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1 IL SOLUTORE DI ENIGMI. ARDUINO SUZZI DA TOSSIGNANO, UN GENIO DIMENTICATO Matteo Veronesi

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Articolo apparso in "Pagine di vita e storia imolesi", 12 (2009), pp. 55-62.

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IL SOLUTORE DI ENIGMI.ARDUINO SUZZI DA TOSSIGNANO,UN GENIO DIMENTICATO

Matteo Veronesi

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In copertina:

Frontespizio dell’opera Aenigmatis cujusdam bononiensis explicatio adjectis in fine distichis moralibus, Bim,Biblioteca Comunale d’Imola, Archivio Vacchi-Suzzi, Cartone n. 143.

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È stato detto che la polvere depositatasi sui libri e sui manoscritti nel tedio e nel-

le tenebre delle biblioteche è indice della ne-gligenza degli studiosi e degli uomini di cul-tura, che avrebbero dovuto rivisitarli, inter-pretarli, strapparli all’oblio, contribuire a ren-derli patrimonio comune.Ciò vale in modo particolare per figure comequella di Arduino Suzzi da Tossignano (1659-1730), uomo di legge schivo, appartato, quasiromito, che lasciò di sé labilissime tracce bio-grafiche, quasi vivesse solo della vita – purintensissima - dell'intelletto e degli studi, eche all'attività notarile (appena cinque volu-mi di atti in quasi cinquant’anni) preferì quel-la, ben meno remunerativa, ma più libera,profonda ed appassionante, dell'indagine fi-losofica e letteraria e della meditazione sa-pienziale.Un genio, un genio vero e raro - non si esitaad affermarlo -, ma misconosciuto e dimen-ticato, il Suzzi1, che pur nella solitudine diuna remota ed impervia provincia letterariariuscì ad acquisire, attraverso letture perso-nali e spesso ardite (per poter compiere lequali, relative fra l’altro ad opere di magia,alchimia, filosofia ermetica, dovette, nel1709, chiedere un’autorizzazione al SantoUffizio - quello stesso che proibirà, proprionel 1730, anno della morte, la pubblicazionedel suo capolavoro, le Origini Hebraiche del-le tre lingue Latina, Greca, et Volgare, il qua-le, andato poi disperso, è parzialmente, eprovvidenzialmente, conservato, in una ste-sura in pulito chiaramente già destinata allastampa, e integrata da un’aggiunta posterio-re, presso la Biblioteca Comunale di Imola),una vastissima, profonda, quasi esoterica ediniziatica, erudizione.L'uomo di lettere e d'intelletto, ci dice Ardui-no Suzzi, è sempre e comunque, come Edi-po, un «solutore di enigmi», un interprete ar-dito, un esegeta avventuroso che tenta di var-care la superficie della lettera per arrivare adilluminare le profondità segrete, insidiose edaffascinanti dello spirito e dell'essenza.Questa è la prospettiva che anima le sue due

