il terremoto politico degli anni...

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Il terremoto politico degli anni Novanta 1 Un crollo apparentemente Improvviso L'onda lunga della fine della guerra fredda, l'ampia corruzione della classe politica e imprenditoriale italiana (Tangentopoli) hanno determinato nel giro di alcuni mesi mutamenti profondi all'interno del sistema politico italiano, un sistema di potere che durava da oltre cinquantanni. Il politologo statunitense Robert A. Dahl, uno dei maggiori teorici contemporanei della democrazia, sostiene che la salute di un sistema democratico è determinata dalla sua crescita, dal fatto che la sua logica arrivi a permeare ogni parte del sistema e della società in cui è inserito. Diversamente si ammala e muore. Possiamo azzardare un'affermazione. La cosiddetta "Prima repubblica" è morta a causa dei suoi stessi deficit di democrazia. Deficit indotti, sia dalle perversità di un sistema internazionale improntato alla guerra fredda , sia da una cultura politica e civile interna più improntata al "favore" che non ai diritti e alla legalità. Certo, come tutti gli avvenimenti storici, la morte della "Prima repubblica" è stata determinata dall'intreccio di più fattori, in rapporto più o meno diretto tra loro. Sicuramente, gli effetti di tale intreccio appaiono come "improvvisi" a osservatori superficiali. In realtà, essi sono frutto di dinamiche di lungo periodo: i primi segnali di crisi, e anche di degenerazione del sistema politico italiano, sono visibili chiaramente già nei primi anni Ottanta. 2 "Prima repubblica" Per "Prima repubblica" si intende il particolare tipo di funzionamento dello stato e del sistema politico italiano nel periodo che va dal 1° gennaio 1948 al 27-28 marzo 1994. La prima data si riferisce all'entrata in vigore della Costituzione italiana e alla messa in moto del sistema democratico repubblicano che essa prevedeva. La seconda data si riferisce, invece, alle elezioni politiche generali per il rinnovo del Parlamento e del Governo che si sono svolte appunto il 27-28 marzo 1994. Scompaiono dalla scena i partiti protagonisti della "Prima repubblica" come Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito socialdemocratico, Partito repubblicano, Partito liberale: frantumati in piccole formazioni o confluiti entro nuovi soggetti politici. Emergono formazioni politiche nuove, tra le quali le principali sono: Forza Italia, un partito creato quattro mesi prima delle elezioni dall'imprenditore Silvio Berlusconi; Alleanza nazionale, nato dall'autoriforma del Movimento sociale italiano; Pds (poi Democratici di sinistra), nati dall'autoriforma dello storico Partito comunista italiano, da cui si staccano il Partito della rifondazione comunista e i Comunisti italiani; Unione dei cristiani democratici (Ccd + Cdu), nuovo Partito popolare e La Margherita nati dalla frantumazione della storica Democrazia cristiana. Da quelle elezioni in poi, il sistema politico italiano si è avviato a funzionare secondo una logica bipolare, con gruppi e partiti dello schieramento di centrodestra e gruppi e partiti dello schieramento di centrosinistra. Da quel momento in poi, centrodestra e centrosinistra si alternere-ranno alla guida dei governi del paese, come avviene da sempre nelle democrazie compiute, ma come non era mai avvenuto nell'Italia repubblicana. Com'è potuto accadere che, nel giro di alcuni mesi, si sia sgretolato un sistema di potere che aveva retto ininterrottamente per circa cinquantanni? 3 Fine della “democrazia bloccata” Sul fronte internazionale finisce la guerra fredda e viene archiviato l'equilibrio rigidamente bipolare imperniato sulle superpotenze Usa e Urss. Poco dopo crollano i sistemi comunisti e la stessa superpotenza di riferimento: l'Urss. Questo mutamento nel contesto internazionale si è fatto sentire all'interno del nostro paese: per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana, si è profilata la possibilità di alternanza al governo tra forze di destra e forze di sinistra. Il sistema italiano a "democrazia bloccata" ha avuto la possibilità di evolvere secondo le regole fisiologiche di ogni democrazia. Nei maggiori regimi democratici occidentali, infatti, i diversi partiti si sono alternati più volte alla guida del governo (per esempio, democratici e repubblicani negli Usa; conservatori e laburisti nel Regno Unito; socialisti e neogollisti in Francia ecc.). L'alternanza al governo comporta un notevole ricambio del personale politico (che riduce il rischio di corruzione) e il rinnovamento dei partiti (più attenti alla volontà degli elettori per diventare di maggioranza o per rimanere tali). Ciò non è avvenuto nel nostro paese a causa del "veto" degli Usa a un eventuale governo a guida comunista. 1

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Il terremoto politico degli anni Novanta

1 Un crollo apparentemente Improvviso

L'onda lunga della fine della guerra fredda, l'ampia corruzione della classe politica e imprenditoriale italiana (Tangentopoli) hanno determinato nel giro di alcuni mesi mutamenti profondi all'interno del sistema politico italiano, un sistema di potere che durava da oltre cinquantanni.

Il politologo statunitense Robert A. Dahl, uno dei maggiori teorici contemporanei della democrazia, sostiene che la salute di un sistema democratico è determinata dalla sua crescita, dal fatto che la sua logica arrivi a permeare ogni parte del sistema e della società in cui è inserito. Diversamente si ammala e muore.

Possiamo azzardare un'affermazione. La cosiddetta "Prima repubblica" è morta a causa dei suoi stessi deficit di democrazia. Deficit indotti, sia dalle perversità di un sistema internazionale improntato alla guerra fredda , sia da una cultura politica e civile interna più improntata al "favore" che non ai diritti e alla legalità. Certo, come tutti gli avvenimenti storici, la morte della "Prima repubblica" è stata determinata dall'intreccio di più fattori, in rapporto più o meno diretto tra loro. Sicuramente, gli effetti di tale intreccio appaiono come "improvvisi" a osservatori superficiali. In realtà, essi sono frutto di dinamiche di lungo periodo: i primi segnali di crisi, e anche di degenerazione del sistema politico italiano, sono visibili chiaramente già nei primi anni Ottanta.

2 "Prima repubblica"

Per "Prima repubblica" si intende il particolare tipo di funzionamento dello stato e del sistema politico italiano nel periodo che va dal 1° gennaio 1948 al 27-28 marzo 1994. La prima data si riferisce all'entrata in vigore della Costituzione italiana e alla messa in moto del sistema democratico repubblicano che essa prevedeva. La seconda data si riferisce, invece, alle elezioni politiche generali per il rinnovo del Parlamento e del Governo che si sono svolte appunto il 27-28 marzo 1994.

Scompaiono dalla scena i partiti protagonisti della "Prima repubblica" come Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito socialdemocratico, Partito repubblicano, Partito liberale: frantumati in piccole formazioni o confluiti entro nuovi soggetti politici. Emergono formazioni politiche nuove, tra le quali le principali sono: Forza Italia, un partito creato quattro mesi prima delle elezioni dall'imprenditore Silvio Berlusconi; Alleanza nazionale, nato dall'autoriforma del Movimento sociale italiano; Pds (poi Democratici di sinistra), nati dall'autoriforma dello storico Partito comunista italiano, da cui si staccano il Partito della rifondazione comunista e i Comunisti italiani; Unione dei cristiani democratici (Ccd + Cdu), nuovo Partito popolare e La Margherita nati dalla frantumazione della storica Democrazia cristiana.

Da quelle elezioni in poi, il sistema politico italiano si è avviato a funzionare secondo una logica bipolare, con gruppi e partiti dello schieramento di centrodestra e gruppi e partiti dello schieramento di centrosinistra. Da quel momento in poi, centrodestra e centrosinistra si alternere-ranno alla guida dei governi del paese, come avviene da sempre nelle democrazie compiute, ma come non era mai avvenuto nell'Italia repubblicana. Com'è potuto accadere che, nel giro di alcuni mesi, si sia sgretolato un sistema di potere che aveva retto ininterrottamente per circa cinquantanni?

3 Fine della “democrazia bloccata”

Sul fronte internazionale finisce la guerra fredda e viene archiviato l'equilibrio rigidamente bipolare imperniato sulle superpotenze Usa e Urss. Poco dopo crollano i sistemi comunisti e la stessa superpotenza di riferimento: l'Urss. Questo mutamento nel contesto internazionale si è fatto sentire all'interno del nostro paese: per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana, si è profilata la possibilità di alternanza al governo tra forze di destra e forze di sinistra. Il sistema italiano a "democrazia bloccata" ha avuto la possibilità di evolvere secondo le regole fisiologiche di ogni democrazia. Nei maggiori regimi democratici occidentali, infatti, i diversi partiti si sono alternati più volte alla guida del governo (per esempio, democratici e repubblicani negli Usa; conservatori e laburisti nel Regno Unito; socialisti e neogollisti in Francia ecc.). L'alternanza al governo comporta un notevole ricambio del personale politico (che riduce il rischio di corruzione) e il rinnovamento dei partiti (più attenti alla volontà degli elettori per diventare di maggioranza o per rimanere tali). Ciò non è avvenuto nel nostro paese a causa del "veto" degli Usa a un eventuale governo a guida comunista.

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La democrazia italiana ha così spartito con il Messico la caratteristica di essere una "democrazia bloccata": stessi partiti e stesse persone al potere per decenni. Tale assenza di alternanza è stata determinata, ed è stata contemporaneamente alimentata, anche da altre due ragioni: «[...] la scarsa credibilità delle opposizioni come alternativa di governo e [...] la vischiosità del potere della maggioranza, cioè [...] la sua tendenza a perpetuarsi attraverso forme varie di controllo sociale, compresa la corruzione.» (A. Rizzo)

4 Dissoluzione interna di una democrazia a metà

Il fattore internazionale ha avuto un ruolo determinante nella caduta della "Prima repubblica". Ma la sua morte è avvenuta anche per dissoluzione interna (A. Asor Rosa).

La "Prima repubblica" sembra essere implosa a causa delle sue stesse carenze di democrazia e per le diseconomie e gli sprechi che ne derivavano. E cioè:

• la corruzione diffusa del sistema politico ed economico italiano;• il delirio di onnipotenza e la pervasività di una classe politica che si riteneva inamovibile,

inattaccabile, intoccabile e che riteneva di non dover rendere conto ad alcuno del proprio operato;• il legame sempre più stretto, e sempre più costoso, che intercorreva tra i partiti politici e i diversi

gruppi di interesse (economici, finanziari, corporativi);• l'incomunicabilità progressiva tra cittadini e partiti politici;• gli sprechi e le inefficienze crescenti nell'amministrazione dello stato e dei servizi pubblici;• il dissesto dei conti pubblici.Particolarismi, clientelismi, pratiche di potere improntate all'illegalità, sprechi piccoli e grandi hanno

determinato un indebitamento abnorme dello stato. Il nostro paese, agli inizi degli anni Novanta, è al centro di un curioso paradosso: potenza economica mondiale, si trovava sull'orlo della bancarotta.

5 Tangentopoli

Gli anni Novanta fanno emergere i guasti profondi di una democrazia bloccata. Cittadine e cittadini reclamano trasparenza nella gestione della cosa pubblica; una maggiore vicinanza tra politica ed elettori; riforme istituzionali per avvicinare i centri decisionali ai bisogni. In generale, dai muri di Berlino abbattuti, dalle cortine di ferro smantellate spira un forte desiderio di rinnovamento e di legalità. Sono sentimenti che fanno da supporto alla più vasta serie di indagini mai condotte in Occidente da magistrati per accertare i legami illegali tra politica e mondo degli affari. In Italia emerge "Tangentopoli", un sistema diffuso e stabile di corruzione politica e amministrativa.

Centinaia tra imprenditori, manager, politici, amministratori e funzionari pubblici finiscono sotto inchiesta per avere versato o intascato "tangenti" in cambio di favori e/o facilitazioni.

Vengono coinvolti anche personaggi noti del mondo economico e finanziario e personalità politiche di primo piano, compresi capi di governo e segretari di partito. Perché tanta corruzione? Dove vanno ricercate le cause di un degrado così profondo del nostro paese?

Proviamo a ipotizzarne alcune:1) la democrazia bloccata di cui sopra, che ha permesso la permanenza al potere delle stesse forze

politiche e delle stesse persone per oltre cinquantanni;2) la partitocrazia, cioè «quel particolare tipo di evoluzione del sistema pluripartitico svoltosi in

Italia a partire dal 1948, con fasi non continue e interamente non distinguibili, che porta all'assoluto predominio dei partiti [...] nella vita pubblica del paese, al di sopra di ogni istituzione legale» (G. Armani). Che significa dire che gli apparati di partito e l'interesse di parte sono diventati superiori alle istituzioni statali;

3) le anomalie del capitalismo italiano, poco abituato alla concorrenza, tendenzialmente monopolistico e molto agganciato agli aiuti e alla protezione accordati da parte dello stato;

4) le inefficienze del sistema amministrativo italiano. Una pratica che all'estero comporta un mese, in Italia comporta un anno di attesa. Il sistema italiano, inoltre, è contraddistinto da una iperproduzione di norme legislative e regolamentari, il cui rispetto rende la vita molto difficile sia al comune cittadino sia all'impresa;

5) un senso del collettivo e una propensione alla legalità piuttosto bassi. Ragion per cui, la maggioranza degli italiani si ritiene ancora oggi "furba" quando riesce ad aggirare una legge ottenendo un vantaggio personale o familiare immediato, anche a scapito di altri (v. anche Capitale sociale immateriale).

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6 Oggi: più corrotti o meno corrotti?

