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Un’Associazione che tende a riunire tutti coloro che, nel comune e sempre vivo attaccamento all’Alma Ma- ter Studiorum, conservano e conserveranno una tradizio- nale dolce memoria di Pisa. Un sodalizio di ex studenti che, ovunque e comunque, vogliono rimanere idealmen- te «cittadini pisani» in forza di uno speciale e quasi fau- stiano «jus juventutis». Un impegno istituzionale verso l’Ateneo con intenti non solo affettivi ma anche concretamente rivolti a so- stenerne il prestigio per sempre migliori fortune. Associazione Laureati Ateneo Pisano A.L.A.P. – Area Vecchi Macelli, via Nicola Pisano 25, 56126 Pisa e-mail: [email protected] – sito web: www.alap-pisa.it Orario apertura sede: lunedì e mercoledì, 15.30-18.30 Telefono 050/544182; cellulare 334/2521741 c/c Postale 14152565 - C.F. 80011740505 BancoPosta IBAN: IT46X0760114000000014152565 BIC: BPPIITRRXXX 2-3.16 (121) Anno XLVI - Mag.-Dic. 2016 Suona lento e grave. Il suo don, don, don... si sparge nell’aria assonnata: mentre la città si scopre dalla sua coltre di nebbia bianca mattutina. È la sveglia dello studente. da Antonio Cella, Il Campano, 1947 IL RINTOCCO DEL CAMPANO Rassegna periodica dell’Associazione Laureati Ateneo Pisano

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Un’Associazione che tendea riunire tutti coloro che,nel comune e sempre vivoattaccamento all’Alma Ma-ter Studiorum, conservano econserveranno una tradizio-nale dolce memoria di Pisa.Un sodalizio di ex studentiche, ovunque e comunque,vogliono rimanere idealmen-te «cittadini pisani» in forzadi uno speciale e quasi fau-stiano «jus juventutis».Un impegno istituzionaleverso l’Ateneo con intentinon solo affettivi ma ancheconcretamente rivolti a so-stenerne il prestigio persempre migliori fortune.

Associazione Laureati Ateneo PisanoA.L.A.P. – Area Vecchi Macelli, via Nicola Pisano 25, 56126 Pisa

e-mail: [email protected] – sito web: www.alap-pisa.itOrario apertura sede: lunedì e mercoledì, 15.30-18.30

Telefono 050/544182; cellulare 334/2521741 c/c Postale 14152565 - C.F. 80011740505

BancoPosta IBAN: IT46X0760114000000014152565BIC: BPPIITRRXXX

2-3.16 (121) Anno XLVI - Mag.-Dic. 2016

Suona lento e grave. Il suo don, don, don...si sparge nell’aria assonnata: mentre la città si scopre

dalla sua coltre di nebbia bianca mattutina.È la sveglia dello studente.

da Antonio Cella, Il Campano, 1947

IL RINTOCCODEL CAMPANORassegna periodica dell’Associazione Laureati Ateneo Pisano

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IL RINTOCCODEL CAMPANORassegna periodica dell’Associazione Laureati Ateneo PisanoAutorizzazione del Tribunale di Pisa n. 4 del 12.4.1972

DIRETTORE EDITORIALEElisa Bani

DIRETTOREMaurizio Vaglini

COMITATO DIRETTIVOLorenzo GremigniFabio Vasarelli

REDAZIONEMaria Luisa TerrizziGino AlabisoRenzo CastelliAlberto Del GuerraOtello LenziVincenzo Lupo Berghini

ALAPORGANI ASSOCIATIVI 2015-2017Presidente: Paolo GhezziVicepresidenti: Francesca Fiorentini, Lorenzo GremigniSegretario: Mario MesseriniTesoriere: Enzo GuidiConsiglieri: Evita Ceccarelli, Michele Froli, Virginia Messerini, Luca Morelli, Franco Mosca, Brunello Passaponti, Francesco Porcelli, Attilio Salvetti, Gabriella Stori, Maurizio VagliniLuigi Sartoni (cooptato con incarichi speciali)

Collegio dei Sindaci Revisori:Effettivi: Renzo Castelli, Otello Lenzi, Margherita PucinoSupplente: Leonardo Ferri

Collegio dei Probiviri: Lucia Calvosa, Enrico Maria Latrofa, Alberto Lucchesini

Consulente: Maria Rita Battellino

DELEGAZIONI:Belgio: Giancarlo Gianfranchi - BruxellesFriuli: Livio Piccinini - UdineLazio: Mirto Busico - Roma

CONSOLATI:La Spezia: Carla Cherchi - La Spezia«Plumbinensis»: Oberdan Lenzi - PiombinoVersilia: Otello Lenzi - Viareggio

Finito di stampare nel mese di novembre 2017in Pisa dalle EDIZIONI ETS - Piazza Carrara, 16-19, I-56126 [email protected] - www.edizioniets.comtel. 050/29544 - 050/503868 fax 050/20158

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SommarioA Franco Mosca il Campano d’Oro 2016 4

La Festa delle nozze d’argento e d’oro dei laureati pisani (di Maurizio Vaglini) 31

60 anni dalla laurea: la celebrazione dei «Diamantini» 35

IL CUS Pisa: la casa dello sport universitario in città (di Stefano Gianfaldoni) 39

Malpighi e i capillari: una scoperta «pisana» nel segno di Galileo (di Marco Rossi) 44

Fabbriche, famiglie e amenità varie: passeggiata con una guida turistica in San Francesco (di Ilaria Fagiolini) 50

Il Palazzo Blu di Pisa (di Cosimo Bracci Torsi) 57

Il Ponte di Mezzo: un capolavoro di ingegneria strutturale nell’urbanistica pisana (di Agostino Corallo) 63

L’occupazione germanica di Pisa e l’irresistibile «attrazione» per la Torre pendente (di Giorgio Barsotti) 69

Ricostruire la storia navigando in rete: le famiglie pisane Allegretti e Barsanti(di Paolo Rossi) 73

Passando davanti alla Sapienza… quanti ricordi di un ex studente quarantenne (di Simone Bulleri) 79

Vecchio Album. I lungarni di Pisa (a cura di Iovinette Poli) 83

Piccola Antologia letteraria (a cura di Maria Luisa Terrizzi) 87

Un sonetto in vernacolo dedicato al prof. Mosca 93

Recensioni (a cura di Simone Bulleri, Lorenzo Gremigni) 94

In copertina: Il Presidente dell’A.L.A.P. consegna il Campano d’Oro.

In quarta di copertina: La clinica Ceci.

Per quanto riguarda le immagini pubblicate sul presente fascicolo, l’editore resta a disposizione degliaventi diritto non potuti reperire.

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La cerimonia

È il pomeriggio del 21 ottobre2016, quando una gran folla si diri-ge a passo svelto verso le sale degliArsenali Medicei. Bisogna lasciarele auto lontano, perché nei parcheg-gi vicini non si riesce a trovare piùun posto libero.L’ambiente, di per sé suggestivo,

si riempie subito di persone: si ritro-vano vecchi amici, si abbracciano esi salutano con affetto, si formanocapannelli, si ricordano fatti ed epi-sodi e qualcuno non riesce a tratte-nere una giustificata commozione.Ci sono tutte le autorità cittadine eseduti in prima fila, come vuole ilprotocollo, il festeggiato, con a fian-co, come sempre del resto, la mogliee tutta la famiglia, compresi i nipoti-ni, che con fresca gioia si avvicina-no al nonno, immagine di una gran

bella famiglia, che dà subito a tuttiil senso di una festa, dove l’elemen-to caratterizzante è la sincera amici-zia, che risuona tra quelle pur anti-che e austere mura.Il Sindaco Marco Filippeschi, il

Rettore Massimo Augello, il Presi-dente e Vicesindaco Paolo Ghezzi,tutti esprimono i loro pensieri, esal-tano il vincitore del riconoscimen-to, ne dichiarano i meriti, come siconviene nella circostanza e comevuole la cerimonia, ma l’attore prin-cipale a questo punto diviene il si-lenzio, con cui la gente, anchequella che non ha trovato posto asedere e si appoggia alle colonne ealle pareti della grande sala, segue ivari discorsi, spesso annuendo qua-si a dire «si, è tutto vero, lo possia-mo testimoniare anche noi e non so-lo la convenienza del discorso perl’occasione».

A Franco Moscail Campano d’Oro 2016

Come ogni anno A.L.A.P. valuta una serie di candidati al prestigio-so riconoscimento e questa volta è stato scelto il prof. Franco Mosca.Il suo curriculum è abbondantemente segnato da importanti atte-stazioni di valore culturale e scientifico, ma il Campano d’Oro vuolesaltare, oltre la sua indiscussa professionalità, un aspetto umanonon comune, che lo fa amare e stimare non solo da coloro che sonostati i suoi pazienti, ma anche da tutte le persone che hanno avutooccasione di incontrarlo sul suo prestigioso cammino.

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È una cerimonia, ma non ha nien-te di superfluo, pur nel rispetto delleregole che la circostanza impone: unapplauso nascosto sembra aver ap-provato la decisione dell’A.L.A.P.; sipercepisce negli occhi di tutti unmessaggio: «è la persona giusta, se lomerita tutto questo riconoscimentopisano». Va detto che il prof. Mosca è pisa-

no non di nascita, ma di adozione, enon ha mai dimenticato la propriaterra natia.I titoli culturali e scientifici che

vengono ricordati sono il segno diun lavoro intenso, faticoso, appas-sionato, eccezionalmente validoperché spesso innovatore e portato-

re di grandi speranze, che assumeancor più valore se si pensa al con-testo in cui questo lavoro si è dipa-nato: la sofferenza, il dolore e dicontro il sollievo, la guarigione, in-somma la lotta contro la morte e lasperanza della vita.Giunto a questo punto della lunga

carriera di medico e chirurgo e dimaestro, oggi il prof. Mosca vede isuoi allievi ormai seduti in cattedreitaliane ed estere a continuare il suopensiero, la sua opera. Il ricordo deltempo che è stato non consente ditenere ferma la voce, fa inumidiregli occhi, perché al di là di ogniconsiderazione su tutto prevale ilsentimento umano.

5Franco Mosca con la famiglia.

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Un altro prestigioso nome si ag-giunge all’Albo del Campano d’Oro,la cui lista vede pochi medici e so-prattutto ora due chirurghi: FabrizioMichelassi e Franco Mosca, comedire una scuola affermata e di cuiPisa, come Città e Università, puòlegittimamente vantarsi.

Il Saluto del Sindaco Marco Filippeschi

Il premio il Campano d’oro è sta-to istituito dall’A.L.A.P. nel 1971 eha visto tra i suoi destinatari unaserie illustre di laureati dell’Ate-neo pisano che hanno portato pre-stigio nel mondo agli studi e alla ri-cerca pisana nei più svariati campi.È un albo che dà il senso e la di-mensione della valenza del premio,ma anche la sua ratio che, si puòdire, non si limita a esprimere unriconoscimento a persone di indub-bio valore, ma restituisce anche ilvalore e il ruolo dell’Università diPisa che, nel tempo, si riconfermaassieme al prestigio di alcuni deisuoi laureati maggiormente rappre-sentativi. La scelta dell’A.L.A.P. ha indivi-

duato come destinatario del ricono-scimento il prof. Franco Mosca. Unpremio ad una lunga e prestigiosacarriera. Il Comune di Pisa è particolar-

mente lieto di questa scelta che ri-conosce un cittadino impegnato su

tutti i fronti per la crescita della co-munità. Una carriera, quella del prof. Mo-

sca, costellata da grandi successi, dicui tantissimi pazienti hanno bene-ficiato. Indiscusso caposcuola e pa-dre della trapiantologia toscana etra i fondatori di quella italiana. Al-la sua opera come chirurgo si ag-giunge quella come maestro ed agliinterventi tutti di sua mano si devo-no aggiungere quelli eseguiti datanti suoi allievi ma sempre sotto lasua guida. All’impegno come chirurgo si ag-

giunge quello in campo sociale chelo vede protagonista alla Fondazio-ne «Arpa» che presiede fin dallacostituzione e alla quale, è il caso didire, ha dato voce nel mondo attra-verso un testimonial d’eccezione,Andrea Bocelli, che ne è il presi-dente onorario.

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Marco Filippeschi, Sindaco di Pisa.

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Allievo della nostra Università edella Scuola Superiore Sant’anna, ilprof. Franco Mosca rappresenta be-ne una generazione di maestri fortidi una vasta cultura, non solo sulcampo principale di studio e profes-sionale, ma esemplare di un’alta for-mazione che ha generato una tradi-zione educativa ancora forte, che di-stingue Pisa, che si deve manteneree rinnovare garantendo lo stessoprofilo anche in futuro. Per la sua attività, per il suo im-

pegno a servizio della scienza, dellamedicina e della società tutta la cit-tà è grata al prof. Mosca.Un ringraziamento infine va

all’A.L.A.P., che non si limita a so-stenere un pur lodevole compito as-sociativo, legato all’identità e all’ap-partenenza, ma porta in evidenza unpercorso culturale il cui valore incittà è di tutta evidenza.

Il saluto del RettoreMassimo Augello

Gentili autorità, cari colleghi, si-gnore e signori,porgo a tutti voi il più cordiale

benvenuto alla cerimonia di conferi-mento del «Campano d’Oro» – giun-to alla 45esima edizione – che que-st’anno viene assegnato al professorFranco Mosca, Professore Emeritodi Chirurgia della nostra Università. Questo riconoscimento – tra i più

attesi all’interno della comunità uni-

versitaria pisana e dell’intera città –è nato nel 1971, con l’assegnazionedella sua prima edizione allo storicoRoberto Ridolfi. Da allora, hanno ri-cevuto il premio diverse figure diprestigio nel campo delle istituzioni,della cultura e delle scienze, tra lequali voglio ricordare quella dell’exPresidente della Repubblica, CarloAzeglio Ciampi, che ci ha lasciatipoco più di un mese fa, al quale de-sidero dedicare un pensiero sentitoe pieno di riconoscenza. A ben vedere, l’elenco dei vinci-

tori del «Campano d’Oro» rappre-senta una «galleria» virtuale dellepersonalità contemporanee che piùhanno dato lustro all’Università diPisa e che costituiscono per tutti noimotivo di legittimo vanto e orgoglio,oltre che di stimolo a cementare ilsenso di appartenenza alla nostraistituzione.

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Massimo Augello, Rettore dell’Università di Pisa.

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Rinnovare, rinvigorire ed esaltarequesto sentimento è stato uno degliobiettivi cardine che hanno ispiratola nostra azione nel corso del man-dato e su cui stiamo insistendo mag-giormente anche in questi ultimigiorni, prima del passaggio di con-segne al professor Paolo Mancarel-la, prossimo rettore, che avrà ilgrande onore e la responsabilità diguidare la nostra Università per i seianni a venire.In particolare, lunedì prossimo

presenteremo il Bilancio del nostroMandato rettorale: un documentoche sentiamo come un atto doverosoverso la nostra comunità e la città, einsieme come un preciso impegnosulla strada della trasparenza, dellacondivisione e della partecipazioneche abbiamo cercato di perseguirefin dall’inizio.Questi valori, e altri quali la cul-

tura del merito e l’etica del lavoro,sono l’essenza dei tanti profili chenegli anni sono stati premiati con il«Campano d’Oro», tutti caratteriz-zati da una forte attitudine a metter-si al servizio dell’istituzione, untratto distintivo che appartiene inpieno anche alla biografia del pro-fessor Franco Mosca.La Laudatio del professor Mauro

Ferrari e le Motivazioni del Presi-dente A.L.A.P., Paolo Ghezzi, ap-profondiranno le varie sfaccettaturedella carriera scientifica del profes-sor Mosca, luminare della chirurgiae uno dei precursori della trapian-

tologia, che proprio lui ha introdot-to a Pisa e in Toscana, dando uncontributo decisivo alla crescita diun sistema che è oggi unanimemen-te apprezzato a livello nazionale einternazionale.Per le sue doti innovative e le ca-

pacità organizzative, il professorFranco Mosca può a buon diritto es-sere considerato un punto di riferi-mento nella secolare e gloriosa tra-dizione della medicina a Pisa, siadal punto di vista universitario cheospedaliero. Nel corso della sua car-riera è stato, tra le altre funzioni ri-coperte, vicepreside della Facoltà diMedicina e Chirurgia, direttore del-l’Istituto di Patologia Speciale Chi-rurgica, direttore del Dipartimentodi Oncologia dei Trapianti e diretto-re di diverse Scuole di Specializza-zione. Per i suoi alti meriti accade-mici e scientifici, nel 2000 è statoinsignito dell’Ordine del Cherubinoe qualche anno fa ha ricevuto il tito-lo di Professore Emerito.La grande stima, mia e di tutti,

verso il professor Mosca – cui mi le-ga una fraterna amicizia che si ali-menta dal confronto continuo – èanche per l’uomo dallo stile sempli-ce, sobrio e rigoroso, che ha intesocome suo specifico compito etico esociale quello di «restituire» agli al-tri e alla società ciò che la vita gli hamesso a disposizione, a partire dallapossibilità di coltivare a pieno i pro-pri talenti.Da questa volontà di «restituzio-

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ne» – un concetto dalla portata ri-voluzionaria se adottato da ciascu-no di noi – deriva la sua costanteattenzione verso i giovani e il suointeresse tanto per i temi della for-mazione di eccellenza, quanto perle tecnologie del futuro. A questespecifiche esigenze, il professorFranco Mosca ha dato risposta conla creazione, pochi anni fa, delCentro EndoCAS, primo e unico inItalia a essere accreditato dall’A-merican College of Surgeons.

Quell’impostazione di metodoemerge ancor più chiaramente attra-verso il lavoro svolto con la Fonda-zione Arpa, da lui creata nel 1992per promuovere appunto la ricerca ela formazione nei vari campi dellaMedicina, in un’ottica multidiscipli-nare, e che nel tempo ha potuto con-tare su una vasta e prestigiosa retedi sostenitori che, a cominciare dalMaestro Andrea Bocelli, suo Presi-dente Onorario, ne diffonde lo spiri-to nel mondo.

In quasi 25 anni di attività, la Fon-dazione Arpa ha realizzato innume-revoli progetti, sia finanziando la for-mazione e l’aggiornamento di medici,infermieri e operatori professionalidella sanità provenienti da paesi invia di sviluppo, sia sostenendo laqualificazione di numerosi giovanimedici della Scuola pisana con l’o-biettivo di mettere successivamentea disposizione le loro conoscenze an-che in situazioni svantaggiate.

A proposito degli obiettivi della

Fondazione Arpa, mi piace citare ilmotto di Kuan Tze, utilizzato dallostesso professor Mosca, che recita:«se il progetto vale per un anno,pianta del riso; se vale per 10 anni,pianta degli alberi; se vale per cen-t’anni, istruisci degli uomini».

Nel professor Franco Mosca le fi-nalità sociali della propria azione siuniscono a una tenacia quasi unica,che gli permette di raggiungere tra-guardi impensabili o ritenuti da altriquasi impossibili, come sa bene chiha imparato a conoscerlo e ad ap-prezzarlo anche per questa qualità.

Da studioso e intellettuale a tuttotondo, il professor Mosca non disde-gna affatto di occuparsi di ambiti etematiche fuori dalla sua strettacompetenza disciplinare, tanto chesi deve innanzitutto al suo impulso,solo per fare un esempio, la felicecontaminazione tra medicina e inge-gneria che ha portato Pisa a primeg-giare nel settore dell’ingegneria bio-medica. Ed è stato lui a proporre ilnome del professor Alfred Cuschie-ri, inventore di fondamentali inno-vazioni tecnologiche in chirurgia efondatore mondiale della chirurgiamini-invasiva, a cui martedì prossi-mo conferiremo la laurea honoriscausa in «Bionics Engineering».

L’energia inesauribile che èun’altra delle doti proverbiali delprofessor Mosca lo spinge, infine, aprogrammare sempre nuovi e impor-tanti progetti, anche di lungo respi-ro. Su questo fronte, quindi, atten-

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diamo con grande interesse la primaedizione del Festival internazionaledella Robotica, progetto al quale datempo il professor Mosca lavora eche ha annunciato alcune settimanefa insieme al professor Paolo Darioper il settembre del prossimo anno,esibendo sin da ora un programmagià piuttosto dettagliato dell’interamanifestazione.Mi permetto di usare questi toni

più amichevoli riguardo al professorMosca, perché lui conosce bene ilrispetto e l’altissima stima che nutroper la sua persona, oltre che per lasua figura di luminare della Medici-na e di intellettuale di larghissimevedute.Il «Campano d’Oro» che confe-

riamo oggi al professor Franco Mo-sca va, dunque, pienamente nel sol-co dell’eccellenza scientifica, cultu-rale e civile che ha caratterizzato dasempre questo Premio, chiudendoun percorso ideale che durante ilmio mandato è stato aperto dal rico-noscimento a un altro glorioso rap-presentante della Scuola medica pi-sana, il professor Lamberto Maffei,ed è poi passato attraverso quello apersone di straordinaria levatura,nei loro rispettivi campi, che ho giàcitato per l’attività svolta in collabo-razione con il professor Mosca, qua-li il Maestro Andrea Bocelli e l’in-gegner Paolo Dario.Riconosciamo la stessa eccellen-

za in molti dei nomi che nel tempohanno arricchito l’Albo del Premio,

espressione di saperi e professioniassai distanti tra loro e, nello stessotempo, testimonianza della ricono-sciuta capacità del nostro Ateneodi offrire ai suoi studenti una for-mazione ampia, aperta e multidi-sciplinare. Mi limito a citare soloalcuni esempi, fra i tanti, ricordan-do studiosi e intellettuali della sta-tura di Franco Rasetti, EnricoAvanzi, Mario Tobino, Carlo Rub-bia, Tristano Bolelli, GiulianoAmato, Tiziano Terzani, Remo Bo-dei e Edda Bresciani.La cerimonia del «Campano d’O-

ro» è una delle iniziative di puntacurate dall’A.L.A.P., l’Associazionedei Laureati dell’Ateneo Pisano. Adessa e ai presidenti Attilio Salvetti ePaolo Ghezzi, che si sono succedutinei sei anni del mio mandato, vannoi miei più sentiti ringraziamenti perla collaborazione sviluppata in que-sto periodo, sia per quanto riguardal’appuntamento con il Campano, siaper quello delle «Nozze d’Oro ed’Argento con la laurea», del cui ri-lievo la scorsa settimana abbiamoavuto un’ulteriore conferma, con unincontro al Palazzo dei Congressimolto sentito e partecipato.Importante è, inoltre, la diffusione

di notizie sulla storia, sui personaggie sulla realtà attuale dell’Universitàdi Pisa garantita dalla rivista «Il Rin-tocco del Campano», che recente-mente ha visto il passaggio della di-rezione tra i professori Brunello Pas-saponti, che ringrazio per l’impegno

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profuso, e Maurizio Vaglini, cui rivol-go l’augurio di buon lavoro.L’Università di Pisa ha sempre

più bisogno di esempi da indicarecome modelli di riferimento alle fu-ture generazioni, quale certamente èil professor Franco Mosca. Ha biso-gno, inoltre, di trasmettere ed esal-tare i valori che fanno parte dellanostra tradizione e che oggi sonocentrali nella vita della nostra co-munità; quegli stessi valori con cuiil professor Mosca ha saputo arric-chire e completare il suo straordina-rio profilo scientifico. Per rispondere a queste esigenze,

l’A.L.A.P. sarà chiamata a svolgerenel prossimo futuro un ruolo di an-cora maggior rilievo.Grazie.

La laudatiodi Mauro Ferrari

È per me un piacere, ma ancheun onore, essere qui a pronunciarela laudatio in occasione del conferi-mento del Campano d’Oro al miomentore Professor Franco Mosca,cercando di descriverne il profilopersonale, culturale e scientifico.Conosco molto bene il professor

Mosca fin da quando, studente diMedicina del quinto anno, chiesi alCaposcuola, professor Selli, di poterfrequentare la Clinica Chirurgica.Mi autorizzò in una maniera che miparve sbrigativa, ma solo dopo capii

che quello era il «modo di fare» delprofessor Selli: diretto, efficace, sin-tetico e conciso.Una mattina, di buon ora, arrivai a

Cisanello e chiesi al portiere dellaClinica (Doriano Pardini) dove dove-vo andare. Mi chiese: «dove vuoi an-dare dagli uomini e dalle donne?» Iorisposi che non lo sapevo e allora in-sisté: «da Mosca o da Guaiana?» Ri-masi interdetto al punto che fu il Par-dini a dirmi «vai da Mosca». Io miappostai in cima alle scale e quandovidi arrivare una persona, che mi pa-reva corrispondere alla descrizioneche mi era stata fatta del dottor Mo-sca, glielo chiesi; lui rispose afferma-tivamente e, tirando a dritto, mi fececenno di seguirlo. Si cambiò rapida-mente, con un mio certo imbarazzo,perché non sapevo se dovevo usciredalla stanza o meno e poi mi guidò fi-no alla corsia, dove mi affidò a un

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Il prof. Mauro Ferrari.

