il regno di dio fra vita eterna e vita terrena regno di... · elencando. sulla vita eterna invece ,...
TRANSCRIPT
Il Regno di Dio fra vita eterna e
vita terrena
“Svegliati, o uomo: per te Dio si è fatto
uomo. “Svegliati, o tu che dormi,
destati dai morti e Cristo ti illuminerà”
(Ef 5,14). Per te, dico, Dio si è fatto
uomo. Saresti morto per sempre, se egli
non fosse nato nel tempo. Non avrebbe
liberato dal peccato la tua natura, se
non avesse assunto una natura simile a
quella del peccato. Una perpetua
miseria ti avrebbe posseduto, se non
fosse stata elargita questa
misericordia. Non avresti riavuto la
vita, se egli non si fosse incontrato con
la tua stessa morte. Saresti venuto
meno, se non ti avesse soccorso.
Saresti perito, se non fosse venuto”
Sant’Agostino. Discorso 85
Premessa
Credo che una delle difficoltà maggiori che si presentano ai credenti
dinnanzi alla morte di una persona amata è il come continuare a pensarla
vivente, come raffigurarsela. Sentiamo forte l’esigenza di parlare con lei,
di pregare con lei, di continuare ad avere un rapporto vivo e intenso come
era fino al giorno in cui ha chiusi gli occhi, ma ci si accorge che in questo
la cultura religiosa non ci aiuta molto. Le immagini dell’aldilà che
vengono offerte sono immagini eteree, leziose, del tutto improbabili:
nuvole, angioletti in un mare di azzurro. Anche le “indiscrezioni” di cosa
faremo nell’aldilà non aiutano molto: vivremo in una contemplazione
continua del Signore, si dice. Ma che significa? Significa che non faremo
niente e guarderemo solo il volto di Dio? Sinceramente non è una
prospettiva entusiasmante immaginare milioni e milioni di persone che se
ne stanno, per l’eternità, seduti e guardano in estasi o sono immersi in
adorazione, senza fare null’altro… E tutto quello che abbiamo
sperimentato in questa vita: i bei progetti, i sentimenti, gli ideali? Tutto
scomparso? Tutto “vanità delle vanità”? come reciterebbe il Quolet.
Lo strano è che di fronte ad una elaborazione e raffigurazione così
indeterminata riguardante l’aldilà, la cultura religiosa sull’aldiquà cioè
sull’esperienza sociale, sulla pace, sulla difesa del creato, si presenta con
tutt’altro spessore: il ricco insegnamento sociale della Chiesa, il
personalismo, il popolarismo sturziano, i testi del Vaticano II e via
elencando. Sulla vita eterna invece , a parte la citazione in alcune preghiere
tradizionali e la riproduzione stanca di alcune oleografie, vi è una forte
afonia come se la Chiesa contemporanea, avendo sviluppato una forte
attenzione ai temi della socialità, temesse di essere accusata di evasione
dalla dura realtà del quotidiano, dai problemi e dalle difficoltà della vita di
tutti i giorni. E così mentre la Chiesa ed i cristiani balbettano sull’aldilà, si
diffondono e si radicano - soprattutto fra le nuove generazioni - feste come
quelle di Halloween del tutto estranee alla nostra tradizione, che
provengono da culti celtici diffusi negli Stati Uniti e favoriti da una
surrettizia spinta consumistica e dalla moda indotta da tutta una serie di
filmati per la tv su un aldilà dominato dall’horror.
In realtà quando ho preso a studiare ed a riflettere su cosa un cristiano può
dire della vita eterna e dell’aldilà, mi sono accorto di trovarmi, invece, di
fronte a tematiche per nulla evasive ma che eventualmente rimandavano ad
un più forte impegno nella vita sociale, politica, culturale perché aldiquà
ed aldilà non sono due realtà del tutto estranee.
Da dove ripartire in questa riscoperta dell’aldilà se non dalla Resurrezione
di Gesù Cristo? La Resurrezione è la dimostrazione che la vita eterna é
possibile anzi che con la Resurrezione del Cristo si apre una pagina nuova
nel creato: la vita umana diventa eterna. Chiunque crede in me, dice Gesù,
avrà la vita eterna (Gv 3, 15).
La Resurrezione di Cristo è un evento unico ed al tempo stesso
rivoluzionario non solo della storia dell’uomo ma dell’intera creazione.
