punto 1.3.73.
125
Il prolungamento del Piano risponde, almeno nelle intenzioni delle istituzioni
europee, alle preoccupazioni dell'opinione pubblica, che, a loro avviso, non sono
più rivolte solo ai comportamenti illegali di distribuzione di materiale di
pornografia infantile o pedofilia, ma anche al materiale potenzialmente dannoso,
specie per i minori.
Il problema principale, però, resta irrisolto. Per quanto sofisticate possano essere
le tecnologie di controllo, per quanto coerenti e sistematici possano essere i
progetti comunitari, si può discutere ad oltranza quali contenuti siano
effettivamente dannosi per bambini di una certa fascia di età, chi debba fissare le
regole generali da applicare ai fornitori di contenuti e chi debba decidere
sull’applicazione di queste regole.
Tali difficoltà, ad avviso del Consiglio e del Parlamento, non devono, comunque,
portare ad atteggiamenti rinunciatari da parte delle autorità pubbliche competenti
e dei privati coinvolti. Al contrario, l’uso di Internet e delle nuove tecnologie on
line risponde in genere a scopi informativi e ricreativi del tutto positivi ed è
destinato a crescere e a diversificarsi. Ma allo stesso tempo crescerà e si
diversificherà anche l'uso delle stesse tecnologie finalizzato alla diffusione di
contenuti illegali e nocivi. Occorre, quindi, secondo il Consiglio ed il Parlamento
europeo, una presa di posizione attiva per “rassicurare consumatori ed imprese
che Internet è un ambiente sicuro per lavorare, imparare e giocare”70.
III.6 Critica alle misure adottate dall’Europa
I programmi europei per indirizzare la rete ad essere un mezzo di sviluppo
economico e culturale sono, come si è visto, concentrati essenzialmente su di un
70 Comunicazione della Commissione sui contenuti illegali e nocivi di Internet, cit.
126
aspetto, la protezione dei minori, non solo da comportamenti che ne mettano in
pericolo la sicurezza, come la pedofilia, ma anche da contenuti diseducativi.
A questo scopo, dalla proposta di modifica della direttiva n. 276 sembra
aggiungersi anche un altro aspetto, quello della lotta ai comportamenti
preoccupanti come la violenza e il razzismo.
L’impostazione appare, ad un primo sguardo, corretta. Nulla è più augurabile di
una società illuminata dalla cultura e formata sugli ideali di tolleranza, rispetto e
solidarietà. Nulla è più nefasto della diseducazione o della crescita in un ambiente
culturalmente piatto e poco istruttivo. La creazione di un clima favorevole
all’arricchimento culturale basato su degli standard etici condivisi, che, a livello
tecnico, Internet rende possibile più di ogni altro media, è un desiderio legittimo,
salvo poi verificare se, oltre alle dichiarazioni di principio, sia effettivamente
possibile realizzarlo.
Gli strumenti di censura più o meno velata, di controllo più o meno preventivo, di
normazione più o meno diretta, non solo non rendono automatica e certa la
realizzazione di questo sogno, ma anzi possono danneggiare la libertà degli
scambi di opinioni e informazioni che avvengono spontaneamente in rete.
Il Piano pluriennale è un documento “ufficialmente improntato ad un ottimismo
quasi sfrenato”71: spera di proteggere i minori da abusi come pornografia infantile
o pedofilia; progetta di realizzare le potenzialità delle reti, sottolinea le
conseguenze positive soprattutto per l’istruzione e immagina una società
dell’informazione planetaria che, se correttamente guidata, contribuisca “a creare
un contesto civile più sociale e democratico”72. A questo proposito, individua
71 A. Monti, Internet fa male ai bambini? Sì, secondo l’Unione Europea, in www.andreamonti.net. 72 La citata risoluzione del Parlamento europeo su “L’Europa e la società dell’informazione planetaria. Raccomandazioni al Consiglio europeo” e sulla Comunicazione della Commissione delle Comunità europee “La via europea verso la società dell’informazione: piano d’azione”.
127
come linee d’azione principali l’autoregolamentazione, i sistemi di filtraggio, le
hot line, la sensibilizzazione degli utenti e, in maniera ancora confusa, la
responsabilità dei provider.
III.6.1 Valutazione dei programmi di filtraggio
La protezione dei minori tramite l’adozione di filtri concerne un duplice
problema, quello degli abusi nei loro confronti, commessi tramite la rete, e quello
dei contenuti diseducativi a cui possono liberamente accedere.
Innanzitutto, sembra opportuno non ingenerare confusioni sul delicato tema dello
sfruttamento sessuale dei minori, riducendolo ad un fenomeno tipico e quasi
esclusivo della rete. Gli abusi a loro danno nacquero ben prima di Internet, che ne
costituisce non la causa, ma uno degli strumenti, per quanto appetibile, in virtù
dell’assenza di una mediazione sociale legata all’identificazione visiva non certa.
Nessuna polemica, pertanto, sulle iniziative volte a sconfiggere questi mali, ma
solo un richiamo affinché l’attenzione sui pericoli che corrono i minori in rete non
si trasformi in una sua acritica e infondata demonizzazione.
Pur non essendoci dubbi sulla necessità di contrastare la terribile piaga della
pedofilia e della pornografia infantile73, compresa quella realizzata via Internet, la
serietà del problema impone interventi razionali e cauti, non dettati da isterismi e
fobie che, consigliano, ad esempio, di bombardare con virus informatici qualsiasi
sito sospetto o di impiegare l’ingegno degli hackers per smascherare i presunti
colpevoli o, in extremis, di controllare anche i contenuti di messaggi privati
trasmessi via Internet74.
73 L’Unione Europea, interessandosi del problema, ha avviato il programma Stop II di incentivazione e di scambi destinato alle persone responsabili della lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini; la Commissione è soggetto attivo della rete Innocence in Danger, istituita a seguito della conferenza dell'UNESCO tenutasi a Parigi il 18-19 gennaio 1999 sulla pornografia infantile e pedofilia; il Consiglio ha adottato la Decisione 375/2000 relativa alla lotta alla pornografia infantile su Internet. 74 Proposta avanzata dal disegno di legge s 4560.
128
Riguardo all’altro aspetto della protezione dei minori, ossia il controllo sui
contenuti nocivi alla loro crescita morale e psichica, non è tanto assurda
l’opinione, portata avanti in Italia da Livraghi e Monti75, secondo cui
bisognerebbe sostituire il termine infanzia con quello di adolescenza. Di bambini
cibernauti, infatti, non sembra ce ne siano tanti, considerato che l’interesse per la
rete cresce con l’adolescenza, proporzionalmente alla curiosità e ai desideri di
trasgressione dei giovani. Il termine minori risulta, dunque, parzialmente
fuorviante. Se è vero che nella prima infanzia un bambino non può mai essere
lasciato solo, né in un parco pubblico né davanti ad un computer, è in età
scolastica che comincia ad avere i suoi spazi di autonomia.
Normalmente, i problemi di tutela, non solo in Internet, iniziano con
l’adolescenza, quando l’inquietudine di nuove esperienze e la necessità di trovare
una propria autonomia spingono a sottrarsi al controllo familiare e a sperimentare
il fascino del proibito. Per i rischi connessi alla navigazione in rete, parlare di
minori sembra, da questo punto di vista, riduttivo, così come sembra ottuso
considerare la pornografia come l’unico pericolo. Ci sono altri, infiniti rischi, ma
è un’illusione pensare che filtri, etichettature e censure dei contenuti nocivi
possano tenerli tutti sotto controllo.
Il perfezionamento e l’aggiornamento di questi software è costante, cosicché si
può prevedere la creazione di filtraggi sempre più ingegnosi, che sappiano, ad
esempio, distinguere un sito pornografico da uno medico.
Tuttavia, le difficoltà tecniche non sono le uniche critiche che vengono mosse a
queste forme di censura delocalizzata. I suoi oppositori, infatti, premono su due
idee di fondo. Innanzitutto, sostengono, l’accesso alla rete si può effettuare da
75 A. MONTI, Non è finita la demonizzazione dell’internet e A. LIVRAGHI, Caramelle ambiguein www.gandalf.it.
129
qualsiasi computer, pertanto si può aggirare l’ostacolo di un filtro installato su un
elaboratore raggiungendo il materiale vietato da un’altra postazione.
In secondo luogo, l’alfabetizzazione informatica è ancora bassa, soprattutto fra gli
adulti, per cui si ritiene che i ragazzi, esperti nell’uso del computer più dei loro
genitori, possano sempre vanificare i più lungimiranti tentativi di protezione.
In realtà, la critica più costruttiva sembra un’altra. Lasciare che un automatico
sistema di filtraggio, per quanto flessibile come il PICS, svolga il fondamentale
compito di vegliare sulla loro sana crescita sembra giustificare l’assenteismo di
genitori ed educatori.
“L’educazione e la formazione dei giovani non possono essere delegate a mani
estranee ed incontrollabili, tanto meno a poco affidabili automatismi. L’unico
metodo valido è il più impegnativo: l’attenzione affettuosa e consapevole delle
famiglie e degli educatori che sappiano svolgere bene il delicato e fondamentale
compito. E una crescente consapevolezza per cui bambini e bambine, ragazzi e
ragazze, imparino il più presto possibile ad avere discernimento, coscienza e
capacità di giudizio. Tutto il resto o è inutile o è dannoso”76.
Inoltre, volendo ammettere l’opportunità di filtri e classificazioni, si pone
l’interrogativo di chi dovrebbe preparare i software di filtraggio ed in base a quali
criteri. Non a caso, nel corso dell’attuazione del Piano comunitario sull’uso sicuro
di Internet, si è gradualmente insistito sulla necessità che questi sistemi siano
messi a punto da esperti indipendenti dagli operatori del settore, come
commercianti di programmi, per evitare che si stabilisca la nocività o meno dei
contenuti in base a regole di mercato.
Resta, comunque, un problema fondamentale. Ammesso che i programmi di
filtraggio siano predisposti da organismi terzi alle logiche commerciali, quali
76 G. LIVRAGHI, op. ult. cit.
130
criteri culturali e didattici dovrebbero essere seguiti? In base a quali valori, infatti,
può considerarsi un contenuto nocivo od innocuo?
Le questioni semantiche, come si è già visto a proposito del concetto di buon
costume nell’ordinamento italiano, sono già complesse in una collettività ristretta,
dove esiste comunque una Weltanschauung comune. Nella comunità degli utenti
di Internet, che accomuna individui appartenenti alle più disparate culture, quale
livello di sensibilità, di pudore, di buon costume adottare?
Nel Piano si leggono, come parametri di riferimento, la violenza, il razzismo, la
xenofobia. Ma anche questi sembrano piuttosto generici ed elastici, tanto che, si è
visto, l’Europa e gli USA, pur accomunati dalla cultura occidentale, hanno un
concetto molto diverso di razzismo e xenofobia come limite alla libertà di
manifestazione del pensiero.
Non solo non è verosimile un community standard in termini geografici, ma
sembra poco convincente anche l’idea di una sensibilità comune a tutti coloro che
usano Internet. Se è possibile tracciare un profilo dell’utente medio – tra i venti ed
i quarant’anni, con un livello di istruzione medio-alto – non altrettanto è così
facile definirne gusti e idee. Probabilmente, anzi sicuramente, perché non esiste
un’unica tipologia di cibernauti. È più probabile, invece, che all’interno della rete
si formino comunità particolari di utenti, caratterizzate da specifici interessi e con
differente senso del pudore o del buon costume.
