immigrazione, lavoro e crisi economica in una prospettiva territoriale · immigrazione, lavoro e...

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Immigrazione, lavoro e crisi economica in una prospettiva territoriale di Maurizio Avola Paper for the Espanet Conference “Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in Italia e in Europa” Roma, 20 - 22 Settembre 2012 Maurizio Avola, Dipartimento di Analisi dei Processi Politici, Sociali e Istituzionali, Università di Catania. E-mail: [email protected]

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Immigrazione, lavoro e crisi economica in una prospettiva

territoriale

di

Maurizio Avola

Paper for the Espanet Conference

“Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in Italia e in Europa”

Roma, 20 - 22 Settembre 2012

Maurizio Avola, Dipartimento di Analisi dei Processi Politici, Sociali e Istituzionali, Università di Catania. E-mail: [email protected]

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1. Osservando dal Sud: immigrazione e lavoro oltre le retoriche

In un paese come l’Italia fortemente segnato da perduranti squilibri Nord-Sud anche l’inserimento

occupazionale degli immigrati sembra radicarsi nella specificità dei contesti e riprodurne le differenze, tanto a livello di macro-aree territoriali, quanto ad una dimensione più circoscritta (Ambrosini, 2001; 2011; Pugliese, 2002; Strozza, Forcellati, Ferrara, 2008; Avola, 2009; Reyneri, 2011). Si tratta di una importante differenziazione delle dimensioni e del profilo dell’inserimento rintracciabile sul piano di molteplici indicatori: dalla distribuzione della presenza sul territorio nazionale ai livelli della partecipazione al mercato del lavoro e dell’occupazione1; dalla connotazione dell’inserimento lavorativo sul piano settoriale e professionale alle condizioni di impiego e al tipo di relazione competitiva con la forza lavoro autoctona (Ministero dell’Interno, 2007; Istat, 2008). Sulla base dei dati istituzionali disponibili e dei risultati delle indagini locali che negli ultimi dieci anni hanno interessato diverse regioni meridionali, il Mezzogiorno sembrerebbe riprodurre più del Centro-Nord i tratti caratteristici del modello mediterraneo di immigrazione (Arango, Baldwin-Edwards, 1999; Reyneri, Baganha, 2001; King, Ribas-Mateos, 2002; Pugliese, 2002; Reyneri, 2003; Baganha, 2009): nonostante gli elevati livelli di disoccupazione che coinvolgono gli autoctoni, in un contesto caratterizzato da una forte segmentazione del mercato del lavoro e dalla pervasività dell’economia sommersa (che rappresenta un invitante fattore di richiamo), i migranti troverebbero ampi spazi di inserimento, soddisfacendo la domanda di imprese e famiglie che necessitano di manodopera disponibile a lavori delle tre D (dirty, dangerous, demanding) (Abella, Park, Bohning, 1995) o cinque P (pesanti, pericolosi, precari, poco pagati, penalizzati socialmente) (Ambrosini, 2011).

Tuttavia, limitarsi a sottolineare la continuità di questi tratti distintivi può rappresentare una lettura parziale del fenomeno migratorio nel Sud. Se la retorica pubblica veicolata dai media sembra esaurire i confini dell’immigrazione nel Mezzogiorno ai tragici ingressi di Lampedusa, alle violenze di Castel Volturno, agli “schiavi” di Rosarno, Cassibile e del tavoliere pugliese, anche la ricerca scientifica stenta ad emanciparsi da una visione stereotipata della presenza migratoria nel Mezzogiorno enfatizzandone l’indiscriminata marginalità economica e sociale, l’immobilità dei percorsi e la compressione degli spazi di azione individuale. Per quanto tali rappresentazioni rispecchino il vissuto della maggioranza dei migranti che giungono nelle regioni meridionali e pongano interrogativi ineludibili sul piano della regolazione pubblica del fenomeno, si tratta di letture che sottovalutano tanto le dinamiche evolutive dell’immigrazione, quanto i processi di differenziazione tra contesti locali e tra gruppi nazionali.

Rispetto a questo quadro, il paper proposto si pone un triplice obiettivo: innanzitutto, offrire una fotografia aggiornata dell’inserimento occupazionale degli immigrati nel Mezzogiorno in un’ottica comparata con il resto del paese; in secondo luogo, metterne in evidenza i mutamenti interni e i fattori di differenziazione, per cogliere in una prospettiva dinamica e processuale quei “movimenti al margine” (Avola, Cortese, 2012) la cui importanza non può essere sottovalutata in un contesto avaro di opportunità anche per la forza lavoro autoctona; infine, verificare se, e in che misura, la crisi economica abbia contribuito a modificare dimensioni e modalità dell’inserimento occupazionale degli immigrati nelle due macro-aree e in relazione ai nativi. Rispetto a tale prospettiva di analisi, nel secondo paragrafo saranno ricostruite le principali caratteristiche della presenza degli immigrati nel mercato del lavoro delle regioni meridionali, facendo particolare attenzione sia alle differenze con quanto avviene nel resto del paese, sia al confronto con gli autoctoni. Il terzo paragrafo, invece, sarà dedicato alla questione della penalizzazione degli immigrati nel mercato del lavoro rispetto ai nativi. Si tratta di un tema tradizionale della sociologia delle migrazioni e del mercato del lavoro, ma che per assenza di fonti statistiche adeguate solo di recente è stato possibile testare in Italia (Ministero dell’Interno, 2007; Istat, 2008; Dell’Aringa, Pagani, 2010; Fullin, Reyneri, 2011; Fullin, 2011; 2012). La prospettiva utilizzata sarà ancora una volta quella del confronto territoriale, per verificare se, e in che misura, gli immigrati siano maggiormente penalizzati nel Mezzogiorno rispetto a quanto avviene nel resto del paese. Inoltre, il tema della penalizzazione e della disuguaglianza sarà affrontato confrontando diverse categorie di migranti per verificare, innanzitutto, se sono in atto meccanismi di differenziazione a partire dai profili socio-biografici e dall’appartenenza “etnica” e, in secondo luogo, se nel medio periodo l’anzianità di soggiorno e l’integrazione nella società italiana, tanto al

1 Non si può dire la stessa cosa, invece, sul piano della disoccupazione. Si veda in merito il paragrafo 2.

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Sud quanto al Centro-Nord, abbiano favorito processi di mobilità sociale dei migranti, contribuendo a ridurre le distanze con i nativi. Il tema della penalizzazione sarà altresì ripreso nel quarto paragrafo, dove si metteranno in evidenza le dinamiche evolutive recenti riconducibili alla crisi economica. Nello scenario internazionale, infatti, l’Italia è uno dei paesi che ha pagato maggiormente la crisi in termini sia di PIL che di domanda di lavoro, ragion per cui appare di grande rilevanza verificare se, e in che misura, ciò abbia prodotto effetti differenziati sulla forza lavoro immigrata e su quella autoctona, tenendo sempre in considerazione la prospettiva d’analisi territoriale. Il quinto paragrafo, infine, sarà dedicato ad alcune sintetiche riflessioni conclusive.

L’analisi è stata condotta utilizzando i microdati della Rilevazione continua delle forze di lavoro che dal 2005 fornisce informazioni sulla cittadinanza e lo stato di nascita. I principali limiti di questa base di dati sono due2. Il primo è che essa include solo gli immigrati regolarmente residenti e non tiene conto, quindi, né degli irregolari, né degli stagionali regolari non iscritti in anagrafe. Si perde così una parte importante di informazioni su soggetti che molto probabilmente scontano una condizione di maggiore difficoltà e marginalità nel mercato del lavoro, ma resta comunque il fatto che gli stranieri regolarmente residenti rappresentano oggi la stragrande maggioranza degli stranieri presenti. Il secondo limite è connesso alla ridotta presenza degli immigrati nel campione delle Rilevazioni, che può rappresentare un problema dal punto di vista dell’errore delle stime inferite all’universo. Da questo punto di vista, occorre però segnalare che la quota di stranieri presenti nel campione è in continua crescita3 e che l’Istat ha introdotto delle strategie ad hoc per gli stranieri al fine di migliorare la qualità delle stime. D’altra parte, nel corso della nostra analisi il riferimento a sette diverse annate di rilevazione (2005-2011) ci ha permesso non solo di ricostruire una breve ma significativa serie storica per i tassi di occupazione e disoccupazione, ma anche di aggregare i dati delle singole annate per accrescere la significatività delle analisi descrittive e dei modelli di regressione commentati nei paragrafi 2, 3 e 44. Infine, è opportuno evidenziare che prenderemo in considerazione solo la popolazione in età da lavoro (15-64 anni) e che gli immigrati sono stati individuati a partire dallo stato di nascita, utilizzando altresì l’informazione sulla cittadinanza per limitare il rischio di includere in tale categoria i figli di italiani nati all’estero5. Per tali ragioni, quindi, la popolazione risulta divisa in tre gruppi principali: i nati in Italia6; i nati in paesi dell’Unione Europea a 15, in altri paesi OECD e gli “italiani di ritorno”7; gli immigrati provenienti da paesi a forte pressione migratoria (d’ora in avanti immigrati)8.

2. Gli immigrati al lavoro nelle due Italie

Le recenti ricerche che hanno utilizzato i dati delle rilevazioni Istat sulle forze di lavoro hanno

evidenziato alcuni importanti aspetti caratterizzanti dell’inserimento occupazionale degli immigrati in Italia,

2 Per maggiori approfondimenti sul tema si rimanda a Istat (2008).

3 Si è passati da circa 14.000 casi nel 2005 (2,0% del campione) o oltre 45.000 nel 2011 (6,9%).

4 Considerando le sette annate e facendo riferimento solo alla popolazione in età da lavoro (15-64 anni) abbiamo ottenuto una

matrice di 2.693.675 casi, di cui 173.584 immigrati provenienti da paesi a forte pressione migratoria. Da questi, per eliminare le duplicazioni (ogni singolo soggetto viene intervistato sino a 4 volte nell’arco di un anno e mezzo) che possono incidere sulla bontà dei modelli di regressione, abbiamo considerato successivamente solo i soggetti alla prima intervista (la prima e terza per il 2005), per un totale di 859.517 casi, di cui 50.593 immigrati provenienti da paesi a forte pressione migratoria. 5 La scelta deriva dalla necessità di non perdere l’informazione sugli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana.