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giovanissimo specializzando di nomeFabrizio Michelassi, oggi uno dei piùimportanti chirurghi gastro-intesti-nali del mondo e già Campano d’Oro,ricevuto 6 anni fa. All’epoca Mosca aveva più o me-

no 33 anni. Lo conosco da allora: ol-tre 40 anni. Per metà di questo pe-riodo, sono stato suo collaboratorediretto. Per altri 15, pur essendo ioDirettore di una unità operativa au-tonoma, ho condiviso con lui, larga-mente, impostazioni e strategie delgruppo, di cui lui era punto di riferi-mento, ma anche negli ultimi 4 an-ni, dopo il suo pensionamento, nellasua veste di Professore Emerito diChirurgia dell’Università di Pisa, ilcontatto si è mantenuto, natural-mente, su basi diverse.Conosco bene il Mosca medico, il

chirurgo (il chirurgo è un medicoparticolare, anche quando non ha ilbisturi in mano) e di questo aspettovorrei, soprattutto, parlare. D’altraparte, se Franco Mosca è noto a Pi-sa, in Toscana, in Italia (ricordo unimportante riconoscimento che ilPresidente della Repubblica gli haconferito nel 2005 a sottolineare lospessore nazionale del personaggio:la Medaglia d’oro della RepubblicaItaliana al Merito della Sanità Pub-blica) ed all’estero è proprio per lasua caratura professionale, per ledoti umane e per quei tratti caratte-riali che si adattano perfettamenteal lavoro che si era scelto. Da questabase è partito, e poi ha costituito il

trampolino che gli ha permesso dirappresentare se stesso e le Istitu-zioni su palcoscenici diversi.Certo, non è ad aspetti tecnici che

mi riferisco; non sarebbe questo illuogo per rimarcare le capacità dieseguire procedure chirurgichecomplesse; per elogiare «la mano».Sicuramente anche quella ci vuole ec’era, ma non è questo che fa la dif-ferenza. C’era, anche, e soprattutto,una grande capacità clinica di saperfare diagnosi, anche molto comples-se e di saper scegliere la terapia mi-gliore e la tempistica migliore. Voglio soffermarmi sui suoi valo-

ri, quelli che poi ha trasmesso al suogruppo, ma che sono chiaramentestati percepiti anche al di fuori delgruppo, anche al di fuori del mondodella sanità e che lo hanno reso unesempio da seguire.L’impegno e la dedizione: spesso

sono stati prevalenti sugli interessipersonali e, qualche volta su quellifamiliari. Ha insegnato che dall’im-pegno, talvolta, dipende l’esito di unpercorso di cura, la vita di un pa-ziente. Mi ricordo che qualche voltapareva preso dalla stessa tensione,partecipazione emozionale, pathos,che attanaglia chiunque quando unodei suoi cari è in pericolo: tensionesenza tregua…non c’è giorno, nénotte; giorno feriale o festivo. Comese il tempo non avesse più valore,come se si fermasse. Tutto focalizza-to sul paziente e sui suoi gravi pro-blemi. Questo è accaduto più volte

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ed è stato giudicato, da qualcuno,come attenzione maniacale, ossessi-va, ma sono convinto che, agendocosì, qualche vita è stata salvata,raggiungendo l’obbiettivo più ambi-to per un medico: un obbiettivo dalvalore inestimabile. Oggi non si po-trebbe più farlo, perché ci sono leggiche impongono un limite massimoalle ore lavorate ed un intervallo mi-nimo tra un servizio e l’altro. Le leg-gi vanno rispettate, ci mancherebbealtro. Poi non c’è dubbio che è piùcomodo lavorare quando si è riposatie si vive anche meglio, ma non dob-biamo dimenticare che in quel modoè stata scritta una parte importantedella storia della chirurgia pisana(ma non solo pisana, se vediamo do-ve sono finiti i suoi allievi). Strettamente connesso a questi

valori, il rispetto dell’ammalato, del-la persona che soffre e che è in con-dizioni di oggettiva debolezza. Nonne ha mai fatto questione di ceto so-ciale o culturale, ma solo di rispettoumano. Ha anche mostrato rispettoverso i Colleghi che gli inviavanopazienti, manifestando stima e fidu-cia in lui. Non ha mai spinto i pa-zienti verso l’attività privata: in Casadi Cura andava, ed alcuni di noi conlui, ma solo dopo aver finito il lavoroin Ospedale, sapendo che, in questomodo, creava anche spazi di soprav-vivenza per i giovani, i quali nonavevano ancora un posto in Ospeda-le o nell’Università, ma avevanobuone potenzialità e, pertanto, anda-

vano sostenuti fino alla prima occa-sione. I guadagni personali di quel-l’attività privata sono stati, in partemolto rilevante, investiti nelle attivi-tà di ricerca e formazione sostenutecon l’Associazione Pisana di Ricer-che in Chirurgia e successivamentecon la Fondazione ARPA.Poi, lo spirito di servizio: ha inter-

pretato il suo ruolo, il suo mandato,in modo ineccepibile. Curare ed in-segnare a curare: il valore dell’inse-gnamento e la soddisfazione di ve-der crescere i suoi allievi, molti deiquali hanno fatto strada, certamentegrazie alle loro capacità, ma ancheper merito dei suoi insegnamenti edelle sue raccomandazioni (nel sen-so anglosassone, dove la raccoman-dazione è una parola d’onore che sispende verso qualcuno che ti chie-de: «com’è tizio, che sa fare, che puòfare se viene a lavorare da me?»).Più che nomi e numeri di allievi, èbene però ricordare che, raccoltal’eredità del suo Maestro, prof. Selli,purtroppo con la contrarietà (poi ri-velatasi inefficace) di altri membridella Scuola, il prof. Mosca ha strut-turato un programma di trapianti diorgani solidi ridando vigore a quellodi rene; poi ha costruito quello di fe-gato e quello di pancreas e rene-pancreas. Solo per citare quello delfegato, l’anno scorso è risultato ilprimo in Italia per numero di tra-pianti eseguiti. Poi ha aperto la stra-da della chirurgia vascolare, stradache io stesso ho seguito. Inoltre, la

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chirurgia oncologica del pancreas ela senologia (come non ricordare ilbrillante percorso di Manuela Ron-cella, punto di riferimento certa-mente toscano, ma anche nazionaleed internazionale?). Come non ricor-dare anche la lungimiranza di farcrescere la prima generazione dichirurghi ecografisti e di chirurghiendoscopisti. Soprattutto per i primi,il valore aggiunto di sapere usareuno strumento diagnostico (ma an-che interventistico) così versatileprima, durante e dopo un interventochirurgico, è inestimabile.Oltre a questo, la chirurgia mi-

ninvasiva: la laparoscopia avanzatainiziata con l’invio a Dundee di An-drea Pietrabissa, presso il Centrodiretto da Sir Alfred Cuschieri, ilpioniere della chirurgia laparosco-pica, contatto che poi il prof. Moscaha tenacemente mantenuto ed im-plementato, capendo quando Pisaavrebbe potuto guadagnare da que-sta partnership. Sir Alfred (che rice-verà a giorni la Laurea ad Honoremin «Bionics Engeneering» per quel-lo che ha dato a Pisa) ha conosciutoil gruppo ed ha riconosciuto che erauno dei migliori a livello internazio-nale. È stato un nostro ambasciato-re. Ha permesso che il nome di Pisaarrivasse dove era più difficile arri-vare (in America, in generale, qual-che prevenzione verso il nostro Pae-se ce l’hanno). Poi l’American Col-lege of Surgeons (la più antica e pre-stigiosa Società Scientifica Chirur-

gica) ha accolto tra i suoi membri(ed è questo un altro riconoscimentoimportante) il professor Mosca, cer-tamente anche per la Scuola che hasaputo creare. Egli è stato anche no-minato membro onorario del RoyalCollege of Surgeons scozzese e dellaSocietà polacca di chirurgia.Non tutte queste cose (laparosco-

pia, ecografia, endoscopia avanzata)lui sapeva fare in prima persona: manon è stato rilevante. Quello che èsempre stato importante era che unallievo in grado di farlo «se ne occu-passe», con la dedizione e l’impegnoche avrebbe messo lui e che poi tra-smettesse le conoscenze acquisiteagli altri. In altre parole: il concettodel delegare in modo responsabile.Dicevo del ruolo di formatore. Ha

saputo farsi da parte per fare cresce-re i giovani, cosa assolutamente raranel panorama della chirurgia uni-versitaria italiana. Tanto strano, chemolti si chiedevano e mi chiedeva-no, quando ha cominciato ad opera-re meno, se per caso non fosse mala-to e quindi non più in grado di ope-rare. Qualcuno, poi, ha anche utiliz-zato questa bugia in modo strumen-tale. Non posso non ricordare quan-do mi chiamò (era il 1990) per dirmiche riteneva che avessi compiuto ilmio percorso di maturazione e chemi aveva fatto accreditare presso laCasa di Cura di S. Rossore per fareinterventi di chirurgia vascolare. Daallora, chiunque fosse andato da luicon problemi vascolari, riceveva

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l’invito a rivolgersi a me. Anche pa-zienti privati. Anche pazienti «dirango». Ne ricordo uno che mi disse:«guardi, dottore, per me prenderel’aereo ed andare a Houston, è robada niente, ma il professor Mosca miha detto che lei non è da meno ed iosono qui, fiducioso». Questo esem-pio dà la dimensione esatta del suomodo di interpretare il ruolo di Mae-stro: farsi da parte, ma pretendere,in modo determinatissimo, che coluiil quale o colei la quale aveva pistalibera davanti desse «un po’ più»del massimo.Appunto, il rigore e severità nel

pretendere da tutti il massimo risul-tato possibile: quel rigore e quellaseverità erano, e sono, a tutela degliinteressi dei pazienti, dei colleghi,dei decisori (di chi ti ha dato un cer-to ruolo). Se pensiamo che ciascunodi noi gestisce risorse pubbliche, in-teressi pubblici importanti come latutela della salute, comprendiamo ericonosciamo che quel rigore e quel-la severità sono baluardi da difende-re. Certo, non è sempre stato facileinterfacciarsi con lui: il suo caratterenon sempre aiutava. Una volta midisse che anche suo padre, quandolui era ragazzino, gli aveva detto chenon aveva un carattere facile!Oltre alla determinazione nel

raggiungere gli obbiettivi (resa unpo’ più difficile, allora, per via delfatto che non ci si poteva allontana-re da un telefono! Quando a Pisa ar-rivarono i primi teledrin, fummo i

primi ad acquistarli… non parlia-mo poi dei telefonini, che ci hannocambiato la vita, permettendoci direstare disponibili, potendo usciredi casa, affrancati finalmente dal«filo del telefono») devo ricordareanche la lungimiranza di avernesempre di nuovi, che l’ha portatonel 2001 a partecipare ad un bandodel MIUR per la costituzione diCentri di Eccellenza. Ne furonoistituiti due in Italia, di ambito chi-rurgico ed uno di questi fu Endo-CAS di Pisa. EndoCAS (dove CASsta per Computer Assisted Surgerye «endo» per endocorporeo) è oggiun centro che afferisce ad uno deitre Dipartimenti di Area Medica delnostro Ateneo e si occupa di ricercain ambito di nuove tecnologie inmedicina ed in chirurgia. Ha moltecollaborazioni a Pisa ed all’estero.All’interno, il team tecnico è costi-tuito da soli ingeneri e si avvaledella collaborazione di economistisanitari (prof. Turchetti) e della di-rezione di un medico (da me). Ilconcetto che lo ispira è quello dimettere, in un ambiente ospedalie-ro, dei tecnici per aiutare a risolve-re problemi, che si incontrano nellacura dei pazienti. È molto dedicatoalla formazione dei giovani medici,ma anche di personale non medico,attraverso la simulazione. Disponedi simulatori fisici e virtuali, moltidei quali acquisiti attraverso dona-zioni della Fondazione Arpa. Endo-CAS è l’esaltazione della interdisci-

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plinarietà, quella stessa visione havisto Franco Mosca tra i promotoridel corso di laurea in IngegneriaBiomedica.Negli anni in cui EndoCAS nasce-

va, egli, da tempo, aveva cominciatoa rivolgersi a parti sempre più ampiedella società civile per costruirequella alleanza, che necessariamen-te ci vuole intorno all’articolato mon-do della sanità. È stato ed è bravissi-mo nel coinvolgere persone, chehanno un ruolo significativo nellasocietà (mondo dell’arte, della cultu-ra, dell’industria, dello sport) tra-sformandoli in ambasciatori, ma an-che inducendoli a dare aiuti concreti(in termini economici), prima attra-verso Associazione Pisana Ricerchein Chirurgia (1987) e poi con la Fon-dazione Arpa (1998). Di tutti i soste-nitori di Arpa, menziono solo il Mae-stro Bocelli, Presidente Onorario,che, come intuibile, ha dato un note-vole contributo materiale ed in ter-mini di immagine. Quest’anno Arpaha rendicontato le proprie iniziative(10 borse di studio, per studenti emedici meritevoli in varie parti delMondo; 6 premi di studio; 15 proget-ti creati o innovati in tutto il Mondo;11 nuovi testimonial ed oltre 20eventi organizzati per promuovere laFondazione. Oltre 350mila dollarispesi per acquisto di materiali e so-stegno alla ricerca ed alla formazio-ne). Tra i progetti della FondazioneArpa, cito quello al quale credo ten-ga di più: coinvolge studenti ed ex

allievi della Scuola Sant’Anna peraiutare i Paesi più poveri del mon-do, con un progetto di cooperazioneinternazionale: il progetto HOPE.«Se vogliamo davvero migliorare

questo mondo – ha detto il professorMosca – è indispensabile che chipuò si impegni, non solo economica-mente, a sostenere le popolazionipovere. Il progetto si basa sulla cul-tura della solidarietà e della «resti-tuzione»: chi si è formato nelle no-stre Università acquisendo risorse,competenze e sapere può e devemettersi a disposizione di chi nonavrà mai nulla di simile perché vivein situazioni di emergenza, estremodisagio e povertà».È evidente che il prof. Mosca è un

personaggio poliedrico: grande pro-fessionista (saper fare il medico, l’u-manità, il rispetto), impregnato dietica del lavoro (impegno, dedizio-ne); con grande senso istituzionale(insegnare, educare); lungimirante(aprire strade nuove, tendere versola multidisciplinarietà realizzandoEndoCAS), che porta avanti, paral-lelamente, una Fondazione per il so-stegno alla ricerca e per la coopera-zione internazionale, a favore di stu-denti, medici e paesi meno fortunatie più deboli. Si sente pisano, perché arriva a

Pisa agli inizi degli anni ’60 e tra-scorre a Pisa tre quarti della sua vi-ta. Le sue figlie sono pisane, i gene-ri quasi; i nipoti sono pisani e luideve molto a questa città,

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però…non dimentica le sue originipiemontesi, biellesi, e mantiene unforte legame con le sue radici. Perquesto, ha fortemente voluto recu-perare il Collegio Puteano ed è Pre-sidente della Fondazione CollegioPuteano, il cui scopo è quello diconsentire, attraverso l’assegnazio-ne di borse di studio, la possibilitàa studenti nativi nel comune diBiella e nei comuni adiacenti difrequentare i Corsi di Laurea attiva-ti dall’Università di Pisa, usufruen-do in forma gratuita di alloggi, ser-vizi e di assistenza didattica. Nella stessa maniera, mantiene un

forte legame con la Scuola Sant’An-na, presso la quale ha studiato ed èPresidente della Associazione exAllievi. Molte volte, partecipando asue iniziative, ho percepito la volon-tà di tendere la mano ai giovani, aquelli che meritano, per aiutarli acrescere, per spingerli a fare sempremeglio, in questa reciprocità per cuiquello che si è avuto, deve esserereso e deve alimentare un circolovirtuoso.Mi fermo qua, perché non c’è al-

cun bisogno che continui a tratteg-giare le caratteristiche del prof. Mo-sca e ad elencare quello che ha fattoed i riconoscimenti che ha ottenuto.La sua presenza, nel mondo dellamedicina, come nella società civilenon è passata inosservata e rappre-senta un modello difficile da ripro-durre, ma, certamente, dal qualetrarre ispirazione.

Le motivazioni del conferimento di Paolo GhezziPresidente di A.L.A.P.

Franco Mosca rappresenta unesempio di etica professionale e mo-rale cui ognuno dovrebbe aspirare. Isuoi indubbi meriti scientifici ed or-ganizzativi ne hanno fatto un puntodi riferimento nell’ambito della chi-rurgia italiana e internazionale. Pri-mo operatore di circa 30.000 inter-venti chirurgici nell’ambito dellachirurgia generale, della chirurgiavascolare, dei trapianti d’organo, èstato un precursore e un visionariotanto da sviluppare nell’AziendaOspedaliero Universitaria Pisana, latrapiantologia renale dal 1987 edintrodurre quella di fegato e di pan-creas nel 1996 consentendo alla no-stra Città, a distanza di due decen-ni, di diventare una delle realtà di

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Il dott. Paolo Ghezzi.

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riferimento nel panorama mondialedei trapianti. Co-Fondatore dell’A-genzia Interregionale dei Trapianti,è stato Presidente della Società Ita-liana dei Trapianti d’Organo. Ha da-to impulso decisivo al Sistema To-scano della Donazione degli Organie Tessuti. A lui si deve l’intuizione,ed il successivo sviluppo, dell’eco-grafia diagnostica ed interventisticanonché dell’endoscopia chirurgica. A lui si deve la realizzazione del-

la prima Terapia Intensiva Chirurgi-ca dell’Ospedale Pisano. Ha costi-tuito in collaborazione con il CNR ilCentro Comune di Chirurgia Speri-mentale in San Piero a Grado. Ilcontributo del prof. Franco Moscaall’amata Scuola di Medicina Uni-versitaria pisana è stato rilevante. Èstato Direttore della Scuola di spe-cializzazione in Chirurgia Generale,Direttore del Dipartimento di Onco-logia dei Trapianti e delle NuoveTecnologie in Medicina, Direttoredella Scuola in Scienze Infermieri-stiche, Direttore del Dottorato di ri-cerca in chirurgia, biotecnologie edimmunologia dei trapianti. A lui sideve, nel 2001, la creazione a Pisadel Centro EndoCAS, una eccellen-za nazionale ed internazionale chesi occupa di ricerca in ambito dinuove tecnologie in medicina e chi-rurgia con una profonda caratteriz-zazione multidisciplinare. Il Centroprimo ed unico in Italia è stato ac-creditato fin dal 2013 dall’Ameri-can College of Surgeons per la for-

mazione basata sulla simulazione.Professore stimato e rispettato,

non si è limitato a trasferire le pro-prie conoscenze ai suoi studenti edallievi, ma è stato capace di intuirnele doti e le potenzialità favorendonela crescita professionale e l’afferma-zione personale in quei settori inno-vativi della medicina che sarebberopoi diventati punti di forza dell’A-zienda pisana. Autore di 350 articoli scientifici

indicizzati, tra 97 libri e capitoli, hamesso a disposizione dei giovaniaspiranti chirurghi la sua immensaconoscenza e il suo rigoroso metododi lavoro basato su un impegno tota-lizzante mai avulso, però, da una pro-fonda umanità. Profondamente lega-to e riconoscente alle sue due città,Biella in cui è nato e Pisa in cui si èformato e ha operato e vissuto, il prof.Franco Mosca ha restituito alla co-munità più di quanto abbia ricevuto.Grazie a lui è stato recuperato e ri-lanciato il Collegio Puteano, che incollaborazione con la Scuola Norma-le Superiore e la Scuola Sant’Annaconsente attraverso borse di studio astudenti meritevoli la possibilità difrequentare l’Università di Pisa, usu-fruendo in forma gratuita di alloggi,servizi e di assistenza didattica. Ha fondato nel 1987 l’Associazio-

ne Pisana Ricerche in Chirurgia enel 1991 la Fondazione Arpa per fi-nanziare Ricerca e Formazione diArea Sanitaria che ha portato ingentirisorse investite a Pisa. La Fondazio-

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ne ha nella sua missione anche la co-operazione umanitaria mettendo adisposizione del Sud del mondo il sa-pere ed il saper fare; molti sono i Me-dici e gli Infermieri che raggiungonoPisa dai Paesi svantaggiati per for-mazione ed aggiornamento; molti so-no i nostri giovani coinvolti da Arpain attività di volontariato con missio-ni a favore degli ultimi della Terra.Il prof. Franco Mosca è senza

dubbio uno dei professionisti che hascritto la storia medica degli ultimidecenni ma è, ancor prima, la con-ferma che nessuna eccellenza pro-fessionale è veramente utile, né ri-conoscibile, se non condivisa guar-dando al futuro e accompagnata dauna profonda umanità.È con grande orgoglio che

l’A.L.A.P., nel riconoscere le straor-dinarie doti di docente e chirurgononché l’elevata qualità umana con-ferisce il «Campano d’oro» per l’an-no 2016.

Il discorso del Campano d’Oro di Franco Mosca

Autorità, Colleghi, Amici, Signo-re e Signori,sono colpito e commosso per la

sincera generosità espressa da tuttigli interventi che abbiamo appenaascoltato. Hanno provocato in me uncrescente tumulto di pensieri e disentimenti, che sarei tentato diesternare di getto, ma temendo di

fare confusione, mi atterrò alla for-mula che ormai da molti anni gover-na questa Cerimonia: al Premiato èrichiesto di parlare dei suoi ricordidegli anni da studente all’Universitàdi Pisa, della sua esperienza di vita,a rispondere alla Laudatio; la son-tuosa Laudatio del professor MauroFerrari sarà la traccia che mi facili-terà nel proporre una serie di consi-derazioni e riflessioni puntuali.Prima però vorrei raccontare co-

me sono giunto a Pisa. Per me è unpassaggio molto importante. Verso la fine dell’esame di Matu-

rità Classica il Presidente dellaCommissione, Professore di Medie-valistica della Scuola Normale Su-periore, si avvicinò e mi chiese co-sa intendessi fare all’Università

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Il prof. Franco Mosca.

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(dandomi del Lei). Volevo fare Me-dicina per fare il Dottore. «A Pisa – disse il Professore Eu-

genio Massa, così si chiamava l’uo-mo che mi cambiò la vita – abbiamoil Collegio Medico Giuridico dellaScuola Normale Superiore ed il Col-legio Puteano per studenti biellesi.Dica a suo padre di venire a parlar-mi. Spiegherò tutto a lui».L’idea di studiare a Pisa mi prese

tutto e subito. Venni per sostenere ilconcorso al Medico-Giuridico ac-compagnato da mio padre, che ave-va ben capito quanta importanzaavesse assunto per me la prospettivapisana. In treno mi disse che, qualo-ra non avessi vinto il posto, la fami-glia aveva la possibilità di sostener-mi per studiare a Pisa. Bene o maleavrei comunque studiato quaggiù.Albergo Aurora in Via della Faggio-la; dalla finestra della camera vidisulla facciata della casa di fronte lalapide che ricordava come lì avessesoggiornato per due anni GiacomoLeopardi e vi avesse scritto «A Sil-via». Un brivido. Non c’è volta chepassando per quella via non alzi gliocchi ricordandomi di quella primaforte sensazione.Il concorso andò bene.L’arrivo a Pisa: «Filobusse».

Piazza dei Cavalieri. Medico-Giu-ridico dietro «alle Normali». Im-patto indimenticabile. Sogno o sondesto. Costruzione nuova, camerasingola, citofono sul comodino, an-golo servizi (lavabo, bidet), mobili

in stile svedese, coperta con dise-gni di Giò Pomodoro.Devo tutto al prof. Eugenio Mas-

sa, l’uomo che mi ha cambiato lavita. Da lui, ecco perché ho raccon-tato questa storia, da lui una gran-de lezione: individuare e valorizza-re giovani promettenti. Ho fatto ditutto per non venir meno a questoinsegnamento.Al Collegio Medico-Giuridico

esperienza di vita unica. Ricordotutti i miei compagni, persone dacui ho avuto tanto. Noi del «Medi-co» imparammo molto dai Giuristi,intellettualmente vivacissimi e col-tissimi. Sapevano di letteratura mo-derna (Musil, Proust, Kafka, Grass)e rinfacciavano a noi «Medici» diesserci fermati alla lettura dei Pro-messi Sposi. Tra loro vi era chi sa-peva di cinema ed al ritorno dalleproiezioni del Cineforum della Nor-male in via San Frediano, spiegavail film nelle sue sfumature, nei suoimessaggi. Sapevano di politica; cir-colavano idee diverse ma non c’eraquella radicalizzazione ideologicache già caratterizzava altri ambientistudenteschi. Ricordo le lunghe ed animate dis-

cussioni tra Tiziano Terzani comuni-sta ed Alberto De Maio democristia-no: erano legati da amicizia fraternae lo sono stati per tutta la vita.L’interdisciplinarietà nelle Scuo-

le di eccellenza è un bene prezioso.Quelle generazioni del Medico-Giu-ridico (anni ’50 - primi anni ’60)

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hanno mantenuto forte il senso del-l’appartenenza e la grata consapevo-lezza dei tanti benefici ottenuti.Era diffusa la coscienza di usu-

fruire di un grande privilegio che tidovevi giorno per giorno guadagna-re. Che si venisse dal Profondo Nordo dal Profondo Sud (se ognuno di noiavesse parlato il suo dialetto non cisaremmo intesi) avevamo in comuneuna educazione scolastica di pri-m’ordine, ma soprattutto avevamoalle spalle famiglie, spesso semplicie talora povere, che ben sapevanocome l’istruzione rende le personelibere. Del resto i miei nonni, conta-dini, dicevano e traduco dal dialettobiellese (non parlavano l’italiano):«Studiate ragazzi se non volete do-ver dire sempre di sì a qualcuno».Al Medico-Giuridico grande con-

vivialità, convivio perpetuo, goliar-dia. Campetto di calcio, partitelletutti i giorni, disfide: i Normalistinon erano fatti per strapazzarsi die-tro ad un pallone. I Calabresi invecesì, ma perdevano sempre. ScusaMagnifico. È sul campo Abetoneche ho conosciuto Eugenio Ripepeche apparve subito poco vocato allosport della pedata (oggi si direbbeche era scarso) e decise di occupar-si a tempo pieno e con straordinariosuccesso agli studi Universitari edalla Carriera Accademica.All’inizio del 3° anno del corso di

Laurea comincio a frequentare l’O-spedale, la Patologia Medica direttadal prof. Fabio Tronchetti ed all’ini-

zio del 4° anno la Clinica Chirurgi-ca, ambiente complesso ed articola-to, affascinante, ma per molti versiinquietante. L’Ospedale era pieno dibravi dottori e bravi infermieri.Svettavano i Maestri con le loro Pre-stigiose Scuole. Monasterio, Tron-chetti, Gentili. Lezioni magistralicostruite per farti capire. Avevi lacertezza che ogni giorno imparavi.Le esercitazioni tenute con passionedidattica dagli assistenti. Il contattocon il paziente.

