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Scuola Secondaria di 1° grado “Riccardo Monterisi”- Bisceglie IL VIAGGIO DELL’EMIGRANTE IERI E OGGI Classe III G A.S. 2012/2013

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Lavoro di ricerca della classe 3^ G della Scuola Secondaria di Primo Grado "Riccardo Monterisi" di Bisceglie - anno scolastico 2012-2013

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Scuola Secondaria di 1° grado “Riccardo Monterisi”- Bisceglie IL VIAGGIO DELL’EMIGRANTE

IERI E OGGI

Classe III G A.S. 2012/2013

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INDICE

•Introduzione 3•La prima ondata migratoria 4•La cartina dell’emigrazione italiana verso l’America 5•Le cause dell’emigrazione 6•I preparativi per il viaggio 7•L’attesa dell’imbarco 8•La partenza 9•Il viaggio 10•L’arrivo alla meta 11 •L’inserimento nella metropoli 12•Le “Little Italies” 13 •L’emigrazione dall’Italia negli anni successivi 14•L’Italia, da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione 15 •Immigrazione regolare e irregolare o clandestina 16•Le “carrette del mare” 17 •L’immigrazione in Italia: una minaccia … 18•… o una risorsa? 19•La “fuga dei cervelli” 20

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INTRODUZIONE

Con questo piccolo dossier, intitolato “Il viaggio dell’emigrante ieri e oggi”, noi alunni di III G abbiamo voluto approfondire il tema dell’emigrazione, un argomento di grande attualità, che ci ha dato l’occasione di riflettere sulle condizioni degli emigranti italiani dello scorso secolo, sulle “onde” di immigrati che arrivano oggi in Italia, suscitando ostilità e xenofobia, e sul fenomeno preoccupante della “fuga dei cervelli”.Dalle ricerche effettuate sugli aspetti storici, sociali ed economici legati all’esodo, dalla lettura di documenti e dalle immagini commoventi e a volte sconvolgenti di traversate transoceaniche a bordo di stracolmi bastimenti, abbiamo capito che per tutti gli emigranti, sia quelli di ieri che quelli di oggi, gli addii, l’incontro e lo scontro con il paese straniero, la nostalgia, le gioie e i dolori quotidiani, l’integrazione nella nuova realtà, il coraggio e la responsabilità con cui hanno affrontato la difficile sfida dell’emigrazione sono comuni e costituiscono un patrimonio culturale e sociale da trasferire alle nuove generazioni e un importante esempio per tutti.

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LA PRIMA ONDATA MIGRATORIA

Trascorsi alcuni anni dalla proclamazione del Regno d’Italia (1860), oltre mezzo milione di individui, tra uomini e donne, per lo più settentrionali, varcarono le frontiere nazionali verso i Paesi più vicini: Francia, Svizzera, Austria e Germania. Con il passare degli anni, la propensione ad emigrare alla ricerca di condizioni di vita migliori, andò sempre più crescendo e coinvolse le fasce più povere di tutte le regioni italiane.

Il manifesto di una compagnia di navigazione

TABELLA – Espatri per sesso e per destinazione (in migliaia)

La prima grande ondata migratoria dall’Italia, costituita da operai, artigiani e soprattutto contadini, ebbe luogo tra il 1880 e il 1930. In quel cinquantennio, circa 17 milioni di emigranti, soprattutto meridionali (72%), abbandonarono i campi e le famiglie per raggiungere “la Merica” ricca (Stati Uniti) oppure l’America Latina, detta “la Merica” povera (Brasile, Argentina, Venezuela).

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EMIGRAZIONE ITALIANA VERSO L’AMERICA