Hanno fatto bene i giudici a indagare a vasto raggio sulla corruzione o hanno fatto male? Anno dopo anno il giudizio su Tangentopoli è sempre controverso e ancora fortemente influenzato dall'orientamento politico di ciascuno. Da un lato c'è chi continua a sostenere che era l'ultimo appiglio per riportare il paese verso una legalità accettabile; dall'altro c'è chi nega che Tangentopoli sia mai esistita, trattandosi invece di un tentativo scorretto di assalto al potere da parte delle forze di sinistra, da sempre escluse dal governo. Infine, c'è chi biasima il lavoro dei magistrati - quelli milanesi in particolare - e li addita come "forcaioli" imputando loro un'indebita ingerenza "nella politica". A così breve distanza di tempo, è ancora difficile giudicare con serenità quegli anni.

«La corruzione politica è un reato gravissimo perché priva di legittimità le istituzioni democratiche; e dunque lottare per la democrazia significa, prima di tutto, lottare contro la corruzione» (Rocco Buttiglione, anni Novanta).

Qual è la situazione, oggi? Non molto migliorata, a quanto pare. I passi in avanti compiuti negli anni immediatamente successivi a Tangentopoli sembrano essersi evaporati. Secondo i rapporti redatti annualmente da "Transparency International", l'Italia risulta tra i paesi più corrotti d'Europa. La quotata agenzia internazionale compila un indice da 1 a 10 in base alla percezione degli operatori economici (banche, uomini d'affari). La Finlandia si merita un bel 9,7 e l'Italia un misero 4,8.

L'Italia - fanno notare gli esperti - ha gli stessi indici di legalità che percepiscono per se stessi gli ungheresi e i cileni, collocandosi al 18° posto tra i 25 paesi europei (fanalino di coda insieme alla Grecia). L'Italia si colloca, invece, al 42° posto tra i 145 paesi esaminati in totale.

Dagli operatori stranieri, l'Italia - quando opera all'estero - è ritenuta il 5° paese più corruttore del mondo, dopo Russia, Cina, Taiwan, Corea del Sud. Che cosa significa tutto ciò? Che un fiume di denaro va perso ogni anno in tangenti e bustarelle (circa 400 miliardi di dollari l'anno). Ma - peggio ancora - che va persa tanta fiducia: sia da parte degli italiani per il proprio paese, sia da parte di chi ci osserva oltre confine.

• IL DOCUMENTO - Serve più senso della legalitàCommentiamo questi dati con un protagonista di allora, oggi in pensione: Francesco Saverio

Borrelli, a capo delle inchieste "Mani pulite" svolte dalla Procura di Milano.D. Dottor Borrelli, siamo ancora nelle alte sfere della classifica della corruzione.«Mi pare un risultato per nulla lusinghiero, e purtroppo da molti anni ormai raggiungiamo ottimi

piazzamenti in queste classifiche. Però vorrei sottolineare che questi dati si basano sulla percezione che l'opinione pubblica ha di questi fatti, non su dati reali. Non voglio essere tenero con il nostro paese, ma riconosco che il clamore dell'inchiesta Mani pulite può avere fatto malamente guadagnare una certa fama all'Italia che proietta dei riflessi su questa percezione.»

D. E qual è la sua percezione?«Parlo da cittadino che legge i giornali, e certo quello che leggo - le indagini sulla sanità, sugli

appalti, Parmalat, Cirio - dà l'impressione che ci sia uno slittamento della soglia di sensibilità del cittadino medio per quanto riguarda il rapporto con la legalità. Non ho invece nemmeno un'impressione circa il rapporto tra i partiti politici e questi fenomeni di corruzione. Non so più se avviene quello che era normale nel 1992 e cioè che le strutture dei partiti siano alimentate dai proventi della corruzione. E se proprio mi sforzo di trovare una mia risposta, direi di no. Credo che oggi esistano tanti episodi singoli, conseguenza quasi inevitabile di un liberismo svincolato da ogni regola, sommato a una campagna contro la magistratura. Tutto questo contribuisce a fare inspessire la coscienza civica.»

D. Gli estensori del rapporto sulla corruzione riconoscono quello che lei ha detto più volte, e cioè che l'esperienza di Mani pulite dimostra che la soluzione del problema non può essere affidata solo alla magistratura.

«Ne sono assolutamente convinto. Del resto in Italia la corruzione è stata presa a pretesto per delegittimare la magistratura mentre il Parlamento non ha mai aperto una seria indagine sul fenomeno. E questo è gravissimo. Non fare una commissione su Tangentopoli - e badi bene: non su Mani pulite - è stata una grande occasione perduta. Analizzare quello che era successo avrebbe permesso di introdurre nell'ordinamento strumenti normativi e organizzativi per restringere gli spazi della corruzione.»

D. Come sostiene "Transparency", serve l'educazione alla legalità?«È fondamentale. Nelle scuole, ai cittadini di domani, dovrebbe essere insegnato che, al di là

dell'aspetto morale, esiste una convenienza collettiva e individuale al rispetto della legalità. Il rating

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internazionale del paese dipende anche da questo.»(C. Sasso, “La Repubblica”)

• IL DOCUMENTO - // punto dieci anni dopo: che cosa è cambiato?«Un decennio di urla e di furore hanno riconsegnato l'Italia ai suoi

antichi problemi. Nel crepuscolo del berlusconismo si respira un clima simile a quello dei primi anni Novanta, soltanto con meno speranze. Allora come oggi il paese era in recessione, i conti sballati, la macchina produttiva ferma, i ceti medi impoveriti. Eppure la partitocrazia celebrava i suoi riti di spartizione come se nulla fosse. Era appena stato nominato un nuovo consiglio d'amministrazione lottizzato alla virgola, tanto per allenarsi alle grandi manovre per Palazzo Chigi e il Quirinale, già assegnati a Craxi e Forlani. Subito dopo, la tempesta di Mani pulite avrebbe spazzato l'intera classe dirigente. Purtroppo avrebbe anche miracolato le seconde e terze linee di quel sistema politico, poi qualche pupillo del Caf [acronimo giornalistico usato in quegli anni per indicare tre politici: Craxi, Andreotti e Forlani].

La Seconda repubblica è stato un regno di gattopardi. All'insegna di una nuova retorica, nulla è cambiato nella sostanza e nessun problema serio è stato affrontato. Il risultato è che siamo arrivati dieci anni dopo, esattamente dov'eravamo rimasti prima della miracolosa "discesa in campo". Soltanto un po' peggio, per il tempo perduto. L'Italia rischia di

finire ai margini della globalizzazione, con un sistema troppo lento, vecchio e ignorante per reagire alle nuove sfide dei mercati. Eppure la nuova partitocrazia continua a spartirsi la Rai, a preparare grandi manovre per il Quirinale e Palazzo Chigi, a discutere di poltrone nei congressi di partito. [...] La differenza fra oggi e allora la fa l'Europa, unico baluardo contro le tentazioni peroniste del governicchio di fine legislatura.

In negativo, nel confronto con il 1992, manca la possibilità di ricorrere a strumenti eccezionali come la svalutazione per rilanciare il mode in Italy. Il campionario dei trucchi è finito con gli ultimi condoni. Di più, manca il clima culturale, politico, morale per rispondere alla crisi. Stavolta non saranno i magistrati a provocare la svolta, a togliere le castagne dal fuoco per gii altri. La corruzione c'è e non è inferiore a Tangentopoli, ma le Procure non sono più in grado di indagare, dopo dieci anni di linciaggi e di leggi speciali. La cosiddetta rivoluzione giudiziaria aveva ehminato a furor di popolo l'immunità parlamentare e ora abbiamo la classe dirigente più impunita del pianeta. Ma in fondo è un bene che gli italiani non dispongano di eroi da mandare in prima linea, per poi trasformarli in capri espiatori, quando cambia il vento. Questa volta occorre che un popolo intero, non qualche Procura, decida di voltare pagina. Altrimenti il destino è segnato. Non è detto neppure che si tratterà di un declino lento. Nel nuovo mondo si fa presto a diventare poveri da ricchi e viceversa. "È l'economia, stupido".»

(C. Maltese, La repubblica dei gattopardi ha dieci anni, "Il Venerdì")

PAROLE CHIAVE

TANGENTOPOLI II sistema diffuso e stabile di corruzione politica e amministrativa che ha interessato la Prima repubblica, messo in evidenza dalle inchieste della magistratura a partire dal febbraio del 1992.PRIMA REPUBBLICA Un'espressione coniata dalla stampa, adottata in seguito anche dagli studiosi. Si riferisce al periodo che va dal 1948 al 1994 e indica le caratteristiche e il funzionamento delle istituzioni repubblicane in quei decenni, e cioè: mancanza di alternanza tra maggioranza e opposizioni; la permanenza al potere degli stessi personaggi politici e degli stessi partiti; il ruolo eccessivo avuto dai partiti (partitocrazia); le pratiche illegali messe in atto sia dai partiti al potere (clientelismo, corruzione, concussione ecc.), sia da quelli all'opposizione."MANI PULITI** La serie di inchieste su corruzione, concussione, finanziamento illecito dei

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Nonostante i profondi cambiamenti intervenuti agli inizi degli anni Novanta, l'Italia viene giudicata dagli stranieri inaffidabile, sia politicamente che economicamente. In una celebre copertina, il quotidiano inglese "The Economist" ha definito il nostro paese "Il vero malato d'Europa"

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partiti aperte dai magistrati della Procura della repubblica di Milano.PARTITOCRAZIA Letteralmente, regime dei partiti. Correntemente ha connotazioni negative e si riferisce alla degenerazione del sistema democratico a causa del troppo potere esercitato dai partiti durante la Prima repubblica."DEMOCRAZIA BLOCCATA" Si ha quando non esiste alternanza al governo. Nel nostro paese l'espressione si riferisce ai primi cinquantanni di vita della repubblica contraddistinti dalla permanenza fissa al governo degli stessi partiti e persino delle stesse personalità politiche, e dall'esclusione dal governo del Partito comunista, imposta dalla logica della guerra fredda.ALTERNANZA Avvicendamento al governo di due raggruppamenti politici, che diventano l'uno maggioranza, l'altro opposizione. L'alternanza è una delle regole fondamentali della democrazia, dal momento che in essa tutti i cittadini, e i loro partiti di riferimento, hanno l'uguale diritto di concorrere alla determinazione della politica nazionale (art. 49 Costituzione italiana). Una democrazia senza alternanza è una "democrazia bloccata".PARTITI TRADIZIONALI I partiti che derivano dalle grandi famiglie ideologiche quali il socialismo e il liberalismo. Da queste, nel tempo, sono scaturite quelle varianti ideologiche che hanno dato vita ai diversi partiti tradizionali: socialisti, repubblicani, liberali, socialdemocratici, comunisti ecc.FORZE REFERENDARIE L'insieme di quelle personalità politiche, sganciate o in aperto disaccordo con i partiti, che hanno dato vita al movimento di riforma che ha chiamato i cittadini, prima, a firmare, poi, a votare per i cosiddetti referendum istituzionali del 1991 e del 1993.CONSOCIATIVISMO Pratica politica che si sviluppa soprattutto nei regimi parlamentari con assenza di alternanza. Consiste nel coinvolgimento parziale e in chiave non paritaria delle opposizioni nelle scelte di governo. Questo coinvolgimento avviene sottobanco. Esempio: la maggioranza si impegna ad approvare una leggina a favore di una categoria protetta dalle opposizioni per ottenere da esse un atteggiamento benevolo su scelte del governo.

Bipolarismo all'Italiana

1 Un sistema politico ancora giovane

Tutte le democrazie occidentali hanno sistemi politici improntati al bipolarismo. Significa dire che, all'interno di esse, si contrappongono due schieramenti derivanti dall'aggregazione di forze politiche: Democratici e Repubblicani negli Usa; Laburisti e Conservatori in Gran Bretagna; Cristiano democratici e Socialdemocratici in Germania; Partito popolare e Socialisti in Spagna e così via.

Tali schieramenti sono portatori di progetti politici diversi: in genere, l'uno più conservatore e/o neoliberale; l'altro più orientato alle opportunità per tutti e alla solidarietà sociale. Tali progetti - a seconda della situazione storico-sociale di un paese - si alternano alla guida dei governi, alimentando il meccanismo dell'alternanza, componente fondamentale di una democrazia. Il bipolarismo determina in genere una semplificazione del quadro politico, portando protagonisti e formazioni politiche ad aggregarsi in due grandi schieramenti, con poche formazioni esterne a essi che fungono di volta in volta da "ago della bilancia", come sono per esempio sia i Liberali britannici sia quelli tedeschi.

L'Italia ha conosciuto il bipolarismo assai di recente. Per le note vicende storico-politiche legate alla guerra fredda, la giovane democrazia italiana non ha conosciuto e applicato il principio dell'alternanza di governo se non con la nascita della cosiddetta "Seconda repubblica". E la data che si assume al proposito è quella relativa alle elezioni del 27-28 marzo 1994. La Seconda repubblica può nascere con la fine della guerra fredda e Tangentopoli, che hanno determinato lo scompaginamento del sistema politico rimasto immutato dal 1947. In parallelo, tali elezioni hanno decretato anche lo sgretolamento dei partiti politici che avevano affrontato i problemi della ricostruzione del dopoguerra e dello sviluppo del paese facendolo entrare nel novero delle potenze industriali mondiali. La "democrazia bloccata" italiana ha determinato, tra le tante conseguenze:

• la permanenza al potere delle stesse forze politiche per oltre cinquantanni, con i meriti e i demeriti che da ciò ne sono conseguiti;

• l'esclusione permanente dal governo di forze ritenute "estremistiche" come i comunisti e i missini;

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• la non emersione di progetti politici alternativi e in concorrenza fra loro.Il terremoto che ha investito il sistema politico italiano negli anni Novanta ha cambiato tutto questo

determinando una sua evoluzione verso il bipolarismo e l'alternanza di governo. Questa evoluzione è stata favorita anche - occorre non dimenticarlo - dall'approvazione di una legge elettorale prevalentemente maggioritaria (agosto 1993). I successivi ritocchi alla legge elettorale in senso più o meno proporzionale non cambieranno il carattere bipolare del sistema politico italiano.