Grande Ospedale. Collaborazioni pronte ed entusiastiche

A 24 anni la Laurea; matrimoniodopo pochi giorni. Lungo soggiornoa Londra e poi a Parigi. Rientro conresponsabilità crescenti. Aiuto diSelli in Ospedale e nella Casa diCura San Rossore. Si arriva ai 32anni, cui fa riferimento Mauro Fer-rari e mi ricollego alla sua Laudatioper rispondere sui passaggi che ri-tengo per me cruciali o più signifi-cativi.Mauro all’inizio ha fatto riferi-

mento a Doriano Pardini, portieredella Clinica Chirurgica. 1987, tras-loco in massa, Medici ed Infermieridalla Clinica Chirurgia, ristruttura-ta, funzionale, ben organizzata perandare in Patologia Chirurgica, unatopaia che abbiamo subito, Medici esoprattutto Infermieri, rimesso incondizioni dignitose. Caro Mauro è

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stata la fortuna del nostro gruppo,giovanissimo. L’autonomia totale, li-beri di giocarcela. Dobbiamo tuttoal Preside Francesco Squartini ed aPaolo Donati, Presidente del Comi-tato di Gestione dell’Ospedale. Eb-bene Doriano Pardini, oggi qui pre-sente (lo ringrazio con affetto), chesarebbe rimasto in Clinica Chirurgi-ca, si presentò, non richiesto, alle 7del mattino di quella domenica conun carrettino per contribuire al tras-loco. Indimenticabile.

La «mano» chirurgica

In Clinica si viveva con il mitodella «mano». Ho visto chirurghicon le mani buone che non bastava-no a renderli non pericolosi. Ho vi-sto narcisi bearsi della loro «mano»,autoreferenziali e poco affidabili.Ho visto somari dalle zampe d’oro.La destrezza manuale è una dote na-turale. Chi ne dispone è avvantag-giato. L’esperienza inglese mi ha in-segnato molte cose. Ho visto chirur-ghi non particolarmente brillanti,ma tecnicamente bene impostati,eseguire interventi complessi in mo-do magistrale, capaci di escogitareprocedure innovative, capaci di va-lutare i propri risultati e di cambia-re migliorandosi. Li ho visti operarein un contesto organizzato con ane-stesisti e rianimatori formidabili.Altro che la mano.Quando Mauro Ferrari parla di

«tensione senza tregua ed attenzio-

ne maniacale» in realtà sta parlandodi continuità terapeutica oggi messaveramente a rischio da cattive abi-tudini, norme e leggi.Ma quando un paziente ci dice:

«Sono nelle sue mani» e tu gli dici:«Stia tranquillo» (Selli, laconico, achi gli faceva domande sull’inter-vento rispondeva: «Ci penso io» epotevi star tranquillo che non ti ab-bandonava) vuol dire che si fida e siaffida. Non lo puoi tradire perché èfinito il tuo turno, stacchi il telefonoed un altro subentra, spesso sapendopoco del paziente e dell’interventoche ha subito. Si muoverà sulla basedi un sentito dire o di una burocrati-ca scheda. Oggi per fortuna ci sonorianimatori molto capaci e dedicati,terapie intensive e sub intensive. Ma il chirurgo non può perdere di

vista il suo paziente e deve interagi-re con i rianimatori in proficua si-nergia. Molti guai derivano da con-flitti tra specialisti. Bisogna saperconvivere. Dice bene Mauro Ferrariche oggi non è più possibile unacontinuità per conseguenza di leggiche finiscono per favorire una peri-colosissima discontinuità terapeuti-ca. Prevedo molti problemi ed unrallentamento importante nella for-mazione del Chirurgo Europeo.Quante volte si sente dire: morte

per una banale appendicectomia,tonsillectomia, liposuzione ecc. Madi banale non c’è nulla in chirurgia.Dietro non poche complicanze anchemortali c’è solo la banalità dei com-

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portamenti, l’impreparazione, l’ine-sperienza, la superficialità, l’arro-ganza, la discontinuità assistenziale.Alla fine della giornata ricordiamocinon tanto dei buoni risultati, che so-no dovuti, quanto degli insuccessi echiederci dove abbiamo sbagliato noie non gli altri. «L’intervento era per-fetto», ma il paziente è morto. Maquando mai si può affermare che unintervento è perfetto. Non ho maisopportato di sentirlo dire. L’obbligo della verifica personale

prima di avallare ogni informazionericevuta. Selli ce l’ha insegnato.«’Un ce se pò fida’!». Una notiziapassata telefonicamente da un medi-co all’altro aveva portato un pazientein stato di shock al tavolo operatorioper «emorragia intestinale» presun-ta, ma che non c’era stata. Con il pa-ziente morto sul tavolo l’autorevoleprimario che l’aveva accompagnatoin sala operatoria, aggredì l’assisten-te che aveva innescato l’equivoco. IlProfessore non diceva mai parolac-ce. L’ho sentito dirle due volte soloin 40 anni. In quell’occasione men-tre il Primario che gli aveva portatoil paziente si scagliava contro il me-dico reo di avere sbagliato valutazio-ne, Selli si allontanò silenzioso e co-sternato dicendo sottovoce: «Chec***e sono stato!».

I trapianti

L’impegno in trapiantologia il no-stro gruppo l’ha vissuto come un ob-

bligo nei confronti dei malati disper-si in liste di attesa in Europa. Viaggidella speranza. Inaccettabile.Un settore molto delicato e com-

plesso che esige la massima interdi-sciplinarità. Comporta un profondocambio di mentalità per tutti; indu-ce crescita culturale ed organizzati-va. Una grande sfida per la comuni-tà medico-sanitaria, foriera di sti-moli e di sviluppo a tutti i livelli. In-duce la crescita di un Ospedale. Co-sì è stato per noi, sostenuti dall’Uni-versità con il Preside Campa e dal-l’Azienda con tutti i suoi Direttori apartire da Antonio Bizzarri fino aCarlo Tomassini.Interdisciplinarità dunque. Certo

se il chirurgo non si attiva o non èall’altezza non si parte o non si valontano. Tante sono le competenzenecessarie ed un anello debole fasaltare tutto. La discordia fra i vari attori del

processo Donazione / Trapianto /Post-operatorio / Follow-up porta arisultati pessimi ed infine al falli-mento del programma. Chi non capi-sce questa basilare necessità o noncostruisce o distrugge l’esistente. Con il prof. Mario Carmellini si

rilanciò il programma rene (1986).Mario è da molti anni a Siena doveha sviluppato con successo una in-tensa attività. Si aprì il programmapancreas nel 1996 e Pisa nei primianni del 2000 raggiunge diversiprimati, non solo nazionali, con ri-sultati eccellenti.

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Il programma fegato partì nel1996. Fu una drammatica falsa par-tenza. I primi tre trapianti fallironoper complicanze infettive dovute afattori ambientali. Pausa e riparten-za dopo 7 mesi da incubo, questavolta con pieno successo. Il primotrapianto finì alle 5 del mattino. Mirecai nella Terapia Intensiva per ve-dere se tutto era pronto. Ho vistouna giovanissima infermiera che, hopensato, per l’ennesima volta disin-fettava l’ambiente, sola soletta nellapenombra. Non la dimenticheròmai. Il clima di attesa, di partecipa-zione era eccezionale. Pensai chenon avremmo fallito, che non pote-vamo fallire.La squadra era ben preparata.

Grazie a Fabrizio Michelassi, Cam-pano 2010, abbiamo avuto accessoal programma di trapianto in Chica-go, diretto da Christoph Broelsch,padre della trapiantologia mondia-le. Decine di medici, chirurghi,anestesisti, epatologi, nefrologi, ga-stroenterologi si sono formati inquel contesto. Tu stesso Mauro seistato a far prelievi in giro per gliStati Uniti. E così Manuela Roncel-la che in Italia ha fatto decine diprelievi di fegato suscitando ovun-que ammirazione.Il prof. Franco Filipponi ha sapu-

to sviluppare questo programma almeglio preparando numerosi allieviin grado di garantire ottimi risultati.Nel 2015 quello di Pisa è stato il 1°centro in Italia.

Lo sviluppo delle nuove tecnologiein chirurgia (EndoCAS)

È questo l’ultimo dei tre obiettiviche ci eravamo posti, oltre alla chi-rurgia vascolare ed i trapianti. Qui lastoria viene da lontano. Nel 1986,fresco titolare della Cattedra e diUnità Operativa, con la fortuna diavere un gruppo di giovani e giova-nissimi di valore, mi si presenta lagrande opportunità di conoscere ilprof. Alfred Cuschieri. Ci incontram-mo un mattino presto, nel parco diun castello in Germania, sede di uncongresso. Tu, Alfred, con la pipa edio con il mezzo Toscano (poi avrem-mo smesso tutti e due di fumare). Gliesposi i miei progetti e lui si dimo-strò da subito disponibile. La dispo-nibilità come tratto essenziale delchirurgo vero. 30 anni fa. Un altrogiorno fortunato e decisivo. Avevamotrovato un Maestro. Da allora Sir Al-fred è venuto a Pisa più volte l’annoad aggiornarci sui suoi progressi inChirurgia mini-invasiva; ha accoltoAndrea Pietrabissa un anno a Dun-dee con moglie e figlio nato da poco.Esperienza decisiva perché si è

riversata su tutto il gruppo rendendopossibile l’ammodernamento nonsolo in chirurgia generale, ma anchein quella vascolare, trapiantologica,urologica diffusa da Pietrabissa aglialtri allievi e tra gli specialisti degliOspedali dell’Area Vasta. A metà anni ’90 è chiaro come

l’accelerazione imposta dallo svi-

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luppo tecnologico stesse diventandoimperiosa. Il Preside della Facoltàdi Medicina, il compianto professo-re Mario Campa, sposò subito laproposta di trovare un accordo congli ingegneri per istituire un Corsodi Laurea in Ingegneria Biomedica(Campa, Dario, De Rossi, BrunelloGhelarducci ed il sottoscritto). Ilcorso parte nel 2001 ed ha avuto finqui un successo clamoroso.Festeggeremo martedì prossimo

(25 ottobre 2016) Sir Alfred, scien-ziato, inventore di fama mondialecon la Laurea ad honorem in Inge-gneria Bionica, il nuovo Corso cheha visto Università degli Studi eScuola Sant’Anna Superiore insie-me: gran bel segnale.

EndoCAS - Centro di Eccellenzadel MIUR per la Chirurgia assistita al Computer

2001 - Bando Ministeriale2004 - Finanziamento rilevante2006 - Il Centro è edificato ed ope-rativoPensato per Andrea Pietrabissa

ed a lui affidato visto il contributoda lui dato all’impostazione delCentro grazie alle sue attitudiniscientifiche e anche ingegneristiche– posso dire così, Andrea?Poi Andrea se ne deve andare da

Pisa per Pavia. Il grande cruccio dinon averlo potuto trattenere è alle-viato dallo straordinario successoconseguito e lungamente previsto.

Nel 2013 il Centro riceve l’accre-ditamento ACS (American Collegeof Surgeons) primo ed unico in Italiaconfermato quest’anno per i prossi-mi 3 anni. Anche qui la multidisciplinarietà

la fa da padrona. Non solo Chirur-ghi, ma anche Ingegneri, Informati-ci, Biologi, Rianimatori, Cardiologi,Infermieri. Multidisciplinarietà vuoldire: tutti passo indietro, ascoltaregli altri, discutere, fare squadra.Chi non ha capito questo valore

strategico è fuori dai tempi. Anchein chirurgia fare squadra favorendola multidisciplinarietà significa pro-gresso sicuro e durevole: l’uomo so-lo al comando non va lontano.Ebbene sì, confesso, ho un carat-

tere molto difficile. Me lo sentii di-re, tredicenne, da mio padre. Il pri-mo a farne le spese sono io (lo diconon per excusatio). Sono stato moltoesigente prima con me stesso e poicon tutti voi cari Allievi. Ho contatosull’esempio. Ho preteso il massi-mo. Chi ha voluto seguirmi in unimpegno duro lo ha fatto per suascelta e poi alla fine tutti potrebbe-ro essere contenti e anche moltocontenti. Sono veramente pochi quelli che

non hanno approfittato dell’opportu-nità. Quando ho sbagliato, credete-mi è stato per inesperienza e semprein buona fede. Ho dato comunqueopportunità e fiducia a tutti, con de-leghe graduali e calibrate ed hogioito nel vedere crescere gli Allievi.

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Mi ricordo Mauro il tuo 1° aneuri-sma dell’aorta e cosa ti ho detto allafine.Grazie per aver ricordato il Colle-

gio Puteano anche nella motivazio-ne. «1604 Fondatum et dotatum»recita la lapide sul portale dell’edi-ficio secentesco di fronte alla Nor-male. L’Arcivescovo di Pisa CarloDal Pozzo lo fondò per dare ai giova-ni delle zone dove la nobile Fami-glia aveva tenimenti, meritevoli madi «poca fortuna» l’opportunità distudiare all’Università di Pisa.Chiesi al Rettore Elia di occupar-mene per riattivare la Fondazione. Econ l’aiuto di Virginia Messerinisiamo riusciti a rimettere in funzio-ne il Collegio. Ad oggi sono moltedecine gli studenti a cui è stata as-segnata la borsa di studio e molti nehanno approfittato al meglio.Vado più volte l’anno nelle scuole

ad illustrare l’offerta didattica di Pi-sa (Università di Pisa, Scuola San-t’Anna e Scuola Normale) e vedo chele cose funzionano sempre meglio.Spero che il nuovo Rettore che entrain servizio tra pochi giorni, prof.Paolo Mancarella, mi confermi ladelega. Grazie Paolo. Buon lavoro.Perché questo servizio? E ritorno

da dove sono partito: per non venirmeno all’insegnamento del prof.Massa, la persona che mi ha apertola via di Pisa 56 anni fa.Grazie anche per aver ricordato il

Progetto Hope dell’Associazione exAllievi del Sant’Anna aperto nel

2010, dedicato alla memoria di An-tonio Cassese, nella convinzioneche i giovani specie quelli di talento(«chi più ha, più deve dare» disse ilBeato Toniolo) devono impegnarsinella solidarietà per una eccellenzacompiuta. Non solo testa ma anchecuore.È sostenuto interamente da Arpa. Molti giovani hanno l’opportunità

di recarsi in missione, al seguito diprofessionisti (volontari) preparati emotivati. In missione nei paesisvantaggiati: specie in Africa e SudAmerica. È vero che sono gocce inun oceano di necessità, ma se vo-gliamo aiutare il Sud del mondo nonc’è altra via, per quanto lunga, senon quella di fare crescere le com-petenze in loco. È giusto e doverosocombattere la miseria, ma la povertàdi conoscenza rende le genti schia-ve. «Studiate ragazzi, se non voletedire sempre di sì a qualcuno» dice-vano i nonni. Imparare a fare e so-prattutto a vivere. I ritorni sono mol-to positivi.

I ringraziamenti a chi oggi ha speso parole generose e toccanti per me

Al Presidente dell’A.L.A.P., Ing.Paolo Ghezzi con tutto il ConsiglioDirettivo dell’Associazione che mihanno voluto onorare assegnandomiil Campano, peraltro attuando unaprocedura acrobatica, a me consi-gliere segreta, a sorpresa (riuscita).

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Alla Città di Pisa nella personadel Suo Sindaco, Marco Filippeschi.A questa città devo tutto. E poiché daPisano adottivo non sono fatto perandare in giro per il mondo a strapaz-zarmi, avrò tempo e spero modo di la-vorare per iniziative condivise. Al Rettore, prof. Massimo Augel-

lo, con profonda ammirazione e gra-titudine per il formidabile, intensolavoro coronato da risultati straordi-nari, non solo materiali, a favoredella nostra amata Università.Al Decano dei miei Allievi Acca-

demici, prof. Mauro Ferrari, per lasontuosa Laudatio che ho apprezza-to fino alla commozione perché daessa emerge diffusamente la condi-visione dei valori, i valori che ab-biamo l’obbligo di difendere e tra-sferire alle nuove generazioni.Ringrazio i precedenti Campani

oggi presenti e quelli che hannoespresso messaggio di partecipa-zione.A tutti gli Allievi e considero Al-

lievi quanti hanno sviluppato nonsolo capacità tecniche e gestionali,che sono dovute, ma soprattuttohanno dimostrato l’empatia verso ilpaziente ed i suoi famigliari e ri-spondono in prima persona, primadurante e dopo, della sua sicurezza.Insieme abbiamo costruito in Pisatante buone realtà come hanno fattomolti di loro fuori e lontano da Pisa.Sono felice per il loro successo e liammiro per l’attaccamento al lavo-ro, all’ospedale ed ai pazienti. Uno

per tutti il prof. Francesco Medi ec-cellente Primario, decano degli Al-lievi Ospedalieri. A lui mi leganoanni di impegno appassionato edesaltante.Ringraziamenti agli Infermieri

con cui ho avuto il privilegio di la-vorare, oggi presenti in gran nume-ro, pensionati e non. Grande il lorosenso del ruolo, l’impegno di offrireal paziente rispetto e la migliore as-sistenza dando il meglio di se stessispesso in condizioni veramente dif-ficili. Una per tutti e tutte, la Signo-ra Carla Vergalli, caposala del bloc-co operatorio che mi ha insegnato a«dare i ferri» ed ha allevato genera-zioni di ferriste con grande effica-cia, amabilità, intelligenza.Ringrazio gli ex pazienti oggi in-

tervenuti numerosi.Ringrazio tutti quanti hanno lavo-

rato con me, amministrativi, tecnici,volontari, Manuela Nepoti per tutti echi ancora lavora un po’ con me, Lo-rella Tacchi.Ringrazio il personale A.L.A.P. e

Francesca Fiorentini, consiglieraA.L.A.P., generosa e preziosa colla-boratrice in tante realtà pisane, pri-ma fra tutte Arpa.Ringrazio il Coro della nostra

Università, il Maestro Stefano Ba-randoni. Gli amici, artisti insigni,Maria Luigia Borsi e Brad Repp chesi sono ritagliati lo spazio, visti i lo-ro impegni internazionali, per lapiacevolissima sorpresa di parteci-pare all’offerta musicale.

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Le dediche

Ora so che mi avventuro in unterreno per me rischioso. La com-mozione mi può strozzare la voce eleggerò d’un fiato.In primis a mia moglie Giuseppi-

na. Siamo insieme da 55 anni e fe-steggiamo fra poche settimane 50anni di matrimonio. Giusi ha condi-viso da subito il mio impegno lavo-rativo il che ha comportato ancheper lei non pochi sacrifici e rinunce,rinunce ad una vita normale. È statariferimento sicuro ed equilibrato perme e per le nostre tre figlie; lo è an-cora oggi per tutti noi e per i nostrinipoti. Ha dispensato tranquillità e

serenità a tutti senza risparmiarsi,senza un attimo di debolezza. Sonocerto, sono certissimo, che senza dilei non avrei mai potuto realizzaretutto quanto è stato ricordato oggi.A Marta, Elena, Irene, le nostre

figlie, persone capaci e per bene(due hanno sposato livornesi, ma so-no brave persone anche loro; Mauro,tu dici generi «quasi pisani», ma so-no livornesi).A Pietro, Margherita ed Anna, i

nostri nipoti. Sono felice della loropresenza qui oggi, perché possonoconstatare come l’impegno portifrutti e li esorto ad imparare a dareil loro contributo alla società stu-diando e ricordandosi di quanti non

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I nipoti di Franco Mosca.

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hanno le opportunità e le fortuneche loro hanno. Se il buon giorno…:mi sento tranquillo. Faccio mie le parole finali del te-

stamento spirituale di Nicola Sacco:«Ricordati, figliolo, le gioie dei doninon le tenere tutte per te» (ed i doninon sono solo materiali).Dedico a tutti la seguente lettera

di Madre Teresa di Calcutta, Santa,riportata da Irene nel suo ricordo aMario Campa nel libro a lui dedi-cato: «Le persone sono spesso irra-gionevoli, illogiche ed egocentri-che: perdonale comunque. Se saraigentile, le persone potrebbero ac-cusarti di avere secondi fini: sii co-munque gentile. Se avrai successo,troverai false amicizie e nemici ve-ri: abbi comunque successo. Se sa-rai onesto e diretto, qualcuno po-trebbe tradirti: sii comunque one-

sto e diretto. Quello che hai impie-gato anni a costruire, qualcuno po-trebbe distruggere in una nottata:costruisci comunque. Il bene chefarai oggi, probabilmente domanisarà già dimenticato: fai comunquedel bene. Dai al mondo la migliorparte di te e non sarà mai abba-stanza: dai comunque al mondo lamiglior parte di te».Così conclude Madre Teresa:

«La resa dei conti, in fondo, è fra tee Dio. Non è mai stata fra te e glialtri». Mi permetto di aggiungere: «La

resa dei conti, in fondo, è anche frate e la tua coscienza».

Conclusione

Oggi avete premiato e festeggiatouna persona che ha avuto solo privi-

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Il Direttivo A.L.A.P.

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legi e la fortuna di realizzare quantoha sognato nel corso della vita e chedesidera rendersi ancora utile. Non vorrei aver dato l’impressio-

ne di voler lasciare oggi un «testa-mento», diciamo così. Ricorda laLaudatio: «tre quarti della vita pas-sati a Pisa»; avverto che punto aiquattro quinti.Grazie a tutti dal profondo del

cuore.

Una preziosa testimonianzaAndrea Bocelli

Carissimo Professore,le nostre più vive congratulazioni

per questo nuovo, prestigioso tributo!Conosco bene il «Campano d’o-

ro», sono felice che da oggi in poipossa annoverare, tra gli illustri lau-reati premiati, anche lei.Io pure, come lei ben sa, anche se

assai meno meritatamente, sono sta-to insignito del medesimo premio,quattro anni fa, e ricordo con emo-zione intatta quel ritorno tra le mura

dell’Ateneo. Sarei felicissimo oltreche onorato di poter essere tra colo-ro che l’applaudiranno, quando ri-ceverà l’ambito «Campano d’oro»che rievoca la torre medievale cheper tanti anni ha scandito l’inizio ela fine delle lezioni. Purtroppo, caroProfessore, proprio il 21 di questomese saremo in volo di ritorno daquel continente sudamericano dacui le sto scrivendo.Ancora una volta l’agenda sottrae

me e mia moglie da dove invece ter-remmo ad essere, ancora una voltadobbiamo accontentarci di comuni-care per lettera la nostra affettuosavicinanza.Nel frattempo, lietissimo per

questo ulteriore e meritatissimo ri-conoscimento, che indegnamentemi accomuna alla sua persona. Leporgo a nome mio e di tutta la miafamiglia le più affettuose congratu-lazioni e l’assicurazione della miapiù alta stima, come sempre, al lu-minare della medicina, al compa-gno di solidarietà. Con amicizia.

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Già dall’esterno del complesso del Palazzo dei Congressi si percepiscel’evento: persone che vanno e vengono, si dirigono, alcuni, come possonoper essere malfermi sulle gambe, verso l’atrio e si mettono educatamente infila sotto la lettera alfabetica che contraddistingue il cognome.Appena tocca il turno, un sospiro di sollievo traspare nei volti, come a di-

re: «sì, ci sono anch’io, ci sono arrivato, ce l’ho fatta». Si parla di nozze d’argento e d’oro con la laurea, ma qualcuno non ama que-

sta dizione, legata più a ricordi matrimoniali che ad un percorso di laurea. Ed ecco che si formano capannelli e gruppi di persone, spesso anche ac-

compagnati da parenti e familiari. È un educato bisbigliare, richiamare allamente, ricordare, salutare, a volte anche con commozione: «… Ma tusei…come stai … che fai o che hai fatto poi nella vita…». E poi iniziano iricordi: «… ti ricordi quando si doveva dare quell’esame con il prof…, ti ri-cordi quando si andava al bar …, hai più visto tizio e caio…» e di qui da unpensiero all’altro, da un memento del tempo che fu ad un abbraccio sincero.Sembra di rivivere la descrizione del primo giorno di scuola che si ritrova

sotto la data 1° ottobre (già a quell’epoca le scuole iniziavano il primo di ot-tobre) lasciataci nel libro «Cuore» di Edmondo de Amicis.

La Festa delle nozze d’argento e d’oro dei laureati pisani

di Maurizio Vaglini

La folta partecipazione alle «nozze».

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L’organizzazione invita ad entrare in sala, perché la cerimonia sta per ini-ziare. Subito si riempiono tutti i posti a sedere e chi arriva più tardi è co-stretto ad andare verso le parti alte, ma non c’è posto per tutti, già i «vec-chi» laureati pisani ogni anno aumentano, perché con il passare del tempo igiovani dell’epoca si iscrivevano sempre di più all’Università con la speran-za di avere un lavoro più sicuro, più remunerato, più qualificato. E poi la vi-ta si è fortunatamente allungata ed anche i più anziani, non solo di titolo distudio, ma, ovviamente di età, ormai ultrasettantenni e qualcuno più vicinoall’ottantina, sembrano ritrovare lo spirito di quella gioventù, di quegli anniuniversitari, quando gli attuali acciacchi fisici non c’erano, ma oggi sem-brano miracolosamente scomparire.Ad un certo punto vedo un gruppo di persone più numeroso del solito, la

curiosità mi spinge ad avvicinarmi e tra i discorsi, saluti e ricordi uno, nonso chi sia, dice agli altri: «…ma voi lo avete ancora il vostro berretto con lapunta tagliata? Io sì e con tutti i ciondoli». Già i ciondoli, alla pisana, pic-coli coutillion che rappresentavano e dovrebbero ancora rappresentare ogniesame superato.«Il mio cappello bianco (ogni facoltà aveva il suo colore) con il tempo si è

ingiallito» – risponde un altro signore – «ma è lì appeso nel mio studio ac-canto alla laurea e guai a chi me lo tocca». La discussione ora passa sullagoliardia, sulla festa delle matricole di quell’epoca per le vie della città, icarri, gli sfottò.Tutto, però, viene interrotto dall’altoparlante che annuncia l’inizio della

cerimonia, si prega di prendere posto a sedere e così iniziano a parlare leautorità: il Sindaco, il Rettore, il Presidente dell’A.L.A.P.