D’altra parte, Internet non è la televisione né la radio, e, secondo l’americana
teoria della pervasiveness, l’internauta non corre lo stesso pericolo dello spettatore
o dell’uditore di imbattersi involontariamente in discorsi o scene sgradite ed
offensive. Ogni navigazione è il risultato di una serie di atti consapevoli e voluti.
Adottare sistemi di filtraggio sembra, oltreché prematuro per i margini di errore
131
da loro commessi, eccessivo, considerato, appunto, l’elemento della volontarietà
dell’utente.
A questi dubbi le autorità governative hanno risposto con la messa a punto del
sistema PICS, che, si è detto, lascia alla discrezione dell’utente finale la decisione
su cosa censurare, rispettando le differenze culturali e caratteriali di ognuno.
Di sicuro la PICS risulta il sistema meno lesivo della libertà di espressione, ma
rimane il forte timore che adottare un filtro, quasi fosse una balia robotica, illuda
genitori ed insegnanti di poter affidare l’educazione dei giovani ad un sistema
automatico di censura. Nessun filtro risolve poi le tecniche, semplicissime, di
aggiramento, come quella già accennata di collegarsi da un altro computer.
III.6.2 Valutazione della rete europea di hot line
Quanto all’organizzazione di una rete europea di hot line, l’unico rischio è
“l’istituzione di una sorta di struttura investigativa parallela (non vorrei dire di
vigilantismo) e il più che possibile diretto coinvolgimento dei fornitori di
connettività e contenuti nelle attività di indagine...chi si fiderà più della rete?”77.
Il sistema delle hot line, che peraltro in Italia non è ancora attivo, può,
effettivamente, rassicurare gli utenti e instaurare una collaborazione tra essi e le
autorità di polizia o giudiziarie preposte a rendere la rete un mondo sicuro.
La possibilità di avvertire in modo semplice e diretto gli organi competenti può
agevolare le funzioni di questi e, in seconda battuta, dare anche fiducia ai cittadini
privati. Restano, tuttavia, da verificare i rischi di inutili investigazioni private che
distolgano l’attenzione dai più gravi reati commessi via Internet.
III.6.3 Valutazione dell’autoregolamentazione
L’elaborazione di codici autoregolamentativi sembra la forma normativa più
adeguata ad Internet, dato il suo carattere transnazionale e, come molti amano
77 A. MONTI, Internet fa male ai bambini?, op. ult. cit.
132
dire, anarchico. I codici di condotta vanno, tuttavia, elaborati in maniera attenta,
poiché i rischi sono molteplici.
Il primo, assai realistico, è che essi siano redatti da organismi falsamente
rappresentativi degli interessi da proteggere. I soggetti attivi sono, infatti, fornitori
di contenuti, accessi e servizi da un lato ed utenti dall’altro. Per la prima categoria,
è difficile immaginare un’imparzialità totale dai loro interessi economici, per i
secondi, essi partecipano tramite associazioni la cui rappresentatività è tutta da
dimostrare. Provoca Monti: “chissà quante associazioni no-profit che avranno a
cuore lo sviluppo di una consapevolezza nell’utilizzo della rete nasceranno in
seguito allo stanziamento dei fondi, o quante di quelle che già hanno
pesantemente sponsorizzato questo approccio otterranno qualche liretta…”78.
In fondo, l’autoregolamentazione potrebbe essere davvero la soluzione ottimale
per disciplinare, nei limiti del necessario, l’immissione di contenuti in rete. Ma
deve essere ben programmata, per evitare che i privati utenti debbano sottostare a
norme vane o ad interessi di parte, nascosti negli articoli dei codici deontologici.
Un esempio di inutilità, lo si vedrà meglio in seguito, è rappresentato dalla bozza
di autoregolamentazione di Internet diffusa nel 1997 dal Ministero delle poste e
Telecomunicazioni italiano, che ha un ambito di incidenza nazionale, vanificando
la ratio stessa dell’autoregolamentazione, vale a dire il superamento dei confini
statali.
La partecipazione di parti detentrici del mercato, la mediazione, prevista anche dal
Piano, degli organi di governo e la residualità della partecipazione degli utenti,
relegata agli organismi rappresentativi degli stessi, rischia di generare norme che
78 A. MONTI, op. ult. cit.
133
abbiano come fine tutto “meno che la difesa di quei diritti che ciascun utente ha
ormai acquisito con l’utilizzo di Internet”79.
Non si dubita che, a livello teorico, questo tipo di fonte normativa sia l’unico in
grado di assicurare effettivamente una certa efficacia. Occorre, tuttavia, perché sia
utile anche nella pratica, che abbia un carattere internazionale, che sia vissuto
come sistema di garanzia degli interessi e dei diritti degli utenti, che definisca
esattamente gli obblighi degli operatori, che, infine, adotti meccanismi
sanzionatori che puniscano davvero chi contravviene alle regole80.
III.6.4 Valutazione della responsabilizzazione dei provider
Relativamente alla responsabilità dei fornitori d’accesso o di servizio81, il discorso
si fa più complesso ed incerto82.
Una delle novità introdotte da Internet sta nella possibilità di divulgare messaggi
in maniera anonima83, difficultando la ricerca del diretto responsabile dell’illecito.
La questione interessa soprattutto il profilo penale del mezzo di comunicazione,
ossia la responsabilizzazione di un soggetto per illeciti commessi via Internet.
Tuttavia, ai fini del presente studio, la possibilità di una responsabilità penale dei
79 C. PASQUINI, Commento alla bozza ministeriale di codice di autoregolamentazione di Internet, in II convegno del Forum multimediale La società dell’informazione, Roma, 12 novembre 1997, consultabile in www.interlex.it. 80 M. CAMMARATA, Il codice deontologico per gli internet provider: quali obblighi e quali garanzie?, in www.interlex.it. 81 Per chiarezza espositiva, si puntualizzano le differenze tra access provider, che stipula contratti per la mera fornitura di servizi, e service provider, che fornisce anche servizi aggiuntivi e che, per il ruolo attivo, è più agevolmente configurabile come coresponsabile. 82 ALCEI, Provider e responsabilità nella legge comunitaria 2001, in www.interlex.it; M. CAMMARATA, Passaggi impegnativi per gli internet provider, in www.interlex.it; F. IPERTI, La responsabilità dell’internet provider, in www.diritto.it ; G. STEA, L’internet provider e il materiale pornografico in rete, in www.diritto.it; G. SCORZA, L’informazione in rete, in www.diritto.it; G. PUOPOLO, L. LIGUORI, La Direttiva 2000/31 CE e la responsabilità del provider, in www.interlex.it; M. CAMMARATA, Dalle schedature alla responsabilità del provider, in www.interlex.it; C. GATTEI, Considerazioni sulla responsabilità dell’Internet provider, in www.interlex.it; L. PERINO, Internet e contenuti illeciti: il regime di responsabilità degli Internet service provider, in www.apogeoonline.com. 83 In Internet, normalmente, si richiede solo l’inserimento di una password e uno username di fantasia.
134
fornitori rischia di farli diventare dei censori privati che, sotto la minaccia di
sanzioni penali, non accettino più pagine, messaggi e contenuti controversi.
Il nodo cruciale sta nel rendere i fornitori responsabili solo nel caso in cui
conoscano i contenuti immessi in rete tramite il loro servizio, evitando, però, una
responsabilità oggettiva a loro carico che li trasformi in Catoni della rete84.
Inoltre, anche ammettendo, per assurdo e in contrasto con l’art. 21 Cost.85, un
potere censorio ad imprenditori privati come i fornitori, sarebbero per loro
concretamente impossibile controllare tutto quello che passa per i loro server.
La ricerca di un equilibrio al problema ha investito, prima che i tribunali europei,
quelli americani, il cui intervento può sintetizzarsi nell’elaborazione di tre
tipologie di responsabilità: diretta, a titolo di contributo e a titolo di vigilanza86.
Dalle pronunce americane si evince, in definitiva, l’intenzione di limitare la
responsabilità dei provider al solo caso di partecipazione diretta all’illecito.
La giurisprudenza francese si è dimostrata ben più severa, argomentando che il
provider eccede il ruolo di un semplice trasmettitore di informazioni e deve
obbligatoriamente assumersi, nei confronti di terzi, le conseguenze di un’attività
che ha deliberatamente intrapreso87. L’anonimato conferito dal fornitore al content
provider equivale all’assunzione di responsabilità su ciò che viene pubblicato
tramite il server.
84 M. CAMMARATA, Nominati d’ufficio i Catoni della rete, in www.interlex.it. 85 V. FROSINI, Internet: le leggi di una nuova Repubblica, in M&P Computer, novembre 1997, n. 11, pp.34-35. 86 I casi più famosi sono Cubby adv. CompuServe, dove si respinge ogni ipotesi di responsabilità del provider perché considerato un mero distributore di informazioni, e Stratton Oakmont adv. Prodigy, dove, invece, il provider è stato ritenuto responsabile perché adottava un sistema di filtraggio e, dunque, aveva abbandonato il ruolo di mero operatore tecnico (qui il provider – per escluderne la responsabilità - è stato paragonato ad un bibliotecario che non può controllare l’afflusso di materiale alla rete, o al gestore di una bacheca elettronica, del pari non controllabile). Le sentenze sono reperibili in www.punto-informatico.it. 87 Sentenza della Corte d’Appello di Parigi del 10 febbraio 2002 sul caso Altern.org, in www.droit-technologie.org.
135
I tribunali italiani sono giunti a conclusioni contrastanti. La più accreditata è che
“il service provider che si limiti a concedere l’accesso alla rete e lo spazio sul
proprio server per la pubblicazione dei servizi informativi realizzati dal fornitore
non è responsabile”88.
Dalle pronunce italiane, emerge l’orientamento secondo cui la responsabilità dei
contenuti non può essere attribuita che al loro autore, quando il provider non ha
alcun potere di controllo e vigilanza sugli interventi che vi vengono inseriti.
Un passo avanti nel regolare questo delicato problema è rappresentato, a livello
comunitario, dalla direttiva sul commercio elettronico n. 31/200089, recepita in
Italia con legge n. 39/200290.
La direttiva contiene in realtà una serie di previsioni che vanno oltre la materia del
commercio elettronico, perché investono aspetti che riguardano tutte le attività di
fornitura di servizi e in particolare, appunto, la responsabilità degli operatori.
A una prima lettura le disposizioni appaiono equilibrate e largamente
condivisibili, disponendo all’art.15 il divieto di imporre ai provider un obbligo
generale di sorveglianza sui contenuti. Ma a ben guardare si scoprono alcune
maglie abbastanza larghe da far passare norme nazionali restrittive, tali da creare
non poche difficoltà per i provider.
E' il caso della lettera e) del primo paragrafo dell’art. 13, secondo cui la
condizione per l'assenza di responsabilità per i contenuti è che il fornitore “agisca
88 Ord. Trib. Cuneo del 23 giungo 1997, in Quaderni di AIDA 1997, , p. 942. V. anche ord. Trib. Roma del 4 luglio 1998, in cui, a proposito del provider di una newsgroup, si stabilisce che “il news server si limita a mettere a disposizione degli utenti lo spazio virtuale dell’area di discussione e (…) non ha alcun potere di controllo e vigilanza sugli interventi che vi vengono inseriti”, in Dir. Inf. inf., 1998, p. 807; Trib. Macerata, 2 dicembre 1998, che equipara il provider “ad una sorta di editore, il quale ha l’obbligo di vigilare affinché attraverso la sua pubblicazione non vengano perpetrati delitti o illeciti di natura civilistica”, in Dir. Ind. 1999, p. 35; ord. di sequestro preventivo disposto dal Pubblico Ministero presso la pretura di Vicenza del 23 giugno 1998, con cui si è sequestrata tutta l’attrezzatura del provider, per far cessare la divulgazione di un solo messaggio diffamatorio sul sito web ospitato dal server, in Dir. Inf. Inf., 1998, p.821. 89 G.U. C n. L 178/1 del 17 luglio 2000. 90 G. U. n. 72 del 26 marzo 2002.
