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Il Vino Italiano Vitigni, enografia e gastronomia regionale

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Vitigni, enografia e gastronomia regionale

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Il Vino Italiano Vitigni, enografia e gastronomia regionale

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Proprietà letteraria

Edizioni Associazione Italiana Sommelier 2002

Progetto grafico, copertina e impaginazione

BRAINACTION COMMUNICATION (Roma)Nicola Lodi-FèDaniele RicciGianluca Acanfora

Stampa

BERTANI & C. - Industria grafica - Cavriago (Reggio Emilia)

Quarta edizione 2010

© Copyright 2002 Associazione Italiana SommelierMilano - Viale Monza, 9 - 02/2846237Tutti i diritti riservati dalla legge sui diritti d'autore

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Il Vino Italiano Vitigni, enografia e gastronomia regionale

A I S - A s s o c i a z i o n e I t a l i a n a S o m m e l i e r

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Autori

Francesco Del Canuto, Bruno Piccioni, Rossella Romani, Daniela Scrobogna, Giuseppe Vaccarini

Si ringrazia per la gentile collaborazione

Giorgio Amadei, Renzo Besso, Mauro Carosso, Gaudenzio D'Angelo, Antonio Fusco, Fabio Gallo,Lorenzo Giuliani, Giuseppe Gladiolo, Marco Larentis, Antonello Maietta, Dino Marchi, GiancarloMazzi, Gianclaudio Mongelli, Gianni Ottogalli, Giuseppina Pilloni, Moreno Rossin, Carlo Sacco

ARSIAL Regione Lazio, ASCOVILO - Associazione Consorzi Tutela Vini Lombardi, AssessoratoAgricoltura Regione Abruzzo, Assessorato Agricoltura Regione Marche, ASSIVIP Marche, AziendaPromozione Turistica Valtellina, Camera di Commercio di Lucca, Camera di Commercio Industria,Artigianato e Agricoltura di Cuneo, Cantine Argiolas, Cantine Lungarotti, Casale del Giglio,Castello di Schwamburg, Club dei Paladini dei Vini di Sicilia, Consorzio della Denominazione SanGimignano, Consorzio Chianti Rùfina, Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, Consorzio delVino Nobile di Montepulciano, Consorzio La Strada del Vino Costa degli Etruschi, Consorzio TutelaBarolo, Barbaresco, Langhe e Roero, Consorzio Tutela Lambrusco di Modena, Consorzio Tuteladell'Asti, Consorzio Tutela Vini Mantovani, Consorzio Tutela Verdicchio dei Castelli di Jesi,Consorzio Tutela Vini DOC Bagnoli, Consorzio Tutela Vini DOC Friuli Aquileia, Consorzio TutelaVini DOC Colli Orientali del Friuli, Consorzio Tutela Vini DOC Friuli Latisana, Consorzio TutelaVini DOC Friuli Grave, Consorzio Tutela Verdicchio di Matelica, Consorzio Tutela Vini dellaValtellina, Consorzio Tutela Vini DOC San Colombano, Consorzio Tutela Vini DOC Colli Lanuvini,Consorzio Tutela Vino Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, Consorzio Vini Colli Bolognesi,Consorzio Vini DOC Colli Euganei, Consorzio Vini DOC Lison Pramaggiore, Consorzio Vini OltrepòPavese, Consorzio Volontario Tutela Vini Valpolicella e Recioto della Valpolicella, ConsorzioTutela Vini Lessini Durello, Cooperativa Produttori Erbaluce di Caluso, ERSAL - Ente regionalesviluppo agricolo della Lombardia, Istituto Talento Metodo Classico, Marchesi de' Frescobaldi,Paladin e Paladin, Regione Autonoma Valle d'Aosta-Agenzia Regionale del Lavoro, RegioneSicilia-Assessorato Regionale della Cooperazione del Commercio dell'Artigianato e della Pesca,Elena Walch

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Presentazione

Il Vino Italiano. Un argomento così interessante ed affascinante da attirare esti-matori e appassionati sempre più numerosi. Ma anche ampio e in rapida evolu-zione. Ed è difficile non perdere di vista tendenze innovative in vigna e in canti-na, nuove DOC, DOC che diventano DOCG, grandissimi vini da tavola che rientranoin alcune IGT.

Zone di produzione e rese, titoli alcolometrici e periodi minimi di affinamen-to, sono dati certamente utili da consultare, ma che non aiutano a "vivere" il VinoItaliano. E che un po’ annoiano e non stimolano la curiosità verso la ricerca di unvino prodotto da una piccola azienda, la riscoperta di un vitigno dimenticato, lavisita di un antico borgo dove si produce, lì e solo lì, un salume o un formaggiounico nel suo genere. Il Vino Italiano non deve essere solo apprezzato per i suoibellissimi colori e i suoi profumi intriganti, ma deve essere considerato l'elementotrainante della nostra cultura enogastronomica, il fattore coagulante di storia esocietà, alimentazione e geografia, evoluzione e tradizione.

La stesura di questo testo ha comportato una ricerca lunga e impegnativa: aogni notizia ne seguiva un'altra, in un rincorrersi di novità e tradizione. Una sto-ria infinita, che dovrà continuare ad essere scritta con continui aggiornamenti,integrazioni ed esperienze personali.

Il Vino Italiano è organizzato in due volumi, arricchiti da più di 400 immaginidi vitigni, vigneti e preparazioni gastronomiche, cartine, tabelle e notizie.

Nel primo volume sono descritte le caratteristiche generali dei vitigni più im-portanti ed è disegnato il profilo di ogni regione italiana, considerandone la sto-ria vitivinicola, l’ambiente, le zone più significative e la gastronomia. Per evitaredi cadere in generalizzazioni semplicistiche - sempre sbagliate -, è fondamenta-le sottolineare come ogni vitigno, secondo la zona, il terreno, il clima, l’annata etanti altri fattori, possa dare risultati molto diversi. Come sarebbe possibile de-

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scrivere in poche righe le numerose sfaccettature organolettiche di tanti vini ot-tenuti dalle stesse uve? Ma si deve pur iniziare ad individuarne le peculiarità e lepotenzialità, per raggiungere l’obiettivo di imparare a conoscere e capire il vino.

Analoghe precisazioni sono necessarie per le proposte gastronomiche. È notoa tutti come una stessa ricetta presenti numerose varianti, come in ogni città ozona sia realizzata con il tocco in più di un particolare ingrediente, interpretatain modo gentile o più deciso. I piatti e le preparazioni riportate hanno quindi loscopo di far risaltare il “carattere gastronomico” di ogni regione, le materie pri-me che la identificano, i profumi e i sapori che costituiscono il filo conduttore del-la sua cucina.

Nel secondo volume è approfondito il discorso relativo ai vini a Denominazionedi Origine Controllata e Garantita e a Denominazione di Origine Controllata, conl'inserimento degli elenchi delle IGT, che stanno assumendo un'importanza cre-scente nel panorama enologico italiano.

L'aspetto più interessante è il "taglio" con il quale sono trattati i vini in questovolume. Senza trascurare gli aspetti legislativi dettagliatamente riportati, si è cer-cato di disegnare un piccolo quadro per la maggior parte dei prodotti, descri-vendone alcuni aspetti organolettici generali, confrontando i prodotti e le zone,riportando curiosità e aneddoti storici, indicando alcune proposte di abbina-mento. Tutto questo ricordando che ogni bottiglia è un mondo a sé, senza la pre-tesa di essere completi e esaurienti - cosa peraltro impossibile senza scrivere mi-gliaia e migliaia di pagine - ma con l'auspicio di suscitare un interesse vivace ecreativo.

Il progetto era ambizioso, ma la speranza è quella che, oltre a rappresentareun panorama dell'attuale realtà vitivinicola italiana, questo libro possa rendereancora più vivo il desiderio di arricchire le proprie esperienze e conoscenze.

Non un punto d'arrivo ma, al contrario, solo l'inizio di un viaggio che porti adaddentrarsi in un mondo che non cesserà mai di stupire con qualcosa di nuovo emigliore: il mondo del Vino Italiano.

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Il Vino Italiano. Vitigni, enografia e gastronomia regionale.Questo primo volume si articola in due parti, Vitigni ed Enografia e gastrono-

mia regionale, argomenti affrontati da diverse angolazioni.I vitigni sono riportati in ordine alfabetico, considerandone i sinonimi, l'origine

e i cenni storici, le caratteristiche morfologiche e produttive ma, cosa più inte-ressante, per alcuni di loro sono tracciati i caratteri principali che sono in gradodi determinare nel vino, argomento approfondito nelle descrizioni delle diverseDOC e DOCG del secondo volume. E per non confondere i vitigni con i vini omo-nimi, i primi vengono sempre scritti con l’iniziale minuscola, i secondi con quel-la maiuscola.

La seconda parte prevede, per ogni regione, una pagina iniziale di un bel colo-re verde brillante, ravvivata dalla foto di un prodotto alimentare che riporta su-bito alla zona trattata, e che introduce uno degli aspetti più interessanti e pia-cevoli del nostro paese: la gastronomia. Ad ogni regione è dedicato un capitolo,articolato in quattro paragrafi. Nel primo si traccia un breve excursus storico del-la vite e del vino, nel secondo si delineano i contorni dell'ambiente pedoclimati-co, nel terzo sono prese in esame le più importanti zone vitivinicole, i vitigni piùcoltivati e alcuni aspetti produttivi, e infine, nel quarto, la gastronomia.

È un volume ricco di fotografie di grappoli d’uva, colline, vigneti e cantine, reso an-cora più invitante dalle immagini colorate e gustose di alcuni piatti tipici della cu-cina regionale, succulento patrimonio da conservare e rivalutare con la scoperta diabbinamenti legati alla tradizione del territorio o a proposte innovative. Ma ci saràtempo per imparare la tecnica di abbinamento, anche se ci si può iniziare a prepa-rare con la ricerca, l'affinamento del gusto e… l'assaggio.

È un volume che percorre la penisola da nord a sud, attraverso notizie storiche,terreni e sistemi di allevamento, giornate assolate e nebbiose, uve a bacca bian-ca e nera, piatti delicati e saporiti. Un viaggio pieno di ricordi e di promesse peril futuro.

Introduzione

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I vitigni

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Rondinella

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AGLIANICO

Sinonimi: aglianicone, guanico, gesualdo, uva aglianica, ellenico, uva nera.Cloni diversi: femmina, mascolino, san severino, zerpoluso. La varietà è relati-vamente omogenea e, in genere, sono coltivate soprattutto due famiglie, unanella zona del Taurasi e l’altra in quella dell’Aglianico del Vulture.Cenni storici: questo vitigno è originario della Magna Grecia, dove era famosogià in tempi antichissimi; il suo nome deriva dalla volgarizzazione del termineellenikon in hellenico, quindi in hellanico ed infine in aglianico.Zone di coltivazione: è diffuso in Basilicata, in Campania e, in parte, anche inPuglia e Molise.Caratteristiche: foglia media, pentalobata, pagina superiore glabra, opaca, dicolore verde cupo. Grappolo medio, abbastanza compatto, non sempre alato, ci-lindrico o conico. Acino sferoidale, con buccia resistente, ricca di pruina e di co-lore blu intenso.Maturazione: tardiva, dal 15 ottobre al 10 novembre.Produttività: piuttosto abbondante e costante.Vigoria: buona.

L’aglianico dà un vino di colore rosso rubino tendente al granato e, con il tra-scorrere degli anni, all’aranciato. Il profumo è intenso, tipico ed etereo, nel qua-le spiccano riconoscimenti di confettura di marasca, prugna, mandorla, viola, spe-zie e sentori animali come il cuoio. Il sapore è pieno e tannico, dotato di grandestruttura ed importante persistenza gusto-olfattiva.

ALBANA

Sinonimi: albana della forcella, albana del riminese, greco, greco di Ancona.Sono stati individuati venti cloni diversi di questo vitigno, cinque dei quali han-no ottenuto il riconoscimento ufficiale: albana gentile di Bertinoro, albana del-la serra, albana della compadrona, albana della bagarona ed albana dellagaiana.Cenni storici: le origini sono talmente antiche che non è facile distinguere lastoria dalla leggenda. Le prime notizie documentabili risalgono al 1200, e nel1303 l’albana è citato in un testo di Pier de’ Crescenzi, ma i suoi pregi sono sta-ti sottolineati in modo particolare nel 1654 dal Tanara, che già distingueva ilvitigno in diversi tipi.

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Albana

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Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nelle zone collinari della Romagna,mentre altrove diversi tentativi di coltivazione hanno dato scarsi risultati.Caratteristiche: foglia grande, pentagonale, tri-pentalobata con lobi marcati,pagina superiore di colore verde scuro, bollosa. Grappolo grande, di lunghezzavariabile, generalmente cilindrico, ma anche conico o cilindro-conico, compat-to, mediamente spargolo o spargolo, semplice od alato. Acino di media gran-dezza, sferoidale, con buccia spessa, pruinosa, poco consistente, di colore gial-lo-verdognolo tendente all’ambrato.Maturazione: ultima decade di settembre.Produttività: buona e abbastanza costante.Vigoria: notevole.

Il colore del vino ottenuto dal vitigno albana è in genere giallo paglierino tendenteal dorato. Il profumo è abbastanza intenso e fruttato, ed il gusto esprime buonequilibrio tra freschezza e morbidezza, con un finale leggermente amarognolo.Questo vitigno si presta molto bene all’appassimento, grazie al quale si ottengo-no vini di pregio, morbidi ed avvolgenti, dai profumi intensi ed articolati in notedolci e fruttate.

ALEATICO

Sinonimi: aleatico di Portoferraio, aliatico, aleatico nero della Toscana, aleati-co nero di Firenze, aleatico gentile, leatico, liatico.Cenni storici: esistono pareri discordi sulle origini di questo vitigno, peraltrogià citato da Pier de’ Crescenzi (1303); infatti, c’è chi lo ritiene originario del-la Grecia, chi della Toscana, derivato probabilmente da una mutazione del mo-scato nero.Zone di coltivazione: è diffuso in Toscana, in modo particolare nell’isola d’Elba,nell’alto Lazio, in Puglia, e solo marginalmente in altre zone.Caratteristiche: foglia grande, pentagonale e orbicolare, trilobata, pagina su-periore glabra, di colore verde cupo. Grappolo piccolo, spargolo, allungato, conuna sola ala. Acino medio, discoidale, di forma molto irregolare, con buccia mol-to pruinosa, trasparente, di colore blu-vermiglio. Maturazione: dal 20 al 30 settembre.Produttività: media ma costante.Vigoria: media o buona.

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L’aleatico dà un vino di colore rosso rubino con sfumature violacee molto cupe.Il profumo è intenso, aromatico e fruttato, e con la maturità tende ad esprimerenote di confettura e cioccolato. Al gusto si percepiscono dolcezza e morbidezzagradevoli, buone sensazioni pseudocaloriche e leggera astringenza, con finale ap-pena amarognolo.

ANCELLOTTA

Sinonimi: ancellotta di Messenzatico, lancellotta.Cenni storici: le origini di questo vitigno sono incerte, non quelle del suo no-me, che deriva da quello della famiglia Lancellotti o Lancillotto e non dalla for-ma lanceolata della foglia. L’ancellotta appartiene alla famiglia dei lambruschi,anche se è ritenuto un vitigno di qualità superiore.Zone di coltivazione: è prevalentemente diffuso in provincia di Reggio Emilia,ma è coltivato anche nelle province vicine, mentre è raro in altre regioni, anchesettentrionali.Caratteristiche: foglia media, pentalobata, pagina superiore di colore verde chia-ro opaco. Grappolo medio, piramidale, alato, solitamente spargolo. Acino pic-colo, sferoidale, con buccia pruinosa, spessa e consistente, di colore blu-nero.Maturazione: da metà settembre ai primi di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

ANSONICA

Sinonimi: inzolia, ansòria, insolia, nzolia, insora, anzonica, zolia bianca, inse-dia.Cenni storici: con molta probabilità questo vitigno è arrivato in Sicilia dallaGrecia, per giungere poi in Toscana, nell’isola d’Elba, nel XVI secolo, e successi-vamente nell’isola del Giglio, tra il XVII e il XVIII secolo, dando origine alla pro-duzione di un vino con peculiarità e caratteristiche uniche.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in Sicilia, limitatamente in Toscana.Caratteristiche: foglia pentagonale medio-grande, pentalobata, con pagineglabre di colore verde chiaro. Grappolo piuttosto grande, spargolo, tronco-pi-ramidale, con una o due ali. Acino medio-grosso, ellissoidale, di forma regola-re, con buccia pruinosa, di colore giallo oro od ambrato.

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Maturazione: prima quindicina di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

L’ansonica dà un vino di colore giallo paglierino tendente al verdolino, con pro-fumo abbastanza intenso, fruttato e, in alcuni casi, con decise note erbacee. Il gu-sto esprime discreta freschezza, buon equilibrio ed una piacevole persistenzaaromatica.

ARNEIS

Sinonimi: bianchetto o bianchetta d’Alba, nebbiolo bianco.Cenni storici: l’origine di questo vitigno è sconosciuta, ma si trova citato dalRovasenda nel Saggio Ampelografico del 1877.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in provincia di Cuneo, sulla sinistradel fiume Tànaro, nella zona del Roero.Caratteristiche: foglia medio-grande, orbicolare-pentagonale, trilobata, pagi-na superiore glabra, di colore verde cupo, opaca. Grappolo medio e molto com-patto, cilindro-piramidale, spesso alato. Acino di media grandezza, sferoidale,irregolare, con buccia pruinosa, abbastanza consistente e spessa, di colore gial-lo chiaro-verdastro.Maturazione: terza decade di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

ASPRINIO

Sinonimi: olivese, ragusano, ragusano bianco, asprino, uva asprina.Cenni storici: è un vitigno molto antico e si ritiene che derivi dal pinot o dalgreco.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nella provincia di Caserta, dove dàottimi risultati soprattutto se coltivato ad alberata.Caratteristiche: foglia medio-piccola, pentalobata, pagina superiore glabra, dicolore verde chiaro. Grappolo di media grandezza, compatto, allungato e coni-co, con o senza ali. Acino sferoidale, medio-grande, con buccia di colore grigio-verdastro, ricoperta abbondantemente di pruina.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.

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Produttività: abbondante.Vigoria: ottima.

L’asprinio dà un vino di colore giallo paglierino con riflessi verdolini, con profu-mo di media intensità e fruttato, con riconoscimenti di agrumi. L’esame gustati-vo evidenzia decisa freschezza, media struttura e sensazioni pseudocalorichepoco accentuate. Questo vitigno dà buoni risultati anche come base spumante.

BARBERA

Sinonimi: barbera grossa, barbera fina, barbera nera, barbera forte, barbera d’Asti,barbera nostrana, barbera a raspo verde, barbera a raspo rosso, barberone, bar-bera dolce.Cenni storici: la sua origine risale al periodo del Marchesato e, successivamente,del Ducato del Monferrato in Piemonte, ma non esistono notizie certe più in làdella fine del ‘700. Zone di coltivazione: vitigno piemontese per origine e diffusione, esprime al me-glio i propri caratteri in Piemonte e in Lombardia, ma è coltivato in molte altrezone, sia in Italia sia all’estero; è vinificato sia in purezza, soprattutto nell’al-bese e nel Monferrato, sia in diversi uvaggi in altre aree.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata. Grappolo di grandez-za media, per lo più piramidale ma anche cilindrico. Acino medio, ellissoidale,regolare, con buccia molto pruinosa, di colore blu intenso.Maturazione: seconda metà di settembre, primi di ottobre.Produttività: costante e relativamente abbondante.Vigoria: media e regolare.

Il colore del vino ottenuto dalla barbera è rosso rubino intenso e il profumo è fi-ne, vinoso e fruttato, con gradevoli note floreali di viola. Se sottoposto ad affi-namento in barrique acquisisce note speziate, tostate ed una maggior comples-sità. Al gusto esprime ottimo equilibrio tra freschezza, spesso ben definita, tan-nicità ed alcolicità, ottima struttura ed una persistenza aromatica con sfumatu-re fruttate.

BELLONE

Sinonimi: cacchione, bello cacchione, pacioccone, arciprete, pampanaro, alba-nese, bellobuono, pantrastico, uva pane, uva pantastico, zinnavacca.

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Cenni storici: vitigno già conosciuto al tempo dei Romani, è citato da Plinio co-me “tutto sugo e mosto”. Zone di coltivazione: è diffuso in provincia di Roma, ma è coltivato anche inaltre regioni dell’Italia centrale.Caratteristiche: foglia grande, pentagonale, pentalobata, pagina superiore glabra,di colore verde cupo. Grappolo piuttosto grande, cilindro-conico, talvolta provvi-sto di un’ala, semiserrato o serrato. Acino di media grandezza, sub-rotondo, con buc-cia mediamente pruinosa, spessa, di colore giallastro con screziature marroni.Maturazione: prima e seconda decade di ottobre.Produttività: abbondante ma irregolare.Vigoria: ottima.

BIANCAME

Sinonimi: bianchello, uva bianca, balsamina bianca, greco bianco, morbidella,biancone, biancuccio, greco, greco bianchello, greco bianco, biacuccio.Cenni storici: le origini sono incerte, anche se diversi studiosi sono propensi adindividuarle in un clone del vecchio vitigno greco. È molto simile anche al treb-biano toscano, con il quale spesso è confuso.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in Romagna, in particolare nel ri-minese, e nelle Marche, principalmente in provincia di Pesaro-Urbino.Caratteristiche: foglia media o quasi grande, pentagonale, pentalobata, pagi-na superiore glabra, di colore verde chiaro. Grappolo abbastanza grande, com-patto, cilindro-conico, in alcuni casi piramidale e spesso alato. Acino di mediagrandezza, rotondo, con buccia sottile, di colore giallo con macchie marroni.Maturazione: primi venti giorni di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

BIANCO D’ALESSANO

Sinonimi: bianco di Lessame, verdurino, acchiappapalmento.Cenni storici: è un antichissimo vitigno pugliese, le cui origini sembrano esse-re nella zona del basso Salento.Zone di coltivazione: è diffuso in Puglia, nella zona della Murgia, dei trulli enelle valli adiacenti.

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Caratteristiche: foglia medio-grande, orbicolare, tri-pentalobata, pagina su-periore glabra, di colore verde cupo. Grappolo cilindro-conico, semplice od ala-to, piuttosto compatto. Acino di media grandezza, sferoidale, con buccia prui-nosa, spessa, di colore giallo.Maturazione: fine settembre, prima decade di ottobre.Produttività: buona e costante nelle zone classiche. Vigoria: media.

BIANCOLELLA

Sinonimi: jancolella, janculillo, petit blanche.Cenni storici: è un vitigno probabilmente originario della Corsica.Zone di coltivazione: è diffuso in Campania, soprattutto nei terreni di originevulcanica e, in particolare, nelle isole di Ischia, Capri e Procida.Caratteristiche: foglia media, orbicolare, tri-pentalobata. Grappolo quasi cilin-drico o piramidale, di media grandezza, con la presenza di qualche aletta corta.Acino medio, sferoidale, con buccia pruinosa, tenera, di colore giallo verdolino.Maturazione: prima quindicina di ottobre.Produttività: molto scarsa.Vigoria: ottima.

BOMBINO BIANCO

Sinonimi: bonvino, campolese, straccia cambiale, trebbiano di Teramo, trebbianod’Abruzzo e uva castellana.Cenni storici: le origini sono incerte, ma potrebbe giungere dal bacino orien-tale del Mediterraneo, come i trebbiani in genere, anche se c’è chi pensa pro-venga dalla Spagna.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in provincia di Foggia, nella zona diSan Severo, ma anche in altre province pugliesi, come quella di Bari, e in altreregioni adriatiche del centro Italia, dove spesso è confuso con altre varietà.Caratteristiche: foglia media, tri-pentalobata, pagina superiore glabra, dicolore verde chiaro, opaca. Grappolo abbastanza grande, conico o cilindro-co-nico, spesso alato e piramidale, semispargolo. Acino medio-grande, rotondo,con buccia spessa e consistente, di colore giallo verdolino con macchie mar-roni.

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Maturazione: prima decade di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

BOMBINO NERO

Sinonimi: bambino, buon vino.Cenni storici: questo vitigno è stato introdotto in Puglia in epoca imprecisabi-le ma molto remota. Il nome di “buon vino” deriva dall’abbondanza della pro-duzione e della resa in mosto.Zone di coltivazione: è diffuso principalmente in provincia di Bari.Caratteristiche: foglia di grandezza media, pentalobata, pagina superiore luci-da, glabra, di colore verde cupo. Grappolo grande, compatto, con due ali. Acinogrande, sferoidale, con buccia pruinosa, spessa e consistente, di colore blu.Maturazione: primi quindici giorni di ottobre.Produttività: spesso abbondante e costante.Vigoria: buona.

BONARDA

Sinonimi: bonarda di Chieri, bonarda di Gattinara, balsamina.Cenni storici: questo vitigno è di origine piemontese, noto fin dal 1700.Zone di coltivazione: è diffuso sulle colline torinesi ed in quelle circostanti.Caratteristiche: foglia medio-grande, orbicolare, tri-pentalobata, pagina su-periore glabra, di colore verde cupo. Grappolo medio o grande, piramidale o co-nico, alato, mediamente compatto ma tendente allo spargolo. Acino medio, ro-tondo, buccia pruinosa, spessa, resistente, di colore nero-violaceo.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: costante ed abbastanza abbondante.Vigoria: ottima.

La bonarda dà un vino di colore rosso rubino molto intenso e vivace, con sfuma-ture violacee, profumo intenso, vinoso e fruttato. Il gusto è sapido, in genere po-co tannico, piacevolmente morbido e fresco, equilibrato, di media struttura epersistenza aromatica con sfumature fruttate.

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BOSCO

Sinonimi: bosco bianco, bosco bianco del genovesato, uva bosco, madea.Cenni storici: le sue origini sono incerte, ma dovrebbe essere un vitigno au-toctono ligure, coltivato un tempo a Riomaggiore da un certo Bonfiglio, cheavrebbe preso i tralci in un bosco dei marchesi Durazzo a Genova.Zone di coltivazione: è diffuso in provincia di La Spezia.Caratteristiche: foglia medio-grande, pentagonale, nettamente pentalobata, pa-gina superiore glabra, di colore verde chiaro opaco. Grappolo di grandezza me-dia, per lo più cilindrico, abbastanza spargolo. Acino medio-grande, di forma re-golare, sferoidale tendente all’ellissoidale, buccia consistente, di colore giallo pa-glierino che diventa ambrato nelle parti più esposte al sole.Maturazione: fine settembre.

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Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

BOVALE

Sinonimi: bovaleddu, bovale piticco, muristellu, muristeddu, cardinissia.Cenni storici: questo vitigno è stato introdotto in Sardegna, quasi con certez-za, dalla Spagna.Zone di coltivazione: è diffuso in Sardegna.Caratteristiche: foglia media, pentalobata, in qualche caso trilobata. Grappolodi media grandezza, cilindrico o cilindro-conico. Acino medio, sub-ovale, con buc-cia di colore nerastro.Maturazione: fine settembre.Produttività: media.Vigoria: media.

BRACHETTO

Sinonimi: bracchetto.Cenni storici: le origini di questo vitigno sono incerte e le notizie risalgono so-lo all’800. Si conoscono due tipi di brachetto: quello del Piemonte, più pregia-to e più aromatico, qui trattato, e quello di Nizza Marittima.Zone di coltivazione: è diffuso in Piemonte, soprattutto nelle vicinanze diAcqui Terme.Caratteristiche: foglia media, tondeggiante, intera o trilobata, pagina superio-re glabra, di colore verde cupo. Grappolo di grandezza media, per lo più allun-gato, cilindro-piramidale, compatto o molto serrato. Acino abbastanza grande,rotondo, con buccia di colore blu scuro.Maturazione: seconda quindicina di settembre.Produttività: regolare, mai abbondante.Vigoria: piuttosto bassa o moderata.

Il brachetto dà un vino di colore rosso rubino vivace, con profumo intenso, aro-matico, floreale e fruttato, con delicati riconoscimenti di rosa e fragoline di bo-sco. Dotato di struttura delicata, il vino evidenzia una piacevole fre-schezza, note tanniche e pseudocaloriche appena accennate, ed unapersistenza aromatica leggermente ammandorlata.

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CABERNET FRANC

Sinonimi: gros cabernet, cabernet francese, grosse vidure, cabonet, bordò.Cenni storici: è un vitigno di origine bordolese, più precisamente della zona del-la Gironda, oggi molto diffuso in tutto il mondo, spesso vinificato in uvaggi concabernet sauvignon e/o merlot.Zone di coltivazione: in Italia sono presenti due sottovarietà. La prima, piùdiffusa in Francia, nel nostro paese è presente nelle province di Brescia e diFrosinone, mentre la seconda, prevalentemente utilizzata in Italia, è coltiva-ta in particolare nelle Tre Venezie, soprattutto in Friuli-Venezia Giulia eTrentino.Caratteristiche: foglia media, pentalobata. Grappolo medio, piramidale, spar-golo, alato. Acino di diversa grandezza per la difficoltà di impollinazione, gene-ralmente medio, sferoidale, con buccia molto pruinosa e molto resistente, di co-lore blu-nero.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.Produttività: media, non sempre costante nei climi freddi e più abbondante neiclimi caldi.Vigoria: buona.

Il cabernet franc dà un vino di colore rosso rubino intenso con vivaci riflessi vio-lacei. Il profumo è intenso, e su un fondo delicatamente fruttato esprime deci-se note erbacee. Il sapore è secco e ben strutturato, con persistenza gusto-ol-fattiva che richiama le sensazioni vegetali già percepite all’olfatto. Si adatta mol-to bene agli uvaggi con cabernet sauvignon e merlot. Secondo quanto affermail prof. Fregoni, quasi tutto il cabernet franc coltivato in Italia è, in realtà, car-menère. Varietà un tempo diffusa nella zona di Bordeaux, sarebbe stata “sacri-ficata” a vantaggio del merlot e portata in Cile, dove sta dando caratteri ben de-finiti ai vini di quel paese. Come distinguere il carmenère dal cabernet franc? Unmetodo empirico può essere quello di assaggiarne l’acino. Se il sapore del pepe-rone verde è molto netto potrebbe trattarsi proprio di carmenère, molto ricco dipirazina, la sostanza responsabile di questo gusto così particolare.

CABERNET SAUVIGNON

Sinonimi: cabernè, cabernet piccolo; in Francia: bouschet-sauvignon, carbonet,petit vidure.

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Cenni storici: è un vitigno di origine francese, in particolare della zona diBordeaux. Si ritiene che il suo arrivo nel nostro paese, quasi contemporaneo aquello del cabernet franc, sia avvenuto verso il 1820, in provincia di Alessandria,ed è certo che nel 1870 fosse coltivato sui Colli Euganei.Zone di coltivazione: è largamente diffuso in tutto il mondo e riconosciuto una-nimemente come un vitigno di grande prestigio. È coltivato soprattutto nelle re-gioni nord-orientali, ma si sta sempre più diffondendo in molte altre partid’Italia, a volte a discapito di alcuni vitigni autoctoni.Caratteristiche: foglia media, pentalobata. Grappolo medio-piccolo, oblungo,cilindro-piramidale, con un’ala spesso evidente, un po’ compatto. Acino di di-mensioni medie, sub-rotondo, con buccia molto pruinosa e resistente, di colo-re blu-nero con sfumature violacee. Maturazione: fine settembre, inizi di ottobre.Produttività: media e costante.Vigoria: buona.

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Il cabernet sauvignon è un grande vitigno, che dà un vino di colore rosso rubinodeciso con sfumature violacee, quasi blu. Il profumo è molto intenso e fine, ele-gantemente erbaceo e vegetale, fruttato con riconoscimenti di piccoli frutti ne-ri, note mentolate e di cioccolato. Al gusto esprime eleganza, ottimo equilibriotra freschezza, tannicità e grande morbidezza, notevole struttura ed importan-te persistenza gusto-olfattiva, caratteri che lo rendono particolarmente adattoall’affinamento in legno.

CALABRESE

Sinonimi: calabrese nero, nero d’Avola, calabrese d’Avola, calabrese pizzuto.Cenni storici: le origini di questo vitigno sono siciliane.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nella Sicilia orientale (Pachino e Noto)e in quella occidentale (agrigentino, marsalese e palermitano).Caratteristiche: foglia orbicolare intera, pagina superiore spesso glabra. Grappolomedio, conico, alato. Acino di dimensioni medie, ovoidale e regolare, con buc-cia pruinosa, coriacea, di colore bluastro.Maturazione: primi quindici giorni di settembre.Produttività: media e regolare.Vigoria: ottima.

CANAIOLO NERO

Sinonimi: canaiuolo nero grosso, uva canaiolo, uva dei cani, uva donna, uva mer-la, cannaiola, caccione nero, tindiloro.Cenni storici: questo antico vitigno, noto da secoli, ha origini incerte, proba-bilmente toscane; è menzionato come “vitis vinifera etrusca” e “canajuola” daPier de’ Crescenzi nell’ “Opus Commodorum Ruralium” (trattato di economia ru-rale), pubblicato intorno al 1303.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nell’area di produzione del Chianti.Caratteristiche: foglia piccola o media, tri-pentalobata, pagina superiore leg-germente aracnoidea, di colore verde cupo, opaca. Grappolo di media grandez-za, abbastanza spargolo, tozzo o piramidale, alato con una o due ali, a chicchiradi. Acino medio, sub-rotondo, regolare, con buccia molto pruinosa, piuttostoconsistente, di colore blu, a volte tendente al violaceo.Maturazione: ultima decade di settembre.

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Produttività: media o buona; costante nei biotipi migliori.Vigoria: piuttosto ridotta.

CANNONAU

Sinonimi: cannonadu, canonau, cannonao, cannonatu, gamay perugino, ver-naccia di Serrapetrona, vernaccia nera.Cenni storici: questo vitigno, già menzionato alla fine del 1700, ha origini spa-gnole e deriverebbe da Canonazo o Canonaxo di Siviglia.Zone di coltivazione: è diffuso in quasi tutte le zone viticole della Sardegna, inparticolare in provincia di Nuoro e Sassari, ma di recente si trova anche in pro-vincia di Vicenza, con il nome di tocai rosso. Nel mezzogiorno della Francia èchiamato grenache e rappresenta uno dei vitigni più diffusi.Caratteristiche: foglia media, tri-pentalobata, pagina superiore glabra, di co-lore verde, lucida. Grappolo medio, serrato, conico o cilindro-conico, qualche vol-ta alato. Acino medio, rotondo, con buccia molto pruinosa, sottile, di colore ne-ro-violaceo.Maturazione: fine settembre.Produttività: abbondante e abbastanza costante.Vigoria: moderata.

Il colore del vino ottenuto dal cannonau è rosso rubino, tendente al granato sesottoposto ad affinamento. Il profumo è fruttato, solo leggermente floreale, e neltempo può acquisire sfumature speziate ed eteree. L’esame gustativo evidenziauna buona struttura ed una importante componente alcolica, media tannicità efreschezza appena accennata, con persistenza aromatica lunga e calda.

CARIGNANO

Sinonimi: carinena e mazuela in Spagna; carignan e bois dur in Francia; uva diSpagna in Sardegna.Cenni storici: questo vitigno è coltivato nel bacino del Mediterraneo fin dal-l’antichità, ed è probabile che le sue origini si ritrovino a Califiera, nell’Aragonese,in Spagna.Zone di coltivazione: è diffuso in Sardegna, soprattutto nella provincia diCagliari, ma anche in Toscana, Marche e Lazio. All’estero è coltivato in Francia,Algeria, Marocco, Israele e California.

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Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata, pagina superiore di co-lore verde bottiglia. Grappolo medio, conico o cilindro-conico o piramidale, ala-to, compatto o semicompatto. Acino medio, ovoidale, con buccia molto pruinosa,di medio spessore, di colore blu-violaceo.Maturazione: seconda quindicina di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

CARRICANTE

Sinonimi: carricanti, caricanti, nocera bianca, catanese bianco.Cenni storici: le origini di questo vitigno sono siciliane. Zone di coltivazione: è diffuso solo in alcune zone siciliane.Caratteristiche: foglia media, pentagonale o sub-orbicolare, tri-pentalobata, dicolore verde bottiglia. Grappolo medio, conico, alato, mediamente spargolo.Acino medio, regolare, sub-ellissoidale, con buccia molto pruinosa, di medio spes-sore, consistente, di colore verde-giallognolo.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

CATARRATTO BIANCO COMUNE

Sinonimi: catarratto bianco nostrale, catarratto bianco latino, catarratto ber-tolaro, catarratto carteddaro.Cenni storici: questo vitigno è coltivato in Sicilia da tempi remoti.Zone di coltivazione: la famiglia dei catarratti caratterizza ancora oggi la vi-ticoltura siciliana.Caratteristiche: foglia media, pentagonale-tondeggiante, pentalobata, paginasuperiore verde chiaro. Grappolo medio, cilindrico o conico, semplice, spargolo,a volte anche compatto o alato. Acino medio, sferoidale od ellissoidale, regola-re, con buccia pruinosa, molto spessa, di colore giallo dorato.Maturazione: mese di settembre.Produttività: abbondante, ma non proprio costante.Vigoria: buona.

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CATARRATTO BIANCO LUCIDO

Sinonimi: catarrato lustro, castellaro (isole Eolie).Cenni storici: è un vitigno autoctono siciliano, conosciuto da secoli.Zone di coltivazione: è particolarmente diffuso in Sicilia.Caratteristiche: foglia piccola o media, orbicolare e tondeggiante, pentaloba-ta, pagina superiore quasi glabra, di colore verde chiaro. Grappolo medio, cilin-drico e conico, semplice, a volte alato, molto compatto. Acino medio o piccolo(più piccolo del comune), sferoidale od ellissoidale, regolare, con buccia prui-nosa, spessa, di colore giallo dorato, lucida.Maturazione: dal 20 agosto al 20 settembre.Produttività: molto abbondante e costante.Vigoria: buona.

CESANESE COMUNE

Sinonimi: bombino nero, nero ferrigno, sanguinella.Cenni storici: questo vitigno è stato descritto già nell’800 nel BollettinoAmpelografico, e citato dall’Acerbi quale “cesanese atto a produrre un vino ge-nerosissimo, con acini sferoidi, azzurri nerastri”.Zone di coltivazione: attualmente è diffuso in provincia di Frosinone e nelle zo-ne limitrofe della provincia di Roma, mentre in un recente passato si trovava inparticolare nei Castelli Romani. Caratteristiche: foglia medio-grande, pentagonale, trilobata e raramente pen-talobata. Grappolo di media grandezza, cilindro-conico, alcune volte alato, ser-rato. Acino di media grandezza ovale, con buccia molto pruinosa, spessa e con-sistente, di colore nero-violaceo.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: media.

CESANESE D’AFFILE

Sinonimi: cesanese ad acino piccolo, cesanese del Piglio, cesanese d’Olevano.Cenni storici: questo vitigno rientra nella famiglia dei “cesanesi”, di origini in-certe, per i quali è stata avanzata l’ipotesi che possano derivare dal gruppo del-le “alveole”, elogiate già da Plinio per le grandi rese.

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Chardonnay

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Zone di coltivazione: è diffuso particolarmente nel Lazio, nelle province diFrosinone e Roma, ma si trova marginalmente anche in Toscana, Umbria e Liguria.Caratteristiche: foglia piccola, pentagonale, penta-trilobata oppure intera, pa-gina inferiore aracnoidea. Grappolo medio o piccolo, cilindrico o cilindro-coni-co, alato, spargolo per leggera colatura. Acino piccolo, sferoidale, regolare, conbuccia di medio spessore e consistenza.Maturazione: fine agosto, primi di settembre.Produttività: media ed alterna.Vigoria: media.

CHARDONNAY

Sinonimi: pinot chardonnay, morillon, beaunois, weisser clevner, gamay blanc.Cenni storici: fino a qualche anno fa questo vitigno era scambiato erroneamenteper un pinot, sebbene il Mondini, nella sua opera “Vitigni stranieri da vino col-tivati in Italia” (1903), avesse dato puntuali spiegazioni al fine di separarlo daquella famiglia. I viticoltori della Borgogna, già all’inizio del ‘900, si accordaro-no nel riconoscerlo come chardonnay, e in Italia è stato iscritto come tale nelCatasto Nazionale delle varietà con D.M. del 24/10/1978.Zone di coltivazione: è un vitigno internazionale, che dà ottimi risultati in tut-to il mondo. In Francia è particolarmente diffuso nello Champagne e in Borgogna.In Italia è coltivato soprattutto in alcune regioni settentrionali come Trentino,Alto Adige, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Veneto, ma si sta sempre più dif-fondendo anche al centro e al sud.Caratteristiche: foglia media, intera, ondulata e liscia. Grappolo medio-picco-lo, compatto, cilindro-conico, con due ali poco pronunciate. Acino piccolo, sfe-roidale, con buccia pruinosa, sottile, di colore verde-giallo. Maturazione: molto precoce; seconda metà d’agosto.Produttività: buona.Vigoria: media.

Lo chardonnay dà un vino di colore giallo paglierino tendente al dorato, con pro-fumo molto intenso e fine, fruttato con riconoscimenti di frutta esotica che, neltempo, può arricchirsi e acquisire grande complessità. Al gusto esprime buonequilibrio tra freschezza e morbidezza, con persistenza aromatica di grande ele-

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ganza. Da questo vitigno si ottengono vini con buona predisposizione all’affina-mento in barrique, ma si raggiungono anche grandi risultati nell’elaborazione dispumanti metodo classico.

CILIEGIOLO

Sinonimi: ciliegino, ciliegiolo di Spagna.Cenni storici: le origini di questo vitigno sono incerte, anche se sembrerebbegiunto in Toscana dalla Spagna, nel 1870.Zone di coltivazione: inizialmente coltivato solo nell’Italia centrale, si è suc-cessivamente diffuso in tutto il territorio nazionale. In Toscana, Umbria e nel pe-sarese è spesso impiegato in uvaggi con il sangiovese; è utilizzato anche nellaproduzione della Vernaccia di Serrapetrona.Caratteristiche: foglia media o grande, pentagonale, tri-pentalobata, pagina su-periore glabra, di colore verde bottiglia. Grappolo grande, semicompatto o com-patto, allungato, cilindrico, piramidale, alato. Acino medio-grande, arrotonda-to o sub-rotondo, con buccia molto pruinosa, di medio spessore, di colore ne-ro-violaceo.Maturazione: seconda quindicina d’agosto.Produttività: molto abbondante e costante.Vigoria: ottima.

CODA DI VOLPE

Sinonimi: coda di volpe bianca, coda di pecora, pallagrello bianco, falerno, du-rante.Cenni storici: le origini di questo vitigno si possono far risalire almeno all’epo-ca romana, poiché sono pervenute testimonianze di Plinio il Vecchio nella sua“Naturalis Historia”.Zone di coltivazione: è diffuso in Campania.Caratteristiche: foglia grande, pentalobata, pagina superiore opaca, glabra, dicolore verde chiaro. Grappolo grande, mediamente spargolo, ma anche serrato,a forma piramidale, alato, con una o due ali piccole. Acino piccolo, regolare, sub-rotondo, con buccia pruinosa, consistente, di colore giallo chiaro.Maturazione: seconda quindicina di settembre.

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Produttività: buona.Vigoria: mediocre.

COLORINO

Sinonimi: abrostino, raverusto, lambrusco, colore, abrusco, colorino di Valdarno.Cenni storici: di origini remote, è probabilmente derivato dalla selezione di qual-che vite selvatica, e deve il nome all’intensità del colore della buccia dei suoiacini.Zone di coltivazione: è diffuso in Toscana, in Valdarno, Val d’Elsa e Val di Pesa.Caratteristiche: foglia orbicolare, talvolta pentagonale, medio-piccola, tri-pen-talobata, pagina superiore leggermente rugosa, di colore verde cupo. Grappolopiccolo-medio, semispargolo, conico, alato, con una o due ali. Acino piccolo-me-dio, rotondo, con buccia molto pruinosa, spessa, di colore nero-violaceo.Maturazione: terza decade di settembre.Produttività: media e costante.Vigoria: piuttosto ridotta o media.

CORTESE

Sinonimi: bianca fernanda, cortese bianco, cortese dell’astigiano, courtesa.Cenni storici: questo vitigno è originario della provincia di Alessandria, da do-ve si è diffuso successivamente nell’Oltrepò Pavese.Zone di coltivazione: è molto diffuso in provincia di Alessandria, nel tortone-se, nel Monferrato e nelle zone collinari di Novi Ligure e Gavi e, seppur limita-tamente, anche in provincia di Verona.Caratteristiche: foglia medio-grande, pentagonale, pentalobata, pagina supe-riore di colore verde cupo. Grappolo medio, conico-piramidale, alato, piuttostospargolo, con una o due ali. Acino medio-grande, leggermente ellissoidale, conbuccia abbastanza pruinosa, di colore giallo-dorato nelle parti sottoposte a for-te insolazione, mentre in quelle in ombra è verde-giallognolo.Maturazione: seconda quindicina di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

Il cortese dà un vino di colore giallo paglierino con riflessi verdolini e profumi fi-

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ni e fruttati, non particolarmente articolati ma piacevoli e freschi. Il sapore è fre-sco e sapido, con discrete doti di morbidezza e struttura.

CORVINA

Sinonimi: cruina, cruinon, corba, corbina, corniola, corvina gentile e corvina rizza.Cenni storici: la prima descrizione del Pollini nel 1818 indica come luogo di col-tivazione di questo vitigno la Valpolicella, come confermato da altri studiosi inperiodi successivi; per le sue straordinarie qualità, questo vitigno era chiamatoanche corvina reale.Zone di coltivazione: è particolarmente diffuso in tutta l’area collinare del ve-ronese.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata, pagina superiore di co-lore verde. Grappolo di media grandezza, cilindro-piramidale, piuttosto compatto,con ala spesso lunga. Acino medio, con buccia pruinosa, consistente, di coloreblu-violetto.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: media e non sempre costante.Vigoria: buona.

Il colore del vino ottenuto dal vitigno corvina è rosso rubino intenso con sfuma-ture blu-viola; il profumo è molto intenso e fine, fruttato con riconoscimenti diamarena, note speziate e di cioccolato. Il gusto esprime grande morbidezza, buo-na alcolicità, struttura, freschezza e delicata tannicità, con persistenza aroma-tica molto lunga e leggermente amarognola.

CROATINA

Sinonimi: bonarda, crovattina, croata, crovettino, neretto, bonarda di Rovescala,uva del zio.Cenni storici: questo vitigno è noto da tempi antichi, anche se le origini sonopressoché sconosciute e, con il nome di bonarda di Rovescala, è citato in un do-cumento del 1192. Spesso è impropriamente chiamato “bonarda”, nome di unvino dell’Oltrepò Pavese e dei Colli Piacentini ottenuto da queste uve, confon-dendolo probabilmente con il vitigno bonarda, tipicamente piemontese.Zone di coltivazione: è diffuso prevalentemente in Lombardia, in particolarenell’Oltrepò Pavese e alcune zone limitrofe.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, più lunga che larga, penta-triloba-

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ta, pagina superiore opaca. Grappolo da medio a grande, conico, talvolta alato,compatto o di media compattezza. Acino medio di forma sferoidale o appenaellissoidale, con buccia abbastanza pruinosa, spessa e consistente, coriacea, dicolore turchino.Maturazione: prima decade di ottobre.Produttività: generalmente abbondante, seppur talvolta incostante.Vigoria: ottima.

DOLCETTO

Sinonimi: ormeasco, dolsin, dolsin nero.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte, anche se tutto fa supporre sianato nel Monferrato (Acqui) e, successivamente, si sia diffuso in Liguria enell’Oltrepò Pavese. Una prima citazione sul “dosset” o dolcetto si trova nel te-sto “Istituzioni sulla coltivazione della vite e sulla migliore conservazione dei vi-ni” scritto dal Conte Nuvolone nel 1799.Zone di coltivazione: è largamente diffuso nelle aree collinari del Piemonte epiù limitatamente nelle regioni vicine.Caratteristiche: foglia medio-piccola, pentagonale, pentalobata, rossa vicino alpicciolo, pagina superiore glabra, liscia, di colore verde cupo con sfumature ros-se agli orli. Grappolo medio-lungo, piuttosto spargolo, piramidale, alato. Acinodi media grandezza, sferico, con buccia molto pruinosa, sottile, di colore nero-blu.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: buona ma incostante.Vigoria: da modesta a media.

Le caratteristiche dei vini ottenuti dal dolcetto possono variare molto nelle diversezone, seppur vicine tra loro, ma in genere il colore è rosso rubino profondo ed ilprofumo mediamente intenso, fruttato e floreale. Il gusto esprime freschezza, buo-ne sensazioni pseudocaloriche, leggera tannicità, discreta morbidezza e struttu-ra, con persistenza aromatica piacevolmente fruttata.

ENANTIO

Sinonimi: lambrusco a foglia frastagliata, lambrusco nostrano.Cenni storici: questo vitigno è originario dell’Emilia in epoca immediatamentesuccessiva alla prima guerra mondiale.

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Zone di coltivazione: attualmente è coltivato soprattutto in Trentino, nellaVallagarina e nel veronese.Caratteristiche: foglia piuttosto grande, pentagonale, pentalobata. Grappolo me-dio, allungato, piramidale, mediamente compatto, con una o due ali. Acino medio,sub-rotondo, con buccia molto pruinosa, sottile ma coriacea, di colore blu-nero.Maturazione: primi di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: notevole.

ERBALUCE

Sinonimi: albaluce, erbalus, bianc roustì, uva rustia, bianchera. Diverse di que-ste definizioni derivano da “albe-lucenti”, poiché in autunno queste uve si ac-cendono di caldi riflessi ramati, leggermente rosati, che ricordano i colori dell’alba.Cenni storici: sebbene sia stato oggetto di studi di numerosi ampelografi, nes-suno si è pronunciato in modo preciso sulle sue origini, anche se è opinione co-mune che, nonostante una certa somiglianza con alcuni trebbiani, provenga dal-le valli prealpine a nord di Torino, nel canavese, dove l’ambiente è piuttosto umi-do. Curiosamente, le qualità di questo vitigno sono state decantate in un’ope-retta di G.B. Croce, andata in scena a Torino nel 1606.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in Piemonte nelle province di Torino,Biella e Vercelli, e raggiunge la sua massima espressione nella zona di Caluso,nel canavese.Caratteristiche: foglia media, pentalobata, pagina superiore glabra, di coloreverde chiaro. Grappolo medio-lungo, di forma conica allungata, talvolta alato,mediamente compatto. Acino sferico, di media grandezza, con buccia pruinosa,trasparente, di colore giallo ambrato che talvolta sfuma verso tonalità rosa.Maturazione: fine settembre.Produttività: abbastanza limitata ed incostante.Vigoria: ottima.

FALANGHINA

Sinonimi: fallanghina, falanghina verace, uva falerna, falerno veronese, bian-cuzita.Cenni storici: questo vitigno ha probabilmente origini antichissime e sembra chenel Sannio fosse coltivato già in epoca romana. Le prime notizie certe risalgonoperò al 1825, anche se questo vitigno è stato più volte confuso con altri.

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Zone di coltivazione: attualmente è diffuso soprattutto in Campania. Trova ilsuo migliore habitat nell’area del Falerno del Massico, nell’isola di Procida, nel-la zona dei Campi Flegrei e nel Sannio.Caratteristiche: foglia media o piccola, cuneiforme, raramente orbicolare, tri-lobata e più raramente pentalobata, pagina superiore glabra, con nervatureverdi e striature rosse. Grappolo lungo o medio, mediamente grande e compat-to, cilindrico e qualche volta conico, con presenza di un’ala corta. Acino medio,sferoidale, regolare, con buccia pruinosa, piuttosto spessa e consistente, di co-lore grigio-giallastro.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: media e costante.Vigoria: buona.

Il vino ottenuto da falanghina è di colore giallo paglierino tendente al dorato, conprofumo abbastanza intenso e fruttato. Il gusto evidenzia buone sensazioni pseu-docaloriche, buona morbidezza, freschezza non sempre decisa e una piacevole per-sistenza gusto-olfattiva.

Falanghina

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FAVORITA

Sinonimi: furmentin della valle Belbo, favorita bianca di Cornegliano, ver-mentino, pigato. Recenti studi sembrano concludere che favorita, vermentinoe pigato abbiano in realtà una sola identità. Rimane comunque la normale va-riabilità clonale nell’ambito delle cultivar, così come l’influenza dell’ambiente.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte, anche se era sicuramente col-tivato all’inizio dell’800 nel Roero e, in particolare, a Cornegliano (talvolta è te-stualmente citato “la favorita di Cornegliano”). Si ritrovava anche nelle Langhee in zone limitate dell’astigiano. Segnalato dal Molon nel 1906, in passato eraconsumato anche come uva da tavola.Zone di coltivazione: è diffuso in Piemonte, soprattutto nel Roero e nella val-le Belbo; in passato, nell’astigiano, era impiegato per attenuare l’intensità del-l’aroma del moscato.Caratteristiche: foglia medio-grande, pentalobata, a superficie bollosa, pagi-na superiore glabra, di colore verde bottiglia. Grappolo piuttosto grande, pira-midale, mediamente spargolo, talvolta con una o due ali. Acino medio-grande,sferoidale, con buccia pruinosa, abbastanza spessa, di colore giallo intenso.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: media o buona.

FIANO

Sinonimi: fiore mendillo, fiana o foiana, santa sofia, latino bianco, minutola.Cenni storici: antichissimo vitigno, noto e già coltivato dai Latini nel meridio-ne d’Italia. Si ritiene che la sua origine sia nella zona di Lapio, nelle colline adest di Avellino, e sembrerebbe derivare dalle uve “apianae”.Zone di coltivazione: molto diffuso in provincia di Avellino e nelle Murge in Puglia.Caratteristiche: foglia media, orbicolare, tri-pentalobata, con lobi appena ac-cennati, pagina superiore glabra. Grappolo piccolo o medio, serrato, piramida-le, con un’ala ben sviluppata. Acino medio, di forma ellissoidale, con buccia po-co pruinosa, coriacea, di colore giallo dorato.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: media o buona e abbastanza costante.Vigoria: buona, soprattutto nelle terre sciolte, profonde, di origine vulcanica.

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FORASTERA

Sinonimi: furastiera, forestiera, frastera.Cenni storici: questo vitigno è stato introdotto sull’isola di Ischia verso la me-tà del 1800; spesso viene ritenuto autoctono, nonostante il nome indichi unadiversa provenienza.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in Campania e, seppur limitatamente,in Sardegna.Caratteristiche: foglia grande, quasi orbicolare, pentalobata ma anche triloba-ta, pagina superiore glabra e di colore verde cupo. Grappolo di grandezza media,cilindrico o piramidale, qualche volta alato, piuttosto spargolo. Acino medio, el-lissoidale, con buccia pruinosa, sottile, di colore giallo con sfumature verdi.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: buona e costante.Vigoria: ottima.

FRANCONIA

Sinonimi: blaufränkische, limberger noir, brenflinch, imberghem.Cenni storici: ha origini in Croazia, dove è denominato franconien bleu olimberger.Zone di coltivazione: è diffuso nelle province di Pordenone e Udine, e nelle areevenete confinanti.Caratteristiche: foglia grande, orbicolare, trilobata, pagina superiore di coloreverde scuro. Grappolo medio-grande, piramidale, a volte alato, semispargolo. Acinomedio, rotondo, con buccia pruinosa, spessa e resistente, di colore blu-nero.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: ottima, ma non molto costante.Vigoria: ottima

FRAPPATO

Sinonimi: frappato nero di Vittoria, frappatu.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte, ma è noto fin dal XVIII secolo.Alcuni studiosi lo ritengono autoctono del ragusano, altri introdotto dalla Spagna.Zone di coltivazione: è diffuso in Sicilia, soprattutto nella zona di Vittoria inprovincia di Ragusa.

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Caratteristiche: foglia media, pentagonale, talora reniforme, pagina superioredi colore verde intenso, glabra. Grappolo lungo, con una o due ali, serrato, spes-so serratissimo, per cui gli acini a maturazione si rompono facilmente e sonosoggetti a marciumi. Acino di media grandezza, sub-rotondo, con buccia di co-lore grigio-bluastro, talvolta rossastro.Maturazione: fine settembre.Produttività: regolare.Vigoria: media.

FREISA

Sinonimi: freisa del Piemonte, freisa grossa, freisa piccola. Alcune denomina-zioni ricordano la località di provenienza: spannina, monferrina, freisa di Chieri.Cenni storici: questo vitigno è probabilmente originario dei colli tra Asti eTorino, ed è citato in una memoria del Conte Nuvolone nel 1799.Zone di coltivazione: è particolarmente diffuso sulle colline piemontesi dell’a-stigiano e di Casale Monferrato.Caratteristiche: foglia medio-piccola, trilobata, raramente pentalobata, pagi-na superiore glabra, di colore verde scuro. Grappolo allungato, quasi cilindrico,appena alato, piuttosto spargolo. Acino medio, sub-rotondo o leggermente ova-le, con buccia molto pruinosa, sottile ma resistente, di colore nero-bluastro.Maturazione: fine settembre, prima decade di ottobre.Produttività: generalmente abbondante e costante.Vigoria: molto buona.

La freisa dà un vino di colore rosso rubino vivace ma non deciso, con profumo in-tenso, floreale e fruttato, con riconoscimenti di rosa e lampone. Dotato di mediastruttura, all’esame gustativo evidenzia grande freschezza e piacevole morbidezza,con delicate sensazioni pseudocaloriche.

GAGLIOPPO

Sinonimi: galloppo, gaglioppa nera, gallaffa, uva navarra, gaglioppo di Cirò,gaioppo, gaglioppo nero.Cenni storici: le origini di questo vitigno sono incerte.Zone di coltivazione: è diffuso in Calabria, dove è il vitigno a bacca rossa piùcoltivato.

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Caratteristiche: foglia media, pentagonale, trilobata ma spesso anche penta-lobata, pagina superiore glabra, opaca, di colore verde intenso. Grappolo medioo grande, allungato, conico o piramidale, qualche volta anche corto e cilindri-co, semplice od alato. Acino medio, ovoidale o sferoidale, con buccia di mediospessore e consistenza, di colore blu scuro con riflessi rossastri.Maturazione: terza decade di settembre, prima di ottobre.Produttività: piuttosto abbondante e costante.Vigoria: notevole.

Il colore del vino ottenuto dal gaglioppo è rosso rubino con sfumature che vira-no ben presto verso tonalità granato. Il profumo è intenso, fruttato con note diprugna, speziato e con sentori animali. Il sapore è pieno, rustico, discretamentetannico e dotato di buona persistenza gusto-olfattiva.

GAMAY

Sinonimi: gamay noir, gamay noir à jus blanc, gamay beaujolais, bourguignonnoir, gamay piccolo nero, gamay thomas.Cenni storici: questo vitigno è stato introdotto dalla Francia in Italia, soprat-tutto in Valle d’Aosta, per la precocità e la notevole resistenza.Zone di coltivazione: è molto diffuso in Francia (escluse poche zone), e si adat-ta molto bene ai terreni granitici del Beaujolais; è coltivato anche in Svizzera epiuttosto limitatamente in Italia, per esempio in Valle d’Aosta, Toscana e Umbria.Caratteristiche: foglia media, orbicolare, talvolta trilobata, pagina superiore leg-germente bollosa, di colore verde chiaro. Grappolo medio-piccolo, compatto, ci-lindrico, un po’ alato. Acino medio, ellissoidale, con buccia pruinosa, piuttostofine ma resistente, di colore blu molto scuro, quasi nero.Maturazione: prima quindicina di settembre.Produttività: media e costante.Vigoria: media.

GARGANEGA

Sinonimi: garganega di Gambellara, oro, biancazza d’oro, garganega comune,uva della Madonna.Cenni storici: questo vitigno ha probabilmente origini greche, e viene già cita-to da Pier de’ Crescenzi nel suo “Trattato dell’Agricoltura”.

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Zone di coltivazione: è molto diffuso nel veronese, nel vicentino ed in parte suiColli Euganei. In Sicilia è diffuso il grecanico, pressoché identico.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pagina superiore glabra, di coloreverde chiaro, un po’ bollosa ed opaca. Grappolo molto grande, cilindro-pirami-dale, alato, piuttosto spargolo. Acino medio, sferico, con buccia pruinosa, sot-tile, di colore giallo-dorato.Maturazione: seconda metà di settembre, inizio ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: media.

La garganega dà un vino di colore giallo paglierino, con profumo abbastanza in-tenso, floreale e fruttato. Il gusto è piacevolmente equilibrato tra freschezza emorbidezza, dotato di media struttura e discreta persistenza gusto-olfattiva.

GIRÒ

Sinonimi: girò sardo, girone di Spagna, girone comune, nieddu allu, axina bar-xa, vargiu (per il colore vario).Cenni storici: questo vitigno, forse una mutazione dell’alicante-grenache, è sta-to importato dalla Spagna intorno al 1400, assieme al nasco.Zone di coltivazione: è diffuso in Sardegna, soprattutto nelle province diCagliari, Sassari e Nuoro, ma va lentamente scomparendo.Caratteristiche: foglia media, pentalobata e raramente trilobata, pagina supe-riore di colore verde scuro. Grappolo di media grandezza o grande, piramidale,alato, semispargolo. Acino rotondo, di media grandezza, con buccia di colore ne-ro-violaceo.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: media o abbondante, ma incostante.Vigoria: buona.

GRECANICO DORATO

Sinonimi: recanicu, grecanio, grecanicu biancu.Cenni storici: è un vitigno di chiara origine greca, con molte affinità con il gar-ganega ma molto diverso dal greco.Zone di coltivazione: è diffuso nel trapanese e si sta affermando anche nel pa-lermitano.

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Caratteristiche: foglia media, pentalobata, pagina superiore un po’ aracnoi-dea. Grappolo medio-lungo o lunghissimo, cilindrico, alato, molto spargolo.Acino di grandezza media, più o meno sferico, con buccia molto pruinosa, dicolore giallo-verdastro, ma nelle parti più esposte al sole è ambrato tendenteal rosa.Maturazione: seconda decade di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

GRECHETTO

Sinonimi: grechetto nostrale o greco spoletino, greco bianco di Perugia, stroppavolpe, pulce.Cenni storici: questo vitigno ha origini sconosciute, anche se in Umbria è con-siderato un vitigno autoctono, nonostante il nome ricordi le uve bianche dellafamiglia del greco.Zone di coltivazione: è diffuso principalmente nella zona di Todi, ma è in co-stante espansione nel resto dell’Umbria e in altre aree dell’Italia centrale.Caratteristiche: foglia media, allungata, pentagonale, trilobata e, in alcuni casi,pentalobata od intera, pagina superiore bollosa o rugosa, di colore verde intenso.Grappolo di media grandezza o piccolo, cilindrico o cilindro-conico, spargolo o se-miserrato. Acino di media grandezza, ovale, con buccia mediamente pruinosa, sot-tile, consistente, di colore giallastro. Produttività: da media ad abbondante, ma non costante.Maturazione: fine settembre.Vigoria: buona.

Il colore del vino ottenuto dal vitigno grechetto è giallo paglierino tendente al do-rato, ed il profumo è intenso e fruttato. Il gusto esprime un buon equilibrio tra fre-schezza e sensazioni pseudocaloriche, sapidità, morbidezza, buona struttura eduna persistenza aromatica con sfumature ammandorlate.

GRECO DI TUFO

Sinonimi: greco del Vesuvio, greco della Torre, grieco, greco di Napoli.Cenni storici: è un nobile vitigno di antichissima origine. La sua coltivazione,nota fin dall’epoca romana, avveniva sulle pendici vesuviane e sembra risalire

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al I secolo a.C. Dovrebbe derivare dalla “aminea gemella”, pregevolissima fa-miglia di viti di origine greca, descritta e lodata da Virgilio nelle “Georgiche”.Zone di coltivazione: la sua terra d’elezione è la Campania e precisamente Tufo,in provincia di Avellino; ora è diffuso anche nelle province limitrofe e in altreregioni del centro-sud.Caratteristiche: foglia media, orbicolare, trilobata e solo in qualche caso penta-lobata, pagina superiore glabra, con nervature verdi. Grappolo medio o piccolo, ci-lindrico o leggermente conico, serrato, spesso alato con un’ala molto sviluppata.Acino medio o piccolo, sferoidale, irregolare, con buccia pruinosa, abbastanzaspessa, di colore giallastro con punteggiature brune, o grigio-ambrato nelle par-ti più esposte al sole.Maturazione: mese di ottobre.Produttività: mediamente abbondante.Vigoria: buona.

Il greco di Tufo dà un vino di colore giallo paglierino tendente al dorato, con pro-fumo fruttato di frutta a polpa gialla matura. Il gusto esprime una struttura ba-sata su note sapide e fresche, supportate da buona morbidezza e piacevoli sen-sazioni pseudocaloriche, con una persistenza aromatica lunga e piacevole.

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GRECO NERO

Sinonimi: marcigliana nera, marzigliano (in provincia di Catanzaro).Cenni storici: questo vitigno ha probabilmente origini greche, ma permango-no molte incertezze.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in Calabria.Caratteristiche: foglia con piccolissime dentature, pentalobata, pagina superio-re di colore verde chiaro. Grappolo cilindrico o conico, compatto, semplice o conali poco pronunciate. Acino di forma oblunga, con buccia di colore quasi nero.Maturazione: ultimi giorni di settembre e primi di ottobre.Produttività: regolare.Vigoria: media.

GRIGNOLINO

Sinonimi: barbesino, verbesino, balestra, arlandino, girondino, rossetto.Cenni storici: le origini di questo vitigno sono tra le colline piemontesi dell’a-stigiano e del casalese, e le prime notizie risalgono alla fine del 1700.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto sulle colline della zona più setten-trionale dell’astigiano e in piccoli areali collinari limitrofi.Caratteristiche: foglia media, trilobata, a volte pentalobata, pagina superiore gla-bra, di colore verde scuro, rugosa. Grappolo medio-grande, compatto, cilindricoo piramidale, frequentemente con due ali. Acino piuttosto piccolo, leggermenteovale, con buccia molto pruinosa, sottile, di colore rosso-violaceo.Maturazione: primi giorni di ottobre.Produttività: buona, ma molto incostante.Vigoria: media o buona.

Il grignolino dà un vino di colore rosso rubino vivace dotato di buona trasparen-za. Il profumo è delicatamente fruttato e il gusto è piacevole, con buone note difreschezza e sapidità, tannini poco pronunciati ed un adeguato equilibrio.

GRILLO

Sinonimi: riddu.Cenni storici: di probabili origini pugliesi, in seguito all’invasione fillosserica que-sto vitigno fu portato a Marsala, dove tuttora è molto coltivato, da dove si è dif-fuso in altre aree siciliane.

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Zone di coltivazione: è diffuso in Sicilia.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, tondeggiante, a volte quasi orbi-colare, pentalobata od intera, pagina superiore glabra, poco lucida, di colore ver-de intenso. Grappolo medio, cilindrico e conico, semplice, poche volte alato, spar-golo o mediamente spargolo. Acino medio-grande, sferoidale, regolare, conbuccia poco pruinosa, spessa e consistente, trasparente, di colore giallo dorato.Maturazione: seconda quindicina di settembre.Produttività: buona e costante.Vigoria: ottima.

GUARNACCIA

Sinonimi: uarnaccia, cannamelu. Cenni storici: le origini di questo vitigno sono incerte, probabilmente siciliane.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nella provincia di Napoli.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, qualche volta orbicolare, trilobata,pagina superiore glabra, di colore verde. Grappolo medio, allungato, conico, sem-plice o con un’ala, mediamente compatto. Acino medio, sub-rotondo, regolare,con buccia molto pruinosa, consistente, di colore che va dal verdognolo al gial-lo ambrato.Maturazione: seconda quindicina di settembre.Produttività: regolare.Vigoria: buona.

IMPIGNO

Sinonimi: non si conoscono.Cenni storici: questo vitigno fu importato nell’agro di Ostuni dalla zona diMartina Franca, verso l’inizio del ‘900, da un agricoltore del luogo soprannomi-nato “impigno”.Zone di coltivazione: è diffuso soltanto nel brindisino.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata, pagina superiore gla-bra, opaca, di colore verde bottiglia. Grappolo di media grandezza, a formasemplice od alata, poco serrato. Acino medio, ovoidale, regolare, con buccia nonpruinosa, sottile e poco consistente, di colore verde ambrato.Maturazione: seconda quindicina di settembre.

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Produttività: buona, abbondante.Vigoria: buona.

INCROCIO MANZONI 2.15

Sinonimi: incrocio manzoni 2-15, manzoni nero, prosecco x cabernet sauvignon2-15.Cenni storici: questo vitigno è un interessante incrocio tra prosecco e caber-net sauvignon, con sentori piuttosto erbacei, ottenuto dal Prof. Luigi Manzonia Conegliano tra il 1924 e il 1930.Zone di coltivazione: è diffuso in provincia di Treviso ed è spesso vinificato inuvaggio con merlot, cabernet o altri vitigni.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, trilobata, pagina inferiore aracnoi-dea, di colore verde chiaro. Grappolo medio-piccolo, piramidale, compatto, conun’ala. Acino medio, sferoidale, con buccia spessa, di colore blu-nero.Maturazione: prima e seconda decade di settembre.Produttività: buona e costante.Vigoria: notevole.

INCROCIO TERZI N. 1

Sinonimi: barbera x cabernet franc.Cenni storici: questo vitigno è stato ottenuto per incrocio tra barbera e caber-net franc dal viticoltore bergamasco Riccardo Terzi.Zone di coltivazione: è diffuso in Lombardia, nel bresciano e nel bergamasco.Caratteristiche: foglia di grandezza media, pentagonale allungata, pentaloba-ta. Grappolo di grandezza media, mediamente compatto, piramidale, a volte conuna o due ali non molto pronunciate.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.Produttività: buona e regolare.Vigoria: ottima.

LAGREIN

Sinonimi: lagrain, lagarino, lagrein langestieligen.Cenni storici: questo vitigno è coltivato da epoca remota nella piana di Bolzano-Gries. Già nel secolo XVII, i Padri Benedettini del Convento di Muri di Gries

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(Bolzano), ne esaltavano le doti, definendolo come il migliore vino di quel pe-riodo.Zone di coltivazione: è molto diffuso in Trentino e Alto Adige.Caratteristiche: foglia più che media, pentagonale, trilobata, pagina superioreglabra, opaca, di colore verde scuro. Grappolo un po’ piramidale, talvolta corto,tozzo, con una o due ali, mediamente compatto. Acino medio, di forma ovoida-le regolare, con buccia pruinosa, spessa, consistente, di colore blu-nero.Maturazione: prima quindicina di ottobre.Produttività: abbondante, non sempre costante.Vigoria: notevole.

Il lagrein dà un vino di colore rosso rubino intenso e profondo, con un profumofine e fruttato, arricchito da alcune note vegetali e qualche ricordo di viola, checon l’affinamento si arricchisce di sentori balsamici e di cioccolato. Il gusto è sec-co e sapido, ben equilibrato nelle doti di freschezza e morbidezza, mentre la com-ponente tannica non è aggressiva, ma contribuisce a dare una struttura elegan-te che rende questo vino adatto all’affinamento.

LAMBRUSCO DI SORBARA

Sinonimi: lambrusco sorbarese.Cenni storici: le sue origini si fanno risalire alla “labrusca”, la Vitis silvestris spon-tanea degli Appennini, già nota nell’antichità come altre viti selvatiche, ricorda-te per primo da Pier de’ Crescenzi nel 1300. Nel XVI secolo il Soderini e nell’800l’Acerbi, hanno trattato i vari lambruschi più dettagliatamente.Zone di coltivazione: è diffuso esclusivamente in provincia di Modena e rap-presenta uno dei più classici lambruschi emiliani.Caratteristiche: foglia piuttosto piccola, pentagonale, quasi intera o con accennoa tre lobi, pagina superiore liscia, di colore verde, opaca. Grappolo di grandezza me-dia, allungato, piramidale, con un’ala, generalmente molto spargolo. Acino medio,sub-rotondo, con buccia molto pruinosa, spessa e consistente, di colore blu-nero.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.Produttività: relativamente costante ma piuttosto scarsa, discreta solo nelle an-nate in cui la colatura è meno accentuata.Vigoria: notevolissima.

Il colore del vino ottenuto dal lambrusco di Sorbara è rosato o rosso rubino chia-ro e vivace secondo il sistema di vinificazione, abbastanza trasparente. Il profu-

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mo è mediamente intenso e fruttato, con riconoscimenti di lamponi, fragole e, de-licatamente, di viola. Il gusto ha buona freschezza e morbidezza, piacevole sapi-dità e media struttura.

LAMBRUSCO GRASPAROSSA

Sinonimi: lambrusco di Castelvetro, lambrusco di Spezzano.Cenni storici: questo vitigno deriva con molta probabilità da uve selvatiche, pro-pagate a seme e successivamente addomesticate.Zone di coltivazione: è molto diffuso nelle province di Modena e Mantova.Caratteristiche: foglia media, tondeggiante, pentagonale, ma anche intera o tri-lobata, pagina superiore con superficie ondulata, di colore verde cupo. Grappolomedio, allungato, spargolo, piramidale, con un’ala molto pronunciata. Acino me-dio, sub-ovale, con buccia molto pruinosa e molto spessa, consistente, di colo-re blu-nero.Maturazione: inizio ottobre.Produttività: media e costante.Vigoria: buona.

LAMBRUSCO MAESTRI

Sinonimi: grappello maestri, lambrusco di Spagna.Cenni storici: di origini risalenti alle “vitis labrusche” come i precedenti, si pen-sa che il suo nome derivi dalla Villa Maestri, nel comune di S. Pancrazio (Parma),da dove poi si sarebbe diffuso in altre zone emiliane.Zone di coltivazione: è principalmente diffuso in Emilia, nel parmense e reg-giano, ma è stato recentemente introdotto in alcune aree del sud, dove si di-stingue per vigore e produttività grazie alla sua grande adattabilità.Caratteristiche: foglia media, trilobata o quasi intera, nervature rosate alla ba-se in entrambe le pagine, con denti poco pronunciati. Grappolo di grandezza me-dia, allungato, cilindro-piramidale, generalmente con un’ala, un po’ compatto.Acino un po’ piccolo, sub-rotondo, con buccia molto pruinosa, coriacea, di co-lore blu-nero.Maturazione: prima quindicina di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

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LAMBRUSCO MARANI

Sinonimi: grappello ruberti.Cenni storici: le origini sono simili a quelle degli altri lambruschi. Zone di coltivazione: è diffuso principalmente nel modenese e nel reggiano.Caratteristiche: foglia media, tondeggiante, trilobata, con dentatura poco pro-nunciata. Grappolo medio-grande, allungato, cilindro-piramidale, mediamentecompatto. Acino di media grandezza, sferoidale, con buccia pruinosa, spessa, con-sistente, di colore blu-nero. Maturazione: primi di ottobre in provincia di Reggio Emilia.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

LAMBRUSCO SALAMINO

Sinonimi: lambrusco di Santa Croce.Cenni storici: le origini sono simili a quelle degli altri lambruschi.Zone di coltivazione: è diffuso in Emilia, prevalentemente in provincia diModena e in aree limitrofe.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, trilobata, con denti poco pronun-ciati, pagina superiore bollosa, di colore verde intenso, opaca. Grappolo medio,cilindrico, compatto o alato. Acino generalmente medio, sferoidale, con bucciapruinosa, consistente, di colore blu-nero.Maturazione: prima quindicina di ottobre.Produttività: buona e costante.Vigoria: buona.

LAMBRUSCO VIADANESE

Sinonimi: lambrusco di Viadana, grappello ruberti, montecchio.Cenni storici: le origini sono simili a quelle degli altri lambruschi.Zone di coltivazione: è diffuso nel mantovano e in minima parte nel cremonese.Caratteristiche: foglia di media grandezza, pentagonale, trilobata, pagina su-periore glabra, opaca. Grappolo medio, cilindrico, abbastanza compatto. Acinomedio, sferoidale, con buccia molto pruinosa, spessa e consistente, di colore blu-nero.

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Maturazione: primi di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

MACERATINO

Sinonimi: aribona, greco, matelicano, montecchiese, ribona.Cenni storici: questo vitigno era già noto nelle Marche fin dai tempi deiRomani e la sua stessa denominazione può essere dovuta al fatto che fosse dif-fuso nella zona di Macerata. Deriva con molta probabilità dal vitigno greco, chea sua volta discenderebbe dalle viti “aminee” coltivate nell’agro di Faleria (oraFalerone).Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nella provincia di Macerata. Caratteristiche: foglia grande, orbicolare, pentalobata. Grappolo medio-gran-de, compatto, cilindrico o cilindro-conico. Acino medio, rotondo, con buccia me-diamente pruinosa, consistente, di colore giallo-dorato.Maturazione: prima quindicina di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: medio-buona.

MALVASIA BIANCA LUNGA

Sinonimi: malvagia, malvasia del Chianti, malvasia di Toscana, sgranarella.Cenni storici: questo vitigno è originario della Grecia, coltivato e diffuso da di-versi secoli sulle colline chiantigiane. Zone di coltivazione: è molto diffuso in Toscana, Lazio, Umbria, ma si trova an-che in Puglia, Sicilia ed altre zone. Caratteristiche: foglia medio-grande o grande, pentagonale, pentalobata, pa-gina superiore glabra, di colore verde bottiglia. Grappolo grande, compatto, al-lungato, piramidale, in genere con due ali. Acino medio o piccolo, sferoidale, re-golare, con buccia pruinosa, abbastanza consistente, di colore paglierino con sfu-mature verdoline o dorate.Maturazione: seconda decade di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: notevole.

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MALVASIA DEL LAZIO

Sinonimi: malvasia nostrale, malvasia gentile, malvasia col puntino, malvasiapuntinata.Cenni storici: come tutta la famiglia delle malvasie, questo vitigno ha originigreche, e lo stesso nome deriverebbe da quello della città di Monemvasia; fu im-portato in Italia nel 1200, ai tempi della Repubblica Veneziana.Zone di coltivazione: è largamente diffuso nel Lazio e, seppure limitatamente,in altre zone del centro-sud.Caratteristiche: foglia media, orbicolare, trilobata e raramente pentalobata, pa-gina superiore glabra. Grappolo di media grandezza, conico, spesso alato e pi-ramidale, serrato o semispargolo per leggera colatura. Acino di media grandez-za, rotondo, con buccia mediamente pruinosa, di colore giallastro con punteg-giature e macchie marroni.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: da scarsa a media e incostante.Vigoria: ottima.

La malvasia del Lazio dà un vino di colore giallo paglierino tenue, con un pro-fumo abbastanza intenso e fruttato. L’esame gustativo esprime buon equilibriotra freschezza e sensazioni pseudocaloriche, con piacevole finale ammandor-lato.

MALVASIA DI CANDIA AROMATICA

Sinonimi: malvasia, malvasia bianca aromatica, malvasia di Candia a sapore dimoscato, malvasia di Candida.Cenni storici: le origini di questo vitigno sono sconosciute, poiché non appar-tiene alla grande famiglia delle malvasie, ma si avvicina di più a quella dei mo-scati. Studi ampelografici classici riportano raramente la citazione “malvasia diCandia”, mentre è più frequente trovare una “malvasia a sapore moscato”.Questa malvasia è citata da Bramieri (1818) come “malvagìa dal grappolo as-sai spargolo”, dal Rovasenda (1877) come “malvasia coltivata ad Alessandria, si-mile a quella di Asti, che è a sapore moscato”, ed anche dal Molon (1906) chela descrive come “malvasia di Alessandria”.Zone di coltivazione: questo vitigno è diffuso soprattutto sui colli delle pro-vince di Piacenza, Parma e nell’Oltrepò Pavese.

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Caratteristiche: foglia mediamente grande, pentagonale, pentalobata, paginasuperiore glabra, di colore verde, un po’ lucida. Grappolo medio-grande, allun-gato, piramidale, dotato di numerose ali, spargolo. Acino medio, rotondo, rego-lare, con buccia pruinosa, spessa e consistente, di colore giallo dorato caratte-ristico dei moscati. Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: media e abbastanza costante.Vigoria: medio-buona.

La malvasia di Candia aromatica dà un vino di colore giallo paglierino chiaro, conprofumi delicati di frutta fresca e buona sapidità gustativa. È particolarmente im-piegata in uvaggi e si presta anche alla spumantizzazione.

MALVASIA DI CASORZO

Sinonimi: malvasia nera di Piemonte, moscatellina.Cenni storici: questo vitigno ha probabili origini greche, così come la malva-sia di Castelnuovo Don Bosco, entrambe a bacca nera e leggermente aromati-che.Zone di coltivazione: è diffusa in alcune aree delle province di Asti edAlessandria.Caratteristiche: foglia di media-grandezza, grappolo relativamente grande,abbastanza spargolo, piramidale, alato. Acino medio, ellissoidale, con buccia prui-nosa, spessa, di colore blu-nero.Maturazione: prima decade di ottobre.Produttività: abbondante e costante. Vigoria: buona, fino a ottima.