Nelle elezioni per il rinnovo del parlamento del 27-28 marzo 1994, si fronteggiano - per la prima volta nella storia della repubblica - due raggruppamenti politici di orientamento opposto: i partiti e i movimenti di centrosinistra da una parte, i partiti e movimenti di centrodestra dall'altra.

2 II centrosinistra

Quando si parla di centrosinistra, in Italia, occorre far seguire sempre la data o il periodo cui ci si riferisce. Diremo così:

• il centrosinistra post-unitario, per intendere l'ala moderata della Sinistra di Urbano Rattazzi e di Agostino Depretis (anche definita Sinistra storica);

• il centrosinistra degli anni Sessanta, per intendere le coalizioni di governo "pentapartitiche", inaugurate da Aldo Moro a partire dal 1963, che riunivano Democrazia cristiana (Dc), Partito socialista (Psi), Partito socialdemocratico (Psdi), oltre che gli alleati storici quali il Partito liberale (Pli) e il Partito repubblicano (Pri);

• il centrosinistra del 1995, per intendere il centrosinistra attuale, a partire dalla coalizione dell'Ulivo e fino a quella dell'Unione.

Il centrosinistra attuale è composto dai partiti e dai movimenti che si riconoscono in quello che verrà poi formalizzato nella primavera del 1995 come il progetto dell'Ulivo.

Capeggiato da Romano Prodi, aggrega il Partito democratico della sinistra, i club Prodi, I democratici per l'Ulivo, il Patto Segni, Laburisti e Socialisti italiani, il Partito popolare, La Rete, la federazione dei Verdi, la federazione della Margherita. Pur non entrando nell'Ulivo, fanno parte dell'area di centrosinistra i Comunisti italiani e Rifondazione comunista. Nel 2005, l'area di centrosinistra produce un accordo federativo tra tutte le sue forze, dando vita all'Unione, che aggrega anche Rifondazione comunista, i Radicali (federatisi nel frattempo con i Socialisti italiani) e l'Italia dei valori di Antonio Di Pietro.

Leader della coalizione sono: Romano Prodi; Piero Fassino e Massimo D'Alema, rispettivamente segretario e presidente dei Democratici di sinistra; Francesco Rutelli e Pieluigi Castagnetti della Margherita. I valori fondanti del centrosinistra sono: sviluppo sostenibile, coesione sociale, diritti della persona, diritti della famiglia, pari opportunità e azioni affermative a favore di deboli e discriminati, stato sociale, globalizzazione democratica, pacifismo, legalità.

3 II centrodestra

E' lo schieramento politico che si aggrega intorno a Forza Italia, partito fondato nel 1994 dall'imprenditore Silvio Berlusconi. Rappresenta una vera novità nella storia politica italiana per due motivi: perché "sdogana" il Msi, partito costantemente isolato a destra nella storia repubblicana italiana, e propone di riformare il paese in senso autenticamente liberale.

Tale aggregazione si presenta all'elettorato italiano con il nome Polo delle Libertà, di cui fanno parte Alleanza nazionale, Forza Italia, Centro

cristiano democratico e Cristiani democratici di Casini e Buttiglione. Il Polo verrà poi ribattezzato in Casa delle libertà, comprendendo dal 2001 anche la Lega Nord. Leader della coalizione sono: Silvio Berlusconi di Fi, Gianfranco Fini di Alleanza nazionale, Pierferdinando Casini del Ccd, Rocco Buttiglione dell'Udc, Umberto Bossi della Lega Padana.

Valori fondanti del centrodestra sono: sviluppo economico in senso liberista, centralità della famiglia, diritto alla vita, ordine pubblico, sicurezza nazionale, ampio margine di manovra dell'iniziativa privata in tutti i settori, sburocratizzazione.

4 Semplificazione del sistema?

Il bipolarismo - si dice - semplifica un sistema politico favorendo le aggregazioni e dando più compattezza all'azione del governo in carica. Il bipolarismo all'italiana, come risulta evidente dalle

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innumerevoli sigle politiche nelle quali ci imbattiamo tutti i giorni, non ha semplificato il quadro. Anzi, se possibile, lo ha complicato frammentandolo ulteriormente. Di semplice ci sono solo i due raggruppamenti. Ma non appena si prova ad analizzarne i componenti ci si confonde. Le sei o sette formazioni politiche principali della Prima repubblica sono diventate, infatti, più di trenta. Esse erano:

• Democrazia Cristiana, partito storico di Luigi Sturzo e di Alcide De Gasperi che, sciogliendosi, si è frammentato in svariate formazioni politiche, che - solo per citare le principali - sono: Centro cristiano democratico (Ccd), Cristiani democratici Uniti (Cdu; alla Camera e al Senato formano l'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, Udc) che appartengono al centrodestra; e in Patto Segni, La Rete, Udeur-popolari per l'Europa, Partito popolare italiano che appartengono al centrosinistra;

• Partito socialista italiano, partito storico di Andrea Costa e Filippo Turati, che sciogliendosi ha dato vita a: Laburisti (confluiti entro i Ds), Socialisti Italiani (che si sono aggregati ai Radicali dando vita ai Socialisti democratici italiani - Rosa nel pugno) che appartengono all'area di centrosinistra; il Nuovo Partito socialista, Sinistra liberale che appartengono all'area di centrodestra;

• Partito repubblicano, il partito storico di La Malfa, si è spaccato in due tronconi: l'uno si è aggregato al centrodestra; l'altro al centrosinistra;

• Partito socialdemocratico, il partito storico di Giuseppe Saragat, ha visto i suoi aderenti emigrare nelle file di diverse formazioni;

• Partito comunista italiano, il partito storico che nasce dalla scissione di Livorno del 1921, ha dato vita al Partito democratico della sinistra (Pds) prima, e, poi, in allineamento con la socialdemocrazia europea, ai Democratici di sinistra (Ds). Nel suo travagliato processo di autoriforma perde per strada: Rifondazione comunista e Comunisti italiani;

• Verdi, il piccolo partito ecologista degli anni Ottanta, si frantuma negli anni Novanta e si ricompone nella Federazione dei verdi italiani;

• Movimento sociale italiano, il partito che ospita i notalgici della dittatura fascista, si autoriforma in Alleanza nazionale, un partito democratico e moderato che si candida a governare. Il processo di autoriforma di Gianfranco Fini perde per strada il Movimento sociale fiamma tricolore, Rinnovamento italiano, e, infine, la Lista di Alessandra Mussolini;

• rimangono intatte solamente le formazioni regionali (Union Valdotaine, Sudtiroler Volkspartei, Lega Sud, Liga Veneta ecc.) che si aggregano a destra o a sinistra a seconda di ciò che contemplano i diversi programmi politici in termini di attenzione alle loro collettività di riferimento. Compare, infine, nella seconda metà degli anni Ottanta e comunque prima del crollo della Prima repubblica - la Lega Nord che rimane come forza di riferimento nell'Italia nord-orientale e che si aggrega all'area del centrodestra.

Perché da sette, i partiti e le formazioni politiche quadruplicano, arrivando a oltre trenta? Pesa, in questa frantumazione, una fase di transizione travagliata da una democrazia bloccata - anche dentro gli stessi partiti, si pensi al vecchio Pci - a una democrazia aperta e concorrenziale. Pesa il travaglio post-ideologico: la fine delle ideologie e delle contrapposizioni basate sulle ideologie rende difficile la definizione delle questioni in gioco in chiave moderna ed europea. Pesa, infine, la scarsa cultura politica dell'Italia contemporanea, con personalismi, incapacità di unificarsi su grandi progetti comuni, piccole lotte di potere intestine, rivalità, ambizioni personali.

Il quadro politico - pur semplificato dall'esistenza dei due schieramenti di centrodestra e centrosinistra - si complica ulteriormente. Cresce il potere di ricatto dei piccoli partiti, cresce la conflittualità dentro le coalizioni. Crescono, in parallelo, anche i costi della politica: anni dopo l'esplosione di Tangentopoli e l'abrogazione della legge di finanziamento pubblico dei partiti (referendum del 1993) vivono di politica oltre 400 mila tra eletti e consulenti, per una spesa annuale che va dai 3 ai 4 miliardi di euro (C. Salvi e M. Vìllone). Più del doppio di prima.

PAROLE CHIAVE

ALTERNANZA Avvicendamento al governo di due raggruppamenti politici, che diventano l'uno maggioranza, l'altro opposizione. L'alternanza è una delle regole fondamentali della democrazia, dal momento che in essa tutti i cittadini, e i loro partiti di riferimento, hanno l'uguale diritto di concorrere alla determinazione della politica nazionale (art. 49 Costituzione italiana). Una democrazia senza alternanza è una "democrazia bloccata".“DEMOCRAZIA BLOCCATA” Si ha quando non esiste alternanza al governo. Nel nostro paese l'espressione si riferisce ai primi cinquant'anni di vita della repubblica contraddistinti dalla permanenza fissa al governo degli stessi partiti e persino delle stesse personalità

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politiche, e dall'esclusione dal governo del Partito comunista, imposta dalla logica della guerra fredda.TANGENTOPOLI II sistema diffuso e stabile di corruzione politica e amministrativa, messo in evidenza dalle inchieste della magistratura a partire dagli inizi del 1992.BIPOLARISMO All'interno di uno stato democratico e pluripartico, è quel sistema politico che tende a restringersi o ad aggregarsi intorno ai due partiti maggiori.CASA DELLE LIBERTA' L'aggregazione italiana dei partiti e movimenti politici di centrodestra. La proposta politica della Casa delle libertà nasce a opera di Forza Italia, Alleanza nazionale, Ccd, Lega Nord.UNIONE L'aggregazione italiana dei partiti e movimenti politici di centrosinistra. La proposta politica dell'Unione nasce a opera di Democratici di sinistra, la Margherita, Socialisti Italiani, I democratici per l'Ulivo, Rifondazione comunista.ULIVO Movimento fondato da Romano Prodi nella primavera del 1995 con lo scopo di aggregare le forze politiche italiane di centrosinistra. Inizialmente, fanno parte dell'Ulivo: Partito democratico della sinistra, club di Prodi, Partito popolare, Patto Segni, Laburisti e Socialisti italiani, La Rete, i Verdi di Ripa di Meana e altre formazioni politiche minori.

Federalismo o presidenzialismo?

1 Le riforme Istituzionali

Per riforme istituzionali si intendono correntemente le modifiche da apportare all'organizzazione e all'intreccio dei poteri dello stato, in modo da variarne il funzionamento. Questo processo comporta la riscrittura di parte delle regole fondamentali. Nel caso italiano, si tratta di mettere mano alla Costituzione della repubblica, soprattutto per rivedere i criteri organizzativi dello stato contenuti nella Parte seconda. Di riforme istituzionali, in Italia, se ne parla fin dai primi anni dell'entrata in vigore della Carta costituzionale. È però negli anni Ottanta che la necessità di rivederla viene sentita sia dal mondo politico sia da quello accademico: a circa quarant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione sono sotto gli occhi di tutti la cronica instabilità dei governi italiani e la macchinosità e lentezza di un sistema parlamentare a "bicameralismo perfetto". Vengono istituite apposite commissioni di studio composte da membri di entrambi i rami del Parlamento (commissioni bicamerali). Le indicazioni fornite da questi organismi non approderanno però a nessun progetto di riforma concreto.

La questione della riforma dello stato verrà così tenuta in sospeso per lungo tempo. Entrerà di prepotenza nell'agenda politica solo con l'inizio degli anni Novanta, e in seguito a una congiuntura storica eccezionale. Infatti crolla il muro di Berlino, esplode Tangentopoli e si verifica quel brusco cambiamento del sistema politico-istituzionale italiano, passato poi agli annali come morte della Prima repubblica. La-Carta costituzionale, infatti, si è rivelata storicamente "datata" per due ragioni di fondo: perché era stata pensata per rispondere alle esigenze del postfascismo (es. prevalenza del Parlamento, Governo "debole", centralizzazione ecc.); perché non poteva ovviamente prevedere i mutamenti - positivi e negativi - intervenuti in un cinquantennio, sia nel contesto internazionale sia in quello interno.

2 I nodi da sciogliere

I problemi da risolvere sono:• l'instabilità dei governi. Si pensi che dal 1948 al 2000 si sono succeduti più di 50 governi e che

essi, fino all'80, hanno avuto una durata media di 10 mesi l'uno, contro i cinque anni previsti dalla Costituzione;

• l'alternanza al governo. Nonostante i governi cambiassero ogni dieci mesi, essi sono stati costantemente guidati dallo stesso partito (Dc), e composti in misura variabile dagli stessi alleati di governo (partiti Liberale, Repubblicano, Socialista, Socialdemocratico). Ciò è accaduto ovviamente a causa della guerra fredda, ma anche a causa della vaghezza del dettato costituzionale su questo punto;

• inefficienza del Parlamento nel processo legislativo. Il processo legislativo è affidato alle due camere: Camera dei deputati, Senato della repubblica, che hanno stessa composizione e stesse competenze. Una legge non diviene tale se non approvata da entrambi i rami del Parlamento, cosicché ogni modifica da parte di una camera richiede il suo riesame anche da parte dell'altra, con successivi riesami fino a quanto i due testi licenziati non sono perfettamente uguali. Non esiste inoltre una

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efficiente divisione dei compiti normativi tra Parlamento e governo. Il lavoro legislativo del Parlamento (anche a causa del clientelismo che si è instaurato nel sistema italiano) è stato in buona parte improntato all'approvazione di norme particolari e concrete. È accaduto così che materie di carattere astratto e generale sono rimaste a lungo fuori dall'agenda legislativa. Per contro, i codici italiani traboccano di 150 mila leggi e "leggine";

• eccessiva centralizzazione dello stato. La Costituzione italiana, pur prevedendo e promuovendo le cosiddette autonomie locali (Regioni, Comuni Province) è, a detta di molti studiosi, fortemente "centralizzata". I Comuni, per esempio, sono fortemente dipendenti dal governo centrale per le risorse finanziarie. Il lavoro delle stesse Regioni dipende dalle decisioni e dai finanziamenti di Roma, che le sottopone per altro a controlli formali e di merito non indifferenti.