Solo quelli seduti davanti ascol-tano con attenzione, in fondo, co-me sugli spalti di uno stadio, ci sicontinua a muovere, ad incontrar-si, a salutarsi. Magari questi sa-ranno o saranno stati tanti docentidi qualche scuola e se avessero vi-sto i loro allievi muoversi e parlarecosì, a voce più o meno alta, inclasse cosa avrebbero fatto!! Oggi,però, è festa ed è concesso tutto,finchè, dopo i discorsi delle auto-rità, inizia la chiamata per ritirarela medaglia ed il diploma. Il Presidente A.L.A.P.

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33Ed allora tutti in fila con la massima attenzione, pronti a scattare lungo il

corridoio che porta davanti al Rettore per ritirare il sigillo dell’Alma Studio-rum. Qualcuno rimane indietro, non importa, con fatica recupera la posizio-ne e lì, giù a iosa, foto e strette di mano. È commovente vedere specialmente i più anziani, mettersi in fila ordina-

tamente, pronti a superare chi si è posto davanti, così per caso, per paura,nel fruscio generale che pervade le immense sale, di non sentire il proprionome. È quasi una corsa per tutti e qualcuno, forse anche giustamente, sot-tolinea che sarebbe meglio fare questa cerimonia nelle singole Facoltà (cosìsi continuano a chiamare per la circostanza). È vero la cerimonia è lunghis-sima e ci sono persone venute anche da lontano con le proprie famiglie.Oggi però è festa, si sopporta tutto e mentre uno per uno tutti i premiati

vengono chiamati al banco, i flash delle foto riempiono i locali di bagliori,scatti dopo scatti, per immortalare questo momento, che al di là di tutto, ri-mane sempre un piacevole attimo fuggente di una vita che corre, corre trop-po velocemente. E qualcuno lo fa notare: «…i tuoi capelli bianchi ed io chenon ne ho più, ma quand’eravamo giovani…».Tutti alla fine sono grati all’Università e all’A.L.A.P. per questa iniziati-

va che ogni anno si ripete puntualmente. Non tutti però sono iscritti al-l’Associazione dei Laureati Pisani, il destino li ha portati anche lontani,ma non mancano di iscriversi ora, in questo momento. C’è sempre tempoper rimediare.

Il tavolo delle autorità.

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Correva l’anno accademico 1966-1967 quando questi nostri Soci termina-rono gli studi a Pisa:Castelli Renzo, Cherchi Carla, Passa-

ponti Brunello, Mosca Franco, CianchiVillani Maria Teresa, Arduin Adriana,Pierucci Giovanni, Ioli Nadia, SantelliMaria Grazia, Pieri Luciano, TrivellaAntonio, Cassettari Mario, Altini Ren-zo, Montano Giacomo, Ranieri Benedet-to, Ollandini Maria Cristina, BarbieriFranca, Orfanti Carla, Torrisi Caterina,Guidati Marcella, Bimbi Stefania, Anci-lotti Giancarlo, Mazzoni Natale, DelGuerra Alberto. A tutti loro un «frater-no» augurio.

In questa occasione ricordiamo anche i 25 anni di laurea della nostraVicepresidente Francesca Fiorentini.

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Il consigliere A.L.A.P. prof. Brunello Pass-aponti, ex direttore del «Rintocco», ha riti-rato la medaglia per le sue «nozze d’oro».

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Come di consueto ALAP ha festeggiato in un clima di gioiosa convivialitàla ricorrenza dei 60 anni dalla Laurea. Gli alappini si sono dati appunta-mento allo storico ristorante pisano «Da Bruno» a Porta a Lucca per festeg-giare degnamente questi «grandi vecchi», esempio di una vita spesa piena-mente nella quale il momento della Laurea ha rappresentato il punto disvolta a livello professionale e non solo. Ecco i nostri «eroi» laureati neglianni 1955 e 1956: Alberto Lucchesini, Franco Rossi, Marcello Bandettini,Vando D’Angiolo (Campano d’Oro), Ferrante Rossi, Augusto Lenzi, PaoloMasnata, Sergio Santini, Pasquale Da Valle. Eccettuati Lenzi, Masnata eRossi che non sono potuti intervenire alla cena, gli altri hanno partecipato aquesto familiare ritrovo nelle accoglienti salette di Bruno (anche se ad onordel vero gli alappini immaginavano di essere ricevuti in un’unica e piùgrande sala) gustando piatti tipici della tradizione pisana tra cui spiccavaun favoloso stoccafisso con patate. Non è mancato l’intrattenimento per icommensali: Mario Messerini e Lorenzo Gremigni hanno interpretato sonet-ti vernacoli, dedicandoli ai festeggiati; Franco Bonsignori ha suonato la fi-sarmonica cantando celebri canzoni del passato, coinvolgendo i presenti;infine l’inossidabile «Nocciolo» (Dr. Bruno Bardi) ha improvvisato un mo-nologo goliardico tra Garibaldi e il Paolino di dantesca memoria. A seguiregli omaggi a ciascun diamantino e un piccolo discorso di saluto e memoriada parte dei festeggiati. Insomma una bellissima serata di calda e fraternaamicizia alappina. Di seguito i sintetici curricula dei protagonisti di questaconviviale.

Alberto LucchesiniLaureato nel 1955 in Economia e Commercio, ha la-vorato una vita in Banca d’Italia. Non ci ha mandatoil curriculum ma noi di ALAP lo conosciamo bene:iscritto nel 1984, ha ricoperto i ruoli di consigliere edi sindaco revisore, non facendo mancare per lunghianni il proprio sostegno all’associazione, e glienesiamo molto grati.

60 anni dalla laurea: la celebrazione dei «Diamantini»

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Pasquale Da ValleLaureato nel 1957 in Medicina e Chirurgia. Ha ri-coperto il ruolo di assistente incaricato presso ilPronto Soccorso di Lucca, è stato alle dipendenzedell’U.S.L. 2 di Lucca fino al 1986 ed è stato titola-re della Condotta Medica di Colle di Compito (LU).Fino al 2001 è stato medico condotto presso la me-desima A.S.L. 02. Da Valle ha ricoperto anche inca-richi amministrativi: assessore all’Igiene e alla Sa-nità del Comune di Capannori e consigliere provin-ciale (Lucca) dal 1994 al 1997.

Franco RossiLaureato nel 1955 in Medicina e Chirurgia. Nel1957 ha conseguito la specializzazione in Cardiolo-gia e nel 1959 la specializzazione in Fisiologia eMalattie Polmonari. Seguono nel 1967 la specializ-zazione in Igiene e Direzione Ospedaliera e nel1967 la libera docenza in Tisiologia presso l’ospe-dale Fornarini di Roma. Primario tisiopneumologodal 1970 al 1989 presso l’ospedale Malpighi diImola e dal 1989 al 1996 presso ospedale Bellariadi Bologna. Nel 1995 pensionamento ospedaliero e

proseguimento dell’attività libero professionale fino al 2005 con vari incari-chi presso strutture sanitarie di Bologna e provincia.

Marcello BandettiniLaureato nel 1957 in Medicina e Chirurgia. Specia-lizzato in clinica odontoiatrica nel 1959. Ha eserci-tato nello studio fondato dal nonno Vincenzo nel1910, poi passato al padre Renato, già direttore del-la clinica odontoiatrica di Pisa nel 1931. Ricopre lacarica di ambasciatore SMOM presso la repubblicaNamibiana dove svolge un programma di aiuto e so-lidarietà verso la popolazione e particolarmenteverso i bambini. Presidente nel biennio 89-90 delRotary Club Pisa, è insignito del riconoscimento

della «Pietra Blu». È Commendatore dell’ordine di San Gregorio Magno eGrande Ufficiale al merito della Repubblica.

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Vando D’Angiolo (Campano d’Oro)Laureato nel 1957 in Economia e Commercio, discu-tendo una tesi in Ragioneria con il Professor EgidioGiannessi. Da contabile semplice a imprenditore,oggi Vando D’Angiolo è alla testa del Gruppo Cam-polonghi che, nel settore lapideo, ha operato ed ope-ra in tutto il mondo con molti dei più grandi architet-ti. Nel proprio campo costituisce un esempio impor-tante di attività economica che dà prestigio al Paese.

Ferrante RossiLaureato nel 1954 in Ingegneria Elettrotecnica (tesiin radiotecnica), ha lavoratpo a Verona (Nato), SestoSan Giovanni (Magneti Marelli), L’Aquila (ATES/RCA) e Bologna (Ducati). Fonda nel 1965 la INTELL.E.A. (Laboratori di Elettronica Applicata). Nel1973, insieme a Ivo Barlettani, lancia Costa EtruscaTV, divenuta poi TelePiombino.

Augusto LenziLaureato nel 1955 in Medicina e Chirurgia, dallostesso anno fino al 1960 è Assistente presso PatologiaChirurgica, guidato dal Prof. Molfetta. Si trasferiscepoi nel comune di Campiglia Marittima, dove svolgela libera professione e dal 1970 al 1983 è Assistentepresso la Divisione Medica dell’Ospedale della città.Nel 1983 consegue la specializzazione in Malattie In-fettive presso l’Università di Siena. Dal 1992 al 1994è Aiuto presso Secondo Reparto Medico di Piombino.

Paolo MasnataLaureato nel 1956 in Ingegneria Industriale Mecca-nica con i professori Lazzarino e Nerli. Ufficiale diComplemento nel Genio Aeronautico ruolo ingegne-ri. Nel 1959 è assunto alla SADE, poi divenutaENEL, dove ha lavorato nel settore della distribuzio-ne dell’energia elettrica. È stato Capo Servizio Com-merciale nel distretto ENEL del Veneto.

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Sergio SantiniLaureato nel 1956 in Ingegneria Civile sottosez.Trasporti. Ha svolto il servizio presso la Scuola diGuerra Aerea di Firenze, nel Genio AeronauticoRuolo Ingegneri. Da ufficiale: in servizio alla Dire-zione Lavori dell’Aeroporto di Pisa. Ingegnere alCAMEN nel Gruppo Operativo Reattore. Dal 1960al 1975 è stato Direttore Ufficio Tecnico dell’EnteAutonomo Tirrenia. Dal 1975 al 1992 è stato Diret-tore Ufficio Tecnico del Presidio Ospedaliero di Pi-sa e dal 1992 è libero professionista.

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I «Diamantini» circondano il Presidente Ghezzi.

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Il Centro Universitario Sportivo pisano è una delle realtà associa-tive più longeve ed importanti in città. Una vera e propria fucinadi talenti sportivi che annovera in settant’anni di storia molticampioni e rappresenta, ieri come oggi, un centro strategico dipromozione sportiva e di sana aggregazione per gli studenti uni-versitari ed i pisani in generale.

Nei primi anni del Ventesimo secolo la realtà sportiva pisana si rivelò po-co attiva, complice una diffusa apatia nei confronti degli sport allora tradi-zionali ed una scarsa curiosità verso nuove discipline che ancora stentava-no a diffondersi fra la gente.Solo a partire dagli anni Trenta le rappresentative studentesche comincia-

rono a scontrarsi con quelle delle altre Università italiane. Si formò, infatti,un primo gruppo di studenti appassionati fra i quali gli annali annoveranoanche un giovanissimo Carlo Azeglio Ciampi, poi Presidente della Repub-blica, che proprio in quegli anni militò nella squadra dell’Ateneo pisano.Un tuffo agli albori dello sport pisano, in una dimensione «mitica» in cui

sono fiorite strepitose carriere sportive che, agli inizi, trovarono spazi nelcampetto all’aperto o nella palestra del CUS Pisa che si trovava nei pressidi Piazza dei Cavalieri, dietro la Scuola Normale Superiore, oppure nelcampo nei pressi dello stabilimento della «Saint Gobain» a Porta a Mare,ma anche al Campo Abetone e talvolta all’Arena Garibaldi.Le difficoltà che, al tempo, si dovevano sostenere nella pratica sportiva,

risulterebbero probabilmente insuperabili per molti giovani abituati oggi adavere a disposizione, da subito, molti benefici, ma tanta era la passione e lospirito di sacrificio dei giovani universitari, che vedevano i campionati na-zionali come un ambizioso obiettivo cui prepararsi per competere con altreimportanti realtà ed affrontare i giocatori migliori, ma soprattutto per vivereesperienze formative che completassero il corso accademico.

IL CUS Pisa: la casa dello sport universitario in città

di Stefano Gianfaldoni

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La seconda Grande Guerra sconvolse quell’equilibrio e solo a distanza dianni, con l’epilogo bellico, la vita universitaria, compresa quella sportiva,iniziò finalmente a pulsare.Nel 1947, al tempo della costituzione del Centro Universitario Sportivo

pisano, il Presidente Giovanni Salardi concretizzò il sogno di rilanciare l’at-tività sportiva all’interno dell’Università, sulle ceneri del Unione Goliardi-ca Pisana, in una città ancora profondamente segnata dalla guerra.L’impresa si rivelò assai complessa, ma con la convinta volontà e il desi-

derio di molti sostenitori il CUS Pisa venne prontamente riconosciuto dalSenato Accademico come ente sportivo rappresentante tutti gli studentiuniversitari. Era il 27 giugno 1947, quasi settanta anni fa.L’attività sportiva in seno al Centro prese così subito avvio: con pochissi-

mi atleti, il CUS Pisa partecipò ai Campionati Nazionali Universitari che sitennero nello stesso anno a Bologna.Da allora è stato un susseguirsi di partecipazione e di risultati, con un co-

stante avvicendarsi di grandi campioni universitari che hanno onorato Pisae lo sport, tutti accomunati dagli stessi impegni e sacrifici e sempre ripagati

Vogatori universitari solcano lo specchio dell’Arno.

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dalla stima e dall’interesse (non soltanto) degli sportivi e dei colleghi stu-denti universitari.I protagonisti sono giovani che rappresentano, ieri come oggi, un esem-

pio, riuscendo a coniugare, spesso con straordinario successo, l’impegno distudio con la preparazione alle competizioni nelle varie discipline ancoraoggi praticate presso il Centro; non necessariamente per spirito agonistico,ma anche per passione e desiderio ludico, volto all’aggregazione, alla salutee al benessere fisico.Numerose, dunque, sono state le affermazioni, in campo internazionale e

nazionale che, nel corso degli anni, hanno tenuto alto il nome del CUS Pisa edell’Università di Pisa. Successi che si rinnovano ancora oggi in alcune di-scipline di eccellenza nelle quali le squadre e gli atleti cussini sono impe-gnati con successo (hockey su prato, canottaggio, scherma, atletica leggera).Si coglie così a pieno l’obiettivo del CUS volto a promuovere e sviluppare

le attività amatoriali ed agonistiche universitarie, diffondendo e alimentan-do la cultura e i valori legati allo sport, offrendo numerose opportunità perpraticare sport organizzato in corsi, tornei e manifestazioni rivolte princi-palmente agli studenti, ma fruibili anche dai cittadini.Il CUS è un patrimonio organizzativo per la città di Pisa e una grande

realtà che sostiene concretamente lo sport in città.Un sodalizio che raggiunge quasi 7.000 iscritti (universitari, cittadini e

bambini), circa 250.000 presenze annue presso gli impianti di Via FedericoChiarugi (quest’ultimo è stato un campione cussino prematuramente scom-parso, ancora oggi rimpianto), con oltre 50 discipline sportive praticate e cir-ca 30 corsi universitari sportivi attivi, con otto sezioni sportive agonistiche(atletica, pallacanestro, calcio a 5, canottaggio, hockey su prato, rugby, ten-nis, tennis tavolo, volley) impegnate attivamente nella promozione dello sport.Una realtà dunque strutturata, che beneficia degli impianti universitari

che si trovano nella zona di Porta a Lucca e che divennero solo negli anniNovanta del secolo scorso la base sportiva del Centro. Si trattò di una feliceintuizione del presidente Muzio Salvestroni (affiancato dal vice presidenteMauro Brondi) che intuì le potenzialità dello sviluppo delle attività sportiveuniversitarie, decentrando gli impianti posti dietro la centralissima ScuolaNormale Superiore, dando così definitivo avvio ad una nuova stagione cus-sina. Da allora si è assistito ad una continua crescita del sodalizio, median-te investimenti, un’attenta programmazione organizzativa e gestionale, maanche alcuni significativi interventi edilizi condivisi con l’amministrazioneuniversitaria. Un percorso iniziato sotto la presidenza di Michele Rosati eche, soprattutto con il presidente Riccardo Vanni (con Giuliano Pizzanelli

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vicepresidente), è giunto a definitiva maturazione, culminando nell’organiz-zazione dei Campionati Nazionali Universitari disputati a Pisa nel 2008.Più recentemente, sotto la presidenza di Denny Innamorati, il Centro ha ul-teriormente rilanciato il proprio sviluppo, con ulteriori interventi, aprendosoprattutto gli spazi del campus cussino alla città, attuando un’importantesinergia con l’amministrazione comunale con la costituzione di un parco ur-bano che rappresenta oggi una risorsa essenziale nella zona nord di Pisa.Gli impianti in gestione al CUS risultano quindi un fiore all’occhiello

della città, come unanimemente riconosciuto anche dai Commissari ACESche nel 2016 hanno assegnato il titolo di «Pisa Città Europea dello Sport»apprezzando il campus cussino.Trattasi di un’ampia area dedicata allo sport, che vanta una struttura la-

mellare polifunzionale, il PalaCUS, nonché una struttura geodetica, campidi calcio a 5 e a 8, campi da tennis all’aperto e al coperto, un campo da hoc-key in erba sintetica; ma anche un campo da rugby all’aperto con fondo er-boso, un campo da beach soccer e beach rugby, un campo di calcio a11/Rugby sintetico con illuminazione a led, percorsi vita (uno di circa 1km; l’altro di quasi 1,5 km intorno agli impianti del CUS con diverse areeattrezzate per esercizi) e ancora una struttura polivalente per tennis tavolo,ballo e corsi di ginnastica, una palestra di arti marziali, una sala muscola-zione, sala fitness, spogliatoi, un bar ed il parcheggio.Il Cus rappresenta una vera casa dello sport ed un valore aggiunto trat-

tandosi di un grande centro polifunzionale immediatamente adiacente alcentro città, che costituisce oggi uno dei più grandi centri sportivi toscani.È una imponente struttura che si fa carico di un impegno gestionale e or-

ganizzativo assolutamente rilevante, sempre a braccetto con l’Università,attivando costanti relazioni con il C.O.N.I, il territorio e con i sodalizi piùattivi e virtuosi (fra cui, in primis, l’A.L.A.P.).Il CUS coglie così ancora oggi, al meglio, l’opportunità offerta dagli im-

pianti per assecondare la propria «mission», organizzando eventi semprepiù coinvolgenti (si pensi alle edizioni del «Tower Festival») e consolidandole proprie tradizioni sportive (notevole è stato negli ultimi anni il recupero ela valorizzazione della «Regata Universitaria Pisa Pavia - Trofeo Curtatonee Montanara», la regata di canottaggio che si disputa dal 1929 ed è ispirataalle gesta degli studenti universitari protagonisti della pagina bellica risor-gimentale). Il sodalizio cussino, inoltre, ha avviato nuovi importanti progettiper valorizzare la cultura sportiva (su tutti il «Centro Studi»), sempre rivol-gendosi in prima battuta agli studenti universitari, ma anche alla cittadi-nanza tutta, attivandosi per promuovere i giusti valori sportivi e la buona

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pratica sportiva senza distinzione, dai bambini (con l’esperienza del «CUSJunior», un esempio organizzativo a livello nazionale) ai più anziani, finan-che accogliendo eccezionalmente nelle strutture eventi di rilevanza inter-nazionale (come la tappa della Coppa del Mondo di scherma per disabili)che sanciscono, una volta di più, l’importanza strategica del Centro Univer-sitario Sportivo nel tessuto cittadino pisano.

La quota associativa 2016di 50 euro

può essere versata nelle seguenti modalità:

sul C/C postale n° 14152565 intestato aA.L.A.P. - Associazione Laureati Ateneo Pisano

bonifico sul nostro conto BancoPostaIBAN: IT46X0760114000000014152565

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Dalla scoperta dei capillari sanguigni ad opera di Marcello Mal-pighi, agli attuali sviluppi della ricerca medica in campo micro-vascolare: una storia con le sue radici nella Pisa del ’600.

L’arrivo a Pisa del celebre scienziato

Nato a Crevalcore nel 1628 e laureatosi all’Università della vicina Bolo-gna in «Medicina e Filosofia», lo scienziato Marcello Malpighi venne chia-mato nel 1656, appena ventottenne, da Ferdinando II dei Medici, Granducadi Toscana, ad insegnare medicina teorica all’Università di Pisa nell’ambitodi un programma granducale che potremmo chiamare «di attrazione di cer-velli», volto a potenziare l’Ateneo pisano. Il giovane medico si era già di-stinto presso l’Ateneo di Bologna per le sue doti di brillante studioso tantoda ricevere, subito dopo la laurea, l’incarico di lettore di Logica presso lastessa Università. Egli accettò quindi con entusiasmo l’incarico offertoglida Ferdinando II, che gli avrebbe permesso di dedicarsi allo studio dellamedicina e dell’anatomia, per le quali nutriva un forte interesse, più diquanto gli avrebbe consentito l’incarico bolognese. Malpighi insegnò per treanni a Pisa, tra l’altro ricevendo, per tale incarico, un lauto compenso (2000ducati l’anno) pari a quello percepito da Galileo all’apice della sua carriera.

Dalla medicina galenica alla scienza medica moderna

Possiamo a ragione affermare che il soggiorno pisano di Malpighi – du-rante il quale dimorò, secondo alcune fonti, in via Santa Maria presso il Col-legio Ferdinando – fu decisivo per le sue successive scoperte che gli avreb-bero permesso di imprimere il suo nome in modo indelebile nella storia del-la medicina. La sua venuta a Pisa gli consentì infatti di respirare il clima

Malpighi e i capillari: una scoperta«pisana» nel segno di Galileo

di Marco Rossi

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culturale che si era diffuso negli ambienti accademici e più ancora in al-cuni circoli non accademici della città, inclusa l’Accademia del Cimentoalla quale Malpighi aderì; ambienti questi fortemente permeati dall’in-fluenza moderna del pensiero di Galileo. Malpighi non conobbe lo scien-ziato pisano, che era morto nel 1642, ma fece grande tesoro della sua ere-dità scientifica e culturale che poneva l’osservazione diretta dei fenomeniquale «strumento» indispensabile per progredire nella conoscenza dellanatura e dell’universo. Concetti che gli studiosi della medicina e dell’ana-tomia fecero propri nei secoli successivi, ma che i medici contemporaneidi Malpighi, ancorati alle credenze tramandate dal medico dell’antichitàGaleno (da cui il nome di medici galenisti) attaccarono ferocemente, sca-gliandosi in accese polemiche contro Malpighi. Un ostracismo che Malpi-ghi, giudicato dai medici galenisti colpevole di minacciarne il prestigio edi mettere in dubbio il castello di pseudo-conoscenze che la dottrina gale-nica aveva imposto da più di millequattrocento anni, subì per tutta la vitaed a cui lo scienziato, senza cadere nella spirale di sferzante sarcasmo concui i suoi avversari condivano i loro attacchi, rispose colpo su colpo, affi-dando la sue repliche, esclusivamente concentrate sui contenuti, ad un’o-pera postuma, pubblicata per sua volontà alcuni anni dopo la sua mortedalla Royal Academy di Londra.

Un riferimento implicito a Malpighi nel Malato immaginariodi Molière

Un’eco di questi attacchi si trova nella commedia «Il malato immagina-rio» del grande commediografo francese Jean-Baptiste Poquelin, meglio co-nosciuto con il nome Molière, che fu contemporaneo di Malpighi. In questacommedia vi è una lunga battuta del medico galenico Diarroico che, nelvantare le doti del figlio, anch’egli medico tenacemente ancorato ai principiimmutabili della medicina galenica, così si esprimeva: «…ma quel che mipiace in lui sopra ogni cosa, e in questo egli segue il mio esempio, è che sirifà ciecamente alle opinioni degli antichi, e che mai ha voluto comprende-re, e nemmeno ascoltare, le ragioni e le esperienze delle pretese scopertedel nostro tempo intorno alla circolazione del sangue e ad altre opinionidella stessa risma». Un riferimento chiarissimo alle nuove scoperte diMalpighi e all’ottusa posizione di chiusura dei medici tradizionali, che Mo-lière sferza senza pietà, deridendone nel suo capolavoro, oltre appunto al-l’ottusità, il carattere gretto, ignorante e profittatore.

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L’«occhialino» di Galileo e le scoperte di Malpighi

Durante il suo soggiorno nella città della torre fu particolarmente fruttuosaper Malpighi la conoscenza diretta del matematico e fisico Alfonso Borelli,fondatore della iatromeccanica (una sorta di bio-meccanica ante litteram), dicui fu allievo e collaboratore presso il laboratorio che lo stesso Borelli avevacreato nella sua dimora pisana. Ma l’influenza del clima culturale, pur im-portante, non sarebbe stata sufficiente per la svolta così decisiva che Malpi-ghi, di lì a qualche anno, avrebbe impresso nella storia della medicina, se ilgiovane e brillante studioso bolognese non avesse conosciuto a Pisa il micro-scopio di Galileo: quell’occhialino, come il grande scienziato pisano l’avevabattezzato, che posto all’occhio di un osservatore permetteva di vedere in-granditi di ben cento volte gli oggetti che rientravano nel suo raggio di visio-ne. Senza il microscopio, di cui Malpighi intuì le enormi potenzialità per lostudio del corpo umano, egli non avrebbe potuto compiere quelle scoperte,dai capillari sanguigni ai glomeruli renali, ai globuli rossi agli alveoli polmo-nari (tanto per citarne solo alcune delle più importanti), che lo avrebbero re-so celebre ed ancora oggi ricordato nei trattati di anatomia e di medicina.Basti qui ricordare, a mo’ di esempio, la denominazione di «corpuscoli delMalpighi», con cui ancora oggi si indicano i glomeruli renali.