MALVASIA DI CASTELNUOVO DON BOSCO

Sinonimi: malvasia di Schierano. Cenni storici: questo vitigno appartiene alla grande famiglia delle malvasie edha certamente origini greche, anche se di provenienza incerta.Zone di coltivazione: è diffuso nella zona ristretta di Castelnuovo Don Boscoe comuni limitrofi, in provincia di Asti.

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Caratteristiche: foglia media, pentagonale, allungata, pentalobata o anche tri-lobata, pagina superiore glabra. Grappolo di media lunghezza, mediamentecompatto, tronco-piramidale. Acino medio, un po’ ellissoidale, con buccia prui-nosa, piuttosto spessa e consistente, di colore blu-nero.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: da media ad abbondante.Vigoria: buona.

MALVASIA DI LIPARI

Sinonimi: malvasia bianca.Cenni storici: sembra che questo vitigno aromatico sia giunto nell’isola diSalina per merito di colonizzatori greci verso l’anno 588 a.C.Zone di coltivazione: è diffuso nelle isole Eolie.Caratteristiche: foglia media, tondeggiante, pentalobata, pagina superiore dicolore verde chiaro, glabra. Grappolo medio, lungo, cilindrico o tronco-conico,semplice, semispargolo. Acino medio o piccolo, sub-rotondo o rotondo, conbuccia giallo-dorata.Maturazione: prima e seconda decade di settembre.Produttività: poco costante.Vigoria: buona.

MALVASIA DI SARDEGNA

Sinonimi: malmazia, malvagia.Cenni storici: questo vitigno ha origini greche ed è stato importato molto pro-babilmente in Sardegna durante le dominazioni bizantine.Zone di coltivazione: è diffuso soltanto in Sardegna.Caratteristiche: foglia media, orbicolare, pentalobata, pagina superiore di co-lore verde. Grappolo medio, semispargolo, cilindro-conico, spesso alato o pira-midale. Acino medio, sub-ovale, con buccia giallo-dorata.Maturazione: fine settembre.Produttività: discretamente abbondante e costante.Vigoria: ottima.

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MALVASIA ISTRIANA

Sinonimi: malvasia bianca, malvasia friulana, malvasia del Carso, malvasiad’Istria, malvasia.Cenni storici: anche questo vitigno fa parte della grande famiglia delle mal-vasie di origine ellenica e la sua coltivazione in Friuli-Venezia Giulia risale al300 d.C.

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Zone di coltivazione: è diffuso in Friuli-Venezia Giulia e Veneto, ma recente-mente è coltivato anche in Sardegna.Caratteristiche: foglia medio-grande, leggermente trilobata o quasi intera, conpagina superiore glabra, di colore verde chiaro. Grappolo di medie dimensioni,quasi cilindrico, abbastanza compatto o leggermente spargolo, spesso con un’a-la. Acino medio, di forma sferica, regolare, con buccia pruinosa, di media con-sistenza, di colore verde giallognolo.Maturazione: fine settembre.Produttività: abbondante ed abbastanza costante.Vigoria: ottima.

MALVASIA NERA DI BRINDISI

Sinonimi: malvasia nera di Lecce, malvasia negra, malvasia nera di Candia,malvasia nera di Bari, malvasia nera di Basilicata.Cenni storici: è una malvasia a bacca nera, arrivata in Puglia dalla città diMonemvasìa.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nelle province di Lecce e Brindisi.Caratteristiche: foglia grande, pentalobata, con pagina superiore glabra, opaca.Grappolo di media grandezza, a forma conica, semplice od alato. Acino medio,sferoidale, regolare, con buccia pruinosa, consistente, di colore nero violaceo.Maturazione: fine settembre, prima decade di ottobre.Produttività: media ma costante.Vigoria: buona.

MANZONI BIANCO

Sinonimi: riesling renano x pinot bianco, incrocio manzoni 6.0.13.Cenni storici: questo vitigno è un interessante incrocio tra riesling renano e pi-not, ottenuto dal Prof. Luigi Manzoni presso la Scuola Enologica di Conegliano,tra il 1930 e il 1935.Zone di coltivazione: è diffuso in provincia di Trento, nel Veneto e in Friuli-Venezia Giulia, anche se viene sempre più utilizzato nelle regioni meridionali.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata. Grappolo piccolo, cor-to e tozzo, spesso con un’ala lunga. Acino medio-piccolo, sferoidale, con buc-cia molto pruinosa, consistente, di colore giallo tendente al verde.

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Maturazione: primi quindici giorni di settembre.Produttività: media.Vigoria: scarsa.

MARZEMINO

Sinonimi: berzemino, berzamino, marzemina d’Isera, marzemino gentile, berzamin.Cenni storici: questo vitigno era del tutto sconosciuto prima del 1400, ed è poicomparso in alcune zone venete e nel bresciano. Alla fine dell’800 era mag-giormente diffuso il marzemino padovano o negron, più produttivo ma di scar-sa qualità.Zone di coltivazione: è diffuso in Trentino e nelle vicine province lombarde evenete. In Vallagarina, in provincia di Trento, è attualmente diffuso soltanto ilmarzemino “gentile”, che trova ad Isera e Volano le aree più vocate per la pro-pria coltivazione. Caratteristiche: foglia media, molto consistente, trilobata, pentagonale, con laparte centrale più allungata, pagina superiore di un bel verde intenso, bordo for-mato da denti molto pronunciati e irregolari. Il grappolo è di dimensioni medio-grandi, leggermente spargolo, cilindro-piramidale, con una e spesso due ali mol-to pronunciate, le caratteristiche “rece”. L’acino è di grandezza media, regolare,con buccia molto pruinosa, piuttosto sottile ma consistente, di colore blu-nero.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.Produttività: buona e costante.Vigoria: ottima.

MERLOT

Sinonimi: galot, merlò in Italia; vitraille, merlan, bigney in Francia.Cenni storici: questo vitigno è di origine francese, in particolare della zona del-la Gironda e, più precisamente, del Medoc. Le prime notizie della sua coltiva-zione in Italia risalgono alla seconda metà dell’800, come testimonia la colle-zione ampelografica della Scuola di Viticoltura e di Enologia di Conegliano del1880 circa.Zone di coltivazione: è diffuso in molte aree viticole di diverse nazioni, ed an-che il nostro paese non fa eccezione, soprattutto per quanto riguarda le regio-ni nord-orientali.

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Caratteristiche: foglia media, pentagonale, trilobata o pentalobata, con paginasuperiore glabra, di colore verde chiaro, opaca. Grappolo di media grandezza ecompattezza, piramidale, alato, con una o due ali, lungo tra i 15 ed i 20 cm. Acinomedio, sferico, regolare, con buccia pruinosa, consistente, di colore blu-nero.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

Il merlot dà un vino di colore rosso rubino con sfumature violacee molto profonde,con un profumo intenso, fruttato e vegetale che, con la maturità, tende ad espri-mere note di confettura e delicatamente speziate. L’esame gustativo rivela mor-bidezza e buone sensazioni pseudocaloriche, media freschezza e tannicità sem-pre discreta, con persistenza aromatica lunga e piacevole.

MOLINARA

Sinonimi: rossara, rossanella, breppon, ros-sanella gentile.Cenni storici: questo vitigno ha origini in-certe e le prime notizie risalgono al Pollini(1818). La denominazione deriva da “muli-nara”, per il fatto che i suoi acini, vistosa-mente pruinosi, sembrano ricoperti di farina.Zone di coltivazione: è diffuso in provinciadi Verona, particolarmente in Valpolicella eValpantena, dove è ritenuto vitigno autoc-tono.Caratteristiche: foglia piuttosto grande, tri-lobata, a volte con accenno ad altri due lo-bi, con pagina inferiore quasi glabra.Grappolo di media grandezza, piramidale,con due ali corte, spargolo. Acino medio, conbuccia molto pruinosa, di colore rosso-vio-laceo.Maturazione: inizio ottobre.Produttività: discreta ma costante.Vigoria: elevata. Molinara

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MONICA

Sinonimi: munica, monaca, pascale, miedda, pascali.Cenni storici: questo vitigno, affine al malaga, è stato introdotto in Italia dal-la Spagna col nome di morillo od uva mora. Zone di coltivazione: è diffuso in diverse zone della Sardegna.Caratteristiche: foglia media, orbicolare, pentalobata, pagina superiore di co-lore verde chiaro. Grappolo medio-grande, cilindrico o cilindro-conico, spessoalato e piramidale, semispargolo. Acino di media grandezza, con buccia consi-stente, di colore nero-violaceo.Maturazione: fine settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

MONTEPULCIANO

Sinonimi: montepulciano d’Abruzzo, uva abruzzese.Cenni storici: questo vitigno ha origini sconosciute. In passato era erroneamenteconsiderato affine al sangiovese, ma ora si è più propensi a ritenerlo un di-scendente di qualche vitigno di origine greca.Zone di coltivazione: è largamente diffuso in Abruzzo, dove lo si ritiene au-toctono, e nelle regioni adriatiche limitrofe, con un’ampia area coltivata. Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata, pagina superiore bol-losa, di colore verde cupo. Grappolo medio, di forma conica o cilindro-conica,serrato, spesso alato. Acino medio, ovale o sub-ovale, con buccia pruinosa, co-riacea, di colore nero violaceo. Maturazione: tardiva, tra la prima e la seconda decade di ottobre.Produttività: media ed abbastanza costante.Vigoria: media.

Il montepulciano dà un vino di colore rosso rubino profondo, tendente al grana-to con il passare del tempo. Il profumo è intenso e fruttato, con note di confet-ture di piccoli frutti rossi, mandorla amara, spezie, ed alcune sensazioni eteree.Il sapore è pieno e ben strutturato, tannico e caldo, morbido e di grande persistenzagusto-olfattiva.

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Montepulciano

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MONTONICO BIANCO

Sinonimi: bottato, caprone, ciappa-rone, racciapollona.Cenni storici: questo vitigno ha ori-gini sconosciute, ma è coltivato inItalia centrale da tempi remoti.Zone di coltivazione: è diffuso, sep-pur marginalmente, in tutte le regio-ni centro-meridionali.Caratteristiche: foglia media o gran-de, pentagonale od orbicolare, pen-talobata. Grappolo grande, allungato,cilindrico o cilindro-conico, abba-stanza compatto. Acino medio-gran-de, rotondo, con buccia abbastanzaspessa e consistente, di colore giallocon sfumature marroni.Maturazione: metà ottobre.Produttività: abbondante e costan-te.Vigoria: ottima.

MONTÙ

Sinonimi: montuni, montuno, bianchino, bianchetto, bianchina. Nel bollettinoampelografico del Ministero dell’Agricoltura (1879) si trova con il nome di mon-toncello.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte; alcuni sostengono che arrivi dal-la Spagna, altri lo ritengono simile al montonico dell’Ascolano. La sua denomi-nazione dovrebbe derivare da “molt’ù”, dal significato dialettale, in bolognese,di molta uva.Zone di coltivazione: è diffuso in provincia di Bologna.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, trilobata. Grappolo medio, compattoo mediamente spargolo, allungato, quasi cilindrico, alato, con una o due ali. Acinomedio, ellissoidale, con buccia pruinosa di colore giallo-verde ambrato.

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Montonico bianco

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Maturazione: prima decade di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

MOSCATO BIANCO

Sinonimi: moscatello, moscato di Canelli, moscato di Trani.Cenni storici: questo vitigno ha origini antichissime, greche ed orientali.Zone di coltivazione: è molto diffuso soprattutto in Piemonte e in OltrepòPavese; è presente anche nelle province di Padova, Siena, Bari e Siracusa.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, tri-pentalobata, con dentatura pro-nunciata, pagina superiore glabra. Grappolo medio, compatto, di forma cilindro-conica, con una o più ali corte. Acino medio, sferico, con buccia poco pruinosa,abbastanza spessa e consistente, di colore giallo dorato, ambrato nella parteesposta al sole, con piccole macchie brunastre.Maturazione: metà settembre.Produttività: buona e regolare.Vigoria: buona.

Il moscato dà un vino di colore giallo paglierino con accentuate sfumature do-rate. Il profumo è molto intenso ed aromatico, fruttato e floreale, con riconosci-menti di rosa, pesca e salvia. Il gusto esprime dolcezza e morbidezza, sensazionipseudocaloriche appena accennate e piacevole freschezza; il finale di bocca è aro-matico e delicatamente amarognolo.

MOSCATO GIALLO

Sinonimi: moscato fior d’arancio, moscat, moscatel, moscato sirio sui ColliEuganei.Cenni storici: questo vitigno, come tutti i moscati, avrebbe origini greche; è unotra i più conosciuti già nell’antichità e dei quali si trovano numerose tracce ecitazioni nei vecchi testi. Ai tempi dei Romani ne parlò Catone ed i moscati era-no chiamati uve “apianae”, dal nome delle api che circondavano i grappoli ma-turi ed odorosi. Nel Rinascimento il loro nome mutò in moscato, sembra a cau-sa della somiglianza con il “muschiato”, essenza allora molto apprezzata. L’operadell’uomo, attraverso diversi incroci, realizzò numerose varietà, come il mo-scato bianco, giallo, nero e rosa. Fin dall’800 esperti ampelografi cercarono di

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elencarli e di classificarli e nel 1893 il Molon ne distinse 24 varietà diverse.Zone di coltivazione: è diffuso in alcune località del Trentino-Alto Adige, deiColli Euganei, del Friuli-Venezia Giulia e della Sicilia.Caratteristiche: foglia media, trilobata, a volte intera, con pagina inferioreglabra. Grappolo medio o piuttosto grande, piramidale, alato, spargolo. Acino me-dio, sferoidale, con buccia di colore giallo dorato piuttosto intenso.Maturazione: da metà a fine settembre.Produttività: buona.Vigoria: buona.

MÜLLER THURGAU

Sinonimi: riesling x sylvaner, riesling renano x sylvaner verde.Cenni storici: questo vitigno è stato ottenuto da un incrocio tra riesling rena-no e madeleine royal, dal Prof. Hermann Müller di Thurgau (Svizzera). Lo stu-dioso fu direttore della sezione di fisiologia vegetale all’Istituto di Geisenheimin Germania nel 1876, e nel 1891 ritornò in Svizzera, a Wadenswill, sempre al-la direzione di un Istituto di ricerche frutticole, dove completò le ricerche su que-sto vitigno, introdotto nel 1939 in Italia, dove si è diffuso rapidamente.Zone di coltivazione: è particolarmente diffuso nelle province di Trento eBolzano, anche se negli ultimi tempi è coltivato un po’ ovunque, sempre peròin zone collinari e di montagna.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata e più raramente trilo-bata, pagina superiore glabra. Grappolo piccolo, cilindro-piramidale, spesso conun’ala molto pronunciata, mediamente compatto. Acino medio, ellissoidale, conbuccia pruinosa, punteggiata, di colore giallo verdognolo, rosato nelle parti piùsottoposte all’azione dei raggi del sole.Maturazione: prima decade di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: notevole.

Il colore del vino ottenuto dal müller thurgau è giallo paglierino con decise sfu-mature verdoline. Il profumo è intenso, fine e fruttato, con riconoscimenti di me-la verde ed erbe aromatiche, e leggeri ricordi vegetali e minerali. Il gusto espri-me buon equilibrio tra freschezza e morbidezza, discreta struttura e piacevole per-sistenza aromatica.

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NASCO

Sinonimi: nascu, nuscu.Cenni storici: è uno dei vitigni più antichi della Sardegna, probabilmente au-toctono.Zone di coltivazione: è diffuso solo in alcune zone della Sardegna.Caratteristiche: foglia media, orbicolare, pentalobata. Grappolo medio, semi-serrato e semispargolo, cilindro-conico, spesso alato e piramidale. Acino medio,rotondo o sub-rotondo, con buccia mediamente pruinosa, sottile e quasi tene-ra, di colore giallo dorato, spesso con screziature marroni.Maturazione: fine settembre.Produttività: scarsa, a causa della limitata resistenza ai parassiti.Vigoria: media.

NEBBIOLO

Sinonimi: nebiolo, nebbiolo del Piemonte, nebbiolo di Carema, nebieul, nebieu,spanna, picoutener, chiavennasca. Cenni storici: le prime notizie di questo vitigno risalgono al 1300. Secondo al-cuni il nome deriverebbe da “nebbia”, in quanto i suoi acini, velati dall’abbon-dante pruina, sembrano circondati da una fitta nebbia, mentre secondo altri sa-rebbe in relazione alla tardiva maturazione dell’uva, che obbliga spesso a ven-demmiare al tempo delle nebbie autunnali. Infine, una versione più antica, fa-rebbe derivare il nome nebbiolo da “nobile”, poiché da questo vitigno si ottie-ne vino “generoso, gagliardo e dolce”.Zone di coltivazione: è diffuso in aree ben delimitate, piemontesi, lombarde evaldostane.Caratteristiche: foglia media o grande, di forma tra pentagonale e orbicolare,trilobata, pagina superiore glabra, di colore verde bottiglia opaco. Grappolomedio o grande, piramidale, allungato, un po’ compatto, alato, spesso con un’a-la molto pronunciata. Acino medio, rotondo e a volte ellissoidale, con buccia sot-tile ma resistente, di colore violaceo scuro, molto pruinosa fino a sembrare gri-gia.Maturazione: tardiva, da metà a fine ottobre.Produttività: buona ma un po’ incostante.Vigoria: buona.

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Nebbiolo

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Il nebbiolo dà vini molto longevi, di colore rosso rubino, presto tendente al gra-nato con sfumature aranciate. Il profumo è molto intenso ed elegante, con sen-tori di prugna e viola, speziato con riconoscimenti di sottobosco e funghi, etereo,arricchito da note di goudron dopo l’invecchiamento. Questo vitigno dà vini im-portanti ed austeri, che all’esame gustativo esprimono sapore pieno, caldo, tan-nico e di grande persistenza aromatica.

NEGRARA

Sinonimi: terodola, doleana, negrara trentina, negrara veronese, edelschwarze,keltertraube.Cenni storici: questo vitigno è giunto nel veronese dal Trentino-Alto Adige edè descritto dal Pollini in un suo testo del 1818.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nelle province di Trento, Bolzano eVerona.Caratteristiche: foglia media, pentalobata, con pagina inferiore vellutata.Grappolo grande, piramidale, alato, abbastanza compatto. Acino grande, sferi-co ma un po’ allungato, con buccia di colore blu-violetto.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: buona.Vigoria: media.

NEGRO AMARO

Sinonimi: jonico, nero leccese, niuru maru, nicra amaro, uva cane.Cenni storici: questo vitigno ha origini sconosciute, ma la sua denominazionederiva dal termine dialettale “niuru maru” - dal colore nero delle bucce e dalsapore amaro del vino - modificato poi in negro amaro.Zone di coltivazione: è la varietà più diffusa nel sud della Puglia, in particola-re nel salentino; entra nella composizione di numerosi e noti vini pugliesi, so-prattutto rosati.Caratteristiche: foglia grande, pentagonale, tri-pentalobata, pagina superioreglabra. Grappolo di media dimensione, corto, a forma conica, serrato. Acino me-dio, ellissoidale, con buccia spessa e consistente, di colore nero-rossastro.Maturazione: fine settembre, prima decade di ottobre.Produttività: abbondante e molto costante.Vigoria: ottima.

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Il negro amaro dà un vino di colore rosso rubino o rosato cerasuolo, secondo il si-stema di vinificazione impiegato. Il profumo è intenso, vinoso e fruttato, con ri-conoscimenti di piccoli frutti a bacca nera. Dotato di media struttura, al gustoesprime un ottimo equilibrio tra freschezza e sensazioni pseudocaloriche, con tan-nicità appena accennata.

NERELLO CAPPUCCIO

Sinonimi: nirello cappuccio, niured-du cappucciu, nireddu cappucciu.Cenni storici: questo vitigno non haorigini documentate con certezza.Zone di coltivazione: è diffuso inCalabria e Sicilia.Caratteristiche: foglia media, orbi-colare, trilobata, pagina superioreglabra, opaca, di colore verde cupo.Grappolo medio, corto, piramidale,compatto. Acino medio, sferoidale,con buccia pruinosa, consistente, dicolore blu-nero.Maturazione: primi di settembre.Produttività: regolare.Vigoria: buona.

Il colore del vino ottenuto dal nerellocappuccio è rosso rubino con sfuma-ture violacee. Il profumo è intenso efruttato, con note eteree se sottopo-sto ad invecchiamento. Il sapore è pie-no, dotato di adeguate note di tanni-cità e grande persistenza aromatica.

NERELLO MASCALESE

Sinonimi: niureddu mascalese, nerello, nireddu, nierello.Cenni storici: si presume che questo vitigno abbia le sue origini nella pianadi Mascali in provincia di Catania, dove si coltiva da almeno un secolo.

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Nerello

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Zone di coltivazione: è diffuso in Sicilia e in Calabria.Caratteristiche: foglia grande, pentagonale, trilobata, pagina superiore glabra,opaca e di colore verde chiaro. Grappolo grande, allungato, conico, piramidale,con una o più ali, di aspetto compatto. Acino medio, sub-ellissoidale, regolare,con buccia molto pruinosa, spessa e consistente, di colore blu chiaro.Maturazione: ultima decade di settembre e prima di ottobre.Produttività: abbondante ma incostante.Vigoria: ottima.

NOSIOLA

Sinonimi: nosiola gentile, nusiola, groppel, spargelen; erroneamente chiamataanche dall’occhio bianco, durella, durello.Cenni storici: non esistono notizie certe sulle origini di questo vitigno, né ci-tazioni storiche, anche se si ritiene che sia diffuso in Trentino per lo meno da-gli inizi dell’800. Certamente è il vitigno a bacca bianca coltivato da più tempoin provincia di Trento, e ha preceduto di decenni l’arrivo dei più famosi vitignifrancesi e tedeschi. La tradizione attribuisce l’etimologia del nome alla somi-glianza del colore della buccia e della forma degli acini a quelli delle nocciole.Zone di coltivazione: è diffuso in Trentino nella valle dei laghi e in Veneto.Caratteristiche: foglia medio-piccola, pentagonale, trilobata, pagina superio-re glabra. Grappolo medio, compatto, allungato, cilindrico, un po’ sottile e tal-volta alato. Acino medio, sferoidale, regolare, con buccia pruinosa, di colore gial-lo-verdastro, a volte dorato.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.Produttività: abbondante ma irregolare.Vigoria: media.

La nosiola dà un vino di colore giallo paglierino, con profumo abbastanza inten-so e fruttato, con riconoscimenti di mela e nocciola. Il gusto è piacevolmente equi-librato tra freschezza e sensazioni pseudocaloriche, con media struttura.

NURAGUS

Sinonimi: meragus, abbondosa, nur, trebbiana, axina de margiai, axina de po-purus, granazza o garnaccia.Cenni storici: alcuni ritengono che questo vitigno abbia origini sarde, mentre

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altri sostengono il suo arrivo in Sardegna al tempo dei Fenici. Il nome sembre-rebbe derivare dai “nuraghi”, antiche costruzioni sarde.Zone di coltivazione: è diffuso in tutta la Sardegna.Caratteristiche: foglia media, pentalobata, raramente trilobata. Grappolo me-dio o grande, serrato o semiserrato, raramente spargolo, conico o cilindro-co-nico, spesso alato e piramidale, simile ad un nuraghe rovesciato, da cui forse hapreso il nome. Acino medio, sub-ovale, sub-rotondo ed anche rotondo, con buc-cia di colore giallo dorato e, a maturazione completa, con sfumature rosa o ros-so fuoco.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre. In Sardegna è l’ultima uva ad es-sere vendemmiata.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: media.

ORTRUGO

Sinonimi: “ortrugo di Rovescala” citato dal Molon nel 1906, e “altrugo” dalBramieri nel 1918.Cenni storici: probabilmente ha avuto origine nelle colline dell’Oltrepò Pavese.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in provincia di Piacenza.Caratteristiche: foglia grande, trilobata, spesso pentagonale, pagina superioreun po’ bollosa, di colore verde chiaro, opaca. Grappolo grande, cilindro-conico,allungato, spesso con un’ala, molto compatto. Acino medio, sferoidale, con buc-cia pruinosa, coriacea, di colore giallo-verdastro.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

OTTAVIANELLO

Sinonimi: ottaviano, ottavianuccia leccese, cinsaut in Francia.Cenni storici: ha origini campane, nel comune di Ottaviano, da dove si è poi dif-fuso in Puglia, nel comune di S. Vito dei Normanni, dov’è tuttora coltivato. Zone di coltivazione: è abbastanza diffuso sulle colline del brindisino e in al-cune zone del Tavoliere salentino. La sua coltivazione si estende fino ai confinitarantini, ma principalmente ad Ostuni.

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Caratteristiche: foglia medio-grande, pentagonale, pagina superiore glabra.Grappolo di grandezza media, allungato o piramidale, semplice, abbastanzaserrato. Acino medio, ellisso-ovoidale, regolare, con buccia pruinosa, delicata,di colore violetto.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: buona.Vigoria: discreta.

PAMPANUTO

Sinonimi: pampanino, rizzulo.Cenni storici: questo vitigno è conosciuto dall’800 e citato in alcuni testi del-l’epoca.Zone di coltivazione: vitigno complementare e molto simile al bianco d’Alessano,è diffuso nelle zone di Corato e Ruvo in provincia di Bari. Caratteristiche: foglia media, pentalobata, pagina superiore glabra, di coloreverde scuro. Grappolo medio-grande, conico-piramidale, semplice od alato, ab-bastanza serrato. Acino medio-grande, rotondo, con buccia discretamente con-sistente, di colore giallo verdastro.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.Produttività: buona. Vigoria: buona.

PASCALE DI CAGLIARI

Sinonimi: giacomino, barberone.Cenni storici: questo vitigno è stato introdotto in Sardegna dalla Toscana neiprimi del 1800 e potrebbe trattarsi di un clone della varietà bonamico.Zone di coltivazione: è diffuso in Sardegna, soprattutto nelle province di Sassarie Nuoro.Caratteristiche: foglia medio-grande, pentalobata o trilobata. Grappolo grande, aforma cilindro-conica. Acino grosso, rotondo, con buccia di colore nero-violaceo.Maturazione: fine settembre.Produttività: ottima.Vigoria: buona.

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PECORINO

Sinonimi: arquitano, promotico, ve-cià, vissanello, pecorino di Osimo,moscianello.Cenni storici: ha probabilmente ori-gini marchigiane. Zone di coltivazione: è diffuso so-prattutto nelle Marche, ma si trovaanche in Abruzzo, Umbria, Lazio e, inminima parte, Toscana e Liguria.Caratteristiche: foglia media, orbi-colare, intera o trilobata, pagina su-periore glabra, di colore verde inten-so. Grappolo medio-piccolo, cilindri-co o cilindro-conico, a volte alato,semispargolo. Acino medio-piccolo,sferico, con buccia sottile ma piutto-sto consistente, abbastanza pruinosa,di colore giallastro, talvolta con scre-ziature marroni. Maturazione: prima metà di settem-bre.Produttività: media ma incostante.Vigoria: media.

PERRICONE

Sinonimi: in passato perricone nero; oggi noto come perricone nel palermitano,pignatello nel trapanese e, erroneamente, nerello cappuccio nell’agrigentino.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte, anche se è coltivato nella Siciliaoccidentale da tempi immemorabili. Zone di coltivazione: è diffuso in Sicilia, ma esistono piccole coltivazioni an-che alle pendici del Vesuvio.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, trilobata, in pochi casi pentalobata,pagina superiore glabra, liscia, di colore verde scuro. Grappolo medio, conico-pi-

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ramidale, talvolta allungato, compatto, con un’ala pronunciata. Acino medio, sfe-rico, con buccia molto pruinosa, spessa e coriacea, di colore blu-nero.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: media e costante.Vigoria: ottima.

PETIT ROUGE

Sinonimi: picciourouzzo, oriou picciou.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte; alcuni lo considerano autocto-no della Valle d’Aosta, dove è tuttora coltivato, mentre per altri proviene dallaBorgogna.Zone di coltivazione: è diffuso in alcune zone dell’Alta Valle d’Aosta.Caratteristiche: foglia media, trilobata, appena pentalobata, pagina superioreglabra, di colore verde cupo. Grappolo medio-piccolo, mediamente compatto, aforma tronco-piramidale, con una o due ali. Acino piccolo, rotondo, con bucciamolto pruinosa, sottile, di colore blu-viola.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: notevole e regolare.Vigoria: ottima.

PICOLIT

Sinonimi: uva del Friuli, piccolito, piccolito del Friuli.Cenni storici: questo vitigno è coltivato in Friuli-Venezia Giulia da moltissimotempo.Zone di coltivazione: è diffuso sulle colline del cividalese, dove si sviluppa conil caratteristico aborto floreale.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, trilobata o pentalobata, pagina su-periore glabra, di colore verde chiaro, opaca. Grappolo piccolo, piramidale, tal-volta con un’ala, acinellato; normalmente ogni grappolo porta 15-30 acini.Acino piccolo, ellissoidale, con buccia pruinosa, consistente, di colore verde do-rato un po’ punteggiato, trasparente.Maturazione: fine settembre, primi ottobre.Produttività: molto scarsa.Vigoria: buona.

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Il picolit dà un vino di colore giallo paglierino tendente al dorato, con profumointenso, caratteristico e fruttato. Il gusto è amabile o dolce, con discreta freschezzae sensazioni pseudocaloriche, buona struttura e persistenza aromatica amman-dorlata e molto lunga.

PIEDIROSSO

Sinonimi: piede di colombo, per’e palummo, palumbina nera, piedepalumbo,strepparossa.Cenni storici: questo vitigno ha origini antichissime, era conosciuto già in epo-ca romana ed è descritto dal naturalista Plinio nella sua opera “NaturalisHistoriae”.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in Campania, principalmente nellazona di Napoli, anche se la sua coltivazione si va estendendo anche nelle pro-vince di Avellino e Salerno.Caratteristiche: foglia medio-grande, quasi orbicolare, pentalobata, pagina su-periore glabra. Grappolo grande, alato, mediamente spargolo. Acino medio-grande, sub-rotondo, con buccia pruinosa, spessa e quasi coriacea, di colore ros-so violaceo intenso.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

Il piedirosso dà un vino di colore rosso rubino, con profumo intenso e floreale divioletta, con sentori speziati ed animali. Il sapore è pieno, rustico, tannico, caldoe di lunga persistenza gusto-olfattiva.

PIGATO

Sinonimi: non se ne conoscono. Il suo nome può derivare dalla voce dialettale“pigau”, che significa macchiettato, o dal latino “picatum”, che era un vino aro-matizzato con pece. Cenni storici: questo vitigno, secondo alcuni studiosi, è originario della Tessaglia(Grecia), ed è arrivato in Liguria nel 1600 circa.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nella Riviera Ligure di Ponente, inprovincia di Savona, nella piana di Albenga e nella valle dell’Arroscia.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata, pagina superiore glabra.

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Grappolo medio, abbastanza compatto, corto, conico, semplice o alato. Acinomedio, sferoidale ed allungato, con buccia pruinosa, di medio spessore, di coloregiallo dorato-ambrato quando è ben esposta al sole, con macchie scure.Maturazione: ultima decade di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

Il colore del vino ottenuto dal pigato è giallo paglierino con leggeri riflessi oro-verde; il profumo è intenso, fruttato e floreale, con sentori vegetali e di erbe aro-matiche. La struttura gustativa si basa su note sapide e fresche, supportate da buo-ne componenti di morbidezza, media struttura e persistenza aromatica lunga epiacevole con scia ammandorlata.

PIGNOLETTO

Sinonimi: alionzina, aglionzina, pignolo, pignolino.Cenni storici: questo vitigno non ha origini precise e i riferimenti alle “uve pi-gnole” possono essere considerati quelli del Tanara (1654). È certamente colti-vato da oltre un secolo sui colli vicino a Bologna ma, prima del riconoscimen-to ottenuto con D.M. del 18/09/1978, fu oggetto di malintesi tra vivaisti e viti-coltori, che a volte lo hanno confuso con il pinot bianco o il riesling italico.Zone di coltivazione: è prevalentemente diffuso in provincia di Bologna, doveraggiunge livelli qualitativi di assoluto interesse nelle aree collinari.Caratteristiche: foglia pentagonale, trilobata, più lunga che larga, pagina su-periore aracnoidea, di colore verde chiaro. Grappolo medio, lungo, quasi cilin-drico, piuttosto serrato, raramente alato. Acino di media grandezza, leggermenteellissoidale, con buccia pruinosa, spessa, di colore giallo dorato-verdognolo.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: non abbondante ma costante.Vigoria: ottima.

PINOT BIANCO

Sinonimi: borgogna bianco, pinot verde, weissburgunder.Cenni storici: questo nobile vitigno, derivante da una mutazione genetica del pi-not nero, ha origini antiche, risalenti all’epoca romana, probabilmente alsaziane.

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Zone di coltivazione: è molto diffuso e apprezzato in molte regioni italiane, so-prattutto in quelle settentrionali, ed è oggetto di particolari attenzioni e con-trolli presso diversi centri specializzati.Caratteristiche: foglia medio-piccola, pentagonale, tondeggiante, pagina su-periore glabra, di colore verde cupo, bollosa, un po’ lucida. Grappolo piccolo, lun-go 12 cm circa, cilindrico, abbastanza compatto e spesso con un’ala ben evi-dente. Acino medio-piccolo, sferoidale, con buccia sottile e tenera, di colore gial-lo dorato intenso a piena maturazione.Maturazione: verso la metà di agosto.Produttività: discreta e regolare.Vigoria: buona.

Il pinot bianco, vitigno particolarmente adatto anche alla spumantizzazione, dàun vino di colore giallo paglierino, con profumo abbastanza intenso e fruttato. ilgusto è piacevolmente equilibrato tra freschezza e sensazioni pseudocaloriche,morbidezza e discreta struttura.

PINOT GRIGIO

Sinonimi: borgogna grigio e ruländer in Italia; pinot burton, pinot beurot, to-kay d’Alsace, malvoise, gris cordelier, fauvet, auvernat gris, petit gris in Francia;grauer burgunder, tokayer in Germania e Svizzera.Cenni storici: questo vitigno è originario della Borgogna, anche se attualmen-te non è più tanto diffuso in Francia. L’introduzione in Italia si deve ad un pro-duttore piemontese che iniziò la sua coltivazione nell’alessandrino e nel cuneeseintorno al 1820. Come il pinot bianco, anche il pinot grigio ha origine da unamutazione del pinot nero.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nelle regioni del Triveneto.Caratteristiche: foglia piccola o media, tondeggiante, trilobata, pagina superio-re di colore verde cupo. Grappolo piccolo, cilindrico, molto compatto, talvolta conun’ala evidente. Acino piccolo, ovoidale, spesso alato, con buccia abbastanza prui-nosa, consistente, di colore grigio-rossastro o ramato a piena maturazione.Maturazione: verso la metà di settembre.Produttività: discreta e costante.Vigoria: piuttosto buona.

Il pinot grigio dà un vino di colore giallo paglierino con riflessi dorati oppure ro-

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sato buccia di cipolla, secondo il sistema di vinificazione impiegato. Il profumo èintenso e fruttato, a volte delicatamente floreale, con un gusto dotato di evidentinote di freschezza ed alcolicità, buona morbidezza e struttura, caratteri che lo ren-dono adatto anche alla spumantizzazione.

PINOT NERO

Sinonimi: borgogna nero, pineau, franc peneau, moirien, savagnin noir, plant do-ré, vert doré, klevner, blauburgunder, blauer spätburgunder, cortaillod, morillon,auvernat.Cenni storici: questo vitigno è il capostipite della nobile famiglia dei pinot, dal-le antichissime origini francesi, ma è figlio della colonizzazione romana della val-le del Rodano, dai tempi in cui le milizie portavano con sé i tralci della vite perricreare nel nuovo ambiente le condizioni lasciate in patria. Vitigno gallo-romano,il pinot nero trova l’habitat migliore a latitudini elevate, intorno al 50° paralle-lo, dove è la base per la produzione di grandissimi vini, cosa che spesso non ac-cade a latitudini più meridionali. All’interno di questa varietà esistono due ti-pologie: la prima è più produttiva e simile a quella coltivata nello Champagne,adatta per vini bianchi o spumanti, sia come unico vitigno sia in uvaggi o taglicon altri vitigni o vini bianchi, mentre la seconda è simile a quella coltivata inBorgogna, più adatta alla produzione di vini rossi. Il nome è probabilmente do-vuto alla caratteristica forma a pigna del grappolo maturo.Zone di coltivazione: questo vitigno internazionale è ormai inserito nel vigne-to italiano un po’ ovunque, ma è coltivato soprattutto nell’Oltrepò Pavese, inTrentino-Alto Adige e in provincia di Piacenza.Caratteristiche: foglia medio-piccola, tondeggiante, trilobata, pagina superio-re di colore verde scuro, bollosa ed opaca. Grappolo piccolo, lungo 12-15 cm,cilindrico, spesso alato, un po’ compatto. Acino medio, sferoidale o leggermen-te ovale, con buccia pruinosa, spessa e consistente, di colore nero-violaceo.Maturazione: verso la metà di settembre.Produttività: variabile in funzione della grandezza del grappolo, è definita “bas-sa” per i pinot neri più indicati per la vinificazione in rosso, “alta” per quelli im-piegati per la vinificazione in bianco e la preparazione di basi per gli spumanti.Vigoria: discreta.

Il colore del vino ottenuto dal pinot nero è rosso rubino, dotato di buona traspa-renza. Il profumo è molto intenso e fine, fruttato con riconoscimenti di ciliegia,lampone, piccoli frutti di bosco neri e, con l’invecchiamento, un caratteristico “sen-

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tore di pollaio”. Al gusto evidenzia ottimo equilibrio tra freschezza, morbidezza esensazioni pseudocaloriche, con note discrete di tannicità, grande struttura e ot-tima persistenza aromatica. Il pinot nero dà grandi risultati anche nell’elabora-zione di spumanti metodo classico.

PRIÉ BLANC

Sinonimi: blanc de Morgex, blanc de Valdigne, blanc de la Salle.Cenni storici: considerato un vitigno autoctono della Valle d’Aosta, le sue ori-gini sono però incerte, ed alcuni sono propensi ad individuarle nel Vallese(Svizzera); le prime notizie documentate risalgono al 1838. Zone di coltivazione: questo vitigno viene coltivato nella Valdigne, alle pendi-ci del monte Bianco, anche oltre i 1000 m di altezza.Caratteristiche: foglia medio-piccola, pentalobata, pagina superiore di coloreverde chiaro. Grappolo di media grandezza, abbastanza serrato, cilindro-coni-co, quasi sempre con un’ala. Acino medio, rotondo, con buccia leggermente prui-nosa, sottile, lucida, di colore giallo paglierino intenso. Maturazione: fine agosto, primi di settembre.Produttività: buona ma incostante.Vigoria: media.

PRIMITIVO

Sinonimi: primativo, primaticcio, morellone, uva di Corato, zagarese, primati-vo di Gioia.Cenni storici: questo vitigno, il cui nome deriva dalla precocità di maturazio-ne, ha origini incerte, ma è stato introdotto in Puglia, a Gioia del Colle, daiBenedettini nel XVII secolo.Zone di coltivazione: è molto diffuso nelle province di Taranto, Bari e un po’meno a Brindisi e Lecce, ma è molto apprezzato anche in California, dove è co-nosciuto con il nome di zinfandel. Questo vitigno è utilizzato indistintamenteper la produzione di vini rossi, novelli, rosati e per basi spumante (bianco).Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pagina superiore glabra, di coloreverde cupo, opaca. Grappolo lungo, cilindro-conico, mediamente compatto, conuna o due ali. Acino medio, sferoidale, con buccia molto pruinosa, di medio spes-sore, di colore blu scuro. Maturazione: la prima vendemmia è fatta tra la fine di agosto ed i primi di set-

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tembre, la seconda, quella dei cosiddetti “racemi” che maturano più tardi, trala fine di settembre e la prima decade di ottobre.Produttività: abbondante, ma poco costante.Vigoria: media.

Il primitivo dà un vino di colore rosso rubino profondo, con profumo intenso,fruttato con sentori di frutti di bosco, speziato ed etereo con l’affinamento. Il sa-pore è morbido e ben strutturato, discretamente tannico e di grande persistenzagusto-olfattiva.

PROSECCO

Sinonimi: glera, prosecco nostrano e serprina. Biotipi: prosecco Balbi, prosec-co tondo, prosecco lungo.Cenni storici: autorevoli studiosi come il Dalmasso (1937), sostengono chequesto vitigno esistesse già ai tempi dei Romani.Zone di coltivazione: è diffuso nelle aree collinari della provincia di Treviso e,marginalmente, di Padova.Caratteristiche: foglia medio-grande, pentagonale, cuneiforme, trilobata e talvol-ta pentalobata, pagina superiore opaca, bollosa. Grappolo di media grandezza, al-lungato, piramidale, alato, spargolo. Acino medio, sferoidale, con buccia pruinosa,sottile ma abbastanza consistente, di colore giallo dorato, un po’ punteggiata.Maturazione: prima quindicina di ottobre.Produttività: da buona ad ottima e tendenzialmente costante. Vigoria: ottima.

Il colore del vino ottenuto dal prosecco è giallo paglierino tenue, con profumo aro-matico e fruttato, con riconoscimenti di pera e di frutta a polpa bianca matura.Il gusto esprime una struttura basata su note sapide e fresche, supportate da sen-sazioni morbide e pseudocaloriche piuttosto discrete, con una persistenza aro-matica leggermente amarognola.

PRUGNOLO GENTILE (SANGIOVESE GROSSO)

Sinonimi: pignolo, tignolo, uva tosca, uva canina.Cenni storici: probabilmente autoctono del comune di Montepulciano, in pro-vincia di Siena, è già descritto nel XVIII secolo come “pigniuolo rosso”; potreb-be derivare dal sangioveto, dal quale però differisce per alcuni caratteri.

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Zone di coltivazione: è prevalentemente diffuso a Montepulciano, nel senese,in Toscana.Caratteristiche: foglia media, pentalobata, pagina superiore glabra. Grappolodi media grandezza, cilindrico, allungato, compatto, alato. Acino medio-gran-de, ovoidale, con buccia pruinosa, sottile ma consistente, di colore blu-violaceo.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: elevata.Vigoria: buona.

RABOSO PIAVE

Sinonimi: friularo, rabosa nera, raboso nostrano.Cenni storici: si pensa che questo vitigno sia autoctono della pianura trevigia-na, e che agli inizi del 1700 sia stato introdotto dal Friuli - a quel tempo tuttoil territorio che dall’Istria arrivava al Piave - nel padovano, prendendo il nomedi “friularo”. Questo vitigno è citato in più documenti della Repubblica Venetadel XVII e XVIII secolo. Zone di coltivazione: è diffuso nella provincia di Treviso e, marginalmente, inquella di Pordenone.Caratteristiche: foglia medio-grande, pentagonale, cuneiforme, trilobata e tal-volta pentalobata, pagina superiore opaca, bollosa. Grappolo medio-grande, al-lungato, piramidale, alato, spargolo. Acino medio, sferoidale, con buccia prui-nosa, spessa, di colore blu-nero molto intenso.Maturazione: seconda decade di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

Il raboso piave dà un vino di colore rosso rubino intenso, con profumo vinoso, frut-tato e floreale da giovane, con sentori di marasca e violetta, e di frutta secca, più spic-cati, nel tempo. Al gusto è secco, sapido e caldo, dotato di buona struttura, con spic-cata acidità e tannicità un po’ rustica, che tendono a smussarsi con l’affinamento.

RABOSO VERONESE

Sinonimi: raboso di Verona, rabosa. Sono diversi i nomi errati tra cui terranod’Istria, uva d’oro, aglianico, fortana.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte, ma è presente nel trevigiano fin dalsecolo scorso, diffuso da un certo signor Veronese, dal quale avrebbe preso il nome.

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Zone di coltivazione: è diffuso solo in alcune zone ristrette del Veneto.Caratteristiche: foglia particolarmente grande, pentagonale, lanceolata, con 5o 7 lobi, pagina superiore glabra, liscia, di colore verde scuro, un po’ liscia.Grappolo grande, cilindrico, con un’ala a peduncolo ben visibile, poco compat-to. Acino medio, sferoidale, con buccia spessa e coriacea, di colore blu-nero.Maturazione: metà-fine ottobre.Produttività: buona e costante.Vigoria: ottima.

REFOSCO DAL PEDUNCOLO ROSSO

Sinonimi: refosco, refosco nostrano. In passato era confuso con altri vitigni qua-li il terrano del Carso, il terrano d’Istria, il refosco del Carso, il refosco d’Istria,il refoscone, il refosco di Faedis, il refosco di Rauscedo.Cenni storici: è un antico vitigno friulano e le sue origini si collocano nelle zo-ne carsiche ed istriane. Era già conosciuto nel 1700, ma solo negli ultimi decennisi è diffuso in tutta la regione, sostituendo altri refoschi, più produttivi ma diminor pregio.Zone di coltivazione: è coltivato in Friuli-Venezia Giulia e Veneto.Caratteristiche: foglia medio-grande, tondeggiante, pentagonale, trilobata, li-scia, pagina superiore glabra, di colore verde scuro, bollosa. Grappolo grande,lungo, piramidale, molto alato e spargolo. Acino medio-piccolo, rotondo, con buc-cia molto pruinosa, sottile ma abbastanza consistente, di colore blu intenso.Maturazione: fine settembre, prima decade di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

Il refosco dal peduncolo rosso dà un vino di colore rosso rubino profondo, con pro-fumo intenso e fruttato, con note di marasca e frutti di bosco. La grande persi-stenza gusto-olfattiva conferma un sapore disposto su una struttura piena, leg-germente tannica e amarognola.

RIBOLLA GIALLA

Sinonimi: rebolla, ribolla, ribolla bianca, raibola, ribuole, ribuèle in Friuli, rebu-la in Slovenia.Cenni storici: questo vitigno autoctono ha antiche origini friulane, testimoniateda diversi documenti antecedenti il 1300.

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Zone di coltivazione: è molto diffuso sulle colline delle province di Udine eGorizia e sul versante sloveno.Caratteristiche: foglia media, tondeggiante, quasi intera o con accenni a tre lo-bi, pagina superiore glabra, liscia, di colore verde chiaro. Grappolo medio-pic-colo, cilindrico o piramidale, raramente alato, mediamente compatto. Acinomedio-grande, un po’ discoidale, con buccia pruinosa, poco spessa ma consi-stente, di colore giallo punteggiato.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: buona e costante.Vigoria: buona.

La ribolla gialla dà un vino di colore giallo paglierino tendente al dorato, conprofumo intenso, floreale e fruttato. Il gusto esprime buon equilibrio tra fre-schezza e morbidezza, con struttura delicata e piacevole persistenza gusto-ol-fattiva.

RIESLING

Sinonimi: rheinriesling, gewürztraube, rieslinger in Germania; in Italia rieslingrenano, riesling bianco, riesling giallo, riesling grosso.Cenni storici: questo vitigno è probabilmente originario della valle del Reno, do-ve è tuttora diffusamente coltivato. In Italia è stato introdotto nell’800, ma for-se per la scarsa produttività non ha avuto molta fortuna, anche se negli ultimianni sta suscitando un certo interesse. Zone di coltivazione: è diffuso in Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia,Veneto e Oltrepò Pavese.Caratteristiche: foglia grande o medio grande, tondeggiante-trilobata, condenti poco marcati, pagina superiore bollosa, di colore verde intenso. Grappolopiccolo, cilindro-piramidale, compatto, un po’ tozzo. Acino piccolo, sferoidale,con buccia abbastanza consistente, di colore dorato carico, punteggiata.Maturazione: metà settembre.Produttività: discreta e abbastanza costante.Vigoria: da media a buona.

Il vino ottenuto dal riesling ha colore giallo paglierino, profumo molto intenso,fruttato con decise note agrumate, fine e particolare, con chiari riconoscimentivegetali, minerali e di idrocarburi. Grande struttura e persistenza gusto-olfatti-

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va compongono un gusto piacevolmente disposto su piena freschezza, sapiditàe buona componente pseudocalorica.

RIESLING ITALICO

Sinonimi: aminea gemella, rismi, risli, riesli, wälschriesling.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte e lo sono anche le notizie sullasua introduzione in Italia verso la fine dell’800, anche se, probabilmente pro-viene da qualche paese dell’Europa centrale.Zone di coltivazione: è diffuso in diverse zone, ma dà i migliori risultatinell’Oltrepò Pavese, nel Veneto e, limitatamente, nel Friuli-Venezia Giulia. Ètuttora molto diffuso lungo il Danubio orientale.Caratteristiche: foglia media, quasi intera, trilobata o pentalobata, ma appenaabbozzata, pagina superiore liscia, di colore verde chiaro. Grappolo piccolo, toz-zo, cilindrico, compatto, spesso con un’ala. Acino medio-piccolo, sferoidale, conbuccia pruinosa, sottile ma consistente, di colore giallo dorato-verdognolo.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: discretamente abbondante e costante.Vigoria: media.

RONDINELLA

Sinonimi: non conosciuti.Cenni storici: questo vitigno ha origini sconosciute, ma si ritiene che sia au-toctono del veronese. I primi documenti che ne parlano risalgono al 1882. Zone di coltivazione: è particolarmente diffuso in provincia di Verona, nelle areedi produzione del Bardolino e Valpolicella; è sempre utilizzato in uvaggio conaltri vitigni.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, profondamente pentalobata, pagi-na superiore glabra, liscia, sottile, di colore verde chiaro. Grappolo medio, pira-midale, con una o due ali, mediamente compatto. Acino medio, buccia moltopruinosa, piuttosto spessa e consistente, di colore nero-violaceo.Maturazione: ultimi giorni di settembre.Produttività: buona, spesso abbondante e costante.Vigoria: ottima.

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ROSSESE

Sinonimi: rossese di Ventimiglia, rossese di Albenga.Cenni storici: questo vitigno ha probabilmente origini francesi e potrebbe es-sere stato importato in Liguria dalle milizie dei Doria, che già dal 1270 posse-devano un castello a Dolceacqua.Zone di coltivazione: è diffuso prevalentemente nella Liguria di Ponente.Caratteristiche: foglia abbastanza grande, pentalobata, pagina superiore gla-bra, di colore verde chiaro. Grappolo di grandezza media, tronco-conico, alato,mediamente serrato. Acino medio-piccolo, rotondo o sub-ovoidale, con bucciapruinosa, piuttosto sottile, di colore rosso-violaceo scuro.Maturazione: seconda metà di ottobre.Produttività: buona.Vigoria: ottima.

ROSSIGNOLA

Sinonimi: rossetta, groppello, pulicella, rossiola.Cenni storici: questo vitigno è tipico della Valpolicella (Verona), dove era col-tivato già in tempi remoti.Zone di coltivazione: è particolarmente diffuso in provincia di Verona.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, più larga che lunga, pentalobata.Grappolo medio-piccolo, tozzo, piramidale, alato, un po’ compatto. Acino me-dio, ovoidale, con buccia sottile, di colore rosso-violaceo.Maturazione: prima metà di ottobre.Produttività: discreta e costante.Vigoria: buona.

RUCHÈ

Sinonimi: non conosciuti.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte, probabilmente da ricercarsi suicolli a nord-ovest di Asti.Zone di coltivazione: è diffuso nel comune di Castagnole Monferrato e in al-cune zone limitrofe dell’astigiano.Caratteristiche: foglia media, trilobata, pagina superiore di colore verde chia-

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ro. Grappolo medio, spargolo, allungato, alato. Acino medio, sferoidale, conbuccia di colore grigio-violaceo.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: buona e costante.Vigoria: media.

SAGRANTINO

Sinonimi: non conosciuti.Cenni storici: questo vitigno è autoctono umbro, coltivato da secoli sulle pen-dici collinari dei comuni di Montefalco e Bevagna, ed in parte anche a CastelRitaldi, Giano dell’Umbria e Gualdo Cattaneo.Zone di coltivazione: è diffuso in Umbria, principalmente a Montefalco e in al-cuni comuni limitrofi.Caratteristiche: foglia media, trilobata e a volte pentalobata, pagina superiore dicolore verde. Grappolo medio-piccolo, cilindrico o quasi conico, alato, un po’ spar-golo. Acino medio, sferico, con buccia pruinosa, consistente, di colore quasi nero.Maturazione: prima metà di ottobre; spesso è lasciato appassire sulla pianta.Produttività: scarsa.Vigoria: media.

Il colore del vino ottenuto dal sagrantino è rosso rubino tendente al granato consfumature aranciate. Il profumo è intenso, speziato ed etereo, con riconosci-menti di confettura di frutta rossa. Il sapore è tannico, caldo, pieno e dotato digrande persistenza gusto-olfattiva.

SANGIOVESE

Sinonimi: brunello, calabrese, cardisco, maglioppa, mercatale, morellino, mo-rellino da Scansano, nerino, pigniuolo rosso, pignolo, pignolo rosso, prugnolo,prugnolo gentile, riminese, sangineto, sangiogheto, sangiovese dal cannellolungo di Predappio, s. dolce, s. gentile, s. grosso, s. di Lamole, s. di Romagna, sangioveto grosso di Toscana, sangioveto chiantigiano, sangioveto doppio, san zo-veto, tignolo, sangiovese premutico. È anche chiamato erroneamente monte-pulciano, moscato nero, moscato rosato, moscato rosso, uva tosca.I biotipi sono 3: sangiovese romagnolo, sangiovese toscano ad acino piccolo oforte, sangiovese toscano ad acino grosso o dolce o gentile; le selezioni clona-li riconosciute sono 36.

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Cenni storici: questo vitigno ha sicure origini in Toscana ed era già conosciutoai tempi degli Etruschi. Le prime notizie storiche della presenza di questo vitignoin Romagna si hanno nel trattato della coltivazione della vite del Soderini del 1600.Zone di coltivazione: è il vitigno più coltivato e diffuso in Italia, soprattutto nel-le aree centrali, distinguendosi in biotipi e cloni diversi; recentemente è coltiva-to anche al sud. Il sangiovese dà ottimi vini in zone fresche di notte e calde digiorno, motivo per il quale al sud si possono ottenere difficilmente grandissimirisultati.Caratteristiche: il sangiovese toscano ad acino grosso ha foglia media, penta-gonale, pentalobata, pagina superiore di colore verde chiaro, lucida, glabra, pa-gina inferiore verde molto chiaro. Grappolo lungo, conico-piramidale, con unao due ali, tendenzialmente compatto. Acino medio, ovoidale, con buccia moltopruinosa, di colore nero-violetto.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: piuttosto abbondante e costante.Vigoria: ottima.

Il sangiovese dà un vino di colore rosso rubino, compatto e vivace. Il profumo èmolto intenso e fine, fruttato e floreale, con note di marasca, visciola e viola. Ilgusto esprime ottimo equilibrio tra freschezza, tannicità e alcolicità, con impor-tante struttura e grande persistenza gusto-olfattiva.

SAUVIGNON

Sinonimi: bordeaux bianco, anche se a volte è erroneamente chiamato cham-pagna, spergola, spergolina, pellegrina.Cenni storici: questo vitigno è originario della Francia, precisamente del bor-dolese, ed è stato introdotto in Italia nell’800.Zone di coltivazione: è diffuso un po’ ovunque nel mondo, ed anche nel nostro pae-se è utilizzato in diverse zone, particolarmente in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia,Lombardia, Alto Adige e, recentemente, anche nelle regioni centro-meridionali.Caratteristiche: foglia media, tondeggiante, trilobata e pentalobata, pagina su-periore un po’ bollosa, di colore verde intenso. Grappolo medio-piccolo, cilin-drico, con due piccole ali, compatto. Acino medio-grande, sub-rotondo, con buc-cia pruinosa, spessa, di colore verde dorato con punteggiature.Maturazione: ultima decade di settembre.

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Produttività: media ma costante.Vigoria: buona.

Il colore del vino ottenuto dal sauvignon è giallo paglierino con sfumature viva-ci verde-oro. Il profumo è molto intenso, vegetale e fruttato, con riconoscimen-ti di ortica, foglia di pomodoro e pompelmo. Il gusto esprime grande freschezzae sapidità, buona struttura e sensazioni pseudocaloriche, con eleganti e persistentisensazioni vegetali.

SCHIAVA GENTILE

Sinonimi: schiava piccola e media, kleinvernatsch, mittelvernatsch, roterver-natsch.Cenni storici: intorno al XIII secolo erano definite “schiave” quei vitigni, anchemolto diversi tra loro, che erano coltivati a basso ceppo lungo i filari e legati traloro, contrariamente alle “maiores” o “maroche” allevate alte. Questa specifica“schiava gentile del Tirolo”, appare nell’opera del Molon (1906), e secondo ilRigotti (1932) è originaria dell’Alto Adige.Zone di coltivazione: è particolarmente diffuso in Trentino-Alto Adige.Caratteristiche: foglia medio-grande, tondeggiante, trilobata o quasi intera, pa-gina superiore di colore verde cupo, opaca. Grappolo di grandezza media, spar-golo, con un’ala. Acino medio, con buccia pruinosa, tenera, di colore blu-violetto.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: mediamente abbondante e costante.Vigoria: buona.

Il vino ottenuto dalla schiava gentile ha grande trasparenza ed un colore rossorubino vivace. Il profumo è intenso e fruttato, sensazione piacevole che si ritro-va anche nelle sfumature della persistenza aromatica. Al gusto esprime discretamorbidezza, con sensazioni pseudocaloriche e tanniche poco accentuate e, com-plessivamente, un buon equilibrio.

SCHIAVA GRIGIA

Sinonimi: grau vernatsch, grauer.Cenni storici: come la schiava gentile.Zone di coltivazione: è particolarmente diffuso in Trentino-Alto Adige.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, trilobata o quasi intera, pagina su-

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periore verde, opaca, un po’ bollosa, pagina inferiore di colore verde chiaro.Grappolo medio, piramidale, spesso alato, composto. Acino medio, leggermen-te sub-rotondo, con buccia molto pruinosa, di colore blu-violetto.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: mediamente abbondante e costante.Vigoria: buona.

SCHIAVA GROSSA

Sinonimi: schiavone, uva meranese, grossvernatsch, frankenthal, frankenthaler,trollinger.Cenni storici: come la schiava gentile.Zone di coltivazione: è particolarmente diffuso in Trentino-Alto Adige.Caratteristiche: foglia grande, pentagonale, trilobata, pagina superiore bollo-sa, opaca. Grappolo grande, piuttosto lungo, cilindrico, tronco-conico, alato, com-patto. Acino grande, sferoidale, irregolare, con buccia pruinosa, tenera, di colo-re blu-nero.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

SÉMILLON

Sinonimi: colombar, malaga, chevrier, mouscadelle, sauvignon.Cenni storici: questo vitigno ha origini francesi.Zone di coltivazione: è ancora poco diffuso in Italia, sebbene sia presente inFriuli-Venezia Giulia, Toscana, Puglia, Calabria e Sardegna. È coltivato soprat-tutto in Francia, nel bordolese, dove entra nella produzione dei celebri vini diSauternes.Caratteristiche: foglia media, reniforme, tri-pentalobata, pagina superiore di co-lore verde intenso, un po’ bollosa, opaca. Grappolo di media grandezza, tozzo,conico, un po’ serrato, con un’ala. Acino medio, con buccia pruinosa, spessa emolto consistente, di colore giallo dorato.Maturazione: prima decade di settembre.Produttività: buona e costante.Vigoria: buona.

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SCHIOPPETTINO

Sinonimi: ribolla nera, pocalza.Cenni storici: è un vecchio vitigno friulano, certamente indigeno, originario del-la zona di Prepotto. Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto a Cividale del Friuli e nelle sue vi-cinanze.Caratteristiche: foglia media, pentalobata, pagina superiore glabra. Grappolopiuttosto grande, cilindrico, allungato, con una o due ali ben evidenti, media-mente serrato. Acino sub-rotondo o quasi ellissoidale, con buccia pruinosa,piuttosto spessa e resistente, di colore blu-nero.Maturazione: primi giorni di ottobre.Produttività: buona ed abbastanza costante.Vigoria: ottima.

SUSUMANIELLO

Sinonimi: somarello rosso, zingariello.Cenni storici: questo vitigno ha origini dalmate e il nome richiama la grandeproduttività che porta a caricare i suoi tralci come un “somarello”.Zone di coltivazione: è coltivato solo nel brindisino, e non si deve confonderecon il somarello rosso coltivato a Barletta, nel barese.Caratteristiche: foglia medio-grande, pagina superiore glabra, lucida. Grappolodi media grandezza, allungato, piramidale, serrato. Acino abbastanza grande, ro-tondeggiante, regolare, con buccia molto pruinosa, di colore blu scuro molto in-tenso.Maturazione: prima metà di settembre.Produttività: molto abbondante soprattutto nei primi anni.Vigoria: ottima solo nei primi anni.

SYLVANER VERDE

Sinonimi: silvaner in Germania; grüner sylvaner in Svizzera; silvania verde, sil-vaner bianco in Italia.Cenni storici: questo vitigno è originario della Germania o dell’Austria, da do-ve si è diffuso nel resto d’Europa ed in Italia, soprattutto in Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia.

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Zone di coltivazione: è particolarmente diffuso in provincia di Bolzano.Caratteristiche: foglia piccola, tondeggiante, intera o con accenno a tre lobi, lem-bo un po’ ondulato, pagina superiore di colore verde scuro. Grappolo piccolo o me-dio, corto, cilindrico, spesso con un’ala, appena compatto. Acino medio, sferico oleggermente ovoidale, con buccia spessa, di colore giallo-verdastro, punteggiata.Maturazione: seconda metà di settembre.Produttività: discreta.Vigoria: discreta.

SYRAH

Sinonimi: blauer syrah, candive, marsanne noire, petite syrah, plant de la bian-ne, serine noire, shiras, sirah, syrach de l’Ermitage.Cenni storici: questo vitigno ha origini controverse, poiché alcuni ritengono cheprovenga dall’Iran, per la somiglianza con il nome della città di Shiraz, mentrealtri pensano che le sue radici storiche affondino a Siracusa. In Italia, probabil-mente, è stato introdotto alla fine dell’800 dal sud della Francia, dove questovitigno è tuttora molto coltivato.Zone di coltivazione: è abbastanza diffuso in Toscana e nel Lazio, meno nelleregioni vicine.Caratteristiche: foglia medio-grande, pentagonale, tri-pentalobata, pagina su-periore aracnoidea o glabra. Grappolo medio, allungato, ma anche cilindrico, ala-to, semispargolo. Acino medio o medio-piccolo, ovale, con buccia molto prui-nosa, sottile, di colore blu-nero.Maturazione: ultima decade di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

Il syrah dà un vino di colore rosso rubino con sfumature violacee molto profon-de. Il profumo è intenso e fruttato, con sentori di piccoli frutti neri e spezie, tra lequali si riconosce il pepe nero. Ben strutturato e dotato di importante persisten-za gusto-olfattiva, in bocca esprime freschezza e morbidezza, buone sensazionipseudocaloriche e media tannicità.

TAZZELENGHE

Sinonimi: tace lenghe.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte, ma non esistono dubbi sul

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fatto che sia coltivato sulle colline friulane da tempi immemorabili.Zone di coltivazione: è diffuso principalmente nei Colli Orientali del Friuli.Caratteristiche: foglia media, trilobata, pagina superiore di colore verde inten-so. Grappolo medio, tronco-conico, spesso alato. Acino medio-grande, sferico,con buccia sottile ma resistente, di colore blu-viola molto intenso.Maturazione: verso la metà di ottobre.Produttività: buona.Vigoria: ottima.

TEROLDEGO

Sinonimi: teroldigo, teroldega, teroldico, tiraldola.Cenni storici: le prime citazioni di questo vitigno risalgono al 1818.Zone di coltivazione: è diffuso esclusivamente nell’area denominata CampoRotaliano, in provincia di Trento, dove sembra sia arrivato dalla vicina provinciadi Verona dove, seppur raramente, si trova ancora sotto il nome di teroldico.Caratteristiche: foglia grande, pentagonale, un po’ allungata, trilobata. Grappolodi grandezza media e allungato, piramidale, a volte con due piccole ali, di me-dia compattezza. Acino medio, sferoidale o leggermente sub-rotondo, regolare,con buccia spessa e coriacea, di colore blu-nero.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.Produttività: buona e costante.Vigoria: buona.

Il colore del vino ottenuto dal teroldego è rosso rubino non molto concentrato. Ilprofumo è abbastanza intenso e fruttato, con tipici riconoscimenti di lampone epepe. Morbido e dotato di media struttura, è piacevolmente equilibrato, con tan-nicità poco accentuata.

TERRANO

Sinonimi: terrano del Carso, terrano d’Istria, refosco d’Istria, refosco del Carso,cagnina, crodarina, terran.Cenni storici: questo vitigno appartiene alla famiglia dei vitigni “refosco”, giàcitati da Plinio. Il terrano, oggetto di numerosi studi da parte di diversi ampe-lografi, rappresenta per l’Istria e le zone del Carso un vitigno di fondamentaleinteresse.

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Zone di coltivazione: è diffuso solo nelle zone carsiche istriane.Caratteristiche: foglia medio-grande, tondeggiante, pentagonale, trilobata, paginasuperiore di colore verde scuro, opaca. Grappolo grande, piramidale, a base larga,alato, lungo e mediamente compatto, peduncolo grosso, lungo e legnoso. Acino me-dio, leggermente ellittico, con buccia molto pruinosa, sottile, di colore blu-nero.Maturazione: prima decade di ottobre.Produttività: mediamente abbondante e costante.Vigoria: buona.

TOCAI FRIULANO

Sinonimi: malaga, trebbianello, tocai bianco, toca, tokai, tocai italico; in Franciaè noto come cinquien o blanc doux o sauvignonasse.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte, ma probabilmente è un vecchio vi-tigno veneto, esportato prima in Ungheria e ritornato in Italia con il nuovo nome.Zone di coltivazione: è diffuso in Friuli-Venezia Giulia.Caratteristiche: foglia medio-grande, tondeggiante o pentagonale, trilobata, pa-gina superiore glabra, liscia, di colore verde chiaro, opaca. Grappolo di grandezzamedia, abbastanza lungo, conico-piramidale, alato, con una o due ali contenu-te, mediamente compatto. Acino medio, tondo, di forma regolare, con bucciapruinosa, un po’ spessa, di colore giallo dorato, leggermente punteggiata.Maturazione: seconda decade di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: ottima.

Il tocai friulano dà un vino di colore giallo paglierino. Il profumo è fine e carat-terizzato da sentori di fiori di mandorlo e di mandorla amara, che si ritrovano an-che a livello gustativo. Morbido e dotato di ottima struttura, al gusto esprime buonequilibrio tra freschezza, sapidità e componente alcolica, con una piacevole per-sistenza ammandorlata.

TOCAI ROSSO

Sinonimi: blauer tokayer, chasselas rosa, pinot grigio, traminer rosso.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte ed è scambiato con il cannonaue con il grenache.Zone di coltivazione: è diffuso nella provincia di Vicenza.

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Caratteristiche: foglia medio-grande, trilobata, con pagina inferiore glabra.Grappolo medio-grande, tronco-piramidale, compatto. Acino medio, legger-mente ovoidale, con buccia di colore blu-violetto.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: media e abbastanza regolare.Vigoria: normale.

TORBATO

Sinonimi: caninu, razola, cuscosedda bianca.Cenni storici: questo vitigno è originario della Catalogna in Spagna.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in provincia di Sassari.Caratteristiche: foglia medio-piccola, orbicolare, tri-pentalobata. Grappolomedio, semiserrato, cilindrico o cilindro-conico, a volte alato. Acino medio, ro-tondo, con buccia consistente, di colore giallo dorato.Maturazione: verso la fine di settembre.Produttività: media ma incostante.Vigoria: media.

TRAMINER AROMATICO

Sinonimi: termeno aromatico, traminer rosa, gewürztraminer, savagnin rosé.Cenni storici: le origini di questo vitigno sono incerte. Alcuni ritengono che sia-no in Alsazia, altri nel paese di Termeno (Bolzano), altri ancora nel Württemberg,ed infine nella valle del Reno. Il nome Traminer, come riferimento al vino di Tramin- Termeno in italiano - appare per la prima volta nel 1349 nel “Libro della Natura”di Konrad Megenberg, decano del duomo di Regensburg, antica città dellaFranconia, in Germania.Zone di coltivazione: è un vitigno diffuso soltanto nelle regioni settentrionali,particolarmente in Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, poiché non gradisce i cli-mi caldi.Caratteristiche: foglia piccola, pentagonale, trilobata o pentalobata, di coloreverde cupo. Grappolo piccolo, compatto e tozzo. Acino sferico, medio, con buc-cia spessa, di colore grigio-rosa; polpa dal sapore aromatico.Maturazione: metà settembre.Produttività: mediocre ma regolare.Vigoria: mediocre.

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Il traminer aromatico dà un vino di colore giallo paglierino intenso con sfuma-ture verde-oro, ma è il profumo il suo carattere di distinzione. Molto intenso edaromatico, fruttato, floreale e vegetale, con note di frutta a polpa gialla, fruttaesotica, rosa e fiori di acacia, e qualche ricordo di erbe aromatiche. Il gusto espri-me un buon equilibrio basato su note sapide e fresche, supportate da una gran-de morbidezza, ottima struttura ed importante persistenza aromatica, nella qua-le si riconoscono sfumature di mandorla amara.

TREBBIANO DI SOAVE

Sinonimi: trebbiano di Lugana, turbiana, turviana, terbiana, trebbiano di Verona.Cenni storici: questo antico vitigno ha origini sconosciute, ma è stato descrit-to già nel 1567 dal Gallo e citato dal Marzotto nel 1925.Zone di coltivazione: è diffuso in provincia di Verona e Brescia, in particolaresulle sponde meridionali del lago di Garda, vinificato spesso in uvaggio con lagarganega.Caratteristiche: foglia di media grandezza, pentagonale, trilobata. Grappolo me-dio, allungato, piramidale, con un’ala, piuttosto compatto. Acino medio, sferi-co, con buccia abbastanza spessa e consistente, di colore verdastro con pun-teggiature diffuse.Maturazione: primi di ottobre.Produttività: medio-buona e relativamente costante.Vigoria: ottima.

Il colore del vino ottenuto dal trebbiano di Soave è giallo paglierino, ed il profu-mo è abbastanza intenso, con chiari sentori di mela golden. Il gusto evidenzia pia-cevoli e decise note di freschezza, media alcolicità e morbidezza.

TREBBIANO GIALLO

Sinonimi: trebbiano dei Castelli, trebbiano giallo di Velletri, trebbiano di Frascati,biancuccio, greco, greco di Velletri, greco giallo, rosciola, rossetto, rossola, to-starello.Cenni storici: questo vitigno sembra essere originario della zona dei CastelliRomani. Certamente fa parte della grande famiglia dei trebbiani, nome che se-condo alcuni studiosi deriverebbe dal latino “trebulanum”, vino citato da Plinio

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nella sua “Naturalis Historia”. Secondo altri la sua denominazione si rifà al fiu-me Trebbia, in provincia di Piacenza, oppure ad altre località che portano il no-me di Trebbiano.Zone di coltivazione: è prevalentemente diffuso in provincia di Roma, mentreè marginale la sua presenza in Toscana, Umbria e Marche.Caratteristiche: foglia media o grande, pentagonale, pentalobata o raramentetrilobata, pagina superiore glabra, di colore verde, bollosa e rugosa. Grappolo me-dio o grande, cilindro-conico, a volte alato, serrato o spargolo per colatura. Acinomedio, sferoidale, regolare, con buccia molto pruinosa, di colore giallo dorato,spesso con macchie marroni.Maturazione: prima o seconda decade di ottobre.Produttività: abbondante ed abbastanza costante.Vigoria: ottima.

Il trebbiano giallo dà un vino di colore giallo paglierino, con profumo abbastan-za intenso e fruttato. Il gusto è piacevole, di media struttura e dotato di buon equi-librio tra freschezza e sensazioni pseudocaloriche.

TREBBIANO ROMAGNOLO

Sinonimi: trebbiano della fiamma, trebbiano di Romagna.Cenni storici: questo vitigno ha origini antichissime, ed era già noto e coltiva-to in Romagna ai tempi dei Romani e citato da Plinio nella sua “NaturalisHistoria”. Nel corso dei secoli questo vitigno è stato oggetto di studi e, negli ul-timi anni, di selezioni clonali che hanno portato all’omologazione di tre sotto-specie diverse.Zone di coltivazione: è il vitigno più coltivato in Romagna e trova la sua mas-sima diffusione in provincia di Ravenna, mentre è marginale la sua presenza nel-le vicine province emiliane.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata, pagina superiore di co-lore verde cupo, opaca. Grappolo medio-grande, a forma conico-piramidale, com-patto o semispargolo, alato. Acino medio, sferoidale, con buccia pruinosa, consi-stente, di colore verde-giallognolo, talora lievemente ambrato.Maturazione: prima decade di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: media o buona.

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Trebbiano romagnolo

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TREBBIANO TOSCANO

Sinonimi: albano, biancame, bobiano, castelli romani, procanico, santoro e al-tri in Italia; saint-emilion, ugnì blanc, rossan de Nice in Francia.Cenni storici: questo vitigno ha probabilmente origini etrusche. Il trebbiano to-scano, forse il più importante tra i tanti “trebbiani”, era già citato da Plinio ilVecchio, e deve il nome ad una località omonima dell’antica Etruria nei pressidi Luni, ai confini tra Liguria e Toscana, o al fiume Trebbia dei Colli Piacentini.Zone di coltivazione: è uno tra i vitigni più diffusi a livello nazionale ed è col-tivato su oltre 61.000 ha in quasi tutte le regioni, anche se si trova soprattuttoin Toscana, Lazio ed Umbria.Caratteristiche: foglia medio-grande, pentagonale, pentalobata, pagina superioreglabra, opaca. Grappolo grande, allungato (18-25 cm), semicompatto, alato.Acino medio, discoidale, abbastanza regolare, con buccia più o meno pruinosa,di media consistenza, di colore giallo-verde o giallo rosato secondo i cloni.Maturazione: prima e seconda decade di ottobre.Produttività: molto abbondante e costante.Vigoria: ottima.

Il colore del vino ottenuto dal trebbiano toscano è giallo paglierino, il profumoabbastanza intenso e fruttato, ed il gusto evidenzia una struttura discreta ed unbuon equilibrio.

UVA DI TROIA

Sinonimi: barlettana, nero di Troia, uva della marina, uva di Canosa, tranese,troiano, vitigno di Barletta, uva di Barletta.Cenni storici: alcuni studiosi ritengono che questo vitigno sia originario dell’AsiaMinore e sia stato importato in Puglia dagli antichi Greci, mentre altri pensa-no che il nome tragga origine da Troia, un piccolo paese del circondario di Bovino,in provincia di Foggia.Zone di coltivazione: è molto diffuso sui litorali pugliesi e nella parte setten-trionale della provincia di Bari. Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata, pagina superiore gla-bra, opaca, con nervature di colore verde chiaro. Grappolo piuttosto grande, me-diamente compatto, semplice od alato. Acino di media grandezza, sferoidale, re-golare, con buccia spessa e consistente, di colore violetto.

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Maturazione: prima decade di ottobre.Produttività: media.Vigoria: buona.

UVA RARA

Sinonimi: rairon, martellana, oriola, balsamea, balsamina, croatina, nera.Cenni storici: questo vitigno ha avuto probabilmente origine sulle colline no-varesi e vercellesi, dove si coltiva da moltissimo tempo. È stato identificato e de-scritto dal Rovasenda nel 1878 nel suo “Aureo Saggio”, nel quale è definito uvarara del vogherese, che avvalla anche una definizione locale dialettale già cita-ta a fine ‘700.Zone di coltivazione: è diffuso in alcune zone piemontesi e nell’Oltrepò Pavese.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, pentalobata, pagina superiore gla-bra. Grappolo di grandezza media, allungato, conico, alato, piuttosto spargo-lo. Acino medio o medio-grande, tondeggiante, regolare, con buccia pruinosa,abbastanza consistente ma non coriacea, di colore blu scuro, quasi nero.Maturazione: inizio ottobre.Produttività: discreta ma incostante.Vigoria: media o buona.

VELTLINER

Sinonimi: cima bianca, veltliner verde, grüner veltliner, weisser, weisse grüner,weissgifler.Cenni storici: questo vitigno dovrebbe essere originario della vallata del Reno,dov’è diffuso da tempo immemorabile, anche se qualcuno lo ritiene provenien-te dalla Valtellina (valteliner).Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in Alto Adige, ma anche in Trentinoe Friuli-Venezia Giulia.Caratteristiche: foglia media, pentagonale o cuneiforme, trilobata, pagina supe-riore glabra. Grappolo medio, talvolta compatto, allungato, alato. Acino medio, ro-tondo o leggermente ovale, con buccia sottile e tenera, di colore verde-biancastro.Maturazione: terza decade di settembre e primi di ottobre.Produttività: buona.Vigoria: da media a buona.

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VERDECA

Sinonimi: verdone, vino verde, verdera, verdicchio femmina, verde, albese bian-co, verdesca.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte, anche se è coltivato in provin-cia di Taranto da tempi remoti.Zone di coltivazione: è diffuso in Puglia, particolarmente a Crispiano,Locorotondo, Martina Franca e alcuni comuni limitrofi.Caratteristiche: foglia media o grande, tri-pentalobata o intera, pagina supe-riore glabra, di colore verde cupo, opaca. Grappolo di media grandezza, conico,con una o due ali. Acino sferoidale, leggermente ovale, con buccia pruinosa, te-nera, di colore giallo chiaro-verdeMaturazione: fine settembre, prima decade di ottobre.Produttività: normale.Vigoria: buona.

VERDICCHIO BIANCO

Sinonimi: verdone, verdicchio dolce, verdicchio vero, marino, peloso, verzello,marchigiano, trebbiano verde, uva aminea, uva marana, verdicchio giallo, ver-dicchio stretto, verdicchio peloso.Cenni storici: nonostante sia ritenuto autoctono delle Marche, questo vitignoha origini incerte ma antichissime, poiché era già citato da Columella. Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nelle Marche, precisamente nella val-le Esino, e marginalmente in Umbria.Caratteristiche: foglia media, orbicolare o pentagonale, tri-pentalobata, pagi-na superiore bollosa, di colore verde cupo. Grappolo di media grandezza, coni-co o cilindro-conico, a volte alato e piramidale, serrato e semiserrato. Acino digrandezza media, con buccia mediamente pruinosa, sottile ma consistente, dicolore verde-giallastro.Maturazione: prima decade di ottobre.Produttività: incostante, spesso scarsa.Vigoria: media o buona.

Il verdicchio dà un vino di colore giallo paglierino con riflessi verdolini, con pro-fumo intenso e fine, fruttato, floreale e vegetale, nel quale si riconoscono piace-voli note agrumate, ma se è sottoposto ad affinamento acquista una pregevole

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Verdicchio

complessità olfattiva. Al gusto esprime una piacevole struttura basata su note sa-pide e fresche, ben equilibrate con le doti di morbidezza, con buona persistenzagusto-olfattiva. Questo vitigno dà buoni risultati anche nella spumantizzazione.

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VERDISO

Sinonimi: verdisa, pedevenda, verdisco, verdisa grossa, verdisone.Cenni storici: questo vitigno era coltivato sui colli trevigiani, nel coneglianese,già nel 1600.Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto nel trevigiano.Caratteristiche: foglia media, pentagonale, quasi intera o trilobata, pagine gla-bre, di colore verde chiaro. Grappolo medio, piramidale, mediamente compatto.Acino medio-grande, un po’ ellissoidale, con buccia sottile e poco consistente,di colore verde-giallastro, leggermente punteggiata; la polpa è leggermente aro-matica.Maturazione: prima metà di ottobre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: media-buona.

VERDUZZO FRIULANO

Sinonimi: ramandolo, verdicchio friulano, verduzzo giallo.Cenni storici: questo vitigno è già citato nel trattato “Viti friulane de’ contor-ni di Udine” del 1825.Zone di coltivazione: è un vitigno autoctono, molto diffuso in Friuli-VeneziaGiulia, soprattutto nelle zone collinari.Caratteristiche: foglia media, trilobata o quasi intera, tondeggiante, pagina su-periore liscia, opaca. Grappolo piccolo, piramidale, due ali ben evidenti, con pe-duncolo corto e robustissimo. Acino piccolo, sferico, con buccia pruinosa, spes-sa e coriacea, di colore giallo-verdastro o giallo dorato.Maturazione: fine settembre, primi di ottobre.Produttività: buona ed abbastanza costante.Vigoria: discreta.

