il sistema produttivo italiano

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1 SINTESI di: “IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO” di S. Conti e F. Sforzi 1. I fatti e le loro rappresentazioni. Nell’Italia del “miracolo economico” (anni ’50-’60): il paradigma economico dominante era centrato sulle economie di scala interne all’impresa solo in impianti di grande dimensione si possono ottenere un buon livello tecnologico e un’organizzazione efficiente della produzione : altre forme di organizzazione della produzione e altri luoghi (dove queste si realizzano) non possono, né potranno mai, concorrere alla spiegazione dello sviluppo economico, secondo questo schema di ragionamento vi è un unico criterio generale e totalizzante: lo sviluppo (e la modernità) può avvenire solo tramite la grande impresa di stampo “fordista” (omogeneizzazione). Non viene affatto tenuta in considerazione, in questo schema interpretativo, la dimensione territoriale locale (l’eterogeneità, una delle caratteristiche fondamentali della realtà italiana) luoghi: dimensione secondaria dell’analisi economica; differenziazioni spazio temporali dello sviluppo: catalogate come “varianti locali” o “ritardi di sviluppo”. Luoghi dove lo sviluppo si era solidamente stabilito = componente positiva; luoghi rimasti arretrati/ non sviluppati = componente negativa. La realtà italiana, in questi anni, viene analizzata secondo questo modello, secondo questo criterio astratto, generale e totalizzante quella era l’unica via allo sviluppo. La rappresentazione geografica dello sviluppo italiano di questo periodo fu, nel rispetto di questo modello, il DUALISMO TERRITORIALE NORD-SUD triangolo industriale (regioni Italia nord-occidentale), dove si localizzavano i settori dinamici, contrapposto al Mezzogiorno (regioni Italia centro-meridionale e isole), dove c’erano i settori stagnanti. Anni ’70 alcuni fatti storici (tra cui la crisi petrolifera, che ha inizio nel ’73) provocano instabilità economica a livello internazionale il sistema di produzione FORDISTA (che aveva caratterizzato i 20 anni precedenti di sviluppo intenso) era entrato in crisi In Italia mentre le grandi imprese di stampo fordista (produzione in scala, prodotti di massa) entrano in crisi (perdita posti di lavoro), quelle piccole e medie, collocate soprattutto nelle regioni centrali e nord- orientali, dimostrano di avere un dinamismo industriale anche maggiore delle regioni nord-occidentali spostamento dell’industrializzazione da ovest a est e verso il centro del Paese, oltre che lungo la direttrice adriatica.

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riassunto di uno dei capitoli del testo di Pasquale Coppola

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SINTESI di: IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO di S. Conti e F. Sforzi1. I fatti e le loro rappresentazioni.

NellItalia del miracolo economico (anni 50-60): il paradigma economico dominante era centrato sulle economie di scala interne allimpresa ( solo in impianti di grande dimensione si possono ottenere un buon livello tecnologico e unorganizzazione efficiente della produzione: altre forme di organizzazione della produzione e altri luoghi (dove queste si realizzano) non possono, n potranno mai, concorrere alla spiegazione dello sviluppo economico, secondo questo schema di ragionamento ( vi un unico criterio generale e totalizzante: lo sviluppo (e la modernit) pu avvenire solo tramite la grande impresa di stampo fordista (omogeneizzazione).Non viene affatto tenuta in considerazione, in questo schema interpretativo, la dimensione territoriale locale (leterogeneit, una delle caratteristiche fondamentali della realt italiana) ( luoghi: dimensione secondaria dellanalisi economica; differenziazioni spazio temporali dello sviluppo: catalogate come varianti locali o ritardi di sviluppo. Luoghi dove lo sviluppo si era solidamente stabilito = componente positiva; luoghi rimasti arretrati/ non sviluppati = componente negativa.La realt italiana, in questi anni, viene analizzata secondo questo modello, secondo questo criterio astratto, generale e totalizzante ( quella era lunica via allo sviluppo.

La rappresentazione geografica dello sviluppo italiano di questo periodo fu, nel rispetto di questo modello, il DUALISMO TERRITORIALE NORD-SUD ( triangolo industriale (regioni Italia nord-occidentale), dove si localizzavano i settori dinamici, contrapposto al Mezzogiorno (regioni Italia centro-meridionale e isole), dove cerano i settori stagnanti. Anni 70 ( alcuni fatti storici (tra cui la crisi petrolifera, che ha inizio nel 73) provocano instabilit economica a livello internazionale ( il sistema di produzione FORDISTA (che aveva caratterizzato i 20 anni precedenti di sviluppo intenso) era entrato in crisiIn Italia ( mentre le grandi imprese di stampo fordista (produzione in scala, prodotti di massa) entrano in crisi (perdita posti di lavoro), quelle piccole e medie, collocate soprattutto nelle regioni centrali e nord-orientali, dimostrano di avere un dinamismo industriale anche maggiore delle regioni nord-occidentali ( spostamento dellindustrializzazione da ovest a est e verso il centro del Paese, oltre che lungo la direttrice adriatica.2 LINEE GENERALI DI INTERPRETAZIONE del cambiamento industriale:

1. La proliferazione delle piccole imprese vista come il risultato di processi di decentramento produttivo da parte delle grandi imprese nei propri dintorni, oppure come lesito di processi di diffusione industriale a lunga distanza.2. La crescita quantitativa delle piccole imprese mostra un differente modello di sviluppo (rispetto a quello sopracitato), le cui origini devono essere ricercate negli stessi luoghi da esso contrassegnati.

Di fatto, la proliferazione di piccole imprese era una via alternativa alla strategia classica di sviluppo industriale capitalistico ( questa seconda via realizzava uno sviluppo senza integrazione verticale, ed era esplicitamente favorita dal cambiamento nella domanda mondiale di beni di consumo durevoli: non pi solo prodotti di massa, sostanzialmente omogenei (standardizzati) e con ampio mercato di sbocco, ma beni a domanda frammentata (condizionata da fattori storico-culturali ( mercati diversi richiedono prodotti diversi) e variabile (lalternarsi delle stagioni richiede una rotazione dei modelli) ( il c.d. made in Italy.La rappresentazione geografica dello sviluppo italiano sub una trasformazione ( dal dualismo territoriale al MODELLO DELLE TRE ITALIE: prima Italia ( c.d. Triangolo industriale; seconda Italia ( il Mezzogiorno; terza Italia ( la nuova formazione sociale corrispondente allinsieme delle regioni centro-nord-orientali.

Tuttavia, solo negli anni 80 ( cambiamento nel quadro interpretativo del funzionamento delleconomia italiana: le analisi sul cambiamento industriale si spostarono dalla scala nazionale alla scala regionale o locale.

Negli anni 80 si afferma un nuovo schema teorico, quello del DISTRETTO INDUSTRIALE, che considera la dimensione locale una delle componenti fondative dello sviluppo.

2. Le differenziazioni territoriali dello sviluppo.

Studi di matrice geografica sullindustrializzazione in Italia degli anni 50 mostrano una situazione territoriale diversificata: Occupazione industriale: livelli pi elevati ( Italia nord-occidentale; livello medio dindustrializzazione ( andando da ovest verso est (Lombardia orientale, Trentino-Alto Adige e parte Veneto occidentale); industrializzazione scarsa ( restante nord-est, versante adriatico e zona centrale della penisola; livello medio industrializzazione ( anche Italia centrale lungo direttrice tirrenica; industrializzazione modesta ( resto del centro Italia; livello minimo dindustrializzazione ( pi o meno uniforme nellItalia meridionale e insulare.