6 Il controllo per cittadinanza ha di fatto escluso, tranne per una piccolissima quota nella classe di età 15-19 anni (minorenni che

non hanno ancora maturato il diritto ad acquisire la cittadinanza italiana), la presenza tra la popolazione in età da lavoro di soggetti nati in Italia e che mantengono la cittadinanza di un paese a forte pressione migratoria. 7 Sono stati inclusi in quest’ultimo gruppo i soggetti in possesso della cittadinanza italiana nati nelle ex colonie (Eritrea, Etiopia e

Libia) e, per ragioni diverse ma altrettanto ovvie, in Argentina, Uruguay, Venezuela e Slovenia. Il controllo incrociato, infatti, ha evidenziato quote elevatissime di soggetti nati in questi ultimi quattro paesi in possesso di cittadinanza italiana (ben oltre l’80%). Un identico ragionamento avrebbe potuto allargare i paesi coinvolti, ma considerando i controlli incrociati effettuati e il fatto che i tradizionali paesi d’emigrazione degli italiani sono già inclusi in questo gruppo (UE 15 e altri OECD), si è preferito non andare oltre. 8 Rispetto alle scelte effettuate sulle classificazioni per paese d’origine, per professione (classificazione EGP in quattro gruppi) e

status familiare, così come per la definizione di alcune ipotesi di lavoro, ho un grande debito di riconoscenza con Giovanna Fullin ed Emilio Reyneri, che si sono dimostrati molto disponibili a discutere con me in diverse occasioni. A loro va il mio sentito ringraziamento, fermo restando che ogni responsabilità rimane in capo al sottoscritto.

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che possono essere sintetizzati dal concetto di doppia penalizzazione (Reyneri, 2011). A fronte di un elevato livello di partecipazione al mercato del lavoro e di un tasso di occupazione superiore anche a quello degli autoctoni, gli immigrati sconterebbero un più elevato rischio di disoccupazione e, soprattutto, una forte segregazione nelle occupazioni meno qualificate. D’altra parte, anche il vantaggio sul versante del tasso di occupazione si ridimensiona se si considerano le diverse caratteristiche socio-biografiche delle due popolazioni, a partire dalla maggiore presenza delle coorti in età centrale tra gli stranieri.

Questi fattori di differenziazione tra immigrati e autoctoni appaiono comuni a tutti i paesi dell’Europa meridionale. Nei paesi di più antica immigrazione dell’Europa centro-settentrionale, invece, a fronte di una più elevata penalizzazione sul piano dell’occupazione e del rischio di disoccupazione, le difficoltà di accesso alle professioni più qualificate sono meno rilevanti (Reyneri, Fullin, 2011). Tuttavia, questi studi hanno sinora solo marginalmente tenuto in considerazione la questione territoriale. La comparazione Nord-Sud, infatti, si è limitata a mettere in evidenza la differenziazione dei tassi di occupazione e di disoccupazione, senza considerare né le caratteristiche socio-biografiche degli immigrati, né quelle relative alla struttura dell’occupazione per settore, professione, condizioni di impiego, ecc. L’obiettivo di questo paper è di contribuire a colmare questo vuoto.

I dati riassuntivi riportati all’inizio della tabella 1, che considerano congiuntamente le sette annate di rilevazione, confermano quanto già noto rispetto alla condizione occupazionale degli immigrati in Italia9. Questi ultimi, infatti, presentano un tasso di occupazione più alto al Centro-Nord che al Sud, mentre per il tasso di disoccupazione non si registrano sostanziali differenze. Guardando al rapporto con gli autoctoni, invece, le gerarchie territoriali si ribaltano: nelle regioni centro-settentrionali gli immigrati sono solo marginalmente più occupati degli italiani e rischiano decisamente di più la disoccupazione; nel Mezzogiorno, invece, il “vantaggio” degli immigrati è particolarmente significativo dal punto di vista del tasso di occupazione e importante anche per quello di disoccupazione.

Informazioni di particolare interesse sulla partecipazione al mercato del lavoro e sul rischio di disoccupazione emergono disaggregando i dati per caratteristiche socio-biografiche. Innanzitutto, anche per gli immigrati è evidente la penalizzazione delle donne, dei meno istruiti e dei più giovani, sebbene per tutte le variabili considerate i tassi di occupazione sono sempre maggiori al Centro-Nord che al Sud. Tuttavia, rispetto a quanto avviene tra gli autoctoni le differenze appaiono molto più contenute. Inoltre, se si considera il rischio di disoccupazione, tra gli immigrati non ci sono differenze ed è addirittura più basso al Sud per le donne e i poco istruiti. Inoltre, mentre al Centro-Nord il livello di disoccupazione degli immigrati è sempre più alto di quello degli italiani, al Sud risultano penalizzati solo i più istruiti, i 55-64enni e i coniugati/conviventi (con e senza figli). Queste apparenti anomalie sono state spiegate facendo riferimento, da un lato, al diverso peso della presenza di immigrati nelle due macro-aree e, dall’altro, alla maggiore propensione alla mobilità geografica degli immigrati rispetto ai nativi: il tasso di occupazione nel Mezzogiorno per gli immigrati è alto perché i flussi in ingresso sono contenuti (e anche se limitata in ogni caso esiste una domanda nel mercato del lavoro secondario che l’offerta autoctona non riesce a soddisfare) e chi non trova lavoro non avrebbe ragioni per rimanere (Ministero dell’Interno, 2007; Strozza, Forcellati, Ferrara, 2008; Fullin, Reyneri, 2011; Reyneri, 2011). Se ciò appare convincente, non bisogna dimenticare che le maggiori opportunità al Centro-Nord non sempre sono in grado di colmare il gap relativo ai costi economici e sociali dell’insediamento (più elevati nelle regioni centro-settentrionali). Come argomentato altrove (Avola, 2009), questo trade off fa ipotizzare che le scelte di mobilità degli immigrati non siano orientate esclusivamente dalle opportunità occupazionali, ma da una più articolata valutazione di costi e benefici: ciò spiega la crescita costante della presenza di stranieri provenienti da paesi a forte pressione migratoria nel Mezzogiorno (e dal 2007 a ritmi più elevati che al Centro-Nord) così come la loro stabilizzazione10.

9 I dati relativi ai nati in UE a 15, altri OECD e “immigrati di ritorno” non saranno riportati, né commentati, nelle parti dedicate

all’analisi descrittiva, mentre verranno ripresi nei modelli di regressione. 10

In effetti, i saldi migratori interni dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord degli stranieri, pur essendo più elevati di quelli degli italiani, sono molto contenuti (-0,6% nel 2010) e decisamente in calo rispetto ai primi anni duemila (-1,9% nel 2003) (Istat, 2005; 2011). Altrettanto interessanti sul piano della stabilizzazione al Sud sono i dati sulla durata del lavoro attuale riportati nella tabella 3.

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Dal confronto con gli autoctoni possiamo evidenziare ulteriori elementi di differenziazione tra il Mezzogiorno e il resto del paese, utili per chiarire la connotazione territoriale dell’inserimento lavorativo degli immigrati. Innanzitutto, diversamente di quanto riscontrato al Centro-Nord, al Sud le immigrate sono più occupate e meno disoccupate delle italiane. Per quanto riguarda il titolo di studio, invece, nelle regioni centro-settentrionali emerge uno spartiacque importante tra licenza media e diploma: solo tra i meno istruiti gli stranieri sono più occupati dei nativi, anche se rischiano di più la disoccupazione. Nel Mezzogiorno, invece, gli immigrati laureati sono gli unici ad essere meno occupati e più disoccupati dei nativi, mentre il vantaggio competitivo dell’offerta a bassa istruzione è particolarmente significativo anche per coloro che sono in possesso della licenza media. Anche considerando la disaggregazione per classi di età emergono importanti differenze territoriali confrontando italiani e immigrati. Innanzitutto, al Centro-Nord il tasso di occupazione degli immigrati è più alto di quello dei nativi solo tra i più giovani e i 55-64enni, poiché tra i primi la quota di italiani ancora impegnati negli studi è importante e tra i secondi, come dimostra anche il bassissimo tasso di disoccupazione, le diverse opportunità di accesso a strumenti di uscita anticipata dal mercato del lavoro fa la differenza; al Sud, invece, gli immigrati sono più occupati degli autoctoni anche considerando coloro che sono in età centrale. In secondo luogo, di particolare rilievo è quanto emerge dall’analisi del tasso di disoccupazione, soprattutto tra i più giovani: al Centro-Nord, gli immigrati senza lavoro sono relativamente più dei nativi, mentre al Sud, dove la disoccupazione giovanile assume proporzioni drammatiche, il rischio di rimanere senza lavoro è per gli stranieri provenienti da paesi a forte pressione migratoria decisamente inferiore rispetto a quello dei coetanei nativi. In sintesi, sembra emergere nel Mezzogiorno, più che nel Centro-Nord, un profilo dell’inserimento che, rispetto ai nativi, ridimensiona tra gli immigrati le tradizionali disuguaglianze di genere, età e livello di istruzione. Per comprenderne le ragioni appare opportuno guardare innanzitutto alle caratteristiche della domanda di lavoro immigrato. Nelle regioni meridionali quest’ultima è prevalentemente dequalificata e si concentra in ambiti settoriali, come i servizi alle famiglie, il commercio e in parte l’agricoltura: si tratta di una domanda di lavoro poco appetibile per l’offerta di lavoro istruita (soprattutto giovanile), che favorisce la componente femminile e ridimensiona il ruolo dell’istruzione come fattore di accreditamento.

Tabella 1 – Tassi di occupazione e di disoccupazione per caratteristiche socio-biografiche. Media 2005-2011

Tasso di occupazione Tasso di disoccupazione

Centro-Nord Mezzogiorno Centro-Nord Mezzogiorno

Italiani Immigrati Italiani Immigrati Italiani Immigrati Italiani Immigrati

Totale 15-64 anni 64,5 65,1 44,9 56,4 4,7 10,6 12,9 10,4

Sesso

Maschio 73,4 80,0 59,7 71,4 3,8 8,3 11,0 8,3

Femmina 55,4 51,1 30,2 44,4 5,8 13,9 16,5 12,8

Titolo di studio

Max element. 30,3 57,8 25,0 56,9 6,1 10,9 14,7 8,4

Media 56,9 58,4 38,9 54,2 5,7 11,5 14,8 10,5

Diploma 73,3 71,7 52,9 57,7 4,3 10,1 12,5 11,5

Laurea 81,5 71,6 70,8 62,1 3,5 9,8 8,6 11,0

Classe d’età

15-24 anni 27,6 33,5 15,7 28,5 16,8 21,3 36,8 20,8

25-34 anni 80,7 67,7 50,3 56,1 5,9 10,5 18,6 12,0

35-44 anni 84,8 74,8 60,3 65,2 3,5 9,2 10,0 8,1

45-54 anni 79,3 75,3 59,0 67,3 2,8 9,0 6,2 7,7

55-64 anni 34,3 56,0 33,9 54,9 2,5 8,0 4,3 7,6

Status familiare

Single 72,3 84,7 51,2 75,5 4,3 7,0 11,2 6,7

Coniugato/a con figli 72,4 63,3 54,8 51,9 2,7 10,5 7,2 10,9

Coniugato/a senza figli 60,4 67,2 42,8 54,0 3,0 12,5 7,7 13,4

Vive con i gen. 50,3 33,6 29,6 26,2 10,4 20,4 27,2 22,2

Monogenitore 67,4 77,9 43,0 66,6 5,3 9,7 14,3 9,9

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat

Infine, rispetto allo status familiare, i dati presentati in tabella non evidenziano specificità territoriali:

tanto al Sud, quanto al Centro-Nord, la penalizzazione degli immigrati (soprattutto per ciò che riguarda

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l’occupazione) si concentra tra coloro che vivono con i genitori e tra i partner di coppie con figli. Tuttavia, quest’ultimo dato deve essere reinterpretato alla luce della dimensione di genere: in tutte e due le macro-aree, infatti, i maschi immigrati coniugati o conviventi con figli presentano i tassi di occupazione in assoluto più elevati anche considerando gli italiani (89,9% nelle regioni centro-settentrionali e 83,0% nel Mezzogiorno) e tassi di disoccupazione ben al di sotto degli stranieri in altra condizione (6,2 e 6,9%); al contrario, le immigrate che vivono con partner e figli sono decisamente meno occupate (40,8 e 29,3%) e più disoccupate (17,5 e 18,1%) rispetto ai maschi e anche rispetto alle donne italiane11. Alla ben nota debolezza del sistema di welfare italiano nel favorire la conciliazione delle donne con carichi familiari e di cura12, le immigrate scontano una maggiore debolezza delle reti di solidarietà familiari e per alcune nazionalità una divisione dei ruoli di genere più tradizionale imputabile a fattori culturali.