Il verduzzo friulano dà un vino di colore giallo paglierino intenso tendente al do-rato o dorato, con profumo intenso e fruttato. All’esame gustativo è un vino dicorpo, che può essere secco o dolce, ma sempre piacevolmente disposto su spic-cata morbidezza, con adeguato equilibrio tra freschezza e sensazioni pseudoca-loriche. Questo vitigno dà ottimi risultati con l’appassimento, ed il vino che si ot-tiene presenta un profumo articolato ed un gusto avvolgente e vellutato, con unapersistenza gusto-olfattiva decisamente ammandorlata.

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VERMENTINO

Sinonimi: carbesso o carbes, malvasia grossa, verlantin; in Francia è conosciu-to come malvasia à gros grains e malvasie du Dourc.Cenni storici: questo vitigno è stato importato dalla Spagna nel 1390, duran-te la dominazione degli Aragonesi, passando prima dalla Corsica.Zone di coltivazione: è diffuso principalmente in Liguria, Toscana e Sardegna,dove dà i risultati migliori nelle zone litoranee.Caratteristiche: foglia medio-grande, pentagonale, pentalobata, pagina su-periore glabra, di colore verde cupo. Grappolo medio o medio-grande, per lopiù cilindrico, ma anche piramidale, mediamente spargolo. Acino medio-gran-de, sferoidale, regolare, con buccia pruinosa, abbastanza consistente, di colore giallo ambrato o giallo-verdastro.Maturazione: ultima decade di settembre.Produttività: abbondante e costante.Vigoria: buona.

Il colore del vino che si ottiene dal vermentino è giallo paglierino con riflessi ver-dolini. Il profumo è fruttato e vegetale, e la struttura gustativa si basa su piace-voli note sapide e fresche, con morbidezza e sensazioni pseudocaloriche discre-te e media struttura.

VERNACCIA DI ORISTANO

Sinonimi: vernaccia bianca, garnaccia, moranina, granazza.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte, anche se secondo una leggenda po-polare si sviluppò spontaneamente nella valle del Tirso. Alcuni studiosi lo ritengo-no importato in Sardegna dai Romani, mentre altri pensano sia giunto dalla Spagna.Zone di coltivazione: è diffuso in Sardegna, particolarmente in provincia diOristano.Caratteristiche: foglia media o piccola, orbicolare, trilobata. Grappolo minuto,cilindro-conico. Acino di media grandezza, rotondo, con buccia molto pruino-sa, di colore verde-giallastro con sfumature dorate.Maturazione: fine settembre.Produttività: media.Vigoria: media.

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La vernaccia di Oristano dà un vino di colore giallo ambrato, con profumo moltointenso ed etereo, con penetranti e caratteristici sentori di ossidazione. La strut-tura gustativa è robusta e ricca di grande morbidezza, e le forti sensazioni per-cepite si basano anche sulla notevole componente alcolica che, insieme a tuttigli altri elementi estrattivi, contribuisce a determinare una importante persi-stenza aromatica intensa.

VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO

Sinonimi: vernaccia di Toscana, zuccaia.Cenni storici: anche se le prime notizie risalgono al 1276, non si sa se sia sta-ta importata dalle Cinque Terre (Liguria), dalla Spagna o dalla Grecia. La Vernacciadi San Gimignano fu lodata da Sante Lancerio, bottigliere di Papa Paolo III e ce-lebrata nei versi di Francesco Redi. È stata riportata alla ribalta soltanto negliultimi decenni, e recenti indagini tendono a dimostrare la netta distinzione diquesto vitigno dalle altre “vernacce”. Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in Toscana e, negli ultimi tempi, inSardegna.Caratteristiche: foglia media, orbicolare o pentagonale, trilobata. Grappologrande, semicompatto, allungato, piramidale, talvolta alato. Acino di mediagrandezza, quasi discoidale, regolare, con buccia di spessore medio, in generedi colore verde-giallastro.Maturazione: ultima decade di settembre, primi giorni di ottobre.Produttività: buona e costante.Vigoria: media o buona.

Il vino ottenuto dalla vernaccia di San Gimignano è di colore giallo paglierino, conprofumo abbastanza intenso e fruttato, con leggeri sentori di mandorla. Il gustoesprime buon equilibrio, con una media struttura ed una persistenza aromaticapiacevole e fresca.

VERNACCIA NERA DI SERRAPETRONA

Sinonimi: vernaccia nera, vernaccia di Cerreto o cerretana, vernaccia di Teramo.Cenni storici: questo vitigno è ritenuto originario proprio di Serrapetrona edera già conosciuto nel Medio Evo, più volte descritto da vari studiosi di ampe-lografia.Zone di coltivazione: è diffuso a Serrapetrona e in alcuni comuni limitrofi in

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provincia di Macerata, anche se lentamente se ne sta abbandonando la colti-vazione, a causa della grande sensibilità agli attacchi parassitari.Caratteristiche: foglia media, orbicolare, pentalobata o raramente trilobata, pa-gina superiore glabra, di colore verde cupo. Grappolo di media grandezza, cilin-drico o conico, abbastanza compatto, spesso alato. Acino medio, rotondo, conbuccia mediamente pruinosa, di normale consistenza, di colore nero-viola.Maturazione: prima decade di ottobre.Produttività: normale.Vigoria: buona.

VESPAIOLA

Sinonimi: vespaiolo, bresparola, vespara, vesparola.Cenni storici: questo vitigno ha origini incerte ma era già descritto nel 1881.Sembra che il nome derivi dal fatto che queste uve particolarmente zuccherinesiano molto apprezzate dalle vespe. Zone di coltivazione: è diffuso soprattutto in provincia di Vicenza.Caratteristiche: foglia piccola, trilobata, con pagina inferiore di colore verdechiaro, aracnoidea. Grappolo piccolo, cilindro-conico, un po’ spargolo, con un’a-la. Acino medio, sferoidale, con buccia molto pruinosa, di colore giallo dorato.Maturazione: ultima decade di settembre.Produttività: media ed abbastanza costante.Vigoria: buona.

VESPOLINA

Sinonimi: vespolina nera, croattina, guzzetta, ughetta di canneto, uva rara.Cenni storici: questo vitigno era già noto e coltivato nel XVIII secolo, in pro-vincia di Novara. È conosciuto anche con il nome latino “vitis vinifera circum-padana”, che comprende tutte le tipologie definite ughetta nelle valli vercelle-si, novaresi, alessandrine e dell’Oltrepò Pavese.Zone di coltivazione: è diffuso in alcuni areali piemontesi e lombardi.Caratteristiche: foglia piccola, pentagonale, pentalobata, pagina superiore dicolore verde chiaro. Grappolo di media grandezza, abbastanza compatto, al-lungato, cilindro-conico o tronco-conico, con una sola ala di norma ben diffe-renziata e sviluppata. Acino medio, ovale come una piccola oliva, regolare, conbuccia leggermente pruinosa, piuttosto sottile, di colore blu scuro, quasi nero.Maturazione: fine settembre.

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Produttività: regolare, ma non abbondante.Vigoria: buona.

VIEN DE NUS

Sinonimi: gros orious.Cenni storici: questo vitigno deriva probabilmente da una selezione tra i vari“orious” coltivati nell’area di Nus; era già coltivato in Valle d’Aosta nel secoloscorso.Zone di coltivazione: è marginalmente diffuso soltanto in Valle d’Aosta.Caratteristiche: foglia grande, pentalobata, pagina superiore glabra, di coloreverde cupo. Grappolo medio-grande, conico-piramidale, mediamente compat-to, alato. Acino medio-grande, sferoidale, a volte appiattito, con buccia moltopruinosa, spessa, di colore nero con riflessi blu, punteggiata.Maturazione: fine settembre.Produttività: abbastanza regolare.Vigoria: ottima.

ZIBIBBO

Sinonimi: moscato d’Alessandria.Cenni storici: questo vitigno, conosciuto come zibibbo di Pantelleria o mosca-tellone, è stato probabilmente introdotto in Sicilia nell’VIII secolo dagli Arabi.Zone di coltivazione: è diffuso quasi esclusivamente nell’isola di Pantelleria, do-ve produce un’uva a triplice impiego: da tavola, da vino e per essiccamento.Caratteristiche: foglia media, pagina superiore glabra, di colore verde scuro convenature rosse. Grappolo di media grandezza e compattezza. Acino grande, ir-regolare, ellissoidale, con buccia di medio spessore, di colore giallo chiaro-ver-dolino.Maturazione: fine settembre, inizio ottobre.Produttività: non abbondante, ma regolare.Vigoria: discreta.

Lo zibibbo dà un vino di colore giallo paglierino tendente al dorato e all’ambra-to dopo appassimento, con profumi molto intensi ed ampi, aromatici, fruttati, spe-ziati, con note di agrumi canditi e frutta secca. Al gusto esprime grande dolcez-za e morbidezza, freschezza e sapidità, che regalano al vino ottima struttura, pia-cevole equilibrio ed una importante persistenza gusto-olfattiva.

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La vite e la sua storia

Furono i Salassi, preistorica tribù di origine ligure-gallica, i primi abitatori del-la valle che praticarono in questa terra la coltura della vite con un certo suc-cesso, favoriti anche dal fatto che in quei tempi questa regione godeva di con-dizioni climatiche migliori delle attuali.

Questi fieri abitanti opposero notevole resistenza alla dominazione romana,tanto che nel 25 a.C. il console romano Aulo Terenzio Varrone Murena, dopo aver-ne spezzato la resistenza, portò 36.000 di loro al mercato di Ivrea per essere ven-duti come schiavi. Va da sé che i legionari romani si impegnarono a prosciuga-re fino all’ultima stilla di vino le cantine degli sconfitti, sicuramente meritevo-le del già esperto palato dei soldati.

I primi documenti che ci parlano di viti e di vigne appaiono nel 515, in rife-rimento al legato che Sigismondo fece all’Abbazia di S. Maurizio nel Vallese, esuccessivamente la tradizione vinicola fu mantenuta nei monasteri, anche sot-to il dominio dei Goti, dei Longobardi, dei Franchi e dei Savoia a partire dal IXsecolo. Persino il vescovo di Ivrea, Federico Front, nel 1272 obbligava i cittadi-ni a coltivare a vigneto i terreni adatti. Ma il vero successo comprovante il pro-gredire nel corso dei secoli della vitivinicoltura ci viene attestato da LeandroAlberti nel 1550, nella sua opera “Descrittione di tutta Italia”, dove elogia, tragli altri vini, un soave moscatello locale.

Nei secoli successivi emergono e si affermano i vini di Chambave, Nus,Donnas, Arvier e Morgex, ma l’arrivo della fillossera, all’inizio della seconda me-tà dell’800, sconvolge tutto quanto era stato creato con pazienza, e se anche ladistruzione non sarà totale, il prezzo sarà costituito dalla perdita di qualche va-rietà di vite, come l’antico “muscatel de Saint-Denis”.

Documento del 1035 con riferimenti ai vigneti della Valle

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Ambiente pedoclimatico

La Valle d’Aosta è una piccola regione di montagna (3.264 kmq), che confi-na a ovest con la Francia, a nord con la Svizzera, a est e a sud con il Piemonte.

È una tipica valle glaciale, cioè plasmata dai ghiacciai quaternari che hannooccupato antiche valli fluviali. Si possono distinguere tre zone di corrugamento:quella esterna, costituita da rocce cristalline, che comprende il monte Bianco, lavetta più alta d’Italia che sfiora i 5.000 m; quella interna, formata sempre da roc-ce cristalline, corrisponde ai rilievi del Gran Combin, del monte Rosa e del GranParadiso e la terza, colma la sinclinale tra le due zone cristalline.

La valle più fertile è quella centrale, solcata dalla Dora Baltea, con direzio-ne longitudinale lungo la Valtournenche, che nel tratto mediano si allarga suterreni aperti e soleggiati di origine quaternaria e di natura sabbioso-argillosa,ed è proprio la differente composizione dei territori nelle varie zone che permetteuna certa diversificazione nella coltivazione di numerosi vitigni.

L’unico fiume importante della Valle d’Aosta è la Dora Baltea, che nasce dalmonte Bianco, percorre la regione da nord-ovest verso sud-est, fino a pochi chi-lometri dalla confluenza con il Po, e raccoglie le acque di numerosi torrenti pro-venienti da altrettante vallate laterali.

Particolarmente estesa è la superficie dei 180 ghiacciai alpini, che è di qua-si 300 kmq, con ben 140 piccoli laghi, quasi tutti di origine glaciale, sparsi si-no a 2.800 m slm.

Il clima è tipicamente continentale, seppur variabile secondo l’altitudine, chepresenta dislivelli di oltre 4.000 metri tra le zone della Bassa Valle e le cimedell’Alta Valle. Il freddo è intenso nel lungo periodo invernale e le temperature

Dal 1987 il CERVIM (Centro di ricerche, studi e valorizzazione per la viticoltura montana),persegue l’obiettivo di salvaguardare e promuovere la viticoltura di montagna e/o in con-dizioni orografiche difficili, come in forte pendenza o su terrazzamenti, minacciata dal-l’abbandono a causa degli alti costi di produzione e delle caratteristiche del territorio. Inquesto importante centro di ricerca confluiscono la collaborazione e il contributo scienti-fico di numerosi istituti e organizzazioni nazionali ed internazionali di paesi come laFrancia, l’Austria, la Spagna, il Cantone Vallese, il Portogallo e la Germania. Tra le iniziati-ve più importanti promosse negli ultimi anni si possono ricordare l’organizzazione delConcorso Internazionale Vini di Montagna, e la realizzazione di convegni e giornate di stu-dio aventi per oggetto ricerche scientifiche e analisi di diversi aspetti della viticoltura.

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nella breve estate sono elevate. Scendendo verso la valle, alla sinistra della DoraBaltea il clima è mediamente più temperato e i particolari microclimi, determi-nati dalle formazioni montuose che deviano i venti gelidi e provocano scarsa pio-vosità e dalla diversa esposizione al sole, permettono la coltivazione della vite.Le precipitazioni sono infatti tra le più scarse d’Europa, soprattutto nella con-ca di Aosta, con minimi di 600 mm di pioggia annui, ma aumentano nella par-te inferiore della valle, verso la pianura, mentre la neve cade abbondante al disopra dei 2.000 metri.

Zone vitivinicole

In Valle d’Aosta la vite viene coltivata lungo la valle della Dora Baltea, percirca 80 km, soprattutto sul versante sinistro scendendo lungo il fiume, con unaviticoltura definita di montagna per il 60% e di collina per il 35%, su una su-perficie complessiva di 520 ha vitati. La natura e la forte pendenza dei terrenihanno determinato un tipo di avvallamento a terrazzamenti, con teorie di mu-retti in pietra e colonne di mattoni o pietra. E proprio queste terrazze, che sem-

Chambave, vigneto in zona Campagne

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brano scolpite nella montagna e che fin dal secolo scorso hanno strappato al-la montagna quei piccoli spazi necessari per l’insediamento dei vigneti, si sgre-tolerebbero in poco tempo se le radici delle viti non svolgessero la loro fonda-mentale azione aggregante. Ultimamente, nelle zone più aspre la viticoltura èstata abbandonata, permettendo la diffusione, nelle altre parti del territorio, disistemi colturali quali la pergola bassa con l’impalcatura tradizionale in legnoe sostegni rotondi in pietra – soprattutto per il prié blanc - e le pergole tradi-zionali poste tra muretti in pietra in zone rocciose, oltre a filari bassi tipo gu-yot e l’alberello per il muscat.

La maggior parte dei vini valdostani - 11.005 hl di vino VQPRD (la produzio-ne totale del 2008 è stata di 17.200 hl) - è consumata in regione, in abbina-mento ai piatti della tradizione così apprezzati dai numerosi turisti che, sia inestate sia in inverno, trovano in questi luoghi una perfetta integrazione tra vi-te e territorio. Al fine di valorizzare la produzione enologica valdostana dovrebbeessere istituita in tempi brevi l’Enoteca regionale, e si sta lavorando sulle Stradedel vino, per ritrovare tutti i piaceri dell’enogastronomia.

I vitigni coltivati sono diversi, alcuni autoctoni e diffusi tuttora quasi esclusi-vamente in questa regione come il fumin, il prié rouge o prëmetta e il prié blanc(ex blanc de Morgex); stanno ricevendo particolari attenzioni e sono al centro distudi per poterli valorizzare al meglio, anche con produzioni in purezza. Altri so-no ben più conosciuti, come il petit rouge, il più coltivato, il manzoni bianco, il no-bile nebbiolo, la barbera, il gamay, il dolcetto, il müller thurgau, o, ultimamente,lo chardonnay, vitigno che fa parte della “rivoluzione internazionale” che ha in-vestito il vigneto italiano. Il vigneto valdostano è costituito per il 15% da vitignibianchi e per ben l’85% da quelli rossi, con una resa media piuttosto bassa, di cir-ca 6 t/ha.

I vini valdostani sono “pochi ma buoni” e dal 1985 sono tutti riuniti nella DOC

L’Institut Agricol Régional è stato fondato nel 1951 dai Canonici del Gran San Bernardo e,agli inizi, si chiamava Scuola pratica di agricoltura. Nel 1982 intervenne la Regione, e at-tualmente è una scuola tecnico-professionale che si occupa di viticoltura, frutticoltura, agro-nomia, zootecnia ed economia agraria. Al tempo stesso è un centro di sperimentazione edi ricerca, che da tempo lavora sulle microvinificazioni per valorizzare al massimo le po-tenzialità del patrimonio ampelografico valdostano.

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Valle d’Aosta o Vallée d’Aoste, che comprende numerose sottodenominazioni (sot-tozone e vitigni).

Nei comuni dell’unica provincia di Aosta vi sono tre zone vitivinicole: laValdigne (o Alta Valle), la Valle Centrale e la Bassa Valle. Nella Bassa Valle le vi-gne si trovano a 300 m di altitudine, il vitigno più diffuso è il nebbiolo e pre-dominano i vini rossi. Nella Valdigne, dove viene coltivato il prié blanc, soprav-vissuto alla fillossera, i vigneti arrivano a 1.200 m e oltre, ai limiti della so-pravvivenza della vite, mentre nella Valle Centrale si producono vini ottenuti dadiversi vitigni autoctoni. Il prié rouge o prëmetta si trova in particolare adAymavilles, famosa per il vino rosso Torrette; il petit rouge e il fumin sono sem-pre entrati a far parte degli uvaggi per la produzione dei vini valdostani.

Uve rosse per il Torrette

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Gastronomia

Gastronomia tipica di zone montane, rustica e generosa, la cucina valdosta-na risente della tradizione delle popolazioni d’origine, con influssi di tipo fran-co-provenzale e di ceppo tedesco nella valle del Lys. L’aspetto comune ad en-trambi è lo scarsissimo impiego in cucina dell’olio, sostituito dal burro, e dellapasta alimentare, rara nei primi piatti, che sono in genere zuppe a base di pa-ne, brodo, verdure e polenta.

La coltura principale della regione è la patata, introdotta da circa un seco-lo, seguita dalla segale, ma ancor più importante è l’allevamento bovino con muc-che da latte, che alimenta una fiorente industria lattiero-casearia. Regina di que-sta produzione è la fontina, il cui nome compare per la prima volta in un docu-mento del 1717, ottenuta dal latte vaccino intero e rinomata per il sapore ed ilprofumo inconfondibile. I pascoli del bestiame da latte, la pezzata rossa e la pez-zata nera, sono infatti ricchi di erbe aromatiche che sono consumate allo sta-to fresco, mentre in inverno si ricorre al fieno d’alpeggio. Il formaggio è postoal consumo dopo almeno tre mesi di maturazione in appositi magazzini, ad ol-tre 1.000 m di altitudine, e viene segnato con il marchio d’origine.

Il suo uso è alla base di tutta una serie di piatti tipici locali, dalla zuppa val-pellinentze (della Valpelline) agli gnocchi alla fontina, fatti con patate e cottipoi al forno con burro e fontina, dalle crêpe alla valdostana, ripiene di fontinae cotte al forno con burro e besciamella, alla polenta concia. Ma il piatto piùfamoso ed “esportato” è la fonduta (fondue) valdostana, con latte, burro, mol-ta fontina, tuorli d’uovo e fettine di pane tostato. E non mancano nemmeno pri-

Valdigne e il Monte Bianco sullo sfondo

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mi piatti come la soupe grasse con la toma, la minestra di riso alla valdostana,con riso, rape e burro, la minestra di riso, latte e castagne e la soupe paysanne,minestra a base di pane di segale, con cipolla, burro e toma.

In una cucina un tempo isolata dalle abbondanti nevicate non potevano man-care le vivande conservate, dal pane scuro a base di farina di grano e di segaleprodotto una sola volta all’anno e conservato a secco per essere utilizzato perzuppe a base di brodo e di latte, alla carne, spesso salata in barili con erbe aro-matiche. E proprio la carne, tagliata in sottili strisce e cotta a lungo nel vino ros-so con cipolla tritata, è l’ingrediente base della carbonade.

Un’altra specialità è la bistecca di manzo alla valdostana, impanata e fritta nelburro fuso e ricoperta con prosciutto cotto e fontina. Presente anche la selvaggi-na, con camoscio e lepre in salmì, i salumi come i boudin (salsicce), la mocetta,cioè cosce di camoscio e di capra trattate in salamoia con erbe aromatiche e con-servate in ambienti ben areati. Prodotti DOP spesso usati come antipasti sono illard d’Arnad e il jambon de Bosses, quest’ultimo prodotto ad un’altitudine di 1.600m slm e dotato di una punta di dolce e un sottofondo aromatico.

Importanti anche le specialità casearie, come le tome di Gressoney ed il fa-moso fromadzo, proveniente dai più elevati pascoli di alta montagna, dal sapo-re semidolce e dall’elegante retrogusto erbaceo.

I pesci di acqua dolce, soprattutto le trote, pescati nella Dora Baltea, nei tor-renti e nei laghetti, sono abbastanza frequenti nelle trattorie locali.

Le locali mele renette sono molto diffuse ed importanti dal punto di vista eco-nomico, mentre altri tipi di frutta sono poco utilizzati, tranne i frutti di bosco,come mirtilli, fragole selvatiche e lamponi.

Poco ampia è la varietà dei dolci regionali, semplici e familiari, ma ricordia-mo le tegole, biscotti rotondi a base di mandorle, i torcettini di Saint-Vincent, ibaci di Courmayeur simili ai cuneesi al rum, il brochart fatto con riso, latte zuc-cherato e pane di segale, il blanc-manger, a base di latte, vaniglia e zucchero e,infine, il fiandolein, uno zabaione di tuorli d’uovo, zucchero, latte, rum e scorzadi limone, fatto cuocere lentamente.

Se abbiamo mangiato bene e vogliamo chiudere in bellezza, beviamoci un caf-fè alla valdostana, bevanda a base di caffè e liquori, la cui ricetta è tenuta ri-gorosamente segreta, servito nella coppa dell’amicizia chiamata erroneamentegrolla, e concludiamo il tutto con un bicchierino di genepy, ottenuto con un’in-fusione idroalcolica dei fiori dell’Artemisia glacialis per una quarantina di gior-ni, e poi addizionato con una soluzione zuccherina.

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La vite e la sua storia

Furono senz’altro i Greci i primi a portare vini di qualità nella regione, scari-cando le loro navi ricolme di anfore di vino nei porti liguri, e penetrando nel ter-ritorio anche con barbatelle e talee, che costituirono i primi impianti e vigneti.Infatti, in piena età romana la coltivazione della vite era già fiorente, tanto chePlinio il Vecchio, nella sua enciclopedica “Naturalis historia”, già profila l’odiernaarea viticola, accennando altresì alle prime botti lignee della storia enologica,usate appunto in quella zona “circa Alpes”, in pratica, nei pressi delle Alpi. Conla caduta dell’Impero Romano e l’invasione di Goti e Borgognoni prima edUngari e Saraceni più tardi, la viticoltura, pur subendo non poche devastazioni,si mantenne sempre abbastanza efficiente, e lentamente continuò ad espandersiprima e dopo l’anno 1000. In pieno Medioevo possiamo così apprendere, dalCodex Astiensis, che la città di Asti è “fornita di vino buono e ottimo”. Più o me-no all’inizio del Millennio si registra l’esistenza del vitigno nebbiolo ed in seguitoPier de’ Crescenzi loda, nel suo trattato di agricoltura, gli ottimi metodi utiliz-zati nella coltura della vite dai contadini del Monferrato. È infatti questo il pe-riodo nel quale è introdotto l’allevamento a spanna, cioè vite maritata a palosecco e potatura corta: questo termine diventerà sinonimo, nel novarese, del vi-tigno nebbiolo così coltivato.

Con il trascorrere dei decenni, appaiono sempre più numerosi i documentiche attestano la vitalità del settore viticolo, descrivendo nuovi vitigni, come pi-gnole, labrusche e moscatelli, mentre i regolamenti comunali si occupano sem-pre più di vendemmie e di tutela dei vigneti. Nel 1500, altri documenti ci in-formano in modo dettagliato sulla viticoltura e sui vini piemontesi: il bottiglieredi Papa Paolo III, Sante Lancerio, ci fa sapere che “Voghera fa buon vino”, che“Tortona fa unico vino”, che “buoni vini sono ad Alessandria”, citando poi co-me luoghi di buona produzione Cassine, Acqui, Saluzzo, Cairo Montenotte edaltri ancora. È anche l’epoca nella quale nascono i primi “chiaretti” di ispira-zione francese, dando una svolta ai tradizionali metodi di vinificazione. Il suc-cesso dei vini piemontesi si allarga sempre più, tanto che persino Luigi XIV diFrancia, il Re Sole, avendo gustato vini e formaggi piemontesi, li aveva trova-ti eccellenti.

Intorno alla metà del XVIII secolo, i fermenti illuministici ed il grande fer-vore che li accompagna animano un profondo processo di rinnovamentoagricolo e quindi vitivinicolo: la vite si insedia definitivamente sui colli, e dai

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chiaretti e dai vini dolci si passa ai progenitori dei vini di oggi, il Barolo inprimo luogo. Nel 1843 il conte di Cavour, produttore di vini oltre che gran-de politico, si dedica con passione ai primi studi ampelografici e trascorre ilsuo tempo libero nella vigna a potare, vendemmiare e individuare nuove va-rietà di uve. Purtroppo, su questa nuova fioritura si abbattono i flagelli del-l’oidio, della peronospora e della fillossera, determinando decenni di profon-da crisi che, di fatto, lasciano il loro segno fin quasi alla soglia del secondoconflitto mondiale.

Ambiente pedoclimatico

Il Piemonte è una delle grandi regioni vitivinicole italiane, e non certo soloper la sua estensione (25.399 kmq); confina a nord con la Svizzera (Vallese eCanton Ticino), a nord-ovest con la Valle d’Aosta, ad ovest con la Francia, a sudcon la Liguria, a sud-est con l’Emilia-Romagna e ad est con la Lombardia.

Il 26.4% del territorio piemontese è pianeggiante, il 30.3% collinare e il 43.3%montuoso.

Fanno parte del Piemonte i versanti padani delle Alpi Marittime e delle Cozie,una porzione delle Graie, delle Pennine e delle Lepontine e, inoltre, un vasto set-tore dell’Appennino ligure, il cui prolungamento naturale è costituito dai siste-mi collinari delle Langhe e del Monferrato.

Le Alpi piemontesi, che si innalzano con massicci poderosi a quote superioriai 4.000 m (monte Rosa e Gran Paradiso), sono costituite in prevalenza da roc-ce cristalline con forme aspre e incise da profonde valli trasversali. In questa re-gione manca quella fascia prealpina calcarea che caratterizza le Alpi lombardee venete, e che crea un’area di transizione tra la pianura ed il sistema alpino,ma le forme dei territori collinari sono molto più morbide.

Le colline culminanti con il Colle della Maddalena (716 m), denominate diTorino e di Casale, sono una vera e propria catena di corrugamenti costitui-ti da porfidi, graniti e gneiss, la cui altezza media si mantiene sui 350 m. Laloro naturale continuazione è data dalle colline del Monferrato e delle Langhe,dovute al profondo logorio delle acque correnti e costituite da formazioni roc-ciose più tenere ed erodibili, come le marne, i calcari marnosi, le arenarie, igessi ed i conglomerati; sono terreni particolarmente vocati per la coltiva-zione della vite, specialmente quelli delle Langhe, con un’altitudine media di530 m.

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Il Piano Alto di Cuneo (400 m) è la parte più elevata di tutta la pianura pa-dana. Il continuo apporto di materiali alluvionali ai piedi delle terrazze costi-tuenti l’alta pianura ha dato luogo alla formazione di un bassopiano, nel qualesi raccolgono le acque che lo rendono una zona ottimale per la coltivazione del-la vite, dei cereali e delle colture erbacee in genere.

Ad esclusione del Po e del Ticino, i fiumi piemontesi hanno quasi tutti porta-te molto diseguali e regime per lo più torrentizio, con magre estive ed inverna-li e piene autunnali e primaverili, queste ultime dovute anche allo scioglimen-to delle nevi.

Dal punto di vista idro-grafico, il territorio pie-montese corrisponde al-l’alto bacino del Po, ilmaggior fiume italiano,con i suoi 652 km di lun-ghezza, nel quale con-fluiscono da sinistra leacque del Pellice, del Chi-sone, del Sangone, dellaDora Riparia, dello Sturadi Lanzo, dell’Orco, dellaDora Baltea, del Sesia,dell’Agogna e del Ticino,e da destra quelle dellaVaraita, della Maira, delTanaro che attraversa lecolline astigiane, del Bor-mida e dello Scrivia. IlToce, il cui bacino corri-sponde alle regioni del-l’Ossola e del Cusio, scen-de nel lago Maggiore, ilbacino lacustre più este-so del Piemonte. Gli al-tri laghi sono tutti pocoestesi, come il lago Particolare stratificazione del terreno nella zona di Dogliani

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d’Orta e quello di Mergozzo in provincia di Verbania, quello di Candia e di Vi-verone nell’anfiteatro morenico di Ivrea.

Il clima presenta caratteri tipicamente continentali, con elevate escursioni ter-miche stagionali e giornaliere, inverni lunghi e freddi, estati calde e afose nel-le aree pianeggianti, più fresche e ventilate nelle zone collinari e montuose. Leprecipitazioni registrano una media di 1.000 mm annui, con massime nei mesiautunnali e primaverili, e temporali estivi spesso con grandine.

Le regioni più piovose (anche oltre i 3.000 mm annui) sono le aree del Verbanooccidentale e del Cusio, l’alta Valsesia, il biellese e le parti più elevate e più espo-ste ai venti umidi delle dorsali delle Alpi Cozie e Graie. L’umidità relativa è no-tevole, così come la formazione di nebbie, soprattutto nei mesi invernali e nel-le pianure; la neve cade con una certa regolarità nelle zone più elevate di tut-to il Piemonte.

Vigneti di nebbiolo sotto la neve

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Zone vitivinicole

51.437 ha di vigneti e oltre 30.000 aziende: questi dati confermano senzaalcun dubbio che la vitivinicoltura occupa attualmente una posizione di as-soluto primo piano all’interno del comparto agricolo piemontese, con 2.479.633hl di vino prodotto nel 2008. La coltivazione della vite è praticata essenzial-mente in collina (93%) dove, a causa della forte inclinazione dei pendii vita-ti, le sistemazioni del terreno più diffuse sono quelle a terrazzamento e a ri-tocchino, in modo da favorire l’impiego delle macchine. Le forme di allevamentopiù diffuse sono il guyot (con varie modifiche), la controspalliera, il maggio-lino, la pergola e la pergoletta. La resa è mediamente contenuta entro le 8 t/ha.

I vitigni più coltivati sono quelli a bacca rossa, che ricoprono circa il 68% deiterreni vitati, tra i quali si possono ricordare barbera, dolcetto, nebbiolo, freisa, bra-chetto e grignolino, mentre tra quelli a bacca bianca - 32% della produzione - sitrovano, nell’ordine, moscato bianco, cortese, manzoni bianco, chardonnay ed ar-neis, anche se convivono diverse varietà coltivate da centinaia d’anni, come pela-verga, erbaluce, favorita e alcune malvasie, unitamente ad altre di recente intro-duzione.

La maggior parte della produzione dei vini piemontesi si fregia della DOC edella DOCG e molti di questi sono ottenuti dal vitigno nebbiolo, come Barolo,Barbaresco, Gattinara, Ghemme, Nebbiolo d’Alba, Bramaterra, Lessona, Boca,Carema, Fara, Roero e Sizzano, di grande pregio e particolarmente adatti all’af-finamento. Il vitigno nebbiolo, principe dell’enologia piemontese, con acini pic-coli e molto fitti, è molto sensibile anche a minime differenze di terreno e cli-ma, e dà quindi vini sostanzialmente diversi nelle varie zone, seppur sempre digrande levatura. Il suo ciclo è molto lungo: il germogliamento e la fioritura so-no precoci, mentre la maturazione dell’uva avviene in epoca tardiva e, anche perquesto motivo, preferisce località collinari ben esposte al sole.

Non meno significativa è la posizione delle Barbera, ormai presenti in tuttele enoteche e nelle carte dei vini dei ristoranti più prestigiosi, così come sem-pre più autoritaria si fa la presenza dei Dolcetti, con varietà di caratteri legatialle diverse tipologie.

La tradizione vinicola, soprattutto per quanto riguarda i vini rossi, ha radiciche affondano principalmente nelle Langhe, nell’astigiano e nel Monferrato, convigne poste in collina, garanzia di qualità e prestigio. Il clima, i vitigni, i terre-ni e l’intervento intelligente dell’uomo completano l’opera, ed ogni zona e col-

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lina dà qualcosa di speciale e di diverso a ciascun prodotto. Ogni terra ha i suoi“bricchi” migliori.

A conferma delle profonde radici piemontesi nella storia dell’enologia, non si puòdimenticare il Vermouth, vino aromatizzato che qui ha trovato i natali nel XVIII se-colo, anche se negli ultimi anni il suo mercato si è fatto sempre meno importante.

Ma il Piemonte non è “solo vino”, o meglio, non è “vino da solo”. Basti pen-sare alle dieci Enoteche regionali - sempre inserite in palazzi storici e castelli -e le ventuno Botteghe del vino frequentate da numerosi enoturisti, molti dei qua-li provenienti dall’estero, per non parlare di tutti quelli che percorrono le nu-merose Strade del vino alla ricerca di piccoli gioielli enologici e gastronomici,di cui questa regione è così ricca.

Le zone di maggiore interesse vitivinicolo sono nove.

Grappoli di nebbiolo, grande vitigno piemontese

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La zona pedemontana a nord, che comprende le Colline Novaresi eVercellesi, è l’unica che si differenzia notevolmente dalle altre, simili invecetra loro per clima e terreno. Grazie ad un substrato particolarmente acido, ric-co di ferro e povero di calcare, trova un habitat pedologico particolarmenteadatto il nebbiolo, denominato localmente spanna, e la felice esposizione dei“ronchi”, le caratteristiche terrazze delle colline del nord, favorisce la produ-zione di vini molto longevi. Oltre al nebbiolo, altri vitigni diffusi nella zona so-no bonarda (uva rara), vespolina, croatina, barbera ed erbaluce. Negli impiantimoderni la vite viene allevata a controspalliera, anche se si trovano tuttorasistemi tradizionali quali il maggiolino e la pergola. Nella provincia di Vercelli,al di là del fiume Sesia, si trova la zona di produzione del Gattinara, noto giàalla Corte Imperiale di Carlo V, perché introdotto dal Cardinale MercurioArboreo (1465-1530), che era proprio di Gattinara, e famoso anche tra i du-chi Sforza e i principi Savoia. Nella stessa zona si producono altri vini rossi dipregio, quali il Lessona e il Bramaterra, e sull’altra sponda del fiume Sesia, nel-le vicinanze del lago Maggiore in provincia di Novara, il vitigno nebbiolo, sem-pre definito spanna, dà ancora ottimi risultati nei vari Ghemme, Boca, Sizzanoe Fara.

Nel Canavese, unitamente a Carema, in una zona che confina con la Valled’Aosta, i vitigni più diffusi sono il nebbiolo, nelle sottovarietà picoutener e pu-gnet, e l’erbaluce, dai quali sono prodotti vini molto apprezzati e rinomati co-me il Carema e l’Erbaluce di Caluso. Il vino Carema era già noto nel Cinquecentoe il medico Andrea Bacci, nel suo “De naturali vinorum Historia de Vinis Italiae”,lo collocava tra i migliori vini dell’epoca, e ricordava che allietava le mense deiduchi di Savoia e che, seppur in piccole quantità, era consumato alla corte pa-pale.

La zona delle Colline Torinesi comprende il territorio del chierese e di-versi comuni dove sono coltivati soprattutto freisa e malvasie. I vitigni piùdiffusi nel pinerolese e in valle Susa sono freisa, barbera, bonarda e dolcet-to.

Il Monferrato si estende dalle colline torinesi fino ai confini orientali conla Lombardia e si divide in tre zone: l’astigiano, che comprende il territorio inprovincia di Asti ed è l’area che dà il maggiore contributo produttivo, il casa-lese, che si sviluppa intorno alla città di Casale Monferrato ed è vicina agliAppennini e l’alto Monferrato, ancora più vicino agli Appennini, con AcquiTerme, Ovada e Gavi. In tutta l’area il clima è continentale, con forti escur-

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sioni termiche tra estate e inverno. È la zona in cui piove meno e i terreni, conla loro composizione molto varia in sabbia-limo e argilla, condizionano la col-tivazione di vitigni anche molto diversi tra loro, che vanno dal bianco corte-se ai rossi grignolino, dolcetto, freisa e barbera, agli aromatici brachetto,malvasie e moscati.

La zona di produzione dell’Asti comprende 53 comuni nelle province di Asti,Alessandria e Cuneo, su un’estensione di circa 10.000 ha. Lo spumante è pro-dotto su vasta scala, secondo in Italia solo alla produzione del Chianti. Si trat-ta di una vera perla enologica, la cui produzione si aggira annualmente intor-no agli 80 milioni di bottiglie, 1/3 di tutto il contesto spumantistico nazionalee circa metà di tutta la produzione di vini di qualità della regione, venduta so-prattutto sui mercati esteri, e in Italia, anche se può risultare un po’ strano, alsud e al centro. E se si assiste a qualche flessione nelle vendite dello Spumante,il Moscato d’Asti è in continua ascesa. Con le uve moscato viene prodotta an-che la DOC Loazzolo, in un fazzoletto di terra che trae benefici dal vento mari-no che arriva dalla Liguria, molto vicina in linea d’aria. Il disciplinare è moltorestrittivo e fissa rese molto basse, sia per quanto riguarda il rapporto t/ha siaquello hl/ha di vino. Le vigne destinate a questa produzione devono essere sta-te impiantate da almeno otto anni, ubicate con pendenze minime del 20% e conesposizione sud o sud-ovest. I produttori di questo gioiello enologico sono po-chissimi, ed immettono su un mercato assai qualificato poche migliaia di bot-tiglie l’anno, in prevalenza di piccolo formato.

Le Colline Tortonesi comprendono una trentina di comuni in provincia diAlessandria, lungo il torrente Scrivia, con vigneti che si estendono su una vastasuperficie tra il Monferrato e l’Oltrepò Pavese. Le colline di questa zona sono mo-dellate e molto dolci, con terreni argillosi e compatti. Il clima è di tipo conti-nentale, con forti escursioni stagionali; la piovosità è la più bassa del Piemonte,con una media inferiore ai 700 mm di pioggia annui. I vitigni più diffusi sonobarbera e cortese, dal quale si ottiene il Cortese di Gavi o Gavi, vino bianco damonovitigno che ha conquistato i mercati mondiali. La zona di produzione è par-ticolare, con terreno tufaceo bianco e un favorevole influsso di aria marina chedetermina un’acidità naturale e aromi particolari.

Lungo la sponda sinistra del Tanaro si trova la zona del Roero, che compren-de 23 comuni del cuneese e quello di Cisterna d’Asti. I vitigni più coltivati sonoarneis, nebbiolo e barbera. In questa zona, dal vitigno nebbiolo si ottiene un pro-dotto con caratteristiche un po’ diverse da quelle dei vini normalmente elabo-

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rati con queste uve, non molto strutturato e beverino, che può essere propostoed apprezzato anche in estate.

In provincia di Cuneo, le Langhe rappresentano una delle zone collinari piùnote di tutto il contesto nazionale e si estendono lungo la sponda destra delTanaro. La forte specializzazione viticola conferisce a questi territori un parti-colare fascino, che li rende interessanti anche dal punto di vista turistico. I ter-reni sono generalmente calcarei e bianchi, arenaceo-marnosi, mentre nella Lan-ga bassa, dove la vite è quasi l’unica coltivazione presente, sono morenici dinatura sub-acida. Il clima è prevalentemente secco e contribuisce alla grandeconcentrazione di zuccheri negli acini, con una produzione qualitativamenteprestigiosa. Vitigni diffusiin queste zone sono dol-cetto, freisa, arneis, favo-rita, moscato e chardon-nay, ma il dominatore in-contrastato è il nebbiolo,nelle sottovarietà lampia,michet e rosé, da cui si ot-tengono i grandissimi Ba-rolo e Barbaresco.

I vigneti a nebbiolo perottenere il Barolo sonocoltivati in terreni diversiche, in base alla composi-zione, possono essere di-stinti in:

- terreno elveziano, aSerralunga d’Alba, Mon-forte d’Alba e CastiglioneFalletto, che dà vini più ro-busti, pieni, ricchi in tan-nino, molto longevi e digrande prestigio

- terreno tortoriano,principalmente a La Mor-ra, che dà vini più ricchi Colline e vigneti nella zona di Barolo

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in alcol e più profumati, vellutati ed eleganti, con maturazione più veloce e mi-nor longevità.

Il comune di Barolo è a metà strada, non solo geograficamente, ma anche perle caratteristiche del vino prodotto. In questi cinque comuni si produce la mag-gior parte del Barolo in commercio, che si distingue anche sul piano qualitati-vo con i vini di maggior prestigio.

Anche per il Barbaresco le caratteristiche cambiano secondo la zona: i viniprodotti nella parte settentrionale dei comuni di Neive e di Barbaresco sono mol-to eleganti e profumati, mentre altri sono più robusti e con maggiore propen-sione per l’affinamento.

Tutta la zona dell’albese è un susseguirsi di colline di diversa altezza, ma i ver-santi coltivati sono sempre quelli rivolti a sud, sud-ovest e sud-est, con le mi-gliori posizioni riservate al nebbiolo e, insieme alle caratteristiche dei terreni,creano delle piccole sottozone, dei poderi che il contadino langarolo chiama colnome di “sorì”. Nella zona più settentrionale, di recente, sono stati introdotti vi-gneti coltivati a chardonnay e pinot nero, con discreti risultati.

Un altro vitigno importante di questa regione è la barbera, dal quale si ot-tengono vini molto diversi tra loro. La Barbera d’Alba, per esempio, si distingue

Vigneti ben esposti nella zona di Barbaresco

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particolarmente perché nelle stesse zone di produzione di Nebbiolo d’Alba,Barolo e Barbaresco, dà risultati sorprendenti. Il colore è più ricco, i profumi so-no più intensi e la struttura robusta migliora le doti nei confronti dell’affina-mento. Per questo si usa dire che qui la barbera “baroleggia”! La Barbera d’Astiè un vino dalle alterne fortune. Fino agli anni ‘60 era il vino più venduto in da-migiana, ma poi la crisi ha portato a produrre diverse tipologie, da quella viva-ce a quella vinificata in bianco, oltre ad una proposta ben riuscita che riguar-da la Barbera d’Asti maturata in barrique. La Barbera del Monferrato, infine, vie-ne prodotta in un territorio molto esteso, che si sovrappone a quello dellaBarbera d’Asti, con proposte molto diversificate e in uvaggio con altri vitigni.

Sui Colli Tortonesi la Barbera presenta caratteristiche più simili a quelle delvino prodotto nell’Oltrepò Pavese, con minori doti di struttura ma maggior fre-schezza e vivacità. Con il vitigno barbera sono prodotte anche le DOC Piemonte,Canavese, Pinerolese, Colline Novaresi e Collina Torinese.

Infine, tra tutti i vitigni a bacca rossa coltivati in Piemonte, il dolcetto. È que-sta la varietà più precoce, poiché i suoi grappoli si presentano già maturi nellaseconda metà di settembre e, ricca di zucchero come dice il nome, viene consu-mata anche come uva da tavola. Vini DOCG e DOC ottenuti da questo vitigno so-no il Dolcetto d’Alba, il poco valorizzato Dolcetto d’Asti, il Dolcetto delle LangheMonregalesi prodotto in quantità limitate, il tipico e robusto Dolcetto di Ovada,il Dolcetto d’Acqui fine e gentile, il delicato Dolcetto di Dogliani e, infine, ilDolcetto di Diano d’Alba (sopra il castello di Grinzane Cavour), interessante e gra-devole. Si devono inoltre ricordare i riconoscimenti avvenuti negli ultimi anni ri-guardanti il Dolcetto del Pinerolese, dei Colli Tortonesi, del Monferrato e delleLanghe.

Le Langhe velate dalla nebbia

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Gastronomia

La cucina piemontese ha sicuramente risentito, nel corso dei secoli, della vi-cinanza di quella francese ma, pur subendone l’influsso, ha conservato una suainconfondibile fisionomia di schiettezza ed originalità. Una volta, gli ingredien-ti fondamentali dell’attività culinaria in Piemonte erano riso, burro, latte, for-maggio, aglio, tartufo, ed i piatti più semplici ne avevano almeno due, mentrequelli più complessi quattro. Infatti il riso era molto consumato, anche perchélargamente coltivato, ed era cucinato nei modi più svariati, da quello in brodoa quello con verdure, dal risotto alla torta di riso. E tra le tante varietà, sono daricordare le più grandi, per ottenere splendidi risotti, come il carnaroli, l’arborioe il vialone nano. Il consumo di riso negli ultimi decenni è molto diminuito, per-ché la cucina piemontese si è evoluta ed arricchita di altre specialità: si è pas-sati, in sostanza, da menu semplici e campagnoli, ad una cucina sempre più raf-finata e ricercata. Altro prodotto tipico e pregiato è il tartufo bianco, che ha co-me epicentro della produzione Alba, ma è diffuso anche nel Monferrato e nel-l’astigiano. Seguono i funghi, particolarmente prelibati i porcini e gli ovoli, i co-lorati e bellissimi peperoni, quali il quadrato, il lungo e il corno di bue, e poi ilcardo gobbo di Nizza Monferrato, lo spadone e il riccio d’Asti, gli asparagi diSantena. Molto pregiate sono le carni, sia bovine che di selvaggina, con squisi-ti piatti di fagiano e lepre.

Il Piemonte è una regione che offre ai visitatori una vastissima gamma di an-tipasti caldi e freddi, come le cipolle ripiene, con uova e burro, i crostini di tar-tufi, le insalate (capricciosa, mista di verdure, insalata russa, lingua e prosciut-to cotto), la carne cruda tritata o affettata in fettine molto sottili ad uso car-paccio, l’insalata di ovoli, di pollo e di fagioli, i peperoni ripieni con riso ed ac-ciughe, i salumi crudi e cotti, i salami crudi e cotti nel cui impasto viene mes-so spesso del vino nobile maturo come Barolo, Barbaresco e Barbera d’Alba, ilvitello tonnato, le uova alla bella Rosin, uova sode tagliate a metà e ricopertedi maionese, le uova ripiene e molti altri.

Tra i primi piatti, i più importanti e ricercati sono gli agnolotti del plin, no-me che deriva dal gesto fatto per chiudere la pasta, ripiena in più versioni, concarne magra arrosto, tritata con spezie o vegetali ed erbe aromatiche, serviticon sugo di arrosto o al tartufo, oppure quelli ripieni di ricotta. E poi i cannel-loni alla Barbaroux, dal nome del loro inventore, fatti di crêpe a base di latte,farina e uova, arrotolate e cotte al forno. Veramente caratteristica è la fondu-ta a base di fontina, fusa dolcemente e talvolta arricchita da scaglie di tartu-

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fo bianco. Seguono gli gnocchi all’ossolana, ottenuti con un impasto di pata-te, farina di castagne, parmigiano reggiano, uova, sale, pepe e noce moscata,e la paniscia, specialità di Novara, cioè un risotto con fagioli borlotti, salamee verdure. Numeroso è l’esercito dei risotti: al Barolo, con gli asparagi, alla fi-nanziera, tra i più classici, alla fonduta, alla piemontese con tartufo bianco, alrum con salsicce e così via. Da non dimenticare i tajarin al tartufo, pasta fattain casa con 30 tuorli d’uovo per chilo di farina, tagliata molto fine, condita conabbondante burro, parmigiano reggiano e sottili scaglie di tartufo, mentre i ta-jarin delle Langhe sono conditi con salvia e burro fuso, con salsa di pomodoro,oppure con sugo di arrosto in bianco.

Se passiamo alle pietanze, tra le più ricercate dagli amanti della buona cuci-na si può ricordare il brasato al Barolo, manzo marinato e stufato lentamentenel vino omonimo, il bollito misto alla piemontese, con carni lessate di manzo- famoso il bue grasso di Carrù -, vitello, gallina, lingua, servito con il bagnetverd, salsa verde ben agliata, o con il bagnet ross.

Altri piatti sono la trippa alla montanara, cioè cucinata in brodo di carne con

Bollito misto alla piemontese

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fagioli e tanta cipolla, il polpettone alla moncalvese, con carne di vitello battu-ta e resa sottile, foderata di pancetta coppata con un trito di aglio e rosmari-no, la carbonata con polpa di vitellone, olio, farina, burro, cipolla, vino rosso, aro-mi e spezie, la lingua di vitello lessata e servita con diversi tipi di salse.

Tra le carni di maiale si segnala il batsoà, piedini di maiale lessati in acquaacidulata, disossati, impanati e fritti.

Il pollo è molto apprezzato: notevole il pollo alla babi, schiacciato ed appiat-tito, cotto alla brace con molti aromi, il pollo alla Marengo, soffritto in olio eburro con cipolla, sedano, carota e poi portato a cottura con il brodo, la tac-chinella al forno, tipico piatto del giorno di Natale, con un trito di abbondantierbe aromatiche e cotta nel forno. Ampia la scelta della selvaggina, dal camo-scio stufato con cipolla, sedano, carota, prezzemolo e vino, alla lepre in civet,marinata nel vino con aromi e cotta in umido, dalla lepre ai funghi alla perniceal Barolo e ai piccioni saltati alla monferrina, rosolati nel burro con cipolla, se-dano e carota.

Ci sono poi delle specialità assai rinomate che esulano dai tradizionali cano-ni, come la bagna caôda, ottenuta con verdure crude come peperoni, cardi diChieri, sedano, finocchi, asparagi di Santena, da intingere in una salsa compo-sta da olio bollente con aglio ed acciughe dissalate, contenuta nel classico for-nellino da porre in mezzo al tavolo per non farla raffreddare. E i più raffinati so-stituiscono la bagna caôda con una salsa tartufata, a base degli stessi ingre-dienti ma, al posto dell’aglio, profumate ed eleganti scagliette di tartufo. Gustosie saporiti sono i peperoni all’acciuga, preparati con questi ortaggi dolci e car-nosi, cotti nel forno con aglio, olio, burro ed acciughe, gli involtini montanari,preparati con cavolo verza, fontina e burro, il fritto misto di cervella, fegato, ani-melle, salsiccia, filetto di manzo, crocchette di pollo, funghi ed amaretti. E poila finanziera, il cui nome forse deriva dall’opulenza del piatto così ricco di in-gredienti, con animelle, cervella, schienali o filoni lessati e fesa di vitello a da-dini; il tutto viene infarinato leggermente e poi fatto rosolare con funghi e por-tato a cottura completa con brodo o l’acqua di ammollo dei funghi. La finan-ziera serve per riempire vol-au-vent, per accompagnare sformati di spinaci, op-pure, in piccole quantità, come antipasto caldo, ma la si può servire con un ri-sotto bianco al parmigiano reggiano o costolette di castrato o filetto di vitello.

Da ricordare anche le lumache alla Barbera e soprattutto il tapulone, spez-zatino di carne d’asino o di cavallo con aromi, spezie, cavoli e vino rosso.

Importanti i formaggi lavorati, come il bruss nell’alto astigiano, in val Bormida

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e nelle Langhe, che nel tipo forte contiene robiole di latte di capra ben stagio-nate, olio di oliva, grappa, peperoncino rosso e pepe in grani, ma più conosciu-ti sono la robiola del beck, il rinomatissimo castelmagno, il famoso bettelmatt,formaggio grasso d’alpeggio prodotto a 2.150 m nell’alta val Formazza, soprala cascata del Toce, il grana padano, l’eccezionale gorgonzola, la robiola diRoccaverano, le tome piemontesi, il raschera, il bra, il murazzano, il taleggio etanti altri, prodotti con latte vaccino, ovino e caprino.

Tra i dolci si segnala il grande uso della Nocciola del Piemonte IGP, che corri-sponde alla cultivar tonda gentile delle Langhe, come nei baci di dama, impastodi nocciole o mandorle tritate con farina, burro, zucchero e vaniglia, cotte al for-no e glassate di cioccolato fondente, nella torta di nocciole con nocciole tosta-te e tritate, uova, burro, farina e zucchero, nella torta di pane e latte della vald’Ossola, arricchita con zucchero, latte, vanillina, cacao, uvetta sultanina e ro-smarino.

A base di frutta si trovano le pesche ripiene, divise e snocciolate, riempite conla stessa polpa e amaretti sbriciolati, cacao, zucchero e cotte al forno, le martinsech (pere) al Barolo, le mele al Freisa amabile e il melone all’Asti Spumante.

Deliziosi sono i marrons glacés, i cuneesi al rum con meringa ricoperta di cioc-colato fuso ed una farcia di nocciole, cacao e rum, i torroni e i biscottini di tut-te le fogge e dai sapori più vari, i crumiri di Casale Monferrato, il bônet, budinoal cioccolato con latte, uova, zucchero e vaniglia, la composta di marroni. Cioc-colatini e praline di tutti i tipisono da gustare a fine pastoo... in qualunque momento del-la giornata, e vale la pena ri-cordare le scorze di arancia can-dite e glassate al cioccolato e itartufi al cioccolato, palline conl’impasto dei cuneesi, rotolatenel cacao in polvere. E per ti-rarci su dopo tanta fatica, unbello zabaglione con tuorlid’uovo sbattuti con Marsala oMoscato d’Asti e zucchero, iltutto cotto a bagnomaria e ser-vito rigorosamente in coppa. Bônet

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La vite e la sua storia

In terra lombarda la coltivazione della vite era già presente nella preisto-ria, come dimostrano i ritrovamenti archeologici risalenti all’età del bronzo,sulle rive del Garda e del lago d’Iseo, appartenenti alla Vitis vinifera silvestrisGmer.

La coltivazione vera e propria della vite della sottospecie Vitis vinifera sativasi fa risalire al VII-V secolo a.C., quando popolazioni retiche provenienti dal nord,Altoatesini dall’est, Etruschi e Liguri (che probabilmente crearono le prime ter-razze in Valtellina) dal sud, dettero impulso a questa coltura, insegnando tec-niche di vinificazione relativamente più funzionali, seppur con sistemi piutto-sto rudimentali, alle popolazioni locali.

Con la dominazione romana la vitivinicoltura si sviluppò con tecniche piùsolide, ponendo le basi dei famosi vini retici, ricordati dagli scrittori del tem-po, tra i quali Virgilio e Catullo, che a sua volta loda i vini di Sirmione. Ma conla decadenza dell’Impero Romano e le successive invasioni barbariche, tra cuiquella dei Longobardi, dai quali la regione ha preso il nome, la vigna soffrì diun vasto abbandono, pur producendo vini apprezzati sulle mense degli inva-sori.

Solo con lo sviluppo dell’agricoltura monastica la vite riprende vigore nell’AltoMedioevo, ma i sistemi di vinificazione ancora arcaici rendevano i vini aspri, du-ri e poco adatti alla conservazione. Per ottenere un miglioramento di qualità,sarà necessario attendere l’incontro con la tecnica enologica francese, intornoalla fine del ‘500, che insegnerà ai lombardi la produzione dei chiaretti e la con-servazione dei vini.

Appresa e diffusa la lezione, un ulteriore miglioramento della qualità dei vi-ni si ha nel XVIII secolo, quando la vite cessa di essere maritata all’albero e pas-sa al palo secco e alla potatura corta: anche la ricerca e la sperimentazione siapprofondiscono, producendo vini sempre migliori e meglio conservabili. Questafioritura e rigoglio sono però compromessi dall’arrivo, dall’America, di tre cala-mità: l’oidio nel 1825, la fillossera nel 1868 e la peronospora nel 1878, che scon-volgono profondamente il vigneto lombardo. È la fine per una miriade di vitigniautoctoni che scompaiono così dal patrimonio ampelografico lombardo, perchépoco diffusi o ristretti in piccolissime aree. Siamo ormai giunti all’inizio del co-siddetto periodo post-fillosserico, che vede mutare radicalmente l’ambiente ela diffusione della vite in questa regione.

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Ambiente pedoclimatico

La Lombardia è una vasta ed importante regione vitivinicola (23.859 kmq), checonfina a nord con la Svizzera, ad ovest con il Piemonte, a sud con l’Emilia-Romagna e ad est con il Trentino-Alto Adige e il Veneto. Il suo territorio è peril 40.5% montano, per il 12.4% collinare e per il 47.1% pianeggiante. Comprendela pianura padano-veneta e la sezione centrale delle Alpi, occupando la partemediana di quella lunga e ampia fascia costituita da serie parallele di monta-gne, colline e pianure. La zona montana si distingue, a sua volta, in una partedecisamente alpina e in una prealpina; la prima è più alta, in massima parte for-mata da rocce cristalline, con la presenza di ghiacciai, mentre la seconda è me-no elevata, con struttura generalmente più semplice ed in prevalenza calcarea,con ondulazioni moreniche a ridosso dei laghi. I rilievi alpini sono profondamenteincisi da lunghe valli con orientamento nord-sud; solo la Valtellina è dispostalongitudinalmente ed è solcata dall’alto corso dell’Adda. Anche la pianura si puòripartire in alta e bassa, per costituzione del suolo e, soprattutto, per le condi-zioni idriche: il limite tra l’una e l’altra è segnato da un allineamento di sorgenti,le cosiddette risorgive o fontanili.

Tutte le acque correnti della Lombardia confluiscono nel Po, tranne i corsid’acqua delle valli di Livigno e del Lei, che tributano al Reno, all’Inn e al Danubio.Allo sbocco delle valli alpine si trovano laghi morenici e intermorenici che ren-dono la Lombardia la regione italiana più ricca di laghi, anche assai estesi co-me quello di Como, emissario dell’Adda, il lago d’Iseo, emissario dell’Oglio, par-te del lago Maggiore, emissario del Ticino, parte del lago di Lugano e il lago diGarda, emissario del Mincio. A questi laghi molto estesi si aggiungono i moltis-simi laghetti di montagna, anche al di sopra dei 1.800 m d’altitudine, quasi tut-ti connessi con l’azione modellatrice degli antichi ghiacciai.

La permeabilità dei suoli, particolarmente evidente negli anfiteatri morenici,ripete in pianura il fenomeno delle acque risorgive, caratteristico in tutta la pia-nura padana.

In Lombardia il clima presenta caratteri di moderata continentalità, con sen-sibili differenze locali dovute alla varietà di morfologia, orientamento e ampiezzadelle valli, oltre che per diversa esposizione al sole, altitudine, presenza di ba-cini lacustri e ghiacciai. Negli immediati dintorni dei grandi laghi, per l’azioneesercitata dalle acque che immagazzinano e cedono calore, la temperatura in-vernale è mite e consente la coltivazione dell’olivo e degli agrumi. Anche la fa-

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scia pedemontana, ben esposta al sole, ha un clima più favorevole di quello del-la pianura, nonostante la maggiore altitudine. Le temperature invernali sono piut-tosto temperate, rare le nebbie e le giornate umide, mentre in estate le condi-zioni climatiche sono fresche e ventilate. Anche nei fondi delle grandi valli al-pine come la Valtellina, la temperatura si mantiene abbastanza mite, in contrastocon quella delle vicine montagne. Ed è proprio nella bassa pianura che si ri-scontrano le maggiori escursioni termiche durante l’anno.

Le precipitazioni aumentano andando dalla bassa pianura verso le Prealpi, chesono molto piovose, anche più delle Alpi interne. In pianura cadono mediamenteda 600 a 850 mm di pioggia l’anno, mentre in alcune zone prealpine arrivano a1.500-2.000 mm. Il regime delle piogge si ripartisce in 80-100 giorni di mediaannui, anche se ci sono mesi spiccatamente asciutti; tuttavia, una sensibile di-minuzione delle precipitazioni si avverte in inverno, mentre in estate non sonorari i rovesci temporaleschi. La neve cade in tutta la regione, mentre la nebbiaè tutt’altro che rara, soprattutto nella bassa pianura, a causa dell’abbondanzadi acque superficiali e del ristagno dell’aria.

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Zone vitivinicole

Anche se non è il caso di abbandonarsi ad eccessivi entusiasmi, non si puònegare che le ultime vendemmie, soprattutto a partire dal ‘97, siano state par-ticolarmente favorevoli e abbiano premiato l’impegno e la perseveranza dei vi-ticoltori più capaci. La strategia dell’azione regionale si basa su tre punti fon-damentali: l’aggiornamento e la qualificazione della piattaforma ampelografi-ca, la caratterizzazione delle produzioni e la selezione clonale. L’autentico te-soro naturale rappresentato dai quasi 21.928 ettari inseriti nell’Albo dei vigne-ti non deve essere trascurato. Anzi, deve essere fatto di tutto affinché sia sem-pre più conosciuto ed apprezzato, anche per quelle realtà meno importanti dalpunto di vista della quantità, ma di ottima qualità. E la valorizzazione di tuttala produzione enologica potrebbe fungere da traino anche per quelle delizie ga-stronomiche ancora oggi poco conosciute. Le Strade del vino potrebbero rap-presentare il mezzo ideale per far scoprire ai molti amatori italiani e stranieri,tante piacevoli sorprese e, soprattutto, per far conoscere a fondo tutti i vini lom-bardi, non solo quelli “privilegiati”, presenti e diffusi su tutto il territorio nazio-nale.

Le zone lombarde a vocazione viticola presentano caratteri pedoclimaticimolto diversi, che richiedono differenti forme di allevamento. Nell’OltrepòPavese, per esempio, sono diffusi i sistemi a spalliera e a guyot singolo o mul-tiplo, con tralci piegati o capovolti, nel bresciano e nel bergamasco la pergolatrentina ed il sylvoz, sulle colline moreniche si riscontrano ancora allevamentia spalliera a sesti ristretti, con tralci piegati e capovolti, mentre sui terrazza-menti della Valtellina è diffuso il sistema guyot.

Il vigneto lombardo è occupato per il 70% circa da uve a bacca rossa e per ilrestante 30% da quelle a bacca bianca, con una resa media di circa 8 t/ha eduna produzione di quasi 1.249.536 hl di vino. Per quanto riguarda i vitigni piùimportanti, il nebbiolo trova in Valtellina l’unica zona dove riesce a dare ottimirisultati al di fuori del Piemonte e della Valle d’Aosta. Il pinot nero è presenteparticolarmente nell’Oltrepò Pavese, zona vocata per la produzione di queste uveda spumantizzare, così come in Franciacorta, all’avanguardia soprattutto per lacoltivazione dello chardonnay. Tra gli altri vitigni a bacca bianca si trovano i va-ri trebbiani, il tocai friulano, il pinot bianco, il pinot grigio e il riesling italico;tra quelli a bacca rossa, oltre a barbera, croatina, uva rara, vespolina (ughetta)e allo stesso pinot nero, presenti nell’Oltrepò Pavese, si trovano il merlot e i ca-

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bernet nel bergamasco e in Franciacorta. Nel bresciano è importante anche lapresenza del groppello (gentile, di Mocasina e di S. Stefano), che dà vini rossi daicolori tenui e di buona fragranza olfattiva, insieme a quella di sangiovese, bar-bera e marzemino.

Le principali aree vitivinicole lombarde sono la Valtellina a nord, l’OltrepòPavese a sud-ovest, e poi la Franciacorta, il bergamasco, le colline delle rive delGarda e quelle moreniche mantovane.

La Valtellina è un’oasi vitivinicola importante, disseminata di vigneti, in una val-lata solcata dal fiume Adda, che va da Tirano ad Ardenno. In questa valle la vignaha trovato posto solo sulle pendici scoscese della montagna, sul lato destro del

Terragne in Valtellina

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fiume, il più soleggiato della valle, mentre al di là del fiume si trova solo qualchecampo di grano saraceno. Ogni vigna, aggrappata alla roccia, è trattenuta da mu-retti di pietra e sale in alto, quasi fino a mille metri, curata da infaticabili viticol-tori che si sono portati a spalla, con le gerle, anche la stessa terra che la compo-ne. Ancora oggi la vite si coltiva sulle cosiddette “terragne”, terrazze dove la vi-ticoltura richiede, dopo un lavoro secolare di sistemazione della vigna, la faticadel trasporto a spalla dell’uva raccolta, anche se sono stati introdotti sistemi supiccole rotaie che alleviano un po’ le fatiche della vendemmia.

Ma è proprio da questa stretta e difficile fascia di terra coltivata a vigneto,negli “inferni”, cioè terrazze rettangolari allineate e sovrapposte a gradoni, chehanno origine i vini di alta qualità della Valtellina. L’area di produzione dellaDOCG Valtellina Superiore è particolarmente ristretta, mentre quella della DOCValtellina Rosso è inclusa in altre fasce del territorio che si estende tra i campidi Ardenno e Tirano, con terreni più profondi e più facili da coltivare. Questa èla zona in cui si coltiva il nebbiolo, qui denominato chiavennasca, anche se so-no presenti limitate quantità di vitigni locali come la rossola, la pignola valtel-linese, la brugnola, il primitivo di Gioia e altri ancora.

Sulla destra orografica del fiume Po, incastonate tra le province di Alessandria,Genova e Piacenza, si trovano le colline dell’Oltrepò Pavese, situate tra 100 e500 m slm: un’arenaria vecchia di tremila anni con inciso un grappolo d’uva ladice lunga sulla storia millenaria di questo comprensorio, con suoli argillosi eformazioni calcaree. Un tempo, in questi appezzamenti estremamente frazio-nati, le attività a conduzione familiare vendevano il vino sfuso o, al massimo, aicommercianti; fu solo con la nascita dell’industria spumantistica piemontese chequesti piccoli produttori sentirono la necessità di creare le prime cantine sociali.L’Oltrepò Pavese ha una straordinaria capacità produttiva, e più del 70% del vi-no lombardo proviene da questa zona, con una vasta gamma di tipologie com-prese in un’unica denominazione. Si va dai vini rossi con gradevole vena ama-bile o tipico sentore di mandorla, a quelli frizzanti e dolci, dai vini bianchi sec-chi al moscato, e ad una qualificata produzione di Spumante Metodo Classico.Proprio per promuovere l’immagine dello spumante dell’Oltrepò Pavese, dal1984 è molto attiva l’Associazione produttori del Classese, formata da aziendeche si sono date uno statuto relativo alla produzione di spumanti metodo clas-sico: il vitigno principe pinot nero, regole precise e severi controlli dalla vignaalla cantina, hanno dato buoni risultati e portato ad una produzione di vini diqualità. Il vitigno più coltivato in Oltrepò, presente in quasi la metà dei vigneti

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è la barbera, seguito da croatina, uva rara, ughetta, pinot nero, e poi tanti al-tri, anche a bacca bianca, come i rie sling, i moscati e le malvasie.

A sud di Lodi, tra il Lambro e l’Olona e prima della loro confluenza nel Po, sitrovano le colline di San Colombano al Lambro, morbide appendici degliAppennini che si innalzano sulla pianura di circa 70 m, a soli 40 km da Milano.Il sottosuolo è ricchissimo di carbonato di calcio, iodio, ferro e il terreno è ar-gilloso, adatto quindi alla coltivazione di uve a bacca rossa come croatina, bar-bera e uva rara, anche se si stanno acclimatando bene vitigni a bacca biancacome lo chardonnay e i pinot.

La zona della Valcalepio è caratterizzata da una sorta di mescolanza tra pe-riodo pre e post-fillosserico. Si distribuisce sul territorio pedemontano a norddel capoluogo bergamasco, entro una fascia semicircolare larga una decina dichilometri, che parte da Almenno San Bartolomeo ad ovest sino a Grumello delMonte e Sarnico ad est, fino alle sponde del lago d’Iseo. I terreni sono argillo-so-calcarei, e insieme alla buona esposizione e alle idonee escursioni termiche

Vigneti sulle colline dell’Oltrepò Pavese

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contribuiscono a creare un ambiente adatto allo sviluppo della vite. In partico-lare, quelli della zona ad ovest di Bergamo, più profondi e argillosi, danno vinipiù colorati e strutturati, mentre da altri si ottengono vini di pronta beva. In que-sto territorio si assiste ad una perfetta fusione tra l’antica viticoltura basata suvitigni autoctoni quali il merera e il moscato di Scanzo, e quelli importati dopoil disastro della fillossera, come pinot bianco e grigio, chardonnay, merlot e ca-bernet sauvignon. E proprio dal moscato di Scanzo, in questa zona dai terrenipiù asciutti, si produce una vera rarità enologica, il Moscato di Scanzo o ScanzoDOCG, un vino rosso da dessert, dolce e strutturato, già bevuto alla corte deglizar ed apprezzato dai Visconti e dagli Sforza a Milano.

La Franciacorta è una splendida e felice isola vitivinicola estesa su circa 900ettari di colline, sulle quali brezze fresche ma gentili, dopo aver attraversato illago d’Iseo provenienti dal passo dell’Aprica, creano un microclima ideale so-prattutto per la coltivazione di chardonnay, pinot bianco e nero, in grado di re-galare agli spumanti che da essi si ottengono incredibili doti di eleganza e fi-nezza. Se si pensa che solo fino a poco più di una trentina di anni fa, laFranciacorta era terra di vini rossi anche discutibili, si è davvero assistito a unpiccolo grande miracolo realizzato da produttori seri e motivati, che si sono im-pegnati a lungo per valorizzare il loro territorio e che si adoperano per miglio-rare quanto di buono fatto finora. E ci stanno riuscendo.

Sull’origine del nome Franciacorta, invece, non tutti i dubbi sono stati sciol-ti, ma potrebbe derivare dalle Corti Franche, possedimenti religiosi esenti da im-poste, oppure dal latino Francae Curtes - Corti Franche - con analogo signifi-cato, o ancora dalla Franca Contea, sempre zona esente da tasse già definita daisoldati francesi presenti in quei luoghi nel XVIII secolo.

La provincia di Brescia è una fonte ricchissima per la vitivinicoltura lombar-da, sia con la Franciacorta, sia con le DOC Botticino, Cellatica e Capriano delColle e, inoltre, con tutte quelle che si ottengono dai vigneti sistemati in un in-cantevole paesaggio nei pressi del lago di Garda.

La Riviera del Garda e le Colline Moreniche Mantovane sono la più vastadelle zone viticole lombarde, con la punta più settentrionale a Limone del Garda,e comprende sei DOC: Riviera del Garda Bresciano, con diverse e valide entitàvinicole tra le quali il Rosso e il Chiaretto ottenuti da uve groppello (gentile, diMocasina e di S. Stefano), sangiovese, barbera e marzemino, Garda, San Martinodella Battaglia, Lugana, Garda Colli Mantovani e Lambrusco Mantovano.

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Gastronomia

La Lombardia presenta un panorama gastronomico piuttosto complesso e nonfacile da definirsi, per l’estrema varietà della sua conformazione, dovuta ad unanotevole presenza di pianura e di montagna, nonché di numerosi laghi e gran-di fiumi. L’esistenza di tante colture differenti, nonché la ricchezza della pro-duzione zootecnica e l’abbondanza dei prodotti ortofrutticoli, tra tutti la peramantovana IGP, il melone di Viadana e la mela della Valtellina che meritereb-bero questo riconoscimento, hanno creato nella cucina lombarda una naturaleopulenza, incentrata su piatti forti a base di carne e di latticini, con condimen-ti basati su grassi animali ma anche sugli oli extra vergine DOP Garda e LaghiLombardi (Lario e Sebino).

Gli antipasti sono soprattutto a base di salumi saporiti, serviti nel tipico an-tipasto all’italiana con i dolci e colorati peperoni di Voghera, con i nervetti di vi-tello, cartilagini del ginocchio e dello stinco lessati e tagliati a fettine sottili, ser-viti con cipollotti affettati a velo e conditi con olio, aceto, sale e pepe. Moltogustosi sono la tinca in carpione e il sanguinaccio. I salumi più gustosi? Non c’èche l’imbarazzo della scelta, a partire dai DOP salame Brianza e di Varzi, oltre aquelli comunque molto apprezza-ti di Cremona e di Mantova, quel-lo d’la duja, conservato con strut-to in un contenitore detto “duja”,la luganiga di equino della valChiavenna e altre specialità val-tellinesi come la mortadella di fe-gato, la slinzega e il violino, pro-sciutto di capra. Tra i salumi nonottenuti da carni suine è famosis-sima la bresaola della Valtellina,prodotto IGP ottenuto dalle partipregiate della coscia di manzo, og-gi apprezzata in tutto il territorionazionale. Ma anche le oche, nel-la zona di Mortara, regalano unottimo salame e il pregiato pro-sciuttino d’oca.

Il classico primo piatto milane-

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se è il risotto allo zafferano, fatto cuocere con brodo di carne e midollo di bue,mantecato con burro e parmigiano reggiano grattugiato. Nella regione sono pre-senti molte altre specialità a base di riso, seppur non così ricche, come il risot-to alla campagnola nel lodigiano, quelli alla monzese, alla certosina, al salto, al-la mantovana, con il pesce persico, con le rane e alla pilota, con salamelle o pa-sta di salame fresco.

Anche le minestre e i primi piatti di pasta sono ricchi e basati su brodi od im-pasti di carni. Tra le prime si possono ricordare la zuppa alla pavese ed il pan-cotto, il minestrone alla milanese, i brofadei del bresciano, mentre tra i secon-di è molto diffuso l’uso di agnolotti e cappelletti ripieni, come i tortelli di zuc-ca e gli agnolini del mantovano, i cappelloni della Lomellina, i casonsei della tra-dizione bresciana. E non si possono dimenticare i famosi pizzoccheri valtelline-

Gastronomia in Valtellina

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si, pasta ottenuta con grano saraceno e conditi con verze, patate, erbe aroma-tiche, abbondante burro e bitto.

Un posto di grande rilievo occupa la polenta, fatta con farina di granoturco,cotta in modo da ottenere un impasto consistente, da potere tagliare e condi-re in tanti modi, con pomodoro, carne, formaggio o selvaggina. I nomi sono ipiù vari, come polenta pasticciata, alla lodigiana, rustida e la taragna, prepara-ta in Valtellina con grano saraceno e condita con bitto o scimùd, mentre inValsassina viene preparata con il taleggio. Sempre a base di grano saraceno, inValtellina si possono gustare gli sciàtt, ottenuti da una pastella di questo sfa-rinato arricchita con formaggio e poi fritta.

In Lombardia le carni più macellate sono le suine, con una produzione che co-pre il 40% della disponibilità nazionale, che sono anche alla base del piatto prin-cipe del milanese, la cassöla, composta da verza e varie parti del maiale, dallecostine agli zampetti, dal codino alle cotiche, oltre al tradizionale salamino del-la verzata. Famose pure le carni dei vitelli della Brianza, dal cui carré si ricava-no le costolette alla milanese, dapprima assottigliate con il batticarne, poi pas-sate nell’uovo e nel pane grattugiato e quindi fritte nel burro. Tipici del mila-nese sono anche il bollito misto, magari accompagnato dalla mostarda diCremona, costituita da frutta candita aromatizzata, o dalla mostarda di melecampanine nel mantovano. E poi lo stracotto e gli ossibuchi, cucinati in variemaniere, il manzo alla California, il brasato al vino e il vitello all’ambrosiana. Nellacucina lombarda sono valorizzate le parti povere degli animali, come la trippain brodo alla busecca, o alla milanese, in umido con tanti fagioli bianchi diSpagna, il rognone trifolato, l’ossobuco servito anche insieme al risotto, e an-che i tagli minori da cui si ricavano saporite polpette chiamate mondeghini. E imessicani alla milanese. Non tragga in inganno il nome esotico. Sono solo de-gli involtini di carne di vitello farciti con un trito di carne di maiale, prosciutto,uovo, parmigiano reggiano, poco latte e pane raffermo, un pizzico di noce mo-scata ed aglio, rosolati nel burro con il profumo della salvia, che si mangianocaldi, con il loro delizioso sugo e accompagnati da purea di patate. Elevato è an-che il consumo delle carni di agnello, di capretto e di animali da cortile, comepolli, conigli ed oche, e sono apprezzati i piatti di cacciagione e selvaggina a ba-se di camoscio e capriolo, lepre e piccione.

La regione, ricca com’è di laghi, non può mancare di piatti a base di pesce:negli oltre mille kmq di acque si pescano trote, carpe, alborelle, lavarelli e pe-sci persici, mentre in alcuni fiumi non inquinati si trovano ancora anguille, pe-

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sci gatto e talvolta storioni. Si possono così gustare gli agoni alla comasca, fat-ti marinare in olio, succo di limone e poi fritti, l’anguilla ripiena, in umido e frit-ta, i lavarelli al vino bianco, i filetti di pesce persico impanati e fritti, la tinca al-la lariana preparata in umido con cipolle e patate, la zuppa di pesce alla tre-mezzina. E per finire le rane fritte, in guazzetto o in frittata.

Importante è il settore caseario che, al di là di una pregevole produzione in-dustriale, dà vita ad una serie di formaggi di alto interesse e spesso riconosciu-ti con la DOP, quali il bitto e il casera in Valtellina, il formai de mut dell’alta valBrembana, il quartirolo lombardo, il provolone valpadana, il cremoso taleggioed il gorgonzola dall’inconfondibile aroma. E poi il grana padano, prodotto nel-la bassa cremonese e mantovana, analogo al parmigiano reggiano ma più te-nero, meno stagionato, più adatto al consumo da tavola, oltre al gustoso gra-na lodigiano, e il raspadüra, ottenuto lamellando una forma intera di grana pa-dano giovane con l’apposito attrezzo. Altri formaggi molto apprezzati sono il bre-sciano bagoss, dal gusto ricco ed aromatico, il pannerone, lo stracchino, la cre-scenza, il mascarpone, la robiola, lo scimudin da servire con fichi e miele, e ilpatalos della Val di Mello, stagionato nel vino rosso.

Tra i dolci, citando solo la colomba pasquale e il panettone, ricordiamo le chiac-chiere di carnevale, fritte e cosparse di zucchero a velo, le fave dei morti, confarina, zucchero, mandorle e pinoli, il pane di San Siro, budino a strati di cremae nocciole. E poi la polenta e osei bergamasca, costituita da pan di Spagna a stra-ti alternati con confettura di albicocche, il chisoeul bresciano, dolce a pasta lie-vitata che si cuoce anche nella cenere, il torrone a stecche e la spongada diCremona, pane condito con miele, nocciole e cedro candito, la torta paradiso delpavese, così come la pangialdina a base di farina di mais, la sbrisolona manto-vana con farina banca e gialla, zucchero, tuorli d’uovo e mandorle tritate. Le of-felle sono dei piccoli dischi dolci di pasta frolla guarniti con marmellata, tipicilombardi; i milanesi, in particolare, chiamano “offelé” il pasticcere, ma è diffi-cile stabilire se sia questo a prendere il nome dai pasticcini o viceversa.

E per concludere, lasciamoci andare in un brodo di giuggiole - da cui ha pre-so origine l’omonimo detto - ottenuto facendo bollire giuggiole secche e fetti-ne di mele cotogne, servito poi freddo su torte secche.

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La vite e la sua storia

Il Trentino-Alto Adige è una regione autonoma a statuto speciale, la più set-tentrionale d’Italia, caratterizzata da temperature tipicamente alpine e da unterritorio montuoso che fa da scudo ai venti freddi del nord ed all’arrivo delföhn, vento caldo e secco che si forma ogni volta che una massa d’aria suffi-cientemente umida investe perpendicolarmente una catena montuosa e poi, ri-cadendo dopo aver perso gran parte della sua umidità, si scalda progressiva-mente.

Il Trentino e l’Alto Adige si dividono così una splendida regione percorsa dalfiume Adige e, nonostante i contrasti etnici tra italiani e tedeschi, è una regio-ne modello per efficienza tecnologica. Per tutti questi motivi e per il fatto chela storia della vite narra nei secoli un racconto omogeneo in tutto il territorio,ci sembra giusto parlarne come di un tutt’uno.