3 Le soluzioni

L'attenzione del mondo politico e accademico si è concentrata sulle questioni istituzionali accennate, individuando quattro filoni di riforma.

1) Alternanza -> Sistema politico bipolare. Le riforme da attuare in questo campo interessano il sistema elettorale che, da proporzionale puro deve evolvere verso un maggioritario che favorisca il più possibile aggregazioni di partiti: conservatori da un lato e progressisti dall'altro. Deve governare l'aggregazione di partiti che ha vinto le elezioni. L'aggregazione perdente deve stare all'opposizione.

2) Rafforzamento del Governo -> ipotesi del presidenzialismo.3) Efficienza del Parlamento -> snellimento e differenziazione di composizione e compiti delle due

camere. Le varie ipotesi di riforma prevedono una riduzione consistente degli attuali 945 parlamentari, un numero ritenuto eccessivo e non funzionale. Prevedono inoltre che Camera e Senato varino la loro composizione, rappresentando l'una l'interna nazione, l'altro le Regioni (o stati federali, in caso di una compiuta evoluzione in senso federalista), con conseguente divisione di competenze legislative. Una legge in tal modo necessiterebbe dell'approvazione di una sola camera. La riforma deve riguardare anche una divisione più efficiente del compito normativo tra parlamento e governo: a quest'ultimo deve essere ampliata la potestà regolamentare (es. direttive europee, pubblica amministrazione, regolamenti governativi anziché "leggine" del Parlamento); al primo deve essere ampliata invece la responsabilità sulla legislazione generale.

4) Rafforzamento dei poteri locali -> ipotesi del federalismo.

4 Che cos'è II presidenzialismo

Parlare di presidenzialismo significa fare riferimento alla forma di governo di uno stato, che comporta - nella sua forma "pura" come quella in vigore negli Usa - l'accentramento in un'unica carica dei poteri del capo dello stato e di quelli del capo del governo. Il presidente/capo del governo viene eletto direttamente dagli elettori. Caratteristica di un tale tipo di governo è quella di collocare il presidente in una posizione preminente rispetto agli altri poteri dello stato (nella costituzione italiana è preminente il Parlamento). Tale preminenza, rafforzata dall'investitura che egli ottiene direttamente dall'elettorato, è controbilanciata però dall'indipendenza piena degli altri poteri.

Nella repubblica presidenziale statunitense cui abbiamo accennato il presidente/capo del governo non può essere sfiduciato dal Congresso, che controlla in modo incisivo l'operato del presidente e del suo staff (Governo) autorizzandone ogni singola spesa. Il presidente statunitense, inoltre, pur disponendo di ampi poteri, non ha ha quello di ordinare lo scioglimento del parlamento e deve misurarsi costantemente con il Senato che, tra l'altro, è la camera di rappresentanza degli stati che compongono la federazione statunitense, e che vigilano che la federazione non approvi leggi che danneggiano le singole entità statali.

Ha un ruolo preminente a livello costituzionale anche il presidente francese, sebbene la Quinta repubblica sia organizzata a rigore come governo semi-presidenziale (presidente della repubblica e presidente del consiglio governano insieme, con preminenza del primo). Il modello francese e quello statunitense sono due tipi di presidenzialismo, ai quali si fa di solito riferimento.

5 L'ipotesi italiana

Nel nostro paese, per evoluzione in senso presidenzialista si intende, a differenza dei modelli stranieri, l'elezione diretta del presidente del consiglio, e non del presidente della repubblica (il ruolo

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del quale peraltro rimarrebbe invariato). Si intende, inoltre, il rafforzamento costituzionale del ruolo del premier all'interno del governo al fine di assicurarne una maggiore unità di azione. Si intende, infine, l'accrescimento del potere del governo sulla regolamentazione di specifiche materie (pubblica amministrazione, direttive europee ecc.), sottraendole al Parlamento che, per contro, dovrebbe accrescere la propria responsabilità sulla legislazione generale.

6 Che cos'è il federalismo

In una accezione semplificata, il federalismo è una forma di stato in base alla quale più stati sovrani si unificano creando, con questo obiettivo, una federazione diretta da un unico governo, superiore ai rispettivi governi. Il patto di federazione prevede che gli stati si spoglino di una parte dei propri poteri e funzioni, delegandoli al "centro". Vengono delegati al "centro" quei poteri che possono costituire motivo di conflitto o un freno allo sviluppo complessivo degli stati. Per esempio, tutti i poteri e i compiti riguardanti la sicurezza e le relazioni, anche economico-commerciali, con l'estero; la potestà di battere moneta, di mantenere e addestrare un esercito, di legiferare e fare rispettare la giustizia a livello federale ecc. Così uno stato federale ha un'unica moneta, un unico esercito, un'unica diplomazia, ma tanti parlamenti e governi statali, polizie, giudici, amministrazioni fiscali quanti sono gli stati che lo compongono.

Nel mondo esistono diversi esempi di stato federale, di cui i più importanti sono gli Stati Uniti, il Canada, il Messico, l'Argentina, l'Australia, l'India. In Europa sono organizzati su base federale la Germania, l'Austria, la Jugoslavia, la Russia e il Belgio (dal 1993). Anche la Spagna, pur essendo uno stato regionale, ha un funzionamento che non si discosta molto da quello di uno stato federale vero e proprio.

In tutti questi casi il patto di federazione è nato storicamente per unire realtà territoriali ampie, o contraddistinte da differenze economiche, sociali, linguistiche, religiose e culturali troppo marcate. L'imposizione di un unico modello organizzativo e culturale avrebbe reso impossibile una convivenza pacifica e costruttiva di tali differenze entro una stessa organizzazione statale. L'unificazione nazionale è così derivata dalla valorizzazione, dall'integrazione e dall'autonomia reciproca delle diversità.

7 Unire o dividere? Cenni storici sul caso Italiano

La questione di un assetto federale dello stato non è nuova nella storia italiana. Anzi si è presentata puntualmente sia nelle fasi precedenti l'Unità (Ferrari, Cattaneo, Mazzini), sia in quelle della ricostruzione dello stato al termine della seconda guerra mondiale (Socialisti, sinistra Dc).

In entrambe le circostanze hanno prevalso le soluzioni centralistiche, giudicate più rapide a fini unificativi e preferite anche per il timore che il processo di modernizzazione potesse venire frenato dai settori più conservatori e dalle aree più arretrate del paese.

Alla fine degli anni Ottanta, un secolo abbondante dopo l'Unità, l'istanza federalista riappare. Stavolta però in chiave disunitaria. La ripropone una nuova forza politica, la Lega Nord, portavoce del malcontento delle classi medie e produttive delle aree più ricche del paese. Suoi slogan sono: "Roma ladrona" contro l'eccessivo centralismo dello stato italiano e l'iniquità del suo sistema fiscale; "Nord libero da un Sud assistito e sperequatore". Il federalismo leghista mira a uno sganciamento delle realtà nazionali più avanzate da quelle più arretrate. I suoi slogan - pur nella loro rozzezza, semplificazione e inesattezza storica e sociale - hanno riportato alla ribalta la necessità di rioganizzare lo stato e i suoi servizi su basi diverse da quelle centralizzate.

8 Vantaggi del federalismo

I vantaggi del trasferimento di poteri e funzioni dal centro alle periferie possono essere:• autonomia politica e amministrativa;• avvicinamento tra centri decisionali/amministrativi e cittadinanza;• risparmio di risorse finanziarie e umane destinate a iter lunghi e macchinosi, e per il mantenimento

di istituzioni gerarchiche di controllo (per esempio: segretari comunali, commissari governativi, verificatori di conti, comitati di controllo sulla legittimità di leggi e delibere locali ecc.);

• un'efficienza/efficacia maggiore dell'intero sistema essendo le sue articolazioni più vicine ai problemi;

• una maggiore verificabilità dell'operato dei responsabili politici e amministrativi.

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9 1999: elezione diretta dei presidenti delle Regioni

I principi del presidenzialismo hanno trovato una prima applicazione con la riforma dei meccanismi elettorali del presidente della Giunta regionale e nel rafforzamento dei suoi poteri. L'attuale articolo 122 della Costituzione italiana, ultimo comma, prevede l'elezione diretta del presidente e il suo potere di nomina/revoca dei componenti la Giunta stessa, con potestà implicita di sciogliere anche i Consigli, cioè i "parlamentini" regionali (Legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni).

È stato disposto, inoltre:• la completa autonomia statutaria (per esempio, gli statuti non sono più sottoposti al visto del

Commissario di governo);• l'autonomia regolamentare della Regione (per esempio, i Piani regolatori);• la marcia verso una maggiore autonomia impositiva, con la potestà di incassare in proprio anche

Irpef e Iva e di aumentare/diminuire imposte indirette sui vari generi di consumo (per esempio, imposte sulle benzine o addizionali sui combustibili gassosi ecc.);

• la responsabilità totale sulle politiche sanitarie e sulle politiche scolastiche, che non prevederà più in un prossimo futuro il ripianamento dei deficit da parte dello stato centrale. Quest'ultimo continuerà comunque a vigilare affinché vengano erogati servizi in quantità e qualità adeguate.

La prima elezione diretta dei presidenti delle Regioni è avvenuta nell'aprile del 2000.

10 2001: Il federalismo regionale

La riforma in senso federale dello stato riappare come tema impellente a partire dal 1996. Ma il dibattito politico approda a un progetto di riforma federalista in chiave unitaria solo nel 2001. Il federalismo italiano è regionale, nel senso che il ridisegno delle potestà legislative e regolamentari avviene tra lo stato centrale e le Regioni, così come avviene in Spagna, in Belgio, e in Germania (Lander).

La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha modificato buona parte degli articoli del Titolo V della Costituzione italiana, rivoluzionando i principi organizzativi dello stato centralizzato disegnato nel 1947. La potestà legislativa viene esercitata, ora, dal Parlamento e dalle Regioni insieme. L'attuale articolo 117 della Costituzione attribuisce alle Regioni la potestà legislativa in tutte le materie non espressamente riservate alla legislazione dello stato, che sono 17 , tutte puntualmente elencate: politica estera, immigrazione, rapporti con confessioni religiose, difesa, moneta esercizio del credito e mercati finanziari, organi dello stato leggi elettorali e referendum, ordinamento e organizzazione dello stato, ordine pubblico e sicurezza, cittadinanza, norme generali sull'istruzione, previdenza sociale, ordinamento generale di Province Comuni Città metropolitane, dogane, pesi e misure, tutela dell'ambiente.

L'amministrazione spetta di regola alle Regioni e agli altri enti locali anche nelle materie di competenza legislativa statale, salva espressa attribuzione allo stato. Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane hanno un proprio patrimonio e hanno autonomia finanziaria in entrata e in uscita. Lo stato ha facoltà di intervenire a compensazione solo verso le situazioni più svantaggiate, e al fine di garantire livelli di sviluppo omogenei all'intero paese. Viene riconosciuta - come è possibile notare - una nuova articolazione territoriale: la Città metropolitana, aggregazione di diverse realtà amministrative territoriali accomunate dalle stesse opportunità e dagli stessi problemi, rappresentati in genere da grandi città e comuni limitrofi.

Le leggi costituzionali n. 1/1999 e n. 3/2001 sono consultabili nel sito Internet www.parlamento.it

• IL DOCUMENTO Le vere idee di Carlo Cattaneo«Carlo Cattaneo nacque a Milano nel 1801, duecento anni fa. E per molti decenni la sua figura è

stata parecchio ignorata. Una decina di anni fa il suo nome è tornato a circolare in ragione della pretesa dei leghisti di farne una specie di nume tutelare di volontà o velleità secessionistiche. Fino a che punto era legittimo questo uso politico di un pensatore tra i più acuti dell'Ottocento? È vero, Cattaneo è il padre del federalismo italiano. Ma con caratteristiche proprie che lo distinguono profondamente - poniamo - dal neoguelfismo. Infatti, a lui, repubblicano e democratico fin nel midollo, non passò mai per la mente di risolvere il problema italiano attraverso una federazione di principio con alla testa il papa, come nelle intenzioni di Vincenzo Gioberti. Ma Cattaneo si differenziò nettamente anche da un altro federalismo, quello di Giuseppe Ferrari, anch'egli repubblicano e suo amico personale, ma fautore

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della conservazione degli stati prerisorgimentali che avrebbero dovuto subire trasformazioni rivoluzionarie in senso democratico.

Infatti, quando, all'indomani dell'esplosione del 1848-1849, Ferrari tentò la costituzione di un partito repubblicano antimazzianiano - Mazzini era considerato il maggiore sostenitore dell'unitarismo - urtò contro la netta indisponibilità del lombardo a condividere l'impresa. Tra i due ci furono intensi scambi di lettere. Cattaneo obiettò il 29 ottobre 1851: "Io ho veramente fatto un'errata corrige al tuo programma; ma mi sono disanimato, perché le mie interpolazioni non legano col rimanente. È una catena d'idee che porta un'impronta troppo nota. Non può essere firmata che da te; ogni altra firma parrebbe estorta".

Ma su cosa verteva il contrasto tra i due? Cattaneo contestava l'esistenza degli Stati italiani, respingeva l'idea di una federazione tra loro, non condivideva la geografia politica di Ferrari. La sua federazione doveva realizzarsi attraverso un patto tra i comuni - che considerava centrali in una tradizione italiana di libertà - che spazzasse via gli stati esistenti e realizzasse l'unità nazionale. A questo proposito scriveva: "Tra la padronanza municipale e la unità nazionale non si deve frapporre alcuna sudditanza o colleganza intermedia, alcun parteggio, alcun Sonderbund. I sorderbundi dell'Italia sono quattro: il borbonico, di otto milioni e più; l'austriaco di sei, e se lo si considera anche arbitro dei ducati, poco meno di nove; il sardo di cinque o poco meno, il pontificio di tre".