136
prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare
l’accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le
informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla
rete o che l’accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo
giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la
disabilitazione dell’accesso”.
La genericità della locuzione “venga effettivamente a conoscenza” rende
configurabile la responsabilità anche nel caso di conoscenza di fatto, derivante, in
extremis, anche da semplici segnalazioni di privati. In questo caso, ci si chiede se
il provider debba agire davvero come un censore od un giudice, rimuovendo il
contenuto o disabilitando l’accesso – in pratica ostacolando la libera diffusione
del pensiero - al primo accenno di presunta illiceità.
Occorre evitare che il provider, nel timore di incappare in qualche pena per illeciti
commessi da altri, diventi, da porta di accesso al ciberspazio, un pericoloso collo
di bottiglia. Sarà quindi opportuno che nelle clausole contrattuali tra un utente e
l’internet provider l’utente riconosca che questi non svolge alcun servizio di
regolamentazione o di controllo dei messaggi inviati da terzi e, viceversa, il
provider non si assuma nessuna responsabilità sul materiale inviato né sull’uso
che può esserne fatto. Con queste previsioni contrattuali, il fornitore può evitare di
fare le parte del censore senza correre il rischio di implicazioni giuridiche.
Accanto a questa soluzione, che lascia impregiudicato il diritto di libera
manifestazione del pensiero, c’è anche chi sostiene l’opportunità di abolire
l’anonimato e imporre il cosiddetto anonimato protetto. L’autore resterebbe, in tal
modo, anonimo nei confronti degli altri utenti, ma il provider potrebbe risalire alla
sua identità91.
91 S. DALL’OMO, Abolire l’anonimato e responsabilizzare i genitori, in www.dallomo.com.
137
III.6.5 Valutazione dell’azione di sensibilizzazione
Lo zelo dell’Unione Europea e degli Stati membri nel mettere a punto sistemi di
controllo della libertà di pensiero in Internet è diretto, come si è visto, a
proteggere la sensibilità della categorie più deboli, prima fra tutte quelle dei
minori. Tuttavia, né applicando norme limitative né facendo cieco affidamento
sulla tecnologia è possibile risolvere integralmente il problema delle informazioni
di contenuto illegale e nocivo su Internet.
Un ruolo di importanza centrale spetta all’educazione del pubblico. Giustamente,
dunque, il Piano comunitario appoggia le attività di sensibilizzazione in modo che
si conoscano benefici, svantaggi, opportunità e rischi del mezzo.
Il primo passo deve procedere verso l’istruzione di quanti sono preposti a
promuovere l’uso corretto e vigilare sull’uso sicuro della rete. Prima, quindi, di
emanare leggi o progettare programmi, governanti, legislatori, operatori pubblici e
privati del settore, associazioni di categoria ed esperti della telecomunicazione
debbono elaborare un vocabolario concettuale comune e preciso, debbono
conoscere a fondo il mezzo, anche nei risvolti tecnici, perché sia data sostanza ad
ogni azione intrapresa a livello internazionale, comunitario o locale, evitando il
prolificarsi di progetti inutili. Solo dalle loro congiunte esperienze è possibile
informare adeguatamente genitori ed educatori, così da poter trarre pieno profitto
dall’azione di sensibilizzazione e da non ridurla ad un vuoto formulario di buoni
propositi.
La linea di sensibilizzazione promossa dal Piano ha già dato alcuni frutti, sia a
livello statale italiano che internazionale, spesso in sinergia. È opportuno
analizzarli insieme, per avere un quadro omogeneo delle attività nate sotto questa
linea.
138
III.7 Le azioni di sensibilizzazione al corretto uso di Internet
“Internet (…) rappresenta una fonte di pericolo per i minori”: sono parole del
presidente della Commissione Affari Esteri del Senato92. Il discorso, pronunciato
nel contesto delle discussioni parlamentari per la lotta ai reati commessi in rete a
danno dei più piccoli, può essere preso a simbolo di una visione demonizzatrice
della rete che confonde il mezzo con il reato.
Per evitare che si prendano provvedimenti in preda a quella che è comunemente
definita “internetfobia”, non resta che diffondere cultura, tra gli operatori del
settore prima, tra gli utenti poi. Attuare, infatti, complicate e, a volte, dannose
stratificazioni normative crea il pericolo di un rigetto del media da parte anche di
chi lo considera uno strumento di lavoro, di cultura e di informazione93.
“L’ingiustificato o esagerato terrorismo e gli eccessivi avvenirismi pesudo-
tecnologici sono ugualmente nocivi: perché allontanano o distraggono i giovani,
le famiglie e gli educatori dai valori umani e civili che le nuove tecnologie
rendono possibili”94.
Diffondere la comprensione delle possibilità di sviluppo che Internet ha portato
con sé significa, in sostanza, diffondere la cultura in generale e la conoscenza
tecnica del mezzo in particolare, compito che richiede un impegno non
tecnologico, ma civile, che sia svolto da guide esperte. “Il problema”, continua
Livraghi, “è che manca la guida, perché se bambini e adolescenti sono
impreparati, lo sono anche gli adulti, ed in particolare gli educatori. (…) La strada
è una sola: sgombrare il polverone delle tecnomanie e dei terrorismi e dare a
famiglie ed educatori una concreta cultura della rete e delle sue possibilità”.
92 v. Internet è un pericolo per i minori, in news 30-9-2002, in www.punto-informatico.it. 93C. MANGANELLI, Internet non è anarchica, ma va usata in modo corretto, in www.interlex.it. 94 G. LIVRAGHI, I bambini e la rete, osservazioni proposte nel gruppo di lavoro Formazione e informazione per i bambini attraverso i media”, Convegno L’ascolto del bambino e della famiglia nella società che cambia promosso da Telefono Azzurro, Roma, 10 giugno 1997.
139
Strumento fondamentale, naturalmente, è la scuola, sia per l’uso didattico delle
nuove tecnologie sia per l’orientamento che gli insegnanti possono dare agli
alunni e alle famiglie.
“Cultura vuol dire progresso”, fa eco Iapichino95, “Cultura vuol dire sapere,
tradizione, arte, esperienza. Se all'insieme di tutte le conoscenze si aggiunge
l'educazione a saperne fare uso, ecco che abbiamo la civiltà (…) In prima
approssimazione, possiamo già dire che per risolvere il dilemma tutela dai
pericoli-difesa della libertà, specialmente di opinione e informazione, c'è un solo
rimedio: accesso a tutti, ma educazione all'uso delle nuove tecnologie.”
La società deve essere informata dei pericoli della Rete. I bambini devono
imparare e arricchirsi culturalmente, altrimenti non potranno vivere con dignità il
futuro. Ma devono navigare sotto la guida di persona attenta ed esperta. E per
realizzare un'alfabetizzazione informatica ci vuole un ambiente adatto, che si può
trovare solo nelle scuole. Lo Stato dovrebbe pertanto farsi carico di finanziare tutti
quei progetti che insegnino a saper fare buon uso delle nuove tecnologie, in modo
da evitare le trappole di chi usa i nuovi mezzi di massa per fini speculativi.
In Italia, un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ha costituito, nel
2002, il Comitato Tecnico per l’Uso Consapevole di Internet96.
Richiamando proprio la Comunicazione europea sulle informazioni di contenuto
illegale e nocivo su Internet e la Direttiva n. 276/1999/CE, l’atto istituisce un
organo governativo ad hoc composto da membri di nomina ministeriale, ad
eccezione di uno nominato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e uno
dal Garante per la protezione dei dati personali. L’esigenza nasce dalla
consapevolezza che i benefici derivanti dallo sviluppo della società
95 V. IAPICHINO, La rete al servizio del cittadino, in www.grazia.net. 96 D.P.M. 12 luglio 2000, reperibile in www.dirittodellinformazione.it.
140
dell’informazione, compresi quelli culturali, dipendono dalla effettiva possibilità
di usare in modo libero ma consapevole i nuovi servizi della comunicazione,
possibilità che occorre garantire a tutti, con particolare riguardo ad alcune
categorie di utenti tra cui i minori e le minoranze etniche, rispetto ai quali rileva
soprattutto la questione della sicurezza e del pluralismo culturale. Il suo compito è
“definire e monitorare l’attuazione e valutare i risultati di una strategia unitaria di
intervento, finalizzata a creare le condizioni necessarie per garantire a tutti gli
utenti la capacità e la effettiva possibilità di usufruire delle comunicazioni
elettroniche in maniera piena e consapevole”(art.1).
È notizia recente il bonus di centocinquanta euro per l’acquisto di un computer97
che il Ministro per l’Innovazione e la Tecnologia ha intenzione di inviare ai
sedicenni, ponendo come unica condizione l’allacciamento ad Internet. Il bonus
dovrebbe rappresentare il primo atto per diffondere la cultura digitale tra le
famiglie italiane, che si accompagna all’idea di aumentare i collegamenti a banda
larga nelle scuole.
Il piano ministeriale si affianca ad altri progetti, che partono anche da
organizzazioni non governative.
Sostenuto finanziariamente dalla Commissione europea è l’allestimento del sito
www.netaware.it, della Childnet International e Fleishman Hillard. Il sito
fornisce consigli sulla sicurezza in Internet a genitori, insegnanti e bambini e si
prefigge lo scopo di aiutare aziende, governi, scuole, gruppi per l’assistenza di
bambini e altre organizzazioni nella programmazione delle loro campagne per la
conoscenza di Internet.
Accanto a questo sito, ce ne sono altri, normalmente consultabili in più lingue, che
forniscono notizie utili per usare al meglio la rete, per salvaguardare il benessere e
97 La notizia è apparsa sul Resto del Carlino del 10 marzo 2003.
141
la crescita dei minori, per sfruttare al meglio i contenuti positivi della rete e
evitare quelli nocivi98. Spesso si tratta di vetrine a programmi lanciati da
associazioni, come il Progetto Fata Turchina99. Promossa dal Governo è, invece,
la Festa dell’Internet100.
Ampli e dettagliati sembrano i programmi di sensibilizzazione e di difesa dei
minori dell’Adiconsum e dell’Autorità Garante per le telecomunicazioni.
L’Adiconsum partecipa ad una triplice iniziativa, che comprende i progetti
Safeboards, Educaunet e Saft101.
Il primo, che ha una gittata internazionale, riguarda la creazione di una rete
europea di coesione per promuovere la consapevolezza di dover tutelare bambini e
adolescenti che usano Internet. È rivolto all’industria, al governo, ai media, alle
autorità pubbliche, alle istituzioni private e alle famiglie ed è attuato tramite
servizi di informazione sui pericoli, incoraggiamento all’uso di filtri e hot line,
interessamento non solo ai problemi della pedofilia e della pornografia, ma anche
dell’istigazione all’odio, all’intolleranza o alla violenza.
Educaunet, nato proprio sotto la spinta dell’azione di sensibilizzazione del Piano
europeo, tende, invece, a rendere più consapevoli ed istruiti gli operatori culturali
ed educativi locali.
Infine, Saft promuove la ricerca e lo studio concettuale sui pericoli e le possibilità
della rete.