Le più antiche notizie in proposito sono giunte a noi dagli scavi archeologicinella val d’Isarco, che portarono alla luce un’anfora contenente vinaccioli del2000 a.C. circa, e da quelli di Cembra, dove nel 1839 fu trovato un vaso tron-co-conico etrusco detto “situla”, risalente all’VIII secolo a.C. Con l’età romanafurono apportate nuove ed efficienti tecniche colturali, e nel periodo imperialefu arricchito il patrimonio viticolo. Sappiamo per certo che il divino Augusto nonnascose il suo debole per il vino Rethico, e che Plinio il Vecchio parla dei vinitrentini conservati in botti di legno legate con cerchi di vimini. Con l’editto diDomiziano, nel 92 d.C., che vietava la coltivazione della vite nelle provinceesterne e settentrionali, il Trentino-Alto Adige si trovò costretto ad esportare isuoi vini verso il nord, con notevole successo.

Nel Medioevo, la coltivazione della vite continuò, grazie all’opera degli or-dini monastici, specialmente benedettini e domenicani, tanto che a partire dal-l’anno 720, per assicurarsi regolari forniture, i più importanti monasteri dellaBaviera e della Svevia acquistarono nella regione importanti estensioni di vi-gneti, dei quali manterranno la proprietà fino all’espropiazione napoleonica, cioèfino a tutto il XVIII secolo. In quel periodo emersero per qualità e fama i vinida uve schiava, teroldego e marzemino, vitigno quest’ultimo tanto lodato daMozart.

Nel XVI secolo, Andrea Bacci asserisce che, dove l’Isarco entra nell’Adige, siproducono abbondanti e pregiati vini, molto apprezzati in alcune località inGermania e in Austria, specialmente ad Innsbruck.

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Purtroppo tra il 1851 e il 1880 compaiono e si diffondono i flagelli dell’oidio,della peronospora, e della fillossera nel 1907; è proprio a Bolzano che VonComini-Sonnenburg, proprietario di vigneti, scopre nello zolfo uno dei primi ri-medi contro l’oidio. Contemporaneamente la Dieta di Innsbruck acquista nel 1869oltre 120 ettari di proprietà degli Agostiniani di San Michele, dove il 12 gen-naio 1874 nasce la sede della prima scuola agraria e la prima stazione speri-mentale di enologia della regione, sotto il nome di Istituto di San Michele. Inpochi decenni, questo diventa uno dei più celebrati atenei della vitivinicolturaitaliana e contribuisce a trasformare modernamente la coltivazione della vite ela produzione del vino in Trentino-Alto Adige. Iniziamo ora a parlare, in modospecifico, del Trentino.

Ambiente pedoclimatico

Il Trentino (6.207 kmq) è una regione interamente montuosa ed è divisa in duegrandi zone dalla valle dell’Adige, che la attraversa da nord a sud. Alla destradel fiume si innalza il gruppo dolomitico del Brenta, al confine con la Lombardiae con l’Alto Adige i massicci dell’Ortles-Cevedale e dell’Adamello, e si aprono levalli di Non e di Sole. Alla sua sinistra troviamo il monte Baldo, i Lessini e il mas-siccio del Pasubio, oltre all’intero settore sud-occidentale delle Dolomiti, con ilbacino del Ferina e dell’Avisio che forma le valli di Fassa, di Fiemme e di Cembra,oltre all’alta valle del Brenta (Valsugana), delimitata a sud dal ripido versantesettentrionale dell’altopiano dei Sette Comuni. L’intera cintura montana è co-stituita da rocce cristalline, scistose e metamorfiche.

L’Adige è il fiume più importante in Trentino, secondo in Italia per lunghez-za (410 km) e terzo per ampiezza del proprio bacino, dopo il Po e il Tevere; viconfluiscono l’Avisio, il Noce e numerosi torrenti. Il Brenta scorre in questa re-gione solo nel suo tratto superiore, il Sarca è tributario del lago di Garda ed ilChiese del lago d’Idro. Numerosi sono anche i laghi di origine glaciale, sparsi adiverse quote, come quelli di Molveno, di Ledro, di Levico e di Caldonazzo, ol-tre a quelli artificiali, bacini di riserva per l’industria idroelettrica.

Il clima presenta caratteri molto diversi da zona a zona, a seconda dell’alti-tudine e dell’esposizione al sole. L’ambiente viticolo trentino può essere suddi-viso in quattro zone climatiche: a nord, in val di Cembra, il clima è decisamen-te alpino, in Vallagarina e nella valle dell’Adige è subcontinentale, mentre po-co più a sud, nella valle dei laghi, è mediterraneo, e le temperature più miti per-

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mettono a limoni ed olivi di prosperare. Gli inverni sono comunque generalmentefreddi, e le estati fresche e ventilate. Notevoli sono le escursioni termiche siagiornaliere che stagionali e questo, nel periodo della vendemmia, consente unarricchimento dei profumi delle uve. Le precipitazioni sono sempre abbondanti– più copiose ad alta quota – ma distribuite in modo abbastanza uniforme nelcorso dell’anno.

Zone vitivinicole

Non è certo la quantità la caratteristica della produzione vinicola trentina, chenel 2008 è stata di 804.427 hl, ma il pregio e la qualità, confermati anche daldato che più dei due terzi dei vini sono a denominazione di origine controllata,percentuale molto alta rispetto alla media nazionale.

Il Trentino è stato definito da Cesare Battisti “il più bel giardino vitatod’Europa”, ed emblematici sono i suoi confini a forma di foglia di vite. La sua

Vigneti in Trentino

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coltivazione si estende su 8.201 ha, in una fascia che va dai 300 ai 600 m s.l.m,con allevamenti a pergola semplice sui declivi e doppia nei fondivalle. Molto dif-fuso è il sistema di allevamento a pergola trentina, nella quale i grappoli sonoben intervallati e perfettamente soleggiati, mentre il rischio che si facciano om-bra a vicenda si presenta con la spalliera verticale.

Il vitigno a bacca rossa attualmente più coltivato in regione è la schiava, conle sue numerose varietà, mentre più del 50% delle uve a bacca bianca sono co-stituite dallo chardonnay, impiegato soprattutto per la produzione delloSpumante Trento.

Numerosi sono i fattori che influenzano la qualità del vino, come le proprie-tà del terreno, la posizione dei vigneti, la varietà dei vitigni, il lavoro e la curadel viticoltore e del produttore, ma assolutamente determinante è il clima, chein Trentino presenta condizioni veramente particolari e favorevoli per la colti-vazione della vite. In questa regione, infatti, le forti escursioni termiche sono re-sponsabili del “temperamento olfattivo” delle uve che, nel periodo precedente

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Bottiglie di spumante “sur lattes”

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la vendemmia, si arric-chiscono di quei mera-vigliosi profumi che siritroveranno poi nei vi-ni. Anche i terreni, tutticollinari o di montagna,con una favorevoleesposizione al sole e conbuon drenaggio, sonofondamentali per laqualità dei vini prodottiin regione, e quindi lafama dei vini trentini èsenz’altro meritata. Mala loro bontà si deve so-prattutto al viticoltorelocale, il più delle volteproprietario di piccoliappezzamenti di terre-no dove la vite, allevatacon il tradizionale siste-ma a pergola trentina,costituisce un patrimonio da salvaguardare e una componente fondamentale delpaesaggio. Infine, realtà quasi unica a livello nazionale, è la presenza fin daglianni ‘50 di un efficiente Catasto Viticolo, che permette di avere un contatto stret-to con la realtà produttiva.

In Vallagarina, ai lati del solco dell’Adige, nella parte compresa tra Borghettoall’Adige, Nomi e Besenello, zona dal clima subcontinentale, si estendono nu-merosi vigneti, allevati esclusivamente a pergola doppia nei terreni di fondovallee pianeggianti, e a pergola semplice sui pendii collinari. Questa è la zona doveil vitigno marzemino gentile si esprime con i suoi migliori caratteri, e mentre nel-le colline basaltiche di Isera dà un vino delicato e fine, nell’area di Volano è piùcorposo e strutturato.

Nella piana di Trento si coltiva la schiava grossa, ma anche merlot ed enantio(lambrusco a foglia frastagliata). Il moscato giallo è diffuso nelle zone di Besenelloe Calliano, mentre ad Aldeno si coltivano pinot bianco, chardonnay e cabernet.

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Il cuore della vitivinicoltura trentina è la valle dell’Adige, che parte da Alde-no, praticamente da Trento, fino a Roverè della Luna. Lungo colline vitate si ar-riva nello spettacolare Campo Rotaliano, culla del famoso vitigno teroldego. Lazona di produzione è limitata a soli 3 comuni, Gruno-San Michele all’Adige, Mez-zocorona e Mezzolombardo, e il vino che si ottiene, grazie alle sue particolaricaratteristiche organolettiche, è definito il “principe” del Trentino.

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A Roverè della Luna i vitigni più diffusi sono lagrein, schiava e riesling, men-tre a San Michele all’Adige sono più coltivati riesling, chardonnay, cabernet,pinot nero e merlot, ed a Lavis chardonnay e nosiola.

La valle di Cembra è una zona estesa da Lavis a Faver, verso Cavalese, nella qua-le si può parlare di viticoltura eroica. Il clima è decisamente alpino, e in fazzolet-ti di terreno ricavati spesso su pendii inaccessibili e sostenuti da muretti a secco,le uve schiava grossa e gentile sono coltivate con risultati sorprendenti, così co-me il müller thurgau, il pinot bianco e lo chardonnay, coltivati dai 500 m in su.

La valle Sarca, estesa dal lago di Garda a Vezzano, circondata dal romanti-co scenario di Castel Toblino e ingentilita dal clima favorevole, è il nucleo del-la produzione del Vino Santo, ottenuto dal vitigno nosiola, autoctono ed alle-vato con la tipica pergola trentina, che consente di sfruttare al megliol’esposizione dei raggi solari. Gli altri vitigni più diffusi sono merlot, cabernetfranc e, tra Calavino e Lasino, soprattutto il müller thurgau.

Tra le novità trentine si può annoverare il rebo, incrocio tra merlot e marze-mino messo a punto negli anni ‘50 da Rebo Rigotti, sperimentatore e genetistadi San Michele all’Adige.

Gastronomia

La cucina trentina risente dell’eredità della tradizione italo-veneziana, anchese nel corso dei secoli le individualità si sono andate sempre più amalgaman-do. Questa non è strettamente legata alle produzioni regionali, che nel campodell’agricoltura sono rappresentate soprattutto da frutteti di mele, pere e susi-ne, e dall’allevamento nei pascoli di media ed alta montagna, pur costituendo,per molti piatti, la materia prima.

Una specialità tipica della cucina trentina è la polenta. Nei secoli passati, quan-do la povertà era molto diffusa, questa costituiva il pasto principale - o l’unico -,mentre oggi è preparata in tanti modi diversi, dalla polenta cotta nel latte a quel-la servita con le luganeghe, con le carni in umido, con il capriolo, con la salsic-cia, con salumi cotti. La polenta veniva pure servita con una vasta gamma di for-maggi caratteristici, grassi, piccanti, saporiti, prodotti dalla trasformazione diconsistenti quantità di latte proveniente da pascoli ricchi di essenze foraggeree di erbe dai molti aromi.

Gli antipasti non sono numerosi, tra i quali sono degni di nota i fagioli e lasalada, carne di manzo aromatizzata tipica della valle del Sarca, preparati con

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fettine di coscia di bue conservata in salamoia, scaldate e servite con fagioli bol-liti. Molto noto ed apprezzato è lo speck, carne di maiale salata e affumicata,servito con pane scuro, oltre ad altri salumi.

Tra i primi piatti troviamo i canederli, grosse palle di pane raffermo impasta-te con latte, uova, pancetta, luganeghe, formaggio e prezzemolo, cotti nelle di-verse zuppe (di latte, di uova) o anche preparati asciutti, nelle versioni canederlide frito, da magro e bianchi. Ci sono poi le specialità a base di orzo o di semo-lino, come il bro brusà, brodo con farina di frumento abbrustolita, la panada, bro-do di carne e pane cotto, i fregoloti, pallottine di semola in brodo. La pasta efagioli è preparata con la maggiorana e la santoreggia. Notevoli i ravioli tren-tini, con ripieno di carne arrosto, pollo bollito, prezzemolo e cipolla, i cazoncei,involucri di pasta ripieni di spinaci, ricotta, crauti, verze e serviti fritti, le ta-gliatelle di casa condite con panna di montagna e burro fuso, gli strangolapre-ti, gnocchi verdi di pane raffermo, spinaci, uova e grana padano.

Tra le pietanze e i contorni si trovano il manzo vecchia Trento, stufato di polpaal profumo di aceto con aggiunta finale di panna, la gallina ripiena alla boscaiola,le polpette alla pradestel, ripiene di funghi. Anche la carne di maiale fa parte di al-cuni piatti, come la mortandela, polpette grasse di suino, i probusti, salsicciotti dimaiale tipici di Rovereto, agliati ed affumicati, leggermente cotti in acqua o ai fer-ri, i baldonazzi, insaccati di sangue di maiale, con latte, farina, cubetti di lardo, ci-polle, santoreggia, porri, castagne e uva passa, da consumare crudi o cotti alla bra-ce, i ciuighi, insaccati misti con le rape, da servire cotti con i crauti, e i würstel, an-che se più tipici dell’Alto Adige. Tra le carni bianche è gradevole il pollo alla tren-tina, farcito con noci, pinoli, fegato, uova, pane inzuppato nel latte e poi bollito.Tra la selvaggina, sono numerosi i piatti a base di cervo e capriolo, e la lepre allatrentina è un esempio di salmì agrodolce, nel quale la carne cuoce dopo essere sta-ta marinata con burro, lardo e cipolla.

Anche il pesce è presente nella gastronomia regionale con l’anguilla allatrentina, tagliata a pezzi e rosolata nel burro con cipolla ed altri aromi, con latrota cucinata in vari modi ed anche affumicata, con lo stoccafisso al forno conpatate, burro, olio, aglio, cipolla, latte, sale e pepe.

Interessanti tra i piatti a base di ortaggi le polpette di fagioli, con cipolla, co-stola di sedano, uova, formaggio, pane grattugiato e fritte nell’olio, i gonfiettidi patate e le patate alla trentina, con speck, cipolle, pomodori, olio, sale e pe-pe; un posto di rilievo assoluto viene occupato dai crauti, contorno ottenuto dacavolo cappuccio fermentato e cotto, diffusi in tutta la provincia.

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Tra i formaggi, specialità tipica è il puzzone di Moena, a pasta semidura e se-micotta, ottenuto da latte vaccino intero, il canestrato a pasta compatta, tipi-co della Vallagarina e da consumarsi sia a pasto sia da grattugia, la spressa, ilprovolone valpadana, il grana padano del Trentino o trentingrana, la vèzzena, apasta dura e semigrasso, tipico dell’altopiano di Lavarone, sia da pasto che dagrattugia e, nell’area di San Martino di Castrozza, tra Fiera di Primiero e il PassoRolle, la tosela, formaggio fresco affettato e fritto nel burro, servito con polen-ta fresca o abbrustolita.

Numerosi sono i dolci, tutti molto gradevoli, come i fiadoni alla trentina, dol-cettini di pasta dolce ripiena di mandorle, mele e rum, i basini de Trent, dolci conuova, zucchero e mandorle, i cappuccini affogati, con fette di pane bianco, uo-va sbattute, confettura, zucchero e cacao in polvere, la pinza trentina con pa-ne raffermo macerato nel latte, fichi secchi sminuzzati, farina e zucchero, la ro-sada di mandorle, il budino di noci. Tra le torte si trova la torta de fregoloti conmandorle e pinoli, quella di farina di mais e mirtilli, la torta di pane nero, conpane, zucchero, uvetta, cannella, cedro a pezzetti, uova e vino bianco, lo stru-del e gli zelten alla trentina, con farina bianca, uova e molta frutta secca, co-me fichi, mandorle, pinoli e uva sultanina.

Filetto di cervo al timo con salsa ai frutti di bosco

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Ambiente pedoclimatico

L’Alto Adige è una piccola regione interamente montuosa (7.400 kmq), loca-lizzata nell’alto bacino del fiume Adige fino alla stretta di Salorno, che confinaa nord-ovest con la Svizzera, a nord-est con l’Austria e a sud con il Veneto, laprovincia di Trento e la Lombardia.

Il territorio è per il 15% alpino ed improduttivo, per il 70% è occupato da bo-schi e pascoli e solo il restante 15% è coltivabile, con ottimi risultati qualitativi.

L’Alto Adige è caratterizzato dalle cime delle alpi Venoste, Breonie, Aurine ePusteresi, e delle Dolomiti, tra le quali spiccano la Marmolada con un’altezza chesupera i 3.300 m, il Sella, il Latemar e il massiccio dell’Ortles-Cevedale. L’altopianodi Bolzano (val d’Ega) è costituito da porfido rosso, un’antica roccia effusivo-vul-canica, mentre presso Bressanone affiorano anche rocce intrusive, quali i graniti.

Il fiume Adige attraversa praticamente tutta la regione, e col suo corso su-periore forma la val Venosta e la valle dell’Adige, da Merano fino ai confini tren-tini. Il suo affluente maggiore è l’Isarco, nella cui valle convergono la val Pusteria,percorsa dal fiume Rienza, e le valli di Funes, Gardena, Ega e Sarentina. Tutte levalli altoatesine presentano un modellamento tipicamente glaciale, con fondo-valle pressoché pianeggiante.

I terreni dell’Alto Adige, di origine calcarea e porfirica, leggeri e permeabili,assicurano ai vini freschezza e basso tenore in tannini, mentre le forti escursionitermiche arricchiscono il loro profilo olfattivo, dotato di intensità ed eleganzafuori dal comune.

Il clima è tipicamente di montagna, con forti escursioni termiche stagionalie giornaliere, estati fresche ed inverni freddi o rigidi. Le precipitazioni sono di -stribuite nel corso dell’anno in misura piuttosto uniforme, con minimi inverna-li - sotto forma di neve -, e massimi estivi, che condizionano il regime dei cor-si d’acqua. Gli ottimi risultati ottenuti con l’impianto intensivo di vigneti e frut-teti sono stati possibili proprio grazie al clima, che in alcuni periodi stagionalisi mantiene mite per la presenza delle montagne che fanno da barriera ai ven-ti freddi del nord e, nello stesso tempo, al föhn.

Zone vitivinicole

Una piccola regione, grandissimi vini. Solo 5.366 ettari, coltivati soprattuttoin media e alta collina, protetti e regolamentati dall’iscrizione negli albi a DOC:la produzione di vino a denominazione raggiunge 308.330 hl, nel 2008, prima-

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to in Italia, circa il 90% sul totale di 335.150. Sono dati che possono far capi-re il valore dei vini di questa regione, profumati ed eleganti, raffinati nelle loronote gustative ed invitanti, che fanno subito pensare ai bellissimi scenari natu-rali all’interno dei quali il vigneto dona, in autunno, splendide e calde tonalitàcromatiche.

Anche in Alto Adige il sistema di allevamento della vite più caratteristico èla pergola. Nella valle dell’Isarco e a Terlano si trovano anche impianti a con-trospalliera, ma ultimamente, soprattutto per cabernet franc e cabernet sauvi-gnon, pinot nero, sauvignon e altri, sta diffondendosi anche il sistema a spallie-ra, con cordone semplice o doppio.

I vitigni più coltivati sono la schiava con le sue varietà e sinonimi, il pinot bian-

Terlano

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co, lo chardonnay, il pinot nero, il lagrein, il pinot grigio, il traminer aromatico,mentre tra gli ultimi ad essersi affermati merita una citazione il kerner.

La varietà a bacca rossa più coltivata in questa regione è proprio la schiava,che rappresenta circo il 30% dell’ampelografia altoatesina a bacca rossa e pre-dilige le fasce intermedie delle zone collinari tra Merano e Salorno. Il nome diquesto vitigno potrebbe derivare da un particolare sistema di coltivazione delpassato, quando le viti erano legate, oppure da un’uva originaria della Slovenia(Schiavonia). Vernatsch, schiava in tedesco, deriva dal latino “vernacius”, ma-trice di altre famose vernacce, che letteralmente significa “degli schiavi nati incasa”, mentre la traduzione più semplice sta ad indicare “qualcosa del posto, no-strano o indigeno”. La schiava si distingue in quattro sottovarietà: schiava gen-tile o piccola, grossa (grossvernatsch, uva meranese, frankental), grigia (grau-vernatsch, grauner) e tschaggele, selezione della schiava grossa. Per molto tem-po si è ritenuto che il lagrein, presente nella piana di Gries-Bolzano, provenis-se dalla Vallagarina, ed è certamente uno dei vitigni più antichi dell’Alto Adigee di tutta l’Italia settentrionale, ma la bibliografia a riguardo è piuttosto lacu-nosa e la prima citazione avviene del 1400. Il suo nome non si di scosta moltoda quello della vite chiamata “lageos” da Plinio. La “lagoena”, in volgare “lagè-na”, era il recipiente adoperato per il vino, con collo stretto e ventre panciuto,generalmente in terracotta, ma in origine era la semplice “zucca di vino”, chia-mata “lagenaria vulgaris”.

I vini rossi ottenuti dalla schiava, molto apprezzati localmente, non sono ingenere particolarmente noti al di fuori dei confini regionali, cosa che non si puòcerto dire del traminer aromatico, originario di Termeno. Di quest’ultimo viti-gno, in passato erano menzionate in particolare le varietà verde e rossa, men-tre attualmente, in Alto Adige, viene coltivato soprattutto quella rosa, con ca-ratteristiche analoghe agli altri, a parte il colore. Citato esplicitamente per laprima volta nel 1349 nel “Libro della natura” di Konrad di Mengenberg, questovitigno, con il suo acino ambrato-rosato, non sembra molto diverso da quell’u-va di color rossiccio chiaro resistente ai rigori dell’inverno. Nonostante qualcheblanda rivendicazione da parte degli alsaziani, non dovrebbero esistere dubbi sul-le origini di questo vitigno: Tramin o Termeno può identificarsi come la patriadi queste uve così pregevoli, anche se figli e figliocci si sono diffusi in altri ter-reni. Ha diversi sinonimi, come traminer rosa, termeno aromatico e, in Alsaziae Giura, savagnin. Il traminer aromatico è un vitigno che resiste molto bene aifreddi invernali, ricco di intensi ed eleganti aromi che sono completamente tra-

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smessi al vino. La denominazione gewürztraminer significa letteralmente tra-miner speziato, quindi ancor più che aromatico, proprio per evidenziarne lagrande esuberanza olfattiva, con qualità ancora più accentuate quando il vinoderiva da vendemmie tardive. Proprio per il grande profumo dei vini, l’Alto Adigeè paragonato all’Alsazia, con la quale ha in comune diversi vitigni come ries-ling, pinot grigio, pinot bianco, pinot nero, sylvaner, moscato e, appunto, ge-würztraminer. È però importante sottolineare come in Alsazia la produzione ri-guardi quasi esclusivamente vini bianchi, mentre in Alto Adige il 54% del vinoprodotto sia rosso.

Lo chardonnay e il pinot bianco sono i vitigni più diffusi per la produzione del-lo spumante, che ha nel vi-cino Trentino una delle zonepiù importanti di tutto ilpaese.

Attualmente la viticolturaintensiva occupa quasi esclu-sivamente le colline dellavalle dell’Adige tra Meranoe Salorno, della valle dell’I-sarco tra Bolzano e Bressa-none e parte della media ebassa val Venosta.

La zona classica di colti-vazione del lagrein coincidecon l’agro della città di Bol-zano, in particolare Gries, edè pianeggiante, così comequella di Salorno, ma i terre-ni caldi e permeabili sonoadatti alla viticoltura e ga-rantiscono la produzione divini di qualità. Su 116 comu-ni altoatesini, 53 fanno del-la viticoltura la loro base eco-nomica, ma il 78% di tutta lasuperficie vitata è concen-Castello di Schwamburg

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trata soprattutto ad Appiano, Caldaro, Bolzano, Cortaccia, Termeno, Salorno, Ma-grè all’Adige, Egna e Terlano.

Gastronomia

In Alto Adige, un secolo fa, la cucina era piuttosto pesante, risentendo dell’e-redità tedesco-tirolese, ma poi si è affinata, di parecchio alleggerita e ora è piùrispondente alle esigenze della vita moderna. La regione è famosa per l’allevamentodei bovini, con produzione notevole di carne e latte, e per quella della frutta, so-prattutto mele, ma anche pere, ciliegie e susine. Cospicua è la produzione di pa-tate, sempre presenti nella cucina locale; anche i funghi, che si raccolgono prati-camente tutto l’anno, sono abbondanti, principalmente il porcino e il gallinaccio,molto adatto con polenta e formaggio, il prataiolo e la spugnola.

Tra i piatti locali, gli antipasti sono pochi, e tra questi si possono ricordare ilkalbskopf sauer (testina di vitello all’agro), la trota affumicata con il cren, l’hirn-

Affinamento in barrique in un’antica cantina

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profesen, composto di fettine di pane ricoperto con uno strato di cervella cotta.Tra i salumi si può gustare il famosissimo speck, ricavato dalle cosce del suino,che vengono disossate e sottoposte a stagionatura con sale, aglio, salnitro, gi-nepro, alloro, pepe, erbe aromatiche ed affumicatura, servendosi di legno dolcee cespugli di ginepro freschi.

Tra i primi piatti troviamo la gerstensuppe, zuppa d’orzo insaporita con pan-cetta affumicata, sedano, cipolla e prezzemolo, la frittatensuppe, sottili fritta-tine simili alle crêpe con uova, farina, latte e prezzemolo, la gulaschsuppe, zup-pa di carne, la terlaner weinsuppe, minestra di vino aromatizzata alla cannella,i crostini alla milza in brodo, i ravioli della Val Pusteria, con farcia a base di spi-naci o ricotta ed erba cipollina, bolliti e conditi con burro e pane grattugiato.Diverse sono le versioni degli knödel o canederli, di fegato, di grano saraceno,di formaggio, di speck, di magro, alla ricotta, dolci alle prugne e alle albicocchee, molto apprezzati, anche gli gnocchi di ricotta.

Gastronomia in Alto Adige

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Tra le pietanze ricordiamo il gröstel, carne tagliata a dadi, unita a patate bolli-te e poi condita con erba cipollina e saltata nel burro, lo schmorbraten, un brasa-to ottenuto con sfrollo di manzo, la carne al rafano (cren), il bauernschmaus, piat-to rustico di maiale e la testina di vitello fritta.

E poi i würstel di svariate forme, ottenuti da carne suina e bovina, caratteristicidi tutta l’area tedesca, la salsiccia di sangue a base di sanguinaccio di maiale conaromi, spezie ed altri ingredienti e, tra la selvaggina, il camoscio alla tirolese, pre-parato con la polpa marinata nel vino con ginepro, spezie ed altri aromi.

Nel meranese si trova un tipico piatto a base di lumache, che si ottiene taglian-dole a pezzettini, soffriggendole con lardo, aromi e vino banco.

Il pesce entra nella gastronomia regionale con i filetti di trota all’agro, con le tro-te cotte in tutte le maniere o affumicate, e il grostl di baccalà, cucinato con cipol-la, aglio, sale, pepe, patate, prezzemolo e panna.

Tipici contorni sono i fagioli al vino, del tipo borlotti, preparati con cipolla,speck, burro, farina e vino rosso, ed i sauerkraut, cavolo cappuccio tagliato sot-tilissimo, posto a strati in recipienti con sale, zafferano e spezie varie, pronti peril consumo dopo due mesi. Seguono le tartellette di crauti, con farina di sega-le, uova, burro, latte, sale e con il ripieno di salsicciotti, speck, formaggio gras-so, panna e crauti cotti nel vino.

Tra i dolci ricordiamo, nella ricca ed abbondante pasticceria di tradizione au-striaca, le omelette ripiene di confettura, i krapfen e i krapfen alla tirolese, confarina, olio di oliva, panna, uova, sale, confettura ed uno spruzzo di acquavite.Seguono la kastanientorte, tipica della zona di Bolzano, fatta con castagne bol-lite e schiacciate, mescolate con farina, burro e zucchero, gli knödel di albicoc-che con zucchero, pane grattugiato, patate, burro, farina e uova. I famosi stru-del sono preparati in più versioni, di uva e di mele, l’omelette dolce è a base diuova, pinoli ed uvetta sultanina e, per finire, lo zelten, ricco dolce natalizio, mapreparato tutto l’anno, a base di pasta di pane di segale con fichi secchi, dat-teri, uva sultanina, pinoli e noci.

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La vite e la sua storia

Alcuni reperti fossili di circa quaranta milioni di anni fa, rinvenuti nella “pe-sciara” di Bolca di Vestenanova sui monti Lessini, avevano fissato nella roccial’immagine di alcune foglie ed infiorescenze delle Ampelidee, progenitrici dell’o-dierna Vitis vinifera sativa. Allora l’uomo non era ancora comparso sul pianeta,e per ritrovare altri segni certi e degni di nota si deve arrivare all’era delle pala-fitte, lungo le coste del Garda bresciano, di Peschiera e di Lazise nel veronese, do-ve sono stati rinvenuti vinaccioli ed utensili forse collegabili a rudimentali pro-cessi di vinificazione. Intorno al 1000 a.C. i Veneti si insediarono nella regione,seguiti tra il VII e V secolo a.C. dagli Etruschi e dai Reti Arusmati, e l’incontro del-le loro tecniche colturali cominciò a far fare i primi passi, con un certo succes-so, alla vinificazione. L’arrivo dei Romani migliorò la situazione e portò alla fa-ma il vino retico, quello dei colli Euganei e del vicentino, magnificati da Marziale.

Ma come in tutta Italia, specie quella del nord, le invasioni barbariche e lelotte continue portarono la coltura della vite alla decadenza, al punto tale chepersino San Zeno, vescovo di Verona nel III secolo, che compare oggi nel mar-chio di tutela dei vini veronesi DOC, nelle sue omelie manifestava l’importanzadello sviluppo del settore vitivinicolo, offrendo spesso dal pulpito consigli peruna corretta produzione.

Infatti, nei secoli successivi, la vigna pare diventare la coltura prevalente, ar-rivando intorno al 1000 ad un’ampia diffusione e prosperando anche di più sot-to la Serenissima Repubblica di Venezia, al punto che la torchiatura delle uveassegnerà il nome ad alcune località come Torco Livaro e Torco Gualtalo. Nel XVIsecolo il bolognese Leandro Alberti nella sua opera evidenzia che i colli Euganeisono ricoperti di “belle vigne” e che Treviso produce vini “perfettissimi”; in taleepoca si distinguono i vini di Conegliano e di Vicenza, sopra tutti gli altri, men-tre lo sviluppo della viticoltura in regione è estesissimo. Su tale idilliaco quadroil rigidissimo inverno del 1709 provocò un improvviso, grave tracollo, al puntoche moltissimi vigneti dovettero essere reimpiantati, fruttificando solo dopo di-versi anni. Questo portò anche all’annullamento delle fiorenti esportazioni di vi-no veneto in Germania, al punto che verso la fine del ‘700 il quadro vitivinico-lo era desolante. Come se non bastasse, anche qui giunse nel secolo successivola devastazione dell’oidio, della fillossera e della peronospora, al punto che il vi-gneto si dovette rivestire a nuovo: accanto ai pochi vitigni autoctoni sopravvissuticompaiono quelli bordolesi e borgognoni, nonché altri di diverse regioni d’Italia.Da questo insieme si ricostruiranno le basi della nuova vitivinicoltura veneta.

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Ambiente pedoclimatico

Il Veneto è una grande regione (18.364 kmq) che si affaccia ad est sul ma-re Adriatico; a nord confina con l’Austria, a nord-est con il Friuli-VeneziaGiulia, a nord-ovest con il Trentino-Alto Adige e ad ovest con la Lombardiae l’Emilia-Romagna. La parte settentrionale è montuosa e comprende una se-rie di rilievi prevalentemente calcarei che arrivano a toccare i 2.300-2.400m, come l’Altopiano di Asiago, il monte Grappa ed i bellissimi gruppi dolo-mitici quali il Civetta, il Cristallo e l’Antelao, che superano i 3.000 m. Questazona montuosa si estende per il 29.1% della superficie territoriale, mentrela fascia collinare ne copre il 14.5%, con i monti Lessini, le colline di Bassanoed il Montello. Solitari, nella pianura, si innalzano i monti Berici ed i colliEuganei, in gran parte formati da rocce vulcaniche e calcaree. La grande pia-nura veneta si estende sul 56.4% del territorio, dal Mincio al confine con laLombardia e dal Po al Tagliamento, ed è divisa in alta e bassa da una fasciadi risorgive.

La costa, che si estende ad arco tra le foci del Po e del Tagliamento, è bassaed uniforme, interessata per vasti tratti da aree lagunari che costituiscono unpaesaggio di transizione tra la terraferma ed il mare.

L’economia prevalentemente agricola della regione è favorita dalla presenzadi molti fiumi e canali, anche navigabili, con una grossa capacità idrica. I prin-cipali fiumi sono il Po, che bagna la regione solo con il suo corso inferiore, se-gnando buona parte del confine con l’Emilia-Romagna, e l’Adige, che appartie-ne al Veneto con tutto il tratto di pianura. Interamente veneto è il Piave, men-tre rivestono un interesse marginale il Mincio e il Tagliamento. Tutti gli altri cor-si d’acqua, Brenta, Bacchiglione, Livenza, Sile, Zero e Dese, hanno origine nellaregione prealpina e attraversano la pianura seguendo la pendenza generale asud-est, arricchiti dalle acque di risorgiva. Le maggiori portate si hanno nei me-si autunnali e soprattutto primaverili, allorché alle abbondanti precipitazioni siaggiungono le acque di scioglimento delle nevi. Pochi e di modesta superficiesono i laghi veneti, tra i quali quello di Misurina e il versante orientale di quel-lo di Garda.

Il clima del Veneto presenta notevoli escursioni termiche stagionali e divie-ne di tipo continentale man mano che ci si allontana dal mare Adriatico. La co-sta veneta è calda e afosa in estate, solo in parte mitigata dalle brezze marine,mentre in inverno le temperature raggiungono raramente valori molto bassi. Le

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zone sulle rive del lago di Garda presentano condizioni climatiche particolar-mente miti e favoriscono la coltivazione dell’olivo e degli agrumi. Sui rilievi preal-pini aumentano sensibilmente le escursioni termiche giornaliere, mentre ten-dono a diminuire quelle stagionali. Le estati sono quasi dappertutto fresche eventilate e gli inverni, specialmente nelle aree meglio esposte al sole, non sonoestremamente rigidi. Le precipitazioni, ovunque abbondanti, aumentano man ma-no che si passa dal litorale ai versanti delle Prealpi; sono soprattutto autunna-li sulle coste adriatiche, primaverili e autunnali in pianura ed estive in monta-gna, dove in inverno si verificano anche copiose nevicate. Il Veneto, protetto dal-la catena alpina dai venti del nord, risente dell’azione dello scirocco, caldo e umi-do, della tramontana e della bora, freddi, asciutti, forti e impetuosi. Le nebbieinvernali sono molto frequenti e dense, ma localizzate soltanto nella bassa pia-nura verso sud-est.

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Zone vitivinicole

In Veneto gli ettari coperti da vigneti sono 70.305 e 7.951.340 gli ettolitri divino prodotti nel 2008. Questo dato inequivocabile pone questa regione tra leprime nella graduatoria nazionale della quantità ma, è giusto sottolinearlo, an-che il livello qualitativo tende a salire: qui è prodotto più del 20% dei vini diqualità italiani.

Veneto, terra di pianure e di alte montagne

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Il vigneto veneto è occupato per il 59% da coltivazioni di pianura, per il 39%di collina e solo il 2% può essere considerato di montagna, con una leggera pre-valenza di uve a bacca bianca.

Gli impianti più diffusi in tutta la regione sono a spalliera con le sue varian-ti (sylvoz con varie modifiche e casarsa), seguite dalle pergole, le cortine, il ten-done veronese, mentre nella bassa pianura trevigiana e veneziana resiste anco-ra il belussi. Le forme di allevamento ed i sistemi di potatura sono tuttavia sem-pre più dettati dalle esigenze dei vitigni e dalla possibilità di utilizzare le mac-chine, anche se in alcune zone impervie si sta tornando ai sistemi tradizionali,come per esempio l’allevamento a cappuccina in quella del prosecco. Le densi-tà d’impianto variano da 2.000-2.500 ceppi/ha con il tendone veronese, a 2.500-3.000 con le controspallie-re di collina, a soli 1.000-1.500 con il belussi, anchese l’attuale tendenza siorienta verso il progressivoaumento del numero diceppi/ha con la contempo-ranea diminuzione del nu-mero di gemme/ceppo.

Il Veneto è terra di anti-chissime tradizioni vitivi-nicole, ma per quanto ri-guarda l’attuale plateaampelografica ha originiabbastanza recenti. Mentrela zona occidentale del ve-ronese e dei colli Berici haconservato anche nel pe-riodo post-fillossericol’originalità dei suoi viti-gni, l’area centro-orienta-le ha fatto ricorso in mododeciso alle varietàd’oltralpe, così come, ingran parte, il confinante Prosecco

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Friuli-Venezia Giulia. Il vitigno più coltivato in regione è il merlot, con il 30%delle superfici investite, seguito da garganega e prosecco. Nella parte occiden-tale sono coltivati soprattutto garganega e trebbiano tra le uve a bacca bian-ca, corvina veronese e rondinella tra quelle a bacca rossa; nelle zone più orien-tali sono più diffusi tocai friulano, pinot bianco, pinot grigio, sauvignon, oltreall’autoctono prosecco e, tra quelli a bacca rossa, cabernet franc e sauvignon,merlot e l’autoctono raboso.

Per ottenere vini più ricchi di profumi, è diffusa la tradizionale pratica enolo-gica dell’uvaggio. Valpolicella e Bardolino, per esempio, sono ottenuti da corvi-na, che assicura colore, profumi fruttati e floreali, acidità e una discreta strut-tura, da rondinella, che apporta profumi speziati, maggior corpo e armonia, e damolinara che dona acidità e un caratteristico gusto delicatamente amarognolo.

Come si è già avuto modo di sottolineare, sia la produzione totale sia quelladi vini di qualità è rilevante, e le province di Verona e Treviso sono quelle checontribuiscono maggiormente con circa il 65% di tutta la produzione regiona-le e, dato ancora più importante, la provincia scaligera produce più del 60% deivini DOC e DOCG della regione. Tra i numerosi prodotti, ricordiamo il Proseccodella zona di Conegliano-Valdobbiadene, il Recioto di Soave e quelli di Valpolicellae di Gambellara, vini ottenuti con una particolare scelta delle uve e successivoappassimento. Se la produzione vinicola è importante, lo è di certo anche il con-sumo del vino, che pone questa regione, dove l’ “ombra de vin” è così familia-re, al primo posto in Italia.

Le zone principali nelle quali si concentra la maggior produzione vitivinicolasono le colline del veronese che declinano verso il lago di Garda, i colli Berici, icolli Euganei, la fascia collinare vicentina di Breganze, la pianura ciottolosa lun-go il Piave e, a nord dello stesso fiume, l’alto trevigiano.

In provincia di Verona la viticoltura è in massima parte altamente specia-lizzata, presente in una vasta zona che dal lago di Garda raggiunge la vald’Alpone verso est. La sponda veronese del lago di Garda, da Peschiera del Gardafino a Malcesine, conosciuta come la “riviera degli olivi”, è dominata dalle col-ture della vite e dell’olivo, ma mentre quest’ultimo ha trovato la sua dimora nel-la parte vicino alla riva del lago, la vite è presente su tutta la fascia collinare,che comprende le valli Policella, Pantena, Squaranto, Mezzane, Illasi, Tramignaed Alpone, la prima parte della valle dell’Adige e le pendici dei monti Lessini.Molte sono le DOC di questa provincia, così ricca e generosa nei confronti di co-loro che amano il vino. La produzione della DOCG Recioto di Soave, vino delizio-

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so ottenuto soprattutto da garganega, è piuttosto recente, e ancora di più quelledel Bardolino Superiore e del Soave Superiore. Ma la vera perla della produzioneveneta è l’Amarone della Valpolicella, un vino grandissimo che negli ultimi anniha saputo balzare alla ribalta anche del mercato, con quotazioni più che triplica-te in meno di un quinquennio. Senza trascurare il Recioto della Valpolicella.

La provincia di Vicenza gravita attorno al paese di Gambellara ed è situa-ta sulla vecchia strada pedomontana, ai piedi delle colline basaltiche che co-

Grappoli appesi ad appassire

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stituiscono l’ultima propaggine dei monti Lessini. I Colli Berici, altra area a de-nominazione d’origine controllata, sono situati a sud di Vicenza e caratteriz-zati dalla presenza del tocai rosso, una vera e propria rarità enologica, che tro-va la sua massima espressione a Barbarano, località nella quale questo vitignosembrerebbe giunto nel secolo scorso per merito di un falegname locale cheaveva prestato servizio militare a Tokaji in Ungheria. Alle pendici dell’altopia-no di Asiago, da Bassano del Grappa fino a nord di Thiene, tra i fiumi Astico eBrenta, si estende un’area in parte collinare ed in parte pianeggiante, che co-incide con la zona dei vini DOC di Breganze. Il clima è mite, soprattutto in col-lina, ove crescono anche gli olivi. I terreni sono molto diversificati, di originevulcanica e calcarea, di colore giallo-biancastro, fertili, compatti e ghiaiosi lun-

Vigneti di prosecco

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go il corso dei due fiumi. Oltre a tutti i vitigni internazionali che hanno trova-to in questa zona un luogo ideale, viene coltivato il vitigno vespaiola, tipico diquest’area e dal quale si ottiene il Torcolato, un delizioso vino da dessert.Anche la nuova DOC Vicenza dà i suoi frutti in questa provincia, dove si tro-vano le propaggini di un’altra novità nelle denominazioni, come Arcole, cono-sciuta per i “vini di sabbia”.

La provincia di Padova è caratterizzata dalla presenza delle DOC dei ColliEuganei, di antica tradizione, alla quale i terreni vulcanici ricchi di minerali do-nano caratteri favorevoli per la coltivazione della vite. Tra i prodotti più signi-ficativi spiccano, in un vasto ventaglio di proposte interessanti, il Fior d’arancio,ottenuto dal moscato anche nella versione passito, e il Bagnoli o Bagnoli di Sopra,prodotto soprattutto con il friularo, un particolare biotipo del raboso piave, pro-posto anche nelle versioni passito e vendemmia tardiva. Ultima novità è Merlara,DOC prodotta alla sinistra del fiume Adige.

La provincia di Treviso è nettamente suddivisa nella zona del Piave, con-divisa con la provincia di Venezia, e la fascia collinare del Montello e ColliAsolani, sempre considerando l’area compresa tra Conegliano, Valdobbiadenee Vittorio Veneto. La continuità tra le zone di Conegliano-Valdobbiadene e iColli Asolani è da ricercare nella coltivazione del prosecco, affiancato da ca-bernet e merlot, consigliati dall’Istituto Sperimentale per la Viticoltura diConegliano. La DOC Piave o Vini del Piave annovera praticamente solo vini bian-chi e rossi da monovitigno, in grado di esaltare le caratteristiche dei terreni egrazie alla DOC Colli di Conegliano si è riusciti a salvare la produzione del vi-no ottenuto dal vitigno manzoni bianco, ex incrocio manzoni 6.0.13, frutto dellavoro del prof. Luigi Manzoni, già preside della Scuola di Viticoltura edEnologia di Conegliano, che rischiava di scomparire in seguito al prepotentesuccesso del prosecco.

E poi la provincia di Venezia. Nella zona di Lison Pramaggiore, la più orien-tale, situata nella pianura tra questa provincia e quelle di Treviso e Pordenone,i vini rossi si caratterizzano per intensità di profumi e personalità, morbidezzae calore, qualità donate dai terreni calcareo-argillosi. Nella parte più centrale iterreni sono meno “forti”, anche se le condizioni pedoclimatiche sono altrettantovocate per la vitivinicoltura e, infine, la zona più meridionale è dominata da ter-reni più leggeri, spesso messi a coltura della vite solo in epoca recente.

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Gastronomia

Tutto il Veneto è stato sotto il dominio della Serenissima fino al 1797, ed è lo-gico che più di tre secoli di presenza sul territorio abbiano lasciato la loro impron-ta in moltissime località, dalla collina al piano, sui canali e sui poggi di questa re-gione, specie nel settore gastronomico, oltre che su quello storico ed artistico. Infatti,qui sono presenti i prodotti orticoli più disparati, l’allevamento in collina ed in mon-tagna, i prodotti ittici più diversi, di pesca libera, di laguna e di fiume, la caccia-gione e la coltura agraria su vasta scala, di mais, grano e barbabietola da zucche-ro. La farina di mais costituisce la caratteristica della cucina delle sette provincedella regione, oltre all’uso frequente di ingredienti di origine orientale, come le spe-zie. La polenta era un tempo il piatto quotidiano della cucina veneta, mentre oggiè stata in parte sostituita dalla pasta e dal riso, anche se rimane un piatto graditoe ricercato da molti. E non si può dimenticare il nano vialone veronese, unico risoIGP, eccellente per i risotti.

Vigneti nel veronese

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Gli antipasti sono numerosi, sia di mare che di terra. Si possono ricordarele anguille appetitose, cioè lattarini fritti e serviti con aceto e sale, il bacca-là mantecato, sminuzzato e cotto al vapore con sale, pepe, noce moscata eprezzemolo tritato, le sarde in saor, fritte e poi stratificate con cipolle, cottea fuoco basso con olio, e poi aggiunte di aceto, zucchero, pinoli ed uvetta sul-tanina, lo storione del Po servito lessato a fettine con olio di oliva, la gran-seola bollita, spolpata e servita con olio, aglio e prezzemolo, la bottarga, ot-tenuta da uova di grossi cefali pressate ed essiccate, servite tagliate a fetti-ne con olio, pepe e succo di limone, le sardine all’olio in salsa, con aglio, bur-ro, pomodoro, sottaceti e uova sode. Tra gli antipasti di terra si possono ri-cordare il prosciutto crudo veneto-berico-euganeo, riconosciuto DOP come lasoprèssa vicentina, la bondola affumicata, insaccato di carne di maiale trita-ta e mescolata con sale, vino rosso e pepe, poi affumicato e stagionato, la bon-dola di Adria, stagionata più a lungo e servita con purea di patate, la soppressadel Pasubio, il salame d’asino e quello di cavallo, gli sfilacci di Padova, semprea base di carne equina.

Numerosi sono i primi piatti, tra i quali spiccano i bigoli, specie di grossi spa-ghetti conditi con sugo d’anatra, col pocio, con le sarde o in salsa. Anche i ca-sunziei, ravioli di zucca o spinaci e prosciutto cotto, sono serviti in versioni di-verse, con burro fuso e ricotta affumicata, o all’ampezzana, con ripieno di bie-tole. Seguono gli gnocchi alla cadorina, serviti con burro fuso e ricotta affumi-cata, le lasagne da fornel, condite con burro, noci, uva sultanina e mele grattu-giate, la pasta e fagioli con il piedino di maiale, la zuppa di trippa, la zuppa sca-ligera e la sopa coada, minestra di brodo di piccione con pane e piccole diver-sità di ingredienti. Un discorso particolare è doveroso per il riso, usato in tuttele versioni. Piatti a base di questo cereale universale sono la castradina, risot-to con carne di castrato affumicato a pezzi, il risi e bisi, risotto con piselli, bur-ro, pancetta di maiale, aglio, cipolla, il risi e bisi e colo de castrà, la minestra dirisi e verze con la salsiccia, il riso in cavroman, di origine orientale, con l’impiegodi carne di castrato, il riso alla lamonese con il passato di fagioli bolliti, il risocon i bruscandoli, cioè luppolo bollito. E poi ancora il riso in brodo di pesce, ti-pico della zona di Rovigo, il riso alla chioggiotta con i ghiozzi passati al setac-cio, alla sbirraglia con brodo e pezzetti di pollo, con i rovinassi, il risotto pole-sano con anguilla, cefalo e branzino, primavera con verdure fresche di stagio-ne, con le tinche, con le seppie, con i finocchi e con l’immancabile radicchio ros-so di Treviso.

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Anche tra i secondi non c’è che l’imbarazzo della scelta. A base di prodottidel mare si trovano il baccalà alla vicentina, fatto cuocere su un fondo di ci-polle, aglio, acciughe e prezzemolo, e quello alla cappuccina, il bisato in tecia eil bisato sull’ara, due modi di cuocere l’anguilla in teglia, l’aringa salata scope-ton, le moleche ripiene, granchiolini fatti affogare nell’uovo sbattuto, infarina-ti e fritti, oltre che le seppie al tegame.

Tra i secondi di carne si possono citare l’anatra ripiena, il cappone alla canè-vera farcito con erbe aromatiche e bollito dentro una vescica di bue, il pollo al-la padovana, il tacchino al melograno, i cavreti de Gambellara, capretti allospiedo con farcia di erbe aromatiche, la faraona in tecia, cioè cotta al coccio, eil fegato alla veneziana, preparato con fegato di vitello, cipolle bianche, burro,olio, sale, pepe e prezzemolo tritato. E poi i torresani allo spiedo, cioè piccionicotti al fuoco di legna, il capriolo marinato e con erbe aromatiche, la pastissa-da de caval e alla feltrina, la prima uno stufato di cavallo con pomodoro e la se-conda di manzo, la fongadina, umido di coratella di vitello con funghi servitocon polenta, il maiale al latte, i torresani di Breganze e la luganega, insaccatodi carne di collo e di guanciale.

Le verdure ed i contorni sono rappresentati da asparagi alla bassanese, fagioli

Radicchio e fagioli

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in salsa di acciughe, funghi in cotoletta con prosciutto crudo, formaggio, uova esale, funghi in umido, radicchio rosso di Treviso usato per il risotto, come con-torno o arrostito sulla brace, radicchio variegato di Castelfranco, fagioli diLamon della vallata bellunese, tutti e tre IGP, peperonata veneta, preparata conpeperoni gialli e verdi, zucchine, melanzane, cipolle, aglio, olio, burro e pepe, ol-tre alle lattughe di Lusia.

Tra i formaggi primeggia l’asiago a pasta dura quando è stagionato, ottimoda grattugia, in particolare quello delle apprezzate forme di vèzzena, matura-te oltre due anni e chiamate stravecchie, prodotte in particolare al passo diVèzzena, sul versante trentino dell’altopiano di Asiago. Altri ottimi formaggi DOPsono il monte veronese, il montasio, il taleggio e il grana padano, e altrettan-to gradevoli le spress, ricotte affumicate, lo stracchino e il mascarpone.

Tra i dolci ci sono quelli diffusi su tutto il territorio regionale ed altri tipi-ci solo di alcune località. Si possono segnalare i baicoli, delicati biscotti daintingere nel vino o nel cioccolato, i bussolà, con pinoli, canditi, mandorle,cioccolata a pezzi, pepe e noce moscata, la fregolotta, con mandorle e scorzadi limone grattugiata, le frìtole, frittelle di farina, uva passa, pinoli, canditi, lefrìtole de risi, con riso stracotto nel latte. E poi il fugazza, dolce freddo di pan-na, i galani veneziani, tipi di frappe o chiacchiere fritte e spolverate di zucchero,il mandorlato, un torrone con zucchero e mandorle specialità di Cologna Ve-neta, il pandoro, tipico dolce di Verona ormai diffuso in tutta Italia per le fe-ste natalizie, la pinza dolce a base di farina gialla e bianca con semi di finoc-chio, uvetta, fichisecchi e scorza diarancia. Infine, lasabbiosa , tortaprodotta con fari-na, fecola, zucche-ro, burro, vanillina,lievito in polvere,sale e una spruz-zatina di anisette.

E in estate, unabella manciata diciliegie di Marosti-ca, riconosciuteIGP. Asiago

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Friuli-Venezia Giulia

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La vite e la sua storia

L’opinione degli studiosi è che la vite sia giunta in terra friulana con l’arrivodegli Eneti, tra il XIII e il XII secolo a.C., ma ben poco è dato sapere sul periodopreromano, al di là dei reperti archeologici funerari raffiguranti libagioni sacree augurali. Sicuramente la viticoltura fu sviluppata e condotta con criteri tec-nici accettabili per quei tempi. Durante quel periodo Plinio il Vecchio attesta neisuoi scritti l’esistenza nella zona di vini gradevoli, tra i quali il Pucinum, consi-derato ricco di virtù terapeutiche, tanto che l’Augusta Giulia (Livia Drusilla, 57a.C. - 29 d.C.) attribuiva la sua veneranda età a tale vino, l’unico bevuto e pro-dotto “…nel golfo del mar Adriatico, non lungi dal sassoso colle della sorgentedel Timavo, dove la brezza marina ne matura poche anfore.”

Nel II secolo d.C. i Romani fondarono Aquileia, dove furono portati 15.000 co-loni che impiantarono vigneti a coltura intensiva, come testimoniano le centi-naia di anfore ritrovate in situ dagli archeologi. Di qualche secolo dopo è la no-tizia che Cassiodoro, primo ministro dell’imperatore Teodorico, parla dell’Istrialussureggiante di vigneti e nel 534 Teodato e Amalasunta elogiano le grandi pro-duzioni vitivinicole di Aquileia e Cividale.

Anche nel Medioevo la viticoltura della regione è fiorente e l’esportazione deivini è diretta principalmente verso la Repubblica veneziana, che già conoscevala Raibola (ribolla) dell’Istria e del Collio, il Pinello, il Turbiano, la Malvasia, laVernascia e il Moscatello. Ma nel 1307 Gorizia fu costretta ad imporre un da-zio sui vini forestieri, per assicurare il consumo del prodotto del territorio.

Durante il Rinascimento la fama dei vini del Friuli si mantiene vivissima, e com-paiono altri vitigni nuovi, come il terrano, il romania e il pignolo, che si diffon-dono nella regione. Intorno al XVIII secolo appare il picolit, coltivato in minimascala nel Friuli, che nel ‘700 si era precedentemente diffuso, per il prelibato edinimitabile vino che produceva, nelle province venete e da lì persino in Toscanae in Emilia a Scandiano. Si preparano nuovi tempi per la viticoltura friulana: nel1765 nasce la Società Agraria Teresiana, dal nome dell’imperatrice Maria Teresad’Austria, la prima di una lunga serie di istituzioni la cui opera porterà le vigneed i vini friulani a grande splendore.

Nel 1787 si mise mano ad un catasto dei vigneti, classificando le zone per me-riti qualitativi, ma purtroppo non fu portato a compimento: un vero peccato, per-ché l’iniziativa avrebbe potuto porci all’avanguardia in Europa, considerando chela prima classificazione dei cru bordolesi è datata 1855.

Purtroppo, neanche un secolo dopo l’opera dell’imperatrice compare l’oidio,

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cui fa seguito nel 1881 la peronospora e nel 1888 la fillossera, che manterrà lasua potenza devastatrice fino a tutto il 1927. Quattro anni più tardi, nel 1931,in collaborazione con la Stazione di viticoltura di Conegliano, si pongono final-mente le basi per la rinascita dei vigneti friulani.

Ambiente pedoclimatico

Il Friuli-Venezia Giulia (7.844 kmq) confina a nord con l’Austria, a est con laSlovenia, a ovest con il Veneto ed è bagnata a sud dal mare Adriatico. Il suo ter-ritorio è montuoso per il 42.6%, pianeggiante per il 38.1% e collinare per il re-stante 19.3%.

Le montagne friulane sono costituite soprattutto dal versante meridionale del-le Alpi Carniche, con la cima più alta del monte Coglians, e dal settore occidentaledelle Alpi Giulie, con la cima più alta del monte Jof di Montasio che, di anti-chissima formazione, presentano creste calcaree addolcite e rimodellate dall’a-zione dei ghiacciai e degli agenti atmosferici, secondo un fenomeno definito “car-sismo”. Nell’arco prealpino carnico-giuliano una serie di rilievi è frazionato innumerose e profonde valli interessate alla viticoltura.

La pianura friulana orientale rappresenta la continuità, per aspetto e carat-teristiche strutturali, della pianura padano-veneta, con terreni di tipo alluvio-nale molto permeabili, mentre a settentrione sono presenti quelli che derivanodallo sfaldamento di massicci rocciosi, costituiti essenzialmente da sabbie e ciot-toli e conosciuti come “magredi” e “grave del Friuli”. I terreni collinari sono rap-presentati da conglomerati sabbiosi, arenarie, argille, marne, calcari, gessi e de-positi di origine marina.

Il fiume principale è il Tagliamento, che nel suo tratto terminale segna il con-fine con il Veneto. Altro fiume importante è l’Isonzo, che interessa la regionesolo nella sua parte inferiore e sfocia nel golfo di Trieste. Sviluppo assai più bre-ve hanno i fiumi che nascono dal versante meridionale delle Prealpi, come ilCellina, il Meduna, l’Arzino, il Torre, il Natisone e lo Judrio. I fiumi carsici, ali-mentati da acque sotterranee, sono il Timavo e il Livenza. Nelle pianure, graziealle falde acquifere di scorrimento, vi sono terreni freschi e umidi, e nei puntidi impatto con falde alluvionali si hanno fenomeni risorgivi o “fontanili”. I la-ghi, tutti di piccole dimensioni, sono il S. Daniele, il lago di Cavazzo o dei TreComuni, il Raibl, il Fusine e il laghetto carsico di Doberdò.

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Colli Orientali del Friuli - Rocca Bernarda Friu

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Il clima presenta caratteri molto diversi tra la fascia costiera, dove è più mi-te per l’influsso del mare, e quella dei rilievi montuosi, dove diventa alpino.Caratteristica particolare della regione è il regime dei venti. La pianura e le val-li sono periodicamente esposte alla bora, vento freddo e violento provenientedal Carso, anche se in pianura prevale il greco, che risparmia solo Gorizia, men-tre nella zona sud-orientale è più frequente il levante. Le piogge sono abbon-danti a causa della condensazione di venti umidi che incontrano la barriera del-le Alpi, con valori massimi, soprattutto in autunno e primavera, sulle Prealpi,con oltre 3.000 mm/anno. Le precipitazioni nevose, specialmente sulle AlpiGiulie, sono copiose, e la grandine non è rara, soprattutto nelle zone pede-montane e collinari; le nebbie sono frequenti in pianura, in autunno e all’ini-zio della primavera.

Zone vitivinicole

La vitivinicoltura della regione, ricca di tradizioni, cultura e vigneti, ha da qual-che tempo avviato la produzione di vini di qualità, avvalendosi di studi metico-losi sulla scelta dei sistemi di allevamento della vite, dei portainnesti e dei se-sti di impianto, in funzione degli specifici ambienti pedoclimatici e dei diversivitigni. A questo proposito l’ERSA, a fianco del vivaismo viticolo regionale, hacostituito un Centro di miglioramento genetico e selezione clonale della vite,con sede a Pantianicco nei pressi di Codròipo.

I 20.431 ettari del vigneto friulano, sono coperti per il 54% da uve a baccabianca e per il restante 46% a bacca nera, con una dislocazione in pianura peril 65% e in collina per il 35%. La produzione di vino si è assestata nel 2008 a1.013.700 hl, con un’elevata percentuale di prodotti DOC e IGT.

Il Friuli-Venezia Giulia è famoso in tutto il mondo per i suoi grandissimi vinibianchi, strutturati e profumati, ma sarebbe riduttivo non considerare anche“l’altra metà del cielo”, i vini rossi, rispetto ai quali questa regione si sta dimo-strando sempre più vocata e competitiva, con la riscoperta di grandissimi viti-gni a bacca rossa come il pignolo, lo schioppettino e il refosco dal peduncolo ros-so. Non si può infatti negare il velato disagio che si percepisce in questa regio-ne, in seguito alla continua crescita della richiesta mondiale di vini rossi. Forsenon è un caso che nel novembre 2000, a Gorizia, si sia tenuta la prima edizio-ne della manifestazione Bianco&Bianco, importante rassegna dei 100 migliori

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vini bianchi di un’ampia area mitteleuropea, comprendente anche Slovenia,Croazia, Austria, Ungheria e Repubblica Ceca.

La specializzazione vitivinicola ha praticamente ridotto a due le forme di al-levamento, mentre la diversificazione è maggiore per quanto riguarda i sesti diimpianto, con una tendenza generale all’infittimento. In collina si adotta so-prattutto il guyot modificato, in sostanza il doppio capovolto, cosiddetto a cap-puccina, mentre in pianura è maggiormente diffuso il sistema ex casarsa o me-todo Friuli, che in pratica è il sylvoz con cordone orizzontale e tralci legati. Ladensità è mediamente di 3.200 ceppi/ha, con tendenza all’infittimento fino a4.000-5.000.

La moderna viticoltura ebbe i natali in regione già dalla metà dell’800 conl’introduzione di pregiate varietà di uve da vino francesi e tedesche, salvaguar-dando alcune varietà tradizionali più rinomate, coltivate ancora con successo,come il tocai friulano, il verduzzo friulano, la ribolla gialla, il refosco dal pen-duncolo rosso e il picolit. Il terrano caratterizza maggiormente la vitivinicoltu-ra del Carso triestino ed è utilizzato per produrre un vino di antica fama, sem-pre molto ricco di acidità.

Udine e Gorizia sono le province che più rappresentano l’enologia friulana, an-che se risentono della vicinanza con la Slovenia, con vini dotati di maggiore strut-tura e carattere. Anche i numerosi vitigni, coltivati grazie alle caratteristiche pe-doclimatiche, sono frutto di scambi e di scelte da parte dei viticoltori locali perdiversificare la produzione. La zona pianeggiante di Pordenone risente invece inmodo particolare della vicinanza veneta, con gli stessi vitigni e produzioni perettaro abbastanza elevate.

La zona pianeggiante comprende la DOC Friuli-Grave, con la maggioreestensione e oltre il 54% della produzione di qualità della regione. Le grave so-no uno strato morenico che si è disposto grazie all’azione millenaria di ghiac-ciai e corsi d’acqua. Sassi e ciottoli affiorano ovunque nel territorio e caratte-rizzano l’intera zona di produzione tra Pordenone e Udine, che comprende lecolline occidentali tra il Livenza ed il Tagliamento.

Essa può suddividersi ulteriormente nei colli di Castelnuovo, del lemboMeduno-Maniago, di Sequals e Lestans. Parte di quest’area è rappresentata siadalla vasta pianura del Tagliamento o pianura friulana, con terreni alluvionalio di riporto, sia dalle colline moreniche, che si potrebbero paragonare alle fa-mose “graves” del bordolese.

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A differenza che in altre pianure, qui si producono vini di buona qualità, gra-zie alle rese piuttosto basse e ad un fenomeno particolare determinato dalla di -stesa pietrosa ai piedi delle piante, che durante il giorno riflette il calore e laluce necessari per la maturazione delle uve, e la notte restituisce il calore ac-cumulato nelle ore più assolate, mantenendo pressoché costanti le condizioniclimatiche. Una cinquantina di anni fa, è sorto in questa zona uno dei più im-portanti e famosi centri mondiali per la produzione di barbatelle innestate, aRauscedo, un piccolo centro abitato in mezzo ai “magredi”. Questo termineidentifica un paesaggio dell’alta pianura a contatto con le Prealpi, rappresen-tato da terreni alluvionali grossolani e molto permeabili, prevalentemente let-ti ghiaiosi di corsi d’acqua attuali o di antichi alveoli abbandonati, dove la ve-getazione erbacea è veramente scarsa, in grado pertanto di fornire solo un“magro” pascolo.

Terreno ciottoloso delle “grave”

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La zona collinare della qualefanno parte le DOC Colli Orienta-li del Friuli e Collio o Collio Gori-ziano, va da Tarcento a Gorizia, perproseguire oltre frontiera, con ter-reni costituiti da rocce marnoso-arenacee. Questa zona, interamen-te collinare con terreni grigi o gial-li, presenta vaste superfici espostea mezzogiorno, molto adatte ad unaviticoltura altamente qualificata. IColli Orientali contendono al Collioil primato qualitativo della produ-zione regionale, grazie alle carat-teristiche uniche del terreno, do-tato di uno strato denominato“flysch di Cormons”. In un susse-guirsi di valli e colline, con vigne coltivate a gradoni e culminanti con i “ron-chi”, le più alte e meglio esposte, si trovano vitigni autoctoni sopravvissuti alrischio dell’estinzione, come la ribolla gialla, il pignolo, il tazzelenghe e il pi-colit. Oltre ai grandi bianchi, la DOCColli Orientali del Friuli punta inparticolare sulle varietà a baccarossa schioppettino, refosco dal pe-duncolo rosso, refosco nostrano epignolo, oltre al merlot, che si adat-ta meglio del cabernet a questoambiente pedoclimatico. All’inter-no di questa zona, a Ramandolo, inuna frazione di Nimis, si coltiva ilverduzzo friulano, dal quale si ot-tiene un vino da dessert veramen-te unico, il Ramandolo DOCG. Il Col-lio si estende, come area geografica,anche in Slovenia, che per quanto ri-guarda terreni, clima e vitigni, si

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potrebbe paragonare ai Colli Orientali, ma come in buona parte dei vigneti diquesta regione, le viti sono un po’ vecchie e si auspica che nel giro di pochissi-mi anni possano essere in gran parte rinnovati.

La zona carsica, o della DOC Carso, è rappresentata dalle alture che delimi-tano la pianura friulana a sud-est, da Gàbria in provincia di Gorizia, fino a rag-giungere il confine nord-est con la Slovenia, in territorio triestino. I terreni ari-di, sassosi e ricchi di ferro, sono sostanzialmente uguali in tutta la zona del Car-so, con una distesa irregolare di rocce bianco-grigie, in netto contrasto con leterre rosse circostanti. Sembra che il nome Carso derivi da una parola celticache significa “paese di roccia”, e non senza fatica si coltivano i vitigni malva-sia istriana, vitouska e terrano, quest’ultimo autoctono istriano chiamato an-che “sangue del Carso”. Ma le nuove generazioni credono in queste piccole real-tà e i reimpianti stanno dando risultati incoraggianti.

I vigneti della zona della DOC Friuli-Isonzo o Isonzo del Friuli si trovano inprovincia di Gorizia, in una zona alluvionale simile alle grave, situata nella val-

Isonzo: vigneti di pianura

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lata del fiume omonimo, e precisamente nella fascia di terreno pianeggiante chesi estende a sud della zona collinare, con terreni di favorevole giacitura e di me-dio impasto. Sono pertanto da escludersi i terreni prevalentemente argillosi equelli privi di scheletro o di risorgiva, perché troppo umidi. Il vitigno principe diquesta DOC resta il pinot grigio, che per anni ha rappresentato il vitigno trai-nante dell’enologia friulana.

La zona del litorale, che comprende le DOC Friuli-Latisana e Friuli-Aquileia,è un’area che si estende a sud delle famose risorgive, le acque che dai fiumi ri-affiorano in superficie dopo una corsa di decine di chilometri nel sottosuologhiaioso tipico dell’alta pianura. I terreni, sopra un substrato ghiaioso, sono pre-valentemente di natura sabbioso-argillosa. La terra della DOC Friuli-Latisana siestende su circa 400 ettari nella fascia meridionale della provincia di Udine, ri-sente della vicinanza del mare Adriatico e gode di un microclima con una tem-peratura media annua ottimale. I suoi terreni sono ricchi di argilla, difficili dalavorare ma ricchi di minerali, che danno in particolare buoni risultati per i vi-ni rossi, grazie anche ad un notevole rinnovamento degli impianti, con tenden-za all’infittimento. I vini della DOC Friuli-Aquileia non possono essere definitiveri e propri “vini delle sabbie”, anche se alla componente argillosa del terrenosi mescola una percentuale di sabbia diversa secondo le zone. L’aspetto fonda-mentale della viticoltura di questo territorio riguarda il contenimento della pro-duzione, che qui potrebbe raggiungere valori altissimi, per garantire una migliorequalità. Si punta prevalentemente sui vini rossi, in particolare sul Refosco dalpeduncolo rosso, che può essere identificato con il Pucinum romano “più nerodella pece”, come lo definiva Tito Livio, anche se un vino bianco che qui riescemolto bene è il profumato Traminer aromatico.

La zona di produzione della DOC Friuli-Annia, l’ultima nata, è caratterizza-ta da terreni di pianura, sabbiosi, argillosi e ricchi di sali minerali, mentre sonoda escludersi i terreni di risorgiva, troppo umidi e freschi. L’orientamento più re-cente è proprio quello di puntare sulla specificità di alcuni terreni argillosi perricavarne vini freschi e fruttati, e in grado di risultare competitivi sul mercato.

I terreni della DOC interregionale Lison-Pramaggiore, prevalentementepresente in Veneto, sono di origine sedimentario-alluvionale, di medio impa-sto, tendenti all’argilloso-sciolto, con presenza di concrezioni calcaree e discheletro; anche in questa zona sono da escludersi i terreni sabbioso-torbo-si, ricchi di sostanza organica, umidi, freschi e quelli di risorgiva o soggetti adallagamenti.

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Gastronomia

La cucina di questa regione è composta principalmente da due anime, quel-la a sfondo agricolo e montano delle valli e delle Alpi della Carnia e quella la-gunare dell’Adriatico. In aggiunta, risente dell’eredità e dell’impronta della cu-cina veneta, delle tipicità gastronomiche asburgiche, di quelle confinanti slavee del retaggio orientaleggiante nel quale ha gravitato nei secoli passati. Il tut-to condito con uno spruzzo della tipica grappa, che ha profonde radici in Friulie che suggella tutto.

Di sicuro effetto, anche se non numerosi, sono gli antipasti. Inconfondibile ilprosciutto di San Daniele, prodotto DOP dolce e morbido, servito in fettine sot-tilissime tagliate a mano, con fichi o melone, o quello di Sauris, affumicato conlegni di abete, ginepro e piante selvatiche, che può essere servito affettato o acubetti con semi di cumino. Molto gradevoli e saporiti sono il salame d’oca, dicinghiale e di asina, di piccole produzioni locali, il salame alla friulana fritto inpadella a fette con una spruzzata di aceto e servito caldo, le salviade, foglie disalvia passate nell’uovo e fritte, oltre ai fiori fritti, i “fiori dolci” di acacia, sam-buco e zucca. Tra gli antipasti di mare spiccano la granseola alla triestina e nel-le sue diverse versioni locali, o la trota affumicata con piante aromatiche, chepuò essere servita su crostini con burro e limone oppure con olio e sottili fettedi cipolla cruda.

Per le minestre, la regione è il regno dei brodetti di mare, come quello diMarano Lagunare, con molti tipi di pesce passati al setaccio, fino ad ottenereuna zuppa cremosa che viene servita con crostini di pane e una spolveratina dipepe, quello di Trieste e quello di seppioline. Seguono la minestra carsolina, conuova e farina, la jota, un minestrone di fagioli, patate, crauti, olio, erbe aroma-tiche e, talvolta, con salsiccia o cotechino, il minestrone alla triestina, la mine-stra di orzo e fagioli e quella di riso e patate, la zuppa di trippe, il paparot del por-denonese con spinaci, farina di mais, farina, burro e aglio, la sope di cjavàl, conpane abbrustolito sul quale viene versato un cucchiaio di burro cotto, zucche-ro e del buon vino rosso. Diffusa è la polenta in tutte le sue varianti: qui ricor-diamo il bisma, polenta gialla con crauti e fagioli, condita con un soffritto dilardo e cipolla.

Tra i primi piatti, particolarmente ricchi sono gli agnolotti alla Carnia, pastaripiena di ricotta, spinaci lessati, cedro candito, uvetta e pane grattugiato, il cial-zon di Timau, altra pasta ripiena di patate, spezie, uvetta, erbe aromatiche, con-

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dita con ricotta affumicata o altro formaggio grattugiato e burro fuso. Un trion-fo della fantasia sono i cialzon di Arta, farciti con un ripieno a base di patate,mele, pere, numerose erbe aromatiche e, oltre alle solite, la melissa, il “geraneoofficinale”, la menta, con sapori particolari regalati anche dalla ricotta affumi-cata, dal cioccolato fondente, dalla marmellata di prugne e dalla cannella.Sensazioni dolci si trovano anche nelle lasagne ai semi di papavero, con burrofuso, semi di papavero e zucchero, e negli gnocchi di susine, con all’interno unaprugna secca, fatti bollire, passati in padella con burro fuso, zucchero e cannella.

Non si possono dimenticare il fritto di polenta, gli gnocchi affogati di pata-te lessate e conditi con carne tritata, fegato di vitello, uova e cipolla. E poi irisotti, come quelli alle ortiche, ai peoci, con cozze, pomodoro, aglio e cipolla,con i più svariati frutti di mare, di Marano, con scampi, calamari e telline, e conle rane rigorosamente in bianco.

Numerose le pietanze, con specialità di carne di vitello o di manzo: l’arrostodi manzo aromatizzato con cumino, rafano e chiodi di garofano pestati, lo stin-co di vitello al forno servito con patate bollite, la testina alla carniola, bollita,

Gnocco di susina con burro e cannella

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affettata a striscioline e servita con salsa, il gulasch, manzo stufato ed aro-matizzato con paprica ed altri aromi. Anche il maiale è presente con il muset,cotechino ottenuto anche da parti della testa del maiale, profumato ed aro-matizzato con sale e cannella, il maiale in salsa di lamponi, il carré di maialeallo spiedo e il toc de purcit, stufato di carne magra di maiale, unita al fega-to, condita con cannella, chiodi di garofano, aromi e vino bianco secco.Saporite le luganeghe, salsicce di maiale prodotte nel Carso, e le marcunde-le, altre salsicce avvolte nella rete. Ottimi anche i cevapcici, polpettine di car-ne di maiale e manzo, insaporite con poca cipolla e aglio, macerate nel vinobianco, sale e pepe, cotte alla griglia e servite con cipolla cruda affettata, dalnome slavo ma preparate da sempre nella zona del Carso. E poi il frico, mon-tasio fresco fritto nel burro, eventualmente aggiunto di patate, cipolle o me-le cotte a parte.

Tra la selvaggina troviamo la lepre alla boema, tagliata a pezzi, soffritta estufata a fuoco lento con aromi, la coscia di agnello in umido, sempre con aro-mi forti, e la polenta pastizzada, ottenuta con farina gialla setacciata, acqua,latte e burro, viene servita con pollastrello o piccioni cotti in umido, caprio-lo in salmì, salsiccia, cotechino bollito, castrato in salmì con vino pinot nero,aromi e spezie varie. Ma la polenta può anche essere condita con montasiostagionato grattugiato e salsiccia cotta sbriciolata, oppure utilizzata perpreparare i tocj di Braide, sciogliendo in una teglia un po’ di burro e aggiun-gendo dei mestolini di polenta tenerissima, sale, pepe e ricotta affumicatagrattugiata.

Dal mare, i piatti più richiesti sono le canocchie al sugo, le cappesante grati-nate, le seppioline alla granseola, piccole seppie farcite con polpa di granseolabollita e tuorli d’uovo, il boreto alla graisana, dove il boreto è il rombo più ri-cercato, preparato con olio, spicchi d’aglio, aceto bianco di vino e servito conpolenta tenerissima, le seppie e il brodetto alla gradese, con pesce cotto con olio,aceto, aglio e un po’ d’acqua. Dalle acque dolci o miste vengono pescati pescidiversi, per ottenere la trota al cartoccio, in zuppa, al cren, alle mandorle, il luc-cio arrosto con funghi champignon, patate, pancetta e tocai, l’anguilla allospiedo, la carpa al traminer con lo stesso vino, aglio, olio, sale e pepe, il pescein saor, cioè fritto e conservato in carpione con cipolle ed uvetta.

Diffuse sono anche le frittate con numerose erbe aromatiche e, tra i contorni,ricordiamo gli asparagi di Grado, Tavagnacco e S. Andrea, bolliti, serviti con bur-ro e pane grattugiato o con salsa all’uovo piccante, i fagioli alla smolz, fagio-

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li borlotti bolliti e conditi con soffritto di burro, lardo e cipolla. Piatto partico-lare è la brovada, dato da rape inacidite nelle vinacce, poi tagliate in striscio-line grossolane e servite spesso con il muset, così come i carciofi carsolini, laverza ripiena con carne di maiale e manzo tritata, aglio, prezzemolo, sale e pe-pe, le patate in tecia, con lardo, cipolle, brodo, prezzemolo e vino bianco. A ba-se di rafano è la salsa di cren, con aggiunta di burro, pane grattugiato, mele evino bianco, molto popolare a Trieste e di origine austriaca, servita insieme amolte preparazioni a base di carne.

Tra i formaggi che trovano grande spazio nella cucina friulana spicca il mon-tasio, DOP con diversi livelli di stagionatura, il formaggio del cit spalmabile, ilsaltarello, il latteria di Fagagna, formaggio di latte vaccino dal gusto dolce, chepuò subire una stagionatura variabile dai due a diciotto mesi. E poi la ricotta,spesso affumicata e ingrediente di numerose preparazioni, e il formaggio asì-no, che non ha nulla a che vedere con l’animale, ma che proviene da Vito d’Asio,a pasta cremosa e maturato in speciali salamoie, in tini vinari, che danno unsapore particolare.

Anche tra i dolci, sull’onda asburgica, sono frequentissimi quelli di originemitteleuropea, come le omelette alla frutta e alla confettura e le frittelle di me-le, pere, albicocche, pesche, ma sono pochi quelli di origine locale. Tra questisi possono ricordare le castagnole di Sacile, gnocchi di farina, zucchero, burro,uova e buccia di limone, fritti nello strutto e nell’olio, e le frittelle di riso conuvetta e pinoli. Molto particolare è la gubana, un dolce a pasta lievitata spia-nata e farcita con mandorle, noci, uvetta, pinoli, cedro e arancia canditi, cioc-colato; tutto viene aromatizzato con rum e cannella, disposto a chiocciola ecotto in forno. Da non dimenticare sono anche la pinza, pane dolce arricchitodi diversi ingredienti, tra i quali i fichi secchi, le noci e l’uvetta, le esse di Raveo,biscotti a forma di “S”, i chifeletti, frittelle a forma di mezzaluna ottenute daun impasto di patate, farina e zucchero e servite con cannella e zucchero a ve-lo. La presnitz è il tipico dolce pasquale, e la putizza, simile alla gubana e det-ta pane indorato nel triestino, viene prodotta con pane raffermo, a fette sot-tili, farina, latte, uova, zucchero e sale, e poi fritta. Particolare è lo strucolo go-riziano, ottenuto con un impasto di patate, farina, burro, formaggio, olio e sa-le, ripieno con una farcia a base di mele, noci tritate, pinoli e uva passa, pro-fumato con limone grattugiato e cannella, bollito arrotolato in un canovaccio,srotolato ancora bollente, affettato e servito con burro fuso e, a piacere, conzucchero e cannella.

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La vite e la sua storia

Furono probabilmente i primi mercanti greci ad introdurre e diffondere la vi-te nella regione, insegnando alle tribù liguri anche le tecniche di produzione, chepoi gli abitanti diffusero nelle regioni limitrofe. Infatti, in Liguria, la coltura ra-zionale della vite si deve ai Focesi, che già nel VI secolo a.C. fondarono diversecittà sulle rive del Mediterraneo, tra cui Marsiglia.

Qualche secolo più tardi, la conquista romana portò indubbiamente ad un mi-glioramento qualitativo della produzione: in Liguria i Romani producevano ilLunense e il Corneliae, proveniente da Corniglia, una delle “cinque terre”, e Plinioil Vecchio riconosceva ai Liguri la patente di esperti vinificatori.

Dopo i secoli bui delle invasioni barbariche, per trovare un quadro meglio trat-teggiato della vitivinicoltura ligure bisogna arrivare al Medioevo: la vite infat-ti è ormai presente quasi ovunque ed iniziano a primeggiare i vini delle CinqueTerre, della riviera di Ponente e dello spezzino.

Proprio ai vini della riviera di Levante Francesco Petrarca, nel suo “Affrica”,dedica vibranti versi, mentre per la riviera di Ponente, nel 1400, si fa portavoceJacopo Bracelli, lodando il Moscato di Taggia, che sarà ripreso e magnificato daOrtensio Landi più di un secolo dopo, il quale lo considerava “tanto buono, chese in un tinaccio di detto vino mi affogassi, parrebbemi fare una bellissima mor-te”.

Il Cinquecento e il Seicento segnano il culmine della fioritura dei vini liguri,come emerge dalle cronache dei viaggiatori dell’epoca, tra i quali spiccano i vi-ni delle Cinque Terre, lodati all’epoca anche dal grande scrittore spagnoloCervantes in una sua novella.