Per cogliere appieno il significato di questa affermazione, basterà ricordare che i sonderbund erano i cantoni svizzeri cattolici ribelli che avevano dato origine alla guerra omonima, contro i quali si erano battuti, per un rafforzamento del potere federale e per contrastare le tendenze centrifughe, con pari intensità sia Mazzini sia lo stesso Cattaneo.

Quindi per lui il federalismo era lo strumento ideale per realizzare l'unità nazionale, un'unità salda proprio perché rispettosa delle tradizioni e delle culture locali delle quali doveva rappresentare la sintesi armonica. Tutta la sua polemica è contro il centralismo e l'uniformità forzata, non contro l'unità nazionale che, anzi, considerava un'esigenza fondamentale. Se ne è reso esattamente conto Norberto Bobbio, quando ha scritto che la soluzione federale di Cattaneo, incardinata sui termini del municipio e della nazione " [...] finiva per essere presentata in modo da richiamare alla mente la dottrina, già da tempo affermata dal Mazzini, e da lui propugnata costantemente per tutta la vita, del comune e della nazione come i due termini dello stato italiano repubblicano democratico e unitario". Tra i due c'era molta differenza, ma in entrambi era presente la spinta verso la realizzazione dell'unità nazionale. Tanto è vero che Cattaneo, nel vivo di questo confronto con Ferrari, giunse quasi a ripudiare il termine "federalismo", "[...] parola guasta - scrisse - che significa disunione di ciò che è unito e non unione di ciò che è disunito" e a preferirgli quelli di "unione federale" o "unione libera", perché il suo problema fondamentale era unire ciò che era disunito, e non il contrario. Si deve aggiungere che Cattaneo fu favorevole all'impresa garibaldina nel Mezzogiorno, anche se si oppose ai plebisciti "fusionari" e all'ordinamento centralista imposto dalla monarchia di Savoia al nuovo stato che, a suo giudizio, non realizzavano la vera unità politica e spirituale del paese. Ci sembra che la storia successiva sia qui a dargli abbastanza ragione.

Dobbiamo a Giuseppe Montanelli una delle analisi più lucide, che indicava, con una certa semplificazione, quanto finissero per assomigliarsi i programmi dell'"unitario" Mazzini e del "federalismo" Cattaneo: "Se l'unitarismo consiste a disfare gli Stati esistenti, ordinando l'Italia su due soli termini, Città e Nazione, Cattaneo è unitario quanto Mazzini. Se il federalismo consiste a conservare la padronanza municipale per tutti gli interessi municipali, Mazzini è federalista quanto Cattaneo, perché va fino al governo diretto del popolo, predicato da suo collega Ledru-Rollin e combattuto come concetto federativo dall'unitario Luigi Blanc".

Ognuno potrà apprezzare a questo punto quanto siano lontane le pulsioni secessionistiche di oggi dal genuino pensiero di Carlo Cattaneo. Oltre a tutto, il lombardo, non era regionalista. Egli era molto più attento alle dimensioni della tradizione comunale e, quando collaborò con Farmi a un primo progetto regionalista, mise in guardia contro la tendenza a considerare l'Emilia un'unica realtà, mentre vi convivevano tradizionalmente tre sistemi legislativi e amministrativi molto diversi. Invece, era regionalista Mazzini, che molti considerano - a torto - una specie di campione del centralismo.

Ma c'è un altro aspetto fondamentale per marcare l'inconciliabilità assoluta di Cattaneo con i contemporanei "tribalismi" alla Bossi. In questi anni i leghisti, con in testa il loro ideologo di un tempo, Gianfranco Miglio, hanno predicato una sorta di "etnonazionalismo" delle piccole patrie in nome della salvaguardia di una presunta purezza etnica della loro strampalata creazione che risponde al nome di "Padania". Cattaneo non soltanto non credeva ad alcuna purezza di questo tipo, ma pensava al contrario che il cammino della civiltà consistesse soprattutto nella commistione tra i popoli e nel confronto e nell'armonizzazione delle culture: "Quanto più civile è un popolo - scrisse - tanto più numerosi sono i

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principii che nel suo seno racchiude. Ogni fenomeno nuovo determina modificazione nella teoria. Le ingerenze straniere furono necessario sussidio alle incipienti civiltà indigene. Il primo motivo alla trasformazione progressiva d'una società, ossia d'una tradizione, è il fortuito contatto di un'altra tradizione e d'una altra società". Fino ad aggiungere: "Ricordiamo che tutti noi, popoli moderni dell'Europa, siamo figli di padri che furono in un dì, più o meno lontano, figli di barbari".

Molte altre cose si potrebbero dire. Ma ciò che conta è che quello cattaneano era un pensiero moderno e civile, non inquinato né da razzismi né da etnicismi consimili, nemico di ogni discriminazione, privo di qualsiasi pulsione di tipo nazionalistico. "Noi abbiamo per fermo - gli capitò di scrivere - che l'Italia debba tenersi soprattutto all'unisono coll'Europa, e non accarezzare altro nazionale sentimento che quello di serbare un nobil posto nell'associazione scientifica dell'Europa e del mondo".»

(L. Cecchini, "L'Unità")

TITOLI PER APPROFONDIRE• C. Cattaneo, Lettere 1821-1869, Milano, Mondadori, 2003 (il pensatore milanese, tra i padri del

pensiero federalista italiano, racconta a vari interlocutori il suo sogno degli Stati Uniti d'Italia).• L. Levi, Il pensiero federalista, Roma-Bari, Laterza, 2002 (è una rassegna accurata delle alterne

fortune del pensiero federalista italiano, dall'Unità ai giorni nostri).• A. Spinelli, La rivoluzione federalista, Bologna, Il Mulino, 1996 (i pregi unificanti del

federalismo secondo l'europeista Spinelli).• N. Bobbio, Federalismo vecchio e nuovo, in "Giustizia e Libertà", n.102, 25 agosto 1945 (è un

documento storico che riassume i termini del dibattito tra "unitaristi" e "federalisti" alla vigilia della stesura della Costituzione della Repubblica italiana).

PAROLE CHIAVE

GOVERNO PARLAMENTARE È la forma di governo prevista dalla Costituzione italiana. Il governo è politicamente responsabile verso il Parlamento. Può operare, cioè, solo dopo che abbia ottenuto il voto di fiducia del Parlamento, e deve rispondere a esso in ogni momento. È il Parlamento, inoltre, che controlla e approva il bilancio dello stato predisposto dal governo.BICAMERALISMO PERFETTO Quando un parlamento si articola in due camere, che hanno la stessa composizione (rappresentano entrambe la nazione) e gli stessi compiti.STATO FEDERALE Quel tipo di organizzazione statale che viene creata da stati sovrani, che si spogliano di parte dei loro poteri (per esempio, difesa, commercio estero, moneta ecc.) al fine di operare insieme.STATO DI REGIONI Articolazione statale a cui dà vita uno stato centralizzato, attuando un processo di decentramento e affidando alle regioni compiti e funzioni, rispetto alle quali mantiene però potere di controllo sostanziale e formale.GOVERNO PRESIDENZIALI Forma di governo in base alla quale il presidente della repubblica è anche capo del governo, e viene eletto direttamente da cittadine e cittadini.

La questione meridionale

1 Un paese a due velocità

La "questione meridionale" è un tema difficile da affrontare, perché non è chiaro se storicamente esista o meno una questione meridionale. Ci sono "due Italie"? Esiste una polarizzazione tra un'Italia del nord sviluppata, ricca, operosa e un'Italia del sud arretrata, povera, assistita?

Gli storici "di destra" rispondono di sì. La storia dell'Italia è la storia di un paese segnato fin dall'inizio da "due velocità", a causa dell'arretratezza delle strutture economiche e sociali del Meridione e dell'inadeguatezza delle sue classi dirigenti rispetto a un progetto di modernizzazione. Anche la risposta degli storici "di sinistra" e degli eredi diretti della corrente di studio del meridionalismo è affermativa. Ma le loro ragioni sono ovviamente diverse: il Meridione è diventato un'Italia di "serie b", perché colonizzato dal nord che, con le tasse e il rapporto di subordinazione economica che ha imposto al sud ha potuto accantonare i capitali necessari per finanziare la propria

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rivoluzione industriale.Ma ai giorni nostri esiste ancora una "questione meridionale", e con quali caratteristiche? Oggi che

sono scomparse le masse contadine povere, che l'industrializzazione pubblica e privata ha dato vita a veri e propri distretti produttivi, la questione meridionale non si pone più in termini di contrapposizione netta tra sviluppo e sottosviluppo di due aree del paese. E sicuramente non si pone più la contrapposizione tra un sud agricolo e un nord industriale. Dagli anni Sessanta in poi, piuttosto, la questione meridionale diventa il problema dello sviluppo del sud - punto cruciale di ogni programma politico - ma come tassello del complessivo avanzamento socio-economico del paese.

Anche i termini della questione meridionale non sono gli stessi di un secolo fa, e nemmeno quelli di cinquantanni fa. I punti deboli di oggi non sono tanto rappresentati dall'ordine economico, quanto piuttosto da una fragilità delle strutture economiche e produttive, e da un basso livello di capitale sociale o senso civico che interessa trasversalmente le società meridionali. Potremmo azzardare l'affermazione che la questione meridionale oggi si pone in gran parte come questione culturale e civile delle sue popolazioni.

2 Che cos'è II Meridione

Il Meridione è una nozione geografica che indica il versante sud di un luogo. Storicamente, esso viene identificato con l'insieme delle aree soggette alla dominazione borbonica nel Regno delle due Sicilie, che vengono conquistate e annesse allo stato italiano unificato dai Savoia nel 1860. Il processo unitario - al nord come al sud - non coinvolge le masse popolari né le nascenti borghesie, come era avvenuto invece al nord. Nel sud, fungono da classe dirigente del nuovo regno i vecchi ceti padronali e la nobiltà feudale, fatto questo che condizionerà fortemente la sua marcia verso la modernizzazione.

Politicamente e socialmente il Meridione è l'insieme di realtà diverse. Vi fanno parte regioni come l'Abruzzo, il Molise, la Puglia, la Campania, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna. Esistono dislivelli tra regione e regione, tra aree all'interno della stessa regione, tra campagne, montagna e città, tra costa e interno. La realtà economica e sociale è molto più complessa e articolata di quanto il termine Meridione permetta di fare capire, così come non è mai esistita una linea geografica che separi nettamente in due il paese: sviluppo a nord, sottosviluppo a sud. Un esempio per tutti ci viene offerto dall'analisi del fenomeno dell'emigrazione all'estero agli inizi del Novecento. Si pensa di solito che a emigrare furono soprattutto i meridionali. Si scopre, invece, che dei circa 5 milioni che se ne andarono, solo un 28% proveniva dalle regioni del sud.

Nord e sud - ci fanno notare gli studiosi - sono due realtà diverse all'indomani dell'unificazione. Ma non sono contrapposte. Lo sono diventate, invece, proprio per effetto della "questione meridionale", ovvero della retorica sull'arretratezza e delle scelte politiche che essa ha determinato (G. Giarrizzo e P. Bevilacqua).

3 Una contrapposizione creata

La contrapposizione reale fra un sud agricolo e un nord industriale nell'Ottocento, e tra un sud assistito e un nord operoso nel Novecento, viene creata dalle politiche adottate dai governi italiani. È verso la fine dell'Ottocento che si decide di privilegiare lo sviluppo industriale al nord del paese. Ed è fra le due guerre che questa tendenza viene rafforzata: cattolici del sud, comunisti, fascisti sono tutti a favore di un Mezzogiorno "grande campagna d'Italia".

Nel secondo dopoguerra la "questione meridionale" è una questione centrale nella politica italiana. Partiti di governo e di opposizione concentrano la loro attenzione a sud, ciascuno perseguendo i propri obiettivi. I comunisti vogliono la riforma agraria per eliminare i "residui feudali" del Meridione, i partiti di governo creano la Cassa per il Mezzogiorno nel 1950 e avviano l'industrializzazione. La Cassa deve favorire la costruzione di strade, grandi infrastrutture, centri di formazione e di servizio; l'industrializzazione fra il 1960 il 1970, per come è progettata, non riesce a coinvolgere gli imprenditori privati e crea soprattutto un'industria di stato: industria chimica, siderurgica, grandi complessi industriali che vengono poi definiti le "cattedrali nel deserto". Lo "sviluppo" del sud è stato pilotato soprattutto sotto il controllo del potere pubblico.

«Il giudizio su questo periodo è tutt'ora controverso: dal momento che il Mezzogiorno è in quegli anni cresciuto, è cambiato profondamente, cancellando antichi squilibri e stabilendone di nuovi. La disputa si riassume nel quesito: fu quella del Mezzogiorno crescita con o senza sviluppo? [...] La contesa che dura tuttora tra politici e tra intellettuali, ha oscurato natura e portata di quel cambiamento: e ha prodotto la conseguenza di "sprechi", dovuti troppo spesso alla rincorsa delle emergenze, quando

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sarebbe stato più efficace un intervento in tempi reali e riferito al Mezzogiorno che è, piuttosto che al Mezzogiorno quale avrebbe dovuto essere.»

(G. Giarrizzo, Meridione senza meridionalismo, Marsilio)

4 Ma il sud e cambiato

A differenza di quanto argomentano settori più o meno vasti dell'opinione pubblica e dell'informazione, e di quanto sostengono con l'appoggio di indici parziali gli epigoni attardati del tradizionale meridionalismo, il Mezzogiorno nel complesso è la parte d'Italia in cui in centotrenta anni dall'unificazione nazionale a oggi il processo di "modernizzazione" ha più profondamente rivoluzionato gli assetti socio-culturali del passato.