Individuazione dei tipi economici delle province italiane = analisi dove il profilo industriale delle diverse parti dItalia era integrato dal riferimento alloccupazione in agricoltura e nei servizi (Nice: 8 grandi tipi economici di province, divisi in 3 gruppi: 1. Tipo agricolo pi e quello meno accentuato; 2. Tipo vicino alla media nazionale in tutti i settori, quello con leggera prevalenza delle funzioni industriali e quello a leggera prevalenza di quelle terziarie; 3. Tipo evoluto medio, dove agricoltura assorbe meno di un terzo di popolazione attiva, quello prevalentemente industriale e quello prevalentemente terziario) ( tipi economici prevalentemente terziari localizzati soprattutto lungo il corridoio tirrenicoAncora negli anni 50 ( industrializzazione italiana si mostrava come un fenomeno localizzato nel nord-ovest, e che si svolgeva lungo la direttrice tirrenica, legato alla grande industria (secondo linee di sviluppo gi sperimentate tra le 2 guerre) Milone, con la sua analisi, offre una rappresentazione dello sviluppo industriale tra le 2 guerre ( in realt qui emerge chiaramente leterogeneit e la complessit dei processi di localizzazione industriale. Le sue osservazioni:

LItalia era un Paese in media poco industriale (numero di addetti nel settore industriale di 129 ogni 1000 abitanti) ma: media molto pi alta nel nord-ovest, media pi bassa/ molto pi bassa in alcune zone del centro, nel Mezzogiorno e nelle isole, valori attorno alla media nel nord-est e lungo la direttrice tirrenica Si distinguono: una zona di maggiore industrialit ( Lombardia, Piemonte e Liguria; una zona di meno intensa industrialit ( Venezia-Giulia, Veneto e Toscana; zone prevalentemente agricole ( altre parti dItalia

Tra 1951 e 1961 ( cambiamento industriale che vede ai primi posti nellincremento di occupazione le province dellItalia centro-nord-orientale, dellEmilia, della Toscana, del Veneto ( livelli dindustrializzazione massimi erano sempre nel nord-ovest, ma iniziarono ad emergere altre aree industrializzate (di livello medio dindustrializzazione). Nel Mezzogiorno si manifestarono nuovi processi di industrializzazione, anche se a un ritmo decisamente pi lento e di entit modesta.

Dunque, di fatto, guardando ala geografia dellindustrializzazione italiana, si potevano riconoscere pi Italie ( se a una visione generale prevaleva la differenza di livello dindustrializzazione tra il Centro-Nord e il Centro-Sud, ad un analisi pi dettagliata si riconosceva, allinterno delle due formazioni territoriali, una VARIET di situazioni e dinamismi che suggeriva di SALVAGUARDARE piuttosto che SEMPLIFICARE queste differenze.

Muscar fu il primo a parlare di Tre Italie ( queste tre Italie furono usate per illustrare le trasformazioni industriali dellItalia tra il 51 e il 61: lesame delle loro differenze consent di denunciare la diversit di meccanismo di sviluppo esistente tra SUD e NORD:

NORD: sostenuto da robusto apparato industriale che tende allespansione, grazie allincremento della domanda di beni di consumo dal mercato interno e internazionale (alimentando cos flussi di esportazione)

SUD: la domanda di beni di consumo non pu avere gli stessi effetti positivi che ha al nord, perch al sud manca quel meccanismo autonomo di sviluppo, che invece il nord possiede ( quindi serve intervento pubblico dello Stato ( ma le iniziative industriali promosse dallo Stato non sono state in grado di innestarsi-integrarsi nelleconomia locale, ma cre un industrializzazione polarizzata, i cui poli si rivelarono estranei al tessuto sociale e produttivo ITALIA DI MEZZO (terza Italia): le realt locali, parte di questarea, furono direttamente investite dal processo di espansione delleconomia nazionale e se ne avvantaggiarono sviluppando un proprio settore manifatturiero ( lincremento nazionale delloccupazione nelle industrie agricolo-manifatturiere (industrie leggere: vestiario, calzature, mobilio, alimentari, ecc.) dovuto a un forte incremento in questa zona ( queste industrie, a forte impiego di manodopera e basso impiego di capitale, hanno potuto mettere a profitto notevoli risorse di lavoro e di spazio localiItalia di mezzo ( vista come limmediata periferia economica del nord-ovest ( lo sviluppo di questarea in qualche modo avvenuto grazie alla vicinanza con la c.d. prima Italia

3. Linterpretazione dualistica

3.1. Una storia industriale

Riassumendo: 1) rappresentazione dellindustrializzazione italiana nel dopoguerra proposta dai geografi mostra lesistenza di tre Italie; 2) nello stesso periodo si va affermando linterpretazione DUALISTICA dello sviluppo italiano, sostenuta e diffusa dagli economisti ( questa quella che convince.

vero che cerano differenze tra il Mezzogiorno (prevalentemente agricolo) e il resto del Paese (prevalentemente industriale); anche vero che il c.d. dualismo territoriale non era il risultato di un analisi delle condizioni socio-economiche locali che caratterizzavano le regioni meridionali (livello micro), ma veniva dedotto dallanalisi di modelli macroeconomici focalizzati sul dinamismo produttivo (settori dinamici e settori stagnanti ( salari e crescita o meno di esportazioni, prodotto, produttivit) e sul dualismo nel mercato del lavoro (occupati nella grande o nella piccola impresa)

Andamento degli investimenti nellItalia meridionale ( anni 50 e primi anni 60: Quando gli investimenti nellItalia nord-occidentale si espandevano, accrescevano gli investimenti anche nel Mezzogiorno, viceversa, quando gli investimenti si contraevano al nord-ovest, si contraevano di conseguenza anche al sud.Anni 1963-1969: crisi del capitalismo italiano ( risposta alla crisi viene trovata nella razionalizzazione (ovvero pianificazione) del sistema produttivo. In questo periodo si punta sulla ristrutturazione dellapparato produttivo: gli investimenti si concentrano/si sviluppano nella direzione del CONSOLIDAMENTO dellesistente, sia dal punto di vista settoriale che territoriale (perch pi sicuro investire in questo, che in qualcosa di completamente nuovo ( crebbero investimenti in macchinari e attrezzature, diminuirono invece in opere pubbliche e costruzioni). Leffetto del consolidamento della struttura produttiva e dellammodernamento gestionale fu lulteriore rafforzamento dellindustria settentrionale ( nord diviene sempre pi il centro delle produzioni tradizionali e destinate allesportazione; sud avvia un processo di deindustrializzazione, perch la piccola imprenditoria indipendente non pu nulla di fronte alla produzione settentrionale.Fino al 1967 ( investimenti nel Mezzogiorno avvengono di fatto grazie allintervento dello Stato (tramite Partecipazioni statali), sulla base di una precisa strategia di alleanze tra industria privata e, appunto, Stato ( lo Stato cerca di contenere gli investimenti, diminuendo in percentuale la quota delle Partecipazioni statali, perch vuole evitare la concorrenza con le imprese private e vuole far digerire meglio la nazionalizzazione dellindustria elettrica ( il Mezzogiorno maggiormente penalizzato da questa strategia.Anni 60: periodo di conflitti sociali ( a partire dai rinnovi contrattuali del 1969 si apr una fase di accumulazione di capitale che invest in maniera importante il Mezzogiorno ( la strategia attuata per era finalizzata pi che altro al recupero degli equilibri che la conflittualit sociale aveva messo in discussione (capitalismo nazionale punta sulla creazione di uneconomia del neo-dualismo, non interessa progettare e mettere in atto una genuina politica pro-Mezzogiorno!) ( il capitale industriale italiano viene di fatto meridionalizzato attraverso la messa in opera di massicci blocchi di investimenti in quei settori a elevata intensit di capitale (le industrie pesanti), in cui il ruolo delle Partecipazioni statali fu sempre dominante. proprio dal 1969, infatti, che si inizia a parlare di DECENTRAMENTO MERIDIONALE (delle grandi industrie settentrionali).Dopo il 1969 ( si pu interpretare la dinamica dellindustria italiana tenendo presente 3 elementi diversi, ma collegati tra loro:

1) Dalla crisi del 63 le strategie di industrializzazione della grande e della piccola impresa (dei settori moderni e di quelli tradizionali) iniziarono a convergere ( il lavoro inizi a uscire dalla grande fabbrica e a coinvolgere strati sempre pi vasti della societ e sempre pi numerose localit del territorio ( in particolare larea pi coinvolta risult quella centro-nord-orientale (grazie allespansione del lavoro a domicilio e alla proliferazione delle piccole/ piccolissime imprese). Inizio anni 70: elevati flussi di investimenti destinati al Mezzogiorno, secondo la logica del decentramento di lungo raggio di una grossa fetta dellindustria italiana di base (per cercare di ridurre il costo del lavoro-??-).2) Smembramento delle grandi concentrazioni produttive del nord ( lo sviluppo del nord era arrivato al limite, questarea aveva raggiunto la saturazione (crescente urbanizzazione, costi del suolo e della manodopera sempre pi elevati, ecc.) ( esplosione dei conflitti sociali (che avevano solo come una delle cause le rivendicazioni di tipo salariale). per questo che si inizia a trasferire al sud gli impianti a intensit di capitale relativamente elevata (industria siderurgica e dellautomobile): ora le aziende fanno investimenti industriali in maniera diretta (senza la spinta delle Partecipazioni statali, perch alla situazione attuale conviene loro!), e lo Stato partecipa solo con sussidi particolari, ma lo scopo di questi investimenti delle industrie del nord (tenendo conto della situazione particolare descritta sopra) di fare gli interessi del nord, e non del sud, o addirittura, in generale, gli interessi della nazione.3) Se si analizzano i flussi di investimento da parte delle imprese pubbliche e semi-pubbliche verso il Mezzogiorno, si pu notare che siano investimenti mirati (in certi settori e in certi luoghi), e non distribuiti ( strategia di sviluppo precisa: si investiva in quei settori (industria pesante) nei quali era possibile crearsi un ruolo sul piano nazionale e in quelle regioni (di nuova industrializzazione) che potevano accogliere una struttura produttiva di questo tipo.3.2. Politiche di riequilibrio territoriale

Esigenza dellintervento straordinario nel Mezzogiorno era condivisa da tutti in quel periodo ( lo sviluppo si identificava con quell UNICO MODELLO DI CRESCITA che si era rivelato vincente nelle aree pi industrializzate del Paese ( il divario tra le regioni pi arretrate e quelle pi sviluppate si poteva colmare soltanto con misure volte ad ESTENDERE verso le regioni sottosviluppate le strutture produttive avanzate gi operanti nelle regioni industrializzate.

Cos, di fronte al divario nord-sud del Paese, nel secondo dopoguerra tutte le forze politiche erano daccordo nel sostenere che lo Stato avrebbe dovuto predisporre quei fattori di agglomeramento che poi avrebbero favorito flussi di capitale privato nel Mezzogiorno ( di fatto, fino al 1957 (anno dinizio della politica dindustrializzazione del Mezzogiorno), lo Stato si adoper per coinvolgere il sud nel processo di sviluppo che si stava realizzando altrove in Italia (integrazione del Mezzogiorno serviva al nord, in quanto questarea era serbatoio di manodopera, poteva assorbire una fetta sempre pi grande di produzione, senza che entri, per in concorrenza con le imprese localizzate al nord). A queste esigenze rispondevano tutte le misure adottate in quegli anni a favore del sud: Riforma agraria (volta a colpire le grandi propriet di latifondo ( espropriazione e redistribuzione delle terre per aumentarne la produttivit. Risultati modesti, perch terra troppo frazionata, e questa riforma non fu seguita da politiche economico-sociali per ridurre la disoccupazione nelle campagne)

Istituzione della Cassa per il Mezzogiorno

Grandi opere pubbliche e infrastrutturazioni

1957-1959 ( serie di misure legislative inaugurano la c.d. POLITICA DINDUSTRIALIZZAZIONE del Mezzogiorno, misure che sortirono una serie di effetti:

a) Rifinanziamento e proroga dellattivit della Cassa per il Mezzogiorno

b) Scelta definitiva degli incentivi finanziari per convogliare a Sud gli investimenti industriali

c) Dato alle Partecipazioni statali ruolo di guidare (con una grossa quota dei propri investimenti nazionali) il processo dindustrializzazione

d) Strategia di politica regionale particolare, basata sulla costruzione di alcuni grandi complessi manifatturieri - produzione di base (polarizzazione degli interventi industriali) ( cos il Mezzogiorno diventa depositario di una fetta importante del sistema produttivo nazionale.

La conseguenza di questa politica dindustrializzazione fu che lindustria meridionale assunse una fisionomia a 2 facce: 1) una parte consistente dei finanziamenti fin nelle mani di pochi grandi monopoli privati, ma soprattutto pubblici, che localizzarono nel Mezzogiorno un numero limitato di impianti di grandi dimensioni (questa lossatura del sistema produttivo meridionale); 2) la restante (piccola) parte dei finanziamenti erogati si disperse fra una miriade di imprese ( questo port a una generale inefficienza delle industrie del Sud, testimoniata dal fatto che la produttivit del lavoro qui non crebbe come avrebbe dovuto (in proporzione al capitale impiegato), proprio a causa del fatto che il meccanismo di sviluppo innescato non era n autonomo n autopropulsivo.3.3. Centri e periferie nel capitalismo organizzato