I capillari sanguigni

Per quanto riguarda in particolare la scoperta dei capillari sanguigni(1661), questa permise di colmare il vuoto che ancora esisteva nella visionedella circolazione sanguigna che il medico inglese William Harvey avevapochi anni prima elaborato, sulla base di osservazioni anatomiche e funzio-nali, in netto contrasto con la visione della medicina ufficiale, ancorata al«dogma» galenico, che indicava nel fegato l’organo centrale della circola-zione. I capillari sanguigni, unendo le più periferiche diramazioni del siste-ma arterioso alle più periferiche diramazioni del sistema venoso, rappre-sentava l’anello mancante nella architettura del sistema cardiocircolatoriodimostrata da Harvey. Malpighi ebbe il grande merito, dunque, di infliggereil colpo definitivo alla visione galenica, imprimendo una svolta decisivanello studio della medicina, che con la sua opera venne definitivamente in-dirizzata verso quella che oggi potremmo chiamare con espressione anglo-sassone di Evidence Based Medicine.

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L’omaggio della città di Pisa a Malpighi

La città di Pisa ricorda ancora oggi, con una strada a lui intitolata (situatain zona Ospedaletto) il grande scienziato bolognese Marcello Malpighi, chefu suo illustre abitante in quei tre anni (dal 1656 al 1669) certamente me-morabili per le sue future scoperte e, oggi ne siamo ben consapevoli, decisi-vi per la stessa storia della medicina.

Bibliografia generale

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Adelmann H.B., Discorso del vincitore del Premio internazionale Galileo Galilei deiRotary italiani, Sistema Bibliotecario di Ateneo dell’Università di Pisa, 1972.

Baglioni S., Medicina e biologia nel Sei-Settecento Italiano, prolusione tenuta il 14 feb-braio 1943 all’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria, in «Medicina e Biologia»,V,1943.

Belloni L., Opere scelte di Marcello Malpighi, UTET, Torino 1967.Castiglioni A., Marcello Malpighi (1628-1928), Rassegna Clinico Scientifica dell’Isti-tuto Biochimico Italiano, 1929, pp. 475-478.

Del Tacca M., Storia della Medicina nello Studio Generale di Pisa dal XIV al XX seco-lo, Primula Multimedia, Pisa 2000.

Malpighi M., De Pulmonibus. Observationes anatomicae, seguito dalla Risposta apolo-getica, a cura e con introduzione di S. Baglioni, I Fari, Collana di contributi italia-ni. Serie di pubblicazioni nella veste originale diretta da S. Baglioni, a cura dell’I-stituto Nazionale per le relazioni culturali con l’estero, Bardi, Roma 1944.

Piccolino M., Marcello Malpighi: una rivoluzione galileiana nella biologia e medicinadel Seicento, in «Naturalmente», 12, 3, settembre 1999.

Simili A., Marcello Malpighi, in «Minerva Medica», II, 1967.

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Fabbriche, famiglie e amenità varie: passeggiata con una guida turistica in San Francesco

di Ilaria Fagiolini

Un viaggio ad occhi chiusi ripropone la storia di quella strutturache oggi è nota come «Polo Fibonacci». La più recente memoriaricorda l’industria tessile Marzotto, che divenne un marchio difabbrica importante nell’abbigliamento degli italiani dell’imme-diato dopo guerra, ma l’attività di questa industria a Pisa fu ope-ra della famiglia Pontecorvo, di cui si traccia un profilo storico.

Leggendo questo brano avrete l’impressione che non abbia né capo nécoda e che chi scrive salti di palo in frasca, riportando fatti e persone tenuteinsieme da nessi piuttosto labili. Non vi siete sbagliati, chi scrive è una gui-da turistica, che, per deformazione professionale, non è più capace di se-guire un filo logico a causa dell’abitudine di narrare camminando. Abbiatepazienza e immaginatevi a spasso con me a parlare del più e del meno, dis-tratti e affascinati da palazzi e nomi evocati dalle vie, dalle targhe comme-morative e dai dettagli nascosti delle vie di Pisa.Se vi è capitato di passeggiare sulle antiche mura medievali, avrete sicu-

ramente osservato dall’alto l’imponente struttura del Complesso Marzotto,un ex edificio industriale che ospita oggi il Polo Fibonacci, i Dipartimenti diFisica, Matematica ed Informatica e le segreterie. Il complesso deve il suonome al Conte Gaetano Marzotto, che nel 1936 acquistò dalla famiglia Pon-tecorvo l’omonima industria tessile. Qualcuno, tra i miei compagni di pas-seggiata, si ricorderà lo slogan «Abitualmente vesto Marzotto» oppure i varicaroselli che pubblicizzavano i tessuti e le confezioni prodotti dalla ditta.L’edificio si presenta in tutto il suo splendore razionalista: le linee pulite,

la struttura pratica e i materiali autarchici (niente acciaio e ferro solo dovenecessario) sono un bell’esempio di architettura degli anni ’30. Una modifi-ca del progetto originale, fatta a seguito dei bombardamenti della secondaguerra mondiale, è testimoniata dalla fila di oblò che si susseguono lungo lavia Buonarroti.

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Autore del complesso fu l’architetto veneto Gildo Valconi, collaboratoredi Gaetano Marzotto per il progetto della città ideale di Valdagno, paese cheè ancora oggi la sede della Marzotto S.p.a.Sul retro si staglia la torre piezometrica, una struttura che aveva la fun-

zione originaria di regolare la pressione dell’acqua necessaria al funziona-mento del complesso industriale, usata oggi come via d’accesso al cammi-namento sulle mura cittadine.Quella che era la sede della direzione (oggi i Dipartimenti suddetti) e i

caseggiati, che si affacciano sulla piazza antistante, erano le dimore deilavoratori.Le Suore Immacolatine già all’epoca si prendevano cura dei figli dei di-

pendenti; dal 1952 venne infatti costruito l’edificio di via Buonarroti pressoil quale si attuavano i servizi offerti dalle «Istituzioni sociali Marzotto». Ol-tre all’asilo nido e alla scuola materna, i lavoratori potevano usufruire diservizi per la maternità, un poliambulatorio e una casa di riposo. In relazio-ne alla natura manifatturiera del sito, venne aperta la scuola professionaledi rammendo tessile e il corso quinquennale per il conseguimento di un di-ploma tecnico non specificato.«Camion di pezze di tessuto ancora grezzo, da apparecchiare e rifinire,

facevano la spola tra la fabbrica e il laboratorio per essere sottoposte alla ri-parazione di quegli aspetti della lavorazione che richiedevano un interventodi qualità», così è descritto il rapporto di collaborazione tra la Scuola Pro-fessionale e la ditta nel sito dedicato al «Centro sociale Immacolatine».Tutti gli edifici appartenenti alla ditta rientrarono nel perimetro urbano

delle mura comunali, ad eccezione delle vasche per l’acqua, che arrivaronofino all’attuale via Emanuele Filiberto. La costruzione delle fabbriche feceparte negli anni ’30 di un progetto urbanistico che collegò le vie San Fran-cesco, San Lorenzo e San Zeno tramite quella che è oggi via Buonarroti. Ilprogetto prevedeva la creazione di sette nuove aperture, fortunatamente mairealizzate, che dovevano collegare il centro ormai saturo alle zone extramu-rarie in espansione. Risale a questo periodo il varco attraversato dalla viaSan Francesco, che di recente è stato munito di una passerella per il pas-saggio dei visitatori.Altra sorte ebbero le mura di Mezzogiorno, che subirono un abbatti-

mento progressivo di circa 600 metri per far spazio dal 1862 alla nuovastazione ferroviaria, alle attuali piazze Toniolo e Guerrazzi e a via Bene-detto Croce.L’inaugurazione della fabbrica avvenne in pompa magna nel dicembre

del 1938 alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, l’evento fu tramandato

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1 Ad Elda Di Nola, al marito Mario Roccas e al figlio Renzo sono state dedicate le pietre della memoria di PiazzaSan Paolo all’orto, in memoria della loro deportazione ad Auschwitz senza ritorno. Elda era nipote di Sara Pontecorvo eRaimondo Della seta.

ai posteri grazie all’Istituto Luce ed è oggi possibile rivederlo cercando nelweb «S.M. il Re Imperatore inaugura il nuovo lanificio Marzotto».«Le maestranze acclamano entusiasticamente il Re Imperatore» – recita

l’inconfondibile voce di Guido Notari – e informa gli spettatori che lo stabili-mento è giudicato come uno dei più all’avanguardia. I dati esprimono l’im-portanza e la produttività dell’impianto: il Lanificio Marzotto si estendeva per16.500 metri quadrati e per la costruzione furono necessarie 200.000 giorna-te lavorative. Il salone della tessitura era di 6.000 metri quadrati, vi lavorava-no 1300 operai e la produzione era stimata di 4 milioni di metri di tessuto.La fabbrica Marzotto non fu il primo edificio industriale del quartiere

San Francesco, che già da tempo era disseminato di importanti, sebbenepiù piccole, attività manifatturiere. Il settore trainante fu quello tessile, an-che se non mancarono piccole imprese come la «Terre Cotte Artistiche diSan Zeno». La lavorazione della terracotta rientrava in un piano di rivaluta-zione in chiave autarchica delle attività industriali finalizzate a promuoverel’artigianato locale; ne sono un esempio anche il lavoro di ricamo a puntopisano saraceno promosso da comitati di signore benestanti della città.L’industria tessile rimase in ogni caso l’impiego di punta della zona: la

zona verde a ridosso delle mura, un tempo occupata dal pomerio, perse l’o-riginaria funzione difensiva e divenne periferia cittadina occupabile dallepiccole imprese.Nel quartiere di San Francesco gli stabilimenti tessili si trovavano in via

Garibaldi (Rouf, Cecchi, Piccioli & Marconcini), in via delle Concette (Piti-gliani, Di Nola1), in via Santa Marta (Nissim), in via San Lorenzo (Pontecor-vo) e in piazza San Silvestro (Lunel). Dal tratto di mura a ridosso della viaCalcesana è ancora visibile una piccola ciminiera, testimone di un’attivitàormai in disuso.Nel 1872/73 l’imprenditore tessile di Navacchio Matteo Remaggi riporta-

va, per conto di un’inchiesta industriale, i seguenti dati: a Pisa erano pre-senti circa 20 fabbriche quasi totalmente di cotone, che lavoravano tutte amano, un solo fabbricante di Pisa aveva da poco montato diversi telai mec-canici, di cui ancora non si poteva valutare la produttività. Remaggi infor-mava che solo due fabbriche erano di dimensioni rilevanti e contavano piùdi 800 telai, le altre ne possedevano solo 20 o 30. A Pisa erano presenticomplessivamente circa 10.000 telai.

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Dai nomi delle ditte si poteva evincere che il settore tessile era in granparte gestito da famiglie di religione ebraica, molte delle quali risiedevanoin San Francesco: i Nissim, i Da Nola, i Rouf, i Pitigliani e i Sereni; eranosolo quattro dei numerosi nuclei familiari che nel 1881 contavano più di700 membri e che segnarono la storia del quartiere.Molte famiglie si erano insediate a Pisa e a Livorno in seguito alle Leggi

Livornine, emesse da Ferdinando I nel 1590 e nel corso dei secoli avevanoavviato fiorenti attività commerciali. Il Granduca Ferdinando garantì liber-tà di professione religiosa e politica, un regime doganale vantaggioso e la li-bertà di esercitare qualsiasi mestiere a chi si trasferiva e aveva casa nellecittà di Pisa e Livorno.Proprio nel quartiere San Francesco, grazie all’afflusso di commercianti

ebrei colti e benestanti, vennero acquistati o eretti nei secoli successivinumerosi palazzi, tra questi sono da menzionare, per la loro bellezza e in-teresse storico, casa Pardo Roques (via S. Andrea), palazzo Abudharam(via Fucini) e palazzo Franco (via San Lorenzo). Sempre in San Francesco,dall’inizio del secolo XVII, gli ebrei pisani poterono usufruire della loro si-nagoga, situata in un palazzo privato in via Palestro. Oggi la struttura sipresenta nelle forme restaurate nel 1863 dall’architetto Trèves, ma è anco-ra visibile il fatto che l’edificio sacro si trovi all’interno di quella che erauna civile abitazione.La comunità ebraica pisana arricchì la città di personaggi illustri, che si

distinsero nei più svariati ambiti culturali ed economici; per citarne solo al-cuni basterà fare il nome di Igino Supino, Alessandro D’Ancona, Carlo Sa-lomone Cammeo, Giorgio Nissim e i membri della famiglia Pontecorvo.Fu dai Pontecorvo che i Marzotto acquistarono l’attività tessile: la crisi

dell’industria del cotone e il crollo di Wall Street del 1929, costrinsero la fa-miglia a vendere lo stabilimento di via San Lorenzo al gruppo Marzotto e ilcomplesso detto Fabbricone alle «Manifatture Valdarno». I Marzotto raseroal suolo la struttura creata dai Pontecorvo, troppo piccola e ormai obsoleta ecrearono l’edificio visibile tutt’oggi.I Pontecorvo giunsero a Pisa da Roma in seguito alla Breccia di Porta

Pia. Nel 1882 la famiglia rilevò la fabbrica pisana di tessuti di Gustavo So-ria e Isacco Gentilomo, situata al numero 42 di via San Lorenzo ed avviò lasocietà «Samuele Pontecorvo». Nel 1910 furono acquistati terreni nel co-mune di San Giuliano e due anni dopo nacque il «Fabbricone» nella zonadetta «La fontina», ancora oggi riconoscibile nelle strutture parallele situa-te lungo il lato ovest di via Carducci. Al posto del grande supermercato,che oggi confina con la via Fabbricone Pontecorvo, si trovava un bacino

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idrico artificiale, che approvvigionava lo stabilimento dell’acqua necessaria.Pellegrino Pontecorvo fondò un’accomandita semplice, che portava il

suo nome nel 1889 e acquistò tutti i beni di via San Lorenzo appartenutialla società di famiglia «Samuele Pontecorvo». Egli creò un nuovo bloccodi un piano adibito alla tessitura meccanica e portò la ditta a contare 220telai meccanici e 200 a mano. I telai meccanici erano già presenti nel fab-bricato grazie alle innovazioni della famiglia Gentilomo, dalla quale i Pon-tecorvo avevano rilevato l’attività. Nel settore tessile la manodopera eraprevalentemente femminile, si calcola che nel 1890 la ditta P. P. (cioè Pel-legrino Pontecorvo) contava 795 tessitrici, gli uomini erano 138 e svolge-vano le mansioni di tintore o addetto alle macchine. Evidentemente gli af-fari dovevano andare a gonfie vele, dato che nel 1904 fu acquistata la fab-brica tra via S. Marta e via Bibbiena di proprietà dei Nissim, che entraronoa far parte della società.Nel 1910 la fabbrica era provvista di motori a vapore ed elettrici e conta-

va circa 2000 dipendenti, 1250 telai, 3000 fusi giganti e due impianti com-pleti per tingere e rifinire. La crisi della prima guerra mondiale fu superatagrazie alla produzione di tessuti per l’esercito, ma nel 1936 Massimo (figliodi Pellegrino subentrato nella gestione dopo Angelo e Giacomo) dovette li-quidare l’azienda.I Pontecorvo dettero i natali a personaggi illustri, che si distinsero nei più

svariati settori e che meritano una breve menzione a conclusione di questadivagazione dall’alto delle mura. I destini dei membri della famiglia furonolegati alla storia economica di Pisa, che dopo il modesto exploit industrialetrovò la sua vera vocazione nel settore terziario. Ne è un esempio l’attivitàche fu prima dei Pontecorvo e poi dei Marzotto. Le vie, che di sera si affol-lavano di operaie di ritorno dal lavoro, sono oggi gremite di studenti e pro-fessori. Allo stesso modo la famiglia Pontecorvo, i cui primi membri pisanierano uomini d’industria, dette vita a importanti intellettuali.A causa dell’antisemitismo e delle leggi razziali, molti membri della fa-

miglia lasciarono Pisa e l’Italia. Tra questi vanno annoverati tre dei nume-rosi nipoti di Pellegrino (figli di Massimo)2.Vorrei concludere questa digressione riassumendo brevemente le vite di

solo tre dei membri della famiglia Pontecorvo, esempi lampanti di quellache oggi è chiamata fuga di cervelli: Gilberto, Guido e Bruno.

2 Pellegrino P. sposò Giuditta Tagliacozzo ed ebbero 10 figli, di cui sopravvissero solo 7: Angelo (1869), Erme-linda (1871), Giacomo (1874), Olga (1876), Massimo (1877), Alfonsa (1879), Elena (1880), Attilio (1881), Tullio(1883) e Clara (1886).

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Gilberto è noto al mondo cinematografico come Gillo, ed è stato uno deipiù apprezzati registi italiani. Si iscrisse alla facoltà di chimica, ma la ab-bandonò in seguito alla promulgazione delle leggi razziali del 1938. Seguì ilfratello Guido a Parigi e pare che la passione per il tennis, le ragazze e l’ar-te, non gli facessero rimpiangere i due esami di chimica sostenuti all’Uni-versità di Pisa. Già in Italia Gillo si era dichiarato antifascista e anche daParigi collaborò come corrispondente per riviste di sinistra, aderì al Partitocomunista e fu membro attivo dell’ANPI.In questo periodo comincia a produrre i suoi primi lavori cinematografi-

ci, orientati sin dall’inizio alla critica sociale e alle problematiche deglioperai. Nel 1959 ottenne la nomination all’Oscar come miglior film stra-niero con Kapò, film drammatico ambientato nei campi di sterminio. Nel1966 filmò «La battaglia di Algeri», un un’opera di testimonianza e di rivi-sitazione dei fatti storici, basata sulla guerra d’indipendenza algerina dallaFrancia, che gli valse due nomination agli Oscar (miglior regista e migliorsceneggiatura originale) e un Leone d’Oro alla Mostra Internazionale delCinema di Venezia.Fino alla vecchiaia si occupò di temi di attualità: ne è un esempio il lavo-

ro collettivo sul G8 di Genova dal titolo «Un altro mondo è possibile» filma-to all’età di 82 anni.Bruno Pontecorvo dopo essersi iscritto alla Facoltà di Ingegneria a Pisa

decise di passare al corso di laurea in Fisica. A 18 anni sostenne l’esame diammissione al terzo anno di Fisica dell’Università di Roma. Della commis-sione di esame facevano parte Franco Rasetti ed Enrico Fermi, di cui BrunoPontecorvo divenne collaboratore nel famoso «gruppo di via Panisperna»,all’interno del quale era soprannominato «il cucciolo». Nel 1934 si occupòinsieme a Fermi delle ricerche sulle fissioni del nucleo atomico, due annidopo si trovava a Parigi a fare ricerca con Irene Curie e Frederic Joliot.A Parigi sposò l’ideologia comunista e marxista e dovette fuggire negli

Stati Uniti, quando nel 1940 la città venne occupata dai nazisti. Negli USAsi occupò di prospezioni petrolifere e successivamente in Canada collaboròal progetto per il primo reattore nucleare canadese. Tornato in Italia, si recònel 1948 in Inghilterra, dove ottenne la cittadinanza britannica: accettòl’offerta di una cattedra di professore di fisica all’Università di Liverpool,ma non prese mai servizio. Nel 1950 partì con tutta la famiglia per Stoccol-ma, passò dalla Finlandia, andò a stabilirsi a Dubna (U.R.S.S.) e cambiò ilsuo nome in Bruno Maxsimovich Pontecorvo.In Russia si dedicò alla ricerca, con grande preoccupazione dei servizi

di sicurezza occidentali, che temettero un nuovo caso Majorana: Bruno e la

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famiglia, infatti, non dettero a nessuno notizie della loro decisione di trasfe-rirsi e per un po’ di loro non si seppe nulla. Bruno mantenne contatti solocon Gillo e riapparve in pubblico nel 1955 per spiegare in una conferenzastampa le motivazioni della sua adesione al comunismo e l’abbandono dellasocietà occidentale.Tornò in Italia per la prima volta nel 1978, per poi ritornare in Russia e

morire nel 1993 a Dubna. In suo onore la piazzetta di fronte all’ingresso delcomplesso ex-Marzotto ha preso il nome di Largo Bruno Pontecorvo.Il terzo genio in fuga della famiglia Pontecorvo fu Guido, fuggito anche

lui nel 1938 ad Edimburgo a causa delle leggi razziali. Si laureò nel 1928in agraria a Pisa e a 38 anni era direttore del Dipartimento di Genetica del-l’Università di Glasgow. La brillante carriera nella diciplina lo portò ad ot-tenere nel 1978 il «Premio Darwin» assegnato dalla Royal Society.Morì a Pisa all’età di 92 anni a causa di una caduta nella sua tenuta in

Svizzera, mentre coltivava lamponi.Ai tre fratelli Pontecorvo è dedicata dall’ottobre 2015 l’aula magna del

polo Fibonacci, ed è attiva la collaborazione con il «Joint Institute for Nu-clear Research» di Dubna.Prima che le leggi razziali costringessero il mondo intellettuale pisano a

fare a meno di questi tre geni, anche alcune donne della famiglia Pontecor-vo contribuirono allo sviluppo dell’economia locale.Ada ed Emma Pontecorvo furono membri nel 1903 di un comitato locale

collegato all’ente romano «Società Cooperativa Anonima per azioni delleIndustrie Femminili Italiane», finalizzato a sottrarre le lavoranti a domicilioallo sfruttamento e alla promozione dell’artigianato femminile. A Pisa il Co-mitato si riuniva in via Buschetto nel palazzo Alliata e una volta la settima-na distribuiva il lavoro a domicilio alle donne della zona. Il palazzo eramesso a disposizione della contessa Sofia Franceschi Bicchierai e venne di-strutto per far largo al Palazzo di Giustizia e alla piazza antistante secondoil progetto dell’ingegner Poggi.Non per ultime sono da ricordare le donne appartenenti a famiglie pisane

aristocratiche e borghesi, i cui nomi richiamano le ditte e i palazzi menzio-nati precedentemente; credo che siano una degna testimonianza del legametra la città e le famiglie, che vi vissero prima della seconda guerra mondia-le: Anna Pardo Roques, Maria Bianchi, Alina Boas, Maria Bresciani, lacontessa Maria Dal Borgo, la contessa Gisella Gasperini, Giannina Landi,Marianna Pacini, la contessa Pozzo Dal Borgo, Maria Richiardi, Mary Ros-selli Nissim, Matilde Schiff Giorgini, Margherita Supino, Mina GualtierottiMorelli, Emma ed Ada Pontecorvo, Terry Fenzi.

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Viene illustrata la missione museale di Palazzo Blu dopo il suo re-stauro e ristrutturazione del 2008: dalla mostra di reperti archeo-logi nelle «Fondamenta», alla ricostruzione degli ambienti delledimore dell’Ottocento al primo piano, fino alla mostra permanen-te di dipinti al secondo piano con mostre «dossier» su tematichemolto specifiche. Si passa quindi ad illustrare la scelta di effettua-re due grandi mostre ogni anno, una primaverile ed una autun-nale, la prima su temi di arte, di scienza, di storia o di «pisanità»,la seconda sulla grande pittura del Novecento. Infine vengono il-lustrate le altre attività culturali: conferenze, incontri con la mu-sica, letture di libri di poesie. Tutte queste iniziative rendono Pa-lazzo Blu un centro di attiva e vivace attività culturale al serviziodella città di Pisa.

Nel 2008, al termine del restauro e della ristrutturazione, fu inaugurato ilPalazzo Blu (un antico palazzo del centro storico appartenuto nei secoli amolte importanti famiglie pisane), che la Fondazione Pisa (allora Fondazio-ne Cassa di Risparmio di Pisa) aveva acquistato dai Conti Giuli RosselminiGualandi, per alloggiarvi le sue collezioni d’arte e per farne il principalecentro delle sue attività culturali. Il complesso, compreso fra il Lungarno Gambacorti, Via delle Belle Don-

ne e via dei Facchini e gestito fin dal 2010 dalla Fondazione Palazzo Blu(Fondazione di scopo costituita dalla Fondazione Pisa), ospita esposizionipermanenti e temporanee ed è dotato degli impianti e servizi (auditorium,bookshop, caffetteria), che ne fanno un centro espositivo in linea con glistandard internazionali, in grado di svolgere una vivace e diversificata atti-vità culturale.L’antico palazzo sul lungarno è stato interamente dedicato all’esposizione

Il Palazzo Blu di Pisadi Cosimo Bracci Torsi

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permanente della collezione della Fondazione Pisa, che comprende opered’arte, arredi, libri e testimonianze di artisti pisani, appartenute a collezio-nisti pisani o aventi per tema Pisa ed il suo territorio (quasi un piccolo mu-seo della città), raccolte nel tempo per documentare la vita culturale e lastoria della nostra città. In alcuni ambienti del sottosuolo è stata allestita, con il titolo di «Le Fon-

damenta», una mostra dei reperti provenienti dagli scavi effettuati nel sitodel palazzo che, con un ricco apparato didascalico, illustrano la vita delquartiere di Kinzica dall’antichità al secolo XIX. Al primo piano le sale da gioco, da musica e da pranzo, prospicienti il

Lungarno e arredate con dipinti d’epoca e mobili originali della famigliaGiuli o provenienti dalla collezione Simoneschi, ricostruiscono la «dimorasignorile» ottocentesca. Le sale sul giardino sono invece dedicate alle col-lezioni di Ottavio Simoneschi consistenti oltre che in arredi e dipinti, inpezzi archeologici, oltre duemila volumi e più di tremila monete dall’Anti-chità classica al Rinascimento, contenenti alcune rarità di grande pregio.La sala della collezione numismatica espone permanentemente i pezzi più

Palazzo Blu.