La crisi di Genova e dei suoi traffici, causata dalla concorrenza olandese edinglese nel Mediterraneo, influisce negativamente sull’agricoltura e sulla viti-coltura, con l’aggravio dovuto alla spiccata tendenza ligure a modificare le col-ture secondo gli andamenti commerciali del momento, passando dagli agrumial gelso, dalla vite all’olivo. Iniziata nel ‘700, la crisi della coltivazione della vi-te si aggravò con l’invasione fillosserica del secolo successivo, e durerà sino aglianni ‘60-’70 del ‘900.

Ma il vero problema della vitivinicoltura ligure è quello della sua qualifica-zione produttiva, a cominciare dal vigneto che, al di là dei pochissimi specializ-zati, è soffocato dall’enorme varietà di vitigni, stratificatisi nei lunghi secoli deicommerci della Repubblica marinara di Genova, e dal fatto che l’agricoltura, nel-

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la maggior parte dei casi, non è più attività primaria, ma occupazione da tem-po libero. Nonostante tutti questi inconvenienti, non mancano i vini di pregio,e da almeno un quarto di secolo sono chiaramente visibili i segni di un certo ri-sveglio e di un notevole impegno vitivinicolo da parte di un sempre più nume-roso gruppo di produttori.

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Riviera di Levante

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Ambiente pedoclimatico

La Liguria è una delle più piccole regioni d’Italia (5.420 kmq), che si affacciasul mar Ligure e confina ad ovest con la Francia, a nord con il Piemonte e l’Emilia-Romagna, ad est con la Toscana.

Il suo territorio è montuoso per il 65.1% e collinare per il restante 34.9%; siestende ad arco, quasi dalla foce del fiume Roja a quella del Magra, e comprendebuona parte del versante tirrenico delle Alpi e degli Appennini.

La costituzione geologica dei rilievi è formata in parte da terreni con scisti,quarziti, calcari marnosi e dolomitici, in parte da altri con scisti e gneiss, are-narie e conglomerati, che determinano nel paesaggio caratteristiche più varieed alpine. Lungo la costa, estesa per 346 km, le montagne si innalzano spessodirettamente dal mare, e in alcune zone i depositi alluvionali di ghiaia e sabbiahanno formato terreni che ben si adattano alla coltivazione della vite.

La riviera di Ponente è formata da terre rosse di origine marnoso-calcarea conresidui organici, che andando verso l’interno diventano terre brune, mentrequella di Levante presenta terreni argilloso-calcarei misti a sabbie, più tenaci eprofondi.

Numerose valli incidono i rilievi montuosi e sono percorse da corsi d’acquabrevi e dal regime torrentizio, mentre a nord alcune vallate sono percorse da fiu-mi con regime abbastanza regolare, tutti tributari del Po, tra i quali il Tanaro, ilBormida di Millesimo, il Bormida di Spigno, lo Scriva, il Trebbia e l’Aveto. I fiu-mi che sfociano nel mar Ligure sono invece caratterizzati da percorsi brevi, pen-denze sensibili, bacini di modesta ampiezza e alimentazione quasi esclusivamentepluviale e irregolare, per cui presentano un regime marcatamente torrentizio,con forti variazioni tra le massime in autunno e primavera, e le minime nei me-si estivi e invernali. Questi fiumi convogliano molti detriti, che formano le pia-nure del litorale, ben irrigate e fertili.

Rispetto alla latitudine, la Liguria presenta un clima vario, in prevalenza mi-te soprattutto lungo le coste, mentre sul fronte padano è continentale e tipi-co di montagna. La mitezza del clima è dovuta alla naturale protezione dai ven-ti della catena alpino-appenninica e all’azione mitigatrice del mar Ligure. Nellezone dove la cerchia montuosa si abbassa, come a Savona e Genova, si posso-no avere repentini sbalzi di temperatura, ma nei luoghi riparati il clima è co-stante. Le piogge sono poco frequenti ma abbondanti; il nemico peggiore perla coltura della vite è comunque rappresentato dalla siccità. Le estati sono in

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linea di massima assolate e secche, mentre gli inverni sono piacevolmente mi-ti. I microclimi variano notevolmente nell’ambito della regione, e frequenti so-no le oasi climatiche dov’è possibile la coltivazione anche di fiori e piante tro-picali.

I venti predominanti sono umidi, spirano da sud-ovest (libeccio) e da sud-est(scirocco), e portano perturbazioni e precipitazioni sui rilievi interni; altrettan-to temibile è il mistral, che spira da nord-ovest, teso e freddo, così come i ven-ti impetuosi che attraversano la depressione del Colle di Cadibona. In tutta laregione, comunque, il contrasto mare-monti è in grado di determinare ventila-zione, mitezza e luminosità preziose per la coltivazione della vite, ma anche difiori e olivi.

Zone vitivinicole

Lo spazio destinato ai vigneti è veramente ristretto, ma spesso gode di unasplendida… vista mare! L’estensione del terreno vitato è di 1.887 ettari, con-centrato sul crinale appenninico, con una produzione, nel 2008, di 71.005 hl,una delle più basse d’Italia, con coltivazioni difficili, su terrazze che possonotrovarsi in collina, vicino al mare o nell’entroterra. La densità di impianto è ingenere elevata, fino a 6.000-10.000 ceppi/ha, ma a questo non corrisponde unapotatura altrettanto severa, benché normalmente la produzione non superi le7-8 t/ha.

In genere, a Ponente si adottano per lo più vitigni e tecniche simili a quelli delPiemonte, mentre a Levante le tendenze sono più vicine a quelle toscane. Le for-me di allevamento più usate sono l’alberello e la spalliera nelle zone di coltiva-zione del rossese e del pigato, anche se nell’area delle Cinque Terre l’alberello su -bisce delle varianti; in altre zone si ritrova maggiormente la spalliera o, meno fre-quentemente, la piccola pergola (in dialetto topie). I vitigni coltivati in Liguria,con prevalenza di quelli a bacca bianca, sono più di cento, numero che si spiegacon la frammentazione delle proprietà, la difficoltà di coltivare terreni impervi,la vicinanza e la facilità di scambio con altre regioni vinicole. Il vitigno più dif-fuso è comunque il vermentino, seguito da albarola, pigato e sangiovese. Il ver-mentino, sicuramente di origine spagnola, precisamente dell’Aragona, sembre-rebbe arrivato in Italia all’epoca della dominazione iberica in Sardegna. L’ormeascoè così chiamato perché importato dai Saraceni da Nava di Ormea, mentre il pi-gato, vitigno di origine meridionale, deve il suo nome dialettale “pigau”, che si-

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gnifica maculato, alle caratteristiche della sua buccia, oppure al termine latino“picatum”, vino aromatizzato con pece.

Il miglior vino rosso della regione, il Rossese di Dolceacqua, molto apprezza-to già da Napoleone, e l’Ormeasco della Riviera Ligure di Ponente, versione li-gure del Dolcetto, sono certamente vini di carattere. I vini bianchi sono i più pre-giati e molta classe mostra il Pigato della Riviera di Ponente, anche se i liguripreferiscono il Vermentino, prodotto in entrambe le Riviere.

Nella Riviera Ligure di Ponente la vite è coltivata maggiormente ad albe-rello e i vigneti si trovano ad altitudini varie tra i 200 e 300 m slm, coltivati suterrazze sia vicino al mare sia nell’entroterra, sempre in aree impervie e ripideche rendono difficile la coltivazione.

La fascia di territorio di La Spezia, che comprende l’area delle Cinque Terre,Portovenere e le isole Palmària, del Tino e del Tinetto, è stata inserita dall’Unescotra le località da considerarsi patrimonio mondiale dell’umanità, per le sue ra-re e incomparabili bellezze. Prezioso e raro è il vino da dessert Sciacchetrà del-

Uve raccolte nelle ceste per la produzione dello Sciacchetrà

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le Cinque Terre, dove la coltivazione della vite può definirsi eroica, e dove un tem-po i contadini dovevano legarsi con delle funi per potersi calare nei vigneti, ri-cavati su terrazze artificiali degradanti verso il mare, scavate nel fianco dellamontagna e sostenute da muretti di pietra. Oggi esiste una serie di monorotaieche rende tutto un po’ più semplice.

Un’altra zona vitivinicola interessante e nota da secoli, ma che ha ottenutoil riconoscimento legislativo solo negli ultimi anni, è il territorio dei Colli di Luni,al confine con la Toscana, sempre in provincia di La Spezia.

Gastronomia

La base della gastronomia ligure è lo specchio focale della sua produzione agri-cola, che vede in primo piano l’olio extra vergine di oliva, in particolare il RivieraLigure DOP e sue sottozone, gli ortaggi, soprattutto pomodori e zucchine, i fa-gioli di Badalucco e le patate dell’Aveto, una buona quantità di frutta, una pro-duzione zootecnica discreta di carne suina ed una considerevole di conigli e pol-lame. Anche la semplicità è un ingrediente della cucina ligure, ricca di piatti dalmarcato sapore contadino: una cucina priva di ingredienti superflui e con limi-tato impiego di grassi, sempre rigorosamente vegetali. Ma questi piatti sempli-ci sono ricchi di profumi e aromi fini e delicati, ottenuti con l’abbondante im-

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Vigneti nelle Cinque Terre

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piego di erbe aromatiche quali la maggiorana, il basilico, il rosmarino, il timo etante altre, che conferiscono alle portate una singolare e straordinaria fragran-za. In sostanza una cucina mediterranea, che risente però del naturale influssodi paesi come la Spagna e i Paesi Arabi e di regioni come la Sicilia.

Quale migliore esempio, basta parlare di un piatto di probabile origine iberi-ca, i mandilli de sea, lasagne quadrate servite con il pesto, mentre le trenette olinguine discenderebbero dalle siciliane tria, che nella versione classica sono uni-te a fettine di patate ed a fagiolini freschi.

Con lo stesso condimento, il pesto, del quale sembra quasi superfluo parlarein quanto oggetto di numerose varianti ma sostanzialmente a base di basilico,pinoli ed aglio pestati nel mortaio, con l’aggiunta di parmigiano reggiano e olioextra vergine, sono condite anche le trofie, fatte con acqua e farina, e i ravioligenovesi, mentre quelli di pesce esigono un condimento marinaro. Ed è sempreil pesto, con il fresco profumo di basilico, che caratterizza il minestrone alla li-gure, ricco di verdure di ogni tipo.

Tra i primi ricordiamo anche i corzetti, farfalline minute di pasta condite conpinoli, burro fuso e maggiorana, le picagge, tagliatelle liguri di pasta ma con me-no uova, condite con sugo di carciofi o di pesce, le reginette con le uova, i pan-soti con salsa di noci, pasta ripiena di uova, ricotta, borragine e parmigiano reg-giano. Due sono i preparati a base di riso: il riso arrosto, con salsiccia, carne divitello tritata, fondi di carciofo e piselli freschi, ed il riso preboggion, conditocon olio extra vergine di oliva, pesto e parmigiano reggiano. Presenti anche lezuppe, come le ormai rare lattughe ripiene, la mesciüa spezzina con ceci, fagioli,frumento, sale e olio, la minestra di bianchetti, brodo di avannotti con piselli fre-schi, zucchine e spaghettini.

Non si devono trascurare gli antipasti, perché nella cucina ligure ci sono -ed anche piuttosto numerosi - come pure alcune specialità non legate diret-tamente al pasto, ma da consumare in qualunque momento della giornata otra un piatto e l’altro. Ci riferiamo alla farinata, preparata con farina di ceci,olio extra vergine, sale e pepe, cotta in forno in larghi tegami, alla focaccia conil rosmarino, alla focaccia al formaggio, preparata con due strati sottili di pastafarciti con formaggio morbido e saporito, alla sardenaria, con farina, olio extravergine, latte, lievito di birra, cipolle bianche, aglio, pomodori e acciughe. E poila panissa, polenta di farina di ceci tagliata a fette, fritta e servita calda, il pol-pettone con fagiolini verdi e patate, bolliti e tritati con uova, latte e parmigia-no reggiano, i moscardini all’inferno ed i mitili ripieni, cioè cozze ripiene.

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Molto usate sono le frittate, nelle tre versioni con carciofi e zucchine, con larilevante presenza di maggiorana e con i bianchetti, insaporite da aglio e prez-zemolo.

Non mancano le torte salate, come la pasqualina, preparata un tempo soloper Pasqua con 33 strati, come gli anni di Cristo, a base di bietole, cagliata euova intere, la torta di asparagi e quella di carciofi, come pure i ripieni a pre-valente base di zucchine, cipolle o melanzane. Tra gli antipasti di mare si tro-vano le acciughe crude sott’olio con aglio, prezzemolo, olio extra vergine, limo-ne, sale e pepe bianco, i bianchetti serviti tiepidi in insalata con olio e limone,le frisceu, frittelle a base di farina, birra, borragine, bianchetti, baccalà, lattugae zucchine, i cuculli di patate e la capponada, ottenuta con gallette da mari-naio, aglio, acqua e aceto per inumidirle, cetrioli, pomodori, peperoni, filetti diacciuga e olive nere.

Piuttosto rari i grandi arrosti di carni rosse e gli umidi, essendo i liguri piut-tosto restii a consumare piatti troppo pesanti e ricchi di grassi: prova ne è la ci-ma ripiena, una tasca di carne di vitello imbottita con altra carne tritata arric-chita di vari ingredienti vegetali. Si devono ricordare anche le tomaxelle, invol-tini di vitello farciti con altra carne, formaggio, pinoli, funghi, uova ed erbe aro-matiche, e la trippa alla genovese in umido con funghi, pezzi di carne, aromi,pinoli, parmigiano reggiano grattugiato e vino bianco, che nella sua versione piùsemplice è detta sbira, in quanto veniva servita agli sbirri che sorvegliavano ilporto. Molto diffusi sono i piatti a base di pollame e di coniglio, come quello alpesto o alla ligure, con un po’ di pomodoro, vino rosso, olive e rosmarino, ser-viti con contorni di ortaggi ed erbe, anche spontanee, come il dente di cane otarassaco, la borragine ed il cappuccio selvatico.

E il pesce? Sembra una contraddizione che la gastronomia ligure sia caratte-rizzata da piatti a base di prodotti agricoli ed orticoli e non di pesce, come ci siaspetterebbe da una regione letteralmente affacciata sul mare. Ma una ragio-ne c’è, ed è la difficoltà di ottenere abbondanti pescate di prodotti ittici di al-to pregio, come orate, saraghi, spigole e triglie. In ogni caso, un piatto di pesce“speciale” c’è, ed è il cappon magro genovese, a forma di piramide, con sei o set-te tipi di pesce ed altrettanti di verdure, sistemati a strati alterni su gallette damarinaio imbevute di aceto, con sopra una salsa a base di olio extra vergine eacciughe, decorato con dischi di uova sode, ostriche, gamberoni ecc. È il piattotipico dei giorni di vigilia, come quella di Natale. Altri piatti regionali di pescesono le acciughe ripiene, la buridda di seppie con olio, pomodori ed aromi e la

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buridda di stoccafisso con funghi, filetti di acciuga, pomodoro, cipolla, olio e pi-noli, le triglie alla spezzina con olio, aglio, prezzemolo e pomodoro, e il bacca-là al verde.

Tra i latticini si può ricordare il bruzza o brusso, prodotto in particolare a Triora,Molini di Triora e Cosio Arroscia in provincia di Imperia, a base di ricotta di ca-pra o pecora lasciata fermentare in forme di legno chiuse, spesso rimestata fi-no ad ottenere una pasta più o meno piccante, che si conserva poi in conteni-tori di vetro sotto un velo di olio extra vergine.

Al termine del pasto ci si può deliziare con i fragranti amaretti di Sassello, ibaci di Alassio ed i morbidi canestrelli di Torriglia, o degustare l’antico e origi-nale marzapane quaresimale a base di mandorle e ricoperto di glassa aroma-tizzata al cioccolato e alla vaniglia, le sciumette a base di chiare d’uovo, o lefrittelle di zucca e il latte dolce fritto. Ma conviene chiudere con un dolce clas-sico, il pandolce, un tipo di panettone basso, friabile ma morbido, molto riccodi uvetta, pinoli e cedro candito. Per una volta - siamo a Genova - alla facciadella parsimonia!

Cozze e seppioline: il mare sulle tavole liguri

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La vite e la sua storia

La vite prosperava in Toscana prima ancora dell’avvento degli Etruschi, intornoal VII secolo a.C. A questi e all’influenza della civiltà greca si deve l’avvio dellacoltura della vite in termini di economia agricola, tanto che intorno al VI seco-lo la Toscana raggiunge prima l’autosufficienza, per poi avviare un fiorentecommercio di esportazioni. Nonostante l’affermarsi nei secoli successivi dei vi-ni toscani, richiesti dai commerci mediterranei, i prodotti di questa regione nonsembrano attirare l’attenzione dei buongustai del tempo, e mancano notizie, da-gli autori latini, di nomi di vini considerati grandi o eccelsi.

Con la decadenza dell’Impero, si verificò un apparente abbandono delle vi-gne toscane, ma sicuramente la ripresa, facilitata dagli ordini monastici, iniziògià dall’Alto Medioevo, come attestano documenti della Badia a Coltibuono, as-sai attiva attorno al IX secolo, nei quali si parla dettagliatamente della colturadella vite. Una netta ripresa della viticoltura toscana si ha già dall’anno 1100,quando le vigne cominciano a farsi più fitte, addirittura nel centro di Firenze,dove sorgeva la chiesa di S. Maria delle Vigne, attuale S. Maria Novella.

Anche il destino delle prime famiglie nobili, come i Ricasoli, sarà indissolu-bilmente legato alla storia del vino; seguiranno poi altre famiglie come gliAntinori e i Frescobaldi intorno al 1300. Con il crescere dei documenti scritti com-paiono i primi grandi vini di Toscana: nel 1276 gli ordinamenti daziari di S.Gimignano citano il vitigno greco, e nei secoli successivi appaiono negli scrittiil vino Montepulciano, i Trebbiani, le Malvasie, gli Aleatici e i Sangioveti. Nel 1404appare il primo riferimento al Chianti, in una lettera del proprietario diVignamaggio ad un mercante senese. Il culmine dello sviluppo del settore si hanel XVI secolo, con il solito Sante Lancerio, bottigliere di Paolo III Farnese, chenella lista dei vini della corte pontificia include il Greco, le Vernacciuole di S.Gimignano, i Moscatelli di Porto Ercole e il Montepulciano. Anche LeandroAlberti parla delle buone Vernacce di S. Gimignano, dei rossi di Montepulcianoe dei buoni vini di Montalcino, ed Andrea Bacci spende elogi per i Trebbiani delValdarno, sottolineando la presenza dei vini toscani sulle mense nobili e regalid’Italia e d’Europa.

Nel 1716 Cosimo III de’ Medici, Granduca di Toscana, istituisce per decreto leprime denominazioni di origine, delimitando aree, confini e regole per i viniChianti, Pomino, Carmignano e Valdarno di Sopra, di fatto stabilendo le primeDOC “ante litteram”. Sempre in questo secolo il fiorentino Cosimo Villifranchi

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pubblica il primo trattato sull’enologia toscana, mentre il pistoiese CosimoTrinci tratteggia un ampio quadro dell’ampelografia regionale, dando ancheistruzioni sull’arte di ben vinificare. Miglioramenti consistenti li apporterà an-che l’Accademia dei Georgofili, che opererà nel settore dell’agricoltura e dellaviticoltura, tanto che nel 1896 il Ministero dell’Agricoltura dichiara che laToscana è la prima, tra le regioni italiane, a produrre un vino rosso da pasto conle caratteristiche ed i gusti richiesti dai consumatori. È il vino Chianti, e la suafama e la domanda consentiranno alla Toscana di superare più agevolmente dialtre regioni italiane i danni delle epidemie viticole della seconda metà del XIXsecolo.

Ambiente pedoclimatico

La Toscana ha una forma pressoché triangolare (22.993 kmq), con il latomaggiore disposto sui mari Ligure e Tirreno; confina con Liguria, Emilia-Romagna,Marche, Umbria e Lazio, e comprende le isole dell’arcipelago toscano Capraia,Pianosa, Elba, Montecristo, Giglio, Giannutri e altre. Il territorio è collinare peril 66.5%, montuoso per il 25.1% e pianeggiante per il restante 8.4%.

La costa presenta distese pianeggianti e sabbiose separate da promontori roc-ciosi, formatisi in seguito a fenomeni di sprofondamento costiero, come nellariviera ligure di Levante. La conformazione morfologica del territorio toscano èvaria e complessa, per l’alternanza di zone montuose e collinari, bacini inter-montani e lembi di pianura. A nord-ovest della regione si trovano le Alpi Apuane,di origine calcarea e dolomitica, con le famose grandi cave di marmo, che pro-seguono con l’Appennino tosco-emiliano ed i suoi maggiori rilievi, il Pratomagnoe i monti del Chianti. Il preappennino toscano comprende il monte Amiata e lecolline metallifere derivate in gran parte da sfaldamenti di origine vulcanica, maformate anche da arenarie, argille e tufi. Nelle zone centrali, di origine più re-cente, prevalgono terreni formati da galestro (rocce a scaglie con spigoli vivi),arenarie e argille; altri componenti di questi terreni sono alberese e sabbia, ma-teriali di facile erosione, che conferiscono al paesaggio le caratteristiche formeondulate.

I rilievi preappenninici e collinari racchiudono bacini un tempo lacustri, ri-sultato del frazionamento originale e naturale della regione, che oggi sono rap-presentate da:

- la Lunigiana, che corrisponde alla valle superiore del Magra

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- la Garfagnana, che comprende l’alto bacino del Serchio- la conca di Firenze, dove si snoda l’Arno- il Mugello, nell’alta valle del Sieve- il Valdarno superiore, tra Pratomagno ed i monti del Chianti- il Casentino, nell’alta valle dell’Arno- la val di Chiana, estesa tra la conca di Arezzo e i laghi di Chiusi e di

Montepulciano- il settore superiore della val Tiberina, aperto tra l’Alpe di Catenaia e l’Alpe

della Luna.Le pianure più estese so-

no il Valdarno inferiore, laVersilia e le piane costieredella Maremma.

I fiumi hanno portate ir-regolari, con percorsi tor-tuosi e regime torrentizio. IlReno, il Santerno, il Lamone,il Marecchia e il Foglia sfo-ciano nel mare Adriatico,mentre l’Arno, il Tevere, ilMagra, il Serchio, il Cecina el’Ombrone nel mar Tirreno.

In Toscana il clima è me-diamente temperato, macon notevoli differenze dazona a zona, in funzione del-la distanza dal mare, dell’al-titudine e della disposizionedei rilievi.

Nelle zone costiere e nel-la fascia collinare si regi-strano temperature mitid’inverno e fresche d’estate,mentre verso gli Appenninile escursioni termiche si fan-no più marcate, fino ai rigo- Podere toscano

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ri dei climi continentali. Le precipitazioni tendono a concentrarsi nei mesi pri-maverili e autunnali, comprese tra i 600 mm/anno nelle zone costiere e pia-neggianti e i 2.000 mm/anno in quelle montuose, anche se in Lunigiana e sul-le Alpi Apuane questi valori sono di norma superati. Le precipitazioni nevose ele nebbie sono frequenti solo nelle zone di montagna.

Castagneto Carducci

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Zone vitivinicole

60.508 ettari di vigneti, colline morbide sulle quali la vite trova il suo habi-tat naturale, profili ondulati a tratti spezzati da cipressi imperiosi, torri merla-te e panorami indimenticabili. E una gastronomia che in ogni borgo ci regalabellissime sorprese, da scoprire seguendo le numerose Strade del vino che qui,in Toscana, sono ben quattordici.

La viticoltura toscana, caposaldo dell’economia regionale, è praticata per lopiù in zone collinari, seguendo la scelta di favorire la qualità, oggi di livello de-cisamente medio-alto, con punte di pregio assoluto. Alcuni vini toscani, prodottianche al di fuori delle DOC o DOCG, sono apprezzati in tutto il mondo e rice-vono premi e riconoscimenti di valore assoluto. È proprio qui in Toscana che al-cuni anni fa è nato il fenomeno dei SuperTuscan, che sta facendo proseliti inmolte regioni, dove alcuni produttori preferiscono proporre vini di grande pre-gio senza “confondersi” - ci sia concesso il termine - con altri prodotti di unastessa denominazione. Sperando che non sia solo un fatto di “moda”. La Toscanaè forse la regione dove il concetto di qualità si rispecchia anche nel grande nu-mero di denominazioni, ben 7 DOCG e 36 DOC più una in arrivo e, come abbia-mo sottolineato, gran parte della produzione è di altissimo livello.

Un altro aspetto di grande rilievo è quello che, negli ultimi anni, in Toscanasi sono individuate delle zone a particolare vocazione viticola, nelle quali nonsi ottiene solo “il” grande vino, ma diversi vini di grande livello, sia rossi, sia bian-chi, sia da fine pasto: è il territorio che dà la sua impronta, inconfondibile, aivini di queste zone. Terra di grandi, grandissimi rossi, la Toscana. Questo si ri-specchia anche in uno strapotere nella coltivazione e nella produzione, che nel2008 è stata di 2.794.932 di ettolitri di vino, con il 70% circa di quelli ottenu-ti da uve a bacca rossa, tra le quali regna sovrano incontrastato il sangiovese,seguito dal canaiolo nero, mentre quelle a bacca bianca più diffuse sono treb-biano toscano, malvasia bianca lunga, vernaccia di San Gimignano, chardonnay,vermentino, malvasia bianca e ansonica.

Tra i sistemi di allevamento si possono trovare l’archetto toscano, con o sen-za sperone, il guyot con cordone speronato ed il guyot multiplo, la spallieracon potatura guyot, il capovolto ed il cordone orizzontale, mentre è pratica-mente sparita la tradizionale alberata, la vite maritata all’acero campestre oal pioppo.

La zona più suggestiva è quella del Chianti Classico, che si estende tra

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Firenze e Siena, in un panorama mutevole di vigneti e colline punteggiate di ca-stelli, abbazie, ville padronali, pievi romaniche ed edifici rurali. Percorrere le stra-de di questa campagna ricca di olivi e vigne, tra boschi di lecci e sentieri deli-mitati da cipressi, raggiungere piccoli paesi antichi arroccati su dolci pendii, èun vero incanto. Questa zona ha un fascino particolare, e tra cascinali ristrut-turati e cantine ultramoderne che sfruttano sofisticate tecnologie, i vigneti so-no curati come aiuole fiorite. Ma sarebbe ingiusto trascurare tutte le altre de-nominazioni del Chianti, prodotte in un’area ben più ampia di quella del ChiantiClassico, pur sempre in grado di offrire vini di qualità. Il Chianti racconta la sto-ria del vino italiano. Partito come vino da pasto e distribuito nel tradizionale fia-sco impagliato, è stato poi capace di tracciare percorsi innovativi alla ricerca diuna qualità migliore, senza dimenticare le proprie radici e senza perdere carat-tere. E il sangiovese è il vitigno dal quale partire per ottenere grandi Chianti.

Carmignano, un altro grande vino da sangiovese, deve il suo nome ad un co-mune situato alla destra del fiume Arno, alle pendici orientali del monte Albano,22 km a nord-ovest di Firenze.

San Gimignano, bellissimo centro in provincia di Siena, con le sue meravigliosetorri che dominano la val d’Elsa, si trova a 38 km a nord-ovest dal capoluogo, adun’altezza di 324 m. Il paese dà il nome al vino bianco toscano per antonoma-sia, molto interessante e rinomato. L’origine del nome “Vernaccia” è discussa, ma

Vigneto a Montalcino

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c’è chi lo vorrebbe derivato dal latino “vernaculus”, ossia locale, del posto, e quin-di con tale nome sarebbero stati indicati, in passato, vitigni e vini locali.

Montalcino, nome famoso in tutto il mondo, indicato ormai universalmentecome roccaforte dell’enologia italiana, è un antico borgo senese di origine etru-sca, ubicato su una collina a 567 m tra le valli dell’Asso, dell’Orcia e dell’Ombrone,tra folti boschi di lecci. In questo piccolo territorio si produce il grandissimoBrunello di Montalcino. Ma anche il Rosso di Montalcino, il Moscadello e il piùgiovane Sant’Antimo sono vini di grande qualità, nel cui disciplinare possonocoesistere vini tradizionali ed altri innovativi, nati da vitigni internazionali.

A poca distanza, ad un’altezza di 605 m in val di Chiana, ai confini conl’Umbria, si trova Montepulciano, sempre di origine etrusca, altro centro di pro-

Le splendide torri di San Gimignano

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duzione di un vino rinomatissimo ottenuto dal “solito” sangiovese, qui chiama-to prugnolo gentile. E l’eccellenza di questo ambiente pedoclimatico viene con-fermata anche dal Rosso e dal Vin Santo di Montepulciano.

Non lontano, nelle zone di val di Chiana e Cortona, in provincia di Arezzo,grazie a terreni forti formati dalla disgregazione del “macigno toscano” e da se-dimenti marini, vengono prodotti vini da monovitigno sempre più interessanti.

Tra Montepulciano e Montalcino si snoda la val d’Orcia, particolarmente bel-la e suggestiva, che dà il nome alla DOC toscana più giovane, con produzionedi vini bianchi, rossi, novelli e vin santi. Molte tipologie dunque, che hanno bi-sogno di crescere e… di fare esperienza.

Se poi si parte da settentrione, si incontra la zona dei Colli di Luni, da cuiprende nome la Lunigiana, terra di grande interesse storico ed enogastronomi-co, che comprende tre comuni in Toscana - Fosdinovo, Aulla e Podenzana - e14 nella parte ligure. In questo territorio si sente l’influenza della vicina Liguria,ed i vitigni utilizzati, come per esempio il vermentino, sono di chiaro stampo li-gure.

Le alture ai piedi delle Alpi Apuane sono una piccola realtà vinicola con pro-dotti a diffusione prettamente locale. Candia è una zona alle pendici del mon-te Oliviero in comune di Massa, con vigneti che si trovano vicino alla zona do-ve si estrae il famoso marmo bianco, sistemati su pendii molto ripidi e quindidifficili da raggiungere.

L’area delle Colline lucchesi, dove si producevano soprattutto vini rossi, èora interessante anche per la produzione di vini bianchi. Montecarlo, famo-so per i suoi vini fin dall’antichità, è tuttora all’avanguardia per la produzio-ne di vini bianchi, grazie all’utilizzo di vitigni di origine francese come rous-sane, sémillon, sauvignon e pinot bianco, peraltro presenti in queste zone findall’800.

Pomino è una zona ristretta di produzione del comune di Rùfina, storicamentevocata alla viticoltura, già tutelata dal celebre bando del 1716 di Cosimo III de’Medici e tuttora tra le più interessanti della Toscana. Anche in questa zona i vi-tigni francesi sono presenti fin dall’800, e fino a pochi anni fa era punto di ri-ferimento qualitativo per i vini bianchi, mentre oggi si producono anche ottimivini rossi.

Una piccola e qualificata area DOC è Bolgheri, frazione del comune diCastagneto Carducci, fino a pochi anni fa conosciuto per i famosi cipressi e, mol-to meno, per un vino rosato senza particolare importanza, mentre oggi vi si pro-

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Cantina di affinamento del Vino Nobile di Montepulciano

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duce un vino tra i più pregiati e conosciuti, il Sassicaia. A conferma del decisomiglioramento qualitativo, tutto il territorio ha espresso negli ultimi anni pro-dotti di altissimo pregio, soprattutto a base di cabernet sauvignon.

La viticoltura dell’isola d’Elba, ancorata ad una solida tradizione, è legata al-la produzione dell’Aleatico, dell’Ansonica e del Vin Santo, frutto di grandi sacri-fici a causa della natura molto scoscesa dei terreni dove sono impiantati i vigneti.

Anche la val di Cornia, con la zona che parte dalla costa antistante l’isolad’Elba e che s’inoltra verso l’interno, in mezzo a vigneti che circondano ridentiborghi medioevali, rappresenta una delle più belle realtà della nuova genera-zione vitivinicola toscana.

Nella val d’Arbia, dove i produttori sono da sempre artefici di ottimi Chianti,i produttori profondono grande impegno nella produzione di vino bianco e, so-prattutto, del Vin Santo.

In provincia di Grosseto, il comprensorio maremmano è sovrastato dal mon-te Amiata, che con i suoi 1.738 m di altezza presenta un apparato collinare vo-cato alla viticoltura. In questa zona sono presenti otto denominazioni: Morellinodi Scansano, Bianco di Pitigliano, Parrina, Ansonica Costa dell’Argentario,Monteregio di Massa Marittima, Sovana, Capalbio e Montecucco. Morello o mo-rellino è il nome che si dà in zona al sangiovese dall’acino piccolo; Pitigliano èun paese situato su un promontorio tufaceo, dove molte cantine sono scavateproprio nel tufo, e Parrina è una piccola località vicina al mare del comune diOrbetello. Sovana è una DOC di istituzione piuttosto recente, il cui nome deri-va da un borgo etrusco nell’entroterra maremmano, che presenta per il momentouna produzione che può essere definita di nicchia, concentrata sui vini rossi. Equesto discorso può essere esteso alla DOC Capalbio, in parte coincidente conquella di Ansonica Costa dell’Argentario, quest’ultima creata per valorizzare i vi-ni bianchi dell’estremo lembo della Toscana meridionale. Al contrario di Sovana,qui sono infatti prodotti anche vini bianchi degni di nota, soprattutto a base ver-mentino.

Nell’isola del Giglio si coltiva l’ansonica, vitigno che dà origine ad un vino conpeculiarità e caratteristiche uniche e che, con molta probabilità, è arrivato inSicilia dalla Grecia, per giungere poi nell’isola d’Elba nel XVI secolo, e poi pas-sare nell’isola tra il XVII e il XVIII secolo. Negli anni ‘20-’30 esistevano in que-sta isola 200 ettari di vigneti mentre oggi ne sopravvivono appena 14, ma è in-tenzione comune tutelare questo vino.

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Gastronomia

L’estrema semplicità nella preparazione di piatti è senza dubbio la caratte-ristica principale della regione, che vanta una gastronomia ricca di ben settesecoli di storia e di tradizione, andata perfezionandosi nel tempo, pur rifacen-dosi sempre a due canoni fondamentali: la valorizzazione delle risorse del-l’ambiente e l’armonia di base delle materie prime. Per questo motivo in Toscanasono pochi gli intingoli, pressoché inesistenti le salse ed i fondi di cottura, esal-tati gli impieghi dello spiedo e della graticola, con cotture rapide ed armoni-che, il tutto condito con due elementi base: l’olio extra vergine di oliva, in par-ticolare il Chianti Classico e il Terre di Siena e Lucca, tutti e tre DOP e il ToscanoIGP, e le erbe aromatiche, soprattutto il rosmarino, la salvia ed i semi di finoc-chio. Come si vede, non c’è povertà ma solo semplicità ed armonia, che si ri-trovano anche tra le colture della vite e dell’olivo, coltivati in tutta la regione,favorita da una natura prevalentemente collinare. A tutto questo si aggiungo-no altre coltivazioni agricole, come quelle del farro, dell’orzo, dell’avena, del-le patate, dei pomodori e di numerosi altri prodotti ortofrutticoli. Molto pre-giato è l’allevamento del bestiame, tra cui spicca la chianina, razza bovina del-la val di Chiana, considerata dagli esperti tra le migliori del mondo, ma sonomolto apprezzate anche le carni bianche con i famosi polli della Valdarno e quel-li di razza livornese.

Ma caliamoci in questa avvincente realtà gastronomica, alla scoperta dellacucina toscana, iniziando dagli antipasti. Degne di essere assaggiate sono le cop-piette, fettine di carne magra di cavallo, cinghiale o bue, condite con sale e pe-peroncino ed essiccate in coppia, il prosciutto di cinta senese, il prosciutto to-scano DOP molto saporito, il lardo di Colonnata IGP, la finocchiona, salame apasta morbida di grana grossa aromatizzato con semi di finocchio e il salametoscano. Antipasti saporiti e tipici sono la panzanella, fette di pane raffermo am-mollate nell’acqua, strizzate e condite con pomodori maturi, cetrioli, cipolla ros-sa, olio, aceto, sale e pepe nero, i crostini alla toscana, cioè mezze fette di pa-ne senza sale tostate e bagnate nel brodo e nel Vin Santo, spalmate con una sal-sa composta di fegatini di pollo e altre frattaglie e capperi, il pane col cavolonero, cioè fette di pane abbrustolite e strofinate con aglio, con cavolo nero, olio,sale e pepe.

Molto numerosi sono i primi piatti, tra i quali citiamo i più tipici, a partire dal-l’acquacotta, minestra con uova, funghi porcini, pomodori maturi, aglio, olio, pe-

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pe, parmigiano reggiano e fette di pane raffermo, per arrivare alla ribollita, so-stanzioso minestrone con cavolo nero, pomodori maturi, fagioli banchi, carote,sedano, cipolla e altre verdure, olio e pepe nero in grani, servito con fette di pa-ne abbrustolito. Tra le minestre troviamo la pappa col pomodoro, la gramugia,antica zuppa lucchese a base di carciofi, fave, cipolle, asparagi e pancetta, lazuppa di farro con il famoso farro della Garfagnana IGP, la zuppa di agnello confunghi secchi, la zuppa di lenticchie con fagiano. Primi piatti più saporiti sonole pappardelle alla lepre e il brodo di fagiano servito con crostini di pane frittinel burro, il pasticcio alla fiorentina e la bomba di riso alla lunigianese, che de-riva da quella emiliana. Non si trascurino i primi del mare, come il risotto nerocon seppie, bietole e cipolle, oltre al famoso cacciucco alla livornese, zuppa dipesce piccante servita con crostini strofinati di aglio. Sempre a Livorno si pre-para il cous-cous alla livornese, di origine araba, costituito da palline di semo-la e acqua cotte al vapore, condite con un sugo di carne o di verdure o con unasalsa piccante.

Altri primi un po’ particolari sono l’infarinata, che si ottiene cuocendo la fari-na di mais in acqua salata, aggiungendo nell’impasto cavolo nero, fagioli e cotennadi maiale, i testaroli, specie di piadine di farina integrale, la torta di acciughe, lafrittata di trippa in umido e la trippa alla fiorentina. Tra le paste si trovano i pici,

Gastronomia in Toscana

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simili ai bucatini, in realtà pasta arrotolata a ferro di calza, conditi con ragù, sal-sa all’anatra o al pomodoro, i rigatoni alla fiorentina con pomodori, carne trita dimanzo, pancetta, fegatini di pollo, olio, burro e vino bianco secco, e gli spaghet-ti dei colli con tartufo nero, filetti di alici, aglio, olio e prezzemolo.

Numerosi e diversi sono anche i secondi piatti, sui quali spicca la bistecca al-la fiorentina, costata di manzo tagliata alta, ben cotta all’esterno ma rosea o alsangue all’interno, a volte servita come tagliata.

L’arrosto morto è un piatto di carni di vitello, pollo e piccione cucinate arro-sto in casseruola con olio e aglio, e il polpettone di carne di manzo è farcito conprosciutto ed altre carni macinate, mollica di pane ed erbe aromatiche.

Gradevole è lo stufatino di vitello con olio, aglio e rosmarino, così come lo stra-cotto alla fiorentina, pezzo di manzo cotto lentamente con erbe aromatiche, po-modoro e vino rosso, e il peposo, cioè garretto di bue stracotto nel vino, pomo-doro, erbe aromatiche ed abbondante pepe nero. Tra le preparazioni più sem-plici ricordiamo le salsicce allo spiedo e i fegatelli nel retino, o quelli di maiale

La fiorentina, regina delle tavole toscane

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alla brace aromatizzati da pepe e foglie di alloro, mentre la cipollata è prepa-rata con costine di maiale, pancetta, salsicce, sedano, carote ed abbondantis-sime cipolle.

A base di suino si trovano ancora il biroldo, a base di sangue di maiale aro-matizzato, condito e tagliato a dadini, il maiale ubriaco, cioè braciole di maia-le cotte in padella con aglio, prezzemolo, vino rosso e finocchiella, e l’arista dimaiale, carré disossato cucinato con salvia, rosmarino, aglio, olio, pepe e semidi finocchio.

Presenti anche le carni bianche, come il pollo alla diavola, pollo novello cu-cinato con olio, limone, pepe e sale, schiacciandolo sotto un forte peso, il pol-lo alle prugne, con prugne secche, pancetta, vino bianco, cipolla, carote, olio epepe, il pollo ripieno con erbe aromatiche tritate, uovo, formaggi di diversi tipi,la scottiglia, i sedani alla pratese, coste di sedano bollite e coperte da un impa-sto di carne e fegatini di pollo, l’agnello alla cacciatora, tagliato a pezzi e cot-to in umido con vino bianco e il cibreo, preparato con le frattaglie del pollo, cre-ste, fegatini, burro e cipolla.

Buoni i piatti di selvaggina, tenendo presenti i più tipici, come i tordi allo spie-do, il cinghiale dolce forte tipico della Maremma, con cacao e zucchero, quelloin salmì, arrosto, in umido, in salame e in prosciutto, le fòlaghe alla Puccini, pri-ma fatte bollire in acqua e vino bianco per togliere il sapore di selvatico, poi ta-gliate a pezzi e servite con salsa, la lepre in agrodolce, cotta in umido con olioed erbe aromatiche e con l’aggiunta, verso la fine della cottura, di acqua, ace-to e zucchero.

Prelibati anche i secondi di pesce, come l’anguilla alla fiorentina, tagliataa pezzi, cotta con olio ed erbe aromatiche e poi posta in forno con vino ros-so, i polpi in galera, lo stoccafisso alla livornese cucinato con olio, erbe aro-matiche e cipolle, le cée alla pisana, avannotti di anguille cotti in padella conolio, salvia ed aglio, le triglie alla livornese, cotte in umido con olio, aglio eprezzemolo.

Squisiti e di tutto rispetto i contorni, come gli asparagi alla fiorentina, lessa-ti e conditi in padella con burro, i carciofi al forno con uova, pancetta, aglio eprezzemolo, il tortino di carciofi, i fagioli all’uccelletto, fagioli bianchi bolliti in-saporiti in seconda cottura con olio, salvia, salsa di pomodoro e pepe nero, o quel-li al fiasco, così chiamati perché una volta venivano fatti cuocere in fiaschi pri-vati della paglia, con poca acqua, olio, rosmarino, salvia e pepe in grani, ada-giati sulla cenere spenta, dentro il forno. Rarissimo è il fagiolo zolfino di

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Pratomagno, ma altrettanto gradevoli sono i fagioli bianchi del casentino e i bian-chi di Sorana.

Tra i formaggi prevalgono quelli a base di latte di pecora, come il pecorinotoscano, spesso prodotto nella zona delle “crete senesi” e il marzolino, tipico del-la zona del Chianti.

E in autunno, come non gustare i deliziosi marroni del Mugello e le castagnedel monte Amiata, entrambi IGP, oppure, in primavera ed estate, le ciliegie di Lari,le pesche di Rosano e di Londa e i fichi di Carmignano?

Vari e molto gradevoli sono i dolci, come il castagnaccio, impasto di farinadi castagne, acqua e un pizzico di sale, cotto in forno in teglia bassa, unta conolio, con sopra uvetta, pinoli e rosmarino, ed i necci, sempre a base di farina dicastagne.

Di certo il dolce più rappresentativo della Toscana e ormai diffuso a livellonazionale è il panforte, preparato con farina, zucchero, mandorle e abbondan-te frutta candita, ricco e degno complemento del pasto di un giorno di festa,contornato dai deliziosi ricciarelli di Siena IGP.

Altri dolci tipici sono il buccellato, i cenci a forma di piccole trecce, fritti espolverati di zucchero a velo, i fruttini di pasta di mandorla, i berlingozzi,ciambelle con uova, zucchero e latte, i biscottini di Prato con farina, mandor-le, zucchero, tuorli d’uovo e pinoli, le polpette di riso, a base di un impasto diriso, latte, burro, farina, uova, uva passa e rum.

Molto gradevoli sono la torta all’anice, con semi di anice, ed i brigidini, cial-de sempre aromatizzate all’anice. Infine ricordiamo lo zuccotto, a base di pandi Spagna inzuppato in una bagna liquorosa, farcito con panna e cioccolato, latorta all’uva, le cialde di Montecatini ed i cantucci, ormai diffusi in tutta la pe-nisola e da tutti considerati come i compagni ideali di un buon bicchiere di VinSanto.

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La vite e la sua storia

Anche se le ricerche archeologiche collocano la coltura della vite in questaregione assai indietro nel tempo, la vigna vede i suoi esordi intorno al 1700 a.C.,stando ai reperti rinvenuti dell’età del bronzo. Circa un migliaio di anni dopo giun-sero gli Etruschi i quali, come testimonia lo scrittore latino Varrone, fecerocompiere alla vite e al vino un salto di qualità, portando nuovi vitigni e la col-tura razionale della vite, nonché adeguate tecniche produttive. Le nuove varie-tà importate permisero alla Vitis vinifera di prendere il sopravvento sulla Vitislabrusca citata da Virgilio, che cresceva spontaneamente nella bassa pianura pa-dana. Certo è che nel 187 a.C., quando Marco Emilio Lepido costruì la strada con-solare Emilia, non potè che ammirare la splendida successione delle vigne el’abbondanza della loro produzione.

Gli autori latini, in specie Varrone, giudicavano infatti questa regione ecce-zionale per le alte produzioni vinicole, fino a 312 hl/ha, ma poiché le fonti ro-mane non accennano a nessun vino in particolare, ci si può domandare se a tan-to vino corrispondesse altrettanta qualità.

Nel Medioevo i vini emiliani cominciano a prosperare, fornendo un prodottoassai ricercato dalle mense patrizie. Tra il XIII ed il XIV secolo compare il treb-biano, che a detta di Pier de’ Crescenzi “fa nobile vino e ben serbatojo”. Compareanche la malvasia e nei secoli che seguono la vitivinicoltura non cessa di pro-sperare.

Nel XVI secolo Andrea Bacci fa lodi dei vini emiliani e nel XVIII, finalmente, com-pare il Lambrusco, come figlio delle viti labrusche già menzionate da Catone.Questo vino avrà un successo strepitoso, da meritare lodi e poemetti. I vini emi-liani si fanno sempre più noti all’estero, e all’epoca napoleonica nel parmense ivini di maggiore pregio erano le Malvasie del Colle, spedite in Francia, e ilBerzemino in Spagna, ma erano lodati pure il Moscato ed il Trebbiano.

Tutto questo “ribollir di tini” fu messo in grave crisi nel XIX secolo: la fillosse-ra riesce a distruggere ben il 90% dei vigneti della regione. Questa perdita dram-matica chiederà decenni di ricostruzione e la regione ne uscirà con un volto com-pletamente diverso.

Ambiente pedoclimatico

L’Emilia-Romagna è una regione estesa (22.124 kmq), con un territorio mon-tuoso per il 25.1%, collinare per il 27.1% e pianeggiante per il restante 47.8%.

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Ad ovest sfiora per un breve tratto l’Appennino ligure e quello tosco-emilia-no, per proseguire lungo il corso del Po per un vasto tratto della pianura pada-na, confinando così a nord con la Lombardia ed il Veneto, mentre a est è ba-gnata dal mare Adriatico, con uno sviluppo costiero di 135 km.

Il territorio a sud della via Emilia è interamente montuoso e collinare e ap-partiene, seppur non interamente, al versante padano dell’Appennino tosco-emi-liano; la sua cima più alta è il monte Cimone (2.165 m).

Gli Appennini degradano verso la pianura con valli trasversali definite dai cor-si d’acqua, più o meno ampie e profonde secondo la maggiore o minore resi-stenza dei terreni, formati in prevalenza da argille, marne e calcari. Dalle estre-me propaggini collinari si passa poi alle ondulazioni dell’alta pianura ciottolo-sa, con presenza massiccia di arenarie, oltre le quali si estende l’ampia e ferti-le pianura alluvionale.

Se si esclude il Po, che scorre nella parte settentrionale della regione, tutti icorsi d’acqua hanno regime torrentizio, con piene autunnali e primaverili. Questifiumi, tutti affluenti di destra del Po, sono il Tidone, il Trebbia, il Nure, l’Arda, ilTaro, il Parma, l’Enza, il Secchia, il Panaro; solo il Reno tributa direttamente leproprie acque al mare Adriatico.

Delle grandi estensioni paludose che anticamente caratterizzavano la bassapianura emiliana, oggi restano i vari specchi lacustri del delta del Po e le vallidi Comacchio, in parte emiliane e in parte romagnole, formate da lagune di ac-qua salmastra comunicanti con il mare.

Il clima ha caratteristiche subcontinentali, con inverni freddi ed estati calde,ma sulla costa il caldo estivo è mitigato dalle brezze dell’Adriatico, mentre pro-cedendo verso l’interno le escursioni termiche si accentuano, e in pianural’inverno è caratterizzato da grande umidità e fitte nebbie. Le precipitazioni so-no copiose in autunno ed aumentano progressivamente dalla pianura verso lecolline e le montagne, dove superano anche i 3.000 mm/anno.

Zone vitivinicole

Anche se emiliani e romagnoli tengono particolarmente alla loro “identità”,Emilia e Romagna coprono nel complesso 56.643 ettari di vigneto con una pro-duzione di tutto rispetto, di 5.853.611 di hl di vino nel 2008. Facendo un rap-porto tra superficie vitata e vino prodotto, si può affermare che questa regioneha una delle maggiori rese al mondo, anche se negli ultimi anni, nelle zone col-

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linari, produrre vini di qualità è diventata una consuetudine. Ed è proprio so-prattutto nelle zone collinari che, seguendo le undici Strade del vino e dei sa-pori, si può andare alla ricerca anche di piccoli gioielli gastronomici, da abbi-nare ai migliori vini della zona.

La coltivazione prevalente è leggermente in favore delle uve a bacca rossa, equesto si traduce in un mercato brillante per i vini rossi, un po’ più tranquilloper i bianchi.

Parlando in modo più specifico dell’Emilia, sui versanti collinari i principali si-stemi di allevamento sono il guyot e il sylvoz, mentre in pianura i più diffusi so-no il raggi o belussi, la pergola romagnola, il G.D.C. e l’alberata emiliana.

Le varietà più diffuse nel piacentino sono barbera e croatina, mentre nel par-mense sono più coltivati malvasia di Candia aromatica e sauvignon, peraltro pre-sente in quasi tutta la regione. Il reggiano e il modenese sono patria del lam-brusco; nel bolognese troviamo cabernet sauvignon e chardonnay di recente in-troduzione, mentre il pignoletto ha una storia ben più antica; nel ferrarese è dif-fuso il fortana o uva d’oro.

In provincia di Piacenza, la prima zona che si incontra scendendo da ovestverso il mare Adriatico, la viticoltura ha antichissime tradizioni, confermate dalritrovamento di vasi vinari e di reperti archeologici di eccezionale importanza.Tra questi spicca il “gutturnium”, una grande coppa d’argento di epoca romanaritrovata il 23 maggio 1878 da un pescatore sulle rive del Po, che ha poi dato ilnome al Gutturnio, il più illustre vino DOC della zona che, aspetto non trascu-rabile, gode dei favori del vicino mercato lombardo. Sui Colli Piacentini la viti-coltura rappresenta una delle attività agricole più importanti, e in alcuni casidiventa quasi l’unica, con una produttività ridotta che consente l’elaborazionedi vini di qualità, che qui superano l’80%.

Per migliorare il livello qualitativo della produzione di questa zona, è stato edè tuttora determinante il contributo della Cattedra di viticoltura dell’UniversitàCattolica di Piacenza, sotto la guida del prof. Mario Fregoni, già Presidente del-la Commissione Nazionale per la tutela delle DOC e fautore, insieme ad altri, del-la legge 164/92 che disciplina i vini di qualità. L’incrocio barbera x bonarda hadato vita ad un nuovo vitigno, per il quale il Comitato delle varietà della vite haapprovato l’iscrizione al catalogo delle uve da vino, con il nome di ervi, ex ervi108 Fregoni. Come illustra lo stesso Fregoni, questo vitigno “è il risultato di 25anni di studi e lavoro con piante selezionate sia presso l’azienda Vitali di Montalodi Ziano sia in quella di Vigevano di Ancorano, applicando il processo di micro-

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vinificazione. L’ervi è un vitigno non molto vigoroso, abbastanza produttivo - me-no della barbera e più della bonarda - che anticipa di qualche giorno l’epocadella maturazione. L’allevamento a guyot di questo vitigno ha permesso di ot-tenere gradazioni zuccherine piuttosto elevate, e quindi un titolo alcolometri-co quasi del 13%. Obiettivo della coltivazione dell’ervi è quello di poter produrreil Gutturnio con un’unica varietà, sostituendo la barbera perché matura male adelevate altitudini e la bonarda perché dà una bassa resa. L’ervi sembra inoltrepiù resistente agli attacchi di marciume. Il vino che si ottiene, per ora solo conil processo di microvinificazione, ha caratteristiche intermedie tra quelle deter-minate dai due vitigni originari, morbido e con tannini poco aggressivi, come ri-chiesto attualmente dai consumatori.” Questo incrocio potrebbe trovare ottimeapplicazioni anche nell’Oltrepò Pavese e nelle colline parmensi.

Le origini della viticoltura piacentina derivano da quelle dell’Oltrepò Pavesee del Piemonte, come dimostrato dalla base ampelografica rappresentata da bar-bera e croatina per l’80%, con coltivazione bassa della vite, ceppi ravvicinati eforti potature. Tra i vitigni a bacca bianca è pressoché stabile, forse in leggeracontrazione, la coltivazione di quelli aromatici, che sono comunque la maggio-ranza, come malvasia di Candia aromatica e moscato, mentre si stanno mag-

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giormente diffondendo le varietà locali a sapore neutro, come l’ortrugo, o altreinternazionali, come chardonnay, pinot bianco, pinot grigio, müller thurgau e rie -sling, peraltro coltivate ed apprezzate anche per la produzione spumantistica.E dai Colli Piacentini dal 2001 è disponibile in piccole quantità il Vin Santo diVigoleno, una vera chicca.

Scendendo a sud, sui colli della provincia di Parma, i vitigni più diffusi sonogli stessi del piacentino, e da malvasia di Candia aromatica “a sapore di moscato”e sauvignon si ottengono vini balzati di recente alla ribalta della produzione na-zionale.

Appena entrati nel reggiano, si trova il più famoso e classico dei vini emilia-ni, il Lambrusco, vino da bersi giovane per antonomasia ma con origini anti-chissime. Prima della Vitis vinifera, labrusche o lambrusche erano chiamate leviti spontanee nate da seme, dette appunto viti selvatiche. Il Lambrusco vieneprodotto da cinque vitigni, lambrusco salamino, maestri, marani, montericco eancellotta (o lancellotta), coltivati in zone diverse secondo le caratteristiche delterreno. Il Colli di Scandiano e di Canossa Bianco Classico è un altro vino inte-ressante della zona collinare reggiana, poco noto fino a non molto tempo fa madi ottima qualità, prodotto in varie versioni dal vitigno spergola, anche se spes-so è chiamato sauvignon.

Nel modenese i vitigni più conosciuti e diffusi sono il lambrusco di Sorbara,con una produzione scarsa a causa dell’aborto floreale tipico del vitigno stes-so, e il lambrusco grasparossa, che prende il nome dal colore rosso del rachi-de e dei pedicelli, con una produzione abbondante e costante soprattutto sul-le colline della zona di Castelvetro. Il lambrusco maestri è anche detto lam-brusco di Spagna, e viene coltivato soprattutto nelle province di Reggio Emiliae Parma con una produzione abbondante e costante. Il lambrusco salamino èdetto anche di Santa Croce, dal nome della frazione di Carpi della quale sem-bra originario; è molto diffuso e dà un vino con colori intensi e profumi pia-cevoli. Il suo nome deriva dalla forma serrata e cilindrica del grappolo, che ri-corda quella di un salame; all’epoca della vendemmia è facile distinguere lavarietà con foglia e raspo rossi da quella con foglia e raspo verdi. Il lambru-sco marani, coltivato soprattutto nel reggiano e nel mantovano, è molto dif-fuso, ma non si sa niente di preciso sulle sue origini; presenta il fenomeno del-l’acinellatura, con la presenza contemporanea sullo stesso grappolo di acini digrandezza normale e di altri molto più piccoli. Il lambrusco montericco è ori-ginario della zona di Albinea, nelle basse colline reggiane, e il nome del viti-

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gno ancellotta o lancellotta dovrebbe derivare dalla famiglia Lancellotti e nondalla forma lanceolata della foglia. Altri vitigni chiamati lambruschi poiché vi-cini alla Vitis lambrusca sono: viadanese, groppello ruberti coltivato nel man-tovano e da non confondere con il lambrusco a foglia frastagliata (enantio) ecolorino. I Lambruschi DOC sono sempre frizzanti a rifermentazione naturale:l’anidride carbonica, l’elevata acidità fissa, il ph basso e il titolo alcolometri-co non elevato, sono le caratteristiche peculiari di questo vino, gradevole e be-verino, fresco e con spuma evanescente, nelle sue diverse versioni, secco o ama-bile, rosso o rosato.

In provincia di Bologna e nel comune di Savignano sul Panaro nel modene-se, nella parte pianeggiante a ridosso delle colline, è coltivato il montù, vitignodi antica tradizione locale, dal quale si produce il Reno Montuni. La DOC Renocomprende anche le tipologie Pignoletto e Bianco, prodotti anche nella versio-

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ne frizzante. La zona di produzione della DOC Colli Bolognesi è situata nelle zo-ne collinari della città felsinea attorno a Monte San Pietro. La denominazionecomprende sette sottodenominazioni geografiche e otto di vitigno, tra le qualisi trova il pignoletto, che per effetto della sua duttilità esprime vini di diversetipologie, tutte particolarmente interessanti.

La fascia costiera adriatica compresa tra il delta del Po e la foce del Reno,è l’unica zona della provincia di Ferrara a vantare una produzione vinicola, coni vini DOC Bosco Eliceo, che si estende anche nel ravennate ed è caratterizza-ta dalla coltivazione di vitigni che crescono bene su terreni sabbiosi. Il vitignopiù importante è il fortana o uva d’oro, le cui origini potrebbero risalire all’epo-ca in cui nel territorio di Comacchio era fiorente la civiltà di Spina, oppure po-trebbe essere stata portata in dote dalla figlia di Luigi XII, Renata di Francia, an-data in sposa al Duca d’Este Alfonso II, nel 1528.

I vigneti della costa, allevati su dossi sabbiosi tra boschi di lecci con viti bas-se e una produzione compresa tra 5-10 kg/pianta, hanno resistito fino ai gior-ni nostri passando indenni attraverso il flagello della fillossera: questi vitigni so-no infatti “franchi di piede”, senza portainnesto americano. La DOC Bosco Eliceo,con i quattro vini Fortana, Merlot, Sauvignon e Bianco, è il risultato di molti an-ni di studio, ricerche, selezioni, scelta dei terreni e sperimentazione di nuove tec-nologie.

Gastronomia

Fa parte della tradizione ritenere gli emiliani gente cordiale, allegra ed estro-versa. È certamente affabile, oltre che amante della buona tavola, alquanto go-dereccia ed edonistica. L’Emilia è una terra bella, ricca, ricoperta di alberi da frut-to e di vigne, e la cucina emiliana è morbida nelle varietà dei sapori e nei tonisfumati, molto legata al territorio e all’allevamento del bestiame.

Il grande sviluppo dell’industria dei salumi e dei prosciutti vede in primo pia-no il prosciutto di Parma e quello di Modena, entrambi DOP come il culatello diZibello, il salame, la coppa e la pancetta di Piacenza. Altrettanto gustosi sonoil fiocco di culatello e il fiocchetto, ottenuti dalla coscia del maiale, così comeil prosciutto crudo di Langhirano, la coppa di Parma, la pancetta canusina, la mor-tadella di Bologna IGP, il salame Felino, la spalla cotta di San Secondo, i ciccio-li montanari di Modena. Non si dimentichi, infine, il cappello da prete, a Parmaottenuto con la coscia del suino, mentre a Modena e a Bologna la carne è co-

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Gastronomia in Emilia

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me quella dello zampone e del cotechino, anche questi IGP. E siamo solo sullegenerali perché, se ci si vuole sbizzarrire, il regno degli antipasti a base di car-ne di suino è smisurato.

Si comincia dai bocconotti alla bolognese, vol-au-vent riempiti con ragù a ba-se di rigaglie di pollo, e si prosegue con la mortadella fritta, tagliata a fette, im-panata e fatta dorare in burro e olio, i burlenghi, frittelle di farina, uovo, latte,e la burtlèina, a base di burlenghi accompagnati da una fetta di coppa di maia-le. E poi i gonfietti al formaggio, composti da acqua, farina, gruviera, mortadel-la, burro, uova e poi fritti, e l’erbazzone, cioè spinaci bolliti con lardo, aromi, par-migiano reggiano, uova… e si potrebbe andare avanti ancora per chissà quan-to. E tra gli antipasti si trovano ancora le tigelle, piadine servite calde con lar-do fresco, aglio, rosmarino, e la torta di bietole.

Elemento fondamentale e comune ad Emilia e Romagna è la pasta all’uovo,anzi la sfoglia, che le massaie preparano rigorosamente a mano, lavorando a lun-go un impasto di farina e uova. Viene poi ridotta in tagliatelle, tagliolini, qua-drettini, pappardelle, lasagne e maltagliati, a seconda del formato, e quindi con-dita con sughi diversi, oppure utilizzata per gustose e rinomate paste ripiene.Tra i primi piatti emiliani si possono quindi ricordare gli anolini o anulen di Parmae di Piacenza, pasta ripiena di carni stracotte, parmigiano reggiano e uova, ser-viti in brodo di cappone e manzo, i famosissimi tortellini di Bologna, i cappel-letti ferraresi di carne e i cappellacci di magro e di zucca, i panzerotti e le la-sagne al forno, fatte con pasta all’uovo a forma rettangolare, bollite a mezza cot-tura, messe in teglia a strati con ragù e besciamella.

Piatto regale delle feste di carnevale è il pasticcio ferrarese di maccheroni,che risale al ‘700, con una pasta dolce esterna farcita con funghi, tartufi, car-ne e pasta, seguito da maccheroni di Bobbio con funghi porcini, torta di bieto-le, tortelli alle erbe. Da non dimenticare le tagliatelle, condite con il ragù allabolognese, preparato con carne di manzo, prosciutto, burro, cipolla, carota esedano, oppure con la salsa di noci. E poi i i pisarei e fasöi, gnocchetti tipici delpiacentino, fatti con la farina e il pane grattugiato, conditi con sugo di pomo-doro e fagioli, la bomba di riso con piccioni cucinati in umido e salsa a base difunghi, il ris cun la terdura e la zuppa alla bolognese, con semolino, parmigia-no reggiano, mortadella, uova e burro.

Numerose anche le pietanze, tra le quali ricordiamo il capretto alla piacenti-na, cotto in casseruola con cipolla, olio, burro e vino bianco, le crocchette di pol-lo, fatte con pollo lesso tritato, mortadella e besciamella, il polpettone di tac-

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chino, la coppa al forno, il manicotto e lo zampone serviti con lenticchie, la sa-lama da sugo ferrarese con purea di patate e il frizon con salsiccia, con pomo-doro, cipolle, peperoni, salsiccia di tipo lungo, olio, sale e pepe.

Apprezzati i secondi a base di vitello o manzo, come le cotolette farcite, lostracotto alla piacentina, la busecca (trippa) alla reggiana. Un vero trionfo di car-ni è il bollito misto modenese, a base di zampone, cotechino, testina e lingua divitello, cappone e piedino di maiale, servito con salsa verde o con mostarda diCremona.

Tra la selvaggina sono davvero notevoli la faraona alla creta, il fagiano all’u-va nera e la lepre sfilacciata, bollita, disossata e aggiunta di lardo, cipolla e prez-zemolo. Tipici anche i bocconcini alla modenese, cioè fettine di pane bagnatenel latte e fritte dorate a sandwich con un ripieno di prosciutto e di formaggio,ed infine le lumache alla bobbiese.

Apprezzate le specialità a base di pesce, come il baccalà alla bolognese cottoin tegame con olio, burro e aromi, i calamari ripieni in padella e le anguille allacomacchiese, cotte appena pescate, in salsa di pomodoro con aceto e cipolla, aglio,olio, sale e pepe.

Tra le verdure ricordiamo i cardi al forno con ragù di carne e parmigiano reg-giano, le cipolle di Medicina, le fave alla bolognese con mortadella, cipolle no-velle, noce moscata e brodo, gli asparagi all’emiliana - come non ricordare i fa-

mosi asparagi verdi di Alte-do? - con prosciutto crudoaffettato, parmigiano reg-giano, sale, panna e bescia-mella. E poi le melanzanemarinate, cucinate conaglio, foglie di alloro, sale,pepe, aceto e la torta di pa-tate, con patate bollite eschiacciate, mescolate conparmigiano, uova, latte edolio. Infine, non si possonotrascurare i gustosi funghiporcini di Borgotaro IGP, co-sì come il tartufo nero diFragno. Il parmigiano reggiano

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Il prezioso Aceto balsamico tradizionale di Modena e di Reggio Emilia può, conqualche goccia bruna e profumata, arricchire ogni preparazione, tradizionale oinnovativa, dagli antipasti ai dessert. Tra i pregiati prodotti DOP si trovano an-che il grandissimo parmigiano reggiano, il grana padano e il provolone valpa-dana.

A fine pasto, in estate, o come delicato e piacevole intermezzo, si possono gu-stare le splendide ciliegie di Vignola, e in tutt’altra stagione le castagne e i mar-roni di Castel del Rio IGP e quelli di Zocca.

Tra i dolci di particolare originalità si trovano gli amaretti di San Geminiano,tipici di Modena e più soffici di quelli piemontesi, la ciambella bolognese, la cro-stata di ricotta, di frutta o di crema pasticcera piuttosto soda, le sfrappole e itortelli di marmellata, dolci tipici dei giorni di carnevale.

A Parma si preparano le chiacchiere di suora durante il periodo di carnevale,le scarpette di Sant’Ilario per celebrare il patrono e gli amarettini diSalsomaggiore.

A Reggio Emilia è famosa la spongata, di origine quattrocentesca, compostada un involucro di pasta frolla con aggiunta di miele, pinoli, uva passa, fruttacandita, pan biscotto polverizzato e spezie. Il biscione reggiano è un dolce di pre-parazione complessa, preparato soprattutto nel periodo natalizio, cotto al for-no: l’aspetto è bruno nella sua parte inferiore e bianco latte nella decorazionein meringa, che non dovrà prendere la colorazione gialla.

Nel ferrarese i dolci più noti sono la zuppa inglese, il panpepato, la brazade-la (ciambella), le frittelle di riso e i mandorlini del ponte.

Tra i dolci emiliani sono anche da ricordare la crema fritta, l’erbazzone dolce,con bietole bollite, tritate e mescolate con ricotta, zucchero e mandorle, i mo-staccioni, il pan speziale, la zuppa emiliana, a base di pan di Spagna, zucchero,latte, uova, farina e cioccolato amaro. E a Piacenza viene molto apprezzato il croc-cante, dolce “a lunga conservazione” a base di zucchero e frutta secca.

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La vite e la sua storia

Anche in questa zona l’influsso etrusco fu determinante per l’evoluzione del-la vitivinicoltura, ma non fu il solo poiché i Greci ebbero parte importante nel-l’impianto del vigneto romagnolo. Gli Etruschi, stando a quanto asserisce lo scrit-tore romano Varrone, scesero nella pianura romagnola e costruirono i centri diFaenza, Forlì ed Imola, scolarono i vastissimi acquitrini dei territori di Adria e diSpina, dove sorsero Argenta e Ferrara, e bonificarono la valle padana, dovepiantarono alberi e viti come l’olmo, il frassino, la canina e la spergola.

Con l’avvento dei Romani, che chiamarono la regione con questo nome perindicare il loro radicato dominio sul territorio, la produzione si razionalizzò. Plinioil Vecchio scrive che i vini di Cesena sono generosi, mentre Marziale, forse rife-rendosi al terreno acquitrinoso del luogo, asserisce che a Ravenna sarebbe sta-to più gradito possedere una cisterna d’acqua che una vigna. Si può senz’altropensare si trattasse di “onesti” vini da tavola, non così ricercati da imbandirlisu una mensa patrizia.

Nel 402, con il trasferimento della capitale dell’Impero Romano d’Occidentea Ravenna, iniziò una eccezionale fioritura artistica che portò in quella zona, coni marmi pregiati, anche il vitigno refosco terrano, conosciuto in Romagna co-me cagnina.

Nel XIV secolo compare l’albana, insieme al trebbiano e alla malvasia, e lo stes-so Dante Alighieri, in un passo del Purgatorio, fa riferimento al buon vino di Forlì.

Nei secoli che seguono, la vitivinicoltura non cessa di prosperare, tanto cheAndrea Bacci, nel 1596, nella sua opera “De naturali vinorum historia” descri-veva alcuni vini come il Sangiovese e l’Albana.

Numerosi testi dei secoli XVII e XVIII parlano ampiamente del crescente svi-luppo della viticoltura della regione, ma sul finire dell’800 compaiono oidio eperonospora e, nel 1906, vicino a Cesena, la fillossera che, distruggendo più del90% degli impianti viticoli, fa vivere alla coltivazione della vite un momento tra-gico, dal quale si riprenderà lentamente e con grande fatica.

Ambiente pedoclimatico

La Romagna confina a nord con l’Emilia, a sud-ovest con le Marche e con laRepubblica di San Marino, ad ovest con la Toscana e ad est si affaccia sul ma-re Adriatico.

Il comprensorio romagnolo è praticamente diviso a metà dall’antica via Emilia,

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e percorrendo questa strada consolare verso il mare, a destra si trovano le zo-ne collinari e montuose dell’Appennino, costituite in prevalenza da rocce mar-noso-arenarie, gessose e calcaree, mentre a sinistra si estende buona parte del-la pianura di origine alluvionale che, piatta e uniforme, arriva fino alla costa sab-biosa del mare Adriatico. In passato la pianura intorno a Ravenna era acquitri-nosa e scarsamente abitata, ma in seguito ad importanti lavori di bonifica si ètrasformata in una fertile campagna irrigata.

I fiumi che scendono dall’Appennino sul versante orientale, con un corso tra-sversale all’orientamento della catena montuosa, sono tutti tributari del mareAdriatico. Il Reno scende da nord, interessando la regione solo con la sua par-te terminale e raccogliendo le acque dei torrenti Idice, Sillaro, Santerno e Senio.Quasi interamente romagnoli sono il Lamone, il Montone ed il Ronco, il cui cor-so, unificato nell’ultimo tratto fin dal 1700, prende il nome di Fiumi Uniti. Vi so-no inoltre il Savio, lo storico Rubicone, l’Uso, il Marecchia, il Marano ed il Conca.

Il clima romagnolo è quello tipico delle zone che subiscono l’influsso del ma-re, quindi abbastanza temperato e mite, ma in inverno sono presenti umidità,nebbie e freddi intensi. I rilievi montuosi e collinari dell’entroterra determina-no condizioni climatiche con escursioni giornaliere ed annuali marcate e conestati fresche. Nel complesso si può quindi definire come un clima subconti-nentale, caldo in estate e freddo in inverno, ma senza eccessi. Le precipitazio-ni sono prevalentemente invernali e primaverili, più copiose sui rilievi e più scar-se, seppur sufficienti, nelle aree pianeggianti.

Zone vitivinicole

Le differenze viticole più significative che si possono rilevare tra l’Emilia e laRomagna sono date da una diversa base ampelografica e dal fatto che nella pri-ma si prediligono vini vivaci e frizzanti, mentre nella seconda vini fermi.

La Romagna è il regno del sangiovese, ed è proprio a questo vitigno, la cuicoltivazione occupa la maggior parte del vigneto romagnolo, che la regione de-ve le sue maggiori glorie, anche se l’unica DOCG è quella dell’Albana di Romagna.Grande impulso alla valorizzazione e alla conoscenza dei vini emiliani e roma-gnoli viene dato dall’Enoteca regionale, che vale proprio la pena di visitare, sa-lendo tra gli stretti vicoli dalle pareti dipinte di Dozza, fino a raggiungere la RoccaSforzesca. Sono più di 800 le etichette in degustazione e migliaia le bottiglie inesposizione, che ogni anno 40.000 visitatori hanno occasione di ammirare e de-gustare.

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In Romagna le principali forme di allevamento della vite sono rappresentatedal doppio capovolto, dal cordone spezzato e dalla cortina semplice. L’età me-dia degli impianti è di 17-18 anni, con una dislocazione per il 65% in pianura,per il 33% in collina e per il restante 2% in montagna.

I vitigni più coltivati sono il trebbiano romagnolo, il sangiovese, il biancame,oltre a bombino bianco (pagadebit), montepulciano, chardonnay, pignoletto, al-bana ed altri ancora. La coltivazione del vitigno albana si fa risalire all’epocaromana, ma le origini sono talmente antiche che non è facile distinguere la sto-ria dalla leggenda. Il nome “albana” compare ufficialmente per la prima voltaintorno al 1200, mentre in precedenza era chiamato greco di Ancona o greco, ei tentativi di coltivare questo vitigno al di fuori dei confini romagnoli hanno sem-pre dato scarsi risultati.

Grappoli di albana appesi ad appassire

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Mentre per il trebbiano romagnolo le origini risalgono ai Romani, per il pa-gadebit (bombino bianco), localmente chiamato anche mostosa, si perdono neltempo. Questo vitigno, solitamente coltivato sulle colline romagnole insieme al-l’albana, deve il nome alla buona e costante produttività, e il vino che si ottie-ne meriterebbe maggiore considerazione, sia per la sua struttura solida sia perl’equilibrio e la versatilità.

La zona di produzione dei vini di Romagna è molto estesa e comprende, ol-tre all’area pedecollinare, collinare e pedemontana, anche la pianura, dove si col-tiva soprattutto il trebbiano romagnolo, nel triangolo compreso tra i comuni diFaenza, Lugo e Russi, in provincia di Ravenna.

Le zone di coltivazione nelle quali si esaltano le virtù dell’albana sono le col-line di Bertinoro, Faenza, Castel Bolognese, Dozza e Castel San Pietro Terme,ad altezze variabili tra 100 ed 200 m slm, con terreni calcarei e buona esposi-zione dei vigneti, in modo da favorire e garantire una maturazione ottimale del-le uve. Le prime notizie storiche del vitigno sangiovese ad acino piccolo inRomagna risalgono al 1600, nel “Trattato della coltivazione della vite” diSoderini.

Le zone collinari più tipiche per la produzione del Sangiovese di Romagna so-no i colli di Faenza, e più precisamente la valle solcata dal Marzeno, con terrenidi natura alluvionale-argillosa ad elevato contenuto di magnesio e ricchi di tufiarenaceo-calcarei, le colline del forlivese nei dintorni di Predappio, con terreniargillosi e molto asciutti, le colline del cesenate verso Mercato Saraceno, con ter-reni di medio impasto, tendente all’argilloso. Indissolubilmente legato a questa ter-ra, senza prescindere dai profumi con gradevoli sentori di viola e di frutti di bo-sco, in zone e terreni così eterogenei, il sangiovese assume caratteri diversi:

- zona di Imola e Faenza: vini allegri, vivaci e piacevoli- zona di Forlì: vini robusti, di corpo, più morbidi e con buona predisposizio-

ne all’affinamento- zona di Cesena: vini nobili, eleganti, caldi e ben strutturati- zona di Rimini: vini gentili, vinosi, di medio corpo, beverini e con buone sen-

sazioni olfattive.Le diverse varietà di albana sembrano derivare dalla propagazione per seme

di questo vitigno, dando origine a successive popolazioni, all’interno delle qua-li sono state poi effettuate delle empiriche selezioni. Successive selezioni clo-nali (Fagioli e Marangoni, 1971) hanno individuato 20 presunti cloni, di cui 5arrivati all’omologazione:

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- albana gentile di Bertinoro: zona di Bertinoro- albana della serra: zona di Castel Bolognese e Faenza- albana della compadrona: zona di Dozza - albana della bagarona: zona di Dozza- albana della gaiana: zona di Castel San Pietro Terme.

Castel San Pietro Terme

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Grappoli di albana, dopo l’appassimento, pronti per la vinificazione

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Gastronomia

Anche i romagnoli sono gente schietta, edonistica ed amante della buona ta-vola, e questa regione è patria anche di forti caratteri. La sua cucina è un re-gno privilegiato della gastronomia ed i suoi piatti eccellono per saporoso vigo-re, così come sanguigni e decisi sono i suoi abitanti, che preferiscono una cu-cina più aggressiva ed irruenta, meno sfumata e morbida di quella emiliana.

Le province romagnole sentono la salsedine del mare, e la cucina, di conse-guenza, ne subisce l’influsso. Infatti i suoi piatti si distinguono dalla regione con-finante soprattutto per il carattere più marcato dei sapori di alcuni piatti, co-me per esempio la pasta e fagioli, che in Romagna ha un gusto più deciso.

Prima di iniziare a parlare di gastronomia, si deve ricordare che in questa ter-ra, a Forlimpopoli, è nato il celebre Pellegrino Artusi, autore del libro La scien-za in cucina e l’arte di mangiare bene, che ha dato un’impronta unitaria alla cu-cina italiana.

La proposta gastronomica più conosciuta in Romagna è la piada o piadina,un impasto azzimo di farina, acqua e strutto, che viene cotta lentamente a fuo-co di legna su piastra refrattaria e si accompagna a qualsiasi pietanza.

Tra i prodotti del mare, l’insalata di pesce, costituita da vongole, cozze, cala-mari e gamberi con cipollette spruzzate di limone, e le sarde marinate con suc-co di limone, aglio, prezzemolo, sale ed olio, sono dei gustosi antipasti.

Tra i primi piatti troviamo i cappelletti romagnoli ripieni solo di formaggio, igarganelli, i passatelli fatti con parmigiano reggiano, pane grattugiato e uovafresche, cotti in brodo di carne (ma anche di pesce), gli strozzapreti e i tortel-loni alle erbe: queste sono solo alcune delle proposte a base della classica pa-sta all’uovo.

Ma al mare, come non gustare il brodetto alla romagnola, costituito da tri-glie, pesce cappone, anguille, coda di rospo, canocchie e altro ancora?

Sui rilievi appenninici troveremo invece un’ampia scelta di primi piatti con-diti con i funghi o con sughi di selvaggina.

Tipica della cucina romagnola del sud è la porchetta, maialino da latte cuci-nato intero al forno, ripieno di erbe aromatiche e condito con finocchi selvati-ci tritati, spicchi d’aglio, rosmarino, pepe, noce moscata e sale, bagnato con vi-no, e altrettanto saporito è il maiale al latte, ottenuto da una lombata di maia-le disossato, con latte, pepe, sale e tartufo. Sempre con carne di maiale, ma ac-compagnata da una prevalenza di verdure, la fasuleda alla romagnola viene ot-

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tenuta con fagioli secchi am-mollati, salsiccia fresca, cipol-le e cotica di maiale. Russi è le-gata al belecott, una via dimezzo tra il cotechino e la sal-siccia “matta” a base di carnedi maiale, tritata ed insaporitacon cannella e chiodi di garo-fano, da servire con patate les-sate o in purea.

Gustosi sono anche l’agnelloalla romagnola, tagliato in pic-coli pezzi, fatto dorare in unfondo di burro e lardo, il bue

garofanato, le braciole di castrato cotte sulla graticola, il piatto a base di car-ne più diffuso in Romagna, l’anatra alla romagnola, cucinata con pancetta,aromi e vino, le pernici saltate con tartufi e scalogno.

E molti piatti possono essere arricchiti con delicato scalogno di Romagna IGP,con le erbe officinali e aromatiche di Casola Valsenio, con i pregiati tartufi diDovadola e con un po’ di olio extra vergine di Brisighella o Colline di Romagna DOP.

Molte le specialità a base di pesce, come il pesce azzurro preparato in tuttele maniere, le cappesante gratinate, preparate con pane grattugiato, prezzemolo,aglio, olio e pepe, le grigliate miste e gli spiedini di gamberi o calamari fre-schissimi, cotti su fuoco di legna, conditi con sapide e gustose salsine, le frit-tatine di bianchetti, le seppie con i piselli o con i fagioli, il merluzzo con le pa-tate e le triglie con il prosciutto di artusiana memoria.

Formaggi importanti sono quello di fossa di Sogliano e lo squacquerone, co-sì diversi ma entrambi così gustosi. Stagionato, intenso e ricco il primo, morbi-do, fresco e delicato il secondo, da spalmare sulla piadina calda.

Pere, pesche e nettarine di Romagna, tutte IGP, sono i frutti più dolci e pro-fumati, ma sarebbe un peccato non concludere un pasto con un delizioso des-sert.