operette minori, ma già illuminanti, per quan-to pervase, a tratti, da un gusto per il raro, ilrecondito, il bizzarro, da un'attenzione ai mi-nimi dettagli e alle impercettibili sfumaturedelle parole, delle icone, dei simboli, da -avrebbe detto Leopardi - un frenetico «entu-siasmo della ragione», che arrivano, a volte,a rasentare il delirio: Notarum atque Myste-riorum Sacrae Patenae D. Petri ChrisologiExpositio, edita a Bologna nel 1727, ed Ae-nigmatis cuiusdam Bononiensis Explicatio,data alle stampe due anni dopo a Faenza.Il primo dei due testi concerne la celebre,impenetrabile epigrafe bolognese Aelia Lae-lia Crispis, enigma ermetico ed alchemicoche attrarrà, nei secoli successivi, l’attenzio-ne di geni della modernità come Gérard deNerval (che in quelle parole di colore oscurovedrà la torbida erma bifronte di Eros e Tha-natos, vita e morte, passione e annientamen-to) a Carl Gustav Jung, il quale, in Myste-rium conjunctionis (ignorando l'operetta delSuzzi e citando invece quella, meno origina-le, che allo stesso controverso ed affascinan-te argomento dedicò, nel 1683, lo storico del-l'arte Carlo Cesare Malvasia), non vi sapràscorgere altro che un divertito rebus umani-stico, un compiaciuto e dotto rompicapo, nellecui molteplici interpretazioni si riflettevano,però, i simboli variegati ed ambigui dell'in-conscio collettivo.Il secondo testo riguarda, invece, un altrooggetto affascinante ed enigmatico, la Pate-na di San Pier Crisologo conservata nellaBasilica di San Cassiano, e amorevolmentetenuta fra le mani, e quasi devotamente acca-rezzata, da Arduino nell'unico ritratto, mite,meditativo ed assorto, di mano ignota, che dilui ci rimane, conservato anch'esso presso laBiblioteca Comunale.Agli occhi di Arduino, le parole esplicite olatenti, chiaramente tracciate o viceversa dis-simulate, celate, appena accennate ed evoca-te fra le linee e le forme, si sovrappongono(come avveniva nelle «imprese», nelle enig-matiche, cabalistiche, ermetiche figurazionisecentesche care a Paolo Giovio e a Giorda-

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no Bruno) alle immagini, alle simbologie, alletracce iconiche, senza che – sulla scia del-l'oraziano «ut pictura poësis» - il piano ver-bale sia facilmente distinguibile da quello fi-gurativo, il senso dalla visione (e qui si po-trebbe pensare, pur se al di fuori di qualsiasiforma di pensiero magico e mistico, all'im-magine galileiana del Mondo come Libro lecui pagine sono aperte davanti a noi, ma ver-gate in caratteri matematici).Così, nella triplice piega del paramento dellasacra mensa Arduino legge (in modo nienteaffatto arbitrario) la triplice V di Cristo «via,veritas et vita». Triplice è anche il senso chealle enigmatiche sigle della patena si può at-tribuire, a seconda che esse vengano lette conriferimento al greco, al latino o all'ebraico.L'immagine rappresenterebbe sia il Kleos, laGloria di Dio (il dantesco «divinus radius,sive divina gloria», la magnificenza divinache, come nel Paradiso di Dante, si esprimemisticamente nella luce che permea l'univer-so, la «nominis claritas» - si pensi anche al-l’ideale tomistico della Bellezza come «cla-ritas», come luce, nitore, splendore trasluci-do e squillante - «laudibus enitescens», av-volta dal brillio delle lodi), sia il Cristo Alfaed Omega, Principio e Fine, origine prima edestino ultimo ed eterno, pieno e definitivoinveramento, di cui parla l’Apocalisse di Gio-vanni. Nel contempo, la Patena può effigiareanche la Concezione, così come la Passione.Il coesistere di sensi diversi (al pari della com-presenza di unità, duplicità e trinità) non devestupire. La Patena è tramata e punteggiata di«mystica signa», come tali avvolti, etimolo-gicamente, da un alone di ineffabilità, di ine-sprimibilità, di ammutolimento. Il velo del-l'immagine e della lettera, una volta solleva-to, mostra inevitabilmente una miriade disensi possibili, nessuno dei quali può essereunico ed onnicomprensivo.D’altro canto, la coesistenza, nelle ScrittureSacre così come nei poeti classici, di più sensi(letterale, allegorico, morale, anagogico), omeglio, come dice Dante nell'Epistola a Can-grande, di un «sensus polyemos», uno e in-sieme molteplice, assoluto e irriducibile,compiuto e virtualmente illimitato (in con-trasto con la limitatezza delle parole umaneche tentano di coglierlo e di esprimerlo), eraaffermata da tutta una lunga tradizione ese-getica, da Agostino a Tommaso a Dante, dalPetrarca latino a Coluccio Salutati fino allaScolastica del Rinascimento (basti pensareai Loci Theologici di Melchior Cano).La Aenigmatis cuiusdam bononiensis expli-catio è incentrata, come si è detto, sulla Pie-tra di Bologna2.L’enigmatica iscrizione (che menziona, se-