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importanti e, con mostre tematiche a rotazione, le altre monete della colle-zione. Nella biblioteca, un’ampia selezione di volumi, spesso rari e curiosi,di diverse epoche e differenti contenuti (l’arte, la storia, la letteratura, iviaggi, la numismatica) rispecchia la varietà d’interessi culturali del suoproprietario. Il secondo piano accoglie in un sobrio allestimento museale, le opere di

maggiore importanza della collezione, per la maggior parte dipinti, come iltrecentesco polittico di Agnano e la sua copia novecentesca, i dipinti diFoppa e Gozzoli, il Seicento dei Lomi Gentileschi, con opere di Artemisia edel padre Orazio, di Cigoli, ma anche di Ligozzi e Riminaldi.Una moderna concezione del museo esige però che esso non sia soltanto

l’esposizione delle opere di una collezione, ma anche un soggetto culturaleattivo, in grado di mantenere viva l’attenzione del pubblico con semprenuove iniziative capaci d’interessarlo e coinvolgerlo e di avvicinarlo ad unaconsuetudine di frequentazione. Se ciò è necessario per i grandi musei, cheposseggono collezioni ricchissime e diversificate, lo è ancora di più per Pa-lazzo Blu, che ospita una collezione di dimensioni limitate, anche se digrande qualità. Nella sala della vecchia biblioteca del piano terreno e nelledel secondo piano salette prospicienti il giardino, vengono pertanto allestitedurante tutto l’anno mostre «dossier» per presentare le nuove acquisizioni eproporre aspetti particolari delle opere della collezione (ad es. «I ritrattiRoncioni», «Un uomo che guarda il ritratto di Curzio Ceuli» di Orazio Ri-minaldi), ricordano eventi o iniziative di particolare rilevanza della vita edella storia del nostro territorio (ad es. «Pisa bombardata, Pisa liberata»,«1966, l’alluvione») o, in collaborazione con istituzioni cittadine come laScuola Normale Superiore, arricchiscono l’offerta del palazzo nel periodoestivo («Paladino fra arte e letteratura», «Roberto Innocenti»).Per soddisfare il più possibile le esigenze dei visitatori, numerosi dei

quali stranieri, è stato particolarmente curato l’apparato didascalico, for-nendo ogni sala di scheda esplicativa nelle cinque principali lingue euro-pee. Nel museo si svolgono inoltre frequenti visite guidate e cicli di confe-renze, spesso in collaborazione con l’Associazione Pisana degli Amici deiMusei, che presta anche volontariamente la sua opera per la sorveglianza;una particolare attenzione è rivolta infine anche alle giovani generazionicon visite e laboratori didattici per le scuole fin dalle elementari e allesten-do esposizioni particolari di famosi illustratori internazionali di libri perbambini in collaborazione con il Pisa Book Festival.Tenendo presente che la Fondazione Pisa, nei suoi documenti program-

matici, intende «promuovere le attività culturali anche come fattori di for-

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mazione culturale e di promozione dell’economia del territorio attraverso losviluppo del turismo e delle attività indotte produttrici di beni e servizi cor-relati», le riflessioni sulla situazione del nostro territorio di riferimento, maanche un’analisi del mercato culturale, ci hanno portato a programmare lanostra attività con un calendario, ormai in atto da alcuni anni, articolato sudue mostre principali, una primaverile ed una autunno-invernale, rivoltealla comunità del nostro territorio, ma anche al pubblico più ampio del co-siddetto turismo culturale su scala nazionale.Le mostre primaverili, spesso ad ingresso gratuito, hanno riguardato temi

di arte ed archeologia (Galileo, Rosellini, Artemisia Gentileschi) e di scien-za (Cose dall’altro mondo, Balle di scienza) attinenti ad attività del territoriopisano o la storia del nostro paese (Donne d’Italia nel 150° dell’Unità, I se-gni della Guerra - Pisa 1915/18, per il centenario), e sono state spesso orga-nizzate con la collaborazione di istituzioni culturali pisane e non, comeINFN, SNS, Università di Pisa, ma anche la Specola Vaticana ed il Museodel Cinema di Torino.Per le mostre autunnali, considerando la presenza in città di una numero-

sa popolazione giovane legata alla nostra Università, con lo scopo di co-struire attraverso una continuità d’iniziative una forte tradizione espositiva,

assente nella nostracittà, è stato scelto, fi-no ad oggi, il tema del-la grande pittura delNovecento. L’argo-mento è sembrato rela-tivamente poco curatonella nostra regione,ma capace di attrarreun pubblico numerosoe di avvicinare allafrequentazione di mo-stre d’arte quella po-polazione giovanilespesso meno permea-bile al fascino dellagrande arte di secolipiù lontani.Con la collaborazio-

ne di soggetti specia-

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Manifesto della prima mostra tenutasi a Palazzo Blu nel 2009,dedicata a Galileo Galilei: «Il cannocchiale e il pennello».

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lizzati del settore e con i rapporti che con sempre maggiore facilità abbiamopotuto stabilire con grandi istituzioni internazionali, come il Museo di Statodi San Pietroburgo o il Centre Pompidou, la Andy Warhol Foundation diPittsburgh e la Fundacion Gala - Salvador Dalì di Figueres, è stata organiz-zata una serie di mostre sui maggiori pittori del secolo, che ha compreso fi-no ad oggi autori come Chagall, Mirò, Kandinskij e Warhol, Modigliani eDalì.Il bacino di utenza, gli spazi disponibili ed i limiti delle risorse e capaci-

tà non permettono di organizzare mostre monografiche esaurienti su autoridi questo livello, peraltro oggi possibili forse soltanto nelle grandi metropolidel mondo come Parigi, Londra o New York.Grazie alla validità dei curatori ed ai contatti stabiliti è stato possibile

realizzare mostre di buon livello qualitativo e scientifico, in grado di pre-sentare l’opera di questi autori cogliendone aspetti interessanti e con pro-spettive talvolta inconsuete. Attraverso conferenze, incontri, concerti e filmè stato inoltre cercato di ampliare la conoscenza all’ambiente ed al periodonel quale gli artisti hanno operato.

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L’interno di Palazzo Blu per la mostra di Chagall.

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L’Auditorium

L’auditorium di Palazzo Blu, oltre ad ospitare riunioni e convegni pro-mossi da istituzioni cittadine, organizza incontri di approfondimento che, incontemporanea con le mostre, sia d’arte che di scienza o di storia, amplianola comprensione e l’orizzonte culturale.Recentemente è stata arricchita e diversificata l’offerta alla città con cicli

d’incontri come Domeniche in musica (organizzato con La FondazioneAREA e l’Accademia Strata) e libri di Poesia.Dal 2009 al 2016 i visitatori di Palazzo Blu sono stati poco meno di un

milione, con una media annua crescente, ormai attestata sopra le centoven-timila presenze; dai rilevamenti effettuati risulta inoltre che la metà dei vi-sitatori proviene dalle restanti province toscane e dal resto d’Italia. Tutto questo ha permesso a Palazzo Blu di essere, oltre che un servizio

utile e gradito per i nostri concittadini, una presenza riconosciuta a livellonazionale e, secondo indagini specifiche, il sito pisano più conosciuto e vi-sitato, naturalmente dopo la Piazza dei Miracoli.Palazzo Blu rappresenta, infine, anche un contributo all’occupazione e

all’economia della città, non soltanto con il suo organico diretto e con leprestazioni fornite da soggetti esterni (sorveglianza, pulizie, trasporti e lavo-ri vari di manutenzione e allestimento), ma anche con la ricaduta economi-ca sul territorio (trasporti, alberghi, ristorazione) indotta dai visitatori dellemostre realizzate a Palazzo. Da un lato Palazzo Blu, inserito nella collana dei musei dei nostri Lun-

garni, è dunque un elemento di forte valore identitario per il suo stretto le-game con la vita e la storia della città, dall’altro rappresenta un’apertura al-la modernità e ad una visione dinamica delle attività culturali, consideran-done anche l’importanza economica.

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Il Ponte di Mezzo di Pisa, per ragioni dipendenti dalla sua origi-naria ubicazione e dalla interazione con le vicende storiche, chesono al tempo stesso vicende economiche, politiche, sociali e tec-nologiche, ha svolto il ruolo di fulcro dello sviluppo urbanisticodella città, nel lungo arco di tempo che dalla fine dell’impero ro-mano, attraverso il Medioevo, giunge sino al Rinascimento ed ol-tre, assumendo infine quei caratteri architettonici e strutturali,pensiamo soprattutto alla snellezza dell’unica arcata e all’impie-go della «centina Melan», che hanno saputo innovare, rispettoalla precedente soluzione in muratura, senza entrare in conflittocon il genius loci del lungarno pisano: il suo andamento a debolecurvatura.

La finalità di questo articolo è quella di ripercorrere sinteticamente, at-traverso Ponte di Mezzo, la storia urbanistica della città, che nel processoevolutivo della sua forma (forma urbis) compì una rotazione da nord-ovest(il porto e la Piazza dei Miracoli) verso sud-est (quartiere di San Martino ela Fortezza Nuova), il cui centro si colloca appunto nella «preesistenza am-bientale» costituita dal ponte, per il quale possiamo dire con Vittorio Gal-liazzo che «se l’architettura, in ultima analisi, è la continua invenzione del-l’abitare, cioè di porsi sulla terra e di vivere e pensare, i ponti, in particola-re, mostrano di essere una continua invenzione del collegare, anche se an-ch’essi rientrano nella sfera del nostro abitare».Quest’opera, che in epoca romana era l’unico collegamento tra la civitas e

la riva sinistra dell’Arno, aveva allora la struttura di legno (pons sublicium)

Il Ponte di Mezzo: un capolavoro di ingegneria strutturale nell’urbanistica pisana

di Agostino Corallo

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con «stilate» o «palate» (sublicae) a supporto di un impalcato con parapetti atransenna di tipo «reticolare a croce decusata o di Sant’Andrea» sostenuto datravate opportunamente rinforzate con saettoni (puntoni), molto probabilmen-te perché elemento di unione secondario tra l’area urbanizzata presente sullariva destra e la «via consolare» Aemilia Scauri, congiunta alla via Aurelialungo l’itinerario che da Roma attraverso la Liguria portava verso la Gallia.Lo sviluppo urbano dell’area detta «Kinzica», lungo la riva sinistra del

fiume Arno, inizia in maniera significativa solo dopo la caduta dell’imperoromano (476 d.C.), ossia durante l’alto Medioevo, quando questa zona persecoli impaludata, come indicherebbe, secondo studi linguistici relativa-mente recenti (Arcamone - 1978), lo stesso toponimo, derivante da kinzig diorigine longobarda ed indicante un’area depressa rispetto alle circostanti,viene sottoposta a bonifica per colmata («pianura alluvionale»), come conti-nua a testimoniare l’opera di derivazione, di epoca rinascimentale (1558),delle Bocchette situata al margine nord-orientale del quartiere di Putigna-no. Tant’è che, scrive M. Berretta, «in seguito alla costruzione della cerchiadel 1155 il Pons de Arno non fu più un attraversamento suburbano esternoalle mura, ma divenne uno degli elementi centrali della città, contribuendoad influenzare lo sviluppo urbano dell’area circostante».

Il Ponte di Mezzo seicentesco a tre campate in muratura.

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È dunque nel Medioevo (1382-1388) che Ponte di Mezzo, per iniziativapromossa dal signore di Pisa Pietro Gambacorti cambia la sua tipologia tan-to strutturale, che diventa ad arco, quanto costruttiva, che diventa di mura-tura di pietrame, con una geometria longitudinale (profilo) a tre campate edue pile (piedritti) in alveo, che rimarrà invariata anche dopo la sua rico-struzione, tra il 1637 e il 1660 su progetto dell’ingegnere Francesco Nave,conseguente al collasso causato da una piena. Solo a seguito del crollo verificatosi durante il secondo conflitto mondiale

e dovuto a una operazione dei genieri tedeschi del 23 Luglio 1944 conti-nuando a svolgere per Pisa una funzione di fulcro, andò incontro ad una tra-sformazione che fu, al tempo stesso architettonica, costruttiva e strutturale,mobilitando energie ed intelligenze non solo autoctone1, che lo inserisconoper le sue caratteristiche costruttive (uso del «sistema Melan» - BauwiseMelan) tra le pagine più interessanti e significative della storia dell’Inge-gneria Strutturale italiana.La matrice culturale e tecnologica, inizialmente (1892) impostata come

una tipologia costruttiva di solaio (suspended floor) formato dalla combina-zione di costole ad arco di acciaio e volte di calcestruzzo, proveniva dall’in-gegnere austriaco Joseph Melan (1853-1941), un’autorità indiscussa nellateoria e nella pratica della costruzione dei ponti in Austria, che per primorealizzò nel 1898 a Steyr il ponte ad arco Schwimmschul, con luce di 42 m,impiegando una centina (armatura rigida) di acciaio che, invece di svolgerela sola funzione di opera provvisionale di sostegno delle casseforme, entro

1 È doveroso qui ricordare che il progetto architettonico fu il risultato della collaborazione di cinque membridell’Accademia dell’Ussero, gli architetti Sergio Aussant, Renzo Bellucci, Giovanni Salghetti Drioli, Raffaello Trinci edello scultore Mario Bertini, ai quali va riconosciuto il merito di aver interpretato adeguatamente, con la forma assaisnella dell’unica arcata, il genius loci dei lungarni di Pisa. Riuscendo ad innovare senza stravolgere, rinunciando, nel-la impossibilità di un restauro per anastilosi, al vano tentativo di riprodurre l’identico ed intrecciando un proficuo dia-logo tra l’universo della forma (espressività formale) e quello della funzione statica, dipendente ieri come oggi dai «nu-clei duri» dell’equilibrio, della congruenza e del legame costitutivo, ed attingendo una efficace sintesi tra i principidella firmitas, della venustas e della utilitas, che già Vitruvio aveva individuato come coordinate generali dell’arte delcostruire.

A tale proposito ritengo opportuno riportare, a chiusura della nota, quanto scrisse Franco Russoli, in merito alla ri-costruzione di Ponte di Mezzo nella rivista quadrimestrale «Paesaggio» nel 1946: «Non intendo illustrare l’opera neisuoi caratteri tecnici: mi interessa soltanto notare come gli autori siano riusciti a rispettare il valore ambientale delLungarno, inserendo la ampia linea dell’arcata nel gioco armonioso di dolci curve del fiume, i muraglioni, le spallettee lo svolgersi delle facciate dei palazzi che lo compongono. Il nuovo elemento, per puri valori architettonici, senza nes-suna concessione a quel “falso” estrinseco alla struttura dell’opera – di cui tanto i grossi nomi dell’architettura delventennio e i loro miseri seguaci provinciali hanno abusato – si collega allo spirito dell’ambiente. In questo sarà aiuta-to dal valore “colore” tanto importante nel Lungarno pisano, pacata armonia di giallo, di rosa, di grigio.

L’ardita elegante leggerezza dell’arco, che si parte da forti spalle di sapore sangallesco, sostituisce senza bruscherotture di continuità la ferma potenza del vecchio ponte. Con intelligente parsimonia di mezzi gli autori del progettohanno offerto una dignitosa risoluzione del difficile problema. Si prenda questa nota come un invito alla discussione».

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cui disporre prima le barre diarmature e successivamenteil getto di calcestruzzo, avevauna funzione strutturale per-manente, restando annegataentro la massa di conglome-rato cementizio di completa-mento dell’arco, di cui so-stiene il peso durante la suamaturazione ed insieme allaquale reagisce alle ulterioriazioni, permanenti e variabi-li, alle quali l’arco sarà sog-getto nel corso della sua vitautile, realizzando in tal modociò che oggi chiamiamo unastruttura composta di ac-ciaio-calcestruzzo. Il sopra citato ruolo di ful-

cro svolto dal ponte, siespresse anche nel fatto chela sua ricostruzione postbel-lica venne preceduta dal re-ferendum cittadino (sono glistessi anni di quello naziona-le relativo alla forma statuale di Monarchia o Repubblica) indetto per lascelta della geometria dell’opera (tre campate oppure una).L’opzione per la soluzione a campata unica vide impegnata nella elabora-

zione del progetto esecutivo strutturale e nella sua esecuzione la «FerroBe-ton S.p.A.», società fondata dal marchese Carlo Feltrinelli padre dell’edito-re Giangiacomo, al cui interno operavano, con compiti diversi, l’ing. Agosti-no Agostini Venerosi della Seta, amministratore delegato formatosi nell’A-teneo pisano, ed il prof. Giulio Krall, capo dell’ufficio tecnico formatosi pri-ma al Politecnico di Milano, come ingegnere, e dopo all’Università di Romaquale allievo di Tullio Levi-Civita, come matematico. Figure, queste due importanti per la ricostruzione di Ponte di Mezzo

(1948-1950) e non solo, basti ricordare la loro presenza, pochi anni dopo(1951), nel progetto strutturale e nella esecuzione del Ponte dell’Impero,lungo la S.S.1 «Aurelia», in cui torna ad essere impiegato il «sistema Melan», del

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Vista della Centina Melan.

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quale Krall era riuscito a contenere i costi sfruttando le capacità di adatta-mento dei calcestruzzi giovani derivanti appunto dagli scorrimenti viscosi(«fluage»), ed a cui dedicò un particolare interesse dopo il confronto con iproblemi economici e tecnici, relativi a difficili condizioni topografiche egeotecniche, posti alla realizzazione della centina provvisionale, comeaveva già sperimentato nel 1937 nell’esecuzione del progetto per l’attra-versamento del torrente Biedano, presso Viterbo, attirando l’attenzionedella cultura tecnica europea, come testimonia la lettera che Enrico Vol-terra, figlio di Vito, inviò da Londra, il 20 maggio 1939, al matematico Tul-lio Levi-Civita, scrivendo: «Se vede il Professore Krall, Le sarò grato se lovorrà salutare da parte mia e dirgli che nell’ultimo numero (Maggio 1939)della Rivista inglese: «Concrete and Constructional Engineering» vi è unlungo articolo, corredato da fotografie, sul suo ponte sul torrente Biedano.È messo particolarmente in rilievo il metodo impiegato per la costruzionedella centina».

Il Ponte di Mezzo attuale a campata unica in sistema composto di acciaio-calcestruzzo con «centinaMelan».

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Queste brevi note nelle quali si tenta di ricostruire, nel quadro della sto-ria della città di Pisa, l’intreccio tra problemi sociali, urbanistici e di inge-gneria strutturale, evidenziando il ruolo di qualche personalità di rilievo,nella vicenda relativa alla attuale configurazione di Ponte di Mezzo quale fuil pisano ing. Agostino Agostini, mirano a ribadire, richiamando alcune tap-pe del denso percorso teorico-pratico del prof. Giulio Krall, la pregnanzadella lezione galileiana sulla necessità di coniugare «le sensate esperienzecon le certe dimostrazioni» da un lato e dall’altro la inderogabilità di un ar-ticolato ed equilibrato rapporto tra il patrimonio tecnico scientifico, più ingenerale culturale, e i contenuti dell’azione politica.

Ringrazio sentitamente il dott. Agostino Agostini per il materiale docu-mentale messomi a disposizione.

Riferimenti bibliografici

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Berretta M., L’area dei Lungarni di Pisa nel tardo Medioevo (XIV-XV secolo), tesi diDottorato presso l’Università di Bologna, 2012.

Eggemann H., Kurrer K.E., On the International Propagation of the Melan ArchSystem since 1892, in Proceedings of the Third International Congress on Construc-tional History, 2009.

Galliazzo V., I ponti romani, file pdf, Università di Venezia, 2004.

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L’autore, massimo studioso della storia pisana nell’oscuro periododell’occupazione nazista della città, si sofferma sul fascino eserci-tato dal più celebre campanile del mondo anche sulle severe e te-mute autorità militari germaniche.

Quando il sabato 11 settembre 1943 labandiera con la svastica sventolò sull’ae-roporto di San Giusto e simbolicamentesu tutta Pisa, erano passati tre giorni dalproclama di Badoglio che annunciaval’armistizio tra l’Italia e gli Alleati. I queitre giorni i soldati tedeschi avevano dis-armato circa quattromila militari dell’E-sercito italiano insieme a poco più di sei-cento uomini dell’Aeronautica militareoltre ad aver requisito tutto l’armamentoe il munizionamento. Anche se in tutta la Penisola il disar-

mo delle truppe italiane era stato conse-guito senza particolari difficoltà, il Co-mando Supremo della Wehrmacht in Ita-lia era consapevole che né le SS né i varicorpi della polizia germanica avrebberopotuto garantire l’ordine pubblico nellelocalità occupate senza un’estesa e siste-

L’occupazione germanica di Pisa e l’irresistible «attrazione» per la Torre pendente

di Giorgio Barsotti

Settembre/Ottobre 1943 (?): due soldatidella «Leibstandarte-SS Adolf Hitler»,una delle divisioni più famose e temutedelle SS, fotografati mentre osservano laTorre Pendente.

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matica organizzazione, motivo per cui fin dal 14 settembre furono instauratii Comandi Militari Territoriali (Militärkommandanturen) ai quali erano affi-dati sia il controllo militare dei rispettivi territori sia i controlli relativi alfunzionamento dell’amministrazione civile e annonaria. In particolare ogniMK doveva gestire e mantenere l’ordine in tutto il territorio italiano occupa-to ad esclusione di quello dichiarato «zona di operazioni», cioè in teatro diguerra. Ciascun Militarkommandant dipendeva direttamente dal Generale pleni-

potenziario della Wehrmacht in Italia, Rudolf Toussaint, e aveva poteri sututte le forze armate tedesche operanti nel suo territorio, fossero state esseunità dell’Esercito, delle SS o della Ordnungspolizei («ORPO»), la princi-pale branca della polizia tedesca. Era, inoltre, responsabile della sorve-glianza d’importanti obiettivi militari ed economici e provvedeva all’impie-go delle forze di sicurezza per quanto riguardava le «attività delle bande» ei casi di sabotaggio. Per questo motivo dipendevano dal Militarkommandant anche le Compa-

gnie di Sicurezza italiane, con elementi scelti provenienti dall’Arma dei Ca-rabinieri e della Milizia, con funzioni dipolizia militare e di repressione anti-par-tigiana.

* * *

Nonostante il suo ruolo strategico, aPisa non fu assegnata una Militärkom-mandantur ma il territorio fu posto alledipendenze di un presidio militare di se-condo livello – denominato Ortskomman-dantur – dipendente dalla MK 1015 diLucca, agli ordini del Maggiore GeneraleBruno Ubl. Nulla sappiamo, invece, del Coman-

dante della Ortskommandantur pisana.La prima notizia che lo riguarda provienedal Generale Carlo Ceriana-Mayneri chenel suo libro dal titolo Parla un Coman-dante di truppe scrisse che qualche gior-no dopo la resa, per la precisione il 15settembre 1944, fu caricato su un grossoautobus scassato e trasportato dal campo

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Aprile 1944, soldato tedesco in Piazzadel Duomo. Sullo sfondo è visibile unaparte della cinta muraria demolita dauna bomba alleata il 4 ottobre 1943. Sinotano anche le impalcature erette aprotezione della porta a levante del Bat-tistero (foto di proprietà dell’Autore).

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di prigionia di Coltano a Pisa peressere interrogato da «un maggio-re tedesco» che si era impiantatoin città. La data fa presumere chesi trattasse dello stesso ufficialeche, come «Major und Komman-dant Günther» della Ortskom-mandantur di Pisa, firmava i ban-di noti ai pisani perché riprodottiin numerose pubblicazioni. In quei giorni Pisa era divenuta

il crocevia di numerose formazionidella Wehrmacht che transitavanodirette al fronte di Cassino oppure

per consolidare l’occupazione della parte d’Italia sotto la sovranità formaledella Repubblica Sociale Italiana. Stante il viavai dei reparti, molti militarie ufficiali non resistevano alla tentazione di approfittare delle brevi sosteconcesse loro per farsi fotografare sullo sfondo della Torre pendente e so-prattutto per salirvi in cima. Ma le soste non contemplavano le libere uscite durante gli orari consentiti

per l’ingresso al monumento e dunque accadeva spesso che i «camerati ger-manici» si presentassero durante le ore di chiusura, quando il personale dicustodia era assente o, se presente, non consentiva loro di accedere. Di con-seguenza, ai dinieghi opposti dagli addetti al servizio erano seguiti proteste e«spiacevoli incidenti», così come si legge nella lettera che l’allora Commissa-rio prefettizio dell’Opera Primaziale di Pisa, Ragionier Bibbiani, indirizzò allocale Comando tedesco per ottenere il permesso di affiggere all’ingresso deimonumenti appositi cartelli redatti in lingua tedesca e italiana in cui si riba-divano gli orari di accesso. La risposta non si fece attendere: il 10 novembre 1943 la Orstkomman-

dantur, nella persona di tale Leutnant und Adjutant Gelert (o Gebert) aderi-va alla richiesta (vedi copia del documento accluso) autorizzando la Prima-ziale ad applicare i cartelli proposti ma con le corrette diciture in lingua te-desca – allegate alla lettera – che così traduco:

La cattedrale e la Torre Pendente sono aperti dalle 8.30 alle 10.30 e dalle 14 fino a16 ore. Al di fuori di questo periodo, l’accesso è vietato. Chiuso per riparazioni, vietato l’ingresso!

Episodio minimo, si dirà, uno dei numerosi screzi o contrasti che carat-

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Il documento conservato presso l’Opera Primazialedi Pisa.

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terizzarono la convivenza traPisani e Tedeschi in un periodoin cui i primi avevano già spe-rimentato la potenza distruttivadei bombardamenti degli Al-leati, e avevano ben altri pro-blemi da affrontare. Motivo percui la pretesa (forse espressaanche in termini arroganti) divisitare la Torre suonò come in-differente al dramma vissutodalla popolazione e tipica dichi si comporta in un paese oc-cupato e non in un territorio«amico» perché formalmentealleato. Ma oggi – a tanti anni di distanza – si può trovare la giustificazionesolo nell’attrazione che la Torre pendente ha sempre esercitato sotto tuttele latitudini.