Questa ultima considerazione ci introduce alla differenziazione interna agli immigrati per paese d’origine. La situazione delle donne, infatti, spiega in parte la grande variabilità dei tassi di occupazione e disoccupazione evidenziati nella tabella 2, che prende in considerazione i primi sette paesi nella graduatoria per numerosità della presenza di stranieri.

Tabella 2 – Tassi di occupazione e di disoccupazione degli immigrati per paese d’origine e anzianità di residenza. Media

2005-2011 Tasso di occupazione Tasso di disoccupazione

Centro-Nord Mezzogiorno Centro-Nord Mezzogiorno

Paese d’origine

Romania 71,2 56,3 10,1 13,0

Albania 59,7 52,4 11,8 11,2

Ex-Jugoslavia 60,6 46,9 9,6 12,5

Ucraina 76,6 64,5 6,1 6,0

Cina 67,7 68,0 5,6 0,9

Filippine 89,1 88,7 3,2 2,3

Marocco 56,5 50,8 14,7 14,5

Altri PFPM 63,4 54,2 11,4 10,9

Anni di residenza in Italia

Meno di 3 anni 38,7 46,5 23,9 15,1

Da 3 a < di 6 60,5 56,4 12,2 11,2

Da 6 a < di 10 69,2 58,4 9,3 9,3

10 e più 70,9 57,7 8,8 9,1

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat

Le “apripista” filippine e le donne primo-migranti ucraine ad elevata istruzione (Ministero dell’Interno,

2007, p. 211) sono le indiscusse protagoniste dell’immigrazione femminile da lavoro nel nostro paese e contribuiscono significativamente agli elevati tassi di occupazione e ai bassi tassi di disoccupazione registrati dalle rispettive nazionalità. Al contrario, il basso il livello di occupazione dei marocchini si deve in buona misura alle ragioni culturali prima accennate, che limitano la partecipazione femminile. La rilevanza dei differenziali per paese d’origine interni alle due macro-aree, quindi, suggerisce la necessità di considerare l’etnicità, anche in quanto connessa al genere, come una dimensione ineludibile dell’analisi dell’inserimento occupazionale degli immigrati. A conferma di ciò, anche guardando in termini più generali al rapporto tra macro-aree, possiamo notare che le gerarchie per paese d’origine sono simili, fermo restando che le opportunità occupazionali sono maggiori al Centro-Nord. Ci sono però almeno due eccezioni rilevanti: filippini e cinesi. Per gli uni e per gli altri le chance di inserimento non mutano tra Centro-Nord e Sud, ma le ragioni sono diverse. I filippini rappresentano l’immigrazione storica in Italia e da subito hanno occupato da Nord a Sud una nicchia di mercato in costante crescita, quella dei servizi alla persona, avvalendosi tra l’altro di un’etichettatura positiva presso la popolazione locale. Il vantaggio iniziale, quindi, ha di fatto permesso una saturazione dell’offerta che nel tempo non è stata alimentata da nuovi ingressi nella stessa misura dei migranti provenienti da nuove aree di immigrazione. I cinesi, invece,

11

Queste ultime, dal punto di vista del tasso di occupazione sono penalizzate solo rispetto alle single e alle madri sole, e per ciò che riguarda il rischio di disoccupazione presentano tassi più alti solo rispetto alle coniugate o conviventi senza figli. 12

Il cui peso le immigrate hanno in ogni caso hanno contribuito a ridimensionare negli ultimi decenni (Andall, 2000; Catanzaro, Colombo, 2009).

7

sono arrivati in Italia più di recente e si sono insediati all’inizio prevalentemente al Centro-Nord. Come ampiamente dimostrato da una vastissima letteratura, i progetti migratori dei cinesi sono fortemente orientati da strategie di mobilità sociale che trovano nel passaggio al lavoro indipendente la via maestra. In Italia, questo modello è stato per lungo tempo perseguito attraverso un processo di progressiva gemmazione di micro-imprese interna alla comunità cinese nell’ambito della ristorazione (nelle grandi realtà urbane) e nelle confezioni e pelletteria nelle aree distrettuali del Centro-Nord e del napoletano. In quest’ultimo ambito produttivo in particolare, però, l’accresciuta concorrenza di connazionali ha ridimensionato per i laoban (i padroni cinesi) la redditività dei loro laboratori e reso più problematiche le aspirazioni di mobilità dei lavoratori dipendenti. Per molti, quindi, il commercio di beni made in China

diventa una valida alternativa alle più tradizionali attività manifatturiere e della ristorazione per perseguire i propri progetti (Ceccagno, Rastrelli, 2008). A partire dalla fine degli anni Novanta, quindi, i cinesi sono stati protagonisti di una mobilità geografica al contrario che li ha portati a cercare nuovi spazi di commercializzazione nei mercati meridionali (Avola, Cortese, 2011). Questo arrivo “mirato”, cui hanno fatto seguito nuovi flussi in entrata dalla madrepatria, spiega quindi l’abbattimento del rischio di disoccupazione a livelli frizionali.

Infine, un ulteriore elemento di differenziazione di grande importanza tra gli immigrati è l’anzianità della presenza. Com’era lecito attendersi, tanto al Centro-Nord quanto al Sud le performance di inserimento nel mercato del lavoro migliorano al crescere degli anni di residenza nel nostro paese. Tuttavia, ciò vale molto meno nel Mezzogiorno, dove probabilmente chi arriva lo fa perché sin da subito ha qualche chance di occupazione.

Come argomentato in precedenza, alcune specificità emerse sul piano della comparazione territoriale dei livelli di occupazione e disoccupazione dipendono dalla differenziazione della struttura occupazionale italiana, che evidentemente influenza le caratteristiche della domanda di lavoro immigrato nelle due macro-aree. A fronte di un significativo ridimensionamento delle disparità Nord-Sud registrate tra gli immigrati in termini di accesso al lavoro e rischio di disoccupazione, emerge infatti un significativo ampliamento delle differenze tanto in termini di accesso al lavoro qualificato13, quanto sul piano delle condizioni di impiego (tabb. 3 e 4). Il trade off tra opportunità di lavoro e qualità dell’occupazione evidenziato nel confronto tra i paesi europei di vecchia e nuova immigrazione (Reyneri, Fullin, 2011), si ripresenta, amplificato, nel mercato del lavoro italiano lungo l’asse Nord-Sud14. La competitività degli immigrati nel Mezzogiorno si basa, quindi, sull’ampia disponibilità ad accettare opportunità di impiego in settori a scarso valore aggiunto e, all’interno di questi, in professioni manuali prevalentemente dequalificate e a scarso riconoscimento sociale (colf e badanti, braccianti agricoli, manovali, venditori ambulanti15). A differenza del Centro-Nord, inoltre, si tratta di impieghi prevalentemente al di fuori dell’area della cittadinanza industriale, che si concentrano in imprese di piccolissime dimensioni (e in buona parte alle dipendenze di famiglie), accrescendone la debolezza in termini retributivi (tre su quattro non superano i 1.000 euro al mese) e più in generale di garanzie contrattuali. Tuttavia, la fragilità delle relazioni di impiego, caratterizzate tra l’altro da una più ampia diffusione dei contratti a termine, non sembra incidere oltremisura sulla loro durata, che non è diversa da quella degli immigrati del Centro-Nord.

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Come ricordato in precedenza, la classificazione delle professioni qui proposta non è quella Istat (che deriva dalla classificazione internazionale Isco88/08), bensì quella EGP (Erikson, Goldthorpe, Portocarero, 1979; Erikson, Goldthorpe, 1992) in una versione a quattro classi, dove accanto ai colletti bianchi (classi I, II, IIIa e IIIb) e alla piccola borghesia (classi IVa, IVb e IVc), i lavoratori manuali sono distinti in qualificati (classi V e VI) e non qualificati (classi VIIa e VIIb). 14

Si tratta di un trade off che emerge con forza anche considerando le caratteristiche dell’inserimento degli immigrati a livello regionale. All’interno delle due macro-aree, infatti, la penalizzazione in termini di opportunità occupazionali degli immigrati è minore nelle aree più deboli (Lazio al Centro-Nord, Calabria, Campania e Sicilia al Sud), a fronte di una qualità del lavoro immigrato decisamente peggiore, con un’accentuazione della concentrazione dell’inserimento nei settori a bassa produttività, in mansioni dequalificate e con condizioni di impiego particolarmente disagiate. 15

La più alta incidenza del lavoro indipendente tra gli immigrati residenti nel Mezzogiorno è in parte spiegata dal maggiore peso relativo che assume la funzione di rifugio (Collins Moore, Unwalla, 1964), di cui il commercio ambulante è l’esempio più tipico.