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LE CAUSE DELL’EMIGAZIONE

A partire dal 1876, gli Italiani, specialmente meridionali, furono i protagonisti dell’emigrazione transoceanica perché l’assetto economico subì dei processi di cambiamento.Infatti, dopo il periodo di grande sviluppo economico vissuto fino al 1870 e conosciuto con il nome di Seconda Rivoluzione Industriale, l’offerta di beni divenne maggiore della domandae iniziò un lungo periodo di depressione economica. I primi governi nazionali, per favorire le imprese del nord, imposero dazi alle frontiere sui manufatti industriali stranieri che inevitabilmente diventavano molto più costosi di quelli italiani.I governi europei, a loro volta, abbandonarono la politica economica del libero mercato tra i Paesi (liberismo economico) e ripristinarono sui prodotti italiani, per lo più agricoli, alti dazi alle dogane (protezionismo). Questo provvedimento inasprì la povertà, specialmente delle regioni meridionali, perché causava la rovina del settore agricolo, in quanto le esportazioni dei prodotti agricoli (olio, frutta, vino, in precedenza esportati in notevole quantità), venivano a crollare. Le campagne furono letteralmente abbandonate e iniziò la piaga dell'emigrazione. Questo esodo di massa ebbe dei costi umani elevatissimi perché significò disperato sradicamento dalla propria terra e perdita di identità in Paesi stranieri, dove i rapporti umani erano difficili e bisognava spesso accontentarsi di lavori umilianti, faticosi e mal pagati.

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I PREPARATIVI PER IL VIAGGIO Gli emigranti, per lo più uomini dai 15 ai 40 anni, decidevano di partire dalla loro terra progettando una permanenza di alcuni anni di duro sacrificio per poi tornare con un gruzzolo a casa, destinato a comperare un po’ di terreno da coltivare in proprio e ricavarne da vivere o iniziare un’attività commerciale per un tranquillo avvenire. La determinazione a partire in Paesi ospitanti, però non sempre ospitali, derivava non solo dalle condizioni precarie in cui versavano ma era anche incoraggiata dalle notizie di propaganda all'emigrazione, più o meno attendibili, di parenti, amici e compaesani giunte attraverso le lettere, a volte lette nella piazza del paese. Talvolta gli emigranti erano indotti a partire da individui senza scrupoli che, approfittando della disperazione e dell'ignoranza delle persone, compivano truffe a loro danno.

Infatti un'indagine svolta nel 1892 da Agostino Bertani, nell'ambito dell'inchiesta agraria Jacini sulle condizioni nelle campagne, svelò che un contadino della Basilicata, che con il suo duro lavoro guadagnava giornalmente non più di una lira, dichiarò d'averne dovute pagare ben 135 all'agente per l'organizzazione del viaggio per l'emigrazione. Conosciutissima e diffusissima la canzone “Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar…”.La canzone, oltre alle rimarchevoli "cento lire" che servivano allora per il viaggio, evidenzia l'angoscia della mamma consapevole che, una volta partita la figlia, difficilmente l'avrebbe rivista. Si può ascoltare il brano “Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar”

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L’ATTESA DELL’IMBARCO

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LA PARTENZA

Gli emigranti partivano dai quattro porti autorizzati: Genova, Napoli, Palermo e Messina su bastimenti da carico, “fitti come sardine” con fagotti, vecchie valige di cartone e antichi bauli. In essi conservavano le cose da portare insieme nel nuovo Paese: foto della famiglia, cibo come forme di cacio e sfilze di salumi, zolle della loro terra che ogni tanto avvicinavano al viso per ricordare le loro origini, statuette e immagini della Madonna assieme alle immancabili chitarre, mandolini e ai numerosi altri strumenti umili e poco ingombranti come tamburelli e armoniche a bocca; non di rado portavano anche strumenti di valore qualificante come flauti, trombe, pive, zampogne, ghironde, violini, fisarmoniche, organetti, destinati a dar prova di sé nei paesi di arrivo.

Da fonti fotografiche è emerso che molti emigranti portavano un gomitolo di lana lasciandone un capo nelle mani di un parente; la nave partiva lentamente e i gomitoli si svolgevano dolcemente tra le grida delle donne e dei bambini e i fazzoletti sventolanti, finché i fili non si spezzavano, rimanevano ancora a mezz’aria e poi non si vedevano più.

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IL VIAGGIO

La traversata, che durava 25/30 giorni in condizioni disumane, avveniva con le “navi di Lazzaro”, come erano definite queste “carrette del mare”. Per gli emigranti, “fitti come sardelle”, a causa del sovraffollamento, era quasi impossibile respirare a bordo: l’aria era piena del fumo e dei vapori delle macchine.Di giorno, accampati sui ponti o, quando il mare era mosso, chiusi nel fetidume delle stive, i nostri emigranti mangiavano il loro pasto,costituito da una specie di rancio, con i piatti tra le gambe, e il pezzo di pane tra i piedi. Nei momenti peggiori del viaggio, per esorcizzare la paura, cantavano e seguivano lezioni di inglese “Fai da te” .