condo la trascrizione di Suzzi - il quale emen-da, con perizia filologica, l’inesistente «an-drogyna» dell'originale -, una misteriosa«Aelia Laelia Crispis, / nec vir, nec mulier,nec androginus», che «nec caelo, nec aquis,nec terris, sed ubique iacet», e il compagnodi costei, Lucius Agathio Priscus, «nec ma-ritus, nec amator») rappresenterebbe, perSuzzi, la fusione arcana, lo sposalizio misti-co, l'archetipico connubio di Nox (l’omericae virgiliana «nox nigra») e Sol, Notte e Sole- qualcosa di simile, insomma, al Logos diEraclito, che è insieme Giorno e Notte, lucee tenebre, o all’Essere di Parmenide, nel qualesi incontrano e si intrecciano, per poi dipar-tirsi, le vie della Notte e del Giorno, o, più davicino, alla coincidentia oppositorum, allafusione degli opposti nell’Unomnia, nel-l’Uno-Tutto, di cui parlava il platonismo ri-nascimentale, da Cusano a Giordano Brunoa Francesco Patrizi.Ma in Suzzi la filosofia, l’alchimia e la mi-stica si fondono con la retorica. SeguendoQuintiliano, l’autore definisce l’enigma come«obscurior allegoria» (Institutio oratoria,VIII, 6, 42), un «vitium», un difetto del-l’espressione o malattia del linguaggio di cuii poeti si sono però spesso proficuamenteserviti.L’enigma, come l’oracolo secondo Eraclito,non svela né nasconde, ma accenna, allude,addita in modo parziale, velato, misterioso,lasciando all’interprete un certo margine dilibertà e imponendogli, nel contempo, un tra-vaglio profondo ed acuto. Ed è significativoche Suzzi accosti alla definizione di Quinti-liano un passo di Agostino (De Trinitate, XV,15-16), in cui il concetto retorico di enigmaè accostato alla celebre espressione di SanPaolo («Videmus nunc per speculum in ae-nigmate»): per penetrare, o almeno cercaredi diradare un poco, i misteri profondissimidelle cose divine, si deve procedere esatta-mente come chi si accinga ad investigare unenigma il cui senso autentico potrà essere ri-velato appieno, distesamente , apertamente,«facie ad faciem», solo al di là della dimen-sione terrena, oltre la vita terrena e il tempocontingente, mentre per ora può essere inter-pretato solo in modo parziale e congetturale,ma nondimeno pregnante.Il Malvasia aveva visto, nell’iscrizione, il ri-ferimento ad un aborto, ad un nato-morto,ad un nato-non nato – dunque alla fusione,alla contaminazione inquietante di vita emorte, nascita ed annullamento, culla e se-polcro, corpo e disfacimento. Suzzi si spin-ge oltre, e dà, genialmente, l’interpretazionedell’enigma di Bologna che, sebbene igno-rata, pare forse, fra tutte, la più vasta, e insie-

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me la più profonda e più vera: l’Enigma al-luderebbe alla «coincidentia oppositorum»,all'unità degli opposti nell'Infinito e nell’Uno,teorizzata dalla filosofia ermetica e rinasci-mentale. Non per nulla, come esempio dienigma egli adduce anche quello dell'eunu-co, dell’«uomo-non uomo», menzionato nel-la Repubblica di Platone (479b).All’interpretazione della Pietra di BolognaSuzzi accosta quella dell’Aenigma Petri Ali-nei, un misterioso carme alchemico ed er-metico dovuto al medico ed occultista Na-than Aubigné de la Fosse, autore fra l'altrodella Bibliotheca Chemica. «Nath en ubiSal», questa l’enigmatica sigla che Nathanricavava dal suo nome di battesimo (fedeleall’antica credenza magica secondo cui «no-men omen», nel nome è scritto il destino, ela parola, la formula, il nome, il verbum, ilcarmen hanno un effettivo, quasi demiurgi-co potere sulla materia e sulla natura). Nath(in greco Noys, Aletheia, Theos, Intelletto, Ve-rità, Dio) sintetizzerebbe in sé diverse triadiconcettuali (Mens, Inventio, Deus, ma ancheCogitatio, Inventio, Positio). «Nath, eccodov'’è la sapienza». Come in Dante e nellateologia trinitaria, il pensiero e il discorso