Nella storia dell’uomo non è mai accaduto che un morto resuscitasse - non
per tornare a morire come è stato, per esempio, per Lazzaro - ma per
vivere in eterno. Questo fatto unico ed eccezionale è anche rivoluzionario
perché ha sconfitto la morte ed ha aperto la strada verso la resurrezione a
tutti gli uomini sia quelli premiati con la vita eterna sia quelli puniti con la
dannazione eterna; quindi ha cambiato profondamente la vita eterna
trasformandola dal Paradiso in cui la Trinità viveva con la schiera degli
angeli nel Regno di Dio che accoglie, trasfigurati e glorificati, anche i
frutti positivi dell’umanità e questo sia per i valori, i sentimenti e le virtù
sia per le strutture.
Ecco questa è la prospettiva che vogliamo approfondire. Una prospettiva
che concretizza la vita eterna, la strappa alle immagini devozionali e ne fa
il punto di arrivo di tutte le speranze, le passioni, le utopie positive della
storia degli uomini.
La Resurrezione fulcro della nostra vita e dell’Universo
Il card. Carlo M. Martini, che considero uno dei miei maestri nel cammino
di fede , in una delle ultime interviste rilasciate a Eugenio Scalfari su “la
Repubblica” - ricordava che per lui ” e per tutta la comunità dei fedeli,
la Resurrezione era il fulcro della nostra vita… Lo Spirito risorge in
tutti noi. Risorge ogni giorno, risorge quando preghiamo, quando ci
comunichiamo mangiando il pane e bevendo il vino del Signore,
quando risorgono in noi la carità e la speranza del futuro, quello
terreno e quello extraterreno. La storia del mondo non sarebbe quella
che è se la speranza non alimentasse i nostri sforzi e la carità non
illuminasse la nostra vita quotidiana. La Resurrezione dello Spirito è
la fiamma che spinge le ruote del mondo. Lei può immaginare un
mondo senza carità e senza speranza?( Eugenio Scalfari, “Ragionando
con Martini di peccato e Resurrezione”, 13 maggio 2010, in “la
Repubblica.it” Spettacoli & Cultura) "
La Resurrezione è il fondamento centrale della fede cristiana per cui Paolo
ha potuto dire nella prima lettera ai Corinti: “Se Cristo non fosse risorto la
nostra predicazione sarebbe senza fondamento e vana la vostra
fede”(15,14). A Paolo si deve la gran parte del “kerigma” cioè
dell’”annunzio” della Chiesa apostolica sulla Resurrezione. Nel suo testo
più antico, la prima Lettera ai Tessalonicesi, collocabile intorno al 50 d.C,
si trova una delle prime formule della Resurrezione collegata alla
resurrezione dei morti:” Noi crediamo che Gesù è morto e poi è
resuscitato. Allo stesso modo, crediamo che Dio riporterà alla vita,
insieme con Gesù, quelli che sono morti credendo in lui”(1 Tess 4,14).
Nella prima ai Corinti ,scritta fra il 54 ed ilo 55, si trova il testo più ampio
ed elaborato di Paolo su questo tema. Un vero e proprio manifesto in cui
oltre al kerigma, al collegamento fra la resurrezione di Cristo e la
resurrezione dei morti, si parla anche della corporeità di chi risorge.
La dottrina delle resurrezione dei corpi
Noi risorgeremo, dice Paolo, con un corpo trasfigurato rispetto a quello
terreno ma allo stesso tempo tale da conservarne l’identità. ”Il corpo è
seminato corruttibile e risuscita incorruttibile; è seminato ignobile e
risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita potente; è seminato corpo
naturale e risuscita spirituale”(1Cor15, 42-44).
A differenza della cultura greca che crede nell’immortalità dell’anima la
Chiesa apostolica ed i padri della Chiesa hanno predicato, da subito, la
resurrezione dei corpi. Secondo i filosofi pagani ed in particolare quelli
greci e quindi la cultura platonica e neoplatonica il corpo veniva ritenuto
fonte di limitazione, un accessorio accidentale del quale l’anima doveva
liberarsi. Il fondamento della dottrina cristiana sulla resurrezione dei corpi
è invece la Resurrezione di Gesù e quindi si sottolinea la “novità” di un
corpo trasfigurato e glorificato.