Il dolce per eccellenza è la ciambella distesa, non quella tonda con il buco,semplice e da consumare tagliata a fettine, possibilmente accompagnata conl’Albana di Romagna dolce. Da ricordare è anche il bustrengo, così come il raf-finato e burroso amor polenta, un tronchetto fatto con l’amido di mais, il pan

...meglio di tante parole

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del nonno a base di amaretti e nocciole, il migliaccio preparato per lo più neigiorni in cui viene ucciso il maiale. Altri dolcetti sono le mistocchine, i sabado-ni, sempre inzuppati nella saba per vari giorni, i zalett ottenuti anche con la fa-rina di mais tipici di Ravenna e le varie crostate.

Il miacetto è il tipico dolce della vigilia di Natale e della Quaresima e si pre-para solo a Cattolica. Nel periodo di carnevale si consumano invece le frappe osfrappole, le castagnole e le piade dei morti.

E un “momento dolce”, con il quale arricchire molti dessert è il miele, pro-dotto un po’ dappertutto in questa regione così generosa con la tavola.

REPUBBLICA DI SAN MARINO

Facendo un rapido “salto all’estero”, arroccata sul Monte Titano, troviamola Repubblica di San Marino, il cui primo contratto di mezzadria nel qualesi cita l’esistenza di una vigna risale al 1253. Nei secoli successivi diversi do-cumenti testimoniano che i vitigni più comuni erano il canino bianco, il bian-cale, il trebbiano, il moscatello, la vernaccia, l’aleatico, l’albana e il sangio-vese, e che le viti erano allevate basse, generalmente incannate, più rara-mente associate a sostegni vivi.Attualmente i vigneti (135 ha con circa 1.350 t di uva prodotta) sono ge-neralmente impiantati a ritocchino, e le forme di allevamento più diffuse so-no il guyot, il capovolto e, in qualche caso, l’alberello. I vitigni, la cui colti-vazione è ammessa nel territorio sammarinese sono per circa il 40% a bac-ca bianca, biancale, moscato, ribolla, canino e cargarello, e per il 60% a bac-ca nera, soprattutto sangiovese. In questi ultimi anni a scopo di ricerca so-no stati introdotti chardonnay, pinot bianco e nero, pignoletto, vermentino,ancellotta, syrah e cabernet sauvignon.Con la legge 31/10/1986 n. 96 è stato istituito il marchio di Identificazioned’Origine per i vini prodotti secondo le norme stabilite nei disciplinari di pro-duzione.

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La vite e la sua storia

Anche se si sa per certo che nel III millennio a.C. la regione era popolata datribù dedite all’agricoltura, si ritiene che la coltura della vite sia iniziata con lacolonizzazione dei Greci siracusani, che all’inizio del IV secolo a.C. fondaronoAncona e avviarono fiorenti traffici con la Grecia.

Essi imbarcavano il vino in anfore di argilla la cui forma, molti secoli più tar-di, ispirò la bottiglia che ha reso famoso il Verdicchio.

Importante anche il contatto culturale con gli Etruschi, arrivati sin lì dallavicina Umbria. E conoscendo l’importanza data da queste due civiltà alla vitee al vino, possiamo presumere che la viticoltura fosse fiorente sulle pendici col-linari marchigiane già prima dell’arrivo dei Romani, nel 268 a.C. In età roma-na la coltura della vite è tra i settori portanti dell’economia agricola, tanto cheCatone e Varrone restano ammirati dalle elevate rese dei vigneti della costaadriatica tra il Piceno e il Riminese. Anche Plinio il Vecchio, agronomo e sto-rico romano, parla di un vitigno, l’hitriola, in comune sia all’Umbria sia alPiceno, e ciò prova l’influenza etrusca sulla viticoltura marchigiana. Lo stessoPlinio loda i vini di Ancona e quelli di Teramo, e il geografo e storico grecoStrabone li definisce eccellenti e vellutati. Con la caduta dell’Impero e il sus-seguirsi delle invasioni barbariche non si hanno più notizie certe della viticol-tura marchigiana. Si racconta che Alarico, re dei Visigoti, nel IV secolo d.C. va-licando gli Appennini diretto alla conquista di Roma, fosse solito incoraggiarele sue truppe con il vino Verdicchio.

Anche nei secoli successivi le vigne ebbero alterne vicende proprie di quei tem-pi, e bisogna giungere al Medioevo per avere notizie certe dell’introduzione dinuovi vitigni e del miglioramento tecnico nella vinificazione: appaiono il vinodi trebbiano, il vino Osimano, il Gaglioppo o Vernaccia Rosso.

Pier de’ Crescenzi nei suoi scritti, riporta che il trebbiano era diffuso in tuttele Marche e produceva un vino nobile, dalle caratteristiche gradevoli. Più tardi,Andrea Bacci, marchigiano di Sant’Elpidio a Mare, storiografo, medico ed eno-logo, indica i migliori vini della regione, tra cui quelli dell’ascolano, con Moscatie Malvasie liquorosi, di Offida, di Ripatransone, di Fermo nei tipi bianchi e ros-si, Moscatelli del maceratese, dell’anconetano, di Pesaro e di Jesi.

Anche se dal XVI secolo in poi le cronache sembrano tacere, la vite marchi-giana non cessa di rinnovare e migliorare i suoi frutti, raggiungendo ai primidell’800 un quadro produttivo abbastanza vicino all’attuale.

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Dalle statistiche del Ministero dell’Agricoltura di allora abbiamo esaurienti in-formazioni sulla struttura del vigneto: prevalgono i vitigni a bacca bianca, contrebbiano, verdicchio, albana, biancone, biancame, trebbianello, malvasia, mo-scatello, mentre tra i vitigni a bacca rossa figurano sangiovese, vernaccia, la-crima, canaiolo, balsamina ed aleatico, con impiego di nuovi vitigni quali ca-bernet, pinot nero e malbech.

Su tutto questo cala il flagello della fillossera, tra la fine del XIX e l’inizio delXX secolo, che porterà la consueta devastazione tra i filari, seguita però da unaveloce ricostruzione e da un salto globale nella qualità.

Ambiente pedoclimatico

Le Marche (9.693 kmq) confinano con la Repubblica di San Marino, laRomagna e la Toscana a nord-ovest, con l’Umbria ad ovest, con il Lazio a sud-ovest e l’Abruzzo a sud, lungo il fiume Tronto.

Il territorio è collinare per il 68.8%, mentre per il restante 31.2% è montuo-so; piccole pianure del tutto irrilevanti si trovano lungo la costa e nelle strettevalli lungo il corso dei fiumi.

I massimi rilievi si trovano nella catena dei monti Sibillini, con altezze mediesuperiori a 2.000 m (monte Vettore 2.476 m), mentre il subappennino raggiun-ge i 1.570 m con il monte Pennino. Una caratteristica dei rilievi calcarei mar-chigiani è la presenza di numerose grotte, tra le quali quelle di Frasassi, nei pres-si di Fabriano, famose per la loro bellezza e spettacolarità. Lungo le dorsali ap-penniniche sono presenti brecce calcareo-arenacee, conglomerati di arenarie,calcari, marne argillose, depositi gessoso-sulfurei, tripoli (farine fossili derivateda scheletri silicei di alghe e diatomee), giacimenti di potassio e di zolfo. Ma so-no state le acque, scorrendo per millenni in modo impetuoso dalla catena ap-penninica, a modellare il paesaggio, con lunghe dorsali parallele, degradanti efortemente scoscese verso l’Adriatico. I terreni sono profondi e sciolti, con buo-na permeabilità, particolarmente vocati alla coltura della vite e dell’olivo.

I corsi d’acqua che percorrono le Marche hanno regime torrentizio e sono piut-tosto brevi, e se si esclude il Nera, affluente del Tevere, sfociano tutti nel mareAdriatico. Il Marecchia e il Conca sviluppano la parte terminale del loro corsoin Romagna; il Foglia e il Burano nascono al di fuori dei confini regionali; il Trontoha la sua alta valle prevalentemente nel Lazio, e con il suo corso inferiore se-

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gna il confine con l’Abruzzo. Altri fiumi sono il Metauro, il Cesano, l’Esino, ilMusone, il Potenza, il Chienti, il Tenna e l’Aso.

Il clima della regione, con un elevato livello d’insolazione, è molto vario ed èinfluenzato dalla disposizione e dall’altitudine dei rilievi. Lungo la costa preva-le un clima di tipo mediterraneo, mentre procedendo verso l’interno diventa con-tinentale, si accentuano le escursioni termiche e le gelate tardive possono dan-neggiare la vite. Nelle zone settentrionali gli inverni sono piuttosto rigidi, conesposizione a venti freddi; quelle più meridionali risentono maggiormente del-l’influenza del mare, ma sono investite da venti che spirano da sud, turbinosi inestate e temibili per le coltivazioni. La neve è frequente in inverno nelle zoneinterne.

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Zone vitivinicole

Se fino a pochi anni fa le Marche erano sinonimo di verdicchio, tuttora il vi-tigno più rappresentativo, oggi questa regione stupisce anche per i suoi vini ros-si. I vini di questa terra, sempre buoni, stanno infatti raggiungendo vertici di ec-cellenza seguendo la teoria dei piccoli passi, con prodotti un po’ migliori ad ognivendemmia. Tutto è partito dalla cura posta nel lavoro in vigna, ma anche dalrinnovamento delle cantine, delle tecniche e delle attrezzature applicate in vi-nificazione e affinamento.

I 18.798 ettari a vigneto sono occupati per il 53% da uve bianche e il 47%da uve rosse, ed una produzione di 870.976 hl di vino nel 2008; oltre la metàdella superficie vitata è destinata alla produzione di vini DOC, con netta preva-lenza di quelli bianchi.

Il sistema tradizionale di allevamento ad alberello basso, con potatura cortae sesto d’impianto di un metro per un metro o filari consociati per sostegno aolmi o aceri (testucchi), da qualche decennio ha lasciato il posto a sistemi co-me la controspalliera con tre o quattro fili di sostegno, più idonei per le esigenzedi espansione della pianta, che richiedono minor impiego di manodopera e age-volano la lavorazione meccanizzata.

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Le Marche sono particolarmente legate al verdicchio, vitigno dal quale si ot-tiene un vino molto conosciuto anche all’estero. La composizione del suolo,l’esposizione al sole, l’azione dei venti e le piogge, determinano grandi equilibriche incidono sulla personalità dei vitigni e dei vini, e l’opera di studio e di spe-rimentazione voluta dalla Regione ha contribuito in maniera determinante al ri-lancio dei vini delle Marche. Le novità più recenti riguardano, in particolare,l’introduzione di alcuni vitigni internazionali e la valorizzazione di quelli tradi-zionali autoctoni adatti a produrre vini di qualità.

La legge 930 del 1963, cercando di mettere un po’ d’ordine nel settore, ha ri-dotto drasticamente il numero degli oltre cento vitigni presenti nella regione,prevedendo per la produzione dei vini DOC soltanto 15 ceppi: biancame, char-donnay, ciliegiolo, lacrima, maceratino, malvasia bianca lunga, montepulciano,passerina, pecorino, pinot bianco, pinot nero, sangiovese, trebbiano toscano, ver-dicchio bianco e vernaccia nera.

Il territorio dei Colli Pesaresi e del Metauro è il più settentrionale della re-gione, con terreni collinari dotati di buona permeabilità, con substrato scioltoda sfaldamento di marne calcaree grigie e scure, con sabbie e residui di variaorigine. I vigneti sono impiantati su colline ben esposte e, per tradizione, sui pen-dii più aspri e siccitosi. La zona è particolarmente legata al sangiovese, il prin-cipale vitigno coltivato, salvo che nella sottozona Focara, dove è presente il pi-not nero. Il Bianco, con una sottozona di spicco, Roncaglia, è ottenuto dallo stes-so pinot nero (vinificato in bianco) e dall’albanella, un biotipo di trebbiano to-scano dal grappolo più piccolo e serrato. Sulle colline attorno all’ultimo trattodel fiume Metauro è ampiamente diffuso il vitigno biancame o bianchello.

La zona dei Castelli di Jesi comprende diversi comuni sulle colline, che co-ronano il tratto medio del fiume Esino e il verdicchio, vitigno sicuramente au-toctono, ha trovato in questi territori un ecosistema irripetibile, mentre lonta-no da questa zona di elezione perde i suoi migliori caratteri o, addirittura, nemanifesta alcuni negativi. Vino già apprezzato ai tempi dei Romani, ha tuttorauna consolidata e positiva reputazione internazionale grazie alla politica com-merciale di alcune aziende, che lo hanno diffuso sui principali mercati.

La zona del Conero e Rosso Conero, vino di antiche tradizioni che ha sa-puto rinnovarsi, è di estensione limitata ed è situata sulle propaggini espostea mezzogiorno del promontorio del Conero, dove le viti, soprattutto di monte-pulciano, sono coltivate in terreni di origine estremamente diversa e in zonecon microclimi particolari, su una superficie di circa 500 ha. Mai, in passato,

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un vino rosso marchigiano aveva destato un tale interesse come ha fatto il RossoConero negli ultimi tempi: ci si deve solo augurare che questo meraviglioso suc-cesso stimoli i produttori a migliorare ancora più quel prodotto cresciuto cosìin fretta.

L’alta valle Camerina è una zona che comprende otto comuni delle provin-ce di Macerata e Ancona, che fanno da cornice a Matelica, con vigneti ben espo-sti, situati su dolci ondulazioni a sud della valle stretta e lunga, compresa tral’Appennino umbro-marchigiano ed il Preappennino marchigiano. I terreni so-no permeabili e sciolti, formati da sfaldamento marnoso, argilloso-siliceo e cal-careo, da sabbie, fossili e detriti organici di origine marina. Al di fuori dei Castellidi Jesi, questa è l’unica zona dove il verdicchio conserva la propria originalità,

Vigneti nella zona di Matelica

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e la maggior altitudine conferisce al vino sottili variazioni in finezza, di certomolto apprezzate (3-5 g/l di residuo secco in meno). Il vino prende il nome daMatelica, città di origine romana, famosa e fiorentissima nel 1400 per i “pan-nilari”, cardatori e tessitori di lana e, più tardi, per le “conche”, lavorazioni del-le pelli apprezzatissime a Firenze. A Matelica sono conosciuti 10 cloni diversi diverdicchio, con grappolo lungo e stretto o medio-fitto, serrato o semiserrato,spargolo o semispargolo.

L’area di Serrapetrona è un piccolo territorio montano ad est del monteLetegge, sul Preappennino marchigiano, intorno alle grigie fortificazioni diBelforte del Chienti ed ancora su, oltre i 500 metri, intorno al castello ed allacinta muraria di Serrapetrona. Su terreni di sfaldamento di rocce calcaree e mar-ne scure argillo-silicee si coltiva da tempi remoti la vernaccia nera, usata neiriti propiziatori per la dea Feronia e, secoli dopo, presente sulle mense patriziedi Roma. Il vitigno vernaccia nera è coltivato in un territorio circoscritto ed iso-lato, ed è sopravvissuto grazie alle caratteristiche di profumo e di sapore, in-confondibili e mirabili, del vino che da esso si ottiene.

I Colli Maceratesi rappresentano una vasta zona di produzione - ma sono po-che le aziende vitivinicole -, con una successione di colline con microclimi par-ticolari che conferiscono qualità e finezza ai vini. Coltivato praticamente soloin questa zona, il maceratino, conosciuto anche come ribona, è un clone di ver-dicchio molto interessante sotto il profilo qualitativo; dà un vino ancora pococonosciuto al di fuori dei confini regionali, e negli ultimi tempi ha spodestato iltrebbiano toscano.

I Colli di Tronto sono una zona di produzione che si estende a sud-ovest del-l’ultimo tratto della sponda sinistra del fiume omonimo, con una fitta succes-sione di colline che dal mare si incuneano verso l’interno per circa 16 km, finoa raggiungere la montagna. Qui, nella più antica e vitata area del Piceno, culladi vigneti che offrono carattere e vitalità ai vini, in un’area piuttosto ristretta,si producono le uve per il Rosso Piceno Superiore, e in una leggermente più este-sa quelle per il Falerio dei Colli Ascolani o Falerio.

Nell’area del Piceno merita un cenno particolare il vitigno autoctono peco-rino, per la spiccata acidità e la notevole struttura che conferisce al vino, re-centemente riscoperto per effettuare selezioni clonali nelle zone montane diArquata del Tronto, dove esistono piante di oltre cento anni su piede franco.La DOC Offida è una specie di cru nella zona del Rosso Piceno, che forse piùdi altre aveva stentato a decollare: Offida potrebbe rappresentare la prima del-

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le piccole DOC che si vanno a sovrapporre a zone molto vaste di produzione,ormai incapaci di proporre vini di qualità. Questa nuova denominazione non sibasa solo sui vini rossi ottenuti soprattutto da montepulciano e cabernet sau-vignon, ma rappresenta anche l’occasione per verificare le potenzialità di duevarietà autoctone a bacca bianca, rivalutate negli ultimi tempi, la passerina eil pecorino.

Infine, il Falerio o Falerio dei Colli Ascolani deve il suo nome a Faleria, cit-tà imperiale ora chiamata Falerone e situata nel comprensorio di Fermo. La zo-na di produzione è compresa nella cosiddetta “Marca sporca” o spoletina, chedal fermano arriva all’ascolano.

Gastronomia

Gli aspetti salienti della cucina marchigiana sono la semplicità, la schiettez-za, la sana varietà di piatti fatti con gli ingredienti genuini di un territorio ric-co di materie prime di terra e di mare, aromatizzate dalle erbe odorose delle col-line di questa regione, dotata di un paesaggio suggestivo e riposante, su cui do-minano le due colture arboree prevalenti, la vite e l’olivo.

Per la produzione agricola ed ittica delle Marche, la gastronomia assume aspet-ti diversi a seconda delle zone. C’è la cucina della costa, in cui prevalgono le spe-cialità a base di pesce, e c’è quella dell’entroterra e dell’interno, fatta di pro-dotti agricoli, con vasto uso di animali da cortile. Insomma, ingredienti sani egenuini, vita salubre, aria pulita e stress ben contenuto.

Tra i più rinomati antipasti si trova il ciauscolo o ciavuscolo, tipico del ma-ceratese e del Piceno, un insaccato morbido di carne di maiale tritata, benagliata, con sale e pepe, da spalmare sul pane fresco o abbrustolito, la coppamarchigiana, insaccato di maiale con pepe e noce moscata, il mazzafegato, in-saccato di fegato e polmone di maiale insaporito con sale e spezie, detto anchesalsiccia matta, da consumare cotta sulla brace pochi giorni dopo la produzio-ne. Più conosciuti sono il prosciutto di Carpegna riconosciuto DOP, la famosa sop-pressata di Fabriano, insaccato di carni diverse macinate e miscelate con pepee altre spezie, e il salame di Fabriano, prodotto di punta della norcineria mar-chigiana, ottenuto miscelando cubetti di lardo con carni selezionate di coscia edi spalla di primissima scelta. Sempre tra i salumi sono da ricordare i ciarimbo-li, budelli di maiale arrostiti alla griglia, quasi introvabili e tipici della valledell’Esino. I crostoli, simili alla piadina romagnola, sono i compagni più adatti

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per tutti questi salumi, magari du-rante uno spuntino o una piace-vole merenda.

In questa regione, al terzo postoin Italia per la quantità di pescepescato annualmente, si hannodeliziosi antipasti di frutti di mare,con crostacei, telline, cozze, von-gole, lumache di mare, in diverseversioni, in bianco o con il pomo-doro, sempre con un soffritto a ba-se di aglio o finocchio. Ma ci sonoanche polpetti in guazzetto, sep-pioline, canocchie, acciughe e sar-dine come le scottadita, che si mangiano con le dita. Ce n’è proprio per tutti igusti!

Tra i primi piatti si possono ricordare i cappelletti, simili a quelli della Romagnama con ripieno di arrosto di maiale, cappone bollito e midollo di bue, i raviolicon filetti di sogliola, ripieni di ricotta, prezzemolo, uova e noce moscata, ser-viti con un sugo di filetti di sogliola, i taglierini al ragù, i tortellini, ravioli gi-ganti ripieni di ricotta, formaggio, spinaci ed erbe aromatiche, i vincisgrassi, spe-cie di lasagne all’uovo sottilissime condite con pomodoro, prosciutto, burro e tar-tufo nero, la pizza al formaggio, a forma di panettone schiacciato, con ricottafresca, ed il famoso brodetto, zuppa di pesce preparata lungo la costa in infini-te varianti.

Tra le pietanze si mettono in evidenza le braciole d’agnello al rosmarino,l’agnello alla cacciatora tipico del Montefeltro, dorato su un fondo di lardo, olioed aromi, il coniglio farcito, l’anatra in porchetta con abbondanti aromi e spe-zie, gli stessi usati per la porchetta di maiale, il potacchio, cioè agnello, pollo oconiglio cotti in umido con olio, rosmarino, prezzemolo, aglio, peperoncino, sa-le e vino bianco, con l’aggiunta di cipolle. Tipica è la costoletta di maiale allaMontefeltro, ricoperta due giorni con il sale, poi pulita e aromatizzata con aglioe cotta sulla graticola, e si fa apprezzare il lombo di maiale al latte, insaporitocon cannella e chiodi di garofano e poi fatto dorare nel burro, la porchetta far-cita con aglio, rosmarino, finocchio selvatico, sale e pepe e cotta al forno. Danon dimenticare le braciole all’urbinate, carne battuta sovrapposta ad una frit-

Tipici salami marchigiani

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tatina di uova, formaggio e prosciutto e poi arrotolata, la pasticciata pesarese,stracotto di carne di bue con lardo ed aglio, aromatizzato con chiodi di garofa-no e cannella, ed il piccione ripieno, farcito con purea di castagne e burro, cot-to in forno.

Tra i prodotti del mare si trovano il famoso e tradizionale stocco all’ancone-tana, l’arrosto segreto, cioè sardine a strati, cotte nel forno con aroma di fi-nocchio, i calamaretti alla rustica, i garagoli in porchetta, specie di lumachinedi mare cotte in tegame con aglio, rosmarino, finocchio selvatico, sale e pepe.

Molto gustosi sono i moscioli, cozze farcite cucinate alla griglia o al forno, lesarde alla marchigiana, le triglie alla griglia o al prosciutto, avvolte in sottili fet-tine di questo salume e cucinate in tegame al forno, le seppie ripiene tipiche delpesarese e dell’anconetano.

Triglie alla griglia avvolte in foglie di vite

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Tra i contorni sono interessanti le fave ‘ngreca, bollite e servite in insalata conaglio, olio, sale, pepe e maggiorana, la misticanza, insalata di erbe selvatiche,la parmigiana di gobbi, cioè cardi tagliati a pezzi, bolliti, fritti e passati al for-no con besciamella e parmigiano reggiano, le zucchine ripiene alla marchigia-na con carne e pomodoro e poi fritte.

Tipico e molto apprezzato è il tartufo bianco che si può trovare nelle zone diAcqualagna e di Sant’Angelo in Vado, con strette analogie con quello più rino-mato di Alba, che nobilita piatti di tagliatelle e filetti. Ormai diffuse in molteparti d’Italia sono le olive all’ascolana, molto grandi, verdi, tenere e polpose, chevengono snocciolate e riempite con una farcia di carne, impanate e fritte, ser-vite anche al momento dell’aperitivo o con gli antipasti. E poi ancora i cavol-fiori di Jesi e di Fano, le fave di Ostra, il carciofo violetto jesino e ascolano.

Nella fascia montana e in quella dei monti Sibillini si preparano in partico-lare piatti a base di castrato, carne di maiale e funghi, il tutto nobilitato dall’a-roma dei tartufi, oltre a preparazioni a base di farro, lenticchie e patate rosse.

Nella cucina marchigiana non mancano i formaggi, come il pecorino diMonterinaldo, tipico del maceratese e di alcune zone dell’anconetano e carat-teristico per il suo profumo di serpillo, il formaggio di fossa di Talamello, il for-maggio vissano, che può essere da tavola o da grattugia dopo stagionatura, legiuncate, lo sbattato, formaggi freschi locali come la ricotta di Amandola, e laCasciotta di Urbino, unico formaggio DOP, morbido e delicato.

Meno numerosi sono i dolci, ma molto apprezzati, come il pan nociato, le bec-cùte, pane dolce di farina di mais, uva sultanina e pinoli, i calcioni, con pastadi pane modellata a forma di grandi ravioli e con un ripieno di tuorli d’uovo eformaggio pecorino.

Molto sfiziosi sono i cavallucci e le ciambelline fatte di farina bianca, zucche-ro, mosto, semi di anice e olio, il bostrengo, torta di riso bollito, pinoli, uva passae pezzetti di cioccolato amaro, e il serpe, fatto con farina, chiara d’uovo, mandorle,zucchero, arrotolato a salame, posto sopra un foglio di ostia e cotto nel forno.

La frustenga è una torta casalinga ottenuta con farina bianca e gialla, mol-lica di pane e fichi secchi sminuzzati, mentre il frustingolo è un dolce del pe-riodo natalizio, e le pizze dolci di quello pasquale. Splendide infine le pesche asco-lane e, soprattutto, le visciole di Cantiano, da cui ottenere una deliziosa con-fettura per meravigliose crostate o un tradizionale vino aromatizzato, il Visner.E parlando di vino, non possiamo dimenticare il vino cotto, ad esclusivo uso fa-miliare, ottenuto con la bollitura del mosto e successiva fermentazione.

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La vite e la sua storia

In Umbria, regione scolpita dal Tevere e dai suoi affluenti in un dolce alti-piano ondeggiante di colline, la coltura della vite risale ad epoche antiche, co-me testimoniano i reperti rinvenuti nelle tombe etrusche, ricche di stupendi va-sellami enoici. Questo popolo, presente in Umbria dal VII secolo a.C., rivolse par-ticolare cura alla coltivazione della vite, usando sovente il suo nettare nei ritireligiosi. Perciò, all’arrivo dei Romani, questi scoprirono popolazioni già abituatea godere del succo delle viti. Ce lo confermano Virgilio e Plinio, che parlano del-le viti predilette dagli Etruschi, le “apiane”, dalle quali si ottenevano vini dol-ci, nonché del vitigno di Todi “tudertis” come peculiare dell’Etruria e del “mur-gentina” diffusissimo a Chiusi, ma di origine pompeiana. Non della stessa ideaMarco Valerio Marziale, notoriamente satirico descrittore della realtà, che siesprime, rispetto ai vini umbri, con giudizi contrastanti, dimostrando che glistessi, secondo le caratteristiche ambientali, possono essere diversi.

Non siamo in possesso di altre notizie vitivinicole per molti secoli, al di làdi quelle comuni un po’ in tutta Italia, in pratica del salvataggio della viticol-tura ad opera degli ordini monastici. In questa regione furono particolarmen-te attivi i Cistercensi ed i seguaci di S. Benedetto da Norcia, che la estesero abuoni livelli produttivi. Dobbiamo arrivare sino al Medioevo e oltre, cioè sinoal 1549, quando Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III Farnese, affidaalla penna i vini ed i gusti di questo papa. Il Lancerio, nell’annotare le prefe-renze del pontefice, definisce eccellente il rosso vino “sucano” delle parti diOrvieto, portato in gran quantità a Roma. Quasi cinquant’anni dopo, AndreaBacci darà un quadro ampio ma confuso della vitivinicoltura umbra: cita i vi-ni di Gubbio, sia bianchi sia rossi, nonché i Moscati, quelli di Città di Castello,Spello, Assisi, Amelia, Norcia, Narni, Spoleto, Todi e Castel Todino, ma la par-te del leone va giustamente ai vini di Orvieto, che già erano imbottigliati infiaschetti impagliati.

Nei secoli successivi sarà il solo Orvieto a tenere ininterrottamente banco, an-che se alla fine del XIX secolo, prima dell’invasione fillosserica, dai dati delMinistero dell’Agricoltura sappiamo della presenza di sangiovese e sagrantinoa Montefalco, del trebbiano sulle colline e del trebbianello in pianura, e che ivini umbri si distinguono per sapidità e freschezza non comuni.

Solo dagli anni Trenta e nel secondo dopoguerra la vitivinicoltura umbra co-glierà i frutti del rinnovamento ed il riconoscimento delle prime denominazio-ni di origine.

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Ambiente pedoclimatico

L’Umbria è una piccola regione (8.456 kmq) senza sbocchi sul mare e confi-nante con Marche, Lazio e Toscana. Il suo territorio è occupato per il 29.3% damontagne e per il restante 70.7% da colline, che la rendono la regione più col-linare d’Italia.

Le valli Tiberina e Umbra separano i rilievi appenninici orientali, aspri ed ele-vati (monte Redentore 2.449 m), da quelli subappenninici ad occidente, più bas-si e dalle forme arrotondate, formati da rocce più tenere, in prevalenza arena-rie e argille.

Le pianure sono situate dove un tempo c’erano antichi laghi, colmati poi dadepositi alluvionali, mentre altre zone lacustri sono state prosciugate artificial-mente in tempi più recenti. I terreni dell’Appennino, di origine calcareo-dolo-mitica, sono ricoperti da boschi e da pascoli, mentre nelle zone subappennini-che si estendono intense colture di olivi e vigneti. Le colline attorno al lagoTrasimeno e quelle tra Assisi e Perugia, nella zona di Torgiano, hanno terreni ar-gilloso-calcarei, con presenza di marne grigie, tufi e residui vulcanici con otti-ma permeabilità. Nelle zone sudorientali della regione si estende il territorio del-l’antica “Marca di Tuscia”, habitat ideale per i vigneti, dove si erge Orvieto.

Il fiume principale è il Tevere, con un regime abbastanza regolare, che en-tra da nord nella regione, e dopo averla attraversata quasi longitudinalmenteper 210 km, entra nel territorio laziale. Suoi affluenti sono il Nestore e il Pagliada destra, il Chiascio e il Nera da sinistra. Dei numerosi invasi lacustro-palu-dosi di antica origine, oggi pianure bonificate, resta il lago Trasimeno, situatoa 259 m slm, quarto lago d’Italia per estensione e con profondità massima di6 m.

Il clima della regione è di transizione, con prevalente impronta sub-medi-terranea, che favorisce la vegetazione che rende l’Umbria il “cuore verded’Italia”. Gli inverni non sono eccessivamente freddi e le estati sono calde, maventilate e asciutte, soprattutto nelle zone basse che risentono dell’azione mi-tigatrice del mare. Sopra i 600 m il clima presenta invece forti escursioni ter-miche, sia giornaliere sia stagionali. Le precipitazioni tendono ad aumentareandando dalle colline più basse e riparate verso i monti, più esposti alle cor-renti di aria umida. La piovosità resta comunque abbastanza ben di stribuitanell’arco dell’anno, con una certa prevalenza nel periodo primaverile. Le gior-nate di gelo e neve sono poco frequenti, salvo nelle zone al di sopra dei 1.000metri.

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Zone vitivinicole

Le caratteristiche geologiche e morfologiche del terreno, generalmente sciol-to e permeabile, le coltivazioni quasi esclusivamente collinari, i terreni gene-ralmente sciolti e permeabili, il clima particolarmente mite, le zone ben ripara-te dalle catene montuose, la piovosità ben distribuita nell’arco dell’anno el’esposizione al sole, rendono l’Umbria una regione ad alta vocazione viticola.Questa piccola regione si sta sempre più mettendo in evidenza grazie ai due pro-dotti più significativi, il Torgiano Rosso Riserva e il Sagrantino di Montefalco,ma anche per il miglioramento di alcuni vini DOC. Inoltre, gli studi e le speri-mentazioni su alcuni vitigni autoctoni come il grechetto e lo stesso sagrantino,stanno dando ottimi risultati. Negli ultimi anni i vini umbri hanno saputo co-gliere importanti successi nel segmento dei vini di qualità, grazie ad un costanteprocesso di aggiornamento e di organizzazione delle strutture e delle attrezza-ture aziendali, che incrementano le richieste sia sui mercati nazionali sia su quel-li esteri.

I vigneti coprono 13.710 ettari, con una leggera prevalenza delle coltivazionidi uve a bacca bianca su quelle a bacca rossa. La resa media è piuttosto bassa,e la produzione è stata di 834.024 di hl di vino nel 2008. I vitigni a bacca bian-ca più coltivati sono trebbiano toscano o procanico, grechetto, verdello, malva-sia bianca lunga, malvasia bianca di Candia, trebbiano spoletino, chardonnay, ca-naiolo bianco o drupeggio ed altri di nuovo impianto quali manzoni bianco,malvasia bianca, trebbiano giallo, pignoletto, tocai, traminer e riesling; quelli abacca rossa sono sangiovese, merlot, ciliegiolo, l’autoctono sagrantino, caber-net sauvignon, montepulciano, canaiolo nero, barbera e gamay.

Particolarmente interessante è la zona ristretta di Torgiano, posta al di so-pra della confluenza dei fiumi Tevere e Chiascio, a cavallo delle due vallate e ri-parata dai venti freddi del nord. La vocazione vitivinicola è molto legata ai fat-tori climatici. Sul piccolo rilievo del paese, ad un’altezza massima di 310 m slm,si ha una certa piovosità soltanto in autunno e in inverno, mentre i lunghi edaridi periodi estivi permettono di ottenere nelle uve un’elevata concentrazionezuccherina. Sui rilievi il terreno è costituito da sedimenti lacustri e torrentizi,rappresentati da argille con lignite, sabbie e ciottoli, con resti di vegetali e mam-miferi accumulati nell’antico lago Tiberino. Sono esclusi, nella zona, quei terre-ni pianeggianti e alluvionali recenti, non idonei alla produzione di qualità.Portabandiera dei vini umbri nel mondo, il Torgiano Rosso Riserva ha nelle do-ti di eleganza e struttura le sue migliori caratteristiche. Sempre in provincia di

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Perugia, nella zona collinare oltre Bevagna, è prodotto l’altro simbolo dell’eno-logia umbra, il Montefalco Sagrantino.

Nella zona dei Colli Martani, a sinistra del fiume Tevere e a destra della val-le Umbra, ad un’altitudine compresa tra 300-500 m slm, l’ottima esposizione alsole e il clima mite favoriscono la viticoltura, soprattutto di alcuni vitigni au-toctoni tra cui il tuderte o greco di Todi, oggi grechetto, importato dalla Grecia,e il sagrantino. Plinio il Vecchio parlava già di un’uvetta detta “hitriola”, colti-vata e vinificata nei pressi di Bevagna, e in molti sono propensi a considerare ilsagrantino il naturale successore proprio di quell’uvetta. Alcuni studiosi hannoformulato ipotesi anche suggestive, come quella secondo la quale questo viti-gno sarebbe stato portato in zona dai pirati saraceni, ma più probabilmente è

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stato importato dai frati francescani di ritorno dalla Spagna, all’inizio del XIIIsecolo. Il nome e la ricchezza in zucchero fanno infatti pensare ad un uso di que-sto vino durante le liturgie.

L’area dei Colli Altotiberini che si affaccia sull’alta valle del Tevere ha tradi-zioni vitivinicole molto antiche, ma ai giorni nostri il potenziale produttivo nonè totalmente espresso.

Sui Colli Perugini dominati dal monte Subasio (1.200 m), dove la vite era giàcoltivata prima dagli Etruschi e poi dai Romani, è soprattutto il terreno tufa-ceo-argilloso l’amico della vigna, sicuramente più del clima continentale, fred-do d’inverno e non troppo caldo d’estate.

Sui Colli del lago Trasimeno sono diversi i fattori che favoriscono la viticol-tura, ma il principale è dato dall’umidità delle acque lacustri che funge da equi-libratore delle condizioni ambientali, e nello stesso tempo non arricchisce trop-po il terreno già particolarmente permeabile.

Il territorio che vanta le più antiche tradizioni viticole è quello di Orvieto, do-ve viene prodotto il vino preferito da diversi papi, nato certamente amabile. Lefredde e profonde cantine locate nel tufo, infatti, con la loro bassa temperatu-ra, impedivano una fermentazione completa e lo zucchero naturale residuorendeva il vino abboccato. La vinificazione, grazie alla particolare natura del ter-reno, avveniva in modo insolito. Si pigiava l’uva a livello del suolo, il mosto co-lava a fermentare nei locali tufacei, e dopo la svinatura il prodotto finito era tra-sferito in cantine poste ancora più in basso, per l’affinamento.

L’approvazione della DOC Colli Amerini, nel 1989, ha permesso un notevo-le miglioramento qualitativo dei vini di questa zona, un tempo piuttosto ru-stici.

Gastronomia

Questa regione, prevalentemente montuosa e collinare, ricca di un verde af-fascinante, ha una gastronomia prettamente contadina, basata su piatti tipi-ci ma poco conosciuti al di fuori del territorio regionale, che talvolta risentedell’influenza delle cucine confinanti come la toscana, la marchigiana e la la-ziale. È una cucina che ha come ingredienti base i prodotti della propria ter-ra, genuini e ben amalgamati dalle erbe aromatiche, come rosmarino, salvia,maggiorana e finocchio selvatico, che crescono abbondantemente tra le mon-tagne pietrose. Il tutto deliziosamente condito dall’ “oro” liquido dell’Umbria,

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cioè dall’olio extra vergine di oliva, prodotto generosamente in questa terra,di qualità eccelsa, soprattutto l’Umbria DOP, che deve riportare in etichettale sottozone Colline del Trasimeno, Colli Assisi-Spoleto, Colli Martani, ColliOrvietani e Colli Amerini. Altri prodotti inconfondibili di questo territorio de-rivano dall’allevamento e dalla macellazione dei suini, con Norcia capitale del-la produzione di prosciutti, coppe, soppressate, salsicce e ogni tipo di insac-cato, ed è tale la fama di coloro che lavorano la carne suina, che sono chia-mati “norcini”.

La terra umbra è anche ricca di pregiatissimi tartufi neri, raccolti nellaValnerina, a Norcia e nelle vicinanze di Spoleto, oltre a quelli bianchi dell’altavalle Tiberina, che “illuminano”, con il loro apporto, i tipici piatti umbri.

Veniamo adesso agli antipasti, che segnano il trionfo del suino umbro, quel-lo nero, allevato allo stato brado ed alimentato soprattutto con ghiande e ca-stagne. Apprezzatissimo è il prosciutto di Norcia, riconosciuto IGP, magro, com-patto e saporito, seguito dal capocollo aromatizzato con pepe nero e aglio, e dalcapocollo di Città di Castello, al quale i semi di finocchio conferiscono un aro-ma particolare e che prende il nome di scalmarita. Profumate ed invitanti sonole salsicce di Spoleto e quelle secche di Foligno, la mortadella di Casera e Preci,la soppressata di Gualdo, il ciauscolo di Visso, la porchetta al forno (tipica è quel-la di Costano), la coppa preparata con gli scarti e la testa del maiale, con vino,scorza d’arancia, pepe e sale. Tipici antipasti sono anche la bruschetta, pane ab-brustolito strofinato con aglio e condito con olio extra vergine e sale, i crostinial tartufo, spalmati di un trito di tartufo nero ed acciuga con olio, e la torta diPasqua. Altre specialità a base di carne di maiale sono la corallina, ottenuta conspalla e rifilature del prosciutto macinate e mescolate con grasso di suino a da-dini, il tutto conciato con pepe, sale, aglio e vino, e poi stagionato per quattroo cinque mesi. Molto gustosi sono i budellacci, ottenuti dalle interiora del sui-no, condite con sale e semi di finocchio, affumicati ed essiccati sotto la cappadel camino per tre o quattro giorni e poi cotti alla griglia, ed i mezzafegati, sal-sicce piccanti di fegato di maiale, specialità adatta a chi ama i sapori forti, op-pure “dolci” con aggiunta di pinoli, bucce d’arancia e uva passa. E poi le salsic-ce all’uva, preparate con l’aggiunta di acini d’uva a fine cottura, il migliaccio,impasto di sangue fresco di maiale, pane grattugiato e lardo sminuzzato, i sa-lumi prodotti a Nocera Umbra con animali allevati in zona, come il fiocco, il fi-letto disossato, il prosciutto, i cacciatorini, e lo zampone di cinghiale tartufato,una vera delizia.

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Molto particolari anche i primi piatti, tra i quali si segnalano gli spaghetti al-la norcina, preparati con una salsa di olio, cipolla, salsiccia e pepe nero, la mi-nestra di farro, con cipolla e pomodorino casalino, l’impastoiata, cioè un impa-sto di polenta e fagioli cotti precedentemente e conditi con salsa al pomodoro,e l’imbrecciata di Gubbio, una preparazione composta da un insieme di dodicilegumi e cereali, cotti separatamente e poi riuniti, condita con un filo di olio ex-tra vergine e servita con pezzetti di pane tostato. E poi le ciriole ternane, ta-gliatelle grossolane preparate in casa e condite con pomodoro o tartufo. Pastetipiche sono gli strascinati, prodotti da sottile pasta all’uovo arrotolata su unferro da calza e poi condita con uova sbattute e formaggio, gli umbrici, spa-ghettoni tirati a mano e conditi nei modi più vari, gli stringozzi, corti bucatiniconditi con olio, aglio e pomodoro. Il risotto alla norcina è riso bianco mante-cato al parmigiano reggiano e tartufo, e la pasta con le noci è un tipico piattodella vigilia di Natale, in comune anche con l’alto Lazio, nella zona diMontefiascone: pasta all’uovo, per lo più fettuccine, sono condite con una sal-sa di noci tritate, zucchero, cioccolato a pezzetti ed una spruzzata di cannella.Ma anche la cucina di questa regione non può rinunciare a un piatto caldo dicappelletti in brodo, con un ripieno di carne di maiale, tacchino, vitello e pro-sciutto.

Piuttosto numerose le pietanze, spesso a base di carni bianche come coni-gli e pollame, o di faraona e selvaggina, specie da piuma, come pernici, fagia-ni, tordi, palombacci. Questi ultimi, specie se giovani, vengono cotti in salmì ocucinati alla ghiotta, cioè con una salsa fatta con olio, sale, pepe, salvia, oli-ve, acciughe, aceto, vino rosso e buccia di limone, oppure allo spiedo, come ipalombacci d’Amelia o quelli all’uso di Todi, prima cotti allo spiedo e poi in te-game con prosciutto. Un tipico piatto del secolo scorso è la gallina all’ubria-ca, cioè cotta a lungo con molto vino secco, e molto apprezzate sono anche lebeccacce alla norcina e le quaglie rincartate, tipiche di Orvieto, oltre alla leprealle olive.

Tra i piatti a base di pesce sono famose le anguille alla brace, specie quelledel lago Trasimeno, il tegamaccio a base di vari pesci di lago in umido, il pa-lombo alla ghiotta cotto allo spiedo con una salsa a base di aceto, vino e pro-sciutto, la regina in porchetta, carpe molto grandi svuotate e riempite con unmix di erbe varie, così da essere chiamate anche carpe in porchetta, le trote delClitunno cotte alla griglia e condite con mollica di pane, prezzemolo, olio e ro-smarino, ma anche tinche, lucci e pesci persici nelle cotture più varie.

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A tutto questo si può accompagnare una vasta gamma di contorni, dai fa-giolini ai broccoletti del Trasimeno, ai cardi e sedani neri di Trevi, ai piselli diBettona e alle cipolle di Cannara, con in chiusura le deliziose, uniche lenticchiedi Castelluccio, riconosciute IGP, minute e tenere, in grado di regalare un sapo-re inconfondibile. Tra i contorni più tipici si possono ricordare i gobbi alla pe-rugina, cardi fritti con ragù di carne o pomodoro, i cardi al grifo, tagliati a pez-zi, bolliti a metà cottura e passati poi nell’uovo e fritti, la frittata al tartufo ti-pica di Norcia e della valle del Nera, o i tartufi neri arrostiti, cioè avvolti dopoaccurata pulizia in fettine di pancetta ed arrostiti.

L’Umbria è un’immensa tartufaia. Tartufo bianco nell’alta valle del Tevere, ne-ro pregiato e scorzone estivo, più eleganti o più incisivi e decisi nei loro aromi,accompagnano diverse preparazioni, dai crostoni al momento dell’antipasto al-le paste asciutte, dai filetti agli sformati, dai pesci al cartoccio alla cacciagio-ne e alle salse. E ai formaggi.

In Umbria si trova infatti il formaggio tartufato, arricchito dai profumi e dai

Fagioli, lenticchie e altri legumi

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sapori di questo pregiato prodotto della terra. Altri formaggi sono le caciotte,le provole affumicate e le scamorze, formaggi freschi e maturi di ogni tipo.

Buoni ma non molto numerosi i dolci, tra i quali si possono ricordare il bru-stengolo, impasto di mele tritate, pinoli, noci, la ciaramicola, focaccia lievitatadolce con diversi ingredienti e liquore alchermes, inventato da un monaco or-vietano. La formula passò poi ai Medici e rimase per secoli un segreto, oggi sve-lato, in quanto si tratta del prodotto ottenuto per infusione alcolica di chiodi digarofano, cannella, coriandolo e noce moscata, aromatizzato da essenza di ro-sa e colorato con rosso di cocciniglia.

Proseguendo tra i dolci, si incontrano la rocciata di Assisi, la torta di Orvietosimile al panettone, con canditi, uova e uva passa, l’attorta, cioè una torta at-torcigliata di pasta sfoglia con mandorle tostate e tritate. E poi le ossa dei mor-ti a base di zucchero lavorato, le pinoccate, piccoli dolcetti tondeggianti fatti diun impasto di zucchero e pinoli, talvolta anche canditi, gli zuccherini di Bettona,ciambelline di pasta dolce con uvetta, pinoli e semi d’anice, i birbanti.

La famosa cicerchiata è un dolce di Carnevale nato in Umbria e poi emigra-to in altre regioni, molto apprezzato, come il pan nociato, il pan pepato diSpoleto e di Foligno, la pizza dolce, il serpentone delle monache cappuccine, spe-cialità di Perugia, il torciglione del lago Trasimeno, a base di zucchero e pastadi mandorle, gli strichetti e le tisichelle. La ciaccia dolce di Città di Castello è undolce a pasta lievitata con uvetta e canditi, tipico del periodo pasquale e, infi-ne, il torcolo di San Costanzo, una torta spugnosa da abbinare con il Vin Santo.

Senza dimenticare che Perugia è la città del cioccolato.

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La vite e la sua storia

La vite era già coltivata nella regione prima della nascita di Roma, anche se,a quei tempi, le popolazioni locali si dedicavano prevalentemente alla pastori-zia. Ma la fondazione della città e il suo affermarsi costituirono per tutta la sto-ria della vite e del vino un fatto di fondamentale portata: infatti il prodotto del-la vite, oltre ad essere impiegato nelle offerte sacrificali, cominciò ad essere gu-stato dalle varie tribù. Ciò stimolò la diffusione della vite e ne migliorò le tec-niche colturali, e questa prese di conseguenza ad espandersi e a dare più vino,specie sui colli vulcanici dei Castelli Romani, dove trovava con l’olivo il suo idea-le habitat, come ricordano nei loro carmi Tibullo, Orazio, Catullo e Plinio ilVecchio nella sua “Naturalis Historia”.

Il vino cominciò ad essere più presente sulle mense dell’età repubblicana, ela coltivazione della vite, seppur in continua espansione, avveniva in forme ru-dimentali, essendo sempre questa maritata all’albero. Fino al I secolo dell’Età im-periale, i vini laziali, ad eccezione di quelli di Albalonga, furono scarsamente ap-prezzati dai Romani, che preferivano i vini campani: il poeta Orazio ci dice fos-sero il Cecubo, il Caleno, il Falerno ed il Formiano, vini di alta qualità che ave-vano l’attitudine – al contrario di quelli laziali - a tollerare bene l’invecchiamentoed il trasporto.

Nonostante la “Lex Marciana”, promulgata da Domiziano nel 92 d.C. per li-mitare la produzione eccessiva di vino, che sanciva la soppressione di metà del-le vigne e il divieto assoluto di nuovi impianti ed ampiamente disattesa, la vitelaziale sopravvive al crollo dell’Impero ed alle invasioni barbariche, per rifiorirenell’Alto Medioevo, per opera dei Benedettini e degli altri ordini monastici.

Successivamente, le corrette norme per la tenuta della vigna sono codifica-te nel 406 dal papa Gregorio XII nei suoi “Statuti dell’Agricoltura”. Con Paolo IIIFarnese nel XVI secolo appare la carta dei vini della corte papale, nella quale so-no presenti il Moscatello di Montefiascone, il Rosso di Terracina, il Monterano,il Caprarola, il Cerveteri, il Bagnaia, il Tolfa, il Bracciano, l’Albano, l’Ariccia e di-versi altri. Infine viene citato il vino della vigna della Magliana, località corri-spondente pressappoco ai Colli portuensi, fatta impiantare da Leone X e conside-rata eccezionale per il vino che produceva.

Questo quadro ampio, completo ed obiettivo non muterà granché nei secoliseguenti, anche in considerazione del fatto che lo Stato della Chiesa era resta-to fuori dai movimenti scientifici ed innovatori dei secoli XVIII e XIX. Solo conl’avvento dei piemontesi si avrà un vento di rinnovamento, anche se ormai il Lazioè diviso in tre zone viticole distinte: Frosinone, Viterbo e i Castelli Romani.

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Nelle prime due predominano ancora le viti maritate, nell’ultima il sistema aconocchia, in pratica quattro viti in quadrato, legate a canne e a forma di pira-mide. Per vedere in auge i vini laziali bisognerà attendere il 1923, quando la re-gina d’Inghilterra si innamora del Frascati e lo vuole nella cantina di corte. Maanche qui in quegli anni giunge il vento fillosserico e il vigneto laziale è costrettoa rinnovarsi per sopravvivere. Purtroppo lo farà con un occhio più aperto versola quantità che verso la qualità.

Ambiente pedoclimatico

Il Lazio (17.227 kmq) confina a nord con la Toscana e l’Umbria, a est con leMarche, l’Abruzzo e il Molise, a sud con la Campania, mentre a ovest è bagna-to dal mar Tirreno; comprende anche le isole Ponziane, che fanno parte della pro-vincia di Latina.

Antica stampa di Frascati

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Il territorio è collinare per il 53.9%, montuoso per il 26.1% e pianeggianteper il restante 20%. Il versante appenninico fa parte dei grandi massicci cen-trali di antica origine geologica (monte Terminillo 2.213 m), costituito essen-zialmente da rocce calcaree permeabili, di aspetto arido e brullo, con fenome-ni di carsismo. Scendendo verso sud, alla destra del Tevere, si trovano tre grup-pi montuosi di origine vulcanica, che degradano verso la costa pianeggiante, laMaremma laziale, i cui crateri principali sono occupati dai laghi di Bolsena, Vicoe Bracciano.

Al di là del Tevere sono presenti altre zone collinari arenacee e marnose, trale quali i monti Albani, anch’essi di origine vulcanica, nei quali troviamo i laghidi Albano e di Nemi e, infine, i monti Lepini, Ausoni e Aurunci, di origine calca-rea. Il litorale è basso e piatto, con alcuni promontori come il monte Circeo, quel-lo di Gaeta e Capo Linaro. Le zone più vocate per la viticoltura si trovano sullependici collinari dei rilievi di origine vulcanica, che presentano terreni permea-bili e di buona struttura, essenzialmente lavico-tufacea. I terreni dei colli Albanisi distinguono per l’abbondante presenza di potassio, elemento chiave perl’arricchimento aromatico delle uve e che danno origine ai vini laziali di mag-gior pregio. La pianura di Tarquinia e l’Agro Pontino presentano anch’essi ter-reni permeabili, di medio impasto, con sabbia, limo e argilla, molto adatti allecoltivazioni ortofrutticole e per vigneti a coltura specializzata, di grande espan-sione e produttività.

Tutti i fiumi laziali sfociano nel mar Tirreno, ad eccezione del Tronto che scen-de nel mare Adriatico. Il fiume principale è il Tevere, nel quale convergono va-ri corsi d’acqua, come il Velino, il Salto e il Turano, tramite il Nera e l’Aniene.Andamento simile al Tevere hanno anche il Liri e il Sacco, entro solchi vallivi va-riamente orientati. Oltre ai laghi già citati, vanno ricordati quello di Piediluconella conca di Rieti, e quelli del Turano e del Salto nell’Appennino.

Il clima è ovunque temperato, con rilevanti differenze di temperatura e diumidità tra la fascia costiera e le zone più elevate dell’interno, dove sono piùaccentuate le escursioni termiche, soprattutto stagionali. Le precipitazionihanno una frequenza inferiore alla media delle altre regioni dell’Italia centra-le, anche se sono caratterizzate da frequenti e brevi temporali, più abbondan-ti sui rilievi appenninici, dove in inverno compare spesso la neve. Predominanoi venti di maestrale, ponente e scirocco, ed è impetuoso il libeccio, che deter-mina una certa variabilità climatica. In alcune zone collinari dell’Appennino,sui rilievi di origine vulcanica e nei crateri che ospitano numerosi bacini lacu-

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stri, si presentano frequentemente condizioni microclimatiche favorevoli allacoltivazione della vite.

Zone vitivinicole

Non si può negare che la viticoltura laziale abbia rischiato di perdere troppitreni sul piano della qualità e della modernità, ma l’entusiasmo di alcuni pro-duttori sta forse compiendo il miracolo. Sembra infatti che la strada per arriva-re lontano sia stata finalmente imboccata, grazie anche all’attività dell’ARSIAL,con la ricerca e la sperimentazione di cloni di vitigni autoctoni e il recupero divarietà tipiche di zone specifiche come la malvasia del Lazio ed i suoi cloni, ilbonvino bianco, il bellone e il cacchione.

Grande estensione di vigneti in provincia di Latina

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Anche se molti non vorrebbero distruggere le testimonianze del vecchio sistemadella coltura promiscua, così significativa per il paesaggio agrario, nelle zone diAprilia e di Cerveteri è ora diffusissimo l’allevamento a tendone, mentre in quel-la dei Castelli Romani le vigne sono a spalliera o a controspalliera. Nell’ottica diun deciso miglioramento qualitativo, alcuni produttori sono orientati versol’eliminazione del tendone, dando spazio al cordone speronato e al guyot.

Il vigneto laziale copre 24.447 ettari, con una netta prevalenza di uve a bac-ca bianca. La maggior parte dei vigneti si trova in collina, con più del 70%, e il20% circa in pianura. La resa media è piuttosto elevata e la produzione è di tut-to rispetto, con 1.774.616 hl di vino, nel 2008.

La base ampelografica dei vini bianchi dei Castelli Romani e di tutta la regio-ne è data dalle malvasie e dai trebbiani, ed è ancora buona la presenza dei viti-gni autoctoni a bacca bianca, come bellone, cacchione e bonvino bianco in pro-vincia di Roma, grechetto in quella di Viterbo. Tra i vitigni a bacca rossa, oltre al-la presenza di ciliegiolo, montepulciano, merlot, cabernet vicino ad Anagni e bar-bera, è il cesanese quello più coltivato nell’area compresa tra le falde del mon-te Scalambra e la valle del Sacco, ad un’altitudine compresa tra 200-600 m slm.

I trebbiani di maggior interesse per la viticoltura laziale sono quello toscano oromano e quello giallo. Le malvasie che interessano maggiormente il Lazio sonola malvasia bianca di Candia detta anche rossa per la particolare colorazione cheassume il germoglio in fase di sviluppo, e quella del Lazio o puntinata, così chia-mata perché la buccia dell’acino è cosparsa di macchie color grigio e marrone.

La provincia di Roma produce circa il 50% del vino laziale, nonostante iCastelli Romani si stiano lentamente spopolando, pur mantenendo un’ottima re-sa economica e qualitativa.

Ragguardevole è anche la produzione di uve pregiate da tavola, principalmentenelle zone pianeggianti, mentre le uve da vino sono in genere ottenute in po-sizioni collinari e terreni vulcanici.

Le DOC sono 26, comprendendo anche Moscato di Terracina o Terracina.L’ultima nata è una DOCG: Cesanese del Piglio o Piglio.

La zona dei Castelli Romani è senz’altro la più importante della regione perla produzione vitivinicola: la particolare vocazione di questo territorio è meritodei terreni ricchi di sali di potassio e di fosforo, ed ai microclimi ideali, favoritidall’azione mitigatrice dei laghi presenti.

Molto apprezzate sono le produzioni di Frascati provenienti da Marmorellenel comune di Colonna; S. Teresa, Cervio e Fontana Candida nel comune di

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Monte Porzio Catone; S. Anna, S. Matteo e Colle Papa nel comune di Frascati,oltre a Collevecchio di Grottaferrata. Zona particolarmente interessante peril vino Marino è invece Colle Picchioni, situata tra i comuni di Marino e CastelGandolfo, mentre per il Colli Albani sono degne di nota la zona di Fontana diPapa in località Cecchina e la vigna della Tenuta Mary Park in località Pavona.

La zona di Aprilia è un po’ la continuazione del comprensorio dei CastelliRomani, così come Cori, e in questi ultimi anni c’è stata una rivalutazione delleproduzioni vinicole nonostante la drastica riduzione delle superfici coltivate, va-lorizzazione basata soprattutto su trebbiano, merlot e sangiovese.

In provincia di Vi-terbo, sulle pendici at-torno al lago di Bolsena,è prodotto un vino le-gato ad un’antica leg-genda del XII secolo edal curioso nome lati-no, Est! Est!! Est!!! diMontefiascone. Sul ver-sante occidentale diquest’area, con al centroGradoli, situato sui mon-ti Volsini a 470 m slm, siproduce l’Aleatico diGradoli, vino da dessertche prende il nome dalvitigno da cui si ottiene.L’area posta ad est dellago di Vico comprendela zona di produzionedella DOC Vignanello.

Il Cerveteri è un vinoprodotto nella zona checomprende il comuneomonimo, quelli di Ci-vitavecchia, Santa Ma-rinella, Ladispoli e par-Bellone

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te di altri in provincia di Roma e marginalmente, nel viterbese, il comune diTarquinia. L’area si estende lungo il litorale tirrenico, spingendosi fino alle pri-me pendici collinari interne ed è favorita dal clima mite e costante.

La provincia di Rieti, con buona parte del territorio dislocato sui montidell’Appennino, presenta una sola DOC, Colli della Sabina, condivisa con la pro-vincia di Roma, che costeggia quasi per intero la riva destra del Tevere.

In provincia di Latina la viticoltura è diffusa soprattutto nell’Agro Pontino,dove la vite prospera sulle prime pendici collinari. Prima del 1932 l’Agro Pontinoera il regno della malaria; solo dopo numerosi tentativi di bonifica, i primi deiquali risalgono addirittura all’epoca di Teodorico, re degli Ostrogoti, e a diversiPapi tra cui Sisto V, queste terre sono state rese coltivabili e, negli anni Cinquanta,iniziò l’impianto di vigneti.

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La parte settentrionale della Ciociaria, in provincia di Frosinone, e l’area con-finante in provincia di Roma, sono zone di produzione quasi esclusivamente divini rossi, ottenuti soprattutto dal vitigno cesanese e le aree più ristrette, par-ticolarmente vocate, sono da ritenersi le vigne di Castel Cervino e di Colli Santidel comune di Paliano.

Gastronomia

Parlare di gastronomia laziale significa parlare, in sostanza, di quella roma-na con, in subordine quella dei Castelli Romani, e di una popolazione costrettaa subire le vicende storiche cercando di sopravvivere. E quindi si spiega comequesta cucina sia povera e perché abbia sempre mirato a supplire con la fanta-sia la congenita scarsità delle risorse.

Verso la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 - questo è il periodo a cui si fa riferi-mento - il patrimonio gastronomico, vero e genuino, risulta davvero modesto ecaratterizzato per lo più da ingredienti poveri, insaporiti da aromi e forti spe-zie, senza complicate elaborazioni, con alcune preparazioni in comune con leregioni limitrofe e con profondi influssi della cucina ebraica, presente da sem-pre in comunità in Trastevere.

Comunque, questo patrimonio tradizionale è mirabilmente sorretto da un for-te sentimento: l’amore per la tavola, unito al carattere conviviale, fatto per com-pagnie allegre e numerose e per appetiti vigorosi. Una cucina che, per estensio-ne territoriale, vede mare, pianure, colline e montagne, prendendo tutto quantodi meglio c’è da prendere, per poi amalgamarlo nel grande ventre della capitale.

Sono molti i piatti caratteristici di questa regione, ma pochi gli antipasti, an-che se si possono ricordare la bruschetta, ormai diffusa in tutto il territorio na-zionale, cioè fette di pane casareccio bruscato, cioè strofinato di aglio e cosparsodi olio con un pizzico di sale, i carciofini e le melanzane sott’olio, i fiori di zuc-ca ripieni, fritti dorati con all’interno mozzarella, prezzemolo e filetto di acciu-ga, il supplì al telefono, fritto nell’olio con un ripieno di ragù e mozzarella chesi allunga a fili quando se ne stacca un boccone, i crostini di provatura, i sala-mi misti, il prosciutto di cinghiale e quello saporito.

Tra i primi piatti ricordiamo i più caratteristici, come gli gnocchi alla romana,considerati piatto obbligatorio del giovedì, a base di farina e patate lessatecon ragù di carne o sugo di pomodoro e basilico. E poi tutti gli spaghetti: spa-ghetti cacio e pepe, spaghetti aglio e olio, spaghetti o bucatini all’amatricia-

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na, le cui infinite versionivedono un soffritto con ci-polla o aglio, o tutti e due,o solo olio, creando vere eproprie correnti interpre-tative, guanciale di maia-le, pomodori (freschi, pela-ti, casalini ecc.), peperon-cino e pecorino di pascolilocali, spaghetti o macche-roni alla carbonara conolio, pancetta, pecorino euovo sbattuto, di chiaraderivazione maremmana.

Altre preparazioni a basedi pasta secca sono le penne all’arrabbiata con pomodoro, olio ed abbondantepeperoncino, i maccheroni con la ricotta o con i bocconcini, il timballo alla Boni-facio VIII, cioè maccheroni conditi con rigaglie di pollo, sugo di carne, polpetti-ne, funghi e tartufi, i rigatoni con la pajata, maccheroni rigati con un sugo a ba-se di pomodoro, interiora di vitello e pecorino, la pasta con i broccoli in brodo diarzilla, di tradizione giudaico-romanesca. E le fettuccine al burro, tagliatelle dinotevole spessore. È presente anche il riso, con i supplì e il timballo di rigaglie, laminestra di riso e i piselli, ri-so e cicoria, riso e indivia eriso e zucchine, oltre che ilrisotto con le seppie.

Nel campo dei seconditrionfa l’abbacchio alla ro-mana, con strutto, aglio,rosmarino, filetti d’acciugaed una spruzzata di aceto,l’abbacchio alla cacciatora,ai carciofi o brodettato,mentre tra le più antichepreparazioni di carni tro-viamo il garofolato di

Bucatini all’amatriciana

Maccheroni alla carbonara

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manzo, cioè un umido abbondantemente lardellato con chiodi di garofano, er-ba persa (maggiorana), aglio, sale e pepe. Profumati e saporiti sono i saltim-bocca alla romana, fettine di vitello spianate, con prosciutto e qualche foglio-lina di salvia, ripiegate e chiuse da uno stecchino, cotte con olio, burro e vinobianco, lo stufatino col sellero (sedano), il lesso rifatto in umido, le polpette al-la romana, gli involtini di cavolo con carne tritata aromatizzata.

Ma la cucina romana ama e utilizza interiora e tagli di scarto per piatti ple-bei, sfruttando il cosiddetto quinto quarto dell’animale. Ecco quindi nascere lacoda alla vaccinara, coda di bue stufata a lungo con cipolla, salsa di pomodoro,tanto sedano, vino ed un cucchiaio di cacao amaro in polvere, la trippa alla ro-mana, le animelle con carciofi e piselli, la milza alla cacciatora, la pajata arrosto,la coratella con i carciofi, il torciolo (pancreas) e il cuore di bue arrosto. Anche lecarni bianche trovano utile impiego nel pollo con i peperoni e nelle costoletted’abbacchio scottadito, seguiti da tacchino arrosto, pollo in padella, fegatelli im-prigionati, cioè fegato in rete di maiale con strutto, foglia di alloro, sale e pepe,spuntature di maiale in umido, cotiche con i fagioli, spezzatino di coniglio al vi-no.

Presente anche il pesce, con il palombo al formaggio, cioè fette di palombocon formaggio saporito, uova, olio, burro e limone, le seppie in bianco o con icarciofi, le ciriole alla fiumarola in tegame con capperi, aglio, acciughe e vinobianco, l’anguilla del lago di Bolsena arrostita sulle braci di alloro, gli involtinidi sarde, il baccalà in guazzetto, i filetti di baccalà fritti in padella, il luccio bro-dettato alla romana e le cozze alla marinara.

Altri piatti di mezzo caratteristici sono le lumache alla vignarola ed i “fritti”;come il fritto della vigilia di Natale, costituito da piccoli pezzetti di broccoli, ca-volfiori, zucca gialla, baccalà, polpettine di palombo, tutti in pastella, il frittoalla romana, costituito da cervella, animelle, schienali, granelli, carciofi, testi-na e fegato di vitello, zucchine, ricotta, fiori di zucca, fettine di mela renetta epezzetti di pane, il tutto dorato con farina e uovo.

Un posto di rilievo sulle tavole di questa regione è occupato dalle verdure, sucui primeggiano i carciofi alla giudìa, cotti letteralmente a bagno nell’olio,quelli alla romana, con aglio, mentuccia, sale e pepe, cotti ritti in tegame, conil gambo all’insù, quelli alla matticella, arrostiti all’aperto su carboni di fascinedi vigna con aglio, mentuccia ed abbondantissimo olio. Oltre a tutte queste pre-parazioni, si trovano la cicoria strascinata, cioè ripassata in padella con aglio,olio e peperoncino, le fave col guanciale e quelle consumate crude con il peco-

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rino, l’insalata di erbe di campo selvatiche e le puntarelle, ricavate da un tipoparticolare di cicoria, arricciata e condita con un trito di aglio, acciughe, acetoe con l’olio extra vergine di oliva Canino, Sabina, Colline Pontine e Tuscia, tuttiDOP. Tra i prodotti più pregiati si possono ricordare il carciofo di Sezze e quelloromanesco del Lazio IGP, il sedano bianco di Sperlonga IGP, l’oliva di Gaeta,l’oliva bianca e, per nobilitare molte preparazioni, il tartufo di Cicolano.

Tra i formaggi primeggia il pecorino romano, seguito da pecorino ciociaro, pe-corino affumicato, pecorino di Amatrice, ricotta fresca e secca, provatura, mar-zolina, formaggio di capra, mozzarella di bufala dell’Agro Pontino.

Numerosi i frutti di pregio, tra cui la castagna di Vallerano, il marrone diAntrodoco, la nocciola ro-mana, le castagne e i mar-roni del Tolfa.

I dolci non sono moltonumerosi, ma si possonoricordare la crostata con laricotta a base di pasta frol-la, ricotta e crema pastic-cera, quella con le viscioledi origine giudaico-roma-nesca, il croccante natali-zio, le fave dei morti a ba-se di mandorle e zucchero,le frittelle e i bignè di SanGiuseppe. Legati a diversefestività sono le frappe e lecastagnole di carnevale, imaritozzi e i maritozzi qua-resimali, arricchiti conuvetta, pinoli e canditi, lazuppa inglese alla romanacon l’alchermes e il pan-giallo romano, dolce nata-lizio a base di uvetta, cioc-colato e tutti i tipi di frut-ta secca.

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La vite e la sua storia

Gli studi storici più recenti fanno risalire all’età del ferro le prime colture vi-ticole e la produzione di vino nelle terre di questa regione. Successivamente fu-rono gli Etruschi che introdussero la coltivazione razionale della vite verso il VII-VI secolo a.C., insegnando ai locali a maritare la vite all’albero. E l’abruzzeseOvidio rievocherà più tardi, per descrivere le sue pene d’amore, il vincolo che le-ga l’olmo alla vite, nelle sue Metamorfosi.

Già all’epoca augustea viticoltura ed enologia avevano preso piede, come sidesume dalle lodi di narratori greci e scrittori latini, ma fu soprattutto Ovidio,nativo di Sulmona, che ricordò amorevolmente i vini della sua terra, descriven-dola come “terra ricca del dono di Cerere e ancor più feconda di uve”. Anchel’illustre studioso Plinio il Vecchio cita più volte il vino Pretunian, consideratodai Romani come una specie di “grand cru”, che si otteneva dalle uve apiane eche ben si prestava ad essere mescolato con il miele, dando in tal modo un per-fetto vino “mulsum”. Da alcuni scritti dello spagnolo Marco Valerio Marziale siha la conferma che i vini abruzzesi si esportavano a Roma ed erano serviti sul-le mense patrizie, mentre dalle parole del medico Discoride sappiamo anche chese ne faceva commercio attraverso l’Adriatico.

Con l’editto di Domiziano, che imponeva che almeno il 50% dei vigneti do-vesse essere distrutto per superare la crisi di sovrapproduzione di vino in Italia,e le successive invasioni barbariche, la vitivinicoltura abruzzese fu messa a du-ra prova, subendo un vero e proprio tracollo. Con il sorgere ed il diffondersi delmonachesimo la vite tornò a fiorire, ma non sappiamo nulla di quello che ac-cadde nel corso dei secoli che arrivano sino al Rinascimento. In quell’epoca, nelXVI secolo, il domenicano Serafino Razzi, priore di un convento di Penne e poidi uno di Vasto, parla nei suoi scritti del vino e delle vigne del territorio abruz-zese. Autorevole conferma della grande fioritura produttiva delle vigne abruz-zesi nel periodo rinascimentale ci viene da Andrea Bacci, che traccia un quadrodella vitivinicoltura del tempo, asserendo che l’aquilano sorprendeva per la suagrossa produzione, tanto che le cantine contenevano botti enormi, capaci di3.900 l e più.

Più tardi, il napoletano Michele Torcia, nel 1793, compiendo un viaggio in ter-ra peligna, evidenziò come in quel periodo il vigneto abruzzese fosse costituitoda lacrima, zibibbo, moscatello e moscatellone, montepulciano ed altri, e che ivini prodotti fossero ottimi.

Alla fine del XIX secolo il patrimonio ampelografico era considerevole: le

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fonti dell’epoca parlano di una vasta gamma di vitigni coltivati, con esportazionidi uve montepulciano verso la Romagna e la Lombardia, utilizzate per miglio-rare i vini locali. Anche qui, all’inizio del ‘900, arriva il flagello fillosserico, conl’effetto di ridurre il numero dei vitigni impiegati a tutto vantaggio del trebbianoe del montepulciano, puntando altresì ad una produzione di minore qualità e dimaggiore quantità.

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Ambiente pedoclimatico

L’Abruzzo (10.795 kmq), occupato per il 65.1% da montagne e per il rimanente34.9% da colline, è compreso tra l’Appennino centrale, che lo separa dal Lazio,e la costa adriatica, nel tratto limitato dalle foci dei fiumi Tronto a nord eTrigno a sud, che segnano rispettivamente i confini con le Marche e il Molise.

La parte occidentale della regione è montuosa, costituita da rocce calcareecon evidenti fenomeni carsici, e supera lo spartiacque appenninico formato daimonti della Laga, dal Gran Sasso e dal Massiccio della Maiella; include i bacinidel Liri e del Salto, tributari del mar Tirreno, il versante orientale dei montiSimbruini e della Meta, e gli ampi bacini interni del Fucino, di Sulmona e delPiano delle Cinquemiglia, separati tra loro dalle catene del Velino (2.487 m), delSirente (2.349 m) e della Montagna Grande (2.151 m).

La parte orientale è formata da un’ampia fascia collinare subappenninica, co-stituita da terreni argillosi, arenacei e sabbie. Nella zona settentrionale preval-gono arenarie quarzo-micacee grigiastre, parte integrante del grandioso sviluppocollinare che dalle montagne scende dolcemente fino alla costa. Non mancanoformazioni gessose, “sasselle” (vulcanetti di fango), pozzolane e rocce parzial-mente costituite da ceneri vulcaniche. Nella vasta regione montuosa dell’aqui-lano si aprono ampi bacini vallivi un tempo sommersi da acque marine e in se-guito lacustri, oggi bonificati (Fucino), costituiti essenzialmente da calcari e are-narie con residui organici. Le colline presentano terreni argilloso-calcarei e are-narie, tendenzialmente compatte e di medio impasto.

I rilievi montuosi condizionano lo sviluppo dei fiumi, che percorrono gole in-teramente scavate tra le colline argillose e sfociano nel mare Adriatico. L’Alento,l’Osento e il Sinello possono essere definiti “torrenti subappenninici”, mentre sipossono considerare veri e propri “fiumi appenninici”, più lunghi e che nasco-no dalle catene interne, il Tronto, il Vomano, l’Aterno-Pescara e il Sangro.

Il primo lago che si può ricordare è quello di Scanno, pittoresco ed esteso me-no di un kmq, mentre il secondo è l’invaso artificiale di Campotosto, con un’e-stensione di 14 kmq.

Il clima della regione è condizionato dall’altitudine e dalla disposizione deirilievi. Ha un carattere più mite sul versante appenninico rivolto al mare Adriatico,con una temperatura media annuale di 12-16 °C, mentre nei bacini interni e delversante occidentale prevalgono caratteri continentali, e difficilmente la tem-peratura raggiunge la media dei 12 °C. Se si escludono alcune zone siccitose del

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basso Abruzzo, la regione presenta una buona piovosità, con clima mite e lu-minoso e buona ventilazione. Le precipitazioni sono scarse sulle coste, aumen-tano nelle parti più elevate, e diminuiscono di nuovo nelle conche interne ripa-rate dai venti.

Zone vitivinicole

Vitivinicoltura e pastorizia sono da sempre le principali e più tradizionali at-tività economiche regionali ma, a causa dello spopolamento montano, si sonoavuti momenti di decadenza. Soltanto negli ultimi tempi si notano segni di ri-

Vigneti in riva al mare

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presa, grazie ad una politica di modernizzazione e di maggior impulso per la vi-ticoltura. Si sono approfondite le ricerche di selezione clonale sui vitigni autoctonie di altre zone o internazionali, per arrivare ad essere non più solo la regione -probabilmente l’unica - nella quale si possono incontrare cartelli stradali conscritto “Strada scivolosa causa mosto”, ma un territorio in grado di dare ancheprodotti di ottima qualità. Alcuni produttori hanno già intrapreso questa stra-da, valorizzando il montepulciano e il trebbiano d’Abruzzo. Il grande successodegli ultimi tempi può aver colto di sorpresa qualche osservatore un po’ disat-tento, ma la crescita della qualità media è il risultato del processo lento ma con-tinuo degli ultimi 8-10 anni, che dovrà proseguire e trasformare questa regio-ne da “grande serbatoio” di mosto e vino a “grande cantina”. La produzione to-tale di vino, nel 2008, è stata di 3.001.036 hl e quella dei prodotti DOCG e DOCdi 1.195.600 hl (39,84%). L’istituzione delle Strade del vino, dell’Enoteca regio-nale di Ortona e una notevole promozione a livello di marketing, confermanoche ci sono tutte le intenzioni per trasformare l’immagine della produzione vi-nicola di questa regione.

I 37.371 ettari di vigneti sono dislocati per circa il 90% sulle colline preap-penniniche in coltura specializzata, mentre il restante della coltivazione avvie-ne in montagna.

L’alberello diffuso nei vigneti tipici specializzati e le alberate maritate ad ol-mi, aceri o testucchi (le viti arbustive dei latini) della coltura promiscua, hanno

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lasciato spazio ad impianti a sesto ampio per allevamenti di tipo espanso; soloin provincia di Teramo resistono i sistemi tradizionali, anche se non mancano ifilari a controspalliera, guyot e cordone speronato.

Attualmente circa la metà della base ampelografica è costituita da montepul-ciano, mentre per il resto la viticoltura regionale è indirizzata verso la riscopertae la valorizzazione di vitigni tradizionali o autoctoni quali trebbiano abruzzese obombino bianco che, con il trebbiano toscano, copre il 35% della superficie vita-ta, seguito da sangiovese, regina, cococciola, manzoni bianco, malvasia bianca di

I colori dell’autunno nel vigneto

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Candia, montù, regina dei vigneti, pignoletto, malvasia bianca lunga, moscato, pe-corino, montonico e passerina, ma anche verso la sperimentazione di vitigni qua-li chardonnay, merlot, cabernet franc, cabernet sauvignon, pinot bianco, pinot gri-gio e pinot nero.

Le caratteristiche ampelografiche del montepulciano e dei suoi cloni sono ab-bastanza omogenee e garantiscono produzioni costanti. Questo vitigno ha un ci-clo vegetativo lungo e una maturazione tardiva, ed è allevato principalmente acontrospalliera o a tendone.

Il Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane è stato riconosciuto DOCG, e al-le prime due DOC Montepulciano d’Abruzzo e Trebbiano d’Abruzzo, si è aggiuntaControguerra. La zona di produzione per le due denominazioni regionali “storiche”è quasi la stessa e, in base ai disciplinari, i vigneti devono essere ubicati ad un’al-tezza non superiore ai 500 m, eccezionalmente ai 600 m qualora siano esposti amezzogiorno.

La coltivazione del vitigno montepulciano ha un posto di rilievo, perché più dialtri esprime la forza di un territorio da sempre vocato a questa coltura; si adat-ta alle variazioni ambientali, anche se predilige soprattutto zone siccitose e ter-reni molto compatti. Attualmente è il principale vitigno a bacca nera coltivato nel-l’aquilano, copre il 60% dell’area viticola teatina, il 50% di quelle coltivate a vi-te delle province di Pescara e di Teramo, soprattutto attorno a Roseto degli Abruzzi.

Le aree di secolare tradizione viticola che offrono vini strutturalmente diversi,anche se soprattutto Montepulciano d’Abruzzo, sono cinque, e vanno da quelle deidorsali e dei colli tra il Tronto e il Vomano, alla vallata Peligna, a quella dell’Aternoe dell’altopiano di Capestrano, della valle del Tirino e, in parte, della val Roveto.

Lungo la strettissima fascia litorale e nelle valli bagnate dai corsi d’acqua, si tro-vano fertili terreni marnosi, argillosi e sabbiosi, sui quali si sono sviluppate le coltu-re irrigue ortofrutticole più esigenti, mentre nelle siccitose colline medio-basse, ol-tre alle coltivazioni di frumento, si coltivano da tempi antichissimi l’olivo e la vite.

Dal mare, risalendo il Pescara e superate le gole di Popoli, si apre la stupendavalle Peligna, immenso deposito d’erosione che arriva a 900 m slm, con terre pro-fonde, sciolte e fresche e un clima mite, nel quale i vitigni offrono vini d’estremointeresse, soprattutto Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo, con i caratteristiciprofumi dei fiori di montagna. Nella parte collinare del versante orientale del GranSasso ci sono invece i territori di Castel del Monte, Loreto Aprutino, Penne e SanGiovanni Teatino che, tra uliveti secolari, offrono vigne e vini di grande razza, for-se i più nobili d’Abruzzo.

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La zona di produzione della DOC Controguerra è limitata a soli 102 ha de-nunciati: i terreni argilloso-silicei e ferrosi di Torano Nuovo, Corropoli, Ancarano,Controguerra e Colonnella, nel teramano, garantiscono prodotti di qualità.Questi vini offrono sensazioni organolettiche diversificate soprattutto perl’apporto di vitigni quali merlot e cabernet sauvignon, che donano morbidezzaai vini rossi, oltre allo chardonnay, che regala finezza ed eleganza ai bianchi. Ilmicroclima e la struttura del terreno conferiscono ai vini una buona acidità eduna gradevole composizione polifenolica, che li rende adatti alla maturazionee facilmente riconoscibili rispetto a quelli prodotti nelle altre zone.

Le migliori zone per la produzione del Trebbiano d’Abruzzo, oltre a quelle giàmenzionate per il Montepulciano d’Abruzzo, si trovano nella valle Peligna, do-ve il vino acquista un gusto ammandorlato, a Brecciarola in provincia di Chieti,a Corfinio, Prezza, Raiano, Roccacasale, Sulmona e, soprattutto, Vittorito inprovincia di L’Aquila, Penne e Torre de’ Passeri in provincia di Pescara.

Nella zona più meridionale della provincia di Chieti, dove è rilevante la col-tivazione di uve da tavola, è iniziato da poco il processo per migliorare la pro-duzione di vini di qualità.

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Gastronomia

Caratteristica fondamentale della gastronomia abruzzese è la sincera e schiet-ta capacità di rendere squisite in cucina le materie prime tipiche della regione,divisa tra una saporita cucina della costa giocata sulla freschezza del migliorpescato, e una dell’interno, basata sulle carni, specie delle greggi, sui derivatidella trasformazione del latte e sugli ortaggi. Diffuse sono le colture cerealico-le, con produzione di grano duro e, in parte, anche di grano tenero, interessan-ti gli oli, nonché molto pregiata la frutta, come ciliegie, mele, pesche, pere, masoprattutto uva da tavola come le varietà regina di Ortona, cardinal ed italia,prodotte in grande quantità ed esportate in molti paesi europei. La produzionedi olio extra vergine di oliva è in forte crescita, soprattutto qualitativa, con

La ventricina, tipico salume abruzzese

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l’Aprutino Pescarese, il Colline Teatine e il Pretuziano delle Colline Teramane, tut-ti e tre DOP. E un tocco dorato e profumato a tanti piatti è dato dallo zaffera-no, quello in stimmi, dalla purezza garantita, dell’altopiano di Navelli.