procedono scanditi da una predeterminata enecessaria cadenza triadica.La verità è sintesi, coincidenza (o meglio,forse, dialettica, cangiante e problematicainterazione) di pensiero e linguaggio. Pur seattraverso il velame cabalistico della sua ster-minata erudizione tardo-seicentesca, Ardui-no veicola un pensiero profondo, e di unamodernità assoluta. In quest’ottica, Nath,come fusione e armonia di pensiero e linguag-gio, intelletto ed espressione, può essere an-che Filosofia e Sapienza. Quasi in anticiposu Vico, Suzzi ricuce qui la ferita fra realtà eparola, esperienza e linguaggio, pensiero edespressione, apertasi nella cultura occiden-tale almeno a partire dal Platone del Cratilo,e fattasi ancor più profonda con il nominali-smo medievale, e pare delineare i fondamenti,ancora frammentari, di una vera e propriaontologia del linguaggio, a un tempo poeti-co e magico.Attraverso l’alchemica unità degli opposti,la filosofia fonde vita contemplativa e vitaattiva, speculazione razionale e conoscenzadella natura. L’interprete deve essere egli stes-so una artista, un «artifex Magiae et Cabalaeperitus»: una sorta di versione magica, mi-stico-alchemica, dell’uomo «naturae ministeret interpres», signore ed interprete della na-tura, di cui parlava Bacone nel Novum Or-ganon.Artifex e faber, «miglior fabbro del parlarmaterno»: così, dantescamente, Suzzi si de-finisce nelle Origini Hebraiche (vero e pro-prio monumento di erudizione e di pensiero,a tutt’oggi inedito, e che certo meriterebbedi essere dato alle stampe, considerato il suointeresse non esclusivamente locale). L’er-meneutica, la riflessione, la filosofia stessasono anche arte, sintesi di indagine, rifles-sione, espressione, stile («arte critica», diràil Vico della Scienza Nuova). Ed è emblema-tico che Suzzi si richiami anche al Proemiodegli Elegantiarum Latinae Linguae libri diLorenzo Valla, in cui la lingua è vista comeprofondo fattore di cultura e di civiltà, comespecchio e tramite di conoscenza e di sapien-za, oltre e più che come elemento civile estorico.Ma l'autore cita anche, con immaginoso ac-costamento, il sedicesimo canto del Purga-torio. «Una parola in tutte era e un modo / sìche parea tra esse ogne concordia». Il Verbo,la Parola, il Linguaggio, pur se attraverso leloro disparate e labirintiche ramificazioni, laloro babelica e pullulante diversificazione,sembrano rimontare ad un’unica genesi, aduna prima e suprema unità, la quale coincidecon la parola Divina, e dunque con la linguaebraica, dalla quale (ed è questo il punto più

Ritratto di Arduino Suzzi(1659-1730): reca in mano laraffigurazione della cosiddet-ta patena di S. Pier Crisologo.(Imola, Pinacoteca Comunale)