Il Meridione, in tutte le sue aree, ha un alto tasso di scolarizzazione. Fin dagli anni Settanta la disoccupazione (con indici tripli rispetto al resto del paese) è soprattutto una disoccupazione giovanile, femminile e intellettuale. Questo dato è confermato dal fatto che le regioni meridionali sono le maggiori importatrici di forza lavoro proveniente dal Terzo mondo, e per mansioni che vengono "rifiutate" dai locali. Non ci sono più differenze significative, a nord come a sud, fra cultura prodotta, cultura consumata e stili di vita.

5 L'attuale divario nord/sud

Le cronache economiche e sociali dei giornali si riferiscono spesso a un'Italia a due velocità, alle due Italie: quella del nord e quella del sud. Esistono certamente delle divergenze reali. E ciò a prescindere dal problema della loro origine, e cioè se esse siano frutto della storia, o se derivino da limiti oggettivi e "naturali".

Le divergenze che caratterizzano oggi l'una e l'altra parte del paese sono però molto diverse da quelle di ieri. Lo sviluppo economico e produttivo di regioni come l'Abruzzo e parte della Puglia ha raggiunto gli stessi parametri delle aree del nord-est del paese.

Ciò che differenzia oggi nord e sud può essere sintetizzato in quattro problemi di fondo:1) fragilità strutturale del sistema produttivo meridionale e cioè: aree industriali isolate sul territorio,

scarsa presenza della piccola-media impresa e, in generale, poca propensione all'imprenditorialità;2) inadeguatezza dei servizi civili e territoriali. Le caratteristiche del sistema produttivo meridionale

determinano livelli di disoccupazione che sono il triplo di quelli del resto del paese e una struttura dell'occupazione contraddistinta da: scarsa presenza di occupati in modo stabile, alta incidenza di lavoro precario o stagionale e di lavoro "nero", occupazione concentrata nell'agricoltura, nei servizi e nel pubblico impiego. I redditi del sud derivano così principalmente dal pubblico impiego, dalle libere professioni, dalle rendite finanziarie (bot, cct) e non produttive in genere (per esempio, le pensioni per lavoro all'estero, le sovvenzioni statali o comunitarie);

3) la diffusione della criminalità organizzata (P. Bevilacqua);4) l'emergenza di una "questione urbana" meridionale (G. Giarrizzo). Le metropoli sono tornate a

essere il motore dello sviluppo e continuano ad attirare persone dalle campagne e dall'interno. Le città meridionali -più di quelle del resto del paese - sono sovraffollate, caotiche, senza servizi pubblici che funzionino a livelli decorosi, senza piani regolatori che frenino la speculazione edilizia selvaggia, senza reti di servizi che incentivino l'imprenditoria privata a investire. Risultato: microcriminalità, abbassamento della qualità generale della vita, spazi di intervento ancora molto ampi per la criminalità organizzata.

• IL DOCUMENTO - Sviluppo? Aumentiamo il peso della società civile«Mai come oggi è stato chiaro che la radice dei problemi non sia tanto nelle lacune della sua

economia, quanto nel Dna della sua società civile. Quando uno pensa al Mezzogiorno, lo assale l'inquiétante dubbio che per capire che cosa c'è da fare, più che guardare alle agenzie di sviluppo irlandesi o portoghesi, convenga risalire alla grande monarchia sveva del Duecento, con la sua miscela di burocrazia bizantina e di feudalità normanna che schiacciò definitivamente le autonomie delle città - fiorenti del nord - e impresse nel grande paese mediterraneo un'ombra secolare di servilismo. Certo, l'arretratezza del sud ha una componente economica molto più recente, che condivide con gli altri paesi europei geograficamente periferici rispetto all'asse anglo-renano della rivoluzione industriale. Ma nel Mezzogiorno c'è stato molto di più: c'è stata una frattura profonda della società civile rispetto al resto della nazione.

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Noi abbiamo pensato di sanare questa frattura attraverso l'unificazione economica, trasferendo risorse dal nord al sud. In questo è consistito l'intervento straordinario. Solo la Repubblica italiana, dopo circa un secolo di incuria, è stata capace di promuovere e realizzare uno sforzo poderoso, che ha mutato, non c'è dubbio, il volto del Mezzogiorno: quadruplicato il prodotto per abitante, raddoppiato la rete stradale, quadruplicato la disponibilità d'acqua, dimezzato il numero di abitanti per stanza, eliminato le case prive di servizi igienici e di elettricità, ridotto dall'ottanta al dieci per mille la mortalità infantile [...] Ma non ha mutato l'impronta storica di subordinazione della sua società civile (e incivile). Per più di un aspetto, anzi, l'ha accentuata, sostenendo iniziative non competitive e gonfiando il ruolo di intermediazione corruttrice delle borghesie di stato.

Alla fine degli anni Ottanta quella politica assistenziale divenne insostenibile, sia a causa dell'emergente disastro della finanza pubblica, sia per la crisi di rigetto di un nord per il quale il costo dell'assistenza eccedeva ormai i suoi vantaggi. Così si è sfasciata l'economia pubblica che costituiva l'impalcatura del sud: intervento straordinario, imprese pubbliche, grandi banche meridionali. E lo sfascio ha fatto riemergere l'arretratezza della società e della classe dirigente del Mezzogiorno. C'è stata nel sud, dopo il crollo dell'economia pubblica, qualche cosa di simile a una micro-catastrofe sovietica: una violenta selezione darwiniana tra un sud di imprese e settori forti che è riuscito a imboccare la strada dello sviluppo auto-propulsivo; e un sud debole che, privo del sostegno pubblico, è sprofondato nell'assistenzialismo privato del lavoro nero, dell'evasione fiscale, dell'economia criminale. Insomma, un Mezzogiorno bianco e un Mezzogiorno nero, un processo di divaricazione che le classi dirigenti meridionali non sembrano capaci di governare.

Si ripropone così l'eterna domanda: quale strategia per il sud?Il governo si sta virtuosamente impegnando in una serie numerosa, forse un po' troppo, di micro

interventi promozionali: patti territoriali, contratti d'area ispirati alla programmazione negoziata [...] Si tratta di iniziative certamente utili e altrettanto certamente insufficienti. [...] Temo però che queste misure, che sarebbero certo efficaci su un terreno civile normale, rischino di essere ingoiate, ancora una volta, dalla grande spugna di una società ancora arretrata. Si richiama allora l'esigenza di rafforzarne la base: il capitale umano. Si invocano la formazione, la scuola, l'università. Ma quanto tempo ci vuole perché questi interventi, posto che siano adeguati, diano i loro frutti? Una, due, tre generazioni? E intanto? [...] quanto tempo ci vuole per innescare una reazione spontanea virtuosa?

Per attivarla in tempi che consentano di rispondere alle nuove sfide sono necessari catalizzatori che accelerino il processo. Per mobilitare le forze endogene di sviluppo della società meridionale occorrono nuovi soggetti e nuovi progetti: nuove forze promotrici e nuove forze traenti. Le nuove forze possono scaturire da quelle grandi istituzioni civili che furono sconfitte, nella storia del sud, prima dalla monarchia svevo-nor-manna, poi dai baroni: le città. La sola grande innovazione politica introdotta in Italia in questo scorcio di secolo è stata l'elezione popolare del sindaco. Dappertutto essa ha impresso un fremito di vitalità alla società civile: anche nel sud. I sindaci democratici del Mezzogiorno possono essere gli imprenditori politici protagonisti di quel federalismo meridionale per il quale si batterono Guido Dorso e Gaetano Salvemini.

Ma i sindaci non possono agire nel vuoto. Il rinnovamento della società civile non si fa con le prediche e neppure coi decreti. Si può fare sperimentalmente, concretamente, misurandosi con grandi progetti di trasformazione del contesto ambientale che facciano centro sulle grandi città per investire l'intero territorio. Immaginiamo, per esempio, che in ogni regione del sud le città e la regione individuino, d'accordo con il governo nazionale, un grappolo di progetti miranti nell'insieme, alla modernizzazione del contesto civile del paese: progetti di difesa del suolo, di valorizzazione dei grandi spazi naturalistici (i parchi nazionali tra i più belli del mondo), di valorizzazione del tempo storico (i viaggi nella storia di un patrimonio archeologico e artistico immenso e profondo), progetti di grandi opere che lascino il segno nella storia della civiltà (e sarebbe ora di smetterla con un bigottismo che oppone le opere dell'architettura all'ambiente naturale proprio in questa Italia che ha insegnato al mondo come coniugarli), progetti di risanamento e ristrutturazione di grandi aree urbane, di creazione di nuovi spazi attrezzati per l'incontro conviviale, sportivo, culturale.

Immaginiamo che con il sostegno di un'agenzia progettuale e promotrice (non certo di un istituto di formazione alla cieca o più catastroficamente di assunzione di "forestali" alla calabrese) si possa organizzare il finanziamento e la realizzazione di questi progetti con capitale privato e la partecipazione dello stato e dell'Unione europea. Che a questo fine si mobilitino le forze dell'associazionismo. Che a sostegno di questi obiettivi stimolino le idee dell'immaginario collettivo. Non è questo il modo migliore per affrontare positivamente, costruttivamente - e non solo con il coraggio e il sacrificio della polizia e dei carabinieri - il torvo e torbido potere delle cosche mafiose? Non è forse attraverso l'organizzazione di una solidarietà progettuale che si può sfidare la rete sommersa della solidarietà illegale?».

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(G. Ruffolo, Quella società arretrata antico male del Sud, "la Repubblica")

TITOLI PER APPROFONDIRE• R. Vìllari, // Sud nella storia d'Italia, Bari, Laterza, 1961 (è un'opera classica, sempre stimolante,

sulla "questione meridionale" dall'Unità a primi anni della Repubblica).• G. Galasso, Mezzogiorno e modernizzazione (1945-1975), in La crisi italiana, a cura di L.

Graziano, S. Tarrow, Torino, Einaudi, 1979 (come è stata affrontata dai governi la "questione meridionale" nel secondo dopoguerra).

• A. Galasso, La mafia politica, Milano, Baldini e Castoldi, 1993 (un'analisi sulle connivenze e i legami che si sono stabili nel tempo tra malavita organizzata e politica).

PAROLE CHIAVE

MERIDIONE Area geografica dell'Italia che comprende le regioni: Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.MERIDIONALISMO L'insieme degli studi e delle analisi che si sono occupati dei problemi dell'Italia meridionale. Nel dopoguerra, le politiche adottate a favore dell'Italia meridionale.ASSISTENZIALISMO Accentuazione dell'assistenza pubblica e sociale praticata da uno stato verso i suoi cittadini, che può degenerare in forme di clientelismo.CLIENTELISMO Metodo politico che crea relazioni partiti/cittadini o pubblica amministrazione/cittadini fondate sull'interesse particolare e sull'ottenimento di favori speciali.CRESCITA ECONOMICA Accrescimento produttivo e di ricchezza di un sistema economico.SVILUPPO La crescita di un paese non considerata solo in termini quantitativi (crescita economica), ma anche qualitativi quali: migliore distribuzione del reddito, qualità dell'assistenza sanitaria e dell'istruzione, condizioni di vita in generale.

Gli anni di piombo

1 La strategia della tensione

I terroristi di tutto il mondo si definiscono dei combattenti. Dichiarano guerra alla società e allo stato del quale fanno parte, in nome di un progetto rivoluzionario, di un cambiamento politico radicale. Si tratta in genere di una minoranza di persone che si auto-nominano "rivoluzionari", senza nessun consenso da parte del popolo, o dei gruppi a favore dei quali dicono di combattere. L'organizzazione che essi si danno è di tipo militare. Combattono la loro "guerra" con attentati ai danni di persone molto note, agendo in pieno giorno e in luoghi molto frequentati in modo che le loro azioni ottengano la massima risonanza. Una risonanza che le loro azioni riescono in genere ad avere, ma a un prezzo molto alto perché seminano morte e tensione.

II terrorismo italiano ha dato vita ai cosiddetti "anni di piombo", con una lunga serie di attentati messi in atto fra i primi anni Settanta e la fine degli anni Ottanta. A rigore, il terrorismo italiano ha due matrici: quella "rossa", di estrema sinistra, e quella "nera", di estrema destra. La prima si proponeva di suscitare una rivoluzione proletaria. La seconda, di creare un clima di incertezza e di paura con lo scopo di destabilizzare lo stato e di instaurare un regime autoritario che fermasse l'avanzata delle forze politiche e sociali di sinistra. La lunga scia dei sanguinosi attentati del terrorismo "nero", dal 1969 ai giorni nostri - stragi con bombe, rimaste tutte impunite - viene definita "strategia della tensione", pericolosissima, perché ha spesso goduto della complicità e del silenzio di persone operanti all'interno degli organi dello stato (v. / misteri d'Italia).

Il terrorismo "rosso", di cui le Brigate rosse costituiscono la fazione più importante, è invece una degenerazione della contestazione studentesca e operaia dell'autunno "caldo" del Sessantotto. Le conseguenze sono state: «Anni di sangue che avevano rischiato di far pagare al nostro paese il prezzo di un ridimensionamento delle libertà su cui si fonda ogni democrazia» (Silvana Mazzocchi). La cornice per entrambi - "rossi" e "neri" - era costituita dalla guerra fredda. Una cornice entro la quale si sono sviluppati tutti i conflitti sociali del dopoguerra.

Il giornalista Giorgio Bocca così spiega la scelta di studenti e di giovani operai di darsi alla lotta

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armata clandestina e al terrorismo:«In uno dei primi documenti delle Brigate rosse si legge che il fatto storico su cui si fonda l'iniziativa

guerrigliera è il '68 "con i suoi moti di massa operai e studenteschi". Ma il '68 non è stato una rivoluzione abortita? Nella prima intervista che Curcio [leader del "partito armato" e fondatore delle Br] fa a se stesso indica come riferimenti ideologici il marxismo leninismo, la rivoluzione culturale cinese e l'esperienza dei movimenti guerriglieri metropolitani del Sudamerica: tutto meno che un'analisi approfondita e corretta della società italiana com'è, del capitalismo italiano reale. E allora come mai questi giovani pur mancando l'occasione storica e un serio disegno rivoluzionario decidono di mettere la loro pelle sulla punta di un bastone? [...] La causa scatenante va ravvisata nella disperazione da immobilismo che coglie non pochi italiani dopo il riflusso del '68 e dopo piazza Fontana dove una bomba esplode nella Banca dell'agricoltura facendo strage: disperazione da immobilismo causata dalla ignavia politica del partito di governo, la Democrazia cristiana, e dal mancato funzionamento della opposizione. [...]