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Tabella 3 – Occupati per caratteristiche dell’occupazione. Media 2005-2011 (valori %) Centro-Nord Mezzogiorno

Italiani Immigrati Italiani Immigrati

Posizione nella professione

Dipendenti 74,6 86,9 73,7 79,4

Indipendenti 25,4 13,1 26,3 20,6

Settore di attività

Agricoltura, caccia e pesca 2,6 2,9 6,7 12,1

Industria in senso stretto 24,5 23,9 13,4 8,0

Industria delle costruzioni 7,0 16,7 9,6 11,9

Commercio 15,0 7,9 16,2 17,7

Alberghi e ristoranti 4,5 8,9 4,9 9,5

Trasporti, comunicazioni, intermediazione, P.A., difesa, istruzione, sanità, ecc. 41,1 18,5 43,5 8,6

Altri servizi pubblici, sociali e alle persone 5,3 21,2 5,7 32,2

Professione (classificazione EGP)

Colletti bianchi 57,8 14,5 48,4 10,5

Piccola borghesia 11,7 7,5 14,0 7,1

Lavoratori manuali qualificati 16,7 34,6 19,0 24,1

Lavoratori manuali semi e non qualificati 13,8 43,5 18,7 58,3

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat

Tabella 4 – Occupati per condizioni di impiego. Media 2005-2011 (valori %)

Centro-Nord Mezzogiorno

Italiani Immigrati Italiani Immigrati

Tipologia contrattuale

Tempo determinato (+ collaborazioni) 13,3 15,6 18,9 23,0

Tempo indeterminato 86,7 84,4 81,1 77,0

Orario di lavoro

Full time 86,2 79,6 88,0 82,8

Part time 13,8 20,4 12,0 17,2

Durata del lavoro attuale

Meno di 1 anno 8,4 15,4 10,5 16,5

Da 1 fino a meno di 3 anni 10,4 20,2 11,3 20,5

Da 3 fino a meno di 5 anni 10,8 22,9 10,5 22,1

5 anni e oltre 70,4 41,4 67,8 41,0

Retribuzione netta ultimo mese (a)

Meno di 500 4,0 8,5 6,9 13,2

Da 500 a meno di 1000 18,1 37,8 24,5 62,9

Da 1000 a meno di 1500 49,1 45,8 47,4 21,3

Da 1500 a meno di 2000 19,5 6,4 15,6 2,3

2000 e oltre 9,4 1,5 5,7 0,3

Dimensioni di impresa

Fino a 10 persone 32,4 51,9 38,8 74,3

Da 11 a 15 9,9 11,4 10,8 11,8

Da 16 a 19 4,9 4,3 5,1 3,9

Da 20 a 49 16,4 13,6 15,0 5,2

Da 50 a meno di 250 22,1 13,2 19,7 3,6

250 persone o più 14,3 5,5 10,7 1,2

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat a) Informazione disponibile a partire dal 2008.

Le spiegazioni di questo apparente paradosso sono molteplici e in parte sono state già richiamate, ma

ciò che appare più rilevante è che contribuisce ad esplicitare la funzione che gli immigrati da diversi anni stanno giocando nell’economia meridionale. Non si tratta solo della riproduzione delle caratteristiche strutturali del sistema produttivo locale, che attraverso i processi di sostituzione della forza lavoro autoctona mantengono in vita attività non trasferibili, ma allo stesso tempo non sostenibili se non a costi (umani ed economici) che non appartengono più alla cultura del lavoro occidentale (che rappresenta un punto di riferimento anche in un contesto problematico come quello meridionale). Gli immigrati stanno contribuendo anche a modificare gli stili di vita della popolazione locale, poiché con la loro offerta hanno favorito l’esternalizzazione del lavoro di cura familiare, in un contesto di welfare pubblico particolarmente debole, in presenza di mutamenti demografici, di crescenti istanze emancipative delle donne e di indebolimento delle relazioni familiari tradizionali. Ed è proprio perché sono stati gli immigrati a favorire in

9

alcuni ambiti la creazione di una nuova domanda a misura delle loro soglie di accettazione delle condizioni di impiego che non subiscono la concorrenza dei nativi. Anche guardando a quanto avviene nel Centro-Nord emergono tendenze simili, pur con alcune specificità. Le dinamiche sostitutive si spostano parzialmente verso l’alto, riguardando anche settori (come l’edilizia, i trasporti e alcuni servizi intermedi) e professioni che nel mercato del lavoro meridionale sono ancora appetibili alla forza di lavoro autoctona, ma che non riescono più come nel passato a trainare le migrazioni interne. In parte diversa, invece, è la situazione nell’industria manifatturiera. Qui la domanda di lavoro immigrato si concentra nelle imprese di minori dimensioni, in particolare nelle aree distrettuali. Al di là degli effetti in termini di maggiori opportunità di accesso al lavoro qualificato e di migliori condizioni retributive, ciò che appare interessante è che l’immigrazione è diventata non solo un’alternativa alla saturazione dell’offerta autoctona, ma altresì alla delocalizzazione delle attività a bassa produttività in paesi con un minore costo del lavoro16. Se, da un lato, in alcuni casi ciò comporta una torsione verso la “via bassa” alla flessibilità (Trigilia, 2009), dall’altro, non bisogna trascurare le ricadute positive in termini di complementarietà sui sistemi economici locali, a partire ad esempio dalla possibilità di sostenere la competitività dei territori e con essa delle attività a maggiore produttività dove sono soprattutto gli italiani ad avvantaggiarsi delle opportunità di impiego più qualificate, meglio retribuite e tutelate.

In definitiva, dall’analisi comparata a livello territoriale emerge uno scenario complesso, che accanto al forte radicamento dell’inserimento occupazionale degli immigrati nelle economie locali, la nota funzione specchio, evidenzia l’importanza del ruolo dell’immigrazione nel contribuire attivamente al mutamento delle società di accoglienza. Un’incorporazione nel mercato del lavoro strutturale e interattiva (Zanfrini, 2004), anche in un contesto apparentemente ostile come il Mezzogiorno, dove nessuno vent’anni fa avrebbe minimamente immaginato che, in un crescendo costante, gli immigrati potessero diventare il 3% della popolazione residente e il 5% dell’occupazione totale.

3. La penalizzazione degli immigrati, la questione territoriale e i fattori di differenziazione

Nel paragrafo precedente si è avuto modo di evidenziare la profonda differenziazione delle dimensioni e

del profilo dell’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano. Da un lato, l’analisi descrittiva ha riproposto anche per gli immigrati l’esistenza di importanti squilibri territoriali da Nord a Sud. Dall’altro, però, la comparazione con gli autoctoni ha evidenziato un diverso rapporto tra quantità e qualità dell’inserimento tra Centro-Nord e Mezzogiorno. Questi risultati, quindi, suggeriscono di ridefinire la questione della penalizzazione degli immigrati sul mercato del lavoro a partire proprio dal confronto tra macro-aree.

Considerato che per parlare di penalizzazione degli immigrati rispetto agli autoctoni occorre isolare la dimensione etnica da tutte le altre caratteristiche osservabili che possono incidere sulle performance nel mercato del lavoro (Heath, Cheung, 2007), in questo paragrafo saranno commentati i risultati di tre modelli di regressione che tengono in considerazione le principali variabili socio-biografiche deducibili dai microdati Istat: titolo di studio, sesso, classe d’età, status familiare17. Le tabelle 5 e 6 riportano i risultati dei modelli di regressione rispetto alla probabilità di essere occupato e disoccupato. Rispetto all’analisi descrittiva il riscontro più interessante riguarda la probabilità di essere occupato al Centro-Nord: in questo caso, infatti, se nel paragrafo precedente era stata evidenziata una sostanziale assenza di penalizzazione degli immigrati, l’inclusione nel modello delle variabili socio-biografiche sposta significativamente l’ago della bilancia a vantaggio degli autoctoni18. Nel Mezzogiorno, invece, emerge chiaramente un vantaggio per gli immigrati, tanto sulla probabilità di essere occupati, quanto su quella di evitare il rischio di disoccupazione19.

16

Una funzione rilevante in tal senso è stata svolta anche dall’imprenditorialità degli stranieri che ha sostenuto la competitività di alcuni distretti assumendo i rischi dell’esternalizzazione (Barberis, 2008; Cnel, 2011). 17

Mancano informazioni, invece, sull’origine sociale che rappresenta uno dei più importanti fattori di differenziazione, tanto nell’accesso al lavoro, quanto nella collocazione nella stratificazione occupazionale (Schizzerotto, 2002). 18

Tuttavia, filippini e ucraini registrano comunque performance migliori dei nativi, mentre per i cinesi non si registrano scarti significativi. 19

Il controllo effettuato per singole nazionalità evidenzia che si tratta di un fenomeno generalizzato.

10

Tabella 5 –Probabilità di essere occupato (anni 2005-2011). Modello di regressione logistica binomiale(a)

Centro-Nord (N=481181)

Mezzogiorno (N=327874)

B Exp (B) B Exp (B) Paese d’origine

Italia (b) - - - -

UE15, altri OECD e “italiani di ritorno” -0,296*** 0,743 0,009* 0,992

Altri Paesi -0,360*** 0,697 0,619*** 1,637

Pseudo R2 (Nagelkerke) 0,377 0,346

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat (a) Controllato anche per titolo di studio, sesso, classe di età e status familiare. (b) Categoria di riferimento. ***=sig.<0,001; **=sig.<0,01; *=sig.<0,05; ~=sig.<0,1.

Tabella 6 –Probabilità di essere disoccupato (anni 2005-2011). Modello di regressione logistica binomiale

(a)

Centro-Nord (N=321070)

Mezzogiorno (N=168533)

B Exp (B) B Exp (B) Paese d’origine

Italia (b) - - - -

UE15, altri OECD e “italiani di ritorno” 0,304*** 1,355 0,034*** 1,034

Altri Paesi 0,866*** 2,377 -0,553*** 0,575

Pseudo R2 (Nagelkerke) 0,093 0,159

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat (a) Controllato anche per titolo di studio, sesso, classe di età e status familiare. (b) Categoria di riferimento. ***=sig.<0,001; **=sig.<0,01; *=sig.<0,05; ~=sig.<0,1.

Il terzo modello di regressione presentato, invece, prende in considerazione la probabilità di svolgere

una professione collocata, secondo la gerarchia delle classi del modello EGP, al di sopra del lavoro manuale dequalificato (tab. 7). Contrariamente a quanto riscontrato per l’occupazione e la disoccupazione, in questo caso la penalizzazione degli immigrati emerge in entrambe le macro-aree, cresce significativamente al crescere della classe professionale ed è sempre maggiore nelle regioni meridionali20. Al di là delle caratteristiche prevalenti della domanda di lavoro immigrato, nel Mezzogiorno la maggiore concentrazione del lavoro qualificato nel pubblico impiego finisce per amplificare gli effetti della discriminazione istituzionale che ostacola l’acceso degli immigrati alla pubblica amministrazione tanto al Centro-Nord quanto al Sud (Ambrosini, 2011)21.

In definitiva, quindi, così come accade per gli autoctoni, ancora una volta è il Mezzogiorno che enfatizza le anomalie del mercato del lavoro italiano nel panorama internazionale. Pur permanendo differenze importanti con i paesi europei con mercati del lavoro più dinamici e di più antica immigrazione, le specificità del caso italiano vengono ridimensionate guardando solo al Centro-Nord. Viceversa, prendendo in considerazione quanto avviene nel mercato del lavoro meridionale la “strana” combinazione tra vantaggio sul piano dell’occupazione e penalizzazione su quello dell’approdo alle mansioni più qualificate e socialmente riconosciute ne esce ulteriormente rafforzata. In uno scenario nazionale unitario in cui alcuni dei tradizionali fattori di penalizzazione degli immigrati, legati al ruolo della regolazione della presenza e dell’accesso al lavoro, sono omogenei, emerge quindi con forza il ruolo della struttura del mercato del lavoro, a partire dalle dimensioni e dalle caratteristiche del mercato del lavoro secondario (Kogan, 2007), nel differenziare dimensioni e profilo dell’inserimento.