98 V. ad es. www.ilfiltro.it. 99 www.fataturchina.it, iniziativa per rendere Internet uno spazio sicuro per l’infanzia, a cura delCUSIT, Associazione Italiana per la sicurezza informatica. 100 La Presidenza del Consiglio dei Ministri- Forum per la Società dell’Informazione – ha promosso nel 1999 e nel 2000 “Internet Fiesta”, organizzando anche un gruppo di sensibilizzazione con rappresentanti dei ministeri, delle istituzioni di ricerca, delle associazioni maggiormente interessate, imprese e utenti. L’attività è gemellata con iniziative promosse da altri Stati, consultabili tutte al sito www.internet-fiesta.org. 101 Le azioni dettagliate dei progetti sono descritte in www.adiconsum.it.
142
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sta preparando un progetto di
ricerca per la protezione dei minori102. Il suo compito è di svolgere attività di
studio e sperimentazione nell’area del rapporto tra mezzi di comunicazione e
minori, per rendere disponibile agli uffici dell’Autorità stessa e degli altri
organismi interessati un patrimonio di conoscenze multidisciplinari, utilizzabili
nello svolgimento delle funzioni di vigilanza e protezione. In particolare, nel
settore della telematica, il progetto si propone di affrontare gli aspetti normativi
del monitoraggio e della prevenzione, approfondendo le problematiche connesse
ai contenuti, alle modalità di comunicazione e alle tecniche di diffusione.
L’avvio di questi programmi educativi è molto recente e non lascia, quindi, la
possibilità di verificarne già gli esiti. Indubbiamente creare un appoggio educativo
all’uso di Internet è fondamentale. La rete, infatti, non è altro che uno strumento
affidato alla coscienza e all’intelligenza umana. I suoi rischi e i suoi benefici non
dipendono da essa, ma dalle persone che ne fanno uso. Educarle perché sappiano
giovarsi, in piena libertà, del suo lato positivo è un compito difficile, anche per il
rischio di eccessi moralizzatori, ma doveroso, considerate le potenzialità del
mezzo e il generale analfabetismo informatico. Gli intenti istruttivi del Piano
europeo sono, pertanto, da apprezzare, benché sia ancora presto per valutare
l’efficacia e la qualità delle azioni concrete.
Resta fermo che, se il diritto all’informatica è valutato come un diritto positivo al
libero uso dei sistemi telematici, gli interventi delle autorità governative debbono
essere propositivi e non solo cautelativi. Inoltre, non devono limitarsi ai corsi di
102 Tale Autorità è stata istituita con legge n. 249/1997. Il suo compito è di assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato e tutelare le libertà fondamentali dei cittadini nei settori delle telecomunicazioni, dell’audiovisivo e dell’editoria. La sua attività e il programma citato sono rintracciabili al sito www.agcom.it.
143
formazione e agli opuscoli informativi, ma debbono creare un rapporto più solido
tra le categorie di persone che ruotano intorno ad Internet.
Ad esempio, si potrebbe creare una materia didattica apposita sull’uso di Internet,
previa fornitura della attrezzature necessarie agli istituti educativi103, si potrebbero
rendere gli enti locali promotori di iniziative rivolte alle piccole comunità, con
particolare riferimento ai bambini e ai genitori, suggerendo alle reti civiche
l’individuazione di spazi autogestibili dai ragazzi, rendendo esplicita la
consapevolezza che il diritto a conoscere e saper utilizzare le nuove tecnologie
debba crescere assieme al diritto a un’informazione corretta e non offensiva104.
III.8 La libertà di manifestazione del pensiero in rete e la prassi italiana dei
sequestri di siti per reati di opinione
Si sono appena visti gli impegni, anche italiani, rispetto all’azione di
sensibilizzazione.
Resta ora da vedere quali posizioni abbia seguito il nostro Stato nella
problematica della libertà di manifestazione del pensiero in Internet.
Per agganciare il discorso a quanto esplicato nel paragrafo III.4, relativo alla
riconduzione della libertà di espressione in rete all’art.21 Cost, vengono in aiuto le
parole di Costanzo: “con riferimento alle libertà costituzionali il cui esercizio è
agevolato dalla rete – come la libertà di espressione – il loro statuto di garanzia
non può soffrire eccezioni o attenuazioni per effetto della nuova tecnologia
telematica, conseguendone che le limitazioni di natura preventiva saranno
percorribili, quando non anche verosimilmente doverose, nel solo campo del buon
costume e con particolare riferimento alla tutela dei minori. Laddove tuttavia le
103 V. IAPICHINO, op. cit. 104 v. la Carta di Desenzano, Appunti e riflessioni per una carta dei diritti dei bambini nelle reti telematiche, firmata a Venezia il 7 settembre 1996, in www.onde.net.
145
divulgazione di contenuti nocivi o offensivi rispetto alla sensibilità comune della
società.
È in virtù dell’offesa al sentimento religioso comune che nel giugno 2001 il g.i.p.
del Tribunale di Latina ha disposto il sequestro preventivo, in base all’art. 321
c.p.p., del sito www.eretico.com, che conteneva ingiurie ad eminenti figure della
religione cattolica. Per il magistrato, le offese non potevano ritenersi protette dalla
libertà di manifestazione del pensiero, “in quanto i modi usati si sostanziano in
una mera e volgare aggressione visiva e scritta a quanti professano il culto
cattolico, senza un utile apporto critico o revisionista, ma con uno sterile spirito
offensivo” e, pertanto, doveva considerarsi integrato il reato di cui all’art. 403 c.p.
di offesa alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone. Il giudice,
ritenendo sussistenti le esigenze cautelari di evitare che la libera disponibilità dei
beni potesse “aggravare o protrarre le conseguenze del reato e agevolare la
commissione di altri”, disponeva così il sequestro sia del sito che dei beni
hardware110.
Più recentemente, a seguito di una segnalazione dell’Osservatorio Romano alla
Guardia di Finanza, sono stati oscurati dalla Procura della Repubblica di Roma
cinque siti che diffondevano contenuti blasfemi contro Dio e la Madonna111.
“Questo brillante risultato dimostra che inchieste serie e rigorose permettono di
evitare che un bene prezioso come la libertà di espressione sia utilizzato per
offuscare la sensibilità e dignità altrui”, ha commentato l’Osservatore Romano112.
Oltre a questi sequestri motivati penalmente dal reato di vilipendio, ve ne sono
stati altri motivati da esigenze di ordine pubblico. È il caso del sito
www.brigaterosse.it, che, secondo la Polizia di Stato e Postale, conteneva nel suo
110 Ord. Trib. Latina del 7 giungo 2001, in www.infoleggi.it. 111 in news www.punto-informatico.it del 10 luglio 2002. 112 Si può leggere il commento nell’articolo apparso su www.localport.it del 12 luglio 2002.
146
forum di discussione messaggi che inneggiavano al terrorismo. Il sito di Forza
Nuova, invece, è stato chiuso l’8 novembre 2000 dalla Procura di Pisa, per i
contenuti antisemiti che vi comparivano.
Si tratta, naturalmente, di provvedimenti giudiziari legittimi, in quanto motivati da
esigenze cautelari nel corso di indagini penali, che, tra l’altro, non attuano una
forma di censura in senso stretto, in quanto intervengono successivamente alla
divulgazione di un’opinione che costituisce reato. Tuttavia, il dato che risulta
degno di nota in questa sede sta nella questione non di contenuto, ma di metodo.
L’oscuramento di un sito e, quindi, l’impedimento alla diffusione delle idee, è
finalizzato dalla necessità di impedire la reiterazione di un presunto reato. Spesso,
però, come nel caso del sito sulle brigate rosse, il reato è strettamente inerente ad
un singolo messaggio, non a tutto il contenuto del sito. In sostanza, tali
provvedimenti possono presentare il vizio di essere sopradimensionati rispetto al
contenuto, mancando un’indicazione di metodo da parte del legislatore rispetto ad
un mezzo che, ai tempi della formulazione dei nostri codici, era inesistente.
Nasce da questa lacuna il timore di interventi sproporzionati, specie nel caso di
messaggi diffamatori ospitati da un sito o da un newsgroup113, ovvero di
interpretazioni troppo elastiche in materia di reati d’opinione commessi con i
mezzi di comunicazione114.
113 Si richiamano i già citati casi di www.gossip.news e del server Isole nella rete.114 Nella ricerca di fonti per questo studio è stato impedito l’accesso al sito www.fenice.it. Al posto della home page è apparso l’avviso di “dominio fermato per non rispetto della Policy e delle norme vigenti”, seguito da un elenco di ciò che non può essere inserito nei domini. Rientrano genericamente nel materiale in questione anche le offese alla morale e all’ordine pubblico, tra cui “apologie razzistiche e fanatiche” ed “esasperazioni di credi religiosi o di fedi politiche, filosofiche, ecc.”.
147
III.9 La legge sull’editoria 62/2001
III.9.1 Il rapporto tra pubblicazioni in Internet e a mezzo stampa prima della legge
La legge n. 62/2001, Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e
modifiche della legge 5 agosto 1981, n.416115 è stata pensata proprio per fare
chiarezza nel settore dell’informazione telematica, anche se la sua formulazione
approssimativa ha suscitato ampie critiche.
L’art. 1 della legge equipara al prodotto editoriale cartaceo quello informatico,
estendendo le disposizioni della legge n. 47/1948 sull’obbligo di registrazione.
Si è visto, nel capitolo I, che l’obbligo di registrazione non è in conflitto con la
libertà di espressione, in quanto costituisce atto dovuto del tribunale. Il problema
che la legge ha scatenato, in realtà, è dipeso dalla sua formulazione confusa, per
cui dal semplice dato letterale non si può comprendere definitivamente quali siti
sono sottoposti all’obbligo suddetto.
Già prima della emanazione della legge, la dottrina si divideva in due correnti,
l’una favorevole all’estensione delle norme sull’editoria cartacea all’informazione
giornalistica in Internet, l’altra contraria.
Il nodo da cui partivano le divergenti opinioni dei giuristi stava nella precisazione
di stampati fornita dall’art.1, legge n. 47/1948 come “riproduzioni tipografiche o
comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo
destinate alla pubblicazione”. Tale definizione rendeva impossibile equiparare,
per diversità sostanziale del mezzo, le pubblicazioni a mezzo stampa con quelle
della rete, quando era già evidente che alcuni siti presentano le caratteristiche
ontologiche e finalistiche della stampa. L’interpretazione più rigorosa della legge
impediva, dunque, di applicare le disposizioni amministrative, penali e civili
previste per la stampa tradizionale, data la non sussumibilità delle pubblicazioni
115 G.U. n. 67 del 21 marzo 2001.
148
on line agli stampati. La conferma di questa opinione veniva dal fatto che, per
l’estensione parziale del regime della stampa ai giornali televisivi e ai giornali
radio, era stata necessaria un’apposita legge, la n. 223/1990 (art. 10 comma
primo). La impossibilità della estensione analogica rendeva liberi i siti di
informazione professionale dall’obbligo di registrazione.
Né era assimilabile quella nel registro degli operatori di comunicazione, affidata
dalla legge n. 249/1007 all’Autorità garante per le Comunicazioni, che riguardava
anche le imprese fornitrici di servizi telematici e di telecomunicazioni.
Nonostante la condivisa opinione circa la impossibilità di una interpretazione
estensiva, c’era chi auspicava un intervento del legislatore per colmare la lacuna.
Partendo dall’assunto che in rete esiste una doppia modalità di manifestazione del
pensiero, professionale e dilettantesca, per i primi si richiedeva una disciplina
speciale sul modello di quella della stampa. “La circostanza che non tutta la
telematica sia stampa non può voler dire che nessuna attività di comunicazione in
rete possa essere equiparata, almeno sotto il profilo della disciplina giuridica, alla
stampa tradizionale o all’attività d’informazione svolta per il tramite del sistema
radiotelevisivo”116.