Sembrerebbe una affermazione che si scontra, in maniera insuperabile, con
la mentalità tipica delle scienze naturali che tanto permea la cultura
moderna. Ma non è così. La dottrina della resurrezione non afferma che gli
uomini, dopo essere definitivamente morti, tornino nella realtà della vita
spazio-temporale, ma che essi entrano in un modo di esistenza diversa,
nuova, definitiva, al di là della realtà terrena a noi accessibile. Di fronte ad
una posizione di questo tipo una scienza naturale consapevole e
responsabile non può dire nulla né a favore, né contro perché esula dalla
sua competenza. Invece l’antropologia più recente che non identifica la
morte corporea con la ‘morte’ umana ‘totale’ e più in generale la
corporeità con l’umanità, avrebbe di che interrogarsi .
Ma cerchiamo di saperne di più di questa dottrina della resurrezione dei
corpi.
“La nostra patria – dirà Paolo nella Lettera ai Filippesi – è nei cieli e di là
aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il
nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del
potere che ha di sottomettere a se tutte le cose”( 3,20.21).
Proprio facendo riferimento al Cristo risorto la Chiesa ha sempre predicato
l’identità fra corpo risorto e corpo terreno. Lo stesso termine “ri-sorto” fa
riferimento ad una realtà caduta che ritorna ad essere. Già Paolo in 1
Corinzi 15,36-38 per spiegare l’identità nella diversità fa ricorso alla
metafora del seme. “Ciò che tu semini non prende vita, se prima non
muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice
chicco, di grano ad esempio o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come
ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo”.
E più avanti: “Ecco io vi annuncio un mistero: non tutti , certo, moriremo,
ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono
dell’ultima tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo
trasformati. E’ necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di
incorruttibilità e questo corpo mortale si rivesta di immortalità”(1 Cor 15,
51-53).
In polemica con gli gnostici, i Padri della Chiesa con la formula
“risurrezione di questo corpo” hanno voluto sottolineare la continuità
“etica” fra la vita presente e quella futura, e quindi il valore e la proiezione
eterni delle azioni umane positive compiute nella storia sebbene queste
fossero svolte in un contesto finito e limitato nel tempo .
Le Resurrezione riguarda tutto il creato
San Paolo parla di “tutto l’universo”. “Tutto l’universo aspetta con grande
impazienza il momento in cui Dio mostrerà il vero volto dei suoi figli. Il
creato è stato condannato a non aver senso, non perché l’abbia voluto, ma
a causa di chi ve lo ha trascinato. Vi è però una speranza: anch’esso sarà
liberato dal potere della corruzione per partecipare alla libertà e alla
gloria dei figli di Dio. Noi sappiamo che fino ad ora tutto il creato soffre e
geme come una donna che partorisce. E non soltanto il creato, ma anche
noi che abbiamo, le primizie dello Spirito, soffriamo in noi stessi perché
aspettiamo che Dio, liberandoci totalmente, manifesti che siamo suoi
figli.” (Rom. 8, 18-23).
D’altronde il Nuovo Testamento parla sì di una discontinuità fra il cosmo
presente ed il futuro universo glorificato (Rm 8,19-21; Ap 21,1-2) ma non
della sua distruzione definitiva. Oltre a Paolo anche l’Apocalisse parla
dell’attesa di “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21,1). Anche Pietro
che pure afferma che “i cieli spariranno con un grande fracasso, gli astri
dei cieli saranno distrutti dal calore e la terra, con tutto ciò che contiene
cesserà di esistere” (2Pt 3, 10) conclude ricordando che “Dio, come dice
la Bibbia, ci ha promesso cieli nuovi ed una nuova terra, dove tutto sarà
secondo la sua volontà”.
Il Giudizio potrebbe difficilmente essere visto come qualcosa di
pienamente giusto se la Resurrezione fosse compresa come una sorta di
violenta intrusione nella realtà creata già esistente dimenticando che lo
stesso Dio che giudica è l’unico Creatore e Signore dell’universo e di tutto
ciò che vi si contiene.
San Paolo in 1 Corinzi (15, 20-27) dice: "… Poi Cristo distruggerà ogni
Principato, Dominazione e Potenza, e consegnerà il regno a Dio Padre:
allora sarà la fine. Perché Cristo deve regnare, finché Dio abbia messo
tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico a essere distrutto sarà la
morte. Infatti la Bibbia afferma: «Tutto ha posto sotto i suoi piedi»”.