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ardito, e oggi più discutibile, delle Origini)sarebbero derivati il Greco, il Latino e l’Ita-liano (tanto che gli Italiani sarebbero di fat-to, come i Tirii per Virgilio, «bilingui», tro-vandosi a parlare una lingua che deriva inparte dal latino - dato non ancora così scon-tato per l'epoca in cui Arduino scriveva -, inparte dall'ebraico - tesi, quest’ultima, ogginon più sostenibile, malgrado l’esistenza diun sostrato culturale giudeo-italiano e l'ere-dità dell'ebraico nel linguaggio religioso e li-turgico).Arduino vuole seguire, nella sua esposizio-ne, «l’ordine che la gran madre natura ci haproposto nelle cose», non quello artificiosodi retori, logici, grammatici, o la macchino-sa simbologia dell’ars memoriae praticata daRaimondo Lullo.Il suo sogno (del resto ricorrente nella cultu-ra occidentale: basti pensare a Leibniz, chenei Nouveaux Essais sur l’entendement hu-main, scorgendo la parentela fra il greco e illatino, proponeva cautamente di estenderlaal semitico, o alla logica e alla grammaticadi Port-Royal, o, prima ancora, ai «simpli-cissima signa» dei modisti medievali, che in-fluenzarono il Dante del De vulgari eloquen-tia) è quello di individuare i caratteri essen-ziali, gli elementi primi, le limpide linee diuna lingua naturale, perfettamente aderentealla realtà e al pensiero. L'ordine naturale è«insegnato dalle simboliche significazioni deinumeri»: dei numeri, si intende - e come Ar-duino chiarisce anche nelle controdeduzionirivolte agli Inquisitori e riportate nel mano-scritto della Comunale -, ideali, puri, arche-tipici, che si trovano nell’Iperuranio platoni-co, nella sfera incorporea e rarefatta delleidee, e che danno forma agli elementi e allecreature, plasmandoli e modellandoli secon-do il loro esempio trascendente e la loro me-tafisica impronta.Nella XXII Controdeduzione, Arduino si rifàal platonismo cristiano di Agostino, e in par-ticolare all’idea (enunciata nel sesto libro delDe musica) dei numeri spirituali ed eterni,espressione degli ideali modelli aritmetici egeometrici di cui la Mente Divina si sarebbeservita per dare forma alla materia oscura edinerte (già in Filone Alessandrino, le Ideeplatoniche, gli archetipi ideali erano, in so-stanza, i pensieri eterni, immateriali e subli-mi di Dio) - «numeri spiritales» di cui lamusica e l’armonia terrene, fossero esse ver-bali o strumentali, non potevano rendere cheun'ombra pallida, opaca, soggetta a corruzio-ne, per quanto ammaliante potesse risultare,e immersa nel fluire mutevole e accidentaledel Tempo, «immagine mobile dell'eternità».Prospettando, come avevano fatto, prima di

lui, Marsilio Ficino e Nicola Cusano, unadocta religio che conciliasse fede e filosofia,cristianesimo e platonismo, rivelazione e spe-culazione, Suzzi tentava, evidentemente in-vano, di rendere accetto agli occhi dell'In-quisizione (forse memore ancora della con-danna di Giordano Bruno) un pensiero ani-mato da fervore spirituale e insieme da pas-sione intellettuale e culturale, ma in cui leautorità potevano vedere l'insidia e la tenta-zione del panteismo e della credenza nell'Ani-ma del Mondo superiore alle anime indivi-duali, e tale da inghiottirle ed annullarle in sé- proiettandole ed avvolgendole, avrebbedetto Dante, fra gli «eterni giri» di un ordinee di un'armonia universali.Lo stesso vale per la concezione che Ardui-no aveva del linguaggio, il quale tentereb-be, dopo la frantumazione e la diaspora ba-beliche, di rimontare e risalire fino al Ver-bo, alla Parola originaria e pura (esemplifi-cata, come suggeriva la mistica di Dionigil’Areopagita, dai Nomi Divini, pregnanti,significativi, illuminanti, altamente simbo-lici, benché sempre parziali, umbratili, me-ramente allusivi a paragone dell'eccelsa edimmutabile perfezione dell’Essere che ten-tano di designare).Questa idea della monogenesi, della comu-ne origine delle lingue ricondotta all'aurora-le ascendenza ebraica e biblica si trovava giànella riflessione linguistica anteriore, da Guil-lame Postel (la cui opera De originibus seude Hebraicae linguae et gentis antiquitate,del 1538, rappresenta certo un antecedentesignificativo di quella di Suzzi) al Biblian-der al Giambullari, dallo Scaligero al Duretal Gesner all’Harmonie étymologique delGuichard (particolarmente significativa lateoria esposta dallo stesso Guichard nel Tré-sor de l’histoire des langues, secondo la qualeAdamo, nell'imporre i nomi alle cose, altronon avrebbe fatto che leggere le parole giàscritte nel libro muto del mondo, nell'immen-sa e silenziosa pagina della natura, preparan-do il terreno alla sacra lingua in cui avrebbe-ro trovato espressione la Parola e la Legge).Ma, in pari tempo, per via del tutto autono-ma Suzzi giunge, con intuizione geniale, aduna concezione simile a quella, presente nel-la Scienza Nuova del Vico, della lingua ori-ginaria come «lingua divina mentale» for-matasi nel chiuso del pensiero e dell’anima,nell’alba sacra delle età mute, per poi concre-tarsi in segni, suoni, parole - o alla visione pre-romantica di Humboldt, che ipotizzava unainnere Sprachform, una anteriore, profondamatrice, una sorta di forma a priori che sareb-be stata alla base di ogni creazione e di ogniespressione linguistica successivamente codi-