Nelle more del legislatore, la giurisprudenza avanzava già l’idea di una simile
equiparazione117. In special modo, il Tribunale di Roma consentiva già la
registrazione della testata telematica al sito www.interlex.it, individuando la stessa
natura finalistica delle pubblicazioni su carta. Prendendo spunto dalla relativa
ordinanza di registrazione, Zeno-Zencovich obiettava che “la telematica non è
stampa”118, sulla base di considerazioni letterali e tecniche per cui la riproduzione
116 G. SCORZA, L’informazione in rete, in www.diritto.it. 117 Ord. rib. Roma del 6 novembre 1997, consultabile in M. CAMMARATA, Regole vecchie per un mondo nuovo, in www.interlex.it. 118 V. ZENO-ZENCOVICH, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa, in Dir. Inf. Inf., 1998, p.5.
149
tipografica non è paragonabile a quella elettronica. L’intenzione dell’autore era
quella di evitare l’assoggettamento della telematica alle regole della stampa,
considerando gli oneri della registrazione una compressione della libertà di
comunicazione e di manifestazione del pensiero. Tuttavia, la registrazione, che
non è peraltro considerata una limitazione del diritto di espressione, può portare
anche qualche risvolto positivo.
Secondo Cammarata119, ad esempio, se il sito che ha condotto al citato sequestro
del server Isole nella rete fosse stato registrato, il g.i.p. avrebbe avuto difficoltà
nel convalidare il provvedimento120. Sottolineava l’autore che “imponendo
l’esistenza di particolari requisiti e di alcuni obblighi, si ottiene una forma di
garanzia, non solo teorica, della stampa. Inoltre, si possono porre particolari diritti
e doveri che da una parte assicurano l’indipendenza dell’attività giornalistica,
dall’altra la protezione della collettività dai possibili abusi della stampa”.
La registrazione sarebbe, quindi, garanzia sia per i responsabili della testata on
line, che usufruirebbero del regime privilegiato della stampa ex art. 21 comma
terzo Cost., sia per gli utenti, che potrebbero meglio distinguere l’informazione
professionale dalle altre.
Tra le due lontane impostazioni suddette, una terza voce, dubitando della
opportunità di differenziare i regimi giuridici delle manifestazioni del pensiero in
rete sulla base della loro professionalità, proponeva una “scelta di stampo
liberalizzatrice, non solo per quanto ne deriverebbe in ordine alla stessa libertà di
diffusione sulla rete (…) ma soprattutto perché potrebbe mostrarsi inutile (…)
119 M. CAMMARATA, Regole vecchie per un mondo nuovo, in www.interlex.it.; v. anche D. COLIVA, Le garanzie della Costituzione per l’informazione in rete, in www.interlex.it. 120 Infatti, il server è stato sequestrato per il reato di diffamazione, che non rientra tra i delitti per i quali la legge sulla stampa autorizza il sequestro degli stampati, in base all’art. 21 Cost.
150
tentare di normare su una dimensione informativa così complessa e delocalizzata,
caratterizzata inoltre da una pluralità eterogenea di operatori”121.
Costanzo proponeva che “tutte indistintamente le pubblicazioni di opinioni e
notizie in rete [continuassero] a restare semplicemente tali, vale a dire il portato
dell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, cui poter contrapporre
con immediatezza l’eventuale tutela di altre situazioni costituzionalmente rilevanti
(onore, reputazione, immagine…) anche con l’ottenimento in via cautelare di
provvedimenti atti a far cessare lo stato di offensività di simili manifestazioni”.
La possibilità di intervenire repressivamente per proteggere altri interessi
costituzionalmente rilevanti risultava indipendente, secondo l’autore,
dall’esigenza di equiparazione della stampa alla pubblicazione in rete.
III.9.2 Le pubblicazioni in Internet secondo la legge
Dall’aprile 2001, mese in cui è entrata in vigore la legge n. 62, la dottrina ha
spostato il dibattito dalla opportunità dell’interpretazione estensiva della legge n.
47/1948 alla oculatezza della nuova legge.
Questa assimila i siti informativi alla stampa, sottoponendoli agli obblighi di
registrazione in tribunale, previa indicazione del proprietario della testata,
dell’editore e del direttore responsabile. Oltre a ciò, obbliga anche ad indicare il
luogo e la data di pubblicazione, la ragione sociale e la sede del provider che
fornisce l’hosting.
Le polemiche suscitate dalla legge derivano soprattutto dalla formulazione
confusa dell’art. 1 comma terzo, laddove impone l’obbligo di registrazione al
“prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto
da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto”.
121 P. COSTANZO, Libertà di manifestazione del pensiero e “pubblicazione” in Internet, in Riv.Inf. Inf., 1998, p. 376.
151
Probabilmente, l’intenzione del legislatore è quella di equiparare alle testate
tradizionali i giornali on line, ma la disposizione ambigua e approssimativa ha
alimentato un vespaio di polemiche sulla burocratizzazione dell’attività di
informazione telematica, che porterebbe alla scomparsa di centinaia di piccoli siti
più o meno d’informazione e, dunque, ad una compressione della libertà di
manifestazione del pensiero e di comunicazione122. La legge infatti non si è
preoccupata di dare una esaustiva linea di demarcazione fra informazione
professionale e non, lasciando nel dubbio i titolari di domini e i content provider,
che, nella maggioranza dei casi, sono persone lontane dalla professione
giornalistica.
Questo silenzio ha preparato il terreno a tutte le voci libertarie che hanno visto
nella legge un legaccio più grande di quello che voleva essere. “La pretesa di
sottoporre il diritto di espressione di qualsiasi cittadino italiano, che il nostro
ordinamento prevede per le attività editoriali, comporta l’obbligo di iscrizione
all’Albo dei giornalisti per tutti i cittadini che possiedono un modem e un accesso
all’Internet”123: l’opinione sembra esemplificativa di tutte le posizioni che,
sull’onda di un qualche malinteso radicalismo libertario, vogliano cogliere un
animus persecutionis per la nuova forma comunicativa rappresentata dalla rete.
La redazione approssimativa della legge ha persino provocato un appello di
Peacelink124 contro l’avanzamento della “censura”, diffuso nel novembre 2000 e
intitolato “Peacelink oscurata – l’informazione on line ha i giorni contati”.
122 G. SCORZA, I veri rischi della legge 62/2001, in www.interlex.it. 123 M. CAMMARATA, Libertà di espressione e libertà di stampa, in www.interlex.it; v. anche dello stesso Quattro domande sulla libertà di stampa e La legge 62/2001: i nodi arrivano al pettine in www.interlex.it; M. FIORETTI, Non esiste più la distinzione fra produttore e fruitore dell’informazione, in www.interlex.it. 124Peacelink è un’associazione di volontariato per la pace e la difesa delle libertà individuali che svolge parte della propria attività per via telematica, tramite il sito www.peacelink .it.
152
Il comunicato allarmava circa l’intenzione del Parlamento di obbligare tutti gli
italiani a registrare i propri siti come testate giornalistiche e a munirsi di una
struttura professionale, con tanto di direttore responsabile iscritto all’Albo.
Se il legislatore avesse meglio specificato cosa si intende per informazione
professionale, senza cadere nella tautologia della “testata costituente elemento
identificativo del prodotto” e nella disposizione facilmente aggirabile della
“periodicità regolare”125, la dottrina avrebbe forse condiviso pacificamente
l’estensione dell’obbligo di registrazione a coloro che investono in modo
imprenditoriale sull’informazione on line, obbligo che, come già detto, dovrebbe
essere anche garanzia di serietà e di impegno per un’informazione di qualità.
La libertà di chi, come semplice utente interattivo, si esprime per diletto, sulla
base dei principi di gratuità, volontarietà ed entusiasmo, sarebbe rimasta fuori
dalle preoccupazioni dottrinarie.
III.10 Le altre proposte di legge italiane per la regolamentazione di Internet
come mezzo di divulgazione del pensiero
Fino ad oggi, solo la legge n. 62/2001 disciplina parzialmente la rete come mezzo
di diffusione del pensiero, sussumibile sotto l’art. 21 Cost. Tuttavia, altre proposte
sono state presentate al Parlamento, anche se si sono arrestate all’assegnazione o
all’esame delle varie Commissioni. Dalla loro lettura, si può evincere l’obiettivo
comune di protezione dei minori, per la cui realizzazione, tuttavia, esse sembrano
inadeguate, sia perché tradiscono una sorta di ossessione contro la rete,
prevedendo ad esempio una maggiorazione della pena se i reati sono commessi
via Internet, sia perché dimostrano spesso una buona ignoranza di cosa sia la rete,
in particolare del fatto che questa ha nel suo codice genetico la libertà di iniziativa
125 M. CAMMARATA, Non ci resta che chiudere, in www.interlex.it.
153
e di espressione, per cui oscurare un sito si rivela una restrizione facilmente
superabile o affidare la selezione dei contenuti alle etichettature denota eccessivo
fiducia nella tecnologia.
Resta comunque da sottolineare che, in materia di limiti alla libertà di
manifestazione del pensiero, il legislatore è oramai preoccupato solo della tutela
dei minori.
Tra le prime in ordine cronologico, la proposta n. C3530126 per la disciplina delle
reti telematiche ad accesso variabile in connessione sovranazionale, arrestatasi
all’assegnazione alla Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni
nell’ottobre 1997, tradisce un impianto ideologico di diffidenza della rete.
Nella relazione che accompagna la proposta si legge che “se va limpidamente
tutelata la libertà di pensiero e di espressione, occorre rinforzare le misure
legislative mirate a che la libertà di un soggetto non attenti a quella di altri (…)
Sono quindi rese più severe le pene per i reati commessi utilizzando le reti
telematiche”. Così, l’art. 2 prevede un raddoppio di pene, criminalizzando il
mezzo anziché le persone127.
Più articolato il progetto di legge n. C5103 per la corretta utilizzazione della rete
Internet a tutela dei minori, presentato nel luglio 1998, riproposto come n. C953
nella legislatura successiva e attualmente fermo all’esame della Commissione di
Giustizia.
Il disegno introduce disposizioni apparentemente salutari, ma in realtà
estremamente rischiose per la libertà di espressione in rete. Dopo aver elogiato il
web e la società dell’informazione, dopo aver rassicurato che la proposta è ben
lontana “dal voler restringere in qualche modo il diritto fondamentale sancito
126 Questa, come le altre proposte, sono consultabili in www.parlamento.it. 127 A. MONTI, pdl 3530, dilaga l’internetfobia, in www.interlex.it.
154
dall’art. 21 della Costituzione”, la relazione introduttiva reputa opportuno
“limitare o almeno rendere meno accessibile un’informazione che potrebbe
intaccare l’integrità e la formazione dei giovani”. In nome della lotta di quelli che
vi vengono definiti “contenuti altamente immorali”, l’art. 2 del disegno stabilisce
genericamente che “il servizio di polizia delle telecomunicazioni (…) vigila sulla
liceità e sulla moralità del contenuto dei siti della rete Internet”, dando, peraltro,
per scontata la presenza di modelli etici comuni. L’articolo prosegue stabilendo
“l’oscuramento dei siti della rete Internet i cui contenuti sono palesemente illeciti
o offensivi del buon costume o tali da attentare all’ordine pubblico”.
Per rispettare, ad ogni modo, la libertà di espressione, i siti che la legge all’art. 1
vieta perché istigano alla droga, alla violenza, alla pornografia o alla pedofilia,
possono essere al tempo stesso autorizzati, purché provvisti di password per i
maggiorenni. Per assicurarsi che questi siti siano visitati solo da adulti, basterà,
recita l’art. 3, dare “una ragionevole certezza della maggiore età dell’utente”.