20

L’unica eccezione è rappresentata dai cinesi che al Centro-Nord, e soprattutto al Sud, hanno maggiori probabilità di svolgere attività collocabili all’interno della piccola borghesia (nel Mezzogiorno tale vantaggio si estende anche ai colletti bianchi, pur se in misura marginale). 21

È opportuno tuttavia ricordare che la situazione interna al Mezzogiorno non appare univoca. Utilizzando un modello che considera solo il Sud e inserendo come covariate le regioni, si nota come le opportunità di uscita dal lavoro dequalificato siano significativamente maggiori in Abruzzo e Sardegna e decisamente peggiori in Calabria e Sicilia.

11

Tabella 7 – Probabilità di essere collocato in una classe professionale superiore al lavoro manuale dequalificato (anni

2005-2011). Modello di regressione logistica multinomiale(a)

Centro-Nord

(N=301633) Mezzogiorno (N=144749)

Lavoro manuale qualific.

Piccola borghesia

Colletti bianchi

Lavoro manuale qualific.

Piccola borghesia

Colletti bianchi

Paese d’origine

Italia (b) - - - - - -

UE15, altri OECD e “italiani di ritorno” 0,005 -0,103*** -0,276*** 0,002 -0,017~ -0,181***

Altri Paesi -0,525*** -1,603*** -3,061*** -0,777*** -1,834*** -3,416***

Pseudo R2 (Nagelkerke) 0,393 0,424

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat (a) Controllato anche per titolo di studio, sesso, classe di età e status familiare. Per motivi di spazio non si riportano i valori di Exp (B). (b) Categoria di riferimento. ***=sig.<0,001; **=sig.<0,01; *=sig.<0,05; ~=sig.<0,1.

Tuttavia, i modelli statistici presentati considerano gli immigrati indistintamente. Innanzitutto, la

sterminata letteratura sul tema e i riscontri dell’analisi descrittiva del secondo paragrafo, ci suggeriscono di valutare se, e in che misura, esistono processi di differenziazione della penalizzazione degli immigrati a partire dalla dimensione etnica. Come riportato in precedenza e come da tempo consolidato nella letteratura sul tema, i modelli di incorporazione degli immigrati nei sistemi socio-economici di accoglienza sono fortemente condizionati dall’origine nazionale, per il significato che essa assume sul piano tanto dei progetti migratori, quanto degli orientamenti culturali, dei processi di etichettatura e soprattutto della capacità di mobilitare risorse economiche e di capitale sociale che li accompagnano22. In secondo luogo, l’enfatizzazione della dimensione etnica non deve far dimenticare la necessità di approfondire la prospettiva individuale dell’inserimento, tenendo conto in particolar modo delle risorse di capitale umano e del processo di socializzazione al lavoro, e non solo, nelle aree di arrivo.

Alla luce di ciò, di seguito vengono proposti tre modelli di regressione analoghi ai precedenti che prendono in esame solo gli immigrati provenienti da paesi a forte pressione migratoria, distinguendo in modo più dettagliato i contesti di origine e considerando insieme alle principali variabili socio-biografiche anche l’anzianità di residenza in Italia. Il primo aspetto che possiamo sottolineare è che solo i marocchini, tra i primi sette gruppi nazionali residenti in Italia, registrano performance significativamente peggiori rispetto agli immigrati provenienti dal gruppo di riferimento “Altri Paesi”, tanto per la probabilità di essere occupati, quanto per quella di essere disoccupati (tabb. 8 e 9). Se da un lato, quindi, si potrebbe immaginare che l’ampiezza dei reticoli etnici possa rappresentare un fattore facilitatore dell’inserimento occupazionale, dall’altro il caso dei marocchini, numerosi ma allo stesso tempo caratterizzati da scarsa coesione interna e percorsi più individualistici, richiama l’attenzione sulla necessità di specificare i modelli di relazione tra connazionali prendendo in considerazione altre dimensioni qualificanti della solidarietà etnica (Reyneri, 2000; Ambrosini, 2011). Detto ciò, i modelli di regressione confermano quanto evidenziato nell’analisi descrittiva rispetto alla gerarchia tra le nazionalità, con i filippini e gli ucraini che registrano performance decisamente migliori rispetto agli altri, anche se nel Mezzogiorno i cinesi hanno meno probabilità di essere occupati solo rispetto ai filippini e sono quelli che rischiano di meno in assoluto di restare disoccupati.

Passando a considerare le caratteristiche individuali degli immigrati, è piuttosto chiara la penalizzazione delle donne, senza significative differenze tra le due macro-aree. Si tratta di una dinamica simile a quella riscontrata tra le autoctone, anche se lo svantaggio delle italiane residenti nel Centro-Nord è meno importante rispetto a quello delle donne native meridionali.

A differenza di quanto avviene tra i nativi, invece, tra gli immigrati il titolo di studio non appare rilevante dal punto di vista della diminuzione del rischio di disoccupazione, tanto al Centro-Nord, quanto nelle regioni meridionali. Tuttavia, le credenziali educative influenzano la probabilità di essere occupato, anche se decisamente meno rispetto a quanto avviene tra gli autoctoni in cui i rendimenti crescenti sono piuttosto evidenti in entrambe le ripartizioni territoriali. Tra gli immigrati, invece, al Centro-Nord appare

22

È evidente in quest’ultimo caso il riferimento al ruolo dei network etnici nel determinare le modalità dell’inserimento economico dei migranti nelle società di arrivo (Portes, Sensenbrenner, 1993; Portes, 1995).

12

evidente il vantaggio dei diplomati su coloro che sono in possesso della licenza media, mentre la laurea non determina alcun valore aggiunto. Nel Mezzogiorno, infine, abbiamo rendimenti crescenti, ma con scarti meno rilevanti tra licenza media e diploma.

Tabella 8 –Probabilità di essere occupato (solo immigrati da paesi a forte pressione migratoria - anni 2005-2011).

Modello di regressione logistica binomiale(a)

Centro-Nord

(N=37049) Mezzogiorno

(N=7538)

B Exp (B) B Exp (B)

Paese d’origine

Altri Paesi (b) - - - -

Romania 0,446*** 1,563 0,190*** 1,210

Albania 0,009~ 1,009 0,183*** 1,201

Marocco -0,401*** 0,670 -0,191*** 0,826

Cina 0,300*** 1,350 0,907*** 2,476

Filippine 1,595*** 4,926 1,813*** 6,129

Ucraina 0,766*** 2,151 0,517*** 1,677

Ex-Jugoslavia 0,001 1,001 0,010 1,010

Titolo di studio

Max licenza elementare (b) - - - -

Licenza media 0,113*** 1,120 0,485*** 1,624

Diploma 0,537*** 1,711 0,687*** 1,987

Laurea 0,499*** 1,648 0,763*** 2,145

Sesso

Maschio (b) - - - -

Femmina -1,518*** 0,206 -1,397*** 0,247

Anni di residenza in Italia

Meno di 3 anni (b) - - - -

Da 3 a < di 6 0,780*** 2,182 0,347*** 1,414

Da 6 a < di 10 0,986*** 2,680 0,422*** 1,524

10 e più 1,053*** 2,867 0,467*** 1,596

Pseudo R2 (Nagelkerke) 0,332 0,287

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat (a) Controllato anche per classe di età e status familiare. (b) Categoria di riferimento. ***=sig.<0,001; **=sig.<0,01; *=sig.<0,05; ~=sig.<0,1.

Tabella 9 –Probabilità di essere disoccupato (solo immigrati da paesi a forte pressione migratoria - anni 2005-2011).

Modello di regressione logistica binomiale(a)

Centro-Nord

(N=26882) Mezzogiorno

(N=4748)

B Exp (B) B Exp (B)

Paese d’origine

Altri Paesi (b) - - - -

Romania -0,316*** 0,729 -0,186*** 0,831

Albania 0,005 1,005 -0,191*** 0,826

Marocco 0,462*** 1,587 0,215*** 1,240

Cina -0,805*** 0,447 -2,538*** 0,079

Filippine -1,256*** 0,285 -1,612*** 0,199

Ucraina -0,730*** 0,482 -0,840*** 0,432

Ex-Jugoslavia -0,165*** 0,848 -0,308*** 0,735

Titolo di studio

Max licenza elementare (b) - - - -

Licenza media 0,081*** 1,084 -0,186*** 0,831

Diploma -0,055*** 0,946 -0,051** 0,950

Laurea -0,128*** 0,880 -0,107*** 0,899

Sesso

Maschio (b) - - - -

Femmina 0,713*** 2,039 0,734*** 2,083

Anni di residenza in Italia - - - -

Meno di 3 anni (b)

Da 3 a < di 6 -0,719*** 0,487 -0,418*** 0,658

Da 6 a < di 10 -0,874*** 0,417 -0,381*** 0,683

10 e più -1,019*** 0,361 -0,533*** 0,587

Pseudo R2 (Nagelkerke) 0,079 0,094

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat (a) Controllato anche per classe di età e status familiare. (b) Categoria di riferimento. ***=sig.<0,001; **=sig.<0,01; *=sig.<0,05; ~=sig.<0,1.

13

Un ultimo fattore di differenziazione interna tra gli immigrati riguarda l’anzianità di residenza. Per quanto riguarda sia la probabilità di avere un lavoro che quella di evitare il rischio di disoccupazione, il fattore tempo non è irrilevante. Già dopo 3 anni di presenza in Italia, infatti, le probabilità di successo nel mercato del lavoro aumentano significativamente, in modo particolare al Centro-Nord, mentre diventano meno importanti successivamente.

L’ultimo modello di regressione riportato ripropone la questione della posizione socio-professionale raggiunta dagli immigrati (tab. 10). In questo caso, emerge con chiarezza che tanto le credenziali educative, quanto l’anzianità di residenza, contano significativamente per l’uscita dal lavoro manuale. In particolare, nel Mezzogiorno il titolo di studio assume una certa importanza anche per lo svolgimento di mansioni che rientrano all’interno del lavoro manuale qualificato (complessivamente meno accessibili che nel Centro-Nord), mentre l’anzianità di residenza inizia a diventare significativa solo dopo 10 anni. Se quindi è vero, come sostenuto da altre ricerche, che gli immigrati sono più esposti al rischio di over education rispetto ai nativi (Dell’Aringa, Pagani, 2010) e che al crescere del titolo di studio cresce la loro penalizzazione (Fullin, Reyneri, 2011), è altresì vero che laddove le opportunità si restringono e la competizione (con gli altri immigrati) aumenta, la possibilità di poter contare su competenze pregresse o maturate nell’esperienza migratoria e su una maggiore embeddedness nei contesti d’arrivo finisce per rappresentare un valore aggiunto23. Il coinvolgimento degli immigrati in occupazioni qualificate e di elevato prestigio sociale, sebbene abbia scarsa rilevanza in termini assoluti, soprattutto in un contesto economico difficile come il Mezzogiorno assume un significato importante, poiché lascia ipotizzare l’esistenza di spazi di mobilità nelle loro carriere24.