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Marinai tedeschi e italiani sulla Torre pendente (fotodi proprietà dell’Autore).

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Nella scorsa primavera stavo cercando di ricostruire le vicende dell’Isti-tuto di Fisica di Pisa tra le due guerre e così mi trovai a dover approfondirela figura di Lamberto Allegretti, assistente del cattedratico Puccianti dal1929 fino alla seconda guerra mondiale.Dai dati contenuti negli Annuari dell’Università e da qualche sommaria

ricerca in rete avevo tratto ben poche informazioni: una data di nascita(1906), una data di laurea (1928), uno strano incontro romano con EttorePancini (1948?) e il riferimento a una lettera del 1962 inviata da «L. Alle-gretti - OECD».Un po’ troppo poco per una biografia scientifica, anche sommaria, ma non

avevo né il tempo né la possibilità di andare in giro per archivi, e tuttavia nonavevo voglia di arrendermi subito, per cui mi attaccai al computer con la de-terminazione di recuperare tutto ciò che fossi stato capace di farne emergere.In un primo momento, nella mia ottica di pedestre biografo, mi parve che

la prima cosa da stabilire fosse la data di morte, che non avevo trovato innessuno dei documenti a mia disposizione. Partii dunque dall’ultima datache conoscevo, quella della lettera. La ricerca combinata «Allegretti +OECD» lì per lì non diede molti frutti: una volta scartati i link inutili rima-neva soltanto il riferimento a un documento inglese ad accesso riservato. Determinato a non gettare la spugna, decisi di tentare di sfruttare una ca-

ratteristica di Google che poteva forse fare al caso mio: il fatto che di solitoal link individuato dal motore di ricerca si accompagna la trascrizione di unframmento di frase che contiene la parola cercata. Se poi le parole cercatesono più di una compaiono più segmenti di frase, anche tra loro distanti neltesto originale.Di conseguenza, anche se il documento che mi interessava era nel suo

complesso inaccessibile, proponendo a Google pezzi significativi di frase trat-ti dalle ricerche precedenti potei allargare progressivamente il testo arrivan-do lentamente a riconnetterne brani relativamente lontani. Con questa proce-dura, e con una pazienza da cultore della Settimana Enigmistica, nel giro diun pomeriggio riuscii a ricostruire con fedeltà una mezza pagina del testo

Ricostruire la storia navigando in rete:le famiglie pisane Allegretti e Barsanti

di Paolo Rossi

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inaccessibile, e a leggervi la descrizione degli ultimi dieci giorni di vita diLamberto Allegretti, che era morto a Parigi nel gennaio del 1963 per i postu-mi di uno stupido incidente all’uscita di un ristorante degli Champs Elysées.Avrei forse potuto fermarmi a quel punto, ma dal testo così ricostruito era

intanto emersa l’esistenza di un Guido, fratello di Lamberto, e quindi avevoun nuovo indizio da cui ripartire per le mie ricerche in rete.Così dalle pagine di un ebdomadario locale (Il Ponte di Pisa) pubblicato

nel primo Novecento, che fortunatamente qualcuno aveva scansionato emesso in rete, scoprii che un Guido Allegretti si era laureato in chimica aPisa nel 1932: fu quindi una banale congettura il supporre che si trattassedel fratello di Lamberto. A questo punto entra in gioco l’unico documento cartaceo che abbia un

qualche ruolo in questa storia: la mia personale raccolta di fotocopie di pagi-ne scelte degli Annuari dell’Università di Pisa per tutto il secolo che va dal1880 fino al 1980, quando ne cessò (purtroppo) la sistematica pubblicazione.Lì potei controllare che, mentre Lamberto Allegretti «di Mario», nato a

Pisa nel 1906, si era laureato in fisica nel 1928, Guido Allegretti «di Ma-rio», nato a Teramo nel 1909, si era laureato in chimica nel 1932. C’eraquesta disturbante discrepanza nel luogo di nascita, ma la concordanza delnome paterno induceva a sperare fortemente che si trattasse proprio dellepersone su cui stavo indagando.Il passo successivo era quindi quello di cercare di saperne di più su

«Mario Allegretti» e sulle vicende che potevano averlo fatto spostare da Pi-sa a Teramo. Qui mi capitò un episodio un po’ ridicolo: uno dei primi siti cui Google

mi rinviò mentre cercavo «Mario Allegretti» fu una mia pagina web. Ciò inquanto molto tempo fa avevo compilato e messo in rete una lunga lista dilaureati in fisica all’Università di Pisa, e Mario era nella lista, all’anno1899, cosa di cui mi ero ovviamente del tutto dimenticato, non avendo talepersonaggio, all’epoca della compilazione della lista, attirato in alcun modola mia attenzione.Gli Annuari confermarono l’informazione ma non aggiunsero molto alle

mie conoscenze, se non il nome del padre di Mario (Ernesto) e il fatto chedopo un breve periodo di volontariato all’Istituto di Fisica Mario aveva ab-bandonato il mondo universitario. Tuttavia tornando a Google e aggiungen-do qualche parola chiave acquisita da queste piccole scoperte fui rinviatoad altre pagine del succitato settimanale che, nel perfetto stile dei giornalidi provincia, ragguagliavano la borghesia locale sulle vicende anche perso-nali dei cittadini più in vista.

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In questo modo riuscii a scoprire più fatti della vita di Mario Allegretti (edei suoi parenti) di quanti non avrei mai immaginato di riuscire a riportarealla luce: dalla laurea al fidanzamento, dalla vincita di una cattedra di fisi-ca all’Istituto Tecnico di Teramo (ecco spiegato il piccolo mistero!) al matri-monio con la «signorina Giulia Barsanti», fino al successivo matrimonio delcognato Alfredo con una cugina Barsanti (per mantenere unita la piccola in-dustria di famiglia), avvenuto in una data che tra l’altro spiegava come maiLamberto, malgrado il trasferimento della famiglia a Teramo, fosse poi natoa Pisa.Ma poi, andando avanti negli anni, venne fuori anche la decisa compro-

missione di Mario col fascismo, e quindi la sua rapida carriera, dopo la pri-ma guerra mondiale, col trasferimento prima a Livorno, poi finalmente nel1931 al Liceo Classico Galilei di Pisa, di cui divenne anche il Preside.Ma la partita con Google si vince quasi sempre con le opportune combi-

nazioni di parole, e quindi dal momento che, mentre ormai credevo di sape-re tutto su suo padre, continuavo a non trovare notizie su Lamberto, decisidi giocare la combinazione «Mario Allegretti + Giulia Barsanti» per vederese potesse emergere qualche ulteriore collegamento.Qui ebbi la sorpresa più grande, perché con questa scelta Google mi ri-

mandò a un sito animato da reduci della Repubblica Sociale in cui eranodescritte le vittime (fasciste) degli Alleati e della Resistenza. La coppia Al-legretti, insieme con Lorenzo, fratello di Mario (che in realtà era altrove) econ la cugina Emma Mercanti, risultava sterminata in quel di Marzalla (lo-calità alla periferia di Pescia pistoiese) il 15 giugno 1944.Che cosa ci facevano gli Allegretti a Pescia e perché erano stati stermi-

nati? La ricerca non poteva ormai certo arrestarsi al mero (e un po’ incerto)«dato di fatto». Avendo rintracciato per par condicio un sito curato da parti-giani della zona vidi delinearsi una vicenda assai più complessa, e purtrop-po ancor più tragica. In realtà gli Allegretti erano stati uccisi da due polac-chi, disertori dell’esercito tedesco, che spacciandosi per partigiani sac-cheggiavano le ville del pesciatino, scegliendo però con una certa curaquelle abitate da fascisti conclamati per mantenere la propria copertura.Pochi giorni dopo la strage degli Allegretti i due polacchi furono intercet-

tati, nel corso di un altro colpo, da due soldati tedeschi, ma i polacchi furo-no più veloci e riuscirono a ucciderli e a fuggire. Per rappresaglia i tedeschiuccisero otto o nove simpatizzanti dei partigiani (la «strage di Collodi»)mentre i polacchi furono infine giustiziati dagli stessi partigiani quandoquesti ultimi riuscirono a metter loro le mani addosso.L’aver scoperto questa drammatica vicenda mi riportò l’attenzione su una

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notizia, che in realtà avevo fin dall’inizio, relativa all’incontro a Roma conPancini, in cui Lamberto si era lamentato del problema che aveva avutonell’immediato dopoguerra «a causa della sua partecipazione alla X MAS»,la formazione semiautonoma dell’esercito repubblichino comandata dalprincipe Junio Valerio Borghese, nefasto protagonista anche di più recenticronache nazionali.La ricerca «Allegretti + X MAS» doveva riservarmi l’ennesima sorpresa:

il link a un documento dell’OSS (il servizio segreto militare americano du-rante la seconda guerra mondiale), declassificato dalla CIA soltanto nel2005, e costituito dal rapporto di un agente italiano sotto copertura che nelmarzo 1945 era passato clandestinamente al Nord attraverso le Apuane perpoi dirigersi a Milano (tra rocambolesche avventure) con il compito di con-tattare Borghese per conto degli Americani e convincerlo a portare la suaformazione sul fronte orientale per difendere, in nome dell’italianità, la Ve-nezia Giulia dall’«invasione» dei partigiani jugoslavi fino all’arrivo degliAlleati che stavano per sfondare la Linea Gotica e liberare anche l’Italiasettentrionale dall’occupazione tedesca.La missione, come sappiamo, non andò a buon fine, ma passando per Mi-

lano l’agente dell’OSS incontrò «il professor Allegretti» che a quanto paresi occupava soprattutto della manutenzione dei mezzi ancora a disposizionedella X MAS.Sempre combinando parole chiave, e con l’aiuto di alcune fotocopie di

documenti dell’archivio di Ateneo rintracciati e trasmessi via e-mail dalvalentissimo dottor Daniele Ronco, riuscii anche a mettere insieme un qua-dro abbastanza chiaro delle vicende postbelliche di Allegretti, dalla deten-zione nel campo di Coltano insieme con altri prigionieri di guerra repubbli-chini, al periodo di insegnamento nella da poco costituita Università Fa-rouk di Alessandria d’Egitto (scoperto anche grazie alla presenza in retedelle annate di una semisconosciuta rivista di studi mediorientali), fino al-l’incarico, datogli dall’UNESCO, di organizzare il Dipartimento di Fisicadell’Università di Damasco, dove Lamberto trascorse cinque anni nella se-conda metà degli anni Cinquanta (informazione individuata grazie a unarelazione dello stesso Allegretti all’UNESCO, che però non era mai emersanelle precedenti ricerche).Questa avrebbe potuto essere la conclusione del resoconto di questa ri-

cerca, con l’ovvia morale che nell’era di Internet si riescono a scoprire piùcose in poche settimane senza muoversi dal proprio studio di quante se nesarebbero potute scoprire in precedenza in molti mesi di faticose ricerche(compresa una improbabile trasferta a Langley per consultare gli archivi

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della CIA, ammesso e non concesso che a qualcuno fosse venuto in mentedi fare una ricerca in quella direzione).Ma c’è un episodio finale (per ora) che con il Web, almeno all’inizio, c’en-

tra ben poco, ma che merita comunque di essere raccontato. Avevo dimenti-cato di dire che gli «industriali» Barsanti, imparentati come si è visto congli Allegretti, avevano un piccolo laboratorio per la lavorazione dell’alaba-stro, e vendevano la loro produzione, fin dal 1835, in un negozio posto inPiazza dei Miracoli, trattandosi soprattutto di riproduzioni in scala dellaTorre di Pisa assai apprezzate da molti turisti. Così quando, a ricerca già pressoché conclusa, mi trovai a passare da-

vanti all’insegna «G. Barsanti e figli» ancora visibile su un edificio di frontealla Torre, non seppi resistere alla tentazione di entrare e chiedere se percaso il negozio fosse ancora di proprietà della famiglia. Non solo ebbi con-ferma, ma fui accompagnato dalla commessa nel retrobottega, dove fui rice-vuto da una gentilissima signora, forse sulla settantina, che scusandosi pernon potermi fornire informazioni di prima mano perché entrata in famigliasolo per matrimonio, mi propose tuttavia di farmi parlare con sua suocera.Di fronte al mio manifesto stupore precisò che la suocera, pur avendo 105anni, era ancora lucidissima, e abitava lì vicino.

Cartolina della storica ditta Barsanti in Piazza dei Miracoli.

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L’incontro con l’anziana signora fu per moltiaspetti straordinario, non solo per l’età e per lalucidità, ma anche per la memoria, che portò al-la luce una messe di ulteriori informazioni sulledue famiglie (tra l’altro l’attuale abitazione deiBarsanti risultava dall’unione del proprio appar-tamento storico con quello in precedenza abitatodagli Allegretti, ma ormai abbandonato). Da leiseppi tra l’altro il nome di un’altra e da me inso-spettata vittima della strage di Pescia, la primamoglie di Guido Allegretti, e quello dell’unicasuperstite, la figlia treenne di Guido, ebbi unadescrizione dell’intero albero genealogico delledue famiglie, incluso un cugino di Lamberto,laureato in chimica (come potei poi verificare

negli Annuari), che aveva collaborato con lui nel periodo siriano, e appresialtri fatti minori ma tutti utili al fine di ricostruire lo scenario complessivo.Ogni possibile verifica (nei siti web e negli Annuari) di quanto dettomi

dall’anziana signora diede in seguito esito completamente positivo, compre-sa la ragguardevole età, perfettamente coerente con la sua laurea in Lettereconseguita a Pisa nel 1935, di cui ella non mi aveva parlato (un altro picco-lo «miracolo» della rete!).La mia storia si conclude qui, ma un capitolo è rimasto aperto, quello

delle origini pesciatine della famiglia Allegretti. Ho trovato in rete numero-se minute tracce, tra cui un antenato che fu funzionario del Ministero degliInterni del Granduca di Toscana e un nonno di Mario che era «amico diGiuseppe Giusti», ma sono solo tessere di un puzzle ancora non ricomposto.E allora, sempre via web, ho contattato gli storici locali della val di Nievole

(professori di liceo e altri studiosi appassionati), che spero di coinvolgere nel-la mia «caccia».La storia di queste famiglie è uno spaccato affascinante della società

civile, politica e culturale della Toscana occidentale attraverso due seco-li, e l’idea di poterla ricostruire nei dettagli (senza quasi dovermi muoveredal mio studio) mi attrae straordinariamente.

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Lamberto Allegretti.

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Un pensiero riconoscente verso tanti insegnanti

Alla fine la vita con le sue vicende, mi ha portato da Pisa a Roma; a farel’insegnante di storia e filosofia nei Licei. Non ci torno spesso nella mia cit-tà e, quando capita, il tempo fugge così impietosamente che il sìbilo del tre-no già mi richiama alla partenza.

L’ultima volta però mi sono ritagliato del tempo da dedicare ai ricordiuniversitari, passando in zona Sapienza. Proveniente da piazza dei Cavalie-ri mi inoltro in via san Frediano, la percorro per un buon tratto, quando al-l’improvviso una terribile visione frantuma in schegge ogni possibile tenta-tivo di poesia. La Sapienza non c’è più. O meglio c’è, ma è tutta avviluppatain un raccapricciante bozzolo di impalcature e teli laceri. Resto allora visi-bilmente frustrato. Quanti anni sono oramai che la fortezza delle scienzegiuridiche dopo, e delle scienze in generale prima, versa in questo stato dilavori in corso?

Inevitabile sedersi per lo stordimento sui marmi di piazza Dante, e tenta-re di risolvere il busillis. Ma il pensiero razionale lascia ben presto il postoad una inarrestabile rêverie fatta di voci e di volti.

In questa sede ho avuto infatti l’onore di seguire, a metà degli anni No-vanta, le lezioni di diritto, economia e filosofia di prestigiose figure di do-centi come il romanista Carlo Venturini, il costituzionalista Alessandro Piz-zorusso, l’economista Fabio Ranchetti e Domenico Corradini Broussard,appassionato filosofo del diritto che, come capirete leggendo, mi porterànuove intuizioni. Ecco dunque cosa intendo fare con questo mio contributo:rievocare alcuni aneddoti di detti professori per omaggiarne la figura di stu-diosi e di uomini.

Passando davanti alla Sapienza…quanti ricordi di un ex studentequarantenne

di Simone Bulleri

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«Due i re, due i consoli, due gli imperatori e due…»

La prima lezione universitaria che ho seguito fu quella di Storia del dirit-to romano. Il cinema Odeon, usato come aula, era gremito all’inverosimile.La Facoltà di Giurisprudenza era all’epoca molto frequentata oltre che perle prospettive lavorative, anche sull’onda emotiva del repulisti morale e po-litico operato dal pool di Milano. All’improvviso il cicaleccio si interruppe edall’ingresso sbucò un buffo signore che ad una prima occhiata ricordavavagamente Oliver Hardy. Aveva la chierica, due fessure imperscrutabili ecelesti per occhi, dei baffetti un po’ demodé, e un sorriso ironico su un visorubicondo. Vestiva elegantemente una giacca blu di ottima fattura, camiciabianca, cravatta rossa, pantaloni grigi e scarpe nere. Ondeggiando legger-mente si recò al microfono e con un accento vagamente fiorentino si presen-tò, presentò il corso e ci intimò cortesemente di non pipistrellare e di ascol-tare attentamente le sue indicazioni. Subito dopo, il professore, si lanciò inuno sfoggio di cultura classica da far accapponare la pelle al Leopardi. Frastudenti ci guardammo intimoriti. Avremmo dovuto raggiungere codesti li-velli per superare l’esame? Avremmo dovuto snocciolare a menadito tuttiquegli istituti giuridici romani, greci, bizantini e perfino germanici? La ri-sposta arrivò poi all’esame: sì.

Di quella lezione ricordo solo poche cose. Certamente un sentimento diprofonda indegnità, aggravata dalla mia provenienza sia pure liceale manon classica; il genuino terrore che infuse a noi apprendisti giuristi; e, sututto, la chiusura aulica con la quale il professore si congedò.

Per darvi l’idea citerò testualmente cosa disse: «Orbene, cari figliuoli, lalezione termina qui. Ricordate questo però, a vostro nutrimento, e cioè che:nella storia romana due saranno inizialmente i re. Poi due – nel periodo re-pubblicano – saranno quei magistrati chiamati consoli. Nel periodo impe-riale arriveremo fino a due imperatori felicemente regnanti e – va da sé –due saranno pure le volte che dovrete dare l’esame». A parlare era il com-pianto professor Carlo Venturini, eccelso storico del diritto romano, dotto fi-no all’onniscienza (aveva due lauree), ironico fino al goliardico, col qualedovetti ovviamente dare e ridare l’esame.

Diritto pubblico, questo sconosciuto

Per riprendermi dallo shock di quella prima lezione, cercai con furoreomerico un professore più ‘accomodante’. La ruota della fortuna si fermò su

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di un cognome un po’ atipico, che all’epoca mi faceva sorridere, vai ora a ri-cordare perché. Tranquilli, smisi di ridere ben presto. Le lezioni di dirittopubblico si tenevano allora in un’aula sorda e grigia sita in piazza dei Cava-lieri. Entrai in ritardo, feci a spallate per conquistare uno scranno e mi dettianima e corpo a prendere appunti.

La voce del docente era bassa, ipnotica, gutturale. L’espressione stanca,superiormente, come di uomo che porti sulle spalle tutti i problemi costitu-zionali d’Italia. Mentre parlava i suoi occhi, dietro le lenti un po’ calate,erano sempre puntati dappertutto tranne che sull’uditorio; indagavano chia-ramente un mondo immateriale di concetti giuridici. La lezione era incen-trata sulla Costituzione italiana, compulsata in ogni anfratto, in ogni speci-ficità, articolo dopo articolo. Ad ogni pausa del docente, e dei Padri costi-tuenti, una voce misteriosa mi echeggiava nelle orecchie il solito refrain:cosa ci faccio qui? Detti rapidamente l’esame di diritto pubblico col profes-sor Alessandro Pizzorusso, questo il nome del costituzionalista già membrodel Csm, perché preferii comunque i Padri costituenti alle notti di guardiain qualche caserma della Val d’Aosta. All’esame il professor Pizzorusso fumagnanimo, meno gli assistenti, un po’ avari nei voti; e questo fu un ulterio-re gradino verso l’abbandono delle mie velleità giuridiche. Desideravo unriconoscimento immediato per i miei sforzi. Beata, impaziente gioventù.

Economia politica, ovvero come da un 2+2 possa risultare 5

Finalmente l’Aula magna della Sapienza. Sopra una porta, inciso nelmarmo, il motto latino Tantum homo potest quantum scit. Inappellabile.

Anche qua dopo alcuni alterchi per le prime file, conquistai il mio postoin attesa dell’apparizione.

L’attesa non fu vana. Dalla porta vicino alla cattedra, spuntò un uomo daitratti mediorientali, di corporatura asciutta, non altissimo, i capelli ricci eun sorriso luminoso. Sembrava uno di quegli egiziani usciti dalla penna diGoscinny e Uderzo ed emanava un’aura quasi metafisica.

Tenne una lezione di Economia politica tanto ostica quanto interessante.Ci dette poi molti consigli su come affrontare la materia, seguendo il suomanuale chiaramente pluripremiato. Noi studenti stavamo tirando un so-spiro di sollievo, quando a fine lezione accadde un fatto che – per citareShakespeare – del futuro ci squarciò il velame. Prima di accomiatarsi, alprofessor Fabio Ranchetti cadde una penna che rotolò teatralmente ai pie-di delle prime file. Il tempo si fermò per un istante. Nessuno si mosse, in

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apnea. Alla fine una ragazza molto graziosa, vestita di merletti, si chinò perraccogliere il prezioso oggetto e porgerlo al professore. Quando la mano del-la fanciulla raggiunse la sua, l’economista l’afferrò in una morsa micidiale econ voce tonante esclamò: «Ma è meraviglioso!, LEI SIGNORINA domaniterrà a quest’aula un riassunto analitico di quanto ho discusso io oggi».

Grande lezione di economia: una cortesia non fa guadagno immediato. Il giorno dopo l’aula era semideserta.

«Pour moi, pour vous, pour l’avenir!», disse il filosofo

Fra i tanti corsi accademici, dottissimi ma eccessivamente tecnici, seguireuna lezione col professor Domenico Corradini per molti di noi, soprattuttoper quelli più sedotti dalle Lettere, era come trovare una rosa nel cemento.

Calabrese di Catanzaro, professore di Filosofia del diritto, Corradini eraun uomo in apparenza mite e meditabondo. A lezione però, all’epoca, veni-va visitato dalle Muse, e teneva delle lezioni fluviali, a tratti tribunizie, masempre piene di colore e di calore. Impossibile prendere appunti tanto av-volgente era la sua oratoria. Discuteva di tutto e su tutto: filosofia, politica,economia, letteratura, storia; lo ricordo ancora appoggiato con le bracciasulla cattedra, gli occhi socchiusi, i capelli lunghi e argentati da filosofo.

Dalla sua voce oracolare sgorgavano a profusione altissime citazioni, bra-ni di poesie citate in tutte le lingue del mondo, quelle vive e quelle scritte,sovrumane riflessioni sul senso della vita e della morte. Insomma una pa-rentesi poetica fra l’aridità di pandette e codici.

L’esame con lui andò benissimo, ricevetti anche inattesi complimenti; efu lì che non riuscii più ad oppormi alla vocazione speculativa. Cambiai Fa-coltà, passai a Filosofia, mutai spericolatamente il mio destino, ma questa èun’altra storia.

A volte i miei studenti mi manifestano la loro perplessità circa l’opportu-nità di continuare gli studi universitari. Non troveranno mai in me un de-trattore dell’Università, come purtroppo fanno molti, troppi miei colleghi.L’università, spiego loro con affetto, è un periodo duro a volte anche fru-strante, ma è insostituibile per lanciarsi nel mondo carichi di idee, di atteg-giamento critico e di attenzione per la contemporaneità. E me ne vado viapieno di giubilo, quando qualche ex studente romano, torna a trovarmi perdirmi che ha scelto Pisa, per diventare uomo e cittadino.

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Vecchio AlbumI lungarni di Pisa

a cura di Iovinette Poli

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Poeti pisani di ieri…

Ugo Ghiron

Ugo Ghiron, poeta, scrittore e traduttore, nasce a Roma nel 1876. Pocodopo gli studi ginnasiali si trasferisce a Pisa, città nella quale consegue lalaurea in Lettere. Estraneo alle tendenze poetiche del suo tempo, preferi-sce mantenere una cifra stilistica sobria, malinconica e lontana da eccessicontenutistici e formali. Oltre a collaborare con varie testate («Vita lettera-ria», «Nuova Antologia», «Riviera ligure», «Il Fanfulla della domenica»,«Cronache letterarie»), è autore di raccolte poetiche che spaziano dallacontemplazione della bellezza della natura alle riflessioni sul dolore e sul-la morte (Le rime della Notte, 1913), ai temi patriottici (Le vespe e gli eroi,1916), alla prosa per ragazzi (Le dolci canzoni, 1915; Sussurri, I piccolicanti, 1921) fino alla religione (Poemetti cristiani, che non portò a termine)e al teatro (Il buon Teghenow, 1931). Autore prolifico, continua a scriverema anche a tradurre (dal francese opere di V. Hugo, dal tedesco di A. vonPlaten, F. Hölderlin e N. Lenau, dai latini Orazio, Catullo, Persio e Marzia-le). Affievolitosi il successo intorno agli anni Quaranta, Il brillante del pa-scià (1948) è l’ultima opera a ottenere una discreta risonanza. Si spegne aRoma nel 1952.

Piccola Antologia letterariaa cura di Maria Luisa Terrizzi

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1 Tratta da «Il Ponte di Pisa», 1909, fascicolo 12, n. 2.