La grande “rivoluzione” del Cristo
Abbiamo già visto che la Resurrezione di Gesù ha dato una prospettiva
nuova, eterna, agli uomini e al creato ma questo ha potuto farlo perché ha
rivoluzionato anche l'aldilà realizzando appunto quel Regno di Dio di cui
parlava nella sua predicazione terrena proclamando : “Convertitevi perché
il Regno di Dio è vicino".
Ragionando con la logica temporale, propria della vita terrena, possiamo
dire che il primo atto che compie Gesù dopo la sua morte è la liberazione
dei giusti che erano morti prima di lui e li conduce con sé in Paradiso. Dice
infatti Pietro ( 1Pt 3,19): "E' in spirito andò ad annunziare la salvezza agli
spiriti che attendevano in prigione". E chi erano questi spiriti? Una antica
tradizione dei padri della Chiesa vuole che siano i giusti, morti prima della
Resurrezione , che erano in un luogo di attesa lo sheol e cioè "gli inferi"
che non corrispondeva all'infermo ma ad una sorta di limbo. Un altro
esempio di questo “cortocircuito” fra tempo ed eternità ce lo mostra la
trasfigurazione del Monte Tabor. E’ dopo la sua morte che Gesù libera i
giusti, abbiamo detto, e quindi anche Mosé ed Elia eppure sul Tabor, in
questo squarcio di eternità che egli apre dinnanzi agli apostoli attoniti,
Mosé ed Elia sono al suo fianco.
Per comprendere questo ed altri paradossi temporali di cui è disseminato il
Nuovo Testamento bisogna ricordare che la scansione del tempo non
riguarda la vita eterna. Per chi è in essa tutto è, in un certo senso
contemporaneo. Così la Resurrezione produce i suoi effetti fin dagli inizi
dei tempi anche se questo concetto ci confonde: la categoria del tempo è
necessaria alla nostra comprensione ma l'esperienza di Dio è oltre.
Il significato dell’Ascensione
Se il primo atto della rivoluzione è la Resurrezione con l’appendice della
“discesa agli inferi” e la resurrezione dei giusti che erano già morti, il
secondo è l’Ascensione. Un evento la cui importanza spesso sfugge e
viene considerato, per così dire, secondario quasi pleonastico. Eppure
nell’economia della rivoluzione dell’eternità proprio l’Ascensione ha un
ruolo importante.
Dopo la sua morte Gesù è asceso al cielo per preparare l’accoglienza degli
apostoli e dei fedeli. Racconta Giovanni (14,1-4) che Gesù disse ai
discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate
fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve
l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò
preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi
dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Disse
Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere
la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene
al Padre se non per mezzo di me».
Un teologo che ebbe un ruolo importante nella teologia della seconda metà
del secolo scorso e fu fra i protagonisti del Concilio, Jean Daniélou, mette
un accento particolare sull’Ascensione. Gesù dice il teologo e cardinale
francese, si presenta come il Figlio dell'uomo annunciato da Daniele: chi
crede in Lui è già giudicato (Giov. III, 17), è passato dalla morte alla vita
(V, 25), possiede la vita eterna (V, 24). Tutto questo viene compiuto dagli
avvenimenti misteriosi della sua Incarnazione, della sua Passione, della
Resurrezione e infine dell' Ascensione per la quale, secondo il detto
dell'Epistola agli Ebrei, l'umanità è introdotta una volta per sempre nella
sfera di Dio.
“Lo straordinario avvenimento che nella storia del mondo è rappresentato
dall' Ascensione – scrive Daniélou ( Jean Danilou,“Il Mistero della
salvezza delle nazioni”, in Italia nel 1954, oggi in www.atma-o-
jibon.org/italiano?/danielou_salvezza1.htm) - è che, una volta per tutte e
per sempre, l'umanità viene unita alla vita divina ed è introdotta da Cristo
nella sfera di Dio.
«Hapax », «una volta per tutte », in una maniera assolutamente «
irreversibile» secondo il termine che usano i filosofi moderni per definire
il senso stesso del tempo. Questo vuol dire che non ci può essere più un
ritorno indietro e che l'umanità non può essere più separata da Dio. Essa vi
è entrata per sempre e definitivamente. Noi siamo salvati in Cristo. Per
conseguenza la salvezza nostra non è più soltanto una speranza, ma una
realtà già realmente posseduta. Abbiamo già la vita divina e la fine dei
tempi è venuta con Cristo. Questo è definitivamente acquisito “.