In questo secolo, il modo di intendere la societ e la sua organizzazione si ispira a schemi di matrice FUNZIONALISTICA ( si basano sullidea secondo cui un sistema (societ, economia nazionale) riproduce, evolvendosi, una propria continuit funzionale, intesa come realizzazione di fini collettivi ( qui trovano in loro fondamento strategie e politiche volte alla correzione delle modalit di funzionamento della societ moderna ( i cui pilastri sono: efficienza dello Stato, efficienza della grande impresa ford-tayloristica, attivit di pianificazione e programmazione economica) ( il sistema economico (ovvero il CAPITALISMO ORGANIZZATO) richiede, per evolvere, un ordine i cui vincoli e funzioni siano chiaramente individuabili e programmabili, e allo stesso tempo richiede che possano venire eliminati i fattori che creano disturbo a questo ordine.Secondo questo modo di pensare, dunque, non viene tenuto conto del fatto che la societ (e la sua organizzazione) sia storicamente e geograficamente differenziata, e possa quindi esprimere forme di autonomia politica e socio-culturale ( lo spazio e la societ (locale e nazionale) sono in relazione di complementariet tra loro (si integrano tra loro formando un tutto coerente e coeso) => lo Stato nazionale un tuttuno la cui strutturazione si basa sul complesso gioco delle interdipendenze funzionali tra le sue parti complementari (centro e periferia, nord e sud, ecc.)In questa prospettiva, le economie locali sono viste come sistemi aperti, soggetti allinfluenza del mondo esterno, per cui la crescita economica locale verrebbe determinata dallazione di forze e funzioni di derivazione esogena ( giusto, dunque, che dallesterno si intervenga affinch tali economie locali si sviluppino, diventino moderne ( applicando quel modello di sviluppo che si dimostrato vincente/ migliore in altre aree del Paese)Spiccata contrapposizione tra uneconomia centrale, moderna e dinamica (capitalistica, industriale, altamente urbanizzata) e uneconomia marginale, tradizionale e stagnante (precapitalistica, agricola, rurale). ( la modernizzazione delleconomia pu avvenire solo se i 2 o pi sottoinsiemi interagiscono, in un processo evolutivo sostanzialmente deterministico dove il sistema moderno ha il ruolo di trasformare strutturalmente quello tradizionale (la societ tradizionale viene considerata sottosviluppata, ovvero incapace di vitalit propria ( incapace di svilupparsi autonomamente, pu svilupparsi SOLO in virt dellintervento di forze esterne).La pratica concreta dei primi decenni del dopoguerra proprio ispirata (nel rispetto di questo modo di pensare) allidea della DIFFUSIONE, nelle regioni del Mezzogiorno, del modello considerato allora vincente, fondato sulla grande dimensione dimpresa, la crescita metropolitana, la formazione di solide economie interne di scala ( costruita una POLITICA REGIONALE RAZIONALISTICA, volta ad applicare alle diverse realt il modello astratto dellimpresa e dei sistemi gerarchicamente organizzati, da parte di uno Stato attivatore di unimprobabile mobilit dei fattori di produzione.Questo modo di concepire lItalia e la sua economia ebbe importanti implicazioni politico-sociali:

La vecchia borghesia di origine agraria nel Mezzogiorno venne sostituita con una nuova classe parassitaria urbana, legata al potere statale e in grado di gestire il flusso crescente di risorse finanziarie che venivano trasferite al sud ( per poter attuare interventi nel Mezzogiorno, lo Stato ha bisogno di avere in quellarea il controllo politico: ecco spiegato perch ha bisogno di coinvolgere direttamente la classe politica meridionale (diviene una risorsa elettorale decisiva).

Di fatto lindustrializzazione del Mezzogiorno unindustrializzazione DIPENDENTE, e non autonoma ( il rafforzamento della sua dipendenza politica ridusse in modo sostanzioso la possibilit di attivare un processo di sviluppo economico autonomo (il quale si sarebbe dovuto fondare invece su unaccumulazione locale di risparmio, su un ambiente culturalmente e socialmente favorevole, sul radicamento di una cultura imprenditoriale). ( la dipendenza politica origine e conseguenza, dunque, della dipendenza economica (circolo vizioso).Ancora negli anni 70 il Mezzogiorno si presenta dipendente economicamente, ma la spesa pubblica aveva raggiunto lobiettivo di elevare il reddito ( interventi, per, per lo pi di carattere assistenziale (solo al quarto posto si collocavano le spese per gli investimenti!)

( di fatto limportanza della spesa pubblica nel sostegno dei livelli di reddito e occupazione (soprattutto dopo che viene meno lindustrializzazione pubblica e semi-pubblica) ha la capacit di rendere, in qualche modo, omogenea questarea dal punto di vista della gestione del potere economico e politico: la borghesia amministrativa diventa la classe dirigente meridionale, il nuovo blocco sociale dominante, in quanto le viene assegnato il compito di controllare le classi popolari, tramite la gestione della spesa pubblica (funge un po da mediatrice, sta nel mezzo)Questo processo, che si era consolidato gi a fine anni 60, subir una rapida accelerazione in seguito a 2 fatti fondamentali:

a. La meridionalizzazione dellindustria di Stato (e quindi il ruolo determinate delle Partecipazioni statali nelle trasformazioni economiche e produttive del meridione)

b. Il ruolo crescente della spesa pubblica nella formazione del reddito (apparato burocratico-amministrativo fu gestore e beneficiario diretto di questo flusso di risorse)

4. Lo sviluppo multiregionale

4.1. La scoperta della piccola e media impresa

1973: spartiacque temporale per leconomia italiana (e mondiale) ( crisi del sistema di produzione fordista-taylorista (che aveva dominato nei 2 precedenti decenni di intenso sviluppo): spazzate vie le certezze sul ruolo progressivo delle economie interne di scala nel processo produttivo (identificando nella grande impresa la sola soluzione efficiente allorganizzazione della produzione e nellindustria pesante la sola tecnologicamente avanzata, mentre la piccola impresa veniva relegata a retaggio del passato, a residuo pre-capitalistico) ( inizia ad essere riconosciuto il contributo della piccola e media impresa allo sviluppo industriale italiano (piccola e media impresa non marginale, ma protagonista!)In Italia si inizi a prestare una rinnovata attenzione al ruolo della piccola e media impresa nelleconomia nazionale ( se ne cap limportanza, in particolare guardando ad alcuni elementi:

Nel periodo 1951-1971 lincremento delloccupazione industriale si era concentrato per oltre nelle unit con meno di 100 addetti

Lespansione industriale degli anni 60 ( entrano a far parte delle aree pi industrializzate del Paese regioni come Toscana, Veneto, Emilia-Romagna, ovvero aree dominate da unit produttive di piccola e media dimensione

Per quanto riguarda le classi dindustria, le piccole e medie imprese sono soprattutto industrie del legno, del mobilio, del vestiario, delle calzature, tessili e alimentari (oltre che di macchine utensili, della carpenteria metallica, della ceramica e del vetro)Se si guarda alla configurazione geografica dello sviluppo industriale italiano nel 71 ( lintera Italia centro-settentrionale condivideva livelli di industrializzazione medio-alti (i livelli massimi dindustrializzazione non erano pi una prerogativa della Padania occidentale!); anche il centro-sud aveva sperimentato processi dindustrializzazione, per quanto contraddittori (cerano realt locali che progredivano, altre che perdevano terreno): dunque neppure il Mezzogiorno ristagnava, n poteva essere considerato una realt indifferenziata.La scoperta della piccola impresa quale soggetto attivo del meccanismo di accumulazione rappresent, quindi, una fondamentale svolta: ci si accorse che la piccola impresa non era uneccezione/ anomalia della realt economica e sociale, ma una presenza concreta, un aspetto fondativo del modo in cui una societ si organizza e produce ( revisione soprattutto nel pensiero economico: la variet e le differenze (tra imprese, tra regioni, ecc.) sono viste quali condizioni costitutive del processo economico.