Torre pendente1

È una notte estiva fresca e profumata. La luna in cielo, placida, illumina imonti, le campagne e gli orti, mentre i grilli friniscono sul prato bagnato dirugiada. L’atmosfera naturale si presta a ripercorrere nostalgicamente lalunga storia della Repubblica marinara pisana attraverso i sogni e le visionidella torre pendente. Spettatrice di lotte e battaglie fratricide tra guelfi e ghi-bellini, come dei preparativi alla celeberrima battaglia della Meloria controGenova (1284), la torre è testimone dolente delle sconfitte di Pisa. Ora comeallora, si erge maestosa e potente, partecipe dei successi e delle sconfitte dellafutura storia della sua città.

Mentre le stelle su te viaggiano,mentre giù il prato brilla di lucciole,o torre che immobile pendi,tu che sogni per la notte estiva?

Che sogni, bella torre, in silenzio,mentre s’affaccia dai monti placidala luna, d’un gelido risole campagne risvegliando e gli orti?

T’alita intorno fresca di effluviila notte; stride sul prato roridoil tremulo coro dei grilli:tu bianca immota sogni nell’alto.

Sogni tu l’onda corsa dei secoli?Sogni tu i giorni, bei giorni liberi,allor che balzasti marmoreagiovinetta riguardante al piano?

E dove al piano con lungo fremitobionde al meriggio le messi ondeggiano,tu flutti vedevi di fantie d’arcèri con le insegne al vento,

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quando Toscana corsero gl’impetidi fratricide guerre e tra ’l ferreocozzare dell’armi s’ardersela forza di Pisa ghibellina.

E tu ricordi, ricordi ai limpidivesperi i legni della repubblicacon bianche le vele lontanotrasvolanti sul purpureo mare?

Deh, come in gloria sul lido flettersiparvero i cieli quel dì che, cupidedi strage, salparon le prueincontro l’ardua Meloria e sovra

le ondanti insegne all’aure e i fulgidibrandi nudati alto squillaronole trombe ed il vescovo intorno,protese le mani, benedisse!

Ma non al seno, discinte, pallide, le madri i figli tornanti strinsero,e pianger tu i padri vedestisull’alta ruina della patria.

Or tutto posa: fresca d’effluviit’alita intorno la notte; varcanopei cieli silenti le stelletremule e accennano. E tu perenni

sovra il tuo capo le stelle volgersivedrai; vedrai l’aprile fremerenei tepidi soli,nei lunghi gelidi occasi pianger novembre:

e immota sfida che al cielo, ai secoliil piccol braccio levò degli uomini,tu il duol riderai d’un alteraprogenie vana che piange e passa.

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… e poeti pisani di oggi

Valeria Serofilli

Valeria Serofilli è docente di Lettere e come operatrice culturale Presi-dente del Premio Internazionale di Poesia «Astrolabio» e degli IncontriLetterari presso lo storico Caffè dell’Ussero di Pisa e di Villa di Corliano.Dirige dal 2004 le collane «Passi - Poesia, I libri dell’Astrolabio» per Pun-toacapo Editrice di Novi Ligure, annessa all’omonimo premio letterario e«I Quaderni dell’Ussero» (Collezione di Puntoacapo) nonché dal 2015 «LePetitUssero», Quaderni collettivi per l’editrice Ibiskos Ulivieri di Empoli;è curatrice del sito personale www.valeriaserofilli.it nonché collaboratricedi riviste e case editrici con recensioni, note di lettura e prefazioni a libridi poesia e narrativa, ed è stata redattrice della rivista di poesia, arte e filo-sofia «La Mosca di Milano». Pubblica note di lettura e singoli testi poeticianche su riviste telematiche. È autrice di poesia, narrativa, saggistica e te-sti di prosa. Ha pubblicato dieci raccolte di poesia tra cui Chiedo i cerchi(Puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2008); Nel senso del verso - Nuovo Volu-me (Leonida Edizioni, Reggio Calabria 2009) opera vincitrice del PremioGaetano Cingari 2008; Amalgama, in Valeria Serofilli, La parola e la cura(Puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2010), Collana I quaderni di Poiein; IQuaderni dell’Ussero, Valeria Serofilli (Collezione di Puntoacapo Editrice2013) nell’ambito della Collana da lei stessa diretta fino al 2015; l’ebookantologico di poesia Resoconto e senso (La Recherche, 2017); tra le pubbli-cazioni di racconti Comete per la coda pubblicati nei volumi antologici IQuaderni di Dedalus - Annuario di nar-rativa contemporanea 1 (PuntoacapoEditrice, Novi Ligure 2014); Come esseretondi in un mondo di Quadrati e altriracconti, pubblicati nei volumi antologi-ci I Quaderni di Dedalus - Annuario dinarrativa contemporanea 2, (PuntoacapoEditrice, Novi Ligure 2014); l’ebook an-tologico di racconti Ulisse (La Recher-che, 2013); Ulisse, versione cartaceadell’ebook (Ibiskos Ulivieri Editrice,Empoli-Pisa 2015). Valeria Serofilli e Mario Luzi.

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Resoconto(in morte di Mario Luzi)

Una parola poetica inquieta, in bilico tra il tentativo di comprendere el’impossibilità di accedere al vero, tesa a rintracciare e fermare lo sfuggentesenso al verso in un suggestivo dire che percorre l’esistenza. Un omaggio alpoeta fiorentino Mario Luzi, ispirato al suo Frasi e incisi di un canto saluta-re, in un anelito di significatività che fa del verseggiare uno strumento diespressione come di ricerca. Una riflessione singolare eppure universale, dichi, come ogni uomo, tra se stesso e il niente, si troverà di fronte al perché diciò che è stato e a ciò che avrebbe potuto essere. Un detto evocativo che si rive-la non esaurendo gli interrogativi umani più profondi, sottratti, nel non-det-to, a una completa chiarificazione di senso.

L’eredità non so del mio strano rapportocon la vita o meglio / il suo diporto

Ora / altro poco conta, caroné più né meno di come ti ricordo

Col vivere si versa / al vivere un accontoma sempre infine ti si riversa il contoin scomodo ritardo, prolisso contrattempo

Fili di carrucola dipanano strane circostanze / meccanismiricordi a branchi / brancolano il buioed io qui in attesa di dire – cosa? –Quello che è stato, o quel ch’essere poteva?

Qui con i miei fantasmi / (a) tracimaresciogliendo il giusto, il vero dal superfluoscandagliandone il ritmo ed il meandroscindendo l’essere dal non / l’ora dal quando

Lo strano riversarsi / lo strasognotra annichilimento e resoconto / catarsia summa del percorso, quel tuo darsi – strano a dirsi – in fogli sparsi / aspersi di consenso, di non detto

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Discorsi – quanti, (ricordi?) – sui corsi e sui ricorsiil pessimismo / bicchiere mezzo vuotol’ottimismo, se è bicchiere mezzo pienol’altra metà è fine del sentiero

Ed ora qui / a riflettere se è vero, se esista un senso al verso del pensiero, o se tutto è già scritto, falso e veroSe è nel libro che ti addossi contro / in quel palmo riversonascita e mescita, rimescolìo d’intenti / fraintendimenti

E noi assuefatti (ad) ossigeno e certezze, in bilico tra un se stessi [e il niente…

Ah! Se potessi / al viverenon dover mai / dare un resoconto.

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Da un’idea di Mario Messerini, segretario diA.L.A.P. e appassionato interprete della lette-ratura pisana, e dalla penna di Lorenzo Gremi-gni, vicepresidente di A.L.A.P. e autore di testivernacoli di successo, è scaturito un omaggiogoliardico che l’illustre festeggiato ha accoltocon gradimento e commozione. La matita di Ni-cola Gorreri ha corredato la pergamena del so-netto, scritto in bella grafia, di un simpatico ri-tratto della Torre del Campano sorvolata daun… moscone! Qui di seguito il testo dellapoesia.

Ir campano d’oro a Franco ’r Mosca

Quando ti vidde SELLI, er prufessoria sfruonà cor bisturi un rognone,disse: «Madonna bona che lavori:vesto… moscino mi vien su un… moscone!».

E così fu. Ti meriti ’ll’unoria fà der bene a un mucchio di persone;le smonti e ni rimonti trippe e còri… ma se t’avanza ’ pezzi è un lavorone.

O l’ARPA, ti par pòo?! Porta alle gentela sapienza der medïo pisanoin que’ paesi che nun ciànno gnente!

Franco, sei ganzo vant’è vero ’r solee oggi se n’è accorto anco ’r Campanoche ’r Mosca, mosche ar naso ’un ce ne vòle!!

L.G.F.

Un sonetto in vernacolodedicato al prof. Mosca

Mario Messerini consegna lapergamena al Campano d’OroFranco Mosca.

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Recensioni

È uscita nelle librerie un’operastoriografica del dott. Mario Chiave-rini, destinata non solo al consuetopubblico dei «Pisantropi», ma anchea tutti gli appassionati della materia.Il titolo completo è: La Guerra del Ri-nascimento tra Pisa e Firenze. La cor-nice storica degli eventi. I brani origi-nali, estratti e raccolti, dai Diarii diMarin Sanudo del periodo maggio-settembre 1500.

Questo studio, alla seconda edizio-ne, ripercorre un periodo storico ric-co di eventi lontani nel tempo, mamolto attuali per la similarità dellecircostanze trattate, sia riguardo lelotte odierne internazionali sia ri-guardo le «lotte» (condotte con armidiverse) tra Pisa e Firenze che, allora, erano «città stato» autonome e rivaligià da secoli. Il tutto in una cornice culturale del Rinascimento assoluta-mente irripetibile in altre epoche, basti pensare che vi troviamo viventi eoperanti: Leonardo da Vinci, Ludovico Ariosto, Michelangelo Buonarroti,Niccolò Copernico, Marsilio Ficino, Niccolò Machiavelli e tanti altri.

Al centro di questa opera storiografica è posta la situazione della Toscananel Rinascimento, luogo di incontro e scontro fra le più potenti nazioni eu-ropee per la supremazia nel continente. Il periodo trattato nello studio de-scrive, in particolare, come e quando tale lotta internazionale passò ancheda Pisa.

L’Opera di Mario Chiaverini è una ricerca eseguita con metodo scientifi-co, ma riesce a prendere il lettore per mano e ad illustrargli la cornice deglieventi storici di cui trattano i famosi diari di Marin Sanudo, riportati in ori-ginale (lingua veneta del 1500) ma comprensibile. L’agile libro di una no-vantina di pagine si completa con immagini e cartine interne, una bella co-pertina ed un prezzo al pubblico assolutamente concorrenziale.

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La trattazione, asciutta ma corposa, con esemplare essenzialità riesce acoinvolgere il lettore nella narrazione con una chiarezza ed efficacia rarenei libri di storiografia. Per gli appassionati è quasi «doveroso» avere que-sto libro nella propria libreria.

Simone Bulleri

Mario Chiaverini, La Guerra del Rinascimento tra Pisa e Firenze, Edizione Marich,Pisa 2014, pp. 88, ill., € 5,00.

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Franco Fiorentino, salentino di ori-gine e pisano d’adozione, è un intellet-tuale non convenzionale che, dopo es-sersi laureato in Filosofia nel nostroAteneo con la professoressa CaterinaConio, ha svolto con passione la pro-fessione di docente nei licei pisani. Dasempre cultore e divulgatore di buddi-smo tibetano, nel 2014 debutta col belromanzo La città senza Nome, per Lupoeditore. Quest’opera è un vero e pro-prio viaggio «à rebours», intendendo iltermine nel duplice significato di «a ri-troso» nel tempo e di «controcorrente»nel cuore. Una vita certamente contro-corrente quella di Fiorentino, che – la-sciata la Puglia per una vita migliore –grazie all’incontro con alcuni uoministraordinari, lo porterà a viaggiare inIndia e in se stesso. Dopo le disillusioni del ’68 e i viaggi in Oriente, Fioren-tino torna ora col cuore e colla mente nel Salento, per fare i conti con le pro-prie radici e per dare finalmente un nome a quella città e a quei sentimenti.La città senza nome è un libro delicato e soave, ben scritto, non senza mo-menti lirici e ironici (il periodo scolastico, le pungenti sorelle), fatto di voltisacri (nonno Tancredi, la mamma e il suo segreto), di profumi stordenti (lezagare, le caramelle de lu mare!) e di nodi finalmente sciolti anche grazie auna danza antica quanto misteriosa. Il proverbio indiano sulla quarta di co-

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pertina recita così: «Se non sai dove stai andando, voltati indietro a guarda-re da dove vieni»; e riassume perfettamente il senso del tomo.

Simone Bulleri

Franco Fiorentino, La città senza nome. Infanzia e adolescenza nel profondo Sud,Lupo editore, Copertino (LE) 2014, pp. 272, € 14,00.

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La studiosa pisana Elisa Soldani, al-lieva del grande medievista Marco Tan-gheroni, torna con un nuovo interessan-te lavoro dal titolo: I mercanti catalani ela Corona d’Aragona in Sardegna. Pro-fitti e potere negli anni della conquista.

Leggiamo dalla premessa del pro-fessor Sergio Tognetti: «Sin dalle pio-nieristiche indagini condotte da CiroManca negli anni ’60 del secolo scor-so, approfondite nei decenni successi-vi da Marco Tangheroni, era stato po-sto uno dei quesiti fondamentali per lastoria della Sardegna bassomedievale:la dominazione espressa dalla Coronad’Aragona […]. La ricerca di Soldanisi occupa appunto della disillusionedegli uomini iberici e italiani all’indomani della conquista degli anni 1323-26 […]». Soldani, lavorando in modo originale sulle fonti degli Archivi diBarcellona, è riuscita, continua Tognetti, «a tratteggiare una serie di mo-menti dai quali è scandita la presenza in Sardegna dei mercanti stranieri».

Già, la Sardegna del ’300. Una terra aspra, in stato di guerra perennema – osserva Soldani – «caratterizzata da un’economia florida, ereditatadagli anni di dominazione pisana […]. Cagliari era poi un centro di redi-stribuzione di merci che arrivavano da diverse direttrici – levantina, ma-grebina e tirrenica – e un polo di esportazione di cereali, sale e argento.[…] A partire dalla conquista, il commercio internazionale da e con laSardegna fu in mano ai catalano-aragonesi. Sardi e pisani operavano (ora-mai) nella veste di commercianti al dettaglio, artigiani o sensali».

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Già, i pisani del ’300. In questa ricerca si delinea sullo sfondo inevitabil-mente anche il loro precedente dominio sull’isola durato oltre un secolo,prima della cacciata dal Castello di Cagliari nel 1326 ad opera dell’Infantedi Spagna. Soldani rievoca con perizia, e un certo orgoglio, i loro nomi: ColoAlliata, Puccio Granelli, Gaddo Caulini e Tano Soldani, tutti mercanti diorigine pisana. Poi figurano anche quei mercanti e artigiani, sempre pisanid’origine, che ricevettero da Alfonso il benigno, in riconoscimento dei ser-vizi prestati, privilegi e libertà analoghe a quelle dei barcellonesi. Fra que-sti spicca il nome di Mascerone Bonaquisto che nel 1326 fu addirittura ele-vato allo status di familiare del re.

Questo bel saggio di Soldani ripercorre non solo gli anni della guerraspagnola per la conquista dell’isola sarda nella prima metà del XIV sec.,ma anche quelli più torvi della seconda metà del secolo, che videro com-piersi la parabola di altri tipi di procacciatori d’affari, come i de Doni, astutimercanti-armatori fiorentini, la cui affermazione fu dovuta «in larga parteproprio al ruolo di finanziatori delle spedizioni catalano-aragonesi in Sarde-gna». Si delinea qui la figura di Gherardo che fu – in miniatura – per i deDoni quello che Giovanni di Bicci sarà per i Medici, ovvero l’artefice dellarepentina ascesa sociale della famiglia. Gherardo entrò talmente in confi-denza con la Corona spagnola che gli furono affidate questioni delicate co-me quella della «Bella di Sanluri», una concubina del re di Sicilia. Soldaniracconta a proposito: «Proprio a Gherardo fu affidata la gestione della “bel-la di Sanluri” [… ], una questione di massima riservatezza. Gli sarebberostati trasmessi ad Alghero 500 fiorini d’oro d’Aragona, da assegnare alladonna che diceva di essere incinta del primogenito di Martino il Giovane.Gli era stato ordinato di separare il bambino dalla madre, consegnarle la ri-compensa e fare in modo che si chiudesse in convento, mentre dell’istruzio-ne del nascituro si sarebbe occupata la Corona».

Questo dotto lavoro di Soldani, confortato da un robusto apparato di notecritiche, va insomma ad inserirsi nella fervente ricerca sul Mar Mediterra-neo tardo medievale e rievoca le imprese di uomini d’affari che usarono ilproprio spirito imprenditoriale per elevarsi socialmente ed entrare a farparte della «dorada» nobiltà spagnola.

Simone Bulleri

Maria Elisa Soldani, I mercanti catalani e la corona D’Aragona in Sardegna. Profittie potere negli anni della conquista, Viella, Roma 2017, pp. 163, € 19,00.

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La prosa fluida ed accattivante del«nostro» Otello Lenzi ci dà un appun-tamento pressoché annuale; il 2016 èla volta di questo agile volume, riccodi storie e di personaggi, di esperienzedi vita propria e altrui e di frammentidi vicende storiche che hanno attra-versato il Novecento. Lenzi non rinun-cia alla sua vocazione di storico localeche, nel trasmettere «schegge» memo-rialistiche – sempre rigorosamente do-cumentate – ha la consapevolezza e lamissione di conservare ai posteri unpatrimonio inestimabile di cultura e diumanità che, diversamente, sarebbedestinato ad un ingiusto e definitivooblio. Ecco allora le figure di Don An-geloni, leggendario e battagliero prete versiliese; del colto e umano genera-le germanico conte Senger (antinazista e benedettino); dello scultore e par-tigiano Nardo Dunchi; infine del grande artista Moses Levy, di cui l’Autoreregala ai lettori la riproduzione di alcune poeticissime e rare incisioni. Sta-volta Lenzi ha preferito, anziché sviscerare un unico argomento come inpassato – chi non rammenta le ponderose monografie sugli Asburgo in Luc-chesia e su Nardo Dunchi? – consentire una lettura più distensiva e variata,aperta ai molteplici appetiti storici ed artistici che alimentano la profondapersonalità culturale di Otello Lenzi, venata di quella opportuna dote dileggerezza e di poesia che gli occhi maturi e consapevoli del narratore ri-escono a scorgere nelle pieghe talvolta funeste della storia e della vita.

Lorenzo Gremigni

Otello Lenzi, Don Angeloni, un prete scomodo e altre storie, Bandecchi e Vivaldi,Pontedera 2016, pp. 245 con ill. BN, € 18,00.

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Fabrizio Sainati, Stefano RenzoniMaria Alberti, Stefano Bruni

Storie di un teatroPer i 150 anni del Teatro Verdi di Pisaa cura di Stefano Bruni

Edizioni ETS, pp. 160, ill., ¤ 22,00

l 12 novembre 1867 con il Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini siinaugurava il Regio Teatro Nuovo, che dopo la morte del grandecompositore venne intitolato a Giuseppe Verdi, nome che ancor oggicaratterizza il massimo istituto teatrale di Pisa, realizzato in pochianni, subito dopo l’Unità d’Italia, da un gruppo di cittadini al fin didotare Pisa di un moderno teatro dove si rappresentassero spettacolid’opera e di prosa. Di lì a poco, a partire dal 1889 il palcoscenico del teatro vide lo svolgersi anche di spettacolidrammatico-coreutici messi in scena dagli studenti della goliardia universitaria. Il teatro divenne così, fin dasubito, la principale istituzione pisana votata allo spettacolo e le tavole del suo palcoscenico sono state calcatenei suoi centocinquanta anni di vita da tutti gli artisti italiani, ma anche internazionali, che hanno inciso il pro-prio nome nel pantheon delle rappresentazioni drammatiche, musicali, coreutiche. Attraverso un gruppo discritti che affrontano le vicende della costruzione dell’edificio e delle trasformazioni urbanistiche del quartiereentro cui fu inserito, unitamente alla storia della vita e delle stagioni teatrali che hanno segnato la vita culturaledi Pisa dai primi anni del Regno d’Italia ad oggi, il volume ricostruisce anche con l’ausilio di nuovi documenti edi una ricca documentazione fotografica, in parte inedita, il vivace profilo di un teatro che è stato ed è protago-nista della vita culturale della città e della nazione.

Storie di un teatro

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i ETSizionEd

Maria Luisa Ceccarelli Lemut e Stefano Sodi

La Chiesa di Pisa dalle originialla fine del DuecentoPisanorum ecclesia specialis sancte Romane Ecclesie filia

Edizioni ETS, pp. 472, ill., ¤ 35,00

«Siamo di fronte a un’opera storica che ha fatto dell’accertamento docu-mentario la primaria preoccupazione e che appare costruita attraversoun costante riferimento alle fonti. Essa nasce da una lunga, paziente, si-stematica raccolta di risultanze testuali, che comporta un’analoga moda-lità di accostamento da parte del lettore, chiamato ad affiancare gli Au-tori nel lavoro di progressiva costruzione del mosaico, tessera dopo tes-sera. Accostare queste pagine è un’esperienza che genera una meravi-glia crescente, quanto più si assiste al progressivo trasformarsi di materiali variegati in una unitaria e splen-dida immagine, nella quale ogni elemento assume – nella sua individualità – una specifica collocazione, enel contempo precisa e rende più decifrabile l’insieme. Ma non meno straordinaria è la sensazione – che colprocedere delle acquisizioni si determina – di aver raggiunto una percezione estremamente sicura dei linea-menti di quell’immagine, tanto da sentirsi come immersi in essa e divenuti in qualche modo di essa compar-tecipi. La successione dei capitoli è concepita secondo una prospettiva strettamente istituzionale. Ma i pro-blemi, coi quali siamo chiamati a confrontarci, vedendone i concreti riflessi nei personaggi e nelle strutture,sono le grandi questioni che hanno segnato la storia della Chiesa in Occidente (e non solo) tra tarda Antichi-tà e Medioevo» (Cesare Alzati).

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Renzo Castelli

La tragica storia della Contessa LaraAmori e delitti dall’Ottocento

Edizioni ETS, pp. 148, ¤ 13,00

Una cronaca dal nostro Ottocento: gli scritti, gli amori, i drammi di Eva Cat-termole che fu, con lo pseudonimo di “Contessa Lara”, la giornalista più po-polare di quel secolo. Una biografia appassionante come un romanzo nellaquale anche i maggiori eventi dell’Italia postunitaria irrompono nel raccontocosì da diventarne essi stessi protagonisti. Eva Cattermole fu la giornalista più popolare dell’Ottocento, colei che perprima dette vita su riviste e quotidiani, con lo pseudonimo di “Contessa La-ra”, a rubriche di varia umanità ma soprattutto a quella, mai vista prima, della “Piccola posta”, lettere al gior-nale e risposte attraverso le quali scambiarsi confessioni e consigli. Per un universo femminile in larga parteancora recluso fra le mura domestiche, con scarsi strumenti di comunicazione, quelle rubriche rivoluzionaronoil costume e precorsero i tempi cosicché la fama che derivò a Eva Cattermole da questo lavoro giornalistico,unito a una rara bellezza e ai suoi molti amori, fu enorme. Ma la sua fama fu legata anche a fatti di sangue cheoccuparono le cronache dell’epoca e che la videro protagonista e infine vittima.

Francesco Bono, Fabio Daole, Simone Pietro Lattanzi Mario Pasqualetti, Fabio Redi, Daniela Stiaffini

Gli Arsenali della Repubblica di PisaStoria, restauro, valorizzazionea cura di Stefano Bruni

Edizioni ETS, pp. 176, ill., ¤ 24,00

«Per Pisa i progetti finanziati con i Piani Integrati di Sviluppo sono stati unagrande opportunità che ci ha consentito di valorizzare un patrimonio di in-dubbia bellezza e di grande valore artistico e culturale. Il Comune di Pisaha elaborato molti progetti tra cui quello del restauro degli antichi ArsenaliRepubblicani, oggetto di questa pubblicazione: tutti i progetti sono stati attentamente selezionati dalla Regione To-scana sulla base di una serie di parametri, tra cui quello culturale in cui il Comune di Pisa si è posizionato primotra i comuni toscani. Non a caso, la Regione Toscana ha scelto i progetti Piuss di Pisa per rappresentare in un «Eu-romeeting» il migliore esempio di rinnovamento urbano e d’investimento per la valorizzazione dei beni culturali eper un rilancio turistico centrato sulla qualità. Siamo diventati una città esemplare per impiego dei fondi europei,dimostrando concretamente che le politiche più avanzate dell’Unione Europea, condivise con le Regioni, possonocambiare il volto e l’economia delle nostre città Non possiamo negare che i progetti di recupero fossero molto am-biziosi ma i risultati, finora, ci hanno dato ragione: questi spazi ospitano tante iniziative culturali, consentendo allacittà di riappropriarsi di un luogo che sorge, tra l’altro, in un contesto che ha tutte le potenzialità per diventare unatappa obbligata dei percorsi turistici. Il recupero degli Arsenali segna un nuovo tassello nel mosaico della Pisa delfuturo, perché restituisce alla città uno spazio di grandissimo pregio che diventerà una delle principali porte d’ac-cesso turistiche, ma anche un centro servizi e un’area espositiva funzionale al Museo delle Navi Romane e alla vi-cina Cittadella Galileiana. Dopo diversi decenni d’incuria, si potrà ricominciare finalmente ad apprezzare una pa-gina importante della storia della città: l’operazione di recupero degli Arsenali Repubblicani ha rispettato i tempiimposti dall’Unione Europea e ha creato lavoro qualificato nei cantieri e tanto ancora per la prospettiva d’impiegodel patrimonio messo a valore. Tutto quello che abbiamo fatto grazie a questi progetti non è solo il risultato di scel-te politiche, ma anche – e direi soprattutto – della capacità e della volontà di uomini e donne capaci di dare unesempio virtuoso di buona amministrazione della cosa pubblica» (Marco Filippeschi, Sindaco di Pisa).

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