Secondo il pensiero di parecchi Padri, con l'Incarnazione l'umanità intera
ha già contratto un'unione indissolubile con la divinità attraverso Gesù
Cristo. Ma è un'unione ancora iniziale e potenziale, destinata a svilupparsi
nei singoli uomini attraverso la loro incorporazione a Cristo: il risultato di
questa incorporazione è la Chiesa, corpo mistico di Cristo. All'Ascensione
è Cristo, capo della Chiesa, che entra in cielo e che vi introduce quelli che
sono definitivamente incorporati a Lui. Con l’Ascensione Cristo inaugura
il nuovo Paradiso che non è abitato solo da angeli ed arcangeli ma dagli
uomini con i loro valori, la loro storia, la loro cultura. Con l’Ascensione il
Regno di Dio si insedia nel Paradiso.
Tuttavia,- osserva ancora Daniélou - se consideriamo noi stessi e l'umanità
che ci circonda, siamo colpiti da quel che resta di miseria, di peccato e
dalla piccola differenza che spesso sembra esserci tra un cristiano e un non
cristiano. Siamo sbalorditi vedendo come la salvezza acquistata in Cristo
sia ancora cosi poco manifesta. Era già così per i primi cristiani; benché
convinti che a partire dalla Pentecoste lo Spirito Santo fosse venuto e che
essi avessero la vita divina, erano pure coscienti di ciò che loro mancava;
vedevano bene, in particolare, di non essere ancora risorti. Se essi, secondo
il detto di S. Paolo, potevano dire: «Consurrexistis cum Christo - Siete già
risorti con Cristo », sapevano anche che la resurrezione a cui
partecipavano con la grazia non era ancora manifestata nel loro corpo.
Secondo un'espressione di S. Giovanni: «Noi siamo ora figli di Dio . Ma
ciò che saremo un giorno non è ancora stato manifestato ».
C'è quindi qualche cosa di acquisito e nel tempo stesso uno scarto che
separa questa prima acquisizione dal compimento definitivo. E una riprova
dello scarto che esiste fra la vita terrena cadenzata dal tempo e l'aldilà
immerso nell'eternità. Comunque sappiamo che al tempo di questa
manifestazione, di questa Apocalisse, «noi saremo simili a Lui perchè lo
vedremo come è ». (I Gv 3,2).
La missione dello Spirito
In stretto collegamento con il Verbo, anche durante la missione terrena del
Cristo, opera lo Spirito Santo. Il dono dello Spirito nella Pentecoste è la
terza fase della grande rivoluzione dopo la Resurrezione e l’Ascensione.
Esiste quindi un filo rosso che collega fra di loro Incarnazione, Passione,
Resurrezione, Ascensione e Pentecoste. Un filo rosso che continua ancora
oggi a scorrere nella storia e scorrerà fino alla Parusia quando cioè sarà
messa fine alla storia del mondo, cioè alla vita terrena.
Jean Daniélou , nel libro citato, osserva che si riflette molto sul rapporto di
Gesù col Padre e poco invece su quello con lo Spirito Santo. Eppure a
cominciare dal Battesimo nel Giordano per tutta la sua vicenda terrena
Gesù opera con lo Spirito e si qualifica non solo come re e sacerdote ma
anche come profeta. Si pensi, per fare un esempio, alla profezia nella
sinagoga di Nazareth:
“Lo Spirito del Signore è sopra di me, perciò mi ha unto per evangelizzare
i poveri. Mi ha mandato ad annunciare ai prigionieri la liberazione, ai
ciechi la vista, e a rimettere in libertà gli oppressi. Oggi questa scrittura
s’è adempiuta davanti a voi (Luca 4,18-19)”.
E’ in virtù dello Spirito santo – ci ricorda Congar – che Gesù porta avanti
la sua lotta contro Satana ed esercita il suo potere di iniziatore del Regno
manifestando la sovranità misericordiosa e benevolente di Dio.
Gesù ha inviato lo Spirito nel mondo: "E' bene per voi che me ne vada,
perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore: ma quando me
ne sarò andato ve lo manderò . E quando sarà venuto, egli convincerà il
mondo quanto al peccato, alla giustizia ed al giudizio. Quanto al peccato
perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e
non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo
è stato giudicato" (Gv. 16, 7-11).
Quanto al peccato, quanto alla giustizia e quanto al giudizio certamente
non può non comprendere anche l' aiuto agli uomini a costruire quel pezzo
di storia delle realtà terrene che, trasfigurato, entrerà a far parte del Regno
di Dio.
Che cos’è la vita