Allinizio, non si abbandona completamente il modello precedente ( si tenta di spiegare questi fenomeni (industrializzazione/sviluppo aree caratterizzate prevalentemente dalla presenza della piccola impresa) facendo ricorso alla tesi sulla ristrutturazione e sul DECENTRAMENTO PRODUTTIVO ( laumento di importanza relativa della piccola impresa (in termini occupazionali), quando quella grande continuava a espandersi, venne visto come un processo verso forme di ristrutturazione di un apparato produttivo che era cresciuto troppo velocemente e in maniera disordinata, seguendo la strategia classica dello sviluppo industriale ( non si nega, dunque, quellunica via allo sviluppo vincente: il fenomeno, infatti perfettamente inquadrabile nel tipico processo di crescita di un sistema industriale moderno che, da un certo punto in avanti, genera iniziative di redistribuzione geografica delle unit produttive, dalle regioni centrali alle regioni periferiche, per sottrarsi alle diseconomie di agglomerazione, e cos coinvolgere nuove regioni. (rapporto di dominio/ subordinazione fra grande e piccola impresa)

[ In sintesi, alcuni segmenti della produzione vengono trasferiti altrove ( tutto ci che non pu pi essere svolto nella grande impresa del centro, dal momento che questo arrivato al punto di saturazione, viene spostato nelle piccole imprese periferiche ( dunque esse sono dipendenti dal centro, o comunque impegnate in produzioni residuali o interstiziali ( con questa interpretazione, viene negato in qualche modo il meccanismo autonomo che ha portato allo sviluppo industriale questarea dellItalia).]La VISIONE DELLUNIVERSO PERIFERICO parziale, ha dei limiti: il decentramento ricondotto allagente dominante (grande impresa, che resta il centro/ motore di tutto) in un rapporto di causa-effetto, e al sistema periferico non viene assegnata alcuna autonomia problematica ( invece la piccola impresa non una realt morfologicamente omogenea, ma possiede unarticolazione funzionale e tipologica.Alcuni studiosi avanzarono uninterpretazione differente delle trasformazioni in atto nella struttura industriale, sulla base di alcune osservazioni:

Una buona parte di piccole e medie imprese possedeva propri mercati autonomi (sia nazionali che internazionali)

Molte di queste imprese seguivano una logica localizzativa significativamente diversa dal passato: pi che le regioni del nord-ovest, preferivano localizzarsi in altre aree (citt piccole-medie dellItalia centrale e nord-orientale)

In quelle aree, le piccole e medie imprese crescevano e si riproducevano attraverso meccanismi di diversificazione e specializzazione (perseguivano strategie di non integrazione verticale)Questa SECONDA VIA ALLINDUSTRIALIZZAZIONE non riguardava, per, tutti i settori ( le sue possibilit di realizzazione dipendevano dalla presenza congiunta di 2 condizioni:

I) Processo produttivo deve essere costituito da fasi separabili fra loro

II) La domanda di beni fosse differenziata e variabile nel tempo

Lindustrializzazione italiana in quegli anni si prestava effettivamente a una nuova interpretazione (era evidente linadeguatezza dei modelli dualistici a spiegare questa variet di situazioni e di percorsi di sviluppo) ( proposto MODELLO DELLE TRE ITALIE (ma solo negli anni 90 letichetta di economia periferica sar abbandonata; fino ad allora le modalit di industrializzazione leggera delle regioni centro-nord-orientali verranno inquadrate in un rapporto di complementariet e dipendenza con quelle dellItalia nord-occidentale).

4.2. Il mondo della tradizione e la scoperta delle novit

Nella seconda met anni 70 ( Periodo di depressione prolungata (dopo boom economico) ( in questa situazione, in cui non si disponeva di uno schema teorico capace di inquadrare con efficacia, in modo unitario il cambiamento industriale (lo schema dualistico non era in grado di farlo in maniera soddisfacente!) che viene proposta (e accolta) una nuova interpretazione dello sviluppo industriale italiano: il MODELLO DELLE TRE ITALIE: esso presentava una certa immagine dellItalia , divisa in 3 grandi aree territoriali diverse, ma connesse tra loro:I) Il NORD-OVEST: area segnata dalla grande impresa, che ha trainato e imposto nei suoi caratteri di fondo il modello di sviluppo nazionale;

II) Le regioni CENTRO-NORD-ORIENTALI: caratterizzate dalla piccola impresa e su questa base hanno vissuto il loro sviluppo in forme diverse e particolari;

III) Il MERIDIONE: area del sottosviluppo relativo, dove leconomia si disgregata e riorganizzata in dipendenza da esigenze esterne.

Davanti alla necessit di cambiare lo schema teorico di riferimento, quello delle tre Italie si dimostr una soluzione conveniente (ecco perch venne accolto favorevolmente) ( non sconvolgeva in maniera radicale linterpretazione precedente, in quanto non osa affermare che ci possa essere una via allindustrializzazione (autonoma) diversa da quella classica che aveva dominato le regioni dellItalia nord-occidentale [nella nuova partizione dello sviluppo italiano, lItalia emergente, ovvero la terza Italia, veniva indicata come leconomia periferica, e i settori industriali venivano ancora distinti tra moderni le industrie pesanti, localizzate al centro e tradizionali le industrie leggere, localizzate invece in periferia ].

Per spiegare perch piccole e medie imprese si siano localizzate nelle aree dellindustrializzazione leggera della periferia ( si fa ricorso alla sociologia: si tratt di una serie di generalizzazioni che la ricerca economico-sociale italiana analizz diffusamente, proponendo, in sintesi 3 modi diversi di guardare la realt e di descriverla:1. Specificit del rapporto capitale/ lavoro quale espressione di particolari rapporti sociali storicamente radicati ( struttura sociale di queste regioni molto mobile: ad un estremo c la piccola e media borghesia imprenditoriale, allaltro la classe operaia (frammentata in miriade di unit di piccole dimensioni + lavoro a domicilio). Questa struttura sociale trova origine nei tradizionali rapporti di produzione in agricoltura: frammentazione della propriet terriera, assenza di grandi aziende capitalistiche, predominanza di affittanza e mezzadria ( questi rapporti di produzione hanno spinto le comunit familiari a ricercare integrazioni di reddito col lavoro a domicilio o lo spostamento di alcuni componenti verso la citt, sovrapponendo alla radicata struttura rurale della comunit elementi del modello manifatturiero (non si rinnega/ cancella la realt rurale esistente, ma si integra con elementi del modello manifatturiero).2. Organizzazione territoriale peculiare, fondata su un fitto reticolo di piccoli e medi centri abitati che avevano favorito la diffusione delle funzioni e dei valori urbani sul territorio e innescato un rapporto tra citt e campagna caratterizzato da fitti interscambi di conoscenze e popolazione ( nella piccola citt, attraverso i rapporti col mercato nazionale e internazionale, si ricomponevano le conoscenze e il capitale di origine locale; nella campagna si formava una forza lavoro funzionale alle esigenze della piccola impresa manifatturiera (forza lavoro a basso costo e flessibile). Concetto di campagna urbanizzata. ?3. Alla base di tutto c la famiglia allargata: rimaneva il centro di decisioni e funzioni economiche e sociali; spesso il capitale investito nelle nuove attivit manifatturiere emergenti era di origine familiare. Industrializzazione diffusa ( forte mobilit sociale del lavoro, sia orizzontale (da unimpresa allaltra), sia verticale (da operaio a capo dimpresa /ad azienda in proprio, grazie alle conoscenze acquisite negli spostamenti), regolata dal mercato ( e il mercato regolato da regolatori sociali (innanzitutto la famiglia), onde evitare squilibri.Tramite questo modello, la multiregionalit si sostitu allinterpretazione dualistica per la rappresentazione delleterogeneit regionale nei processi dindustrializzazione.