Tuttavia, ancora una volta i risultati del modello di regressione mostrano esplicitamente come, al di là del profilo socio-biografico degli immigrati, un fattore ancor più significativo di differenziazione delle modalità di inserimento occupazionale sia rappresentato dalla nazionalità di origine. I più penalizzati sono senza alcun dubbio i filippini, che in entrambe le macro-aree sembrano pagare i loro elevati livelli di occupazione con altrettanto alti livelli di segregazione occupazionale nelle mansioni manuali a bassa qualificazione. Un caso che esemplifica vantaggi e rischi dell’etnicizzazione del lavoro. Meno rilevante, invece, è il trade off tra occupazione e qualificazione professionale registrato tra gli ucraini, il cui svantaggio appare limitato all’accesso alla classe dei colletti bianchi. Al contrario, gli immigrati provenienti dalla Ex-Jugoslavia, più penalizzati rispetto a filippini e ucraini nell’accesso al lavoro, hanno più opportunità di svolgere lavori qualificati, soprattutto nel Mezzogiorno (dove in realtà sono pochi). Un discorso simile lo si può fare per gli albanesi, ma limitato al solo Centro-Nord. I rumeni, infine, sono in una posizione speculare: un po’ più avvantaggiati di albanesi ed ex-jugoslavi in termini di opportunità occupazionali, sono altresì più segregati (rispetto agli altri immigrati hanno un vantaggio significativo solo per l’accesso alla piccola borghesia nel Centro-Nord).

D’altra parte, però, non per tutti si può parlare di una relazione inversa tra opportunità di impiego e qualità del lavoro. I marocchini, ad esempio, sono protagonisti di un doppio svantaggio in entrambe le macro-aree. I cinesi, invece, dimostrano ancora una volta di appartenere ad un gruppo nazionale “forte”, anche se i dati confermano che le caratteristiche del loro inserimento sono differenziate da un punto di vista territoriale. Nel Mezzogiorno, dove il loro inserimento nella manifattura rappresenta un’esperienza marginale, il loro vantaggio non riguarda tanto l’accesso al lavoro manuale qualificato (tipicamente industriale), ma il passaggio alla piccola borghesia e ai colletti bianchi (dove i coefficienti di regressione sono ben più elevati anche di quelli registrati nel resto del paese); quello cinese, infatti, è un protagonismo

23

Dal lavoro di Chiswick (1978) in poi, la letteratura sui processi di assimilazione dei migranti nei contesti di arrivo ha sottolineato l’importanza di guardare alla selettività dei flussi di ritorno per verificare la loro influenza sulle differenti performance tra vecchi e nuovi migranti. Le indagini svolte sul caso italiano a partire da dati amministrativi evidenziano che i flussi di ritorno riguarderebbero maggiormente i migranti che hanno raggiunto redditi e posizioni occupazionali migliori (Venturini, Villosio, 2008), ragion per cui le migliori performance evidenziata nel modello di regressione multinomiale presentato in tabella 10 sottostimerebbero il vantaggio degli immigrati con una maggiore anzianità di residenza. 24

Si tratta di un’ipotesi che è stata confermata da alcune ricerche che hanno ricostruito i percorsi lavorativi degli immigrati a partire dal loro arrivo in Italia. Anche se si tratta spesso di una mobilità a corto raggio, questi episodi sono associati positivamente sia all’anzianità di residenza che al livello di istruzione (Ismu, Censis, Iprs, 2010; Avola, Cortese, 2012).

14

che soprattutto al Sud passa attraverso l’imprenditorialità commerciale (anche femminile25), con dimensioni e capacità competitive sconosciute a tutti gli altri immigrati e tali talvolta di ribaltare i rapporti di forza con i nativi, anche in virtù della capacità di sfruttare i network etnici in una prospettiva transnazionale (Avola, Cortese, 2011).

Tabella 10 – Probabilità di approdo ad una classe professionale superiore al lavoro manuale dequalificato (solo

immigrati da paesi a forte pressione migratoria - anni 2005-2011). Modello di regressione logistica multinomiale(a)

Centro-Nord

(N=23656) Mezzogiorno

(N=4260)

Lavoro manuale qualific.

Piccola borghesia

Colletti bianchi

Lavoro manuale qualific.

Piccola borghesia

Colletti bianchi

Paese d’origine

Altri Paesi - - - - - -

Romania 0,170*** 0,486*** -0,380*** 0,180*** 0,087** -0,768***

Albania 0,469*** 0,763*** -0,366*** 0,404*** -0,033 -0,594***

Marocco 0,194*** -0,363*** -0,501*** -0,319*** -0,077* -1,330***

Cina 0,434*** 2,291*** 0,770*** 0,239*** 4,236*** 1,983***

Filippine -1,151*** -2,590*** -2,215*** -1,532*** -25,356 -1,936***

Ucraina -0,071*** -0,045~ -0,935*** 0,310*** -0,036 -0,790***

Ex-Jugoslavia 0,497*** 0,736*** 0,150*** 1,794*** 1,185*** 0,580***

Titolo di studio

Max licenza elementare (b) - - - - - -

Licenza media 0,053*** -0,005 0,318*** 0,823*** 0,586*** 0,272***

Diploma 0,183*** 0,244*** 1,125*** 1,260*** 1,029*** 1,404***

Laurea 0,227*** 0,463*** 2,500*** 1,097*** 1,415*** 3,494***

Sesso

Maschio (b) - - - - - -

Femmina -0,826*** -1,273*** 0,293*** -0,459*** -0,107*** -0,125***

Anni di residenza in Italia

Meno di 3 anni - - - - - -

Da 3 a < di 6 0,169*** 0,487*** 0,424*** -0,192*** 0,071*** -0,009

Da 6 a < di 10 0,133*** 0,675*** 0,305*** -0,234*** 0,182*** 0,198***

10 e più 0,104*** 1,143*** 1,072*** -0,602*** 0,824*** 0,814***

Pseudo R2 (Nagelkerke) 0,219 0,355

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat (a) Controllato anche per classe di età e status familiare. Per motivi di spazio non si riportano i valori di Exp (B). (b) Categoria di riferimento. ***=sig.<0,001; **=sig.<0,01; *=sig.<0,05; ~=sig.<0,1.

In definitiva, i risultati dei modelli statistici presentati in questo paragrafo possono essere sintetizzati

lungo due direttrici principali. La prima riguarda il tema della penalizzazione degli immigrati rispetto ai nativi. L’analisi ci restituisce un panorama nazionale che circoscrive la tradizionale penalizzazione plurima al solo Centro-Nord; nel Mezzogiorno, invece, la maggiore selettività dei flussi in ingresso (piuttosto che una indiscriminata mobilità in uscita) circoscrive il rischio di rimanere al di fuori dell’area dell’occupazione, ma le scarse opportunità di lavoro qualificato accentuano la segregazione nel mercato del lavoro secondario. La seconda questione emersa riguarda, invece, la differenziazione dell’inserimento nel mercato del lavoro degli immigrati. I tre modelli di regressione, infatti, sottolineano la necessità di superare le rappresentazioni dell’immigrazione come un fenomeno omogeneo. L’origine nazionale dei flussi è il fattore che più di ogni altro incide sui destini occupazionali; effetti meno significativi e limitati alle opportunità di accesso al lavoro qualificato (ma certamente di grande importanza euristica) si registrano considerando le dotazioni di capitale umano e il radicamento nei contesti di arrivo.

Anche se i data base utilizzati non ci permettono di andare oltre un’analisi statico-comparata della condizione dei migranti nel nostro paese, i riscontri ottenuti suggeriscono la necessità di ulteriori approfondimenti analitici che guardino alle migrazioni come un fenomeno processuale e dinamico. Da

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Da qui deriva lo scarso svantaggio delle immigrate del Mezzogiorno nell’accesso alla piccola borghesia. Tuttavia, spesso si tratta di seconde attività familiari formalmente intestate a mogli o figlie che si iscrive in una strategia di diversificazione merceologica e dei rischi in un mercato molto competitivo.

15

questo punto di vista, l’aver dimostrato che anche in un mercato del lavoro come quello meridionale il destino occupazionale degli immigrati non sia indistintamente eterodiretto, non sembra un’acquisizione di poco conto, poiché apre nuovi spunti di riflessione sugli spazi di azione che nonostante tutto i migranti riescono a ricavarsi valorizzando le risorse di cui dispongono.

4. Cosa (non) cambia con la crisi?

La crisi economica internazionale iniziata nel 2008 ha avuto un impatto significativo sulle migrazioni

internazionali: i flussi in ingresso nei paesi sviluppati sono drasticamente calati e in alcuni paesi si sono registrati dopo molti anni saldi migratori negativi in gran parte imputabili al peggioramento delle prospettive occupazionali per gli immigrati (Iom, 2010, Oecd, 2010). D’altronde, il lavoro degli immigrati sarebbe maggiormente sensibile ai cicli economici rispetto a quanto avviene per gli autoctoni, in ragione di un insediamento che si concentra nel mercato del lavoro secondario, in settori, professioni, aziende, generalmente più “insicuri” di fronte alle fluttuazioni del mercato. Inoltre, le maggiori difficoltà di accesso alle tutele pubbliche e la minore disponibilità di risorse solidaristiche familiari accentuerebbe i rischi di permanenza in territorio straniero in assenza di un lavoro. Allo stesso tempo, però, è stato sottolineato che, così come avvenuto negli anni settanta (White, 1986), gli esiti della crisi non sono affatto scontati e divergono sensibilmente da un paese all’altro (Reyneri, 2010). In questo paragrafo, quindi, cercheremo di capire cosa è successo in Italia ed in particolare se gli equilibri territoriali sinora sottolineati sono in qualche modo stati modificati.

Innanzitutto, occorre evidenziare che la crisi economica ha avuto conseguenze relativamente più significative nel Mezzogiorno. Considerando la fase antecedente (2005-2007) e quella successiva all’inizio della crisi (2009-2011), nel secondo triennio il volume complessivo dell’occupazione è diminuito maggiormente nelle regioni meridionali (-5,7%) che nel resto del paese (-2,8%). Allo stesso modo, il tasso di occupazione del Centro-Nord ha subito un ridimensionamento più contenuto rispetto a quanto riscontrato nelle regioni meridionali, mentre per quanto riguarda il rischio di disoccupazione nel Centro-Nord si è registrato un incremento maggiore26. Tuttavia, tra gli immigrati gli effetti della crisi in parte si ribaltano: il calo del tasso di occupazione è stato pressoché simile nelle due ripartizioni, mentre quello di disoccupazione è cresciuto maggiormente al Centro-Nord. Pertanto, sembrerebbe che la crisi abbia contribuito a modificare solo in parte i rapporti fra lavoratori autoctoni e stranieri nelle diverse aree del paese: nel Centro-Nord: il vantaggio degli immigrati in termini di tassi di occupazione si annulla a partire dal 2009, mentre lo svantaggio dal punto di vista del rischio di disoccupazione aumenta significativamente (graff. 1 e 2); al Sud, invece, il vantaggio degli immigrati sul piano dell’occupazione resta immutato durante tutti e sette gli anni (il rapporto tra il tasso degli autoctoni e quello degli immigrati oscilla da un minimo 0,78 ad un massimo di 0,81) e il tasso di disoccupazione resta comunque più contenuto, nonostante una più rapida crescita rispetto a quello degli autoctoni negli anni della crisi.