Chissà che non basti un’autocertificazione!
Il disegno legislativo n. C6295 per la tutela dei minori nei servizi audiovisivi e
dell’informazione, fermo all’assegnazione alla Commissione Cultura, scienze e
istruzione, presenta intenzioni meno rigide del precedente e rispetta le linee di
azione del Piano comunitario per l’uso sicuro di Internet. Il suo scopo è, spiega la
relazione, “introdurre disposizioni specifiche per proteggere i diritti dei minori,
senza però ricorrere a forme di censura (…) assicurando la libera circolazione
delle idee e dei servizi e al tempo stesso (...) la tutela della salute psichica e
morale del fanciullo”. Lo spirito della legge sembra più ottimista della proposta
precedente, stando almeno alle proclamazioni di fiducia della rete come mezzo di
diffusione di cultura e informazione. Tuttavia, si reputa necessario aggiornare la
normativa italiana, inadeguata all’evoluzione dei media, per anticipare e prevenire
155
“i problemi che la divulgazione di messaggi violenti, pornografici o di qualsiasi
contenuto tale da incidere negativamente sullo sviluppo del minore potrà creare in
futuro”. La nuova normativa prevede l’istituzione della Commissione nazionale
per l’etichettatura dei programmi televisivi e delle informazioni diffuse sulle reti
telematiche, la diffusione dei programmi di filtraggio e l’avvio di iniziative
internazionali bilaterali e multilaterali per il riconoscimento reciproco dei sistemi
di classificazione, “per la prevenzione e la repressione della divulgazione illecita
di materiali nocivi allo sviluppo psico-fisico dei minori”.
La proposta si dimostra più adeguata ai mutamenti tecnologici, insistendo
soprattutto su concrete possibilità di etichettatura, da condividere a livello
internazionale. Restano, tuttavia, da sciogliere gli stessi dubbi espressi per il piano
comunitario.
Frutto di una redazione frettolosa è, invece, il disegno di legge n. S 4560 per la
tutela dei minori nelle trasmissioni radiotelevisive, assegnato alla Commissione
speciale in materia di infanzia, ma non ancora esaminato, nel maggio 2000.
Il testo legislativo cade in svariati errori concettuali, che i giuristi hanno
prontamente evidenziato128. La parte che in questa sede più interessa è, comunque,
il solo art. 6 del progetto, che obbliga i gestori dei servizi e delle reti operanti sul
territorio nazionale a classificare informazioni e messaggi, ad eccezione di quelli
tutelati dal segreto epistolare, rendendoli responsabili del mancato blocco alla
diffusione di contenuti vietati. Oltre all’impossibilità tecnica per i suddetti
operatori di classificare tutti i contenuti, la disposizione è palesemente in contrasto
con il diritto costituzionale di libera espressione, dal momento che istituisce una
forma di censura privata, affidata a operatori e fornitori di servizi. Si tratta di un
128 M. CAMMARATA, Alziamo la voce o ci ridurranno al silenzio e Quando sento la parola Internet…, in www.interlex.it.
156
episodio significativo dell’offensiva contro la libertà della rete, condotta con la
buona intenzione di proteggere i minori, ma sicuramente lesiva della libertà di
manifestazione del pensiero.
L’ignoranza degli aspetti tecnici e pratici della rete, la tendenza a dover regolare
prontamente ogni aspetto della realtà, senza attendere la definizione degli
strumenti più adatti, portano a disposizioni non solo opinabili nelle intenzioni, ma
anche prive di buon senso.
Recentissime sono, invece, le proposte di legge n. C3122 e C3235, presentate alla
Camera dei Deputati rispettivamente il 30 agosto e l’8 ottobre 2002, che chiedono
di introdurre sistemi obbligatori di filtri e di riconoscimento degli utenti,
insistendo sulla responsabilità dei fornitori di servizi. Questi, infatti, se non
saranno dotati di “sistemi che inibiscono ai minori la visione di materiale
pedopornografico, osceno, di incitamento al razzismo e alla xenofobia” o
comunque “nocivo all’armonioso sviluppo psicofisico del minore” saranno puniti
con la reclusione da quattro ad otto anni e con l’interdizione dall’attività (p.d.l.
C3235, art. 3).
Entrambe le proposte fanno esplicitamente riferimento, nelle relazioni
introduttive, all’ultimo congegno escogitato dalla fondazione Safety World Wide
Web, che, lavorando alla sperimentazione di automatismi a protezione dei minori
nella rete, ha messo a punto la tecnologia ChildKey. La sua caratteristica portante
è che il sistema non risiede sul computer dell’utente, ma sui server dei provider,
che, di volta in volta, riconoscendo la password utilizzata dall’utente per
connettersi, possono capire se è on line un minore. In questo caso, scatta il
sistema di protezione che comprende il controllo dell’orario e del tempo di
connessione, conta il numero di parole vietate e, soprattutto, invia ad ogni sito
157
che il minore si appresta a visitare una stringa di dati in cui si dichiara l’età
dell’utente che sta collegandosi alla pagina web.
Se le soluzioni tecniche più impensabili ed utopistiche sembrano quasi di facile
attuazione e vengono esaltate dai deputati come “sistemi di intelligenza artificiale
costantemente aggiornati”, non può non allarmare l’incredibile carico di
responsabilità e obblighi per i provider.
Ma, oltre a ciò, queste innovazioni continuano a non spiegare con quali criteri
classificare inadatti ai minori certi contenuti, come allargare l’obbligo ai provider
non italiani e se davvero la risposta migliore al razzismo e xenofobia sia vietare
l’ingresso a qualche sito. Inoltre, come si è già commentato a proposito del
sistema PICS, è grande il timore che una totale fiducia sull’intelligenza di
ChildKey distragga i genitori dai loro doveri di sorveglianza129.
III.11 L’autoregolamentazione della rete in Italia
Nel settore normativo dell’autoregolamentazione di Internet l’Italia è ancora ad
uno stadio iniziale, nonostante la necessità affermata dall’Unione Europea di
agevolarne la definizione130.
La prima bozza di codice è stata diffusa dal Ministero delle Poste e
telecomunicazioni nel maggio 1997131, come frutto della collaborazione di
organismi rappresentativi di Internet, tra cui l’Associazione Italiana Internet
Provider o l’Associazione Nazionale Editoria Elettronica, e organismi
rappresentativi dei diritti degli utenti, come l’Associazione per la Libertà nella
Comunicazione Elettronica Interattiva. Nella bozza si legge che l’obiettivo del
129 P. DE ANDREIS, Italia verso la Internet blindata, in www.punto-informatico.it. 130 Per una polemica sulla scarsa informazione circa le proposte di autoregolamentazione v. A. MONTI, Internet, le tariffe e il gioco delle tre carte, in www.andreamonti.net. 131 La bozza è consultabile in www.aip.it.
158
codice è di “prevenire l’utilizzo illecito o potenzialmente offensivo della rete”,
fornendo regole di comportamento e promuovendo la conoscenza della tecnologia
perché possano essere rispettati “la dignità umana”, “la protezione dei minori”, “la
sensibilità dei minori”, “i principi di ordine pubblico e sicurezza sociale”.
Per garantire il rispetto di questi obblighi, si stabilisce un doppio sistema di
denuncia, uno all’autorità giudiziaria, nel caso di illiceità del comportamento, uno
all’organo di autodisciplina istituito con il codice, nel caso di contrarietà del
comportamento alle disposizioni dello stesso. Gli aderenti riconoscono la validità
e l’opportunità dei sistemi di classificazione dei contenuti e si impegnano a
informare sempre della presenza di argomenti potenzialmente offensivi.
L’ente rappresentativo degli utenti ha espresso forti riserve sulla formulazione
della bozza. La più importante riguarda l’ambito di efficacia del codice.
L’adesione alla bozza suddetta è aperta a “tutti i soggetti di Internet operanti in
Italia o in lingua italiana” (Titolo I, punto 3). Un codice valido solo in questo
ristretto circuito, che non tenga conto della transnazionalità del mezzo, non ha
molta utilità.
Dubbi sono anche stati espressi riguardo all’utilizzo di un linguaggio ampio e
vago, che fa riferimento alla offensività potenziale della rete o alla sicurezza
sociale. Tuttavia, se sembra opportuno che una legge eviti l’uso di maglie larghe
attraverso cui far passare interpretazioni contrastanti con i principi di libertà, un
codice di condotta può stabilire canoni comportamentali in maniera più
discrezionale, dato che vi si aderisce volontariamente. L’eteroregolamentazione
dei contenuti critici, cioè potenzialmente nocivi, potrebbe configurare forme di
censura o di limitazione alla libertà di espressione, mentre l’autoregolamentazione
dei settori interessati può garantire il controllo dei contenuti e l’utilizzo corretto di
Internet senza intaccare la libertà di manifestazione del pensiero.
159
Piuttosto, ciò che risulta essenziale per il rispetto di questi canoni, è che esista,
come si è già detto, un sistema sanzionatorio concreto. Le sanzioni previste da
questa bozza non sembrano soddisfacenti, limitandosi ad una comunicazione di
diffida da parte di un Giurì ad hoc, contenente l’invito a conformarsi al
pronunciamento dello stesso. In caso di inosservanza del provvedimento, si
prevede solo un formale ammonimento da pubblicare sul sito relativo
all’organismo di autoregolamentazione.
Ad ogni modo, ancora non esiste nessun codice di autodisciplina per Internet.
La sua adozione sembra imminente, secondo la recente dichiarazione del Ministro
per le Comunicazioni132 , ma gli studi e le consultazioni a riguardo non sono in
circolazione.
Sembra probabile, comunque, che, se presto ci sarà un codice limitato al contesto
nazionale, si dovrà aspettare ancora un po’ di tempo, prima di vedere la nascita di
un codice internazionale. La difficoltà di far convergere culture e tradizioni
diverse, di trovare un vocabolario comune di ciò che è offensivo e ciò che non lo è
sembra ancora lontana dall’essere risolta.
132 Intervento al convegno Etica in internet organizzato dall'Unione cattolica stampa italiana e dall'Istituto per lo studio dell'innovazione nei media e nella multimedialità, Roma, 28 febbraio 2003.
160
CONCLUSIONI
“Una teoria della libertà come assenza di costrizione, per quanto ciò possa
apparire paradossale, non predica l’assenza di costrizione in tutti i casi. A volte le
persone devono essere costrette per proteggere la libertà degli altri. Ciò è fin
troppo evidente quando le persone devono essere difese da assassini e rapinatori,
mentre non lo è quando la protezione si riferisce a vincoli e libertà che non sono
altrettanto facili da definire”1.
Così, ad esempio, la costrizione può apparire ingiusta o inopportuna nel caso della
libertà di espressione, dove i legacci derivano da concetti indeterminabili in modo
esaustivo, quali il buon costume o gli altri valori in conflitto con essa.
L’ordinamento giuridico non è altro che un insieme sistematico di principi, che
vivono al di fuori della legge come valori. E, come i valori umani e civili
fluttuano in un equilibrio mutevole e mai fisso, così i principi fondamentali del
diritto non conoscono una gerarchia rigida e predefinita, ma, nella concretezza
della vita civile, si sacrificano e si comprimono reciprocamente, nel tentativo di
rispettare il sistema generale dei valori della società.
La libertà in senso generale e le libertà specifiche non possono trovare la più
ampia attuazione senza collidere l’una con l’altra.