Modello tre Italie ( agevol fioritura di numerosi studi e ricerche sui modelli regionali di sviluppo ( il mutamento di prospettiva da 2 a molte Italie fu influenzato anche dallattuazione dellordinamento regionale (1970), il quale suscit in quegli anni un rinnovato interesse per le specificit socio-economiche regionali, soprattutto in quanto articolazioni territoriali dello sviluppo nazionale (interpretazioni attente alla dimensione regionale).

LIMITI:

Come le interpretazioni dualistiche, cos anche le interpretazioni dimpronta regionale rappresentano in modo indifferenziato il sud del Paese (questo resta uguale!)

Le regioni dellItalia centro-nord-orientale, quando avevano colmato il ritardo che le separava dalle regioni di antica industrializzazione, avevano dimostrato ampiamente che poteva esserci anche una seconda via (cio, non esisteva ununica sola via allindustrializzazione) ( purtroppo questo non viene creduto possibile per il Mezzogiorno, negando cos la possibilit che la societ meridionale potesse seguire sentieri di evoluzione localmente differenti.

I luoghi non vengono posti al centro della spiegazione, ma continuano a rappresentare una sua categoria secondaria. (dimensione regionale rappresenta semplicemente una dimensione tra le altre del problema dello sviluppo).

5. Lo spartiacque teorico: il distretto industriale

Per spiegare lo sviluppo delle regioni dellindustrializzazione leggera, diventa necessario abbandonare lidea che lunico modo efficiente di organizzare la produzione fosse associato al sistema di fabbrica ( molte delle economie NON DIPENDEVANO dalla grande impresa, ma dal particolare AMBIENTE a cui limpresa apparteneva.Fuori dallo stabilimento, ma dentro il territorio che lo comprende si strutturano RETI LOCALIZZATE DI RELAZIONI, sia mercantili (SCAMBI ECONOMICI) che non-mercantili (SCAMBI DI CONOSCENZE), fra imprese diverse e specializzate in fasi, prodotti e parti di prodotto => lo sviluppo si traduce in una crescita locale (a livello di luogo/ ambiente) pi che aziendale (a livello di singola azienda/ fabbrica) ( aumenta la numerosit delle unit produttive che prendono parte allo stesso processo di produzione e di apprendimento di conoscenze su cui si fonda lorganizzazione industriale della societ locale.Laccento si sposta dunque sul RUOLO esercitato dall AMBIENTE al quale lo stabilimento appartiene ( nuova unit danalisi quindi il SISTEMA LOCALE (esso non pi semplicemente lo scenario dove si svolge lazione, ma lazione stessa!).Le conoscenze e le capacit organizzative che si formano localmente (attraverso il sistema di apprendimento ( processo attraverso cui una comunit di persone acquisisce le nozioni necessarie per partecipare a quella forma di agire collettivo che la produzione e per strutturare e modificare lassetto organizzativo della produzione stessa cos da far fronte alla variabilit del mercato), insieme allabilit di integrarle con quelle che derivano dal progresso generale della tecnologia, si propagano tra le imprese in quanto membri di una comunit locale che condividono un certo sistema di regole e consuetudini (le quali permettono appunto lapprendimento collettivo di conoscenze e organizzazione). Affinch unimpresa faccia parte del sistema locale non basta che sia situata al suo interno, ma deve INTEGRARSI nella RETE degli scambi di conoscenze che si svolgono e che lo compongono.

Dunque, sul piano interpretativo, si passa da un modello di produzione di massa a un modello di produzione FLESSIBILE ( il sistema locale il luogo naturale di produzione: esso rappresenta un entit geografica corrispondente a una serie di localit (cio di insediamenti umani, residenziali e produttivi) le cui relazioni reciproche sono determinate dai comportamenti della popolazione entro unarea in cui si stabiliscono la maggior parte dei rapporti sociali, economici e istituzionali.

Fra i sistemi locali dellindustrializzazione leggera i DISTRETTI INDUSTRIALI rappresentavano un caso specifico di sistema locale ( compresenza attiva di una comunit di persone e di un ramo industriale principale, costituito da una popolazione di piccole imprese indipendenti, specializzate in fasi diverse di uno stesso processo produttivo: da un lato, la comunit esercita una funzione autonoma sullorganizzazione della produzione, secondo il proprio sistema di valori e di orientamenti normativi (che determinano lambiente culturale); dallaltro, lorganizzazione della produzione si contestualizza in piccole e medie imprese indipendenti connesse da reti di cooperazione pi o meno esplicita ( tutto ci reso possibile grazie allespansione di una domanda di beni non standardizzati, nei confronti della quale lindustria localizzata del distretto manifesta di sapersi adattare (soddisfacendo cos esigenze di elasticit [= variazione quantitativa della domanda] e di flessibilit [= variazione qualitativa della produzione]). Lindustria principale del distretto influenza lambiente locale ( la comunit locale risulta dominata dalle figure sociali dei piccoli imprenditori e dei lavoratori autonomi, oltre che da quelle dei lavoratori dipendenti dellindustria, e da una partecipazione del lavoro diffusa di donne sposate e giovani (mentre come struttura famigliare prevale la famiglia allargata). interessante notare che la localizzazione dei distretti industriali NON SI SOVRAPPONE ESATTAMENTE a quella della terza Italia! ( il distretto industriale ebbe un ruolo rilevante nel suggerire un NUOVO STILE DANALISI per interpretare i percorsi dello sviluppo industriale, in quanto capace di mettere insieme componenti socio-economiche e territoriali nella spiegazione delle fenomenologie economiche. ( ( lambiente/ il luogo in cui si realizza la produzione torna ad essere al centro, si riprende il ruolo di protagonista che gli era stato tolto.)Effetti che lorganizzazione locale esercita sul funzionamento delleconomia e degli attori che la rappresentano:

Primo punto fermo: scambio dinformazioni tra imprese, sia nellambito delle regole di mercato, sia allinfuori di esse (es. basate sulla fiducia, o su norme tacite condivise da tutti nel sistema locale). Questinsieme di norme permette, inoltre, di realizzare un controllo sociale dellinformazione proveniente dallesterno del sistema locale, che viene adattata e resa coerente col contesto socio economico ( ecco perch utile sviluppare una certa identit collettiva Secondo punto fermo: armonizzazione relativamente sistematica, formale o informale, fra imprese, risorse e istituzioni, al fine di scambiare informazione tecnologica, commerciale e concorrenziale (forme di cooperazione su cui si fondano transazioni informali che agevolano la condivisione dellinformazione e la generazione di nuove forme organizzative che danno un carattere evolutivo al sistema locale.Le relazioni tra attori diversi del sistema locale d ai soggetti e allo stesso sistema la capacit di assimilare sconvolgimenti e cambiamenti che avvengono nelluniverso tecnologico e della concorrenza, oltre che la capacit di produrre collettivamente innovazione e conoscenza.