Di notte dormivano in dormitori sudici, ricavati dai ponti inferiori, su letti che erano sacchi di paglia maleodoranti sistemati in anguste cuccette di legno. Frequenti erano le epidemie, specialmente di morbillo e varicella, che, per mancanza di cure appropriate e l'incompetenza del personale medico, causavano decessi di massa, per lo più tra i bambini.

Emigranti italiani sul ponte del piroscafo “Patricia” diretto a New York ( 1906)

Si può ascoltare il brano “30 giorni di nave a vapore”

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L’ARRIVO ALLA META

I nostri emigranti, arrivati a destinazione dopo settimane di viaggio, stanchi, affamati, con in mano il “libretto rosso”(che li bollava come analfabeti) o il “foglio giallo” che dava qualche maggiore speranza; venivano ammassati nei centri di accoglienza.

A New York, il centro deputato alla loro accoglienza fino al 1892 era “Castle Garden” che però, ad un certo momento, si rivelò insufficiente ad accogliere questa enorme massa di gente. Viste le dimensioni dell’esodo, si decise così di trasformare Ellis Island, un piccolo isolotto che si trova di fronte a Manhattan, a breve distanza dalla Statua della Libertà, in un centro di accoglienza.

Centro di accoglienza a “Castle Garden”

Ad Ellis Island i nostri emigranti dovevano subire tutta una serie di controlli sanitari e amministrativi dal cui esito dipendeva la possibilità di rimanere sul suolo americano. I controlli erano molto rigidi: a volte capitava che molti venissero rimpatriati perché affetti da qualche malattia o deformazione fisica e alcuni di questi si tuffavano in mare e cercavano di raggiungere Manhattan a nuoto o si suicidavano, piuttosto che affrontare il ritorno a casa e perciò l'isola della baia di New York fu ribattezzata come l' "Isola delle lacrime”. Si può ascoltare il brano”Merica, Merica”

Ellis Island: controlli sanitari

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L’INSERIMENTO NELLA METROPOLI

Una volta superato l’ostacolo dei meticolosi e puntigliosi controlli di Ellis Island, gli emigranti si trovavano di fronte al problema impellente della sistemazione, dell’abitazione e del lavoro. Molti dei nostri emigranti, chiamati in America da amici e parenti, erano i più fortunati perché potevano contare su un riferimento fidato e subito si lanciavano nelle attività più disparate per sopravvivere. Gli uomini diventavano straccivendoli, lustrascarpe, spazzini e materassai, mentre le donne prestavano la loro opera in qualità di sarte, domestiche, lavapiatti e stiratrici. Interno di una casa di emigranti italiani

a New York.

Altri invece, che si erano imbarcati ed erano arrivati in America senza reti protettive, arrivati a destinazione, erano facile preda di personaggi poco raccomandabili, i boss, che avevano dato vita ad un’organizzazione composta da padroni italiani che, in modo molto interessato, si occupavano della sistemazione dei nostri emigranti, mettendoli a pensionamento, i cosiddetti “bordanti”, e collocandoli nei luoghi di lavoro. Anche questo è un aspetto doloroso della nostra emigrazione perché sono state fatte azioni veramente infami alle spalle dei nostri emigrati da parte di altri nostri connazionali, che lucravano tangenti usurarie.

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LE “LITTLE ITALIES”

Nelle principali città statunitensi si vennero a creare le “Little Italies”, interi quartieri abitati da italiani nelle cui strade si parlavano i vari dialetti del paese di provenienza, con negozi in cui si vendevano prodotti tipici della nostra penisola e dove si continuava e si continua a festeggiare i santi Patroni dei Paesi natii, con feste che richiamavano quelle dei paesi d’origine.In questi quartieri, in cui gli italiani erano ammassati, le condizioni di vita degli immigrati erano assai precarie a causa delle pessime condizioni igieniche e degli ambienti malsani.