Riprendendo un adagio tedesco – Freiheit verpflichtet – teorie filosofiche, prima
che politiche o giuridiche, affermano che la libertà obbliga poiché ha in se stessa
il suo freno. D’altra parte, risale all’antica Grecia la teoria eraclitea secondo cui
ogni elemento vive grazie al suo contrario.
1 B. LEONI, La libertà e la legge, liberilibri, Macerata, 1994, p. 5.
161
Se, dunque, nello specifico, la libertà di espressione può dirsi realizzata quando si
permette agli individui di esternare e diffondere le proprie idee in un contesto
civile dove ci sono regole, sembra naturale che essa conviva con altre libertà che
ne riducono la portata assolutista.
Tuttavia, affermare che il concetto di libertà che l’ordinamento ha fatto proprio è
inestricabilmente intrecciato con il concetto di restrizione non significa
considerare adeguati tout court gli strumenti che l’ordinamento impiega per
attuare il bilanciamento dei valori costituzionali.
Nel presente studio si sono analizzati due settori dove l’intervento statale sembra
non trovare un giusto equilibrio con la libertà di espressione: la cinematografia e
Internet.
Nel primo caso perché vige ancora una legge inattuale e insensibile ai
cambiamenti della società, nel secondo perché l’originalità e la natura del mezzo
hanno colto alla sprovvista le autorità, che non riescono ad afferrare e gestire il
fenomeno della rete.
Dapprima, occorre ricordare che quella in esame non è solo una libertà negativa.
Soprattutto con l’avvento di Internet, che ha reso attuali le possibilità di diffusione
del pensiero su larga scala, la libertà di espressione va intesa come libertà positiva
di poter divulgare opinioni e notizie. Essa ricomprende, nella concezione più
ampia, la libertà di comunicazione e di informazione.
Il primo dovere dell’autorità pubblica sembra, quindi, non tanto quello di
controllare i contenuti che offendano altri valori dell’ordinamento, quanto di
sorreggere, dove occorre, le intenzioni e le esigenze comunicative degli individui.
Ciò vale tanto per il mezzo di Internet quanto per la cinematografia, nei quali,
senza richiamare una funzione di indirizzo dello Stato, l’iniziativa dei singoli
dovrebbe essere garantita in maniera completa. Forse la garanzia migliore sarebbe
162
quella di una astensione dalla regolamentazione, che riconduca la libertà di
espressione nella categoria delle libertà negative.
Restringendo le considerazioni nell’ambito dei sistemi di controllo e non di
promozione, si è già visto, nell’analisi dei due fenomeni, che considerare gli
interventi statali legittimi non equivale a considerarli giusti.
Per quanto riguarda Internet, governanti e legislatori si sono trovati di fronte ad un
mezzo nuovo, dotato di caratteristiche uniche e inimmaginabili fino a qualche
decennio fa e, pertanto, refrattario ai classici sistemi di controllo.
Nella convinzione di dover emanare prontamente leggi che ne attutissero i
pericoli, sono state avanzate proposte, sia negli ordinamenti stranieri che in quello
nazionale, a volte prive di buon senso giuridico.
Affetti da “normomania”2, si rischia di dimenticare che la legislazione non sempre
è un rimedio veloce, razionale e di ampia portata contro ogni genere di male e di
inconveniente. Al contrario, la soluzione legislativa può essere troppo veloce per
essere efficace, troppo imprevedibilmente ampia per essere del tutto benefica e
connessa troppo direttamente con le opinioni e gli interessi contingenti di persone
per essere un rimedio per tutti gli interessati. Anche quando si nota tutto questo, la
critica è di solito diretta contro leggi particolari piuttosto che contro la
legislazione come tale, e si cerca sempre il nuovo rimedio in leggi migliori3. Così,
dichiarata incostituzionale una legge o bocciata una proposta, se ne propone una
nuova, nella convinzione dell’adeguatezza dello strumento. L’adozione del
processo legislativo, e non solo di questa o quella legge, dovrebbe, invece, essere
l’esito di una valutazione molto accurata, al termine della quale non è scontato che
si proceda per via legislativa.
2 G. LIVRAGHI, È proprio vero che possiamo stare tranquilli?Piccolo catalogo di chi non ha voglia di lasciarci in pace, in www.gandalf.it. 3 B. LEONI, op. cit., p. 7.
163
L’esperienza, infatti, “ha mostrato che, peggiore dell’arbitrio dell’esecutivo può
essere la oppressione instaurata dalla legge o divenuta legge e che la generalità, se
pure è caratteristica della legge e limita l’arbitrio del legislatore, non costituisce
obiettiva garanzia della libertà, ma solo e se mai del principio di eguaglianza nelle
limitazioni della libertà (che è cosa profondamente diversa)”4.
Nell’approccio al nuovo mezzo di Internet, prima di intervenire occorre conoscere
bene lo strumento e sapere che una legislazione nazionale avrebbe scarsa
incisività, considerato il carattere transfrontaliero del mezzo. Internet, infatti, non
solo è multi-giurisdizionale, ma anche a-giurisdizionale5, poiché i luoghi fisici, le
frontiere ed i confini geografici sono assolutamente irrilevanti.
Allo stesso modo, interventi che non usassero la tecnologia sarebbero di dubbia
efficacia, poiché l’immediata e globale fruibilità delle notizie immesse in rete
rende i contenuti sfuggevoli ai classici controlli.
L’Unione Europea sembra aver inteso queste difficoltà, se è vero che le sue
direttive spingono soprattutto verso l’autoregolamentazione come alternativa alla
legislazione.
La sfida del giurista e del legislatore consiste proprio nel comprendere cosa è,
come funziona e di quali interventi ha bisogno Internet per essere uno spazio
sicuro in cui apprendere e crescere. Solo conoscendo bene il mezzo, anche da un
punto di vista tecnico, sarà possibile intervenire efficacemente con nuove
metodologie giuridiche, non necessariamente con delle leggi, o con i tradizionali
schemi, se compatibili.
“Non siamo convinti che sia compito del diritto intervenire nelle vite private dei
cittadini o cercare di imporre un particolare modello di comportamento oltre
4 C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Giuffrè, Milano, 1958, p. 14. 5 F. CASETTI, La libertà di espressione in Internet, www.studiocelentano.it.
164
quanto è necessario per realizzare gli scopi delineati (…): conservare l’ordine e la
disciplina pubblica, proteggere il cittadino da ciò che è dannoso o offensivo e
fornire una salvaguardia sufficiente contro lo sfruttamento e la corruzione altrui”6.
Quali interventi, dunque, appaiono appropriati per Internet?
Forse, prima di vigilare sui contenuti immessi, andrebbero risolte questioni più
urgenti di privacy, di diritti d’autore, diritti di accesso o di proprietà delle
infrastrutture7.
Quanto agli utenti maggiorenni, sembra sproporzionata una loro tutela. Essi sanno
scegliere autonomamente le proprie fonti, che fortunatamente sono le più ampie e
disparate, essendo la rete uno “straordinario equalizzatore”8.
Democrazia e libertà obbligano a permettere e tollerare anche le idee più
sgradevoli e assurde, che, finché non costituiscano reato, non sono incriminabili.
Per contrastarle, dunque, non servono leggi o filtri, ma argomenti efficaci che,
dialetticamente, vi si oppongano e, stimolando la capacità critica degli individui,
svolgano un lavoro di informazione di qualità. L’incoraggiamento della diffusione
culturale, in particolar modo, è un passo fondamentale per la gioventù.
Gli adolescenti, nella attuale società dell’informazione, sperimentano sempre
meno direttamente ed acquisiscono sempre di più una conoscenza mediata. Dare
loro l’opportunità di incontrare contenuti che li arricchiscano, anziché vietare
quelli pericolosi, è l’impegno più serio perché sappiano distinguere
autonomamente ciò che è nocivo da ciò che è positivo per la loro crescita, senza
scomodare balie informatiche o responsabilizzare i provider. Chi va
responsabilizzata, attraverso la diffusione della cultura, è proprio la gioventù e,
6 Wolfenden Report, the Commitee on homosexual offences and prostitution, 1959, in B. LEONI, op. cit., p 200. 7 M. CAMMARATA, Gira e rigira si finisce sempre con le proposte di censura, in www.interlex.it. 8 G. ATTARDI, Voglio anch’io il First Amendment, in www.interlex.it.
165
con essa, i genitori, i quali, come non lasciano i figli da soli in mezzo ad una via,
finché non li reputano maturi per affrontare la vita, così non dovrebbero lasciarli
da soli davanti alle autostrade telematiche.
La famiglia e la scuola prima di tutto, le autorità pubbliche sussidiariamente
hanno il dovere di insegnare alle nuove generazioni l’uso migliore del computer,
una volta che si mette a loro disposizione lo strumento. Se i genitori sono meno
esperti dei figli, occorre informare anche loro circa l’utilizzo, i vantaggi e gli
inconvenienti della rete, senza demonizzarla.
Per quanto riguarda la tutela dei bambini, infine, sembra che essi siano meno a
rischio degli adolescenti. Come si è già detto, sono infatti questi ultimi i soggetti
più esposti al pericolo di incappare in contenuti nocivi, dati la curiosità e il fascino
del proibito connaturali alla loro età. Per i più piccoli, sembra improbabile che si
trovino a navigare davanti ad un computer senza la compagnia di un adulto, così
come sembra improbabile che vengano lasciati soli in un parco pubblico. A
maggior ragione, la volontarietà degli atti che stanno dietro alla navigazione
telematica fa supporre che difficilmente si troveranno da soli davanti ad immagini
raccapriccianti o a contenuti offensivi della loro sensibilità.
Se ciò dovesse accadere, come è accaduto per la pedofilia in rete, una corretta
applicazione delle norme penali e una pronta collaborazione internazionale tra le
forze di polizia sembra il rimedio migliore e sufficiente.
Come si è già sottolineato, la regolamentazione di Internet come mezzo di
diffusione del pensiero ai sensi dell’art. 21 Cost. è ancora allo stato iniziale. In
Italia solo la legge sull’editoria n. 62/2001 tocca in parte la questione; in Europa si
susseguono gli studi su come classificare i contenuti, incoraggiare
l’autoregolamentazione e promuovere la qualità dei siti e dell’informazione on
line.
166
Benché la rete sia un mezzo di comunicazione non più nuovissimo, avendo ormai
più di trent’anni, solo negli ultimi tempi ha conosciuto un reale successo ed è
penetrato nella vita quotidiana. Questa diffusione crescente ha destato nei
legislatori e nei giuristi l’esigenza di regolamentazione, facendo, forse, tramontare
il periodo “anarchico” di Internet.
“The golden age of cyberspace is ending, but the golden age for lawyers is just
dawning”9. Se pare inevitabile che il diritto intervenga a disciplinare anche aspetti
della vita finora lasciati liberi, si può sperare che lo faccia in maniera appropriata
e saggia. L’unica cosa che è auspicabile evitare è una legislazione affrettata, senza
una reale conoscenza della materia.
Nella cinematografia, al contrario, c’è già una legge che disciplina il controllo
delle opere. Anzi, la questione in questo settore riguarda proprio la compatibilità
della legge con l’evoluzione dei costumi e le nuove esigenze della società.
Nel 1947 i padri costituenti impressero nell’art. 21 della nostra Carta un principio
proprio di ogni democrazia moderna, ma la forte influenza della cultura cattolica
aprì la strada per un controllo anche preventivo degli spettacoli. La legge n.
161/1962 sulla revisione dei film risponde ad un bisogno di sorveglianza del
cinema come mezzo di suggestione e persuasione, nonché come paradigma di
comportamento delle masse.
Tuttavia, “la censura è come la pena…non sana le cause”10. Per sanare le cause,
infatti, di una produzione offensiva del comune senso del pudore o nociva per il
sano sviluppo dei minori, la revisione delle commissioni sembra insufficiente.