In Italia ( distretto industriale diventato il paradigma teorico, e quindi lattenzione si spostata dallimpresa al sistema locale: inizialmente tutto ci ha alimentato gli studi sulle piccole e medie imprese, solo recentemente ha influenzato anche linterpretazione dei comportamenti organizzativi della grande impresa. ( limpresa NON un concetto/ unentit a s stante (che si pu comprendere solo stando al suo interno), ma inserita nellambiente circostante, ed un tuttuno con esso.Nellorganizzazione complessa che caratterizza il sistema economico contemporaneo ( si afferma una logica RELAZIONALE basata sempre pi su interazioni tecniche, organizzative e comunicative ( si parla di ECONOMIE IMMATERIALI DI LOCALIZZAZIONE (come ad es. le economie distrettuali): di natura intangibile, specifiche di ogni contesto e difficilmente trasferibili da un luogo a un altro ( il locale inevitabilmente lo snodo per la revisione dei criteri dellanalisi economico-sociale e per lanalisi non-deterministica del rapporto tra imprese, industria e territorio.Dunque, passaggio da IMPRESA LOCALIZZATA a IMPRESA TERRITORIALMENTE RADICATA ( non interessa solo le piccole e medie imprese (che traggono dal radicamento in ambiti economico-sociali specifici molte delle condizioni alla base del loro dinamismo), ma anche quelle grandi: la sempre maggiore complessit ambientale spinge, infatti, sia la piccola e media che la grande impresa (o limpresa globale) a ricercare nuove strategie di comportamento, al fine di costruire rapporti di interazione pi efficaci sia nei confronti delle altre imprese (e dei relativi contesti socio-culturali di riferimento), sia nei confronti dei luoghi-sistemi locali in quanto tali. ( importante anche per limpresa globale radicarsi negli specifici contesti socio-culturali locali in cui trasferisce una parte dei suoi processi produttivi, e dimostrare una capacit di identificare il proprio modo di produrre coi valori, la cultura, le aspettative di ciascuna comunit in cui opera. ( quindi, in questo quadro, la CO-EVOLUZIONE impresa-ambiente (esso specifico di condizioni tangibili e intangibili) una precondizione dello sviluppo e anche un fattore dellidentit (cio della diversit) dei sistemi locali.6. Percorsi di sviluppo locale.

Ora, per tutto quello detto sopra, ci si pu esprimere anche, e soprattutto, in termini di sistemi locali (diversamente dal passato ( in termini dimpresa e dindustria)1981: censimento industriale ( mostra crescita generale delloccupazione: soprattutto aveva riguardato i servizi (cresciuti pi dellindustria manifatturiera) ( ma questi cambiamenti erano avvenuti in maniera diversa e con vari gradi dintensit, nei differenti sistemi locali: le due Italie industrializzate (nord-ovest e centro-nord-est) erano diffusamente contrassegnate dalla presenza di sistemi locali ad elevata concentrazione di occupazione manifatturiera, che coprivano la gran parte del territorio delle rispettive regioni. Sistemi locali di grande impresa: maggior crescita assoluta, ma minori incrementi percentuali (crescita grazie allaumento dei servizi ( modesto il contributo dellindustria manifatturiera) ( crescente terziarizzazione delleconomia + crisi dei grandi impianti industriali = riduzione relativa del grado di concentrazione industriale

Sistemi locali di piccola e media impresa: cambiamenti nelloccupazione manifatturiera erano stati la fonte principale della creazione di posti di lavoro (anche pi dei servizi) ( maggior intensit di cambiamento nei sistemi locali di piccola impresa

Sistemi locali del Mezzogiorno: crescita occupazionale avvenne grazie allespansione sia dei servizi, sia dellindustria manifatturiera ( comunque sia, in questarea risultarono ben pochi sistemi locali di concentrazione manifatturiera (e prevalentemente di grande impresa)Quindi, la nuova configurazione geografica dei cambiamenti occupazionali mostr in particolare 2 cose: 1) che cera stato un ulteriore consolidamento dellindustria manifatturiera nei sistemi locali dellindustrializzazione leggera; 2) che continuava ad agire la tendenza allo spostamento dellindustrializzazione ovest-est, ma ora questo processo iniziava a interessare anche il Mezzogiorno.

1981-1991: cambiamento industriale di questo decennio mise in luce definitivamente con chiarezza il processo di terziarizzazione delleconomia italiana ( per la prima volta loccupazione manifatturiera registrava una diminuzione di addetti; laumento, invece, si registrava nel settore dei servizi post-industriale, in particolare nei servizi alle imprese. [ SERVIZI = servizi tradizionali (( commercio al dettaglio, trasporti, pubblica amministrazione, ecc.) + servizi post-industriali (( servizi alle imprese = intermediazione commerciale, trasporto merci su strada, ecc. + servizi sociali = sanit, istruzione, assicurazioni, ecc. + servizi al consumatore = alberghi, ristoranti, attivit ricreative, ecc.) ].1991: configurazione geografica dello sviluppo industriale:

Sistemi locali di grande impresa: mantengono la loro localizzazione nel nord-ovest e nel Mezzogiorno; accrescono la loro presenza relativa in Friuli-Venezia Giulia. Sistemi locali di piccola impresa: consolidano ed estendono la loro localizzazione nellItalia centrale e nord-orientale; emergono, anche se in maniera isolata, anche nel Mezzogiorno (Abruzzo e Puglia).

Sistemi locali di piccole + medie imprese: si compenetrano ai precedenti soprattutto nellItalia nord-orientale (Lombardia, Emilia-Romagna) e centrale (Umbria).

Qui, ci che rende differente lattuale localizzazione delle industrie da quella dei primi decenni del dopoguerra, : 1. Il predominio relativo dellindustria leggera e dei sistemi locali di piccola e media impresa; 2. Il loro spostamenti progressivo verso il nord-est e il centro dellItalia, e da qui verso il Mezzogiorno. ( non un processo diffusivo, ma il risultato composito di una molteplicit di processi di sviluppo locale, che hanno in comune il semplice fatto che si sono realizzati quasi del tutto in quella parte dItalia che ha fatto storicamente esperienza della maggiore continuit delle tradizioni civiche.Per quanto riguarda la dinamica della TERZIARIZZAZIONE italiana (in particolare i servizi alle imprese, i pi dinamici in termini occupazionali).

a. Sistemi locali in cui sono maggiormente presenti le grandi imprese ( espansione delloccupazione nei servizi si realizzata in condizioni di diminuzione degli addetti nellindustria manifatturiera: la terziarizzazione riconducibile a un insieme di processi diversi, non per forza convergenti.