Gli italiani che vi vivevano, erano accusati di essere sporchi, di mantenere un basso livello di vita, di essere rumorosi e i calabresi e i siciliani erano descritti come coloro che davano un contributo fondamentale alla crescita del fenomeno della delinquenza nelle città americane.

Mulberry Street, Little Italy, New York, primi del '900

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L’EMIGRAZIONE DALL’ITALIA NEGLI ANNI SUCCESSIVI

L’Italia, per gran parte della sua storia contemporanea, specialmente tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento, è stato un Paese di emigrazione. Infatti, dopo la grande ondata migratoria verso i Paesi transoceanici tra il 1876 e il 1930, con la partenza di oltre 17 milioni di persone, in particolare verso il continente americano, si assistette a un continuo esodo, che però andò riducendosi fino ad esaurirsi completamente con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale.Dal secondo dopoguerra, nel periodo compreso tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, le emigrazioni ripresero soprattutto dal Sud verso i paesi del triangolo industriale: Milano, Torino e Genova e i Paesi

Si può ascoltare la canzone “Il treno che viene dal Sud”

europei: Belgio, Francia, Svizzera e Germania. Le emigrazioni ebbero in prevalenza un carattere rotatorio, nel senso che alle partenze si susseguivano i ritorni e solo dopo un certo periodo, si realizzava la decisione definitiva sul tornare o restare.

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L’ITALIA, DA PAESE DI EMIGRAZIONE A PAESE DI IMMIGRAZIONE

Per tutto quel periodo, il fenomeno dell'immigrazione in Italia era stato invece pressoché inesistente. Il boom degli ingressi ha cominciato a raggiungere dimensioni significative negli anni ‘70 del 1900.Oggi, secondo gli ultimi dati statistici relativi all’anno 2011, sono presenti nel nostro Paese circa 4.570.317 stranieri, pari al 7,5% della popolazione totale. La maggior parte di loro viene in Italia per sfuggire alle carestie, alla dittatura, alla miseria, all’ingiustizia e anche per salvare la propria vita dalla guerra che purtroppo ancora oggi affligge alcuni Stati. Vengono con la grande speranza di trovare un lavoro e una vita dignitosa e per realizzare il loro sogno di un futuro migliore in Italia oppure in altri Paesi europei.

La carta geo-politica illustra i principali flussi migratori verso l’Italia. Divise per nazioni e continenti, le cifre (in migliaia di persone) dimostrano che la maggior parte degli immigrati presenti nel nostro Paese, proviene dall’Europa dell’Est e dal Maghreb. Nella mappa possiamo inoltre osservare come esistano vere e proprie “nazioni-base” per il transito organizzato di persone, come ad esempio la Libia, la Turchia e i Paesi dell’ex-Yugoslavia.

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IMMIGRAZIONE REGOLARE E IRREGOLARE O CLANDESTINA

Attualmente vige una distinzione tra immigrati regolari e irregolari o clandestini. Sono considerati immigrati regolari tutti i cittadini stranieri il cui ingresso e la cui permanenza nel territorio dello Stato avvengono nel rispetto delle condizioni di legge, ovvero: - siano in possesso di passaporto valido o documento equipollente. - siano muniti di permesso di soggiorno rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all’UE. - siano autorizzati dallo Stato italiano a soggiornare per un periodo che non deve superare i tre mesi (comunque prorogabili per particolari casi di studio o di salute).

L’immigrazione irregolare o “immigrazione clandestina” è la condizione di quegli stranieri che si introducono nel territorio di uno Stato senza rispettarne le regole vigenti, privi di un regolare permesso di soggiorno, di un’occupazione legale e quindi di un reddito stabile.L’immigrazione irregolare è incrementata, oltre che dall’innumerevole quantità di persone che raggiungono in clandestinità il nostro territorio, spesso a costo della loro stessa vita, anche dagli stranieri che, entrati regolarmente nel nostro territorio, vi restano dopo la scadenza del visto o del permesso di soggiorno, e da quelli che giungono illegalmente da altri Paesi, usufruendo dell’abolizione dei controlli alle frontiere interne.

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LE “CARRETTE DEL MARE”

Gli emigranti irregolari, per essere traghettati dai Paesi - base, danno fondo a tutti i loro risparmi. Viaggiano in condizioni disumane su vecchie barche, le cosiddette “carrette del mare” che rischiano, a causa delle loro condizioni, di affondare con relativo carico. Gli immigrati, che viaggiano senza la necessaria documentazione, si affidano a malavitosi che gestiscono vere e proprie tratte degli esseri umani. Se riescono a raggiungere le coste italiane, eludendo la guardia costiera, non possono entrare nel mercato del lavoro ufficiale. Pertanto finiscono nella rete della criminalità organizzata, che li sfrutta per svolgere il cosiddetto lavoro sporco, ovvero le mansioni più basse, meno desiderabili e più rischiose.

Molto spesso, però, non raggiungono neppure la costa italiana o perché muoiono durante la traversata per gli stenti oppure perché annegano in seguito ai naufragi dei barconi o, addirittura, perché vengono abbandonati dagli scafisti. E, se vengono salvati da una vedetta o un motopeschereccio, vengono trasportati nei centri di identificazione o di accoglienza e spesso subito rimpatriati.Nonostante non ci sia alcuna garanzia di salvezza, masse di persone di nazionalità, cultura, religione diversa dalla nostra, però, continuano a intraprendere questa odissea alla volta dell’Italia e dell’Europa nella speranza di trovare delle condizioni di vita migliori di quelle che hanno lasciato, partendo.

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L’IMMIGRAZIONE IN ITALIA: UNA MINACCIA…

Oltre a fronteggiare problemi di tipo economico, gli extracomunitari in Italia sono soggetti a forme di emarginazione sociale, di intolleranza e di razzismo. Questo avviene perché molti italiani sono convinti che gli immigrati rappresentino una minaccia in quanto sottraggono loro dei posti di lavoro, che del resto rifiutano perché troppo logoranti, e perché una percentuale contribuisce ad incrementare i disordini e la criminalità, spesso anche raggruppandosi in bande e organizzazioni criminali.

Inoltre molti sono persuasi che, continuando ad arrivare questi flussi migratori, tra qualche decennio solo qualche cittadina e le vallate alpine più remote potranno definirsi di cultura italiana; il resto non avrà più né un’identità né una cultura nazionale.

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…O UNA RISORSA?L’immigrazione, invece, non può essere vista come un pericolo. Deve essere considerata come un momento di crescita, perché non bisogna dimenticare che la maggioranza di chi emigra lo fa per lavorare e chi lavora genera ricchezza; producendo ricchezza, in certo qual modo, migliora la vita di tutti gli appartenenti al sistema. Per quanto riguarda la criminalità, è accertato che negli ultimi 15 anni, nonostante il forte aumento degli immigrati, il numero totale dei crimini non ha avuto un aumento significativo e infine bisogna persuadersi che gli immigrati sono portatori di più elementi culturali che ci daranno un’opportunità di arricchimento. L’esempio più eclatante di ciò è senza dubbio la variegata società americana, composta in massima parte da immigrati di quasi tutti i Paesi del mondo. Il successo dell’economia americana è dovuto in parte anche all’influenza degli italiani che a milioni vi sono migrati in cerca di fortuna.

Quindi sì all’immigrazione, ma solo se con controlli più efficaci di quelli attuali, e con leggi più severe per i delinquenti e più umane per chi emigra qui solo per lavorare. Solo così ci sarà dialogo tra culture e non scontro tra culture.

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LA “FUGA DEI CERVELLI” In questi ultimi anni, mentre stiamo assistendo all’immigrazione soprattutto clandestina di numerose persone che sperano di trovare nel nostro Paese un futuro migliore, molti giovani ricercatori e neolaureati di talento o con alta specializzazione professionale fuggono dall’Italia verso Paesi stranieri poiché sperano di trovarvi posizioni adatte alle loro capacità, retribuzioni adeguate, migliori tutele e, soprattutto, interessanti prospettive di ricerca e inserimento professionale.

Secondo i dati del centro studi, i laureati italiani “under 40”, residenti all’estero, sono ormai centinaia di migliaia, c’è chi li stima in circa 400 mila. Una emigrazione che costa all’Italia miliardi di euro in investimenti per la formazione, i cui frutti vengono poi raccolti da altri Paesi. Si può vedere in youtube Caparezza ft. Tony Hadley – “Goodbye malinconia”

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