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ficata e storicizzata3.Basterebbero queste anticipazioni, per quan-to larvali, a fare di lui un autore degno di ri-scoperta e di rilettura.Certo la parte più impegnativa ed affascinantedell'opera, e che meriterebbe per prima diessere pubblicata e diffusa, è quella iniziale,che concerne, appunto, i Nomi di Dio.L’Aleph, prima lettera dell’alfabeto (alla qua-le Borges dedicherà un celebre racconto, fa-cendone, dantescamente, il «punto a cui tuttili tempi son presenti», l’«eterno presente» incui si fondono, si racchiudono, si comprimo-no ed implodono tutte le dimensioni dellaspazialità e della temporalità passate, presentie future, il Libro cosmico in cui sono raccol-te, fuse, «legate con amore», tutte le essenzedel reale e della creazione), è l’Uno dei neo-platonici, il «racchiudimento, o unione del-l'anima nell’etereo Senso» distinto dualisti-camente dal «terrestre corpo», insomma lafusione universale, l’immenso nodo del co-smo, la copula mundi, la suprema unio my-stica del Tutto.L’Aleph è l’Anima del Mondo, il Primo Prin-cipio (l’arché del Presocratici, già ripensatada Giordano Bruno); è Dio, «Nome ineffa-

bile di verità», Alpha ed Omega, Principio efine, genesi e distruzione, creazione e annien-tamento, origine e destino ultimo, comenell’Apocalisse; è Zeus-Dio, il dantesco«sommo Giove» per noi crocifisso.Tutti i nomi divini dell’ebraico, infaticabil-mente indagati dalla Cabala, si riconducono(come insegnavano il Talmud e il LiberZohar) al tetragramma JHWH. Qui l’autoresfodera tutta la sua non sempre controllata,in larga parte oggi non più condivisibile, maricchissima, immaginosa ed affascinante, eru-dizione linguistica: Dio è Iehohah ed Eloah,corrispondenti rispettivamente al greco the-os-Zeus (due appellativi che oggi sappiamoinvece derivare da due radici indoeuropeedifferenti, avendo «Zeus» la stessa base eti-mologica del latino deus e divinus) e al lati-no Iovis. Il greco Aion, eternità, è legato allatino aeternus e all'ebraico ahedah, hehe-dah (il cui digramma consonantico DH sem-bra presentare, in effetti, analogie indoeuro-pee, e dunque anche greco-latine, che andreb-bero forse indagate). Dio «ogni tempo in séliga, e contiene», come suggerirebbe anchel’ebraico hanad, legare.Il Destino, il Fato (bashert nell’ebraico mo-derno, pathash o pathah nella traslitterazio-ne usata da Arduino) sarebbero legati, comeil greco heimarmene, all’idea di dividere, as-segnare, attribuire, distribuire. Suzzi, distac-candosi dall’etimologia stoica che vedevanell’heimarmene una inflessibile ed immu-tabile successione e concatenazione di causeed effetti, si avvicina alla moderna spiega-zione etimologica del fato greco come partead ognuno assegnata nella sua vicenda terre-na. Il Fato è «divisum ac distributum, perpartes administratum». E la convinzione delvalore rivelatore e sapienziale, non puramenteestetico, del testo poetico spinge Suzzi a ci-tare Petrarca, e per l’esattezza il primo capi-tolo del Trionfo della morte: «Beato è ben,chi nasce a tal destino», e, fatto ancora piùsignificativo, il sonetto CI («So come i dì,come i momenti et l’ore, / ne portan gli anni;et non ricevo inganno, / ma forza assai mag-gior che d’arti maghe»), dove non potrebbeessere detta meglio la fuga fatale del tempoverso l’orizzonte nebuloso dell’annientamen-to, e l'amara sapienza che ne scaturisce.Lo stesso pensiero, la stessa riflessione diSuzzi devono infine arrestarsi davanti allesoglie del mistero, alle tenebre dell'ineffabi-le, alla cortina ostinata ed impenetrabile dibrume che avvolge la sommità dell’origineprima. Dal De divinis nominibus di Dionigil’Aeropagita (caro a San Bonaventura comea Dante), egli aveva appreso che l’essentiasuperessentialis, l’altezza inarrivabile, la «lu-