1. Strategie di riconversione: Da un lato, la ricerca di vantaggi competitivi su scala internazionale sospinge le imprese a riconvertire reparti interni allazienda in aziende autonome e semi-autonome, le quali vengono cos a offrire servizi specializzati tanto allimpresa-madre quanto ad altre imprese (sia dentro che fuori dal sistema locale); dallaltro, si diffusa la tendenza a sostituire la produzione di beni con quella di servizi (trasferendo la produzione di beni al di fuori del sistema locale di cui il sistema fa parte) ( lattivit prevalente dellimpianto riorientata a favore delle attivit di ricerca e sviluppo, dei servizi di assistenza e manutenzione precedenti o successive la vendita del prodotto.2. Strategie di sostituzione: lofferta di servizi alle imprese cresce grazie alla dismissione, totale o parziale, di attivit di servizio che in precedenza erano svolte internamente e per il cui fabbisogno limpresa ora ricorre a fornitori esperti specializzati ( la classica alternativa tra fare e far fare (produrre in proprio o acquistare da altri), che in situazioni di aumento dellinstabilit e dellincertezza dei mercati contribuisce a ridurre il rischio, ma anche i costi di produzione.b. Sistemi locali a prevalenza di piccole e medie imprese ( la crescita di occupazione nei servizi alle imprese avviene in condizioni di crescita delloccupazione nelle imprese manifatturiere: infatti, laumento delloccupazione dei servizi, in questo caso, va ricondotto al carattere specifico del sistema di produzione e ai modi attraverso cui esso si svolge ed evolve ( il modello di industrializzazione di questi sistemi locali una forma organizzativa che non prevede integrazione verticale, ma procede per successive diversificazioni e specializzazioni in fasi dei processi di produzione => la proliferazione di unit aziendali e la progressiva integrazione orizzontale di attivit economiche (sia manifatturiere, sia dei servizi) rappresenta il modo naturale attraverso cui si manifesta la crescita delleconomia locale ( qui lalternativa tra fare e fare insieme. La terziarizzazione delleconomia dei sistemi di piccola e media impresa pu essere visto come un fenomeno che si manifesta quando le componenti delleconomia locale diventano progressivamente pi specializzate e lorganizzazione della produzione diventa sempre pi complessa, in risposta sia alle esigenze dei mercati di sbocco dei beni prodotti, sia come fenomeno associato al cambiamento tecnologico nelleconomia della produzione.

Sia nello sviluppo locale di piccola media impresa, sia in quello di grande impresa, linterdipendenza fra imprese manifatturiere e dei servizi contribuisce a unevoluzione complessiva del sistema (i due settori non sono nettamente separati, ma sono interdipendenti tra loro). ( questo rafforza linterpretazione dello sviluppo italiano a partire dai LUOGHI (e non come in passato dallimpresa o dal settore).7. La riterritorializzazione della politica

Come nellanalisi economica, cos anche nellanalisi politica la dimensione locale sempre stata considerata come una dimensione secondaria, o addirittura irrilevante ( lunit territoriale ritenuta appropriata per lanalisi economica ha coinciso direttamente con lo Stato-nazione (riferimento istituzionale-politico pi importante); per lanalisi politica il discorso un tantino diverso ( di fatto lautorit pu esercitare la propria azione regolatrice solo in quanto esiste uno spazio dove legittimata a farlo (potere SU un territorio) ( si giunti, per, a identificare lo Stato-nazione come la sola unit territoriale appropriata per lassolvimento di questa funzione, relegando la dimensione locale a semplice articolazione amministrativa (influenza reciproca tra economia e politica) => cittadinanza associata direttamente allunit nazionale, e non agli ambiti locali.Nonostante ci, la dimensione locale ha avuto un riconoscimento e un ruolo che sono cambiati nel corso delle vicende che hanno contrassegnato lo sviluppo economico italiano del secondo dopoguerra:

1945-primi anni 60: netto predominio dello Stato-nazione sia nelle teorie economiche che in politica. Le diversit che caratterizzavano gli ambiti locali continuarono ad essere viste come uno dei modi in cui si strutturavano naturalmente leconomia e la societ ( non cera da prestare loro attenzione, perch nel meccanismo di regolazione vigente allora non contavano (dominavano politiche sociali e di sviluppo economico nazionali che erano considerate giuste per tutte le realt locali, senza distinzione n necessit di differenziazione ( unica eccezione il Mezzogiorno: un tutto indistinto, in ritardo nello sviluppo rispetto al Nord, necessitava di un intervento aggiuntivo specifico per lui)I partiti politici nazionali aderiscono bene alla molteplicit delle situazioni locali, ma la loro natura centralista e unitaria non consent di capire le evoluzioni delle pratiche regolative nelle diverse realt locali del Paese, n di cogliere per tempo le potenzialit di sviluppo di sviluppo civile ed economico che stanno dentro a un adeguamento della forma organizzativa dello Stato. Si sarebbe dovuta rivedere la forma organizzativa dello Stato => istituzioni locali da semplici strumenti di applicazione di un sistema formale di leggi sulla comunit locale (rappresentanti dello Stato centrale) a espressione di un progetto politico per la comunit locale sulla base di uninterpretazione dei suoi bisogni (istituzioni locali come uno Stato locale che ha funzioni proprie e distinte da quelle dello Stato centrale).

Anni 60-1973: crisi economica mostra i limiti della capacit regolativa dello Stato-nazione ( istituzione dellordinamento regionale (istituzione delle regioni): anche se con questo passo sembrava che i tempi fossero maturi per una riforma dellassetto generale delle autonomie locali, in realt la vocazione centralista e unitaria dei partiti nazionali ebbe ancora una volta la meglio su quella policentrica e pluralista dei partiti locali ( la contraddizione fra scala locale e scala nazionale non viene sciolta, addirittura viene resa ancor pi inestricabile dallistituzione delle regioni.

Anni 80: crisi del modello di produzione ford-taylorista (deindustrializzazione dei grandi impianti manifatturieri) e al tempo stesso del suo sistema di regolazione nazionale (quello dello Stato) con i suoi strumenti consolidati di stabilizzazione sociale ed economica ( iniziarono ad essere guardati sotto una diversa luce altri processi di industrializzazione che si erano venuti strutturando localmente secondo un modello di integrazione flessibile di capacit specializzate di produzione secondo un sistema di regolazione locale fondato su specifiche componenti politiche legate al ruolo storicamente svolto dalle diverse sub-culture politiche locali. Si fece cos strada lidea che esistessero PI vie di sviluppo e di cambiamento industriale e torn a diffondersi lidea di uno sviluppo come un processo necessariamente squilibrato sotto laspetto geografico ( ribaltamento del modo tradizionale di guardare al processo di produzione e di creazione del valore economico, cos come al processo di formazione della volont politica, entrambi ricondotti alla DIMENSIONE LOCALE, ovvero la dimensione fondativa tanto delleconomia quanto dellidentit nazionale.

Sul piano economico ( economia nazionale = linsieme delle molteplici e differenziate economie locali che la formano (lo sviluppo economico ha le sue radici qui!); sul piano politico (ma avvenne in tempi successivi) ( lidentit nazionale si costituisce attraverso le identit locali.

Effetti globalizzazione + cause specifiche del caso italiano (es. caduta muro di Berlino) ( acceleratore della crisi di rappresentanza politica e dellidentit nazionale dello Stato italiano => anche sul piano politico ci si rese conto che lidentit nazionale aveva le sue radici nei molteplici luoghi della vita associata, e che era la civilt comunale a rappresentare il tessuto connettivo fondamentale della societ italiana, e a dar senso allidentit nazionale (che tuttavia andava rifondata proprio a partire dalle istituzioni locali).In Italia, cos, si form su queste basi il dibattito sulla riorganizzazione dello Stato ( essa deve muovere dal riconoscimento della piena autonomia della vita locale e dei luoghi dove essa si svolge => trasferimento ( no decentramento) di competenze dallo Stato centrale alle autonomie locali (principio di responsabilit si deve sostituire a principio di autorit, cosicch esse possano derivare la propria legittimazione dal rapporto che istaurano coi cittadini, e davanti a loro rendano conto del proprio operato) ( oltre che per leconomia, il locale diventa cos la scala territoriale appropriata anche per la ridefinizione della politica (rapporto di fiducia con cittadini-elettori, espressione e realizzazione concreta del diritto di cittadinanza, tratto peculiare della stessa identit nazionale).