I prodotti dell’agricoltura e del mare si trasformano in cucina in una notevo-le varietà di antipasti, come il crudo di calamaretti all’olio, serviti appena pescaticon olio, aceto, sale, cipolla e peperoncino, i calamaretti alla francavillese, ri-pieni con scampetti, pane grattugiato, olio e prezzemolo, lo scapese di Vasto, cioèpesci di fondo come la razza e il palombo tagliati a tranci e poi fritti e lasciatimarinare per un giorno in aceto, eventualmente aromatizzati con pistilli del pre-zioso zafferano di Navelli. Numerosi i salumi, tra cui la mortadella di Campotosto,molto saporita e gustosa perché proveniente da carni di maiali cresciuti allo sta-to brado, chiamata localmente “coglioni di mulo”, e la ventricina di Guilmi, in-saccato di carne di maiale magra e grassa condita con sale, pepe, anice e ab-bondante peperoncino, interessante anche nella versione teramana, con glistessi ingredienti ma conservata in vasi di vetro e consumata spalmata sulle bru-schette. Il fegato dolce, specialità aquilana, è un insaccato di fegato e coratel-la con cedro, miele, arance e canditi, e il fegato pazzo è sempre mortadella difegato, con il peperoncino al posto del miele. E poi l’annoia di Ortona, prepara-ta con trippa e la parte finale del budello, la rosetta e il fegatazzo, sempre diOrtona, a base di fegato, polmone, milza, ventresca e guanciale macinati e con-diti con sale, peperoncino, bucce di arancia, aglio, insaccati in budello e stagionatiper un mese circa.

Tra i primi piatti sono molto richiesti le fregnacce, pasta fatta in casa taglia-ta a pezzi grossi, condita con sugo di carne e abbondante pecorino e le scrip-pelle ‘mbusse, una sorta di crêpe arrotolate con formaggio grattugiato e servi-te in brodo di gallina. Il timballo alla teramana è un piatto particolarmente ric-co e tipico dei giorni di festa, composto da sfoglia condita di carne macinata,mozzarella, polpettine di carne fritte, sugo di carne, tutto cotto al forno. Un di-s corso a parte meritano i maccheroni alla chitarra, tipici spaghetti all’uovo, asezione quadrata, che prendono il nome dall’attrezzo che viene usato per tagliarela pasta, formato da un telaio con fili metallici, simile ad una chitarra, sui qua-li viene stesa la sfoglia e, con la pressione del mattarello, viene tagliata. Il con-dimento classico di questa pasta è un sugo di carni miste, agnello, vitello e maia-le, ma la fantasia ha portato a condirla nei modi più svariati, con i funghi di bo-sco o con i piselli e i funghi, con gli asparagi o con tanti altri ortaggi di stagio-ne, oppure con sughi in bianco di pesce o di carne.

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Per la festa del 1° maggio, in provincia di Teramo, non si rinuncia alla virtù,minestra composta da legumi secchi, legumi e verdure fresche, con diversi for-mati di pasta secca, ed un’altra minestra apprezzata è lu ciabotte, a base di pa-tate, peperoni, pomodori e zucchine.

Tra i piatti da assaggiare non dimentichiamo il brodetto alla pescarese, pre-parato con scorfano, razza, polpo, gattuccio, scampi, cozze, peperoncino, po-modoro e cipolla. Simile, ma con qualche piccola variante, è il brodetto alla va-stese, il guazzetto con sogliole, calamaretti e merluzzetti insaporiti con aglio, olio,peperoncino, prezzemolo e succo di limone, la coda di rospo al rosmarino con-dita con aglio, peperoncino e olio, la sogliola alle olive, le triglie ripiene, il bac-calà in guazzetto con pomodoro, cipolla e peperone.

Tra i secondi a base di carne si trovano diversi piatti a base di agnello, comel’agnello e peperoni, quello a cacio e uova, oppure alla diavola con peperoni ros-si e vino bianco. Sapori particolari sono quelli della pecora aiu cutturu, piattoantico della tradizione aquilana a base di pecora, o meglio di “ciavarra”, la pe-cora giovane, lasciata cuocere per diverse ore con spezie ed erbe aromatiche deimonti d’Abruzzo, e la capra alla neretese.

E poi i rosticini, spiedini di cubettini di carne di castrato grigliati, i torcinel-li, interiora di agnello e capretto farciti con uova e formaggio, avvolti in budel-line e rosolati con olio e lardo, bolliti con erbe aromatiche, le mazzarelle tera-mane, piccoli involtini di fegato di agnello arrotolati in foglie di indivia, legati

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con le budelline e rosolate in olio. Non mancano altre carni bianche, come il co-niglio alla chietina, preparato al forno con farcitura di fette di prosciutto, bur-ro e rosmarino, il pollo alla franceschiello, tagliato a pezzi e cotto con sottace-ti, olio, olive ed erbe aromatiche, il tacchino alla canzanese, una sorta di galantinadi tacchino servita fredda con la gelatina naturale ottenuta dal raffreddamen-to del liquido di cottura.

Le verdure abbondano, ed entrano in cucina con la ghiotta, preparazione astrati di patate, peperoni, pomodori e zucchine, condita con olio e cotta al for-no, la cicorietta cacio e uova, con cicoria, lardo, uova, cipolla, pecorino e pepe-

Gastronomia in Abruzzo

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roncino, la pizza e foje, tipica minestra contadina composta da verdure di cam-po lessate e ripassate con aglio e olio e da pezzi di pizza di granturco.

Famosi i fagioli di Paganica, le cicerchie e le lenticchie di Santo Stefano diSessanio, gli ortaggi dell’altopiano del Fucino, l’aglio rosso di Sulmona.

Di particolare pregio sono i formaggi, ottenuti sia da latte bovino che ovino,come le famose scamorze di Ovindoli e Revisondoli, le caciotte ed i pecorini sta-gionati di Barrea, Tagliacozzo, Roccaraso, il cacio marcetto di Castel del Monte,formaggio tipico e forte da spalmare sul pane, la giuncatella, le caciotte e i ca-ciocavalli dell’Alta valle Peligna.

Chiudiamo con i dolci, come la cassata sulmonese, pan di Spagna farcito concrema al torrone croccante, la cicerchiata, minuscole palline di pasta dolce leg-gera prima fritta e poi legata con miele, con l’aggiunta di confettini variamen-te colorati, i calgionetti al mosto cotto, dolci fritti con all’interno mosto cotto espezie, la pizza dolce a base di pan di Spagna a strati bagnato con Centerbe, caf-fè e alchermes, con ripieno di crema alla vaniglia e al cioccolato.

E poi i mostaccioli, fatti con farina, mandorle, miele e mosto cotto, e le fer-ratelle, tipiche cialde di farina, uova e zucchero, di solito farcite con marmella-ta d’uva e mosto cotto, i bocconotti lancianesi, specie di crostatine di pasta frol-la farcite con mandorle tritate, cioccolato e mosto cotto.

Un discorso a parte meritano i dolci ormai rinomati in tutto il paese, come ilparrozzo a forma semisferica glassato al cioccolato, fatto con farina, uova, zuc-chero, burro e mandorle, il cui nome fu preso a battesimo dal vate GabrieleD’Annunzio, il torrone di Chieti con cioccolato, fichi secchi e mandorle, e l’infinitavarietà di altri torroni, più o meno morbidi, ricoperti al cioccolato, che a L’Aquilae in altre località hanno creato delle vere e proprie piccole industrie. Mandorle:deliziosi frutti da seccare, che entrano in molti dolci abruzzesi e che sono la ve-ra anima dei confetti di Sulmona. Perché gustarli solo in occasione di matrimo-ni, battesimi e altre ricorrenze? E a fine pranzo, non si dimentichi che l’Abruzzoè patria di alcuni amari, liquori e infusi di importanza nazionale, il più famosodei quali è il celebre digestivo Centerbe.

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La vite e la sua storia

Per tentare di avere qualche informazione sulla coltura della vite, è necessa-rio giungere al 5000 a.C., nel periodo in cui si esprime la cultura di Ripoli, la qua-le delinea le genti abruzzo-molisane come comunità basate su un’economia mi-sta, fatta di agricoltura e allevamento. Questa economia si è consolidata in etàpre-romana, con l’affermarsi delle popolazioni sannite, tra le quali le più im-portanti erano quelle dei Pentri, dei Frentani e dei Caraceni. Questi popoli era-no anche viticoltori, ma quando il territorio sannitico diventò una colonia ro-mana, incominciò a spopolarsi. Così, nel 180 a.C., i Romani vi deportarono, a sco-po di ripopolamento, coloni liguri dalla zona apuana, i quali ripresero a coltiva-re la vite. Nonostante le molte pagine che gli storici romani dedicarono al lun-go contrasto di Roma con le popolazioni sannite – tra i quali anche Plinio ilVecchio – essi furono molto avari di descrizioni vitivinicole, tanto che possia-mo solo pensare che, in analogia con le altre regioni italiane, il Molise abbia avu-to la sua modesta produzione di uva e di vino.

Il silenzio continua per l’Alto ed il Basso Medioevo e tenebre profonde si han-no anche nel Rinascimento e nell’Età moderna, anche perché gli itinerari piùimportanti della penisola, attraverso i quali viaggiavano storici ed eruditi,erano ben lontani dalle colline e dalle montagne della catena appenninica nel-la quale era situato il Molise. Solo ad unificazione nazionale avvenuta si co-mincia a parlare di vite e vino molisano, e nel 1871 lo storico Galanti annotache il Molise ha una grossa produzione di vino e che ne fa commercio con gliAbruzzi. Nel periodo 1884-1894 si producevano circa 283.000 hl di vino, conviti poste a coltura a palo vivo, per lo più maritate all’acero. Ma la cosa piùinteressante è apprendere che i vini molisani si collocano tra quelli abruzze-si e quelli pugliesi, quasi a guisa di anello di congiunzione tra le due regioni:tra essi figurano il Trebbiano, il Greco, il Cacaccione, il Cacciadebiti, il Bombinobianco, e tra i rossi il Montepulciano e soprattutto il Sangiovese. Questo qua-dro rimane, nonostante l’invasione fillosserica, più o meno immutato, sino aglianni ‘70.

Ambiente pedoclimatico

Il Molise (4.438 kmq) ha un territorio montuoso per il 55.3% e collinare peril restante 44.7%; confina con Abruzzo, Lazio, Campania e Puglia ed è bagna-to ad est dal mare Adriatico.

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I rilievi appenninici del Molise presentano un andamento irregolare e non acatene parallele come quelle presenti nell’Appennino abruzzese. Procedendo ver-so il mare Adriatico si trovano le ondulazioni subappenniniche, costituite pre-valentemente da arenarie e da argille, soggette a frequenti fenomeni di erosio-ne. La maggior parte dei terreni molisani è di tipo argilloso-sabbioso e di colo-re giallo-rossiccio, con zone ghiaiose di colore rossastro per l’elevato contenu-to di ferro; quelli più fertili si trovano lungo il Biferno, grazie alla scarsa pro-fondità delle falde acquifere.

L’unico fiume piuttosto importante che scorre interamente nel territorio re-gionale è proprio il Biferno (83.5 km), che sfocia nel mare Adriatico, così comeil Trigno ed il Fortore; nel Tirreno sfociano invece il Volturno ed il Tammaro, cheinteressano la regione solo con i loro settori superiori. Tutti questi corsi d’acquahanno regime torrentizio, risentendo delle variazioni stagionali e delle precipi-tazioni. L’unico bacino lacustre da citare per una certa importanza è quello dellago Occhito, ai confini con la Puglia.

Il clima del Molise è molto vario, con sostanziali differenze tra quello dellafascia costiera e quello dei rilievi dell’interno. Sul litorale è tipicamente marit-timo-mediterraneo, con modeste escursioni termiche, temperature miti in ognistagione e scarse precipitazioni, mentre nell’interno è continentale, con note-voli differenze di temperature giornaliere e stagionali, ed intense precipitazio-ni, anche a carattere nevoso.

Zone vitivinicole

In Molise l’area destinata alla coltura della vite è di 7.507 ettari, con una pro-duzione di 319.260 hl nel 2008. Il territorio vitato si trova per l’88% in pro-vincia di Campobasso ed il restante in quella di Isernia. Le vigne si trovano peril 58% in montagna e per il 42% in collina e, dato molto particolare, su 136comuni della regione, 96 hanno caratteristiche di alta collina adatte alla col-tura viticola ed olivicola, grazie ai terreni subappenninici e al clima ideale. Mal’ostacolo principale da superare resta quello degli alti costi di produzione.

Il sistema di allevamento più usato è il tendone (60-80%), anche se si assi-ste ad una sua graduale sostituzione con sistemi di allevamento più modernicome guyot, cordone speronato e controspalliera, predisposti per la meccaniz-zazione delle coltivazioni.

I vitigni a bacca rossa, che sembrano i più promettenti e coltivati fino ad

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Raccolta manuale delle uve

un’altitudine di 500 m slm, sono il montepulciano, il sangiovese e il tintilia, masono presenti anche ciliegiolo, merlot, barbera, cabernet sauvignon e agliani-co. Tra quelli a bacca bianca, coltivati anche a quote superiori ai 500 m, si tro-vano principalmente il trebbiano abruzzese e il trebbiano toscano; poi manzo-ni bianco, malvasia bianca di Candia, pinot bianco, chardonnay, malvasia bian-ca, bombino, moscato bianco, pinot grigio, riesling, sylvaner verde, traminer aro-matico, veltliner, garganega e sauvignon.

In questa regione esistono due realtà molto diverse, quella dell’Alto Molise,di tradizione antichissima ma notevolmente ridimensionata rispetto al passa-to, e quella del Basso Molise, che si è sviluppata dagli anni ‘60, svolgendo unruolo molto importante nell’economia dell’area interessata. La prima è carat-

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terizzata dalla presenza sia di vitigni tradizionali sia di recente impianto, qua-li chardonnay, pinot bianco, pinot grigio e pinot nero, con una resa media dicirca 7 t/ha. In questa zona, con il raccolto 2007 si è presentata sul mercatola DOC Pentro o Pentro di Isernia. Nel Basso Molise la situazione è completa-mente diversa, con aziende di maggiori dimensioni e meccanizzazione. Le re-se si attestano sulle 12 t/ha e si produce la DOC Biferno nelle tipologie Bianco,Rosato e Rosso.

La DOC Molise propone diversi vini, che lasciano ben sperare per il futuro diquesta piccola regione, tra i quali il Moscato, oltre ai vari Aglianico, Greco,Falanghina e Tintilia, particolarmente amato dai molisani.

Gastronomia

Quella molisana è una cucina di grande semplicità, rustica e genuina, cheper la maggior parte deriva da quella dell’Abruzzo, di cui fino a qualche decenniofa questa piccola regione costituiva una parte territoriale, ma risente anche del-le specialità di altre cucine confinanti, come la laziale e la campana ma, so-prattutto, di quella pugliese. Come l’Abruzzo, il Molise trae i suoi prodotti dalmare, dall’agricoltura e dai pascoli, mantenendosi sostanzialmente fedele allaciviltà contadina, tenuto anche conto che l’accidentalità del suolo, la sua scar-sa fertilità, le difficoltà delle comunicazioni, la quasi totale assenza di risorseminerarie e di iniziative industriali, hanno costituito i fattori base dello scarsosviluppo della regione. Il settore agricolo molisano produce grano duro e te-nero, mais, barbabietole da zucchero, uva da vino e da tavola. Buonol’allevamento bovino e suino, ma più sviluppato quello ovino, anche tenendoconto che queste terre erano il passaggio obbligato e numeroso delle trans-umanze, che d’autunno portava dall’Abruzzo fiumi di pecore a svernare nelleallora Puglie, che così mirabilmente Gabriele D’Annunzio ha descritto in più diuna occasione. Possiamo così considerare la cucina molisana divisibile in unadi tipo agreste nell’entroterra ed in una di tipo marinaro lungo la costa, che sisviluppa essenzialmente attorno a Termoli.

Un menu molisano inizia in genere con affettati misti molto saporiti, comela soppressata, le salsicce al finocchio o al pepe nero conservate nel grasso, lemulelle, salumi ricchi di peperoncino, i nirvi e musse, tipico antipasto della zo-na di Campobasso ricavato dal musetto di vitellino, e il meno noto saggicciot-to. Ma il simbolo della salumeria molisana resta la ventricina, da consumareinsieme a fette di fragrante pane casareccio.

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Tra i primi piatti, si ritrovano i tipici maccheroni alla chitarra serviti con ra-gù di agnello e peperoni, oppure con pomodoro fresco e l’immancabile pepe-roncino, i fusilli, rettangoli di pasta arrotolati e un po’ schiacciati, sempre alsugo, i crejuoli, i calcioni di ricotta, cioè dischi di pasta farciti con ricotta, pro-volone, uova e prosciutto e quindi fritti in abbondante olio, le laganelle e fa-gioli, pasta all’uovo maltagliata in minestra con fagioli ed erbe aromatiche, lapizza di grano con le bietole, i tacconi e la polenta al ragù.

Molti secondi piatti hanno come base l’agnello e il capretto cucinati alla bra-ce o in tegame, come il cacio e uova, composto da agnellino fatto a pezzi, cot-to in casseruola con olio, aromi e con l’aggiunta di uova sbattute e pecorinograttugiato, i torcinelli, involtini di budellino di agnello con interiora a pezzetti,uova sode ed erbe aromatiche, la pezzata di Capracotta, che si ottiene cuocendopezzi di capretto e di agnello allo spiedo sulla brace. Buono pure il cicillo, pol-pette di pane, formaggio e uova con pomodoro o in brodo con pezzetti di sal-siccia, il coniglio alla cacciatora, il maiale ai peperoni stufato in casseruola conolio, peperoni dolci, rosmarino, altri aromi ed una spruzzata di aceto.

Diverse le preparazioni a base dei prodotti dell’orto, come le cinfele e tannede rapa, cime di rapa condite con pancetta, aglio, olio e peperoncino, mi-schiate a farina in modo da fare piccoli gnocchetti, i lacci e patate, cioè seda-ni e patate lessate, tipici di Campobasso, il risciusce, miscuglio di legumi e ce-reali lessati e conditi con olio, sale e pepe, le taccozze, tipiche di Carpinone,con lardo soffritto e abbondante peperoncino piccante. Tra i secondi a base dipesce con maggior storia e tipici della costa molisana si ricordano il pappone,zuppa a base di pancotto e pesci di scoglio con un po’ di pomodoro, il bacca-là arracante gratinato in forno con pane grattugiato, mandorle, noci e uva pas-sa, mentre nelle zone interne viene apprezzata la trota al forno, pescata nei tor-renti di montagna.

I formaggi, anche se non numerosi, sono gradevoli, sia freschi come le ricotte,le scamorze, le mozzarelle, sia stagionati come i pecorini, talvolta farciti di pe-peroncino, il caciocavallo di Agnone e il pecorino di Capracotta.

Tra i dolci ritroviamo la cicerchiata, tipica del periodo natalizio, la pigna, icasciatelli ed i picellati, tipici del periodo pasquale, i caragnoli e gli sfingeli,del periodo di S. Giuseppe, le frittelle di pasta cosparse di miele al momento diservirle e il fiadone, torta pasquale con un ripieno di uova sbattute, zucchero,cannella, pecorino dolce e scorza di limone.

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La vite e la sua storia

La coltivazione della vite nella regione campana risale a prima del XII secoloa.C., quando gli Etruschi dal nord e dal centro, e poi i Greci dal mare, comin-ciarono ad insediarsi in quelle terre e trovarono popolazioni che già coltivava-no la vite: a loro fu sufficiente migliorare la tecnica della coltivazione e le pra-tiche di cantina. Ne conseguì un’estensione della coltura di vitigni di un certopregio, tanto che in età romana i vini campani allietavano le mense senatoria-li e patrizie ed erano considerati tra i più rinomati del tempo. Secondo le fontidi allora, apprendiamo che all’ombra del monte Massico si trovano le vigne delFaustiniano, del Caucino e del Falerno; dai Campi Flegrei provengono Cumano,Gaurano, Trifolino ed Amineo. Come si vede, tutti vini di grandissimo pregio, aiquali si accompagnavano anche Cecubo e Formiano, allora rientranti nei con-fini della “Campania felix”. La qualità di questi vini viene ampiamente descrit-ta dalla letteratura romana dell’epoca: Orazio cita quattro tra i migliori vini delsuo tempo, cioè Cecubo, Caleno, Falerno e Formiano, mentre Varrone, nel suotrattato di agricoltura, giudica il Falerno il migliore dei vini, anche se Plinio at-tribuisce l’alloro della vittoria al Cecubo, lasciando la piazza d’onore al Falerno.Con il passare dei secoli questi vini tendono a scomparire, per l’incuria dei pro-duttori, per il restringersi delle aree vitate o per la cupidigia di quelli che, pro-ducendoli, badavano più alla quantità che alla qualità. Nulla di nuovo sotto ilsole! Al loro posto si affermano, per maggior fama, altri vini, tra cui quello diSezze, prediletto da Augusto e dai suoi successori. Da quanto detto si evince consufficiente chiarezza come nell’età romana i vini della Campania godessero diuna indiscussa supremazia.

La decadenza dell’Impero Romano e l’inizio del Medioevo vedono una crisi pro-fonda nell’agricoltura, comune peraltro a tutte le altre regioni italiane. Il risve-glio si colloca intorno al X secolo, quando i nuovi poteri feudali incentivano laproduzione agricola, e quindi anche quella del vino. Qualche secolo dopo, SanteLancerio dà un quadro eccezionale dei vini campani, descrivendo 53 vini, di cui14 dell’allora Regno di Napoli, tra i quali qualcuno già noto come il Faustiniano.Tra i vini menzionati c’è il Greco di Somma, dorato e possente, quello di Posillipoe quello d’Ischia, dolce e mordente, il Latino Bianco di Torre del Greco, ilMezzacane (rosso e bianco) di Vico e di Sorrento, il Coda di volpe di Nola, il RossoMangiaguerra di Castellammare, i rossi e i rosati di Salerno.

Anche Andrea Bacci, nei suoi rendiconti minuziosi, ricalca nella sostanzaquanto illustrato dal Lancerio, e Giovanbattista Porta nel suo “Villae Libri XII”

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evidenzia gli aspetti della fiorente viticoltura campana. Con il XVII secolo iniziaun declino: il panorama viticolo si modifica, con la prevalenza di alcuni vitignisu altri, come l’aglianico, il piede di colombo e il greco. Sempre meno frequen-ti negli scritti degli studiosi che parlano della Campania i nomi Falerno eFaustiniano, mentre viene sempre più evidenziato l’Asprinio: a dargli fama so-no forse la robustezza viticola, che ne ha favorito la diffusione, la povertà di al-col, il bel colore paglierino, il naturale frizzantino e l’idoneità ad essere elabo-rato come spumante.

Nel nuovo panorama, assieme all’Asprinio, si trovano Greco, Aglianico eLacryma, si affermano il Rosso del Vesuvio e il Lacryma Christi bianco, rosso edolce, il Gragnano e il Capri, mentre nell’avellinese il Taurasi conferma il suo suc-cesso, iniziato nel XVI secolo, e il Fiano non perde il suo antico splendore. Il qua-dro si trasformerà ulteriormente nei decenni successivi, specie dopo i danni pro-vocati dall’invasione fillosserica, anche perché questa comporterà una sorta didisamore nei confronti della vite, a vantaggio di altre colture più redditizie, co-me quelle orticole.

Ambiente pedoclimatico

La Campania (13.595 kmq) ha un territorio montuoso per il 34.5%, collinareper il 50.8% e pianeggiante per il 14.7%. Confina con il Lazio, la Basilicata, ilMolise, la Puglia ed è bagnata dal mar Tirreno, lungo le cui coste si dispongo-no alcuni gruppi montuosi e collinari isolati, di origine vulcanica o sedimenta-ria, separati da pianure alluvionali fertili ma poco estese. A queste due fasceparallele se ne può aggiungere una terza, discontinua e di scarsa estensione, co-stituita dalle isole costiere di natura vulcanica come Ischia, Procida, Vivara eNisida, o di natura calcarea come Capri.

I principali rilievi dell’Appennino campano sono il monte Miletto (2.050 m),il Taburno-Camposauro, il monte Cervialto, il Cervati e l’Alburno.

Ad essi succede, procedendo verso la costa tirrenica, una fascia di colline spes-so terrazzate e di ripiani fluviali, che precede le pianure costiere formate da de-positi alluvionali, tra le quali sono interposti alcuni gruppi montuosi preappen-ninici, quali il gruppo vulcanico inattivo di Roccamonfina, il più importante com-prensorio vulcanico d’Europa, quello dei Campi Flegrei ed il maestoso cono delVesuvio (1.279 m); ad essi si aggiungono i rilievi calcarei del Massico, dei mon-ti Lattari e del Cilento. La fascia costiera, uniforme e piatta lungo il golfo di Gaeta,

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assume un aspetto montuoso a capo Miseno (Campi Flegrei), a punta Campanella,estremità della penisola sorrentina, ed a punta Licosa nel Cilento.

I terreni alluvionali dell’Agro Sessese, dell’Agro Capuano, delle pianure diSalerno e di Paestum derivano dallo sfaldamento di rocce calcaree con apportidi argille, sabbie, tufi, scorie vulcaniche e ferrose; sono profondi, permeabili edi buona fertilità. Sulle colline di Avellino prevalgono terre scistose con argille,sfaldamenti di strati arenacei e rocce calcaree. Sulle pendici vulcaniche, spe-cialmente quelle vesuviane, i terreni sono sciolti e pulverulenti, facili da lavo-rare, privi di carbonato di calcio e ricchi di fosforo e potassio.

I fiumi principali della Campania sono il Garigliano al confine con il Lazio, ilVolturno ed il Sele, tutti tributari del mar Tirreno e dal regime pressoché costante.

Meta di Sorrento

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Altri corsi d’acqua minori hanno invece regime torrentizio, così come quei fiu-mi che nascono in territorio campano e scendono verso il mare Adriatico, qua-li il Fortore, il Carapelle e l’Ofanto. Il recente utilizzo delle acque dei fiumi piùimportanti ha in parte ovviato alla siccità, unico punto debole di questo fertileterritorio. Pochi e piccoli sono gli invasi lacustri: il più grande è il lago delMatese, oltre a quello di Averno all’interno di un cratere dei Campi Flegrei, quel-lo di Patria e quello di Fusaro, non lontano da Pozzuoli.

Lungo la fascia costiera e sui bassi rilievi preappenninici il clima è dolce e tem-perato, con inverni miti ed estati relativamente fresche e asciutte che favori-scono tutte le colture; procedendo verso l’interno aumentano progressivamen-te le escursioni termiche, fino ai valori tipici dei climi continentali. Le precipi-tazioni, più abbondanti in autunno, sono in genere modeste nelle pianure co-stiere e nelle conche intermontane, ma copiose sui gruppi montuosi, anche sele piogge sono mediamente piuttosto scarse, con valori che non superano i 1.000mm/anno.

Zone vitivinicole

Gli appassionati intenditori di vino amano questa regione non solo per lesplendide isole e per le zone intorno al Vesuvio ma, soprattutto, per quelle vi-cino ad Avellino e Benevento, dove si trovano i vigneti più pregiati. L’ottimabase ampelografica, le perfetta esposizione al sole, gli inverni miti, le estatitiepide, le piogge concentrate nei periodi autunnali ed invernali e il clima tem-perato, rendono naturale la diffusione della viticoltura in tutta la Campania.Le numerose aziende vitivinicole sono soprattutto di piccole dimensioni, an-che se alcune, modernamente attrezzate e seguite da validi enologi, produ-cono vini di indiscussa qualità e tengono alta l’immagine enologica della re-gione.

La superficie campana coltivata a vigneto è di 29.897 ettari, con una produ-zione di 1.768.070 di hl nel 2008, con una prevalenza di vini rossi.

La coltura specializzata copre ormai tutto il comparto viticolo; il sistema apergola, in uso da secoli, è stato progressivamente sostituito da spalliere e con-trospalliere. Prima dell’avvento della fillossera, in Campania erano presenti 52uve a bacca nera e 30 a bacca bianca. Attualmente i vitigni più coltivati a bac-ca rossa sono aglianico, barbera, sangiovese, piedirosso, montepulciano, mer-lot ed altri, tra cui greco nero, primitivo e ciliegiolo; quelli a bacca bianca sono

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falanghina, malvasia bianca di Candia, manzoni bianco, trebbiano toscano, ol-tre a coda di volpe, fiano, greco, pignoletto, asprinio, biancolella, malvasia bian-ca lunga e forastera.

I vitigni più coltivati in Campania hanno origini antichissime.L’aglianico deriva dalla “vite ellenica” ed è stato introdotto dai Greci fin dal-

la fondazione di Cuma. Da questo vitigno si ottiene uno dei vini più importan-ti di tutto il contesto nazionale, il Taurasi.

Il greco ha probabilmente la stessa origine, mentre il fiano sembra abbia ra-dici ancor più remote e la sua importazione viene attribuita ai Fenici.

Altri vitigni autoctoni, diffusi per lo più sull’isola di Ischia e nel napoletano,sono biancolella, falanghina, forastera e per’ ‘e palummo o piede di colombo.

Aree adatte alla coltura della vite si trovano un po’ ovunque, grazie ai terre-ni sciolti, profondi e fertili, ricchi di ferro, sabbia, argille e scorie vulcaniche. Iterreni vulcanici sono i più idonei per la viticoltura, e alle pendici del Vesuvio cisono quelli più estesi d’Europa.

La parte collinare del litorale in provincia di Caserta è la zona di produzio-

Sant’ Agata de’ Goti

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ne del vino Falerno del Massico. Nel casertano è ancora diffusa la coltura pro-miscua, ancor più di quella specializzata, e la viticoltura ha un aspetto partico-lare e vario, passando dalle zone di Presenzano e Mondragone, con buona par-te dell’area di produzione del Falerno del Massico con le viti allevate basse, aquella della piana aversana con i tipici festoni, antico retaggio di colture etru-sche.

Il comparto vitivinicolo sannita, identificato nella provincia di Benevento, conle zone del Solopaca, del Taburno, dei Colli del Sannio e della valle Caudina, haun ruolo preminente nel settore vitivinicolo regionale. La sua importanza è do-vuta sia ai quantitativi di uva prodotta, che collocano la provincia di gran lun-ga ai vertici regionali, sia agli sforzi profusi per realizzare colture specializzatee per migliorare le strutture di trasformazione.

In provincia di Avellino, il comparto vitivinicolo irpino ha una fisionomia par-

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Vigneto nel beneventano

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ticolare, che lo diversifica da quella delle altre zone per la pregevole produzio-ne di vini di qualità, come le DOCG Taurasi, Greco di Tufo e Fiano di Avellino.

Nella zona del Taurasi la vite è coltivata in forma specializzata secondo i cri-teri della coltura a spalliera bassa. Il vitigno aglianico per produrre il Taurasi, giàdefinito da Arturo Marescalchi “il fratello maggiore del Barolo e del Barbaresco”,è una varietà che matura tardivamente ed è prodotto in 17 comuni che fannoda cornice a Taurasi.

La collocazione dei vigneti per la produzione del Greco di Tufo è in media col-lina e la coltura è specializzata.

La zona del Fiano di Avellino, anch’essa situata in media collina, è caratte-rizzata da terreni compatti, naturalmente poveri di sostanze organiche, ricchidi potassio e fosforo e formati da argille. Il Fiano di Avellino, ottenuto dal vi-tigno fiano, definito “vitis apiana” perché delle sue uve erano ghiotte le api, èun vino bianco che merita di essere inserito tra i nobili italiani e migliora conuna buona maturazione. La zona eletta di produzione è quella di Lapio ed è am-messa la menzione tradizionale “Apianum”. La produzione limitatissima è do-vuta alla delicatezza del vitigno nel periodo della fioritura, ma il livello quali-tativo è alto.

In provincia di Avellino è stata riconosciuta la DOC Irpinia, l’ultima inCampania, che prevede la sottozona Campi Tuarasini, per la produzione di unvino rosso ottenuto da aglianico. È la diciassettesima DOC regionale e l’unicadella provincia di Avellino, ed è prevista anche della tipologia Spumante ela-borato con il metodo classico. In pratica, la DOC Irpinia, oltre al compito di va-lorizzare la viticoltura e tutta la produzione provinciale, avrà anche quello difare da paracadute (DOC di ricaduta), alle tre DOCG già riconosciute.

In provincia di Napoli, le aree più interessanti per la viticoltura sono sullecolline litoranee, in particolare quelle dei Campi Flegrei, della penisola Sorrentina,del Vesuvio, delle isole di Capri, Ischia e Procida. Nella penisola Sorrentina i ter-reni sono ricchi e profondi; la sistemazione dei vigneti, soprattutto nell’area deimonti Lattari, con una felice esposizione prevalentemente a nord, è tipica a ter-razze. Nell’area del Vesuvio, i territori più idonei per la viticoltura sono quelli delversante orientale, perché più soleggiati, meglio esposti e rivolti verso il mare.A Capri, l’allevamento della vite è a pergola o a spalliera; la produzione dei vi-ni, per sopperire a quella limitatissima dell’isola, può avvenire in tutta l’area del-la provincia napoletana. Nell’isola di Ischia i terreni sono in genere lavici e tu-facei ed i vigneti, che danno origine a terrazzamenti delimitati da muri di tufo

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a secco (parracina), si trovano in zone talmente scoscese che, come poche al-tre in Italia, meritano il riconoscimento di viticoltura di montagna. I vitigni piùcoltivati sono il biancolella e il forastera tra quelli a bacca bianca e il piediros-so (piede di colombo), nome particolare che gli deriva dal fatto che il racimoloassomiglia al piede dell’omonimo volatile, tra quelli a bacca rossa. I sistemi diallevamento e di potatura sono profondamente diversi secondo le zone. A nordè applicato il sistema etrusco, con pianta sviluppata in altezza e molto espan-sa, caratterizzato da grande produttività, mentre a sud si segue il sistema gre-co ad alberello basso, con potature vigorose e scarsa resa.

Infine, in provincia di Salerno, troviamo l’area del Cilento, con terreni per lopiù poveri, a sfondo argilloso e privi di materia organica, dove la viticoltura nonha ancora espresso tutto il suo potenziale.

La pizza, bandiera della cucina napoletana

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Gastronomia

La cucina campana viene considerata una tra le più salubri della gastrono-mia italiana, forse l’emblema della cucina mediterranea così apprezzata negliultimi anni, ricca dei colori del pomodoro e del basilico e dei profumi dell’aglioe del peperoncino, in grado di regalare sensazioni franche e saporose, sia con ipiatti di terra che di mare. È la cucina che ha esportato in tutto il mondo la pa-sta, un capolavoro culinario, e l’altro grande piatto genuino, la pizza, a base diingredienti semplici e “poveri” come acqua, farina, lievito, sale, pomodoro e moz-zarella, cotta nel tradizionale forno a legna, anche se ormai le varianti sono nu-merose, dalle più semplici con un po’ di origano e acciughe, a quelle più elabo-rate con uova, frutti di mare, salumi, formaggi e verdure di ogni tipo.

La regione ha una spiccata vocazione agricola, nella quale primeggiano le col-tivazioni di ortaggi e frutta, che vede in primo piano il pomodoro nelle sue in-finite varietà, dal San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino, riconosciuto DOP, dasugo o conserva, a quelli da insalata del salernitano e di Torre del Greco. Oltreal pomodoro sono importanti le patate, i cavolfiori, i peperoni, i carciofi, le ci-polle assai pregiate e i piselli. Tra la frutta, molto ricercata e gustosa, prevalgo-no le pesche, specialmente quelle di Sorrento e di Napoli, le albicocche, le ci-liegie, le fragole, le famose noci ed i limoni. E non si possono trascurare gli oliextra vergine di oliva DOP Penisola Sorrentina, Cilento, Irpinia - Colline dell’Ufitae Colline Salernitane.

La zootecnia ha vasti allevamenti vaccini che alimentano il settore casea-rio, ai quali si aggiungono migliaia di capi di bufale che permettono la produ-zione della celeberrima e deliziosa, morbida e succulenta mozzarella di bufalacampana, oltre ad altri formaggi come il fiordilatte e il fiore di ricotta, produ-zione tipica dei monti Lattari, la ricotta salata di Montella, il caciocavallo ba-gnolese, il provolone del monaco, il burrino in corteccia, e poi pecorini e pro-vole affumicate.

Nonostante tutto questo ben di Dio, l’antipasto napoletano è piuttosto po-vero di piatti, tra i quali si può ricordare l’impepata di cozze con olio, limone,molto pepe nero e prezzemolo, e i peperoni farciti. A base di pane troviamo lapanzanella, con fette di pane raffermo inumidite e condite con pomodoro, ci-polla, aglio, acciughe e basilico, gli spiedini alla napoletana, con pane casarec-cio, pomodori, mozzarella e melanzane, passati nella farina e nell’uovo sbattu-to e poi fritti in padella, il pane imbottito, pane in cassetta con mozzarella, po-

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modoro, acciughe dissalate, origano e olio. Per non parlare della famosa ed“esportata” mozzarella in carrozza, sandwich di pan carré con mozzarella, pas-sati nella farina, poi nell’uovo sbattuto ed infine fatti dorare nell’olio bollente.Gustosi e sapidi sono anche i crostini alle acciughe o al prosciutto, il prosciut-to di montagna irpino, il tarantiello, curioso salume a base di ventresca di ton-no, i salumi al peperoncino e le zucchine a scapece, tagliate a rondelle, fritte edorate e poi insaporite con aglio, aceto e prezzemolo.

Come la pizza, il calzone è considerato un piatto unico, ed è formato da unapasta lievitata ripiegata a forma di grosso raviolo, farcito con prosciutto, uovosbattuto, mozzarella, ricotta, pepe ed erbe aromatiche. Un’altra preparazione par-ticolare è il casatiello, ottenuto con un impasto morbido di farina, acqua, lievi-to, strutto e sale, al quale viene aggiunto del salame a cubetti e del pepe.L’impasto viene spianato, arrotolato su se stesso e posto in uno stampo con ilbuco in mezzo. A questo punto, uova intere, crude e complete di guscio, ven-gono inserite nell’impasto ad intervalli regolari, affondandole per metà. Si la-scia lievitare e si mette poi nel forno a cuocere. Anche il viccillo è una prepa-razione caratteristica, ciambella di pasta lievitata e ripiena di uova sode, sala-me e mozzarella.

Numerosi sono i primi piatti, come i fusilli alla vesuviana con pomodoro,mozzarella, pecorino e peperoncino, i perciatelli di Santa Lucia con melanzane,carne trita, pancetta, fegatini e piselli, gli agnolotti alla napoletana, ripieni diricotta, mozzarella e profumo di basilico, la pasta alla puttanesca, particolare

specialità di Ischia con pomo-dori, capperi, acciughe, olive epepe, gli strangolapreti, gnoc-chetti di farina e patate, con su-go di carne o pomodoro e basi-lico, la minestra maritata, conosso di prosciutto, salsiccia, bie-tole e cavoli bolliti, e le zite ri-piene di carne di maiale.

Un altro dei grandi piatti del-la tradizione meridionale, pre-parato un tempo per carnevale,è rappresentato dalle lasagnealla napoletana, ottenute stra-

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Casatiello

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tificando lasagne larghe con ricotta, sugo ottenuto con concentrato di pomo-doro, lonza di maiale, pancetta e vino rosso, mozzarella, salsiccia e qualche pol-pettina ottenuta a sua volta con mozzarella, salsiccia, lonza di maiale, ricotta,uova, parmigiano, sale e pepe; l’ultimo strato viene cosparso di parmigiano reg-giano, mozzarella e sugo, e si passa tutto in forno a gratinare. E poi i cecatielli,rudimentali gnocchi preparati a mano e serviti con ragù di carne e pomodoro,tipici delle zone irpine che risentono in parte dell’influenza della cucina puglie-se.

Un posto di riguardo è occupato dalle zite alla napoletana, ricetta celebratada Eduardo De Filippo in “Sabato, domenica e lunedì” e da Giuseppe Marotta.Le zite vengono condite con un sugo a base di carne di maiale o di manzo, pro-sciutto a dadi, pancetta, cipolle, aglio, olio e strutto, vino rosso secco, salsa edoppio concentrato di pomodoro, sale e pepe, e si dice che questo piatto nonammetta varianti. Tra le zuppe ricordiamo quelle di cardoni, con cardi bolliti inun brodo di pollo, la zuppa di soffritto con interiora di maiale, polmone e cuo-re, tagliati a pezzetti e cucinati con olio ed abbondante salsa di pomodoro. I pri-mi piatti del mare sono numerosi, tra cui gli spaghetti con le cozze, i vermicellimarechiaro preparati con frutti di mare, gamberoni, pomodori freschi, aglio, prez-

Spaghetti alle cozze

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zemolo e pepe, il risotto mari e monti, con pesci e funghi, e la zuppa di pesce.Particolari sono anche il camiscione e il gattò di patate, uno sformato a ba-

se di patate bollite e schiacciate, impastate con parmigiano reggiano e pecori-no grattugiato, uova e prosciutto a dadini; l’impasto viene posto in uno stam-po, cosparso di dadini di mozzarella e scamorza affumicata, e coperto con unaltro strato del composto, sul quale disporre qualche gnocchetto di burro e par-migiano reggiano grattugiato. Gustosi anche la pasta fritta, recupero di avanzidi pasta con polpettine e ragù, il timballo di pasta ed il sartù, timballo di risofarcito con salsiccia, polpettine, mozzarella, prosciutto, rigaglie di pollo, funghi,piselli, salsa di pomodoro ed altri ingredienti ancora.

Tra i secondi è famosissimo il ragù alla napoletana a lentissima cottura - al-cune ore -, con un fondo di grasso di prosciutto e strutto, con sedano, carotaed erbe aromatiche, in cui si pongono degli involtini di carne arrotolati e lette-ralmente immersi nella salsa di pomodoro che, alla fine, servirà per condire ilprimo piatto. Altrettanto gustose sono le bracioline arrotolate, fettine fini dimaiale con prosciutto, aglio, mollica di pane, formaggio e prezzemolo, la carnealla pizzaiola, in umido, con origano, capperi ed aglio, e la costata alla pizzaio-la. Saporite ed invitanti sono le braciole alla napoletana, che consistono in unaspessa fetta di manzo imbottita di prosciutto e provolone tritato, il coniglio al-la cacciatora e all’ischitana, tagliato a pezzi e cotto con olio, vino bianco, ro-smarino, salvia ed altre erbe aromatiche, la trippa alla napoletana, la frittata difriarelli con abbondante formaggio grattugiato. Molto apprezzato è il caprettocacio e uova, il capretto al-l’uovo, rosolato a pezzi moltolentamente con olio e cipolla,e il capretto in agrodolce, spe-cialità irpina. Una curiosità èla fòlaga all’aceto, spellata,bollita parzialmente in acquae aceto, poi cotta in tegamecon olio, cipolla, lardo e pe-peroncino.

Tra i secondi di mare tro-viamo il baccalà in casseruo-la e quello alla napoletana,infarinato, fritto e poi stufa- Capitone arrosto

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to con pomodoro, olive e capperi, i calamaretti alla napoletana in casseruola, conuvetta, pinoli e olive nere, ravvivati da un tocco di peperoncino, le sarde in te-glia con rosmarino e origano, gli spiedini dorati di crostacei e molluschi, i polpialla Luciana, cotti lentamente con pomodoro, olio, aglio ed un pizzico di pepe-roncino, il sarago alla partenopea, l’anguilla e il capitone arrosto.

Tra i contorni spicca caratteristica l’insalata di rinforzo, insieme di verdure conpatate, cavolfiori, olive, capperi, sottaceti vari, acciughe, olio e aceto, i pepero-ni imbottiti alla napoletana, arricchiti dal sapore delle acciughe dissalate, la giar-diniera di Pulcinella, con cavolfiore lessato, olive verdi, capperi, acciughe, ci-polline, peperoncini e cetrioli, le melanzane alla sorrentina e la parmigiana dimelanzane, con melanzane fritte e passate in forno, disposte a strati con salsadi pomodoro, mozzarella e parmigiano reggiano.

Il sole e il clima campano non possono non favorire il profumo dei frutti, co-me il fico bianco del Cilento DOP, i limoni di Sorrento e quelli della Costa d’Amalfiche, come la castagna di Montella, il marrone di Roccadaspide, la melannurcacampana e la nocciola di Giffoni, hanno ricevuto il riconoscimento IGP.

Tra i dolci, la regina indiscussa è la pastiera, che un tempo era il tipico dolcepasquale napoletano e che richiedeva un tempo di preparazione lunghissimo, so-prattutto perché il grano doveva rimanere a bagno diversi giorni, cambiando spes-so l’acqua, per venire poi cotto a lungo nel latte. Oggi il grano “precotto” sem-plifica molto la preparazione. La pastiera è preparata con pasta frolla ripiena diricotta, grano precotto, burro, scorza di limone grattugiata, zucchero, uova, va-nillina, cannella, acqua di arancia, cedro e arancia canditi. Si può facilmente im-maginare la delizia finale. Non sono da meno le sfiziose sfogliatelle, sia ricceche lisce, il babà, di pasta soffice ed imbevuto con una bagna di acqua, rum ezucchero, i susamelli nella tipica forma a “S”, fatti con farina, zucchero, man-dorle, miele e canditi, gli sfroccolati, fichi secchi tagliati a metà e farciti con se-mi di finocchio, la torta di ricotta, a base di pasta frolla e ripiena di ricotta aro-matizzata, le zeppole di San Giuseppe. E poi gli struffoli, tipici dolci di Natale,forse retaggio dell’antica Grecia, con ingredienti come frutta candita e miele, itarallucci dolci e i panicilli della penisola sorrentina. Se poi capita di passare unabella vacanza nell’isola di Capri, non si può non assaggiare la tipica torta ca-prese a base di mandorle, così come i dolci di mandorla di Castellammare diStabia, purtroppo sempre più raramente prodotti secondo la tradizionale ricet-ta originale, mentre nel Sannio il dominio incontrastato è appannaggio del tor-rone, senza dimenticare la malìa del liquore Strega, a base di numerose piante

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La vite e la sua storia

In Puglia la coltivazione della vite precedette i primi contatti tra le popolazionipugliesi e i mercanti fenici, che si affacciarono in Puglia intorno al 2000 a.C. eche apportarono come uniche novità l’introduzione di nuovi vitigni e di più ef-ficienti tecniche di coltura. Un analogo apporto lo dettero i coloni greci, proba-bilmente meravigliati di trovare già vigne lussureggianti e vini commestibili.

L’occupazione romana trova perciò vigneti fiorenti e vini sicuramente gra-devoli, tanto che il poeta Orazio li paragona al Falerno, considerato all’epoca ilmiglior vino. Ma che i vini pugliesi fossero molto buoni lo conferma lo storiconaturalista Plinio il Vecchio, che loda i vini di Taranto, il grammatico latinoPorfirione del III secolo d.C. ed il poeta latino Marziale, che esalta i vini di quel-le vigne felici. Molto apprezzati sono i vini di Canosa, di Brindisi e quelli dellevigne di Locorotondo e Martina Franca. Al disfacimento dell’Impero Romano enei successivi secoli di crisi in tutta Italia, la vitivinicoltura pugliese non subìun arresto nello sviluppo e nel commercio dei vini, che rimase sempre l’attivitàdi maggior rilievo sino al tempo dell’illuminato governo di Federico II di Svevia,noto per la sua passione per la vite ed il vino. Questi - siamo intorno al 1194 -favorì anche la sperimentazione e la diffusione di nuove varietà di vitigni.

Nel Medioevo la vite è in pieno sviluppo. Sui moli dove un tempo attracca-vano le navi greche e fenicie, altre, cariche di vino, salpavano per i porti adria-tici - Venezia in primis - e per quelli orientali, alimentando un attivo commer-cio che arrivava, con qualche difficoltà, anche a Napoli e in Toscana. Ma chefossero i porti adriatici ed orientali a ricevere pressoché tutta l’esportazione pu-gliese lo testimonia indirettamente Sante Lancerio nel XVI secolo, scorrendo lasua carta dei vini per la mensa papale, nella quale sono menzionati solo vinicalabresi e napoletani, per quanto attiene alla presenza dei vini dell’Italia delsud. Un suo contemporaneo, Andrea Bacci, elogiò la bontà dei vini di Lecce, diBari e del foggiano, dando però maggiore celebrità a quelli prodotti dai vigne-ti di Manfredonia “che ha colline sassose, le quali godono mirabilmente dellafeconda aura marina”. Un po’ più ricco il ritratto che fa Prospero Rendella nel1629, che descrive i vini di Gravina e di Bitetto, di Cisternino dai vini leggeri,di Polignano, di Trani con il suo Moscato, di Nardò ed infine di Taranto con isuoi grandi vini.

L’attività vitivinicola in Puglia continua incessante nei secoli successivi, matrova un particolare impulso quando, nel XIX secolo, l’Europa viticola è in gi-nocchio in seguito alle devastazioni fillosseriche. I commercianti del nord ed i

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francesi, intorno al 1870, acquistano grandi quantitativi di vini pugliesi persopperire alla momentanea carenza di produzione. La conseguenza diretta fu chenel giro di pochi anni la superficie coltivata a vite si triplica, passando da100.000 a 300.000 ettari e oltre. Fu un vero e proprio boom di vini da taglio eda mezzo taglio, prodotti nella zona di Barletta, Corato, Bitonto, Brindisi, Lecce,Gallipoli. Sono giudicati da mezzo taglio i tipi Taranto, Tavoliere delle Puglie eCapitanata. A questi si aggiungono, particolarmente apprezzati, quelli di SanSevero ed i vini dolci, come il Moscato di Trani e l’Aleatico. Su questo eccezio-nale rigoglio, si abbatte nel 1919 la fillossera, che colpisce duramente la regio-ne: nel giro di cinque anni la produzione scende da 12 milioni di hl ad appena2. Occorreranno decenni perché i viticoltori, con attività instancabile, possanoripristinare l’antico patrimonio viticolo.

Ambiente pedoclimatico

La Puglia (19.361 kmq) confina con il Molise, la Basilicata e la Campania, è ba-gnata dai mari Adriatico e Ionio, ed ha un territorio montuoso per l’1.5%, colli-nare per il 45.3% e pianeggiante per il 53.2%. Da nord a sud si succedono quat-tro territori, il Gargano, il Tavoliere, le Murge e il Salento o penisola Salentina, aiquali si può aggiungere il subappennino Dauno, al confine molisano-campano, con

terreni argilloso-calcarei.Il Gargano è un promon-

torio di calcare scuro e roc-ce eruttive, interessato dafenomeni carsici e da im-ponenti erosioni sul frontemarino. Ha una superficieondulata e pendii ripidi oterrazzati, ricoperta da unafolta vegetazione mediter-ranea con olivi e pinid’aleppo, che costituisconola Foresta Umbra.

Il Tavoliere è la più ampiapianura meridionale, conterreni alluvionali formati daPu

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argille e sabbie; la costa è bassa e sabbiosa. Le Murge sono formate da agglo-merati di rocce calcaree che degradano dolcemente verso la costa adriatica.

Il Salento, chiamato anche Messapia dal nome degli antichi abitanti, com-prende la piana di Lecce, quella Zagarese fino a capo d’Otranto e quella di Matinosul mar Ionio fino a S. Maria di Leuca. Il terreno è anche qui calcareo, molto fer-tile, permeabile, fresco e di colore rosso-ocra per la presenza di ferro. Le costeed il sottosuolo presentano fenomeni erosivi, solo in parte conosciuti, come legrotte di Castellana e della Zinzulusa.

Nessun fiume è interamente pugliese; i due principali sono il Fortore e l’Ofanto,alle due estremità del Tavoliere, che nascono nell’Appennino campano e sfocianonel mare Adriatico. La scarsa presenza di rilievi, la limitata altitudine, la per-meabilità dei terreni e la bassa piovosità non hanno mai favorito l’idrografia disuperficie. In Puglia si trovano degli avvallamenti che si riempiono d’acqua so-lo in caso di abbondanti precipitazioni, che vengono chiamati “lame” sul ver-sante adriatico e “gravine” su quello ionico. I due laghi più importanti sono quel-li costieri di Varano e di Lesina nel Gargano; nella provincia di Lecce se ne tro-vano altri due, denominati Alimini o Limini, sempre costieri, alimentati da sor-genti e canali sotterranei.

Il clima è tipicamente mediterraneo, con tempo bello e stabile per lunghi pe-riodi. Gli inverni sono miti e scarsamente piovosi, anche se è in questa stagioneche si concentrano le rare precipitazioni. Le estati sono calde, ben ventilate easciutte, ma in alcune zone, come nel Tavoliere, possono essere torride, mentrein quelle più elevate sono più fresche. L’escursione termica annuale e giornalie-ra aumenta salendo da sud verso nord e dalle coste verso l’interno. La Puglia èesposta all’azione dei venti caldi, che condizionano temperatura e umidità.

Zone vitivinicole

La ricostruzione dei vigneti su piede americano, dopo il disastro causato dal-la fillossera, si è basato soprattutto sui vitigni primitivo e negro amaro, seguendoil criterio di alte produzioni di vini intensamente colorati, con elevato titolo al-colometrico e bassa acidità, ricchi di estratti e destinati principalmente al ta-glio. Tale sistema ha assicurato una fiorente esportazione di vini, adatti per rin-forzare e migliorare le produzioni vinicole settentrionali e d’oltralpe, ma questoorientamento ha privilegiato la quantità a discapito della qualità.

Gli odierni obiettivi sono diversi, mirati al miglioramento della produzione dei

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vini da tavola, con l’introduzione di nuove varietà di vitigni, alla sostituzione deisistemi di allevamento e alla modernizzazione delle attrezzature utilizzate. A cor-nice di un contesto vitivinicolo di prim’ordine, negli ultimi tempi sono nate nu-merose Strade dei vini pugliesi di qualità, tutte con un fascino agrituristico eculturale particolare, tale da interessare appassionati di enologia, arte ed am-biente. La Puglia è una terra avara d’acqua, ma a ragione è definita “la cantinad’Italia”, poiché la produzione è sempre stata ai vertici nazionali.

104.462 ettari di vigneto, dislocati per il 92% in pianura e solo per il 7.5% incollina e lo 0.5% in montagna, con una prevalenza di vitigni a bacca rossa checoprono quasi il 70% della superficie vitata, sono la base di una grandissima pro-duzione di vino, che nel 2008 ha raggiunto 6.539.703 hl, seconda di tutta la pe-nisola dopo il Veneto.

Le forme di allevamento più in uso sono quelle a tendone, a guyot e a cor-done speronato; tipico ed ancora diffuso è l’alberello pugliese, definito a pota-tura corta.

I vitigni a bacca nera occupano l’82% dell’area coltivata. Il negro amaro è ilpiù diffuso, seguito dal primitivo ed altri ancora, quasi tutti ritenuti d’origine gre-ca. Il primitivo sembrerebbe un vitigno autoctono, imparentato con il califor-

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niano zinfandel, ma la questione rimane molto controversa; il suo nome potrebbederivare da Primicerio Indellicati di Gioia del Colle, oppure da “primaticcio”, asottolineare la non comune precocità della sua epoca di maturazione.

I vitigni più diffusi si possono suddividere in 3 zone distinte:- a nord di Bari: bombino bianco e nero, trebbiano toscano, uva di Troia, san-

giovese e montepulciano- al centro, soprattutto nella valle d’Itria: verdeca e bianco d’Alessano- al sud, in provincia di Lecce e Taranto: negro amaro, primitivo e malva-

sia nera.

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Il paesaggio della Daunia, della Terra di Bari, della Murgia costiera, della pia-na Messapica e delle Serre della Penisola Salentina, zone a maggior vocazioneviticola, sono dominate dai filari dei vigneti e dai profili eleganti e argentati de-gli olivi.

La regione propone attualmente 26 DOC, con numerosi vini e tipologie diver-se. La Puglia, inoltre, è stata la prima regione a proporsi nel 1997 con le IGT Daunia,Murge, Valle d’Itria, Salento, Tarantino e Puglia. La Daunia, in provincia di Foggia,è caratterizzata dalla zona di San Severo, che annovera vini riconosciuti “tipici”già tra i primi d’Italia, con D.M. 29/03/1932, ma la loro tipicità e la tutela dellaloro denominazione d’origine era stata sancita ancor prima con accordi interna-zionali. Da allora, passati alcuni decenni, la presenza della vite si è sempre più al-lontanata dal centro abitato di San Severo, creandosi nuovi spazi nelle valli e nel-le zone pianeggianti. Le pianure e le colline del foggiano, temperate dalle brezzemarine e influenzate dalle escursioni termiche dei rilievi del Gargano e dei mon-ti della Daunia, sono zone ricche di vigneti dai quali, per lo più, si ottengono vinibianchi delicati, anche perché le uve a bacca bianca si adattano in particolar mo-do a questi terreni calcarei, argillosi e sabbiosi. Non mancano però i vini rossi, nonparticolarmente strutturati, ad eccezione di qualche “novità” dei cosiddetti viti-gni internazionali. Il vitigno principe della zona, il bombino bianco, ha ceduto len-tamente il passo al più produttivo trebbiano toscano, e anche i sistemi di alleva-mento si sono gradualmente orientati verso quelli a maggior espansione, con re-se superiori ma più equilibrate, a differenza di quanto è accaduto nelle aree me-ridionali della regione, dove l’attaccamento alla tradizione è più tenace.

Il comprensorio settentrionale della provincia di Bari, dominato dall’anticocastello di Federico II, il Castel del Monte, è un’area degradante dalla Murgia(450 m slm) verso una costa che non diventa mai pianura (50 m slm) e, graziealle condizioni pedoclimatiche favorevoli, presenta vigneti interessanti, in un pae-saggio in cui si alternano olivi e mandorli. Condizioni climatiche ottimali nonsolo per le varietà autoctone, ma anche per quelle internazionali. I vitigni piùdiffusi tra quelli tradizionali sono l’uva di Troia, il bombino bianco e nero,l’aglianico e il pampanuto, mentre è sempre maggiore la presenza di chardon-nay, sauvignon, pinot bianco e pinot nero.

La parte meridionale della provincia di Bari e quelle di Brindisi e Tarantosono caratterizzate dalla presenza di vini bianchi interessanti quali Locorotondo,Martina Franca e Gravina ottenuti dai vitigni verdeca e bianco d’Alessano i pri-mi due, malvasia bianca lunga unitamente ad altri il terzo.

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Proprio nella penisola messapica, tra Brindisi e Taranto, si trova ancora mol-to diffuso l’alberello, sistema classico dell’antica viticoltura, che tende ad esse-re sempre più sostituito dalla spalliera. Siamo nella penisola Salentina, dovetrovano vita tante piccole denominazioni, che si distende per un centinaio di chi-lometri tra il mare Adriatico e lo Ionio ed è definita il “tacco” dello stivale. Pereffetto delle risorse idriche e del clima, con buone escursioni termiche tra il gior-no e la notte, questa zona rappresenta la Puglia vitivinicola per eccellenza. Quila coltivazione della vite ha origini antichissime, essendo stata introdotta in epo-ca remota dall’Asia Minore, e sin dai tempi della Magna Grecia è stata la col-tura principale. Il vitigno più diffuso è il negro amaro. Da questo vitigno si pro-ducono vini rosati di assoluto prestigio, forse i più importanti di tutto il conte-sto nazionale. Particolarmente diffusi in tutta l’area sono anche i vitigni mal-vasia nera di Brindisi, di Lecce e il primitivo, coltivato soprattutto nel taranti-no, che contribuiscono a caratterizzare ulteriormente i vini del Salento, graziead una situazione pedoclimatica molto favorevole.

Vigneto di negro amaro

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Gastronomia

Se la qualità della gastronomia pugliese è tra le più alte d’Italia, in esempla-re equilibrio tra i prodotti del mare e della campagna, tracciarne un quadro uni-voco è abbastanza difficile, in quanto questa regione è lunga oltre 400 km, conpiù di 800 km di coste. Certamente l’agricoltura è il settore di maggiore impor-tanza per l’economia pugliese, con grande produzione di barbabietole da zuc-chero e cereali, in particolare grano e avena, cui segue a breve distanzal’olivocoltura, con 2 milioni di hl di olio. In Puglia ci sono 5 DOP: Collina di Brindisi,Dauno, Terre di Bari, Terra d’Otranto e Terre Tarentine. La coltivazione di ortag-gi e frutta è di notevole rilievo, con la straordinaria produzione di carciofi, pri-ma in Europa, seguita da quella di insalate, pomodori, finocchi, cavolfiori, zuc-chine, peperoni e pesche, mandarini, mandorle, pere, ciliegie, albicocche, uva datavola e cocomeri. Molto ampia è la disponibilità di prodotti ittici, che pone laPuglia ai primi posti in Italia per quantità di pescato, dai frutti di mare ai pescipregiati, alla quale i pugliesi attingono quotidianamente, ma in particolare nel-le festività e nelle occasioni importanti. L’allevamento ovino è particolarmentesviluppato, oltre a quello caprino, che danno ottime produzioni di latte per lalocale industria casearia, mentre l’allevamento bovino non è molto diffuso. I pro-dotti sin qui descritti permettono di realizzare piatti di ottimo sapore, ricchi diprofumi e aromi, per una cucina di territorio interessante, anche se resa un po’aggressiva dall’uso costante del peperoncino.

Ed allora andiamo ad incontrarla, iniziando dagli antipasti, sia di terra che dimare. Capocollo, cervellata, salsiccia mista di maiale e vitello con semi di fi-nocchio, salsiccia leccese ottenuta con carni di suino e di vitello speziate ed aro-matizzate da buccia di limone, soppressata di Martina Franca e pomodori sot-t’olio, sono solo alcune delle preparazioni che si possono gustare all’inizio delpranzo. Per non parlare dei prodotti del mare, come le cozze arracanate, prepa-rate in tegame con olio, pomodoro, vino bianco, aglio, prezzemolo e origano, poicotte in forno, o quelle alla leccese, le ostriche alla tarantina, preparate con olio,pane grattugiato e prezzemolo, il tarantello, insaccato di ventresca di tonno con-servato sott’olio, tipico della zona di Taranto e il pesce a scapece, formato dapiccoli pesci fritti marinati con aceto e zafferano. Per non parlare delle belle del-la Daunia, olive da tavola DOP apprezzate dall’aperitivo all’antipasto, fino ad ac-compagnare carni e formaggi.

Regine incontrastate dei primi piatti sono le famosissime orecchiette, o cop-pitelli come vengono chiamate nelle Murge, piccoli pezzi di pasta di grano du-

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ro, grandi come l’impronta del pollice di una mano, condite con le cime di rape,aglio, olio e acciughe, con eventuale aggiunta, alla fine, di ricotta dura grattu-giata, oppure con gli involtini o con il ragù.

Tipici sono anche il minestrone di castrato, la minestra maritata con verdurefresche come cicoria, finocchio, scarola e sedano, fatte bollire separatamente epoi assemblate, la ‘ncapriata di fave, una purea di fave condita con olio extravergine, servita con cicoria, piatto di antichissima tradizione, che risalirebbe adun’epoca antecedente quella dei faraoni e che ancora oggi viene preparata inEgitto. Gustosi sono anche il cappello, i troccoli alla dauna, simili ai macchero-ni alla chitarra, preparati immergendoli dopo cottura in un composto a base diuova fresche, parmigiano reggiano, pecorino e pezzetti di asparagi e, successi-vamente, versandovi sopra una salsa ristretta di pomodoro, i cavatieddi con i ce-ci, ottenuti da un impasto di farina e semola di grano duro, spezzati con la for-ma di cannellini e poi strisciati con la punta di un coltello fino ad ottenere del-le piccole conchigliette, che ricordano un po’ i sapori orientali, e quelli con laruca, i ciceri e trii, pasta con ceci e cipolle, cotti insieme in acqua bollente, e glispaghetti al pecorino. Dal mare si ottengono meravigliose zuppe di pesce in piùversioni a seconda delle località, con particolare nota per quelle di Gallipoli eBrindisi, e le semplici ma gustose cozze alla marinara, con aglio, prezzemolo, olioe limone.

Orecchiette ai sapori mediterranei

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La puddica è una pizza farcita con pomodoro e cipolle, e i calzoni di picco-lo formato a base di pasta di pane con varie farciture vengono poi fritti in ab-bondante olio bollente. Un altro piatto molto saporito è la tiella di riso e coz-ze, con pomodorini pugliesi, patate, cipolle, aglio, prezzemolo e pecorino grat-tugiato.

Tra i secondi piatti ricordiamo l’agnello alla carbonara, o al cartoccio, taglia-to a pezzi e cotto in forno avvolto in un foglio di carta oleata, con olive e lam-pascioni, il caldaniello, cioè pezzi di agnello cotti in tegame con olio, aglio, ci-polle, prezzemolo e latte di pecora, il cutturidde, pezzi di agnello cotti in cas-seruola con pomodoro, cipolle, prezzemolo e pecorino, e la terrina di carne allabarese. Molto particolari sono anche le brasciole alla barese, involtini di carnedi cavallo o di manzo condite con lardo, sedano, prezzemolo, carote, cipolle, po-modori pelati, pecorino in scaglie e vino rosso. A base di interiora si ricordanoil cazmarr, piatto in comune con la vicina Basilicata, costituito da budella diagnello, fegato di maiale, prosciutto, pomodoro, pecorino grattugiato e pepe-roncino generoso, le quagghiariedde, frattaglie di montone con salame, scamorza

Tiella di riso e cozze

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e peperoncino, gli gnummerieddi, sempre interiora di agnello condite con lar-do, pecorino, prezzemolo e limone, avvolti in retine in modo da formare fagot-tini cilindrici cotti poi sulla brace. Dai prodotti del mare si preparano le alici ar-racanate, disposte a strati nella teglia con trito di aglio, capperi, menta, olio epane grattugiato, il dentice alle olive, le orate alla griglia, prima marinate in olioe limone, la casseruola di polpetti con olio, vino bianco, pomodori e cipolle.

I contorni più tipici sono i lampascioni, piccole e tozze cipolle selvatiche dalsapore amarognolo, dorati oppure bolliti e conditi con olio e pepe, i cardi sel-vatici alla brindisina, con capperi, olive nere, acciughe, prezzemolo e pane grat-tugiato, i cardoncelli, cardi a pezzi bolliti e poi cotti nel forno, le melanzane al-la tarantina e alla leccese, la teglia di verdure alla pugliese, con pomodori, pa-tate, cipolle, pecorino e origano, cotta in forno finché non si forma una crosti-cina dorata in superficie.

Tra i formaggi spiccano la burrata di Andria, a pasta filata e ripiena di moz-zarella tritata e crema di latte, dal gusto dolce-salato e da assaporare freschis-sima, il caciocavallo silano, prodotto DOP condiviso con altre regioni del sud del-la penisola, che trova nelle Murge una delle capitali della produzione, le moz-zarelle e le provole, anche affumicate, il pecorino foggiano. E poi il canestratopugliese, altro formaggio DOP a pasta dura, compatta e friabile, ottenuto da lat-te di pecora delle razze Merino e Gentile di Puglia, da stagionare per diversi me-si, fino ad un anno, e la giuncata, formaggio fresco prodotto in provincia di Lecceche, con aggiunta di zucchero e caffè, viene servito come dessert.

Tra i dolci, sono deliziose le carteddate, tipici dolci natalizi con miele o vincotto, le castagnedde, i mustazzueli, dolcetti di mandorle, farina e zucchero, imarzapani bianchi di Gioia del Colle, i cuciuni, pasta farcita con cioccolata, zuc-chero, ceci bolliti, vino cotto e cannella, la scarcella, pane dolce decorato conuova, tipico di Pasqua. La pizza di ricotta dolce è una specialità barese, la ci-cerchiata è data da piccoli “gnocchi” fritti ottenuti da un impasto di farina, uo-va, zucchero, miele, scaglie di cioccolato, mandorle e cannella. La cassata di ri-cotta è una vera ghiottoneria, mentre simili ai dolci napoletani sono i susamel-li, a forma di “S” e le zeppole di San Giuseppe, specialità di Bari, fritte e farcitecon crema pasticcera.

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La vite e la sua storia

È con l’arrivo nella zona dei Lyki, detti poi Lucani, che diedero l’altra deno-minazione di Lucania alla regione, che si può parlare di un vero e proprio svi-luppo della vitivinicoltura. Un ulteriore impulso al settore venne poi dagli inse-diamenti delle prime colonie greche. La viticoltura acquistò sempre maggiore im-portanza come componente non indifferente per l’economia del tempo, e ne so-no testimonianza alcune monete dei secoli seguenti sulla cui faccia spicca ungrappolo d’uva, che ad un esame approfondito degli studiosi sembra sia appar-tenuto alla famiglia delle viti labrusche e delle aminee. Ma nulla si sa sulla qua-lità dei vini prodotti ed imbarcati sui vascelli delle rotte che facevano capo almetapontino.

Qualcosa di più si apprende con l’età romana dal poeta Orazio, nativo diVenosa, in provincia di Potenza, che nelle sue Odi parla della vite e del vino deiluoghi natii. Anche Plinio il Vecchio ricorda la fama dei vini di Tempsa, anticacittà lucana oggi scomparsa, e di altri centri vinicoli come Buxentum, l’odiernaPolicastro. Deve trascorrere più di un millennio perché si abbiano nuove notiziesui vini della Basilicata; le abbiamo da Prospero Rendella, nel 1629, quando de-scrivendo i vini delle Due Sicilie accenna al Melfiaco, vino di Melfi, descriven-dolo come fragrante, dorato e dolcissimo e in nulla inferiore ai vini di Creta edi Cipro, sebbene non ricavato né da moscato né da malvasia, dai cui vini ap-punto differisce.

Ancora buio fitto per tre lunghi secoli, per arrivare nel XIX secolo, quandoOttavio Ottavi, nel 1870, osserva che la zona migliore e di maggior produzionein Basilicata è quella di Melfi, anche se il vino non era imbottigliato e com-merciato, ma venduto come prodotto da taglio e molto gradito ai cantinieri diNapoli. Nel 1893 Giovanni Bianchi, esperto in enologia, dedica una monografiaai vitigni ed ai vini della Basilicata e, parlando di quelli del Vulture, giudica quel-la zona la migliore per la produzione di vini di qualità. Da altri studiosi di finesecolo, come Pompeo Trentin e Salvatore Mondini, si apprende che, oltre ai vi-ni del Vulture, in particolare quelli di Rionero e Barile, se ne producono altri, spe-cie nella zona del potentino, vini da pasto e da mezzo taglio, ma anche cera-suoli e bianchi. Sono comunque due i vini che primeggiano: l’Aglianico delVulture e l’Aleatico di Rionero, ma sarà il primo a diventare il vero protagoni-sta ed il simbolo enologico della Basilicata.

All’inizio del XX secolo la composizione del vigneto è quanto mai variegata,e raccoglie apporti stratificatisi nel tempo ed acquisizioni più o meno recenti.

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Con l’unità d’Italia arrivano dal Piemonte il dolcetto, dalla Campania l’asprinioe il fiano, dalla Puglia il bombino bianco, il bianco d’Alessano, la malvasia, la ver-deca e il moscato, dalla Calabria il gaglioppo, la malvasia nera e il montonico.L’arrivo in questa regione del flagello della fillossera vastatrix sconvolge vigne-to e produzione, ma non incide in termini di reimpianti, lasciando pressoché im-mutata la vecchia piattaforma ampelografica della Basilicata.

Ambiente pedoclimatico

La Basilicata (9.992 kmq) ha un territorio montuoso per il 46.8%, collinareper il 45.2% e pianeggiante per il restante 8%; confina a nord con la Campaniae la Puglia e a sud con la Calabria.

La regione si affaccia sul golfo di Taranto, bagnato dal mar Ionio, e sul golfodi Policastro, bagnato dal mar Tirreno.

L’Appennino lucano interessa il settore occidentale e centrale della regione.La parte occidentale è composta da una successione imponente di aspre mon-tagne formate da rocce calcaree e arenarie, con scarsa vegetazione; i maggio-ri rilievi sono costituiti dal monte Pollino (2.248 m) e dal monte Sirino. Nella par-te centro-orientale il sistema montuoso è prevalentemente formato da argille,marne argilloso-calcaree e arenarie, e declina gradualmente sulla breve fasciapianeggiante della costa sullo Ionio. A nord è presente il vistoso gruppo vulca-nico dominato dal monte Vulture (1.326 m), le cui propaggini si spingono finoalla vallata del fiume Ofanto. Tra le zone montuose e collinari sono interclusevallate e tratti pianeggianti di notevole estensione, come la valle di Vitalba, construttura del terreno molto varia. La parte montuosa è costituita da formazio-ni in prevalenza calcaree su cui poggiano arenarie, conglomerati e argille stra-tificate con calcare. Le medie e basse colline che si spingono ai piedi della ca-tena delle Murge sono costituite da estese zone argillose e sabbie compatte, sul-le quali si notano anche saltuari sedimenti marini, in sovrapposizione a sabbiae ghiaia, mentre nei fondivalle prevalgono accumuli alluvionali e marini, che de-terminano profondità e fertilità. La zona del massiccio del Vulture è formata damasse rocciose effusive ed eruttive, che ricoprono gran parte del territorio diMelfi, rendendo la zona favorevole alle colture della vite e dell’olivo.

I fiumi più lunghi, Bradano e Basento, e il Cavone, l’Agri e il Sinni, molto piùbrevi, sono tributari del mar Ionio e scendono al golfo di Taranto con un regi-me torrentizio e alvei molto larghi.

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L’intero settore settentrionale della Basilicata invece, tramite il fiume Ofanto,tributa le sue acque al mare Adriatico, mentre la fascia occidentale le manda alPlatano e al Noce, che scendono al mar Tirreno.

Il clima è continentale nelle parti più interne ed elevate, con temperature in-vernali basse e nevicate in montagna, mentre le estati sono miti ma di breve du-rata. Le zone costiere presentano condizioni climatiche mediterranee, e nelle zo-ne di bassa collina e di pianura l’inverno non è freddo e l’estate è molto calda.Anche le precipitazioni sono molto varie, più abbondanti in autunno, con dif-ferenze accentuate tra la parte montuoso-collinare e quella pianeggiante, conmedie annuali che vanno dai 500 mm nelle zone collinari e di pianura, ai 600-800 mm e oltre in quelle più elevate. Nel territorio vicino alle Murge si hannoperiodi caldi e di prolungata siccità, con un clima paragonabile a quello aridodel Tavoliere in Puglia.

Case di Sasso Barisano, a Matera

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Zone vitivinicole

La superficie vitata della Basilicata è di soli 4.999 ettari, con terreni soprat-tutto di origine vulcanica. La produzione è stata di 207.967 hl di vino nel 2008,con prevalenza dei prodotti ottenuti da uve a bacca nera.

Il sistema di allevamento più diffuso in passato era quello ad alberello spe-ronato, mentre attualmente le potature dominanti sono quella corta ad albe-rello e mista a guyot a filare basso, con impalcatura su paletti di castagno o dicemento. Recentemente si stanno diffondendo sistemi di allevamento a spal-liera, sempre con potatura mista, ma sono ancora diffusi i tradizionali alleva-menti alla latina, con sostegni di canne, chiamate pagliarelle.

L’aglianico, il vitigno più coltivato in Basilicata, è un vitigno che cresce benead elevate altitudini ma si adatta anche a quelle minori, prediligendo terreni diorigine vulcanica ma anche argillosi.

Gli altri vitigni coltivati danno origine a vini talvolta interessanti, IGT oppu-re “da tavola”, quali il Montepulciano di Basilicata, il Moscato del Vulture, laMalvasia del Vulture, la Malvasia della Lucania e l’Asprinio Lucano. In queste ter-re, fertili e ricche di luce, la vitivinicoltura dovrebbe trovare maggiore spazio,associando alla saggezza delle tradizioni e alle uve generose tecnologie di tra-sformazione più incisive; si registra invece una delle rese più basse d’Italia, chespesso non raggiunge le 5 t/ha.

Le DOC sono 4: Aglianico del Vulture, Terre dell’Alta Val d’Agri, Grottino diRoccanova e Matera. Spicca anche l’IGT Basilicata nelle tipologie Bianco, Rosato eRosso, che interessano tutto il territorio regionale, utilizzando i vitigni idonei nel-le due province.

Il comprensorio vitivinicolo vero e proprio comprende il territorio collinare del

Vulture, legato ad un complesso vulcanico oggi spento, in provincia di Potenza,che comprende quindici comuni, tra i quali Rionero in Vulture, Barile, Rapolla,Maschito, Genzano di Lucania, Atella, Ripacandida e Melfi. All’interno del crate-re sono presenti i laghi di Monticchio, e i territori circostanti sono coperti da unarigogliosa vegetazione di castagni, nespoli, mandorli, olivi, prugnoli, peri e natu-ralmente viti. In questa zona, ad un’altitudine variabile tra i 200-500 m slm, hatrovato un habitat ideale il vitigno aglianico, dal quale qui si ottiene uno dei gran-di vini italiani. Le uve maturano tardivamente, hanno grappoli medi o meno ser-rati con buccia spessa e di colore violetto intenso. I vitigni sono allevati verti-calmente, usando variazioni di guyot sostenute da pareti di canne. I filari sono

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disposti generalmente ad un metro di distanza l’uno dall’altro, ma in alcune zo-ne le viti si trovano addirittura a mezzo metro, con una densità d’impianto uni-ca al mondo con 20.000 ceppi/ha. Le zone migliori, i “cru”, si trovano tra i 550-650 m e la zona di San Savino, tra Rionero in Vulture e Ripacandida, è unani-memente considerata quella che produce i vini più raffinati. Altre zone sono lefrazioni di Mezzana e Piano di Altare e, nel comune di Barile, i vigneti di Macaricoe Gorizza. Un’altra area ottimale si trova sulla piana che si estende tra Venosa eMaschito, nella zona della Serra Dolente e della Masseria Sant’Angelo, dove sitrova anche la più alta concentrazione di vigneti DOC.

Altra zona interessante per la coltivazione della vite è la val d’Agri, dove siregistra un microclima particolare, classificabile come alpino, con estati brevi,inverni rigidi e lunghi e frequenti gelate. Le viti sono coltivate a circa 600 m slme in annate particolari si ottengono vini prestigiosi con vitigni internazionali.

La zona di produzione della DOC Matera, comprende interamente il territo-rio della provincia di Matera. I vini compresi nella DOC Matera, sono il Bianco,il Greco, il Rosso, il Moro, il Primitivo e lo Spumante ottenuto con fermenta-zione in bottiglia o con metodo classico.

In provincia di Matera la coltivazione dell’uva conserva ancora forme di al-levamento ad alberello, è distribuita per circa l’85% in collina. La superficie ècoltivata prevalentemente con vitigni a bacca nera (73%). I vitigni più diffusisono il sangiovese, il primitivo, l’aglianico e il cabernet sauvignon, mentre quel-li a bacca bianca sono la malvasia bianca di Basilicata, il trebbiano e il greco.Molto diffusa è la pratica di trasformare le uve direttamente dai contadini ed ilvino prodotto è consumato in famiglia, o venduto sul posto. Sempre in provin-cia di Matera, nella valle del Basento, in particolare a Tricarico e Metaponto, ivitigni più diffusi sono regina, italia, baresana, cardinal, primis e zibibbo, uti-lizzati per un’interessante produzione di uve da tavola.

Gastronomia

In tempi molto lontani giunsero sulle coste di questa regione popoli diversi,come Greci, Fenici, Arabi, Albanesi, Normanni, Spagnoli e Francesi, che porta-rono in questa terra le loro tradizioni, che si sono poi modificate e fuse in spe-cialità che è ancora oggi possibile gustare. In aggiunta a ciò, negli ultimi duesecoli la gastronomia lucana ha risentito molto dell’influsso delle regioni con-finanti, specie sul versante pugliese.

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Al giorno d’oggi ci troviamo davanti ad una cucina sostanzialmente povera,ma molto interessante perché in stretta analogia con le risorse naturali locali.Infatti le specialità gastronomiche della regione conservano ancora oggi il sa-pore dell’antica cucina del sud, dalla storia ricca e suggestiva, con piatti sem-plici e tradizionali. Tra i prodotti agricoli, molto sviluppata è la coltura della bar-babietola da zucchero e del tabacco, ma è in forte crescita soprattutto quelladell’olivo, mentre l’allevamento è quasi esclusivamente ovino e caprino, con buo-na presenza di quello suino.