A questo punto qualcuno dice no e decide che bisogna reagire. E chiaro che scegliere la lotta armata non è la stessa cosa che organizzare i magistrati democratici o scrivere su un giornale che le accuse agli anarchici sono state inventate; ma quello è stato certamente il punto di svolta, il momento delle precipitazioni e delle decisioni, la causa scatenante. Quando i sostenitori delle Brigate rosse affermano che gli anni seguenti hanno dimostrato che il terrorismo era l'unico modo possibile per fare politica in Italia, dicono a un tempo qualcosa di profondamente sbagliato e di vero: il terrorismo in sé non si è dimostrato una buona politica, ha condotto a una disumanizzazione della sinistra, ha portato le avanguardie rivoluzionarie in un vicolo cieco; ma gli effetti politici ci sono stati, profondi, a volte, laceranti nella vita dei partiti e delle istituzioni. Il terrorismo ha mancato le soluzioni della crisi, non ha offerto alcuna seria alternativa al sistema, ma ha rivelato la crisi della società e dello stato.»

(G. Bocca, Il terrorismo italiano 1970-1978, Milano, Rizzoli, 1978)

2 Vecchie e nuove Br

I brigatisti cominciano a operare verso il 1970, ma fino al 1972 sono poco conosciuti anche perché le loro "azioni" si svolgono all'interno delle grandi fabbriche milanesi e non si differenziano dalle molte che vengono messe in atto nel periodo: picchiano funzionari di fabbrica, li minacciano, incendiano le loro auto. Questi gesti venivano compiuti nello stesso modo da altri gruppi di estrema destra, indirizzati, però, verso altri "nemici", come i sindacalisti.

Nel 1972 i brigatisti decidono un salto di qualità nella propaganda della lotta armata e, per la prima volta, rapiscono ima persona: un dirigente d'azienda. Questo fatto ha molta risonanza, mentre si intensificano le rapine per finanziare la "guerriglia urbana". Le Br agiscono a Milano, poi a Torino, Genova e Roma. I leader si accorgono però che la lotta armata non ha seguito e decidono di intensificare la "propaganda", puntando su azioni più clamorose. È così che il 18 aprile del 1974 rapiscono un magistrato, Mario Sossi, per dimostrare, in modo clamoroso, il loro rifiuto anche nei confronti della giustizia dello stato. Sossi verrà liberato senza condizioni, mentre le forze dell'ordine cominciano, con successo, a scoprire covi Br e ad arrestare i leader storici, fra i quali lo stesso Renato Curdo. Nel corso di un'irruzione dei carabinieri in un covo di Milano, i brigatisti si macchiano del primo loro omicidio: sparano a morte a un maresciallo dell'Arma.

Nel 1974, le Brigate rosse sembrano sul punto di esaurirsi. In realtà si trovano a una nuova svolta. «L'organizzazione, così come l'hanno concepita Curcio e gli altri del gruppo storico - scrive Giorgio Bocca - non può sopravvivere alla repressione poliziesca. E infatti muore in quei mesi: le Br nuove, quelle che verranno dopo la morte di Mara e i due arresti di Curcio saranno molto diverse: più feroci, più terrorizzanti, più numerose, più legate a piani di terrorismo internazionale, più misteriose.»

Questa trasformazione avviene tra il 1976 e il 1977, in un clima generale di disponibilità alla violenza, soprattutto da parte di quei giovani che sono più delusi dall'ennesima crisi politica italiana e dalla disponibilità del Partito comunista di Enrico Berlinguer a collaborare con la Democrazia cristiana ("compromesso storico"). Le Br riescono a reclutare un buon numero di nuovi terroristi fra le file degli universitari del Movimento studentesco e gli "autonomi". Le loro azioni si intensificano. I brigatisti programmano con cura gli attentati, ora decidono anche di uccidere. Fra il 1977 e il 1978, rivendicano circa 600 episodi. Colpiscono le figure più significative della società e delle istituzioni: giudici, giornalisti, professori universitari, capireparto, medici, ritenuti tutti "nemici del popolo". L'allarme creato da questi episodi cresce sempre più, fino al marzo del 1978, quando le Br mettono a segno il colpo più clamoroso della loro storia: il sequestro e l'uccisione del leader democristiano Aldo Moro, il

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"padre" del progetto di "compromesso storico" fra Dc e Pci. Questo fatto sarà però l'inizio di una crisi irreversibile delle Brigate rosse.

3 II declino e gli irriducibili delle Br-Pcc

La strage di via Fani, nel 1978, segna il culmine della "popolarità" delle Brigate rosse.«Il declino inizia qualche tempo dopo: già nel 1979 contraddizioni interne e lotte intestine

determinano l'uscita dalle Br di sette militanti. Anche se la scia di sangue non si ferma: in quei mesi i morti sono decine e P80 si apre con la stessa ferocia. Il 12 febbraio a Roma viene ucciso Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Il 18 marzo è la volta di Girolamo Minervini, un magistrato in procinto di diventare direttore delle carceri. Il 6 febbraio il parlamento vara la legge (si dirà poi di emergenza) che prevede pene assai pesanti contro coloro che commettono reati di terrorismo. Il 19 febbraio, a Torino, gli uomini del generale Carlo Alberto dalla Chiesa arrestano Patrizio Peci, capo della colonna cittadina delle Br. Peci parla, racconta. "Prima di lui non sapevamo nulla delle Br", diranno alcuni giudici antiterrorismo. Seguono centinaia di arresti, finché a Genova il 28 marzo i carabinieri fanno irruzione in un appartamento in via Fracchia e, nella sparatoria che ne segue, vengono uccisi quattro brigatisti. Un anno dopo le Br massacrano per rappresaglia il fratello di Patrizio, Roberto, artigiano di San Benedetto del Tronto. In dicembre, la colonna milanese delle Br Walter Alasia si stacca dall'organizzazione. Il 12, a Roma, viene rapito il giudice Giovanni D'Urso, direttore del terzo dipartimento della direzione delle carceri. I brigatisti vanno avanti con l'omicidio del generale dei carabinieri Enrico Galvanigi, mentre il sequestro D'Urso si concluderà il 15 gennaio con la liberazione del prigioniero e la chiusura del carcere speciale dell'Asinara.

Il percorso unitario delle Br è di fatto concluso. [...]Nel 1982, in maggio, una legge aveva disposto che ai collaboratori di giustizia venissero applicati

forti sconti di pena. Ma, già a partire dal 1983, nelle carceri popolate da centinaia di terroristi (in questo periodo su 1140 detenuti a regime di massima sicurezza, se ne contano ben 690 politici), la tendenza alla dissociazione si fa massiccia. E nel febbraio 1987 viene varata la legge che prevede per chi si dissocia diminuzioni di pena consistenti e la possibilità di ottenere la libertà provvisoria.

I terroristi in carcere sono quasi tutti consapevoli della sconfitta. I capi storici, tra cui Renato Curcio, ammettono che "la lotta armata è finita". Nel libro, La mappa perduta, la ricerca curata da Curcio per la casa editrice Sensibili alle foglie, si dice che, a fronte di centinaia di sigle comparse nel ventennio 1969-1989, le formazioni reali effettivamente costituite e operanti sono 47. Ma, se seguiamo il filo delle Brigate rosse, è il 1981 l'anno della sua trasformazione, quando dopo il sequestro e l'uccisione dell'ingegner Giuseppe Tagliercio (20 maggio-5 luglio), le Br aprono la campagna che porterà al sequestro del generale James Dozier (17 dicembre 1981-28 gennaio 1982). Teorizzano "la resistenza" e, dopo una riunione della Direzione strategica tenuta a Padova, cambiano la sigla con "Brigate rosse per la costruzione del partito comunista combattente". [...] Sarà la stessa sigla a firmare gli attentati contro Gino Giugni, esponente del Psi (ferito il 3 maggio 1983), l'uccisione del diplomatico Usa Leamont Hunt (15 febbraio 1984) e l'attentato mortale contro Ezio Tarantelli, il docente di Economia politica assassinato il 27 marzo 1985.

Le Br si sono esaurite, altri gruppi sono allo sbando, ma le Br-Pcc compaiono ancora a Firenze il 10 febbraio 1986 e uccidono l'ex sindaco della città Landò Conti. Infine, il 16 aprile 1988 uccidono il senatore democristiano Roberto Ruffilli. Nel documento di rivendicazione di quest'ultimo agguato, gli esponenti delle Br-Pcc dichiarano il loro progetto di andare avanti con la lotta armata, in dissenso con la decisione ormai adottata dalla quasi totalità dei brigatisti rossi.»

(S. Mazzocchi, Quei vent'anni di piombo che insanguinarono l'Italia, "la Repubblica")

Il 20 maggio 1999, le Br-Pcc uccidono in un agguato il dirigente sindacale Massimo D'Antona. Il 19 marzo 2002, viene ucciso a colpi di pistola Marco Biagi, professore di diritto del lavoro. Vent'anni di azioni terroristiche hanno ucciso più di 400 persone e ferite oltre 2.000.

Ha detto l'ex brigatista Adriana Faranda, ora libera dopo un lungo periodo di carcerazione: «Il percorso armato si è dimostrato nocivo e controproducente a qualunque cambiamento della società».

PAROLE CHIAVE

COMPROMESSO STORICO Espressione usata nel 1973 da Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano, per indicare la necessità di una collaborazione stabile e duratura fra Dc e Pci, finalizzata ad approvare ampie riforme per un profondo rinnovamento sociale e

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per contrastare contraccolpi reazionari.SESSANTOTTO II movimento di contestazione soprattutto studentesca esploso nel 1968 nelle università italiane.PENTITISMO Vengono definiti "pentiti" coloro che, pentendosi di un delitto, si impegnano a collaborare con la giustizia per aiutarla a sgominare l'organizzazione di cui essi stessi facevano parte. Il fenomeno del pentitismo emerge all'inizio degli anni Ottanta fra i terroristi, prima, e poi anche fra i mafiosi e i camorristi.

I misteri d'Italia

1 Una scia di stragi impunite

Tanti episodi hanno insanguinato la storia recente dell'Italia; su molti non si è ancora saputa la verità: chi ha materialmente collocato quelle bombe assassine e, soprattutto, chi ha ordinato quelle stragi. Eccone un elenco parziale.

12 dicembre 1969. A Milano, nella sede della Banca nazionale dell'agricoltura di piazza Fontana, esplode una bomba. Sedici morti e 88 feriti. Altre tre bombe esplodono a Roma, vicino all'Altare della patria e nei sotterranei della Banca nazionale del lavoro.

22 luglio 1970. A Gioia Tauro, un'esplosione sui binari fa deragliare il treno Freccia del sud. I morti sono sei e i feriti più di 50. Inizialmente l'attentato è considerato un incidente.

31 maggio 1972. A Peteano, tre carabinieri rimangono uccisi dallo scoppio di una bomba collocata dentro il bagagliaio di un'automobile che essi avevano ricevuto ordine di perquisire.

28 maggio 1974. Durante una manifestazione sindacale in piazza della Loggia, a Brescia, esplode una bomba collocata in un cestino dei rifiuti: otto morti e più di 90 feriti.

4 agosto 1974. A San Benedetto Val di Sambro, poco dopo l'uscita da una galleria, esplode una bomba sul treno Italiacus, Roma-Monaco: 12 morti e più di 40 feriti.

2 agosto 1980. A Bologna esplode una bomba nella sala d'aspetto della stazione: 85 morti e oltre 200 feriti. Quello di Bologna è l'attentato più grave della storia italiana del dopoguerra. Avviene a poco più di un mese di distanza dalla strage di Ustica (27 giugno 1980), in cui 81 persone erano morte in volo sull'aereo Dc-9 Itavia. Due le ipotesi per quest'ultimo caso: bomba a bordo o un missile.

23 dicembre 1984. Ancora nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, una bomba esplode sul treno 904, Napoli-Milano: 15 morti e oltre 200 feriti. È la cosiddetta "strage di Natale". La bomba, stavolta, era stata collocata in galleria. Verrà accertata la collaborazione fra stragisti e malavita organizzata. Quest'ultima, sempre più attiva, da questo momento in poi sarà continuamente presente sulla scena delle stragi.

2 aprile 1985. Alle 8,30 del mattino la "strage di Pizzolungo": vittima designata era il giudice Carlo Palermo, che aveva condotto le prime indagini sul traffico internazionale di armi e sui servizi segreti "deviati''. Muoiono una donna e i suoi due figli. L'automobile della donna ha fatto da scudo al giudice, che è rimasto illeso.

10 aprile 1991. Nella rada del porto di Livorno, collisione tra una petroliera e il traghetto passeggeri Moby Prince: 141 morti. Le indagini, in un primo momento, non approdano a nessun risultato concreto. Nel 1995, l'inchiesta viene riaperta in seguito alle rivelazioni di un settimanale, secondo cui a bordo del traghetto esplose una bomba. Sullo sfondo dell'attentato, il traffico illegale di armi.

23 maggio 1992. A Capaci, sull'autostrada Trapani-Palermo, viene minato un tratto di strada dove poco dopo transita l'auto del giudice antimafia Giovanni Falcone. Nell'esplosione muoiono anche la moglie e quattro agenti di scorta.

19 luglio 1992. Palermo. Un'automobile imbottita di esplosivo e comandata a distanza da un radiocomando sono i mezzi scelti dalla mafia per l'attentato di via D'Amelio, nel quale perdono la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.