Anche qui, come per le problematiche sollevate da Internet, “affinché il cinema
9 “L’età d’oro del ciberspazio sta volgendo al termine, ma l’età d’oro dei giuristi è appena cominciata”, HARDY, moderatore della mailing list NewJuris, in www.studiocelentano.it. 10
G. ANDREOTTI, citato in T. SANGUINETI, Italia taglia, Transeuropa/Editori Associati, Ancona – Milano, 1999.
167
possa diventare un coefficiente prezioso di istruzione e di educazione”11 il divieto
alla visione delle opere sembra piuttosto inutile, se non dannoso, come quando le
commissioni impediscono ai minori la visione di opere provocatorie, ma
stimolanti.
“Non c’è forse nessun’altra istituzione su cui oggi (…) non si trovino
entusiasticamente d’accordo nel constatarne l’anacronismo”, si scriveva già negli
anni Settanta12. Eppure, non appena dagli enunciati teorici si passa sul terreno
pratico, nascono, anche tra gli spiriti più liberali, tante perplessità ed eccezioni, a
cominciare dalla difesa dei minori dal potere di persuasione e di corruzione
dell’immagine cinematografica. A conferma della difficoltà di riforma
dell’istituto, è sufficiente pensare che già nel 1970 il Ministro dello spettacolo
predispose un disegno di legge che, abolendo l’istituto, lasciava alle commissioni
il solo compito di accertare la presenza di contenuti offensivi per i minori13.
Oltre al dubbio irrisolto sulla convenienza delle funzioni delle commissioni, resta
fermo che la attuale normativa pecca di anacronismo. Non a caso, la sua lettura
subisce doverose forzature interpretative che cercano di adeguarla alla realtà
sociale: “scire legis non est verba earum tenere, sed vim ac potestatem”14.
La già citata sentenza del tribunale di Avellino sull’oscenità del film Paprika di
Tinto Brass, ad esempio, ha quasi ipotizzato un dovere di informarsi per poter
vivere responsabilmente ed in sintonia con la realtà di ogni giorno, dovere che, nel
caso specifico, escluderebbe l’offesa al comune senso del pudore da parte del
film, essendo noto a tutti il genere cinematografico del regista. È evidente che
11 Enciclica di Papa Pio XI sul cinema Vigilanti cura, del 29 giugno 1936, in www.vatican.ca. 12 G. GAMBETTI, Cinema e censura in Italia, Bianco e nero, Roma, 1972, p. 7. 13 Proposta di legge dell’on. Matteotti, in G. GAMBETTI, op. cit., p. 13, con ampia rassegna delle notizie dell’epoca apparse nei quotidiani. 14 CELSO, L. 17 D. De legibus, 1, 3.
168
l’affermazione poggia su un terreno metagiuridico, ma è appunto l’inattualità della
norma in esame a imporre considerazioni metagiuridiche, se non ideologiche15.
La stessa inattualità ha reso possibile un cambiamento ormai condiviso nella
prassi della revisione, in base alla quale i divieti sembrano limitati alla proiezione
per i minori.
Pertanto, sulla solida base non solo della dottrina, ma anche dei lavori preparatori
della legislazione, si auspica un’abrogazione del nulla osta generale, tollerando al
più il divieto per i minori. Il criterio da adottare, che le attuali proposte di legge
esaminate sembrano recepire, è quello della “salvaguardia di un normale sviluppo
fisiopsichico, che esclude il minore da esperienze traumatizzanti delle più varie
specie. Il minore, in sostanza, secondo la legge deve poter assistere solo a
spettacoli che, in base allo stadio del suo sviluppo, sia in grado di valutare senza
esserne psichicamente sopraffatto. È un criterio di natura psicopedagogica, più
che etica”16.
Si vedrà nell’immediato futuro se la proposta che dovrà valutare il Parlamento
prima dell’estate rispetta questo principio, ma non si nascondono i sospetti di una
confusione normativa di dubbio valore. Ciò che giova, infatti, alla lotta contro le
degenerazioni sociali è, appunto, la lotta contro quelle degenerazioni, e non
semplicisticamente contro le sue rappresentazioni più accattivanti.
Le critiche che, ad ogni modo, si muovono contro la censura non riguardano solo i
paradigmi e i criteri con cui viene applicata.
Se da un canto la legge sulla revisione risulta insensibile ai cambiamenti del
costume e solo una forzatura interpretativa ne consente l’utilizzo a tutela solo dei
15 U. FERRANTE, In tema di spettacoli cinematografici osceni, in Giur. Merito, 1997, p. 573. 16 P. NUVOLONE, voce Spettacoli e trattenimenti pubblici, in Noviss. Dig. It., Utet, Torino, 1980, p. 1189.
169
minori, dall’altro si dimostra anche priva di efficacia, dato che lo sviluppo della
tecnologia permette di scavalcare i divieti imposti.
Il noleggio delle videocassette è praticamente aperto a tutti, essendo insufficiente
che, per i film vietati ai minori, compaia il relativo avviso nella custodia.
Inoltre, i film vengono spesso registrati anche su Internet, cosicché chi
eventualmente non possa andare al cinema a vederli potrà sempre scaricarli dalla
rete senza eccessiva difficoltà.
Infine, ci sono film che nascono e muoiono nella rete, opere in tutto simili alle
classiche pellicole, con l’unica differenza che non verranno mai distribuite nelle
sale e vivranno solo nel Web. Di fronte a queste nuove modalità di diffusione
delle opere cinematografiche e a questo nuovo concetto di film, la legge del 1962
sembra fare la parte di don Chisciotte contro i mulini a vento.
“La libertà dello spettacolo e dello spettatore”17, in una comunità dotata di più
profonda capacità critica rispetto a ieri, potrebbe essere maggiormente rispettata,
senza temere che l’assenza di controlli preventivi, almeno per gli adulti, sia foriera
di disordini. La libertà di opinione e di espressione, se non è vincolata da
presunzioni di regolatori, se è libera davvero, reagisce da sé contro le opinioni e le
espressioni scadenti, le persegue confrontandosi con esse e, anche se non riesce a
sconfiggerle, niente altro può comunque valere contro ciò che è ignobile o
immorale.
Di fronte ai problemi posti dagli interventi censori dello Stato sulle opere
cinematografiche rimane saggio l’atteggiamento di chi, più di trent’anni fa,
osservava con disincanto che “il rapporto fra artista e pubblico è troppo delicato
perché possa essere regolato con la bilancia non sempre precisa delle commissioni
di controllo. E non sono neppure così ottimista da credere che l’uso della libertà
17 N. BOBBIO, Libertà dello spettacolo e dello spettatore, in Cinema nuovo, 1962, p. 343.
170
sia un rimedio perfetto all’abuso della libertà. In questi anni, tendenti più alla
libertà che al rigore, ne abbiamo viste troppe per essere fiduciosi fino al
candore”18.
Semplicemente, rispondendo alla domanda con cui si era aperto questo studio, la
libertà sembra essere il male minore.
18 N. BOBBIO, op. cit., p. 351.
172
Il diritto di libertà di espressione negli ordinamenti dei Paesi
dell’Unione Europea11
Fonte normativa Mezzi di espressionecoperti
Limiti al diritto di espressione
Austria Articolo 13 della Costituzione
Parola o scrittura, stampa o illustrazione
Controllo legale ex post
Belgio Articolo 19 e articolo25 (per la sola stampa)della Costituzione
Tutte le espressioni etutti i mezzi
Controllo legale ex post
Danimarca Sezione 77 della Costituzione
Tutti i mezzi Controllo legale ex post
Finlandia Articolo 2 sezione 10della Costituzione
Tutti i mezzi Controllo legale ex post; Controllo preventivo solo se laprotezione dei minori è obbligatoria
Francia Articolo 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo (testocostituzionale)
Tutti i mezzi Dipende dal tipo di mezzo, daisuoi limiti tecnici e dalla sua influenza
Germania Articolo 5 della Costituzione
Parola, scrittura e illustrazione
Controllo legale ex post, leggiindirizzate in particolare alla protezione della gioventù e della dignità personale
1 Fonte: Commissione europea, Libro verde sulla protezione dei minorenni e della dignità umana nei servizi audiovisivi e dell’informazione, COM (96) 0483, del 16-10-1996.
173
Grecia Articolo 14 della Costituzione
Stampa Controllo legale ex post del materiale che offenda la cristianità o altre religioni riconosciute, che offenda il P
174
Definizione dei principali termini interenti ad Internet22
��Accesso: connessione alla rete, necessaria al fine di utilizzarne le risorse.
��BBS: acronimo per Bulletin Board System. È un sistema telematico
amatoriale che veicola programmi, messaggi, dati o informazioni per un
particolare gruppo di utenti con interessi specifici.
��Chat: spazio di discussione con comunicazione in tempo reale.
��Comportamento: atto o insieme di atti posti in esere attraverso al rete o
riguardanti l’utilizzo della rete.
��Contenuto: qualsiasi informazione messa a disposizione del pubblico
attraverso la rete, costituita, in forma unitaria o separata, da testo, suono,
grafica, immagini fisse o in movimento, programmi per elaboratore e qualsiasi
altro specifico di comunicazione.
��Fornitore di accesso ( o access provider): chiunque offre accesso a Internet.
��Fornitore di contenuto: chiunque immette contenuto su Internet.
��Fornitore di hosting o servizi ( o hosting provider o service provider):
chiunque offre hosting o servizi aggiuntivi all’accesso su server connesso a
Internet.
��Forum/gruppi di discussione/newsgroup: spazio di discussione a carattere
tematico con comunicazione differita e costituito da messaggi propagati
attraverso al rete su tutti i server che ospitano lo spazio di tale discussione.
��Hardware: parte fisica del computer.
��Hosting: messa a disposizione di una parte delle risorse di un server al fine di
distribuire contenuti o servizi attraverso al rete.
2 Le definizioni sono state elaborate con l’ausilio della bozza del codice di autoregolamentazione diffusa dal Ministro delle poste e telecomunicazioni il 22 maggio 1997 e del Dizionario di informatica e telecomunicazioni, a cura di Lucio Bragagnolo e Marco Ghezzi, Hoepli, 2002.
175
��Internet ( o rete): Insieme di reti di computer interconnessi fra loro tramite
linee di telecomunicazioni e comunicanti utilizzando protocolli della famiglia
TCP/IP
��Posta elettronica ( o e mail): sistema telematico che consente l’invio di
documenti a carattere privato ad uno o più destinatari determinati dal mittente.
��Programma (o software): insieme di iestruzioni che permettono al computer
di svolgere determinati compiti.
��Server: computer connesso alla rete atto alla erogazione di servizi.
��TCP/IP: linguaggio di comunicazione utilizzato per la trasmissione dei dati in
Internet
��Utente: chiunque accede ad Internet.
��Worl Wide Web: insieme di contenuti presenti su Internet e identificati da
un indirizzo univoco (URL).
176
Il controllo di Internet nel mondo3
In rosso sono evidenziati i paesi dove per motivi politici è praticamente impossibile
accedere alla Rete. In arancione sono invece colorati gli stati dove è possibile
collegarsi ma ci sono forti censure per ragioni politiche o religiose. In giallo sono le
nazioni che attuano controlli per motivi di sicurezza e impongono limitazioni a siti
diffamatori o di giochi d'azzardo. Infine azzurri sono i paesi dove Internet è libero ma
pochi possono permettersi un computer o una connessione.
3 Fonte: rapporto di Reporters sans frontières sul controllo di Internet nel mondo, in www.rsf.org.
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