Ed è a questo che si deve fare riferimento se si vuole iniziare il discorso de-gli antipasti, che nella regione non trovano patria, se non nel largo impiego diaffettati, dai prosciutti sapidi e magri, alla coppa, alla pezzenta, alla vecchireddae alla ventresca di Picerno, alla salsiccia aromatizzata con semi di finocchio, al-la soppressata e al capocollo, tutti rigorosamente trattati con il peperoncino,del quale in questa regione si fa un uso, per così dire, “industriale”. Questo pi-mento entra nella preparazione di una miriade di piatti e in quella di una salsadavvero “incendiaria”, chiamata localmente diavolicchio.

Vediamo adesso i primi piatti. Particolari sono la tipica purea di fave e cico-ria, e le fave e le bietole fatte con fave lessate e ridotte a purea, servite con oliocrudo e bietole bollite, i fusilli con le fave.

Ma non tutti i piatti vengono conditi con sughi a base di fave. Le orecchiet-te alla lucana vengono preparate con carne di vitello, pomodori, basilico, peco-rino grattugiato e peperoncino, le lasagne e fagioli con pepe e aglio, i ravioli far-citi con ricotta, uova, prosciutto crudo e pepe, i maccheroni a ferretti, i calzon-cini, specie di ravioli a mezzaluna con un ripieno di ricotta, zucchero, noce mo-scata e cannella, i minuich, costituiti da pasta arrotolata a mano in piccoli ci-lindri talvolta servita con broccoli, il riso e funghi, con fagioli bianchi, cotennedi maiale e funghi rosolati.

E poi le zuppe, come la zuppa di verdura con sedano, cipolla, fagiolini verdi,patate, zucchine, prezzemolo e olio, la zuppa di pesce con scorfano, seppie, cer-nia e sarago, cotti con olio, aglio, prezzemolo e cipolla, oltre alla cicoria in bro-do con cubetti di prosciutto.

Tra le carni primeggia quella ovina, ma in questa cucina si trovano pure pol-li e conigli. Ricordiamo l’agnello ai funghi, il cazmarr, stufato di interiora diagnello, pecorino, prosciutto, peperoncino e vino, l’agnello in casseruola, fat-to a pezzi, con patate, alloro, cipolle, olio, a lenta cottura, la pignata, agnellomarinato con peperoni piccanti, verdure, formaggio stagionato e vino, cotto in

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una pentola di terracotta, appunto la pignata, molto lentamente per alcune ore.Frequenti i piatti a base di maiale, tra i quali segnaliamo la cotechinata, in-

voltini di cotenna di maiale con battuto di lardo, prezzemolo e aglio, e le sal-sicce locali, che darebbero origine al nome della salsiccia, con il termine luca-nica. Ce lo conferma lo scrittore Aulo Terenzio Varrone, che ci riferisce come ilegionari romani avessero appreso dai Lucani l’arte di insaccare in un budellocarne trita di maiale condita con spezie ed erbe aromatiche. Buone anche le lu-mache all’origano, pulite e sgusciate, poi cotte a fuoco lento in tegame con aglioe pomodoro.

Dal settore caseario provengono ottimi formaggi a pasta fresca come burri-ni, cacioricotte, mozzarelle, provoloni, scamorze, vari tipi di ricotte diversamentestagionate, pecorini a pasta dura o semidura, saporiti ed aromatici come quel-lo di Filiano DOP, il canestrato di Moliterno con latte di capra e pecora e il ca-ciocavallo podolico, considerato il re dei formaggi meridionali a pasta filata, ot-tenuto da latte bovino.

Tra i contorni si segnala il calzone di verdure, ricco di ingredienti, tra cui pa-sta di pane, indivia, bietole ed altre erbe, la ciammotta, miscuglio di patate, pe-peroni, melanzane, aglio e pomodoro, fritti e stufati, che è una vera e propriapietanza, tanto è ricca, la mandorlata di peperoni cucinati insieme ad olio, man-dorle e pomodoro, il ciaudedda, composto di carciofi, fave, patate, cipolle, tut-ti stufati, la parmigiana di melanzane e la marmellata di lampascioni. I famosifagioli di Sarconi, piccolo comune della provincia di Potenza, sono particolar-mente apprezzati anche perché cuociono rapidamente, seguiti dai peperoni diSenise, gustosi e caratterizzanti della tradizione gastronomica lucana, entram-bi prodotti IGP.

Tra i dolci, sono ottime le cicirate, palline fritte servite con sopra del miele,gli strangolapreti, la torta al formaggio con formaggio fresco, ricotta, prosciuttotritato, avvolto da un involucro di pasta frolla, i panzerotti, ceci bolliti e pas-sati al setaccio addolciti con cioccolato, cannella e zucchero, la lagana chiap-puta, dolce tipico e non più molto diffuso, a base di lasagne condite con mo-sto cotto per un giorno intero, con noci, uva passa e pane grattugiato, da ser-vire caldo e freddo.

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La vite e la sua storia

Le antiche popolazioni italiche abitanti la penisola calabrese, che i Greci piùtardi battezzarono Enotri, erano rappresentate in loco dai Bruttii. Questa ci-viltà, che per un certo tempo si muoverà in parallelo con gli insediamenti gre-ci delle coste, che iniziano nel 744 a.C. con la fondazione di Reggio, entra incontatto e in contrasto con i Greci, presumibilmente intorno al IV secolo a.C.Possiamo quindi ipotizzare, per quanto attiene alla viticoltura, due storie paral-lele, con un vigneto italico rudimentale nell’interno ed uno di coltura greca lun-go i litorali, che dette impulso al settore, diventando in breve tempo fiorentis-simo. I maggiori mercati vinicoli erano Crotone, Locri, ma soprattutto Sibari, atal punto che “…si narra come, per facilitare il carico delle navi, fossero statiinstallati veri e propri enodotti, costruiti con tubi di argilla, entro i quali il vi-no defluiva dalle colline circostanti direttamente ai punti di imbarco, evitan-do in tal modo ogni operazione di trasporto”. Come riportano le Tavole diEraclea, che la vite costituisse un investimento economico di rilievo è testi-moniato dal fatto che i terreni vitati, rispetto a quelli investiti in altre colture,avevano un affitto sei volte superiore. Poco si sa sui vini che allora si produ-cevano, e l’unica notizia in merito ci viene da Teocrito, che afferma esistesse-ro dei vini di Biblia o Biblinia, ottenuti da un vitigno originario della Tracia, eche erano considerati tra i migliori del Mediterraneo. Con la conquista roma-na, la coltura della vite venne quasi completamente dismessa e sostituita conquella dei cereali e dell’allevamento; scomparvero i vini di Biblia, ma lentamentealtri ne rifiorirono, come quelli di Tempsa, di Cosenza, di Turii e di Lagaria, ri-cordati da Plinio il Vecchio nei suoi appunti. Si parlerà di un Palmatium, pro-babilmente di Palmi, e Tacito loderà un generoso Sanatum.

Molti secoli separano l’età romana dal Medioevo, quando sappiamo che lavitivinicoltura calabra torna a fiorire. Dagli studi di Federigo Melis risulta cheessa alimentava, assieme a quella della Puglia, correnti di esportazione di vi-no nel nord Italia, in Spagna e in Francia.

Di questi vini robusti e generosi abbiamo qualche indicazione in più dopo il‘500, quando Sante Lancerio, nel 1549, ne offre nelle sue note un’ottima scelta,che va dal Chiaretto di Cirella definito “molto buono”, al Centula, dal vino di Paoladefinito “molto buono, et fumoso e grande”, al Falsamico, al Ciragio, accaparra-to da don Pedro di Toledo vicerè di Napoli. Nel 1571 anche Giovanni Barrino nel-la sua opera, a conferma del Lancerio, loda i vini di Cirella, Tortora, San Lucido,

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Scilla, San Marco Argentano e molti altri. La rinascita della Calabria vitivinicolaviene poi sancita dalle sei pagine che Andrea Bacci gli dedicherà nella sua ope-ra. Ma nei secoli successivi, anche per il cambiamento nel gusto dei consuma-tori, la produzione calabra perde i suoi mercati nel nord Italia e all’estero, e si ri-duce a produrre soprattutto vini da taglio, ricercati per l’intenso colore e l’altotitolo alcolometrico, soprattutto nelle zone di Nicastro, Cirò, Francavilla, Nicotera,Palmi. Solo dopo l’avvento della fillossera, ed il successivo rinnovamento dei vi-gneti, la Calabria si trasformerà, qualificandosi con vini di pregio.

Ambiente pedoclimatico

La Calabria (15.080 kmq), penisola che mediamente non supera i 60 km di lar-ghezza, confina a nord con la Basilicata ed è circondata dai mari Ionio e Tirreno;solo il 9% del territorio è pianeggiante, mentre le zone collinari rappresentanoil 49.2% e quelle montane il 41.8%.

Dalla costa si innalzano rapidamente le montagne, lasciando solo modeste fa-sce di pianura, le piane di Sibari e di Crotone sul litorale ionico e, sul versantetirrenico, quelle di Sant’Eufemia e di Gioia Tauro. I rilievi sono massicci o grup-pi isolati, separati da valloni o da selle di origine antica e costituiti da forma-zioni rocciose, con l’eccellenza del massiccio del Pollino (Serra Dolcedorme2.267 m), gruppo calcareo le cui propaggini arrivano fino al Passo dello Scalone,dove finisce l’Appennino lucano e inizia quello calabro. L’altopiano della Sila, ri-partito in Sila Greca, Sila Grande e Sila Piccola, si eleva ad una altitudine me-dia compresa tra i 1.200-1.400 m, ed ha un aspetto alpino, rivestito da fitti bo-schi; è una zolla granitica, circondata da rocce cristalline, con pendii scoscesiai margini ed una superficie ondulata.

A sud della Sila, la Calabria si restringe e, al di là dei golfi di Sant’Eufemia edi Squillace, iniziano le Serre (monte Pecoraro 1.423 m) che anticipano la zonadell’Aspromonte (Montalto 1.955 m), con i suoi boscosi contrafforti terrazzati.I terreni, in gran parte poco consistenti, sono derivati dallo sgretolamento di roc-ce cristalline e, limitatamente all’area del Pollino, si trovano terreni argilloso-calcarei. Nelle zone pianeggianti, già paludose ed ora bonificate e coltivabili, iterreni sono di origine alluvionale. Nell’area silana i terreni sono di scarso spes-sore e poco fertili, così come quelli dell’Aspromonte.

A causa della forma allungata della penisola e della disposizione dei rilievi,i fiumi calabri non hanno uno sviluppo notevole, ad accezione del Crati (81 km)

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e del Neto (84 km). Tributari dello Ionio, con corsi più brevi, sono il Trionto, ilTacina e il Corace che, come il Neto, scendono dalla Sila. Da questo altopianohanno origine anche il Savuto e il Lamato, i maggiori fiumi del versante tirre-nico. Gli altri corsi d’acqua hanno regime torrentizio e scorrono entro letti ciot-tolosi, asciutti per gran parte dell’anno. Molto particolare è il fenomeno delle“fiumare”, correnti di fiumi in piena che devastano le coltivazioni adiacenti, pro-vocando erosioni e frane anche in grado di mutare il paesaggio. I laghi princi-pali sono quelli di sbarramento artificiale di Cecita, Arvo, Ariamacina eAmpollino.

Il clima è mediterraneo lungo le coste, con inverni miti e piovosi ed estati cal-de ed asciutte; la ventilazione è moderata e le escursioni termiche sono pocosignificative. Procedendo verso l’interno si accentuano progressivamente i ca-ratteri di continentalità, specialmente sui rilievi più elevati, con inverni moltorigidi ed estati calde. La zona della Sila risente del clima continentale, e nellastagione fredda non sono infrequenti le nevicate. Le precipitazioni sono ab-bondanti nelle aree più elevate, specialmente sul versante tirrenico, mentre siriducono sensibilmente sulle pianure e sui litorali.

Zone vitivinicole

La Calabria è una regione in cui la viticoltura ha origini antichissime, che de-ve però seguire un percorso di rinnovamento e di rivalutazione di un’immagineforse un po’ appannata. Ma per fare questo è necessario abbandonare l’estremaparcellizzazione dei terreni e la produzione di massa, puntando su una vitivini-coltura che stia al passo con i tempi, dalla vigna alla cantina.

Mentre negli ultimi anni la maggior parte dei viticoltori espiantava i proprivigneti, anche in zone particolarmente vocate, seguendo le direttive europee eimpoverendo il territorio di un grande patrimonio, alcune aziende “illuminate”andavano controcorrente e piantavano nuove viti secondo le tendenze più mo-derne. Ma sono ancora poche. E sempre molto piccole: la superficie produttivaè di poco più di mezzo ettaro a testa. Un’altra osservazione importante è quel-la che molti tra i produttori più affermati sono orientati verso una grande va-lorizzazione dei vitigni autoctoni, iniziando numerose sperimentazioni anche suquelli dimenticati, per capire se alla luce delle nuove conoscenze tecniche e col-turali, si possa sperare di raggiungere grandi risultati. Anche a livello regionalequalcosa si sta muovendo, con l’obiettivo di realizzare il censimento delle vigne

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per arrivare al catasto, la sperimentazione delle colture, la divulgazione agrico-la e, a livello di diffusione e ampliamento dell’interesse, l’istituzione di nume-rose Strade del vino e dei sapori.

I 14.701 ettari di vigneto, in grado di dare complessivamente 444.696 hl divino nel 2008, sono dislocati per il 65% in collina, il 15% in montagna e solo il20% in pianura, con una netta prevalenza delle uve a bacca rossa, che copro-no il 75% della produzione.

I tipi di allevamento si orientano lentamente verso l’alberello basso, il cordo-ne speronato orizzontale e verticale, la controspalliera e il tendone.

Attualmente i vitigni più coltivati sono il gaglioppo, che rappresenta circa il40% della produzione di uve a bacca rossa, seguito dal greco nero, manzoni bian-co, magliocco canino, pignoletto, greco bianco, lacrima, malvasia bianca, mal-vasia, alicante, nerello cappuccio, sangiovese, malvasia bianca di Candia, guar-davalle e aglianico. I vitigni a bacca bianca hanno minor diffusione, anche per-ché in un clima particolarmente torrido come quello di alcune zone in estate,non è facile mantenere ottime doti di freschezza, a meno di non intervenire invigna con sistemi di refrigerazione. Il greco bianco è il più adatto a sopportarequeste particolari condizioni climatiche.

La conformazione del territorio certo non consente una viticoltura di ampiorespiro ma, al contempo, si presentano condizioni climatiche ideali e zone mol-to interessanti per la vite, da quelle collinari del Pollino fino ad arrivare al ma-re, nei pressi di Crotone. L’area agricola interessata alla viticoltura si concentrasoprattutto in vicinanza dei litorali.

Partendo da nord, in provincia di Cosenza, sul versante orientale si trova lazona della valle del Crati, mentre le uniche aree non vicine al mare sono quel-le del Pollino, con al centro Castrovillari, oltre a quella di Verbicaro sul versan-te tirrenico.

Sul versante ionico, ma già in provincia di Crotone e Catanzaro, troviamole zone di produzione di Cirò Marina, Torre Melissa, Scandale, Val di Neto eCatanzaro Lido. I comuni di Cirò e Cirò Marina, rappresentano la zona origina-ria (dove sorgeva l’antica Cremissa) dei vini Cirò, anche se oggi la zona è allar-gata ai territori di Melissa e Crucoli. Il Cirò Rosso, ottenuto dalle uve di gaglioppocon l’eventuale aggiunta di trebbiano toscano e greco bianco (massimo 5%), hacolore rosso rubino intenso e compatto; profumo gradevole e fruttato, con sen-tori di mora e marasca, pepe nero e rosa; sapore secco, caldo, morbido e vellu-tato con l’affinamento, con buona tannicità, sapidità e lunga PAI. Il Cirò prove-

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niente da uve prodotte e vinificate nei territori comunali di Cirò e Cirò Marinapuò portare la qualifica aggiuntiva “Classico”.

Nella parte occidentale, la viticoltura è presente nella valle del Savuto e aLamezia Terme. La storia del Savuto risale al 1550, ma alcuni sostengono che,insieme al Cirò, allietasse già le mense dei Romani. Particolarmente diffuso inqueste zone è il gaglioppo, che resiste bene anche alla siccità. Attualmente so-no coltivati solo 133 ha in discrete condizioni, impiantati soprattutto su stret-te terrazze nei comuni di Rogliano, Marzi e Scigliano, con viti allevate ad albe-rello e rese bassissime (4 t/ha), sostenute da muretti di pietra a 600-700 m slm,in terreni con pendenze che arrivano al 30%. La zona di Lamezia è pianeggian-te, interessata negli ultimi anni da rapide e diffuse trasformazioni di vigneti pas-sati dall’allevamento ad alberello a quello a cordone speronato, oltre che all’al-largamento dei sesti d’impianto.

In provincia di Reggio Calabria la viticoltura è presente sulle pendici colli-nari di tutto il litorale. Degni di nota sono i comuni di Bianco e parte diCasignana, dove viene prodotto il Greco di Bianco, un vino da dessert di note-vole interesse, ottenuto con uve appassite al sole. Un’altra zona legata alla vi-ticoltura è la Costa Viola, dove la vite viene coltivata su terrazzamenti da di-

Costa Viola

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versi secoli, in epoche in cui il dissesto idrogeologico era pressoché sconosciu-to. Ma anno dopo anno l’abbandono dei vigneti ha causato incisioni, solchi efessurazioni nel terreno, che si trasformano in voragini, con frane e masse di de-triti che invadono l’area della ferrovia e delle strade. Solo in questi casi ci si ri-corda dell’importanza dei vigneti.

Gastronomia

La considerevole estensione delle coste dei versanti tirrenico e ionico può, aragione, far considerare la Calabria una regione ad alta vocazione marinara, perla vasta gamma del suo pescato, che spazia dai pesci più pregiati al pesce az-zurro, con grande importanza per tonno, pescespada e alici. Ma alla cucina ma-rinara tipica della costa, si affianca quella dell’interno, di tipo contadino, che sibasa sui prodotti dell’orto, dell’allevamento e della pastorizia, con carni di ca-pra, pecora e maiale, oltre che di latticini e formaggi. Tra i prodotti orticoli e del-

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Tipici salumi calabresi

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l’agricoltura, è molto importante la produzione pregiata delle cipolle - famo-sissime quelle di Tropea - delle melanzane, dei pomodori, dei peperoni, dei fa-gioli, delle zucche, dei funghi e degli agrumi. E poi le olive e l’olio extra vergi-ne di oliva, tra i quali ricordare le DOP Bruzio, Lametia e Alto Crotonese.

E, tra tanta abbondanza, passiamo ad esaminare gli antipasti, dalla pancet-ta al capocollo di Calabria, notevolmente insaporito dall’immancabile peperon-cino, dalla salsiccia alla soppressata, quattro salumi che hanno ricevuto la DOPe caratterizzati da un sapiente e originale utilizzo di spezie, dalla cervellata, sa-lume di carne mista di maiale aromatizzata con vino bianco e peperoncino, edalla ‘nduja, salume stagionato piccante, tenero e forte, spalmabile, prodotto so-prattutto in provincia di Vibo Valentia.

A base di prodotti del mare troviamo l’ovotàrica, cioè uova di tonno essicca-te al sole e condite con peperoni e olio, la mùstica, detto caviale dei poveri, abase di bianchetti fatti essiccare al sole, conservata con peperoncino e olio inbarattoli di vetro, le sarde a scapece, anch’esse in salamoia. E poi peperoni, zuc-chine, carciofi e funghi conservati sott’olio, melanzane sott’olio prima marina-te in aceto, o a scapece, in salamoia, e pomodori essiccati e conservati con olio,aglio, basilico e origano. Sono apprezzate anche le verdure fritte, i fagioli al po-modoro e origano, i ceci con rosmarino, tutto sempre condito con abbondantepeperoncino piccante.

Tra i primi troviamo i maccaruni, pasta artigianale condita con ragù di carnee pomodoro o con la ricotta salata e grattugiata, gli scivateddi, spaghettoni ti-rati a mano serviti con ragù di maiale e ricotta salata ed affumicata oppure conle melanzane, i vermicelli c’à muddica, pasta condita con pane grattugiato in-saporito nel tegame di coccio con acciughe ed olio, le sagne chine, pasta conpolpettine, scamorza, mozzarella e uova sode affettate, la frittata di pasta ar-ricchita con pecorino, salame a pezzetti e uova sbattute. E la pitta, specie di piz-za da imbottire con salumi e disparati ingredienti.

Sono molto diffuse anche le zuppe e le minestre a base di numerose verdu-re, come il ‘ndugghia, insaccato di maiale che cuoce con una minestra di erbeselvatiche, la minestra di cipuddazzi, con erbe dell’orto cotte molto lentamen-te con strutto, aglio, peperoncino e poi trasformate in purea, la licurdia, zuppadi cipolle e peperoncino servita su crostini, la zuppa di sedano alla calabrese, concaciocavallo, salsiccia, uova e pecorino, da servire in brodo di sedani con fettedi pane abbrustolito, la zuppa di fave e cicoria, le millecosedde, minestrone converze, cipolle, fagioli, sedano, ceci, fave secche, pecorino e peperoncino.

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Tra i secondi di car-ne segnaliamo il pol-pettone, il murseddu,tortino di carne di vi-tello e maiale, con pe-peroni e pomodori, lebraciole saporite, far-cite con soppressata,uova sode, provolone,pomodori pelati, olio,prezzemolo e vino ros-so, il coniglio ripieno, ilcapretto ripieno conpomodoro, erbe aro-matiche e l’imman -cabile peperoncino, lazucca ripiena di carnetritata, erbe aromati-che e formaggio, cot-ta in umido. Piattoparticolare è la lepre

alla mantonica o all’antica, preparata con la lepre (o il coniglio) tagliata a pez-zi, fatta macerare per due giorni nel vino Donnici con “tre foglie di alloro, quat-tro di menta, maggiorana e timo”, passata nella farina d’orzo, indorata in cas-seruola con strutto di maiale, passata poi in padella con cipolle di Tropea, an-negata nel vino usato per la macerazione e cotta in forno. Buone anche le lu-mache all’origano.

Tra i secondi di pesce segnaliamo l’alalonga in agrodolce, piccolo tonno cotto inagrodolce, il pesce spada alla brace o cucinato con aglio, capperi, limone, pepero-ni ed erbe aromatiche, le braciolette di alici con vino bianco, pane grattugiato, aglio,prezzemolo, pecorino grattugiato, origano, sale e pepe, le sarde alla cetranese inumido, le sarde alla menta, fritte e messe sotto aceto con menta, le alici in tortie-ra, cotte al forno con pane grattugiato, prezzemolo, olio, capperi e pepe.

Nella gastronomia calabrese sono famosi i contorni, privilegiati da una ma-teria prima spesso finissima, come le melanzane preparate nelle più disparateversioni, in involtino, ripiene, affettate e fritte, in agrodolce, in polpettine, a fun-

Colori e sapori della cucina calabrese

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ghetto, la teglia di carciofi cotti in forno a spicchi con patate affettate, aglio, prez-zemolo, aromi e olio, le patate in tegame, cotte al forno tagliate a fettine e po-ste a strati con pomodori, pecorino grattugiato, olio ed una spruzzata dell’im-mancabile peperoncino. E poi le notissime cipolle rosse di Tropea IGP, consuma-te con fagioli, piselli e lenticchie, gli asparagi di Cetraro, le lattughe giganti diBriàtico, Parghelia e Tropea. Con la vicina Basilicata, nella parte nord, la Calabriadivide la ciambotta, piatto che costituisce una vera e propria pietanza, con me-lanzane, pomodori, patate, peperoni stufati, cipolla e olio. La ghiotta, invece, èun insieme di verdure come pomodori, olive, cipolle e capperi cotte nell’olio, cheserve localmente ad accompagnare lo stoccafisso.

I formaggi sono diffusissimi, specie il pecorino, con caratteristiche diversis-sime. Il pecorino più famoso è quello di Crotone, ma sono anche notevoli le sca-morze, le mozzarelle, le provole, affumicate e non, la ricotta affumicata, dettaanche tosta perché dura e da grattugia, e lo squisito, lungamente stagionato ca-ciocavallo silano, formaggio DOP a pasta filata, con stagionatura diversa, dal sa-pore dolce o piccante a seconda del caglio utilizzato e di particolare pregio seottenuto da bovine brade e semibrade.

Al momento della frutta, non si possono trascurare la profumatissima cle-mentina di Calabria IGP e gli agrumi, tra i quali soprattutto il cedro e il berga-motto, esportato in tutto il mondo per la meravigliosa essenza.

Tra i dolci troviamo la cubbaita, morbido torrone al miele, mandorle e sesamo,di origine araba, il torrone gelato tipico di Reggio Calabria, composto da arancia,cedro e mandarino canditi, zucchero fondente, cioccolato e mandorle, altri torro-ni come i cumpitti, e la giurgulena, in cui vengono addizionati semi di sesamo.

Dolcissimi i pasticcini e i dolcetti a base di pasta di mandorle, i bocconotti,insaporiti di confetture di arancia, le chinulille, pasta ripiena di ricotta, tuorlid’uovo e zucchero, poi fritta, la crucetta, fichi secchi tagliati a metà, talvoltainfornati e farciti con mandorle, noci e scorza di cedro.

E poi i mostaccioli, confezionati con farina impastata con miele e vino biancoa forma di pesci, figure umane, cavallini, e la pitta’nchiusa, pizza dolce a due stra-ti, farcita con un ripieno di uva sultanina, noci e vino cotto. I cicirata sono dei dol-ci natalizi al miele, con limone e mosto cotto, così come le anime beate, note an-che come vecchierelle dolci, ottenute da un impasto di farina e lievito, fritte poiin olio bollente e ricoperte di miele scaldato a fuoco moderato. Sempre a Natalesono diffusi i turdiddi, pezzetti di pasta all’uovo fritti e intinti nel miele, e le nepi-telle, fatte con farina, noci macinate e miele. E i fichi secchi, raccolti nel cosenti-no, essiccati al sole, farciti e ricoperti nei modi più diversi, sono davvero deliziosi.

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La vite e la sua storia

Già dal secondo millennio a.C. la vitivinicoltura era presente nell’isola, primache sbarcassero i coloni greci, i quali però ebbero il merito dell’introduzione dimigliori qualità di vitigni e del perfezionamento delle tecniche colturali. Gli stu-diosi di quei tempi elogiavano la qualità e la quantità dei vini che la Sicilia pro-duceva: i vini più famosi erano il Mamertino, il Tauromenio, l’Inicynio, oltre aquelli dell’Etna, e il vino costituiva la spina dorsale dell’economia di ogni cen-tro siculo. Tra il III e il II secolo a.C. questa situazione di benessere scompare,provocata dalla conquista romana, che volle la trasformazione colturale dallavite al grano, necessario alla politica di espansione della Repubblica: la Siciliadivenne così il granaio di Roma. Nonostante ciò, il vino non scomparve: GiulioCesare poté seguitare a gustare il suo prediletto Mamertino, Plinio il Vecchioquello di Taormina, ed i buongustai romani il Pollio, il Tauromenio, l’Haluntium,il Potulanum e tanti altri. Con la caduta dell’Impero Romano, l’isola fu teatro diuna lunga serie di invasioni e di guerre: dapprima i Vandali, poi le lotte tra Gotie Bizantini, ai quali seguirono gli Arabi, che la occuparono per alcuni secoli. Questifecero rinascere l’agricoltura sicula, rinnovando le tecniche agricole, introducendonuove colture, principalmente riso e zucchero, e coltivando la vite solo per pro-durre uva passa per le loro mense. Alla dominazione araba, che lasciò segni po-sitivi profondi, seguirono le conquiste normanne e quindi aragonesi, che non la-sciarono grandi tracce in questo campo. La situazione a favore della vite si evol-ve nel secolo XV, quando l’antico Mamertino fa di nuovo capolino, e quando daiporti siciliani salpano navi cariche dei vini di Siracusa, dell’Etna, di Palermo e diTrapani per Roma, la Liguria e la Toscana. Sante Lancerio, curatore della canti-na di Paolo III, ne tratteggia bene le caratteristiche, confermate anche da AndreaBacci: ne consegue un quadro che testimonia l’avvenuta ricostruzione del vi-gneto siciliano, nel quale cominciano ad apparire i vini leggeri delle pendicidell’Etna, quelli più ricchi di alcol del trapanese e del palermitano, i coloratis-simi vini di Milazzo, i rossi vivaci del siracusano, quelli profondi del ragusano, igenerosi vini aromatici delle isole Eolie e di Pantelleria, e, per finire, quel vinostraordinario, il Marsala, che ha reso famosa la Sicilia nel mondo. La produzio-ne di questo rinomato prodotto è legata, nel XVIII secolo, a John Woodhouse,che fortifica e spedisce in Inghilterra l’ambrato vino del marsalese, aprendo unapagina ricca di benessere per il vino siciliano, e a Beniamino Ingham, che ne per-fezionò la tecnica di lavorazione. I robusti vini siciliani, dal 1870 e nei decenni

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successivi, in seguito alla distruzione dei vigneti in Francia per l’arrivo della fil-lossera e della peronospora, costituirono un’importante fonte di importazioneper gli industriali francesi, consentendo loro in questo modo di mantenere i mer-cati di tutta Europa. Ma il temibile insetto alla fine fece la sua comparsa anchenell’isola, provocando i ben noti disastri. Con la ripresa, le nuove tecniche di col-tivazione, come l’alberello per il filare, e la possibilità di irrigazione, porteran-no radicali cambiamenti nel patrimonio vitivinicolo dell’isola.

Metodo Soleras per l’invecchiamento del Marsala

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Ambiente pedoclimatico

La Sicilia (25.707 kmq) è la più grande isola del Mediterraneo, e comprendegli arcipelaghi delle isole Eolie o Lipari, delle Egadi, delle Pelagie, nonchéPantelleria e Ustica. Il territorio è montuoso per il 24.4%, collinare per il 61.4%e pianeggiante per il restante 14.2%.

I rilievi più elevati si trovano nel settore nord-orientale, con il massiccio vul-canico dell’Etna (3.340 m) e con l’Appennino siculo che si estende fino alla val-le del Torto, e costituisce la continuazione dell’Appennino calabro, oltre la pro-fonda depressione dello stretto di Messina. L’Appennino siculo, disposto a ridossodella costa, è diviso in tre gruppi montuosi. I Peloritani occupano la cuspide del-l’isola rivolta verso il continente; sono formati da gneiss e filladi e sono in stret-to rapporto con gli antistanti rilievi calabri costituiti da rocce scisto-quarzosefinemente granulate. I Nebrodi sono di origine arenario-argillosa, mentre leMadonie sono costituite sempre da rocce erodibili, con estesi banchi calcarei, eper tale ragione si presentano con forme più morbide ed arrotondate. La cuspi-de sudorientale dell’isola è interessata dai monti Iblei (monte Lauro 986 m), uninsieme di alte terre formate da antichi spargimenti lavici e da tufi calcarei for-temente erosi dai corsi d’acqua.

La parte centrale dell’isola è un succedersi irregolare di ondulazioni collinariseparate da larghe vallate: sono i monti Erei, i monti Iblei, la valle del Salso edel cosiddetto altopiano solfifero, una distesa monotona di modesti rilievi, co-stituiti da formazioni argillose e gessoso-solfifere.

La Sicilia occidentale si presenta con dossi arrotondati e altopiani estesi edondulati, dove predominano argille e arenarie. Le antistanti isole Egadi ripeto-no queste strutture geologiche e morfologiche, mentre Ustica, le Eolie ePantelleria sono prevalentemente vulcaniche. Le pianure occupano una minimaparte del territorio siciliano, e sono ristrette a brevi tratti lungo i litorali; l’unicadi una certa importanza è la piana di Catania, di origine alluvionale, ricca di po-tassio e molto fertile.

Il territorio siciliano è povero di corsi d’acqua e di laghi, e i torrenti e le “fiu-mare” presenti sono di scarsa portata. I principali fiumi sono il Simeto, l’Alcantara,l’Anapo, il Cassibile ed il Tellaro, tutti del versante ionico; tributari del mareTirreno sono il Torto e il San Leonardo. I corsi d’acqua hanno in genere portateidriche ineguali, essendo caratterizzati da piene improvvise nei periodi inverna-li e da lunghi periodi di magra nelle estati. C’è un solo piccolo lago, il Pergusain provincia di Enna.

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La Sicilia è dominata da un clima mediterraneo, caldo e arido sulla fascia co-stiera, temperato e umido nella parte centrale e sui rilievi. L’influenza dei maricrea condizioni climatiche diversificate che originano una continua ventilazio-ne locale. I grandi venti, invece, spirano prevalentemente da scirocco e da po-nente con importanti effetti siccitosi, accentuati dalle elevate temperature esti-ve: lo scirocco può raggiungere per alcuni giorni i 55 °C, con gravi conseguen-ze sui vigneti. Le precipitazioni sono concentrate nei mesi invernali e sono co-piose soltanto nelle zone più elevate dell’Etna, dell’Appennino siculo e dei mon-ti Iblei, mentre altrove scarseggiano, soprattutto nelle piane di Catania e di Gela,dove scendono sotto i 600 mm/anno.

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Zone vitivinicole

Negli ultimi vent’anni la vitivinicoltura in Sicilia ha fatto passi da gigante, eda una condizione quasi medioevale si è gettata a capofitto nel futuro, con unprogramma che ha trasformato vigneti e cantine, diventando l’elemento trai-nante del comparto agricolo regionale. Non ci sono mai stati problemi di quan-tità nella produzione di uva e di vino: lo confermano i dati del passato che ve-devano la Sicilia ai primi posti nella produzione italiana e, anche nel 2008, so-no stati 5.025.021 gli ettolitri di vino prodotti. Ma il vero progresso è stato ilnotevole miglioramento qualitativo sotto la spinta di alcuni prodotti, magari noninseriti nelle denominazioni di origine, che hanno sicuramente attiratol’attenzione del mercato sull’isola. Sono i cosiddetti “vini di nicchia” che stan-no svolgendo questo grande effetto trainante, ma non bisogna pensare che nonesistano ancora grossi problemi da risolvere, a tutti i livelli. Nella vigna ha gio-cato un ruolo senza dubbio determinante l’introduzione di vitigni come char-donnay e, più di recente, petit verdot, cabernet sauvignon, merlot e syrah, chesembrano avere ridato nuova linfa alla viticoltura siciliana, che ha però capitol’importanza di rivalutare anche vitigni autoctoni come il nero d’Avola e l’inzolia,dalle potenzialità ancora inespresse. Ma anche altri vitigni sono tornati al cen-tro dell’attenzione, come lo zibibbo a Pantelleria e la malvasia nelle Lipari, cherischiavano addirittura l’estinzione. Alla luce del nuovo sviluppo non mancanogli investimenti da parte di importanti imprenditori, che hanno l’obiettivo di cam-biare mentalità, svecchiare il settore con nuovi impianti e moderne attrezzatu-re, senza trascurare la millenaria tradizione della viticoltura di questa grandeisola. Operazione culturale e non certo commerciale è stata, per esempio, la pro-duzione del vino di Mothia o Mozia, definito “vino dei Fenici”, “riprodotto” daun vecchio vigneto di uve grillo, nella minuscola isola di San Pantaleo, situataal largo dell’estrema punta occidentale dalla Sicilia, in un angolo di mare cosìricco di sale e iodio da renderlo un paradiso della pesca. Uve in parte sovrama-ture e in parte appassite sono state vinificate con lieviti indigeni, e poi il vino èstato messo a maturare in vaschette di cemento per cercare di riprodurre la ma-turazione nei vasi di terracotta. È un vino che riemerge dal passato, dagli albo-ri dell’enologia. E chi lo ha assaggiato, ha percepito sfumature di miele selvati-co, un po’ vegetale, con sentori di fico secco, arachidi e pistacchi, e un profu-mo vinilico, medicinale, dovuto proprio alla frazione di uva molto matura. È dol-ce e gradevole, non stucchevole, nonostante l’importante residuo zuccherino.

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L’obiettivo? Valorizzare l’immagine dell’enologia siciliana, da sempre al centrodi scambi tra le popolazioni del Mediterraneo, che sta riconquistando un postodi assoluto rilievo sul mercato. Il vino, inoltre, sta diventando l’elemento di col-legamento tra tutti i prodotti del comparto agroalimentare, supporto anche perlo sviluppo nel settore turistico, attraverso l’istituzione di numerose e suggesti-ve Strade del vino e dell’arte.

I 122.750 ettari di vigneti sono dislocati per il 40% in pianura, per il 54% incollina e solo il 6% si trova in montagna, con una resa media piuttosto bassa,intorno a 7 t/ha. Le uve a bacca bianca costituiscono il 75% del contesto am-pelografico totale e i vitigni più diffusi sono il catarratto, antico complesso va-rietale costituito da numerose sottovarietà, il grillo, l’inzolia o ansonica, il gre-canico, il trebbiano toscano, il carricante, il damaschino, il grecanico dorato, lamalvasia di Lipari e lo zibibbo. Tra quelli a bacca rossa i più coltivati sono il ca-labrese o nero d’Avola, il nerello mascalese, il sangiovese, il nerello cappuccio,il merlot, il syrah, il frappato, il cabernet sauvignon, il perricone o pignatello, ilgreco nero e il cabernet franc.

I vini prodotti attualmente in Sicilia sono soprattutto bianchi, e quelli legge-ri, secchi e fruttati non sono più un’eccezione. I vini rossi danno risultati inco-raggianti nella zona di Vittoria, alle pendici dell’Etna e in altre piccole oasi feli-ci. Tuttavia, la riconversione degli impianti, l’introduzione di nuove tecnologie perla vinificazione e la vendemmia più precoce delle uve bianche, sono innovazio-ni che richiedono tempi lunghi per essere realizzati completamente: la tradizio-ne dei vini da taglio e di prodotti destinati alla distillazione, convive oggi con lanovità dei vini freschi e fruttati, di concezione moderna e di elevata qualità. Mal’isola è soprattutto conosciuta per i vini dolci o da dessert e, oltre al Marsala, sidevono ricordare, in particolare, il Moscato di Pantelleria e la Malvasia delle Lipari.

In questi ultimi anni gli sforzi maggiori sono rivolti al miglioramento della qua-lità e, soprattutto tra i vini classificati “IGT Sicilia”, si sono già avuti buoni ri-sultati.

I sistemi di allevamento sono l’alberello (44%), la spalliera (41%) ed il ten-done (15%); tipici sono gli allevamenti a potatura mista, quali gli alberelli al-camese e marsalese. Il 33% circa dei vigneti viene irrigato, ma questo si verifi-ca quasi esclusivamente nella zona occidentale, in provincia di Trapani, che oc-cupa il circa la metà della superficie vitata dell’isola, è quella con la maggiorestensione di vigneti d’Italia e d’Europa, e ha la maggior percentuale di vini DOCdi Sicilia, soprattutto grazie al Marsala, il vino liquoroso più famoso d’Italia. In

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questa provincia, nei comuni di Salemi, Alcamo, Mazara del Vallo, Castelvetrano,Petrosino, Calatafimi, Partanna, Campobello di Mazara, Castellammare del Golfoed altri, in terreni argilloso-calcarei di buona permeabilità, con strati anche pro-fondi, sono coltivati soprattutto i vitigni catarratto, grecanico, grillo e pigna-tello. Nella zona di Alcamo è sempre più diffuso il trebbiano toscano, mentrepersiste la coltivazione dell’inzolia. I sistemi di allevamento, in funzione dellecondizioni pedologiche, vanno dall’alberello alla spalliera e al tendone. L’unicovitigno coltivato a Pantelleria, isola di origine vulcanica, è lo zibibbo o mosca-to d’Alessandria, introdotto dagli Arabi per produrre uva passa. È allevato ad al-berello libero, molto basso, senza sostegno, in buche nel terreno profonde cir-ca 20 cm.

Alcamo

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La provincia di Agrigento, seconda per quantitativi di uva prodotta solo aquella di Trapani, ha visto negli ultimi anni una forte espansione della viticol-tura. I comuni più interessati sono quelli di Canicattì, Sciacca, Naro, Menfi, Ribera,Agrigento, Racalmuto e S. Margherita di Belice. La base ampelografica è costi-tuita per circa l’80% da uve a bacca bianca, come il catarratto, il trebbiano to-scano e l’inzolia, mentre tra quelle a bacca rossa prevale il calabrese, seguito adistanza dal nerello cappuccio. I sistemi di allevamento sono soprattutto a spal-liera (90%) e a tendone (10%). I terreni di questa provincia sono molto siccito-si ed essenzialmente marnoso-argillosi, con sfaldamenti di stratificazioni ges-sose-solfifere. Diffusi un po’ ovunque si trovano i suoli dal colore bruno; aCanicattì sono più frequenti quelli scuri, quasi neri, mentre a Montevago sonopresenti quelli rossi mediterranei.

Nel palermitano la viticoltura è presente principalmente nei comuni diPartinico, Monreale, Camporeale, Contessa Entellina, S. Cipirello e S. GiuseppeJato. Anche in questa zona si coltivano preferibilmente i vitigni a bacca biancacatarratto ed inzolia, ed è sempre più presente il trebbiano toscano, specialmentecon allevamenti a tendone, ma persistono le coltivazioni del calabrese e del ne-rello mascalese tra i vitigni a bacca nera. La viticoltura è più diffusa nelle zonecollinari, dove i terreni sono meno umidi che in pianura e le viti, allevate a scar-sa espansione (alberelli, spalliere povere), producono uve più ricche di acidi earomi, che danno origine a vini freschi e fruttati.

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Vigneto in provincia di Caltanissetta

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La provincia di Caltanissetta, quarta per quantitativi prodotti, è un’altra zo-na dove la viticoltura è in forte espansione per la produzione di uva sia da ta-vola sia da vino. I vitigni, principalmente il catarratto, sono coltivati ad albe-rello; allevati a tendone o a spalliera si trovano anche il calabrese, l’inzolia, labarbera, il trebbiano toscano, il sangiovese e il frappato.

La provincia di Messina, in passato famosa per due tra i più rinomati vini bian-chi dell’epoca romana, il Tauromeniano e il Mamertino, è ora in una situazionepiuttosto statica, con l’eccezione delle isole Eolie e, più precisamente, di Salina(comuni di Malfa, Leni, S. Marina Salina) e di Stromboli, che producono uno deivini passiti tra i più nobili e antichi d’Italia e di Sicilia, la Malvasia delle Lipari,ottenuto con il vitigno omonimo.

La provincia di Catania, tra le prime ad essere conquistata dai Greci (729 a.C.),conobbe la coltura della vite già nell’VIII secolo a.C. Attualmente la vitivinicol-tura è diffusa nell’area etnea ed in quella di Caltagirone, ma mentre nella zonadi Calatino (Caltagirone) è in espansione, in quella del vulcano è in declino. Lecause sono da ricercare nella riduzione della superficie vitata per effetto delleeruzioni continue, nell’invecchiamento dei vigneti, nelle rese troppo basse (4-5t/ha), nella giacitura dei terreni in strette terrazze a gradoni sorrette da muri asecco di pietre laviche e bisognosi di continue opere di manutenzione, oltre chenella polverizzazione dei vigneti in piccole proprietà.

La provincia di Siracusa è un’area dove la viticoltura occupa un ruolo se-condario per le quantità prodotte, ma abbastanza interessante per la produzio-ne di vino di qualità. I vitigni più diffusi tra quelli a bacca rossa sono il cala-brese o nero d’Avola, il frappato e, di recente introduzione, il perricone o pi-gnatello e nerello mascalese, mentre tra quelli a bacca bianca sono il damaschinoe il grecanico. I fiori all’occhiello della produzione siracusana sono due splen-didi vini DOC da dessert, il Moscato di Siracusa e il Moscato di Noto.

In provincia di Ragusa la giacitura dei terreni vitati è per circa il 60% in pia-nura, principalmente nella zona litoranea, ed il rimanente 40% in collina. I co-muni dove la viticoltura è più diffusa sono Vittoria e Cosimo. Questa provincia,unitamente a quella di Catania e Caltanissetta, comprende l’area di produzio-ne del Cerasuolo di Vittoria. I vitigni maggiormente coltivati sono il frappato (sur-ra), il calabrese, il nerello mascalese e il ciliegiolo tra quelli a bacca rossa, el’inzolia tra quelli a bacca bianca.

La provincia di Enna possiede centri storicamente importanti come Centuripe(Centorbi), dove intorno nel V secolo a.C. fu scritta per la prima volta la paro-

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la “vino” sul coperchio di un otre di terracotta. I comuni attualmente più inte-ressati alla viticoltura sono Piazza Armerina, Aidone, Enna e Nicosia. Questaprovincia, al centro dell’isola, è una vasta successione di colline e aride mon-tagne, con scarsi impianti di vigneti, dove la vite si trova spesso ai limiti dellasua coltivazione fino ai 1.100 m di altitudine, con basse temperature prima-verili che possono danneggiare i vigneti. I vitigni più coltivati, allevati a spal-liera e a tendone, sono catarratto, inzolia, nerello cappuccio, calabrese e treb-biano toscano.

Gastronomia

Siamo nella più grande isola del Mediterraneo e nella regione più estesad’Italia, che ha visto avvicendarsi sul proprio territorio le dominazioni di tantipopoli, assorbendone usi e tradizioni. Greci, Romani, Arabi, Bizantini, Normanni,Svevi, Angioini e Spagnoli hanno arricchito le tradizioni gastronomiche locali,portando ognuno qualcosa di proprio e contribuendo a formare l’attuale fisio-nomia della cucina siciliana, ampia, ricca, solare, succulenta, fantasiosa marealistica. In questo quadro, è forte l’incidenza dell’agricoltura sull’economia iso-lana, con una grande produzione di grano duro. Non dimentichiamo che laSicilia era considerata, al tempo dell’Impero Romano, il granaio di Roma, e chesembra che i maccheroni siano stati “inventati” dai siciliani, circa nel dodicesi-mo secolo. Importante è anche la coltivazione degli ortaggi, con estesissime ser-re nella parte sud-est della regione, e quella degli agrumi, la più alta d’Italia.Dalle olive si ottengono pregiati oli extra vergine di oliva DOP come Monti Iblei,Valli Trapanesi, Val di Mazara, Monte Etna, Valdemone e Valle del Belice. Pocosviluppata è la zootecnia, mentre di notevole importanza è la pesca, specie nel-le province di Palermo e Trapani.

Vediamo adesso questa ricca cucina più da vicino, cominciando dagli antipa-sti, tra i quali si segnalano gli arancini, palle o coni di riso al sugo ripieni di car-ne tritata con pomodoro e piselli, poi impanati e fritti, le famose olive DOPNocellara del Belice, le olive verdi farcite, fatte con un trito di prezzemolo, cap-peri e pane grattugiato, le olive schiacciate, poste prima in salamoia e poi snoc-ciolate e condite con olio e aglio, i pomodori ripieni, tagliati a metà e farciti conolive, scampi e bottarga a pezzettini. Saporita e gustosa è la bottarga siciliana,cioè uova di tonno salate ed essiccate al sole in un involucro, e poi tagliate fi-nemente, così come la caponata di carciofi di Menfi, quella con la salsa, dadola-

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ta di melanzane con sedano e salsa di pomodoro, e quella di verdure, che si ot-tiene con indivia, cavolfiore, spinaci e sedano cotti separatamente e poi soffrit-ti, mischiati e spruzzati di aceto.

Infinita è la varietà dei primi piatti, tra i quali citiamo solo i più tipici ed im-portanti, come la pasta alla Norma, fatta per lo più con penne o spaghetti con-diti con un sugo a base di ricotta stagionata, pomodori maturi e pezzi di me-lanzane fritte, così chiamata in omaggio al compositore catanese VincenzoBellini, e la pasta cu la muddica, con pomodori, acciughe, prezzemolo e cospar-sa di mollica tostata. Gustosi sono i maccaruni di casa, conditi con sugo di po-modoro e polpettine di carne, gli spaghetti alla siracusana con olive nere snoc-ciolate e filetti di acciughe, la minestra o la pasta con i cavolfiori, con peperon-cini verdi piccanti, acciughe dissalate, olio, cipolle, aglio, cavolfiore, pinoli eduvetta, i crispeddi, sfogliatine di pasta con ripieno di ricotta fresca e pasta diacciughe, la pasta con salsa picchi-pacchiu con peperoncini piccanti, pomodo-ri freschi, basilico e aglio. La ‘ncasciata è un tipico timballo di maccheroni del-la zona di Enna, conditi con ragù, polpette, uova sode, salame, caciocavallo, me-lanzane fritte e piselli; la pasta c’anciova, la ‘cchi masculini, la pasta con il ri-quagghiu, simile alla carbonara laziale, la sciusceddu, minestra con un impastodi uova, pane grattugiato, formaggio, prezzemolo e aglio, sono primi piatti al-trettanto interessanti. Dal mare arrivano le materie prime per la pasta con le sar-de, tipica del palermitano, dove il condimento della pasta è costituito da olio,acciughe, sardine, pinoli, uvetta e finocchio selvatico, per il timballo di riso congamberi fritti e frutti di mare, e per i maccheroncini liparesi, conditi con un su-go a base di avanzi di pesce cotto in diversi modi, rosolati e bagnati con mar-sala secco, con aggiunta di salsa di pomodoro e, alla fine, di una salsa a base diacciughe dissalate, aglio ed olio. E poi la ‘mpanata, una torta salata con moltevarianti, il pasticcio di maccheroni e melanzane con caciocavallo e parmigianoreggiano, e il timballo del Gattopardo, a base di pasta frolla con maccheroni, pi-selli freschi, cipolla, carciofi. Meno diffusi i risotti, tra i quali si può ricordare ilripiddu nivicatu, risotto con nero di seppia, ricotta salata e salsa di pomodoro,tipico del catanese e modellato a forma di vulcano “imbiancato”.

Il notissimo cous-cous di origine araba, diffuso nella parte occidentale del-l’isola, non è l’unico esempio dell’influenza di quella cucina, come confermatodai maccheroni caserecci della provincia di Enna, conditi con ragù di carne, me-lanzane e formaggi, insaporiti con zucchero e cannella.

Se si passa alle pietanze, si può iniziare con quelle a base di carne, come la

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costoletta alla siciliana,costituita da fette di car-ne di vitello spianate, ap-pena marinate nell’aceto,poi ricoperte da un mistodi formaggi, la costolettaalla palermitana, cottacon strutto, origano, panegrattugiato, sale e pepe,gli involtini di carne, conprovolone fresco, uvetta,pinoli e pane grattugiato,i sasizzeddi, involtini di vi-tello farciti con uova, sa-lame, cipolle e formaggio,la trippa all’olivitana, cu-cinata nel coccio con uo-va sode, formaggio e me-lanzane fritte. Altre pre-parazioni molto saporitesono il capretto in spezza-tino, alla griglia o in fri-

cassea, il grassatu, spezzatino di agnello o capretto con patate, il coniglio in umi-do, con le olive, arrosto, alla cacciatora, la salsiccia fritta al vino, il pollo ai pepe-roni alla siciliana, con mandorle, uvetta sultanina, un po’ di cacao dolce, cannellae noce moscata. Una tipica preparazione siciliana è il falsomagro, un tipo di pol-pettone ripieno di carne di maiale tritata, salsiccia, uova sode, fette di pancetta,pecorino a scaglie, aglio, sale e pepe, legato con lo spago e cotto in casseruola conolio e cipolla affettata, spruzzando con vino rosso e portando a cottura con bro-do, poco per volta. Tra i secondi di pesce, è famosissimo il tonno alla siciliana, conacciughe, erbe aromatiche, spezie e vino bianco, le sarde a beccaficu, sardine im-panate e cotte in tegame con olio, acciughe, uvetta, pinoli, alloro, prezzemolo ebasilico, le costolette di sarde, il nasello alla palermitana, cotto al forno con olioextra vergine, acciughe sotto sale, rosmarino, pane grattugiato, sale e pepe, l’alosein camicia. Un piatto molto caratteristico è il piscistocco alla messinese, cioèstoccafisso cotto con olio, olive nere, capperi, pomodoro e cipolla, così come il pe-

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Costolette di sarde

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sce spada con salmoriglio, salsa a base di olio, limone, prezzemolo e origano, diorigine spagnola, le braciole di pescespada farcite di formaggio, verdure grigliatee pane, i calamari ripieni con olive, capperi, acciughe dissalate, aglio, prezzemo-lo e peperoncino. Il pesce spada torna nella stimpirata di Siracusa, a tranci, frittoe poi passato in casseruola con una salsa di capperi, per finire con il museddu diTrapani, un filetto di tonno salato ed essiccato da affettare nelle insalate.

I formaggi DOP sono il pecorino siciliano, sapido e piccante, nella cui pastavengono inseriti grani di pepe nero, e il ragusano, a pasta filata, detto cacioca-vallo siciliano, dalla curiosa forma di parallelepipedo lungo quasi mezzo metro,alto circa 15 cm e dal peso intorno ai 15 kg, fatto con latte vaccino di razza mo-dicana, dal colore paglierino nel tipo più stagionato, servito localmente con ori-gano ed una spruzzata di aceto, aglio e olio, rosolandolo nel coccio. Gustose so-no anche la ricotta fresca di pecora e la tuma siciliana, cagliata appena induri-ta di latte di pecora, non salata e da consumare fresca, la vastedda della valledel Belice, l’unico prodot-to a pasta filata ottenutoda latte ovino intero, se-guite dal caciocavallo al-l’argintera, formaggio fre-sco affettato, fritto in pa-della con olio e origano. Ilformaggio giallo, a pastadura, ottenuto da latte dipecora aromatizzato conzafferano, è tipico dellazona di Enna, dove si tro-va anche il piacentino, unformaggio arricchito conpepe o, ancora, con zaffe-rano. Infine il maiorchi-no, il cui sapore dipendedalle diverse percentualidi latte di pecora e di ca-pra, prodotto nel messi-nese e con un caratteri-stico colore bianco ten- Caponata di melanzane

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dente al paglierino, da consumare fino ai tre mesi per apprezzarne l’aroma dilatte o dopo otto mesi di stagionatura con un impatto gusto-olfattivo più de-ciso e piccante.

Spesso curiosi e quasi esotici sono i contorni, come le melanzane alla parmi-giana, in caponata, ripiene, i broccoli affogati, cioè stufati con olio e cacioca-vallo, il cavolfiore al forno con caciocavallo fondente, i pomodori ripieni di riso,la peperonata in umido, con cipolle, pomodori e olive verdi, l’insalata di arance,fatta con arance sbucciate, affettate finemente e condite con olio, sale e pepe.E su tutti il profumo e l’aroma dei pomodori di Pachino IGP o di quelli meno fa-mosi, i rossissimi seccagni delle Basse Madonìe, coltivati in campo aperto sen-za irrigazione, ottimi crudi e deliziosi per la produzione di salse, marmellate eprodotti sott’olio, meravigliosi con pecorini locali e altri formaggi stagionati.

I capperi di Pantelleria IGP e quelli di Salina, d’estate decorano queste splen-dide isole con fiori eleganti e di colore bianco-violetto, che celano quei picco-

li tesori aromatici.Prima di passare ai dolci, vanto

dell’isola forse più di qualunquealtra preparazione culinaria, ri-cordiamo l’uva da tavola diCanicattì, di Mazzarrone e lesplendide arance rosse di Sicilia,tutti IGP, i cedri, le mandorle pro-dotte soprattutto ad Avola e Noto,i pistacchi verdi di Bronte DOP, al-le pendici dell’Etna, e i fichi d’Indiadell’Etna DOP, che, giunti in que-st’isola del sole dal Messico, han-no trovato un ambiente ideale,con le loro diverse varianti: daquelli più consueti a polpa gialla aquelli sanguigni, a polpa rossa equasi violacea. Vengono consu-mati freschi, oppure utilizzati perfarne gelati, sorbetti e la mustada,una tipica confettura prima mes-sa in formelle, seccata a lungoLe profumate arance siciliane

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sotto il sole fino a ca-ramellare, che poi di-venta uno sciroppomieloso impiegato inmolte preparazioni.

Conosciuti ed ap-prezzati da tutti sonoi famosi dolci siciliani,come i dolcetti di Ri-posto e l’agnello pa -squale, di pasta realefarcita con confettu-ra di cedro, le conchi-glie di pasta reale, itradizionali dolci di sambuca minni di virgini, i fruttini di Martorana, fatti a fog-gia di frutta varia con pasta di mandorle, e decorati come facevano, appunto,le suore del convento della Martorana. Dolcissima è la pignolata messinese, ti-pico dolce natalizio, ed altrettanto invitanti sono la cubbaita, torrone morbidoa base di miele, mandorle e semi di sesamo, di origine araba, altri torroni nelleforme e nei modi più vari, la cioccolata di Modica e la crema di mandorle di No-to. La cassata siciliana è un dolce di origine araba, la cui ricetta si è conserva-ta nelle cucine dei conventi, come accaduto per molti dolci siciliani, compostada strati di pan di Spagna alternati ad un impasto di ricotta fresca montata, li-quore dolce o rum, zucchero, pistacchi, cioccolato fondente, frutta candita mi-sta, il tutto glassato sontuosamente e decorato con grande maestria ed abbon-danza con canditi di tutti i tipi. Altre delizie sono i cannoli siciliani, un tempopreparati solo per carnevale ed oggi famosi in tutto il mondo. Si ottengono dauna pasta a base di farina e zucchero, avvolta sugli appositi cannelli di metal-lo; vengono poi fritti in abbondante olio e successivamente farciti con ricotta,frutta candita e pezzetti di cioccolato. Da morirne, per un goloso! Goloso chenon potrà non apprezzare, in estate come in qualunque altra stagione, i deli-ziosi gelati e la granita al limone, alla pesca e al sapore di tanti altri meravi-gliosi frutti, dolci e profumati come il melone e l’anguria ma, soprattutto, al caf-fè, servita con panna montata e gustata… anche a colazione. Possiamo garan-tire che è una vera delizia, per rinfrescarsi nelle calde mattine estive, su una ter-razza sul mare colorata da cascate di bouganville.

I cedri, che diventeranno deliziosi canditi

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La vite e la sua storia

Si può tentare di datare le prime forme di viticoltura in Sardegna attorno al2000 a.C., pur non avendo indicazioni concrete in merito. Solo successivamen-te, con la prima massiccia immigrazione fenicia nell’isola, il loro apporto con-tribuì ad un più razionale sviluppo della vite, seguito da quello dei coloni greciintorno al VII secolo a.C., con conseguente inizio dei commerci tra questi duepopoli lungo le coste del Mediterraneo. Diversamente si comportarono iCartaginesi quando invasero l’isola: per proteggere i vini della madrepatria dan-neggiarono i vigneti e imposero rigorose limitazioni ma poi, per esigenze pro-prie, ripresero ad incentivare la coltivazione viticola.

Quel che è certo è che gli antichi storici, per il grande isolamento vissuto dal-l’isola, non sono riusciti a raccogliere molte informazioni sulla vite in Sardegna.Durante la dominazione romana, gli occupanti manifestarono un certo interes-se per il vino locale, ma cercarono di sfruttare le grandi piane locali per la pro-duzione cerealicola, di cui Roma era sempre bisognosa. La vite tuttavia conti-nuò sempre ad essere presente ed i vini sardi ad essere conosciuti e ricercati,anche se prodotti in quantità limitata: infatti nell’editto di Domiziano, che vie-tava l’installazione di nuovi vigneti, la Sardegna non era menzionata.

Dopo le invasioni barbariche, numerose e devastanti, la vitivinicoltura subì untracollo, tornando a vivere nelle limitate isole di clandestinità dei monasteri, perpoi da questi tornare allo scoperto, rilanciata dalle repubbliche marinare diGenova e di Pisa fino al XIV secolo. Quindi è con il Medioevo e dopo il crollodell’Impero Bizantino, alla lettura degli “Statuti Sardi”, tra il XIII e il XIV seco-lo, che si può costatare come la vitivinicoltura sia diventata parte importantedell’economia dell’isola, con l’introduzione di nuovi vitigni, la vernaccia nell’o-ristanese alla fine del ‘300 e più tardi, forse da Genova, il vermentino.

Nel XV secolo si hanno i primi apporti dalla Spagna, in pratica dei vitigni daiquali discendono gli odierni cannonau, bovale, girò, monica, nasco e qualche al-tro. Insieme ai vitigni, giunse anche la tecnica per produrre quei vini liquorosiche rimangono una delle caratteristiche costanti dell’enologia sarda.

Al commercio, le quotazioni dei vini sardi erano seconde solo a quelle dellaCorsica, per certi versi più famosa e nota, specie scorrendo la lista dei vini pa-pali di Sante Lancerio, che è del tutto silente sui vini sardi, ma che ricorda in-vece quelli della Corsica. Poche informazioni ancora arrivano da Andrea Bacci,che parla di vini sardi bianchi e “crudi”, non reperibili sul continente, e nei se-

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coli successivi il quadro non muta in modo significativo. È con la dominazionepiemontese e l’unificazione che la viticoltura sarda sembra prendere nuovo vi-gore, raggiungere un migliore equilibrio e una maggior produzione, soprattut-to per i traffici commerciali con Marsiglia ed un notevole aumento dei prezzidei vini. Le correnti di esportazione volano verso la Francia e l’Austria, ed i vinimaggiormente esportati sono i bianchi, specie per la crescente industria delVermouth: acquistano fama il Nuragus, la Malvasia, la Vernaccia, il Moscato, ilGirò, il Nasco, il Torbato e il Monica. La fillossera però si fa sentire pesantemente,e il vigneto formatosi nel corso dei secoli ed aggiustatosi nella seconda metàdell’800 viene poi di fatto ricostituito secondo la precedente caratterizzazione.

Ambiente pedoclimatico

La Sardegna è una regione (24.090 kmq) bagnata a sud dal mare Mediterraneo,a est dal mar Tirreno, a ovest dal mare di Sardegna, e a nord le bocche diBonifacio la separano dalla Corsica, con coste che, se si escludono i tratti in cor-rispondenza delle pianure, sono alte e molto spettacolari.

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Il 50% circa dei terreni sono fondamentalmente granitici, ma sono presentianche calcari, materiali sedimentari e depositi eolici delle fasce costiere; l’attualemorfologia dell’isola è il risultato dei complessi fenomeni tettonici e vulcanici.Il territorio sardo è infatti costituito da una successione irregolare di formazio-ni montuose, gruppi isolati e altopiani profondamente intaccati dall’azione ero-siva. Nella fascia occidentale prevalgono le aree montuose, mentre in quellaorientale il paesaggio è più collinare. Il gruppo del Gennargentu comprende Puntala Marmora, la cima più alta dell’isola (1.834 m), ed un elemento caratteristicodel territorio è la fossa tettonica del Campidano.

Il fiume più lungo dell’isola è il Tirso, che dopo aver percorso 150 km sfocianel golfo di Oristano, seguito dal Temo che sbocca presso Bosa, e per un picco-lo tratto è l’unico fiume navigabile della Sardegna. I fiumi sardi, infatti, a cau-sa della natura dei rilievi e del clima, hanno carattere torrentizio, con portateabbastanza copiose in inverno e scarse in estate. Altri fiumi nella parte setten-trionale dell’isola sono il Coghinas ed il Liscia, mentre sul versante tirrenico sfo-ciano il Posada, il Cedrino e il Flumendosa. Lungo le coste sono presenti laghi estagni; negli ultimi anni sono stati creati diversi bacini artificiali per sfruttaree distribuire nel tempo l’acqua dei flussi torrentizi, che permettono interventidi irrigazione nei mesi più siccitosi.

Il clima della Sardegna è di tipo insulare-mediterraneo. Le estati sono lun-ghe, calde, asciutte e ventilate; gli inverni sono brevi, piovosi ma non freddi, adeccezione delle zone più elevate. Le medie annue oscillano tra i 18 °C delle fa-sce costiere e i 14 °C di quelle interne, dove sono anche più rilevanti le escur-sioni termiche. La piovosità è discreta in autunno-inverno, scarsa in primaverae quasi assente in estate, ma si possono avere forti precipitazioni, venti freddie sbalzi di temperatura abbastanza drastici tra febbraio e marzo, che possonodanneggiare il risveglio vegetativo della vite. Il vento dominante è il maestrale,da nord-ovest, che investe soprattutto il settore occidentale dell’isola, mentreil garbino e lo scirocco, caldi e turbinosi, spirano sulle coste meridionali.

Zone vitivinicole

È da pochi anni che i vini di Sardegna si trovano facilmente e sono apprez-zati sul continente, nonostante una produzione piuttosto limitata di 581.537 hlnel 2008, e questo è dovuto alla recente tendenza a produrre vini fini, freschi edelicati come il Vermentino di Gallura e di Sardegna, il Nuragus di Cagliari edaltri ancora.

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Capo Caccia

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È stato infatti in questo ultimo periodo che si è assistito ad un’inversione ditendenza, grazie alla quale sono emerse professionalità ed entusiasmo che han-no portato ad ottimi prodotti, anche se spesso su piccola scala. Ma ci si è an-che resi conto che, nonostante i buoni risultati raggiunti, non si deve dormiresugli allori. L’età media dei vigneti è tuttora piuttosto elevata, e c’è l’intenzionedi impiantare alcune migliaia di ettari di nuovi vigneti nei prossimi anni, facendosoprattutto affidamento sulle uve tradizionali del vermentino, del carignano, delmonica e del cannonau, aumentando la produzione dei vini da uve a bacca ros-sa, senza trascurare quelli a bacca bianca. In Sardegna è anche interessante laproduzione di vini da dessert, prevista in quasi tutte le DOC, ottenuta soprat-tutto dai vitigni moscato e malvasia. La superficie vitata è attualmente in leg-gero aumento, mentre sembra stia diminuendo l’interesse verso alcuni vitigniche in passato avevano dato lustro alla produzione sarda. In calo è anche la pre-senza delle cantine sociali, che da qualche anno sembravano delle realtà im-portanti, mentre sono in aumento i privati. I Consorzi di tutela hanno già datobuoni risultati.

Il Cannonau di Sardegna, prodotto nelle zone più tipiche dell’Ogliastra,Barbagia, Nuorese e Baronia sta dando parecchie soddisfazioni. Ma anche altrivini rossi hanno sorpreso favorevolmente il mercato e, in più di un caso, gli ot-timi risultati sono stati ottenuti anche grazie all’affinamento in piccole botti econ l’apporto di vitigni internazionali. Tra i vini bianchi non mancano novità in-teressanti, così come tra i vini da dessert, sebbene siano scarse le iniziative ade-guate per promuoverli e valorizzarli.

Questi sensibili cambiamenti sono stati ottenuti applicando nuovi principi al-la vitivinicoltura e, per esempio, dalla tradizionale forma ad alberello si è pas-sati alla spalliera o al tendone, secondo le esigenze colturali della vite e le do-tazioni idriche del terreno, allontanando i grappoli dal suolo rovente, special-mente durante l’ultima fase di maturazione (agosto-settembre) ed esponendo-li al sole in maniera più razionale.

I vitigni più importanti in ordine di diffusione sono il famoso cannonau, il nu-ragus, il monica, il vermentino, il carignano, il pascale, il manzoni bianco, il san-giovese, il bovale, ma si coltivano con un certo interesse anche il moscato bian-co, il bovale grande ed il nieddu mannu; il vitigno più importante per la nobil-tà del prodotto ottenuto rimane sempre la vernaccia di Oristano, che interessaperò una superficie vitata di soli 41,84 ettari denunciati nel 2008.

I vini DOC sono prevalentemente ottenuti da un’uva principale, talvolta inte-

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grata da moderate percentuali di altre (5-15%), e ultimamente si tende ad uti-lizzare non solo vitigni tradizionali, ma anche alcuni sperimentali. Sono stati co-sì ottenuti risultati di grande rilievo, sia nel campo dei vini bianchi di pronta be-va, sia in quello dei vini rossi da sottoporre a maturazione, ricchi di corpo e dibuona sapidità. Tutti i vini DOC e da tavola hanno riacquistato una propria per-sonalità, recuperando una parte di quelle peculiarità che, se presenti in giustamisura, conferiscono indiscutibili caratteri di qualità.

La vite in Sardegna è coltivata soprattutto nelle zone litoranee, occupandola bassa collina e la pianura; nelle aree interne, al di fuori del Campidano, sonopochi i comuni con superfici vitate superiori ai 500 ettari.

La provincia di Sassari comprende i comuni di Alghero e di Sorso ed ha lamaggior parte del suo territorio coltivata a vigneto, soprattutto a nord-ovest,dove si trovano calcari dolomitici, rari in Sardegna, dal colore rosso per la pre-senza di ferro. Questa zona, tipica del Vermentino di Gallura presenta vignetiimpiantati su terreni dalla morfologia più dolce, di derivazione granitica, pove-ri di argilla e che richiedono irrigazione.

La provincia di Nuoro ha la maggior parte dei vigneti nella fascia litoraneaed in prossimità di essa; il comune di Dorgali è quello che vanta la maggior su-perficie vitata. Tutta l’Ogliastra, da Jerzu a Lanusei, a Tortolì e, più a settentrio-ne, ad Oliena, non è altro che una movimentata successione di colline calcareesulle quali domina la coltura ad alberello basso del vitigno cannonau, che quiraggiunge le migliori espressioni qualitative. Nell’angolo più interno dell’isola vie-ne prodotto il vino Mandrolisai, con viti ancora allevate con vecchi impianti adalberello o alberello modificato, mentre nei terreni più fertili e negli impianti nuo-vi si ricorre alla spalliera bassa o guyot.

La provincia di Oristano è un’altra area che vanta antiche tradizioni vitico-le, con produzioni spesso di gran pregio. Il comune con la più ampia superficievitata è Terralba, ma l’area dove si produce la Vernaccia di Oristano è la bassavalle del Tirso.

Nell’area interna della provincia di Cagliari i vigneti s’incontrano lungo le pen-dici collinari e montane: importanti zone vitivinicole sono le colline dellaTrexenta, parte della Marmilla, dell’Iglesiente e del Sarrabus. Nelle regioni delCampidano di Cagliari, Serrenti e San Gavino Monreale, si ha la maggior con-centrazione viticola della Sardegna (3/5 del totale) e la presenza di numerosecantine cooperative di grosse dimensioni. In questa zona le vigne si estendonosenza interruzione dai dintorni del capoluogo fino a Monastir, Dolianova e

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Mandas. Il litorale cagliaritano comprende colline che costeggiano il mare, edè la zona più arida dell’isola, con terreni poco fertili. Ma anche qui, nelle areepiù difficili, la vite si è ben adattata.

Gastronomia

Nonostante sia un’isola, la Sardegna non è una terra di pescatori, e la più au-tentica cucina sarda è quella dell’entroterra, legata agli usi ed alle consuetudinigastronomiche delle popolazioni della pianura e della montagna. Non bisogna tut-tavia disconoscere una cucina costiera, sviluppatasi negli ultimi trent’anni a se-guito del forte impulso turistico sulle sue coste, tra le più belle d’Italia. Da questoquadro ne deriva che le attività isolane principali vanno dalla pesca all’agricoltu-ra e all’artigianato. La cucina sarda si basa principalmente sulla pasta, sulle mi-nestre, sul pane, su ortaggi come carciofi e pomodori, sulle carni di agnello e pe-cora, capretto e capra, ma anche su quelle suine e bovine, ottenute da intensi al-levamenti nei pascoli molto estesi. Molto diffusa è l’ulivocoltura, la coltivazionedi barbabietole da zucchero e di carciofi, oltre alla produzione forestale di sughero.

In tanta varia abbondanza, si possono citare i piatti più noti, a cominciare da-gli antipasti. Il più famoso è certamente la bottarga, uova di tonno o di mug-gine seccate ed affettate molto sottili su fette di pane tostato, usata anche co-me condimento per primi piatti sapidi e gustosi. E lo stesso muggine, salato, es-siccato e affumicato, ci dà il mugheddu, servito con olio ed aceto. Numerose leinsalate a base di prodotti del mare, come quella di mare, di aragosta, o di pol-po bollito servito con olio, sale, pepe e limone. Più saporiti e ricchi sono i pesciin scapece, cioè muggini fritti e marinati con sale, olio e aceto, la merca, anco-ra a base di muggini bolliti in acqua salata e poi confezionati con erbe aroma-tiche a mo’ di salami, le frittelle di cozze, l’anguilla affumicata, la capponata diorigine ligure, preparata con un fondo di gallette inumidite con acqua, olio e ace-to, con tonno, pomodoro affettato ed aromi. Non molti i salumi, tra cui il pro-sciutto crudo di maiale brado, i prosciutti di capra e di pecora di Teulada, la sal-siccia d’Irgoli, nel nuorese, considerata uno dei prodotti più tradizionali e pro-dotta con carni fresche di suino tagliate in punta di coltello, salate, pepate, spe-ziate e poi insaccate in budello, da consumarsi dopo un periodo molto breve distagionatura. Altri salumi sono la pancetta, la mustela, filetto di maiale con-ciato con aceto e vino e la salsiccia sarda, aromatizzata con finocchio, stagio-nata per circa un mese e da gustare cruda o cotta.

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Per accompagnare tutti i piatti saporiti della cucina sarda, l’ideale è il panecarasau. Tipico del nuorese e del sassarese, formato da grandi sfoglie tostate, ènoto ormai ovunque con il nome di carta musica, un tempo cibo tradizionale deipastori della Barbagia e tuttora utilizzato per fare il pane frattau, bagnato nelbrodo, condito con salsa di pomodoro e formaggio e addizionato di un uovo incamicia.

Tra i primi piatti, i più tipici sono is malloreddus, minuscoli gnocchetti con-diti con sugo di carne di cinghiale, o con patate, cipolle e pecorino grattugia-to; in particolare, quelli alla campidanese sono più complessi e serviti con sal-siccia, cipolla, pomodori e abbondante pecorino sardo. Gustosi sono anche i mac-carones, ottenuti da un impasto di semola di grano duro con acqua, attorcigliati

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Gastronomia in Sardegna

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attorno ad un ferro da calza, conditi con ricotta o sughi di carne, i ciusoni gal-luresi, gnocchetti di semola di grano duro conditi con un sugo a base di pomo-doro e carne, gli angiulottus, cioè agnolotti ripieni di formaggio o di carne, ilpillus, piatto preparato con lasagne che, a mezza cottura, vengono poste al for-no, a strati, con prosciutto e carne tritata.

Si possono gustare anche alcune zuppe, come la suppa quata, cioè “nasco-sta”, tipica della Gallura, formata da strati di pane e formaggio fatti cuocerecon brodo a fuoco lento, con una crosta superiore che ne nasconde il conte-nuto, la su farru, a base di menta e farro, la minestra di cavolo e zampetti dimaiale, la cauladda, tipica del sassarese con cavoli, lardo, salsiccia, fave, car-ne lessa e aglio, la fregula, il minestrone di ceci e zafferano, il minestrone sar-do con finocchio selvatico, la padedda. Si trovano anche primi piatti a base diprodotti del mare, come il risotto alla pescatora, gli spaghetti alla bottarga ealla carlofortina, conditi con sugo di tonno e pesto alla genovese, la buridda,con il gattuccio di mare tagliato a pezzi, lasciato marinare per due giorni in unasalsa ottenuta dal fegato dello stesso pesce, aceto, olio extra vergine, noci tri-tate e aglio, la cassòla, zuppa di pesce molto ricca con un tocco di pomodoroe servita in casseruole di coccio. Altri piatti interessanti sono la pizza alla ca-gliaritana, la zuppa di finocchietti, con pane raffermo, finocchietti, pomodorisecchi, pecorino e formaggio fresco, e i coccois de gerda, focacce con cicciolie formaggio salato.

Tra i secondi sono molto numerosi i piatti a base di agnello di Sardegna, ri-conosciuto IGP, come l’agnello con i finocchietti cotto in umido, il pilau, agnel-lo o capretto serviti con il riso pilaf, la trattalia, frattaglie di agnello con pane,lardo e alloro, la cordula, con frattaglie cotte alla griglia, le pancette di agnel-lo ripiene di piselli freschi, ricotta, uova, zafferano e polpa di pomodoro.Particolarmente apprezzata in alcune parti dell’isola è la pecora in cappotto, cot-ta in acqua con sedano, patate, pomodori secchi e cipolle.

Sono presenti anche le carni di animali da cortile, come la gallina al mirto,piatto freddo che si ottiene bollendo la gallina, che poi va tenuta tre giorni acontatto con il mirto, il pollastro ripieno, i puddighinos, piccoli polli cucinati alforno, il coniglio in casseruola. Tra gli arrosti troviamo la capra allo spiedo, il ca-pretto al forno, ed è famosissimo il porceddu, cotto in uno spiedo per lo più dicorbezzolo, con sale, erbe aromatiche come alloro, menta, salvia e rosmarino,su braci di ginepro e mirto, oppure o carrasciu, sepolto in una fossa con soprae sotto carboni accesi di legno odoroso e foglie di mirto.

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Apprezzati sono anche i piatti a base di carni rosse come i coiettas, involtinidi verza farciti con ragù di carne, il vitello al vino, soprattutto Cannonau, il ghi-sau, stufato di manzo in umido, la favata, stufato di fave e manzo, ma più spes-so maiale, gli is longus, intestini di bovino cotti sulla graticola o allo spiedo.Numerosi i piatti di selvaggina, come lepri e cinghiali, ma famose sono le per-nici fredde in salsa, con carote, sedano, cipolle, prezzemolo e pomodori, e la tac-culas, preparata con tordi bolliti lasciati a contatto tre giorni con fronde di mir-to. Gustosi sono i lumaconi ripieni, con uova, aglio, peperoncino, prezzemolo, pe-corino, pane grattugiato e olio.

Per i prodotti del mare, ci limitiamo a segnalare l’aragosta all’algherese e al-la catalana, con pomodori e cipolle, arrostita sulla brace o cotta al forno con pa-ne grattugiato, olio, prezzemolo e succo di limone, i calamari e i cefali ripieni,con un trito di aglio, alici, pane grattugiato, olio, sale e pepe, le sarde alla gri-glia.

Tante sono le produzioni orticole e i contorni sono numerosi e svariati, comei carciofi con patate, le frittelle di finocchio, le melanzane in teglia con salsa dipomodoro, i fagioli alla gallurese con lardo, finocchietti selvatici e pomodoro,la torta di fave, frittata molto saporita di fave verdi sbucciate, uova e pane grat-tugiato.

La grande produzione di latte di pecora permette di ottenere un’ampia gam-ma di latticini freschicome la ricotta, i ricot-toli e la ricotta forte, odi formaggi più stagio-nati come i DOP fioresardo e pecorino sardo,con toni decisamentepiù piccanti, oltre allamaggior produzionedel pecorino romano.Altri formaggi da ricor-dare sono i caprini, icanestrati, la peretta ela merca, dal gustodolce e delicato il pri-mo giorno, che diventaAragosta all’algherese

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poi leggermente aci-dulo.

Siamo così arrivatiai dolci, anch’essi nu-merosi e spesso arric-chiti da miele e for-maggio, come i famo-si sebadas, a forma diraviolo ripieno di for-maggio, fritti e serviticosparsi di miele, perlo più di corbezzolo. Abase di ricotta trovia-mo la torta di ricotta,arricchita da mandor-le, noci e uva passa, glizippulas, con farina, zucchero, uova, lievito di birra, ricotta, patate e scorzad’arance.

E poi ancora i pistollos, i papassinos, i cascheddas, i casadinas, i mustazzo-lus e il torrone, prodotti ottenuti ancora in maniera artigianale in tutta laSardegna. Gli amaretti di Carloforte sono fatti con mandorle dolci e amare tri-tate, zucchero e albume d’uovo montato, così come i suspirus, mandorle maci-nate e cotte con zucchero, modellate a mo’ di palline e cotte nel forno.

L’aranzada è un torrone con miele, mandorle tritate e scorze d’arancia, men-tre la tumbada è preparata con latte, uova, zucchero, burro, limone, vaniglia eamaretti. Quanto miele nei dolci sardi! Proprio per questo si deve ricordare an-che il famoso miele di corbezzolo di Ales, da gustare da solo o su una semplicefettina di pane.

Dolcetti sardi

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Indice

Presentazione p. 5

Introduzione 7

I Vitigni 9

Enografia e gastronomia regionale 107

Valle d'Aosta 108

Piemonte 116

Lombardia 132

Trentino 146

Alto Adige 156

Veneto 164

Friuli-Venezia Giulia 178

Liguria 192

Toscana 202

Emilia 218

Romagna 230

Marche 240

Umbria 252

Lazio 262

Abruzzo 274

Molise 288

Campania 294

Puglia 308

Basilicata 320

Calabria 328

Sicilia 338

Sardegna 354

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V.C.R. Vivai Cooperativi Rauscedo - Catalogo generale

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Finito di stampare pressola Bertani & C. industria grafica - Cavriago (RE)

nel mese di gennaio 2014