25 maggio 1993. A Firenze, un furgone imbottito di esplosivo esplode in via dei Georgofili, di fianco alla galleria degli Uffizi: rimangono uccise quattro persone, tra le quali una neonata; il 14 maggio, a Roma, era fallito un attentato contro il giornalista televisivo Maurizio Costanzo.

27 luglio 1993. Esplodono tre bombe nella stessa notte: due a Roma e una a Milano, in via Palestro, dove perdono la vita tre persone.

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Le numerose inchieste aperte dalla magistratura italiana si sono presto bloccate, hanno dichiarato responsabili dei personaggi marginali se non addirittura estranei ai fatti, o si sono trovate la strada sbarrata da "segreti di stato", che lo stato non ha voluto togliere. Questa scia trentennale di stragi impunite, secondo i commentatori più autorevoli, ha tutta lo stesso significato: impedire profondi cambiamenti, a partire dalla politica e dalla linea di governo, proprio nei momenti in cui il paese e la cittadinanza li richiedono.

Gli obiettivi immediati e il contesto storico della "strategia della tensione" creata fino agli anni Ottanta, e quella degli anni Novanta sono, però, diversi.

2 La strategia dalla tensione

Negli anni Sessanta sta per aprirsi una stagione di riforme importanti per la vita sociale, politica ed economica. Il mondo è ancora diviso in due dalla guerra fredda: Occidente democratico da una parte, regimi socialisti e comunisti dall'altra. La Democrazia cristiana, il più forte partito italiano, cattolico, di "centro", che ha governato praticamente da solo dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, chiama al governo i socialisti e inaugura il cosiddetto "centrosinistra", che promette importanti cambiamenti. L'idea del cambiamento porta, nel 1964, a un progetto di colpo di stato ordito addirittura da una parte dei servizi segreti (il Sifar), che dovrebbero avere invece il compito di difendere il paese.

Dal 1966, l'Italia è interessata dalla sua prima una crisi economica dopo il grande sviluppo del dopoguerra. Nel 1967-1968, quando diventa evidente che le promesse fatte dal "centrosinistra" non verranno mantenute, scoppia la protesta degli studenti e degli operai, che chiedono più giustizia sociale e riforme. Vengono organizzati scioperi e grandi manifestazioni di protesta. Il Partito comunista ottiene sempre più consensi. Nel 1969, la strage di piazza Fontana apre la fase della cosiddetta "strategia della tensione". «Essa mirava a creare uno stato di allarme permanente nella società, a impedire che la coalizione di governo si spostasse troppo a sinistra facendosi condizionare dal movimento sindacale e dal Partito comunista, ed eventualmente, in prospettiva, a permettere una svolta politico-istituzionale in senso autoritario. Le stragi e le azioni occulte in atto dalla fine degli anni Sessanta, oltre che a contrastare lo sviluppo delle agitazioni e dei movimenti studenteschi e operai, mirarono probabilmente a impedire quello che si presentava come il logico sbocco della crisi politica: la formazione di una maggioranza di governo comprendente il partito comunista. La crescita della conflittualità sociale e la difficoltà di attuare effettivamente le riforme che erano state promesse nei primi anni sessanta, portarono a una crisi della formula politica di centrosinistra, senza che un'alternativa fosse effettivamente maturata» (P. Ortoleva, M. Revelli).

Dal 1973, il Partito comunista prende le distanze dai metodi e dalla politica dell'Urss e annuncia l'idea del "compromesso storico" e cioè: «Che occorreva ricercare l'accordo - più ampio possibile - con le masse cattoliche e con il partito riconosciuto come loro rappresentante, per garantire la più ampia base di consenso a una politica riformatrice, impedendo al tempo stesso che il partito dei cattolici fosse trascinato su posizioni di destra» (P. Ortoleva, M. Revelli).

La possibilità che il Pci appoggi il governo, insieme all'avanzata elettorale delle sinistre e alla loro vittoria nel referendum sul divorzio (1974), determina una nuova ondata di stragi. Entrano in scena anche le Brigate rosse e altri gruppi armati clandestini, di estrema destra e di estrema sinistra (v. Terrrorismo). Il terrorismo contribuisce ad alimentare il già pesante clima di tensione e a "congelare" la situazione italiana. Nel 1981 si scopre l'esistenza di un'organizzazione segreta, la loggia massonica Propaganda 2 (P2), i cui affiliati (alta finanza, magistrati, alti gradi dell'esercito ecc.) stanno operando per minare lentamente la democrazia e instaurare una dittatura.

3 La paranoia anticomunista

Servizi segreti deviati e progetti di colpi di stato, terrorismo, P2, cospirazione di alti esponenti militari, mafia, ma anche la complicità o il silenzio di politici e di funzionari corrotti. E ancora, il ruolo più o meno diretto dei maggiori servizi segreti occidentali: sembra uno scenario improbabile uscito dalla penna di uno scrittore di gialli con troppa immaginazione. Invece, si tratta dei protagonisti, veri e diversi, degli attacchi che sono stati mossi alla nostra democrazia.

«Le rivelazioni di questo periodo in tema di mafia e Tangentopoli confermano l'esistenza finora ritenuta prodotto di fantasie dietrologiche, di un'area del nostro sistema politico, dove per anni uomini dello stato hanno incrociato terroristi, mafiosi, piduisti, delinquenti comuni, e dove si è prodotta l'incredibile sequela di fatti sanguinosi di questi decenni. Di fronte a ciò, alcuni reagiscono con

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incredulo sgomento; altri [...] rivendicano il realismo politico dei brigatisti, altri ancora ritengono che la mobilitazione di forze quali la P2, mafia e terrorismo sia stata necessaria per sconfiggere la forza che, contro la democrazia avrebbe usato ogni mezzo, anche illegale, cioè il comunismo: "Se la democrazia voleva sopravvivere, doveva agire in questo modo", ha scritto Emanuele Severino.

Con tutto il rispetto per il pensatore, la tesi mi pare francamente insostenibile: in altri paesi si è combattuto il comunismo senza ricorrere a mafia e P2; da noi si è agitata la (presunta) minaccia comunista per nascondere i traffici più loschi, per coprire faide interne' all'area governativa. Queste non sono la manifestazione necessaria dell'anticomunismo, ne sono la perversione. [...] Qui siamo effettivamente di fronte a manifestazioni di quella paranoia anticomunista che afflisse settori importanti seppur limitati della nostra classe dirigente, e che la portava a vedere lo spettro dei soviet a ogni spostamento a sinistra del quadro politico. E qui si colloca la strategia della tensione.

Il fenomeno suscita un interrogativo di altro genere, quello riguardante l'esistenza o meno di un complotto unitario dietro i fatti di sangue degli ultimi decenni. Il termine strategia della tensione, con i suoi risvolti militari, può effettivamente far pensare a un insieme di tattiche e iniziative coordinate in maniera unitaria e tendenti a uno scopo univoco. Ma è improbabile che questo sia avvenuto nel nostro paese. Gli attori e i gruppi coinvolti furono troppo numerosi, eterogenei, reciprocamente autonomi, gli eventi troppo casuali perché si possa parlare di un piano, programma o complotto unico, o addirittura di un grande vecchio. Sembra invece più "plausibile" che, entro un clima ideologico e di intenti omogeneo (la paranoia anticomunista, appunto, quindi l'obiettivo di destabilizzare per stabilizzare, magari arrivando al "golpe") abbia operato una serie di attori che in alcuni casi erano coordinati, spesso con l'estero, in altri agivano autonomamente, senza un copione preciso, ma in maniera congruente con quella di altri o che, a posteriori, veniva fatta combaciare. In caso di guai, l'impunità veniva garantita dalla copertura offerta da spezzoni dei servizi, da indagini di polizia inspiegabilmente incompetenti, da

incredibili assoluzioni.»(F. Ferraresi, "Il Corriere della Sera")

4 GII anni Novanta

E arriviamo agli anni Novanta. Lo scenario internazionale è parecchio cambiato da quello degli anni Sessanta-Settanta. È finita la guerra fredda. I sistemi comunisti hanno storicamente fallito e sono crollati sotto il peso delle loro ingiustizie e inefficienze. Negli anni Novanta si riapre, in Italia, la stagione di riforme politiche e istituzionali. Il vecchio sistema politico, già in crisi, viene ulteriormente logorato dalle inchieste giudiziarie che accertano la sua diffusa corruzione (Tangentopoli). Scoppia lo scandalo della corruzione anche per alcuni settori dei servizi segreti (Sisde, 1993-1995). Continuano a scoppiare anche le bombe: a Palermo, a Firenze, a Milano, a Roma (1993).

Gli attentati degli anni Novanta verranno letti come colpi di coda -ma non per questo meno barbari - di un vecchio modo di operare per condizionare pesantemente il cambiamento. Ma la copertura dei servizi segreti internazionali viene meno: la guerra fredda è finita. I gruppi eversivi di estrema destra cercano e ottengono l'appoggio delle mafie. La situazione è totalmente diversa dal passato.

Le InchiesteA poco a poco, scadono i segreti di stato su montagne di documenti, vengono aperti gli archivi

dell'Est e dell'Ovest. Anche in Italia si scoprono armadi di documenti dei quali i più ignoravano l'esistenza. Inchieste impensabili anche solo fino a pochi anni prima riescono a illuminare le prime zone dell'immenso cono d'ombra di quegli anni. Magistratura ordinaria e la commissione Stragi, una commissione parlamentare permanente con ampi poteri di indagine, riescono a trovare i primi bandoli di una matassa a dir poco intricata.

Giovanni Pellegrino, che ha presieduto per anni tale Commissione, alla fine degli anni Novanta si mostrava per la prima volta fiducioso.

D. Senatore, è autorizzato ora l'ottimismo o, almeno, la speranza anche per le stragi irrisolte?«La mia personale speranza è che per quel periodo che va dal '69 all'uccisione di Moro nessuno mi

parli più di misteri d'Italia... Era un'epoca in cui non tintinnavano più le sciabole ma gli zecchini. E, quindi, era un mondo diverso. Solo alcune tecniche come il depistaggio, qualche scheggia, sono passate in eredità. Inezie. Ma il contesto è completamente diverso.»

D. E possibile che, alla fine, anche dall'Ottanta in poi luce sia fatta?«Non c'è dubbio. Fa parte della storia dell'uomo. C'è uno spazio temporale del segreto, poi

l'indicibilità finisce e si comincia a capire.»D. Anche perché cambiano le situazioni?

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«Secondo me non è un caso che queste indagini pur difficili siano state possibili dal 1994 in poi. In quell'anno è incominciata una fase politica nuova, in cui tutte le forze politiche hanno conosciuto la posizione della maggioranza e dell'opposizione. E prima, nell'89, c'è stato il crollo del muro. I segreti, è indubbio, tanto più sono possibili quanto più una democrazia è incompiuta, è bloccata. Probabilmente nel 1990 il lavoro che ho portato avanti nella commissione Stragi non me l'avrebbero fatto fare, sarei incappato in qualche infortunio. Ora siamo entrati in un mondo nuovo e, quindi, le solidarietà che facevano capo a un mondo vecchio sono andate via via perdendo di forza. Resistono ancora, ma sempre meno.»

D. Ma c'è ancora da avere timori?«La democrazia in questo paese ormai è consolidata, esigente. Ma non significa che non ci possano

essere pericoli di altro tipo. La secessione, le tensioni etniche, questo mondo che si è rimpicciolito e che, quindi, non ti può far sentire al sicuro. Non abbassare la guardia, dunque. Ma con meno timori.»

(Intervista di Marcella Ciarnelli, "L'Unità")

PAROLE CHIAVE

COLPO DI STATO Sovvertimento illegittimo dell'organizzazione costituzionale di uno stato da parte di un organo dello stesso. Un colpo di stato può essere militare quando questo sovvertimento avviene a opera di un settore delle forze armate.GOVERNI DI CENTROSINISTRA Indicano i governi di coalizione fra la Dc, il Pri, il Psdi e il Psi. Il primo governo di centrosinistra si costituisce nel 1962 con Fanfani, che ottiene l'appoggio esterno del Psi. Nel 1963, con Moro si ha il primo centrosinistra "organico" con il Psi che fa parte della maggioranza e che accetta incarichi di governo. I governi di centrosinistra sono poi stati numerosi fino alla fine degli anni Settanta, quando la formula è entrata in crisi per fare poi posto al "pentapartito", un'altra versione di centrosinistra.SEGRETO DI STATO Notizia che nell'interesse della sicurezza dello stato deve rimanere segreta.COMPLOTTO Congiura ai danni dello stato.SERVIZI SEGRETI I servizi preposti ad attività di controspionaggio, necessariamente segrete, per prevenire minacce alla sicurezza nazionale provenienti sia dall'interno sia dall'estero.

TEMI

• Correntemente si considera "più furba" la persona che riesce a ottenere una pensione, un sussidio, un posto di lavoro, anche in modo illegale. Senza pensare che, in verità, è molto stupido chiedere come favore qualcosa che ci spetterebbe di diritto. E poi, il tacito apprezzamento verso "i furbi" non è già di per sé un danno? Riflettere sulla corruzione e sui vari tipi di danno, personale e collettivo, che essa può causare.

• Per molti italiani del centro-nord il Mezzogiorno è sinonimo di arretratezza economica, di degrado urbano e di delinquenza. Molti uomini di cultura lanciano un segnale d'allarme: gli italiani per primi non conoscono la storia e la realtà delle regioni meridionali, sono pieni di pregiudizi e, più o meno coscientemente, razzisti nei confronti del sud.

• Tra evasione fiscale e lavoro nero. Tra città caotiche e servizi pubblici di basso livello. Analizzare i prò e i contro della «rete sommersa della solidarietà illegale» di cui parla Giorgio Ruffolo.

• Trent'anni di stragi impunite. Che cosa possono fare i cittadini per fare emergere la verità? Che cosa possono fare i giovani per difendere la democrazia?

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