La sacra Patena di S. Pier Cri-sologo, conservata nel Duomodi S. Cassiano a Imola.

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minosissima tenebra», abbagliante ed anni-chilente, del Divino, si sottraggono infine aqualsiasi speculazione, a qualsiasi linguag-gio umani, per quanto tesi al sublime e alprofondo. «A l'alta fantasia qui mancò pos-sa». Come Edipo, altro ostinato e sottilissi-mo solutore di enigmi, anche Suzzi si soffer-ma davanti all’enigma ultimo, al mysteriumtremendum che tutto trascina verso il nulla eil silenzio, e ne resta confuso e smarrito.

NOTE

1 Decisamente sparuta la bibliografia che lo riguarda. Cfr. comunque Istoria letteraria della città di Imola scrittada Francesco Maria Mancurti l'anno MDCCXLI, a cura di D. Baroncini, A. Castronuovo e L. Berti Ceroni, LaMandragora, Imola 2006, pp. 355-356; C.Q. VIVOLI, Arduino Suzzi, «Imola e Val di Santerno», IX, 1977, pp.231 sgg.; S. SUZZI, L’opera di Arduino Suzzi da Castel del Rio, Galeati, Imola 1979; A. MAMBELLI, La culturain Romagna nella prima metà del settecento, Longo, Ravenna 1971.2 Su cui si veda il ricco volume miscellaneo Aelia Laelia. Il mistero della pietra di Bologna, a cura di N. Muschi-tiello, Il Mulino, Bologna 2000.3 Per tutti questi problemi mi limito a citare, a scopo puramente orientativo, G. MOUNIN, Storia della linguistica,Feltrinelli, Milano 1968, pp. 111 sgg., 124 sgg., 172 sgg.; M. FOUCAULT, Le parole e le cose, Rizzoli, ivi 1966,pp. 50 sgg. e 105 sgg.; E. BENVENISTE, Problemi di linguistica generale, Il Saggiatore, ivi 1994, pp. 120 sgg.;il dottissimo ed illuminante lavoro di Tonino Griffero, I sensi di Adamo. Appunti estetico-teosofici sulla corporei-tà spirituale, www.labont.com/public/papers/griffero/I_sensi_di_Adamo.pdf; Storia della linguistica, a cura diG.C. Lepschy, vol. II, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 238 sgg.; V. Eco, La ricerca della lingua perfetta nella culturaeuropea, Laterza, Bari 2002.

È emblematico, allora, e assurdamente coe-rente, pur nella sua iniquità, il fatto che primai rigori e le amarezze della censura ecclesia-stica, poi la morte gli impedissero di portare acompimento la sua opera, e che la successiva,pigra incomprensione dei posteri negasse an-che postumamente (per quanto ancora?) allesue pagine, di una profondità abissale e di unaerudizione sconfinata, la luce vivificante del-la stampa e dell’interpretazione.