Graf. 1 – Tasso di occupazione per macro-area e provenienza. Anni 2005-2011

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat

26

Tuttavia, generalmente al Sud la perdita dell’occupazione conduce più spesso all’uscita dal mercato del lavoro.

16

Graf. 2 – Tasso di disoccupazione per macro-area e provenienza. Anni 2005-2011

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat

Tuttavia, prima di affermare che la crisi abbia fatto emergere un effetto discriminatorio nei confronti

degli immigrati (in particolare al Centro-Nord) tre precisazioni appaiono d’obbligo. Innanzitutto, occorre considerare che tra i paesi europei di più recente immigrazione, l’Italia è quello in cui gli stranieri hanno pagato meno gli effetti della crisi (Iom, 2010; Reyneri, 2010). La seconda considerazione riguarda le dimensioni settoriali della crisi (Albisinni, Pintaldi, 2011; Ministero del Lavoro, 2011; Fullin, 2012). Questa ha colpito maggiormente l’industria manifatturiera, che nel Centro-Nord rappresenta un importantissimo bacino occupazionale per gli immigrati, mentre i servizi alla persona, di gran lunga il più importante ambito di inserimento al Sud, hanno registrato una domanda costante se non in crescita. Infine, si deve tenere in considerazione l’andamento del volume complessivo della domanda di lavoro immigrato; anche durante gli anni della crisi, infatti, il numero degli immigrati occupati cresce significativamente in valori assoluti in tutte le ripartizioni territoriali, mentre per gli autoctoni si osserva una contrazione della domanda già a partire dal 2008 (dal 2007 al Sud). L’apparente paradosso dell’incremento del volume dell’occupazione e della diminuzione dei relativi tassi si spiega con le dinamiche degli ingressi di nuovi immigrati che negli anni considerati (2009-2011) sono aumentati tanto al Sud (+24,6%), quanto al Centro-Nord (+16,2%)27.

In effetti, tornando al tema della penalizzazione affrontato nel paragrafo precedente, i modelli di regressione logistica binomiale differenziati per triennio ridimensionano gli effetti della crisi sulle relazioni tra immigrati e autoctoni rispetto a quanto generalmente ipotizzato. Anzi, nel Mezzogiorno, laddove la crisi è stata più forte, il vantaggio degli immigrati rispetto ai nativi cresce dal punto di vista della probabilità di essere occupato (tab. 11), mentre diminuisce in parte, pur restando consistente, lo scarto sul piano della probabilità di essere disoccupato (tab. 12). Inoltre, anche la debole crescita della penalizzazione degli immigrati residenti nelle regioni centro-settentrionali trova la sua spiegazione più nelle caratteristiche settoriali della crisi che negli effetti discriminatori che avrebbe generato. Un modello statistico che considera la probabilità di essere occupato in specifici settori di attività (non riportato per ragioni di spazio) evidenzia, infatti, che la crisi ha finito per penalizzare significativamente solo gli immigrati occupati nell’industria in senso stretto (Centro-Nord) e nelle costruzioni (Mezzogiorno), mentre in tutti gli altri casi non si notano mutamenti degni di nota. Inoltre, non bisogna dimenticare che soprattutto nelle fasi iniziali della recessione i nativi hanno potuto contare sulla cassa integrazione più degli immigrati (in ragione della loro maggiore concentrazione in imprese di dimensioni più grandi). Come è noto, ciò non è indifferente dal punto di vista statistico, poiché i cassintegrati vengono riportati tra gli occupati.

27

Cingano, Torrini e Viviano (2010), evidenziano come la registrazione degli stranieri in anagrafe (e quindi il loro inserimento all’interno del campione delle indagini sulle forze di lavoro) avvenga successivamente al momento del loro reale ingresso nel paese e quindi all’inserimento nel mercato del lavoro. In questo modo, sottolineano gli autori, si attribuisce al periodo preso a riferimento “una crescita dell’occupazione avvenuta, in tutto o in parte, prima del manifestarsi della crisi” (Ibidem, p. 11). Si tratta di un’obiezione condivisibile, ma che deve essere almeno in parte ridimensionata, poiché lo studio in questione si ferma al 2009, mentre la dinamica dell’occupazione degli immigrati continua ad essere positiva anche nel biennio successivo.

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Tabella 11 – Probabilità di essere occupato e crisi economica. Modello di regressione logistica binomiale(a)

Centro-Nord Mezzogiorno

2005-2007 (N=242868)

2009-2011 (N=179328)

2005-2007 (N=169869)

2009-2011 (N=117314)

B Exp (B) B Exp (B) B Exp (B) B Exp (B) Paese d’origine

Italia (b) - - - - - - - -

UE15, altri OECD e “italiani di ritorno”

-0,250*** 0,779 -0,331*** 0,718 0,025*** 1,026 -0,062*** 0,939

Altri Paesi -0,325*** 0,723 -0,386*** 0,680 0,612*** 1,844 0,661*** 1,937

Costante -0,134*** 0,875 -0,486*** 0,615 -1,204*** 0,300 -1,706*** 0,182

Pseudo R2

(Nagelkerke) 0,388 0,366 0,357 0,338

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat (a) Controllato anche per titolo di studio, sesso, classe di età e status familiare. (b) Categoria di riferimento. ***=sig.<0,001; **=sig.<0,01; *=sig.<0,05; ~=sig.<0,1.

Tabella 12 – Probabilità di essere disoccupato e crisi economica. Modello di regressione logistica binomiale

(a)

Centro-Nord Mezzogiorno

2005-2007 (N=160613)

2009-2011 (N=120741)

2005-2007 (N=88988)

2009-2011 (N=58686)

B Exp (B) B Exp (B) B Exp (B) B Exp (B) Paese d’origine

Italia (b) - - - - - - - -

UE15, altri OECD e “italiani di ritorno”

0,370*** 1,448 0,225*** 1,253 -0,040*** 0,961 0,130*** 1,139

Altri Paesi 0,837*** 2,308 0,826*** 2,284 -0,609*** 0,544 -0,539*** 0,583

Costante -2,277*** 0,103 -1,472*** 0,229 -0,476*** 0,621 -0,222*** 0,801

Pseudo R2

(Nagelkerke) 0,093 0,101 0,166 0,162

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat (a) Controllato anche per titolo di studio, sesso, classe di età e status familiare. (b) Categoria di riferimento. ***=sig.<0,001; **=sig.<0,01; *=sig.<0,05; ~=sig.<0,1.

In definitiva, quindi, la recente crisi economica non ha rappresentato sinora uno spartiacque

nell’evoluzione dell’immigrazione in Italia, piuttosto ne ha confermato il carattere strutturale nell’economia del nostro paese28. Inoltre, la tenuta dell’occupazione dei migranti nel Mezzogiorno appare tanto più significativa in quanto si concentra in ambiti occupazionali più instabili rispetto al Centro-Nord. Pertanto, l’analisi delle dinamiche territoriali durante una fase così delicata come quella attuale, contribuisce ancora di più a problematizzare l’ipotesi della transitorietà dell’immigrazione nel Mezzogiorno.

Tuttavia, resta da spiegare la capacità degli immigrati di resistere alla congiuntura sfavorevole nonostante la loro maggiore debolezza in termini di posizione sul mercato e di accesso a risorse pubbliche o informali di sostegno economico. Alcune analisi esplorative condotte in Italia si sono soffermate principalmente su tre tipi di spiegazioni. La prima riguarda la concentrazione del lavoro degli immigrati anche in settori scarsamente influenzati dalla crisi occupazionale, in particolare nei servizi alla persona (Reyneri, 2010). In effetti, si tratta del settore che è maggiormente cresciuto dal triennio pre-crisi a quello successivo e il cui ulteriore fabbisogno di forza lavoro non è attualmente prevedibile. La seconda spiegazione, invece, sottolinea che, se gli immigrati perdono il lavoro più frequentemente rispetto ai nativi, per le stesse ragioni possono più facilmente trovarne un altro, come confermato da un’analisi delle transizioni per condizione occupazionale (Bonifazi, Marini, 2011). Questa ipotesi sembra confermata dalle

28

Tuttavia, è pur vero che gli esiti non sono stati uguali per tutti. Disaggregando i dati per anzianità di residenza, ad esempio, emerge come la crisi abbia colpito maggiormente gli immigrati entrati di recente (meno di sei anni), soprattutto al Centro-Nord. Dal punti di vista di genere, invece, sono stati gli uomini a pagare il prezzo più caro della recessione (nel Mezzogiorno in modo più limitato), mentre tra le donne il tasso di occupazione aumenta nel triennio successivo all’inizio crisi e quello di disoccupazione resta sostanzialmente stabile. Se da questo punto di vista, le dinamiche che hanno riguardato gli immigrati appaiono simili a quelle degli autoctoni, diverso è quanto emerge considerando il livello di istruzione: tra gli italiani la crisi ha colpito quasi esclusivamente i meno istruiti, mentre tra gli immigrati gli effetti negativi si estendono anche ai diplomati (Centro-Nord) e ai laureati (Mezzogiorno), confermando di fatto per gli immigrati la minore rilevanza delle credenziali educative dal punto di vista della probabilità di essere occupato o di evitare il rischio di disoccupazione.

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matrici di transizione riportate di seguito che distinguono la fase precedente e quella successiva all’inizio della crisi (tabb. 13 e 14). In entrambe le macro-aree gli immigrati rischiano di più dei nativi di perdere il lavoro da un anno all’altro, ma allo stesso tempo per loro è più semplice passare dalla condizione di disoccupato o inattivo a quella di occupato. Da questo punto di vista, la crisi non ha in alcun modo alterato gli equilibri, fermo restando che ha reso più difficile, tanto per gli immigrati quanto per i nativi, mantenere l’occupazione da un anno all’altro o uscire dalla condizione di disoccupati o inattivi.

Tabella 13 – Transizioni nel mercato del lavoro. Centro-Nord (% di riga) Fase 2005-2007 Italiani Fase 2009-2011 Italiani

Condizione anno t Condizione anno t

Occupato Disoccupato Inattivo Occupato Disoccupato Inattivo

Condizione anno t-1

Occupato 96,5 1,0 2,4 Condizione anno t-1

Occupato 95,7 1,5 2,8

Disoccupato 40,1 27,3 32,7 Disoccupato 32,3 33,2 34,5

Inattivo 6,3 2,3 91,4 Inattivo 5,3 2,5 92,2

Fase 2005-2007 Immigrati Fase 2009-2011 Immigrati

Condizione anno t Condizione anno t

Occupato Disoccupato Inattivo Occupato Disoccupato Inattivo

Condizione anno t-1

Occupato 94,4 2,9 2,7 Condizione anno t-1

Occupato 92,1 4,6 3,3

Disoccupato 44,4 29,4 26,2 Disoccupato 35,2 36,6 28,3

Inattivo 7,9 7,4 84,6 Inattivo 6,4 6,5 87,1

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat

Tabella 14 – Transizioni nel mercato del lavoro. Mezzogiorno (% di riga) Fase 2005-2007 Italiani Fase 2009-2011 Italiani

Condizione anno t Condizione anno t

Occupato Disoccupato Inattivo Occupato Disoccupato Inattivo

Condizione anno t-1

Occupato 94,7 1,8 3,5 Condizione anno t-1

Occupato 93,1 2,4 4,5

Disoccupato 24,3 28,4 47,3 Disoccupato 18,6 26,7 54,7

Inattivo 3,7 3,2 93,2 Inattivo 3,1 2,7 94,3

Fase 2005-2007 Immigrati Fase 2009-2011 Immigrati

Condizione anno t Condizione anno t

Occupato Disoccupato Inattivo Occupato Disoccupato Inattivo

Condizione anno t-1

Occupato 94,2 2,7 3,1 Condizione anno t-1

Occupato 91,6 3,4 5,0

Disoccupato 33,2 21,3 45,5 Disoccupato 27,3 20,2 52,5

Inattivo 4,3 4,1 91,6 Inattivo 5,4 2,9 91,7

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat

Infine, la terza spiegazione cui si riconduce la difesa della posizione sul mercato del lavoro degli

immigrati, nonostante la crisi, è legata ancora una volta al trade off tra occupazione e qualità del lavoro (Reyneri, 2010; Fullin, 2012): soggetti a maggiori cogenze economiche rispetto agli autoctoni, gli immigrati sarebbero più disposti ad accettare il “lavoro qualsiasi”. In effetti, il modello di regressione logistica multinomiale riportato nella tabella 15 evidenzia che negli anni successivi all’inizio della crisi la penalizzazione degli immigrati nell’accesso a posizioni socio-professionali elevate peggiora ulteriormente. Tuttavia, ciò è vero soprattutto nel Centro-Nord, mentre nel Mezzogiorno si tratta di un fenomeno limitato esclusivamente all’accesso alla classe dei colletti bianchi. Ancora una volta, quindi, i riscontri empirici ridimensionano l’ipotesi di una maggiore gravità della crisi per gli immigrati al Sud, dove il loro inserimento occupazionale è strutturalmente più debole. Inoltre, sebbene si sia verificato per i lavoratori stranieri uno scivolamento verso il basso nella gerarchia delle professioni, si tratta di un fenomeno dalle proporzioni limitate, che riguarda soprattutto gli immigrati di più recente inserimento. Non a caso, non si assiste ad un peggioramento generalizzato delle condizioni di impiego degli immigrati: in entrambe le ripartizioni cresce la concentrazione degli occupati nelle piccole imprese e nelle famiglie e al Centro-Nord anche il part-time; la quota di lavoro instabile resta però immutata, così come non si verificano fenomeni di “rifugio” nel lavoro indipendente29.

29

Sulle retribuzioni non è stato possibile effettuare comparazioni tra le due fasi, poiché i dati sono disponibili a partire dal 2008.

19

Tabella 15 – Probabilità di essere collocato in una classe professionale superiore al lavoro manuale dequalificato e crisi

economica. Modello di regressione logistica multinomiale(a)

Lavoro

manuale qualific.

Piccola borghesia

Colletti bianchi

Lavoro manuale qualific.

Piccola borghesia

Colletti bianchi

Centro-Nord

2005-2007 (N=152336)

2009-2011 (N=76168)

Paese d’origine

Italia (b) - - - - - -

UE15, altri OECD e “italiani di ritorno”

-0,012~ -0,085 -0,341*** 0,101*** -0,005 -0,130***

Altri Paesi -0,418*** -1,517*** -2,743*** -0,615*** -1,647*** -3,306***

Pseudo R2

(Nagelkerke) 0,372 0,416

Mezzogiorno

2005-2007 (N=111760)

2009-2011 (N=50400)

Paese d’origine

Italia (b) - - - - - -

UE15, altri OECD e “italiani di ritorno”

-0,009 -0,037*** -0,185*** 0,009 0,027 -0,069***

Altri Paesi -0,807*** -1,734*** -3,061*** -0,746*** -1,792*** -3,601***

Pseudo R2

(Nagelkerke) 0,418 0,436

Fonte: Elaborazioni su microdati RCFL-Istat (a) Controllato anche per titolo di studio, sesso, classe di età e status familiare. Per motivi di spazio non si riportano i valori di Exp (B). (b) Categoria di riferimento. ***=sig.<0,001; **=sig.<0,01; *=sig.<0,05; ~=sig.<0,1.

I riscontri empirici commentati in questo paragrafo, quindi, ridimensionano le previsioni sulla gravità

dell’impatto della crisi sull’immigrazione in Italia. Tuttavia, osservando il fenomeno dal Sud, il risultato probabilmente più interessante è la conferma della connotazione strutturale dell’inserimento occupazionale degli immigrati nelle regioni meridionali. Pur permanendo significative differenze con il Centro-Nord, tanto sul piano delle opportunità di inserimento che su quello della qualità del lavoro, il binomio immigrazione-Mezzogiorno è solido e sembra stia superando anche la prova della più grave crisi economica del dopoguerra, smentendo lo stereotipo della transitorietà e marginalità del fenomeno migratorio al Sud. Piuttosto, il problema che emerge è la segregazione occupazionale degli immigrati. Nel tempo le istanze emancipative sul piano identitario, prima ancora che economico, potrebbero iniziare a farsi sentire, soprattutto per quelle seconde generazioni che anche nel Mezzogiorno sono in costante crescita.

5. Conclusioni

Provando a sintetizzare quanto emerso nei paragrafi precedenti, possiamo focalizzare la nostra

attenzione su tre questioni principali. La prima è la conferma di un panorama dell’inserimento occupazionale degli immigrati nel mercato del lavoro italiano caratterizzato da un forte radicamento nella struttura delle economie territoriali. Un radicamento che non pregiudica, però, la possibilità che gli immigrati giochino un ruolo attivo nell’interpretare e ridefinire i bisogni della società di accoglienza e ne accompagnino il mutamento. La seconda questione, invece, specifica i termini della penalizzazione degli immigrati nel mercato del lavoro italiano. Da questo punto di vista, infatti, appare chiaro ancora una volta il peso del Mezzogiorno nell’enfatizzare le peculiarità del caso italiano rispetto al resto d’Europa. Il trade off tra maggiore occupazione e minori opportunità di accesso al lavoro qualificato sperimentato dagli immigrati rispetto ai nativi è soprattutto un fenomeno meridionale, così come è il Mezzogiorno, più di quanto non sia il resto d’Italia, ad offrire un contributo esplicativo importante nel definire gli aspetti caratterizzanti del modello migratorio dell’Europa del Sud. L’ultima questione sulla quale vale la pena soffermarsi riguarda, invece, la differenziazione interna al panorama dell’immigrazione nelle grandi circoscrizioni territoriali. L’aver rilevato anche in un contesto difficile come il Mezzogiorno ampi margini di

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differenziazione dell’inserimento, sia per ciò che riguarda l’accesso al lavoro e il rischio di disoccupazione, sia per ciò che concerne la condizione socio-professionale raggiunta, conferma l’importanza delle risorse individuali e/o etniche utilizzate nei percorsi migratori, così come delle forme di integrazione nella società di accoglienza. Più in generale, tali riscontri problematizzano quell’immagine dell’immigrazione nelle regioni meridionali che ne enfatizza esclusivamente l’eterodirezione e la marginalità economica e sociale, qualificandole come un destino ineluttabile e immutabile. Infine, contrariamente alle attese, rispetto a queste tre questioni principali la recente crisi economica non ha generato effetti degni di rilievo. Anzi, probabilmente ha contribuito a mettere in luce la connotazione strutturale dell’immigrazione tanto al Nord che al Sud del paese.

Molti interrogativi di ricerca, tuttavia, restano ancora aperti. Da un lato, l’aver esplicitato dimensioni e caratteristiche della penalizzazione degli immigrati nelle due macro-aree risponde solo parzialmente ad un tema tipico della sociologia delle migrazioni, quello della discriminazione. Al di là della richiamata questione della discriminazione istituzionale, i nostri dati non consentono di valutare se, e in che misura, la penalizzazione degli immigrati sia ascrivibile a comportamenti discriminatori espliciti, impliciti o “statistici” (Ambrosini, 2011) da parte dei datori di lavoro autoctoni e, quindi, se la connotazione territoriale che la penalizzazione assume rimandi a modelli di interazione diversi da Nord a Sud. Dall’altro lato, invece, appare utile evidenziare che solo limitatamente si è potuto dare conto dei processi evolutivi e delle traiettorie individuali dell’inserimento occupazionale degli immigrati: la serie storica disponibile è ancora troppo breve e solo negli ultimi anni la numerosità degli immigrati nel campione è diventata significativa; inoltre, il riferimento all’anzianità di residenza in Italia può solo parzialmente compensare l’assenza di dati longitudinali indispensabili, ad esempio, per ricostruire la scansione temporale della mobilità e delle carriere degli immigrati.

Quest’ultima notazione metodologica suggerisce di chiudere queste considerazioni con un’avvertenza. Come sottolineato altrove (Avola, Cortese, 2012), nell’analisi dell’inserimento occupazionale degli immigrati ed in particolar modo nell’esplicitazione del tema della penalizzazione cui si è fatto anche in questo paper ampio riferimento, si dimentica di sottolineare la “differenza costitutiva” tra nativi e immigrati sul mercato del lavoro: l’esperienza migratoria rappresenta per questi ultimi una frattura nel percorso lavorativo che, da un lato, ha conseguenze giuridiche rilevanti per l’accesso alle professioni più vantaggiose (divieto di partecipazione ai concorsi pubblici, limiti di accesso ad attività indipendenti e libero professionali, ecc.); dall’altro, determina un ridimensionamento del valore delle credenziali educative e delle competenze professionali acquisite in patria e un deficit di socializzazione ai meccanismi che regolano il funzionamento del mercato del lavoro nei contesti di arrivo. Il confronto con i nativi non può che risentire significativamente del peso di tale frattura, soprattutto in Italia, dove è amplificata tanto dalle politiche quanto dal riprodursi di consistenti flussi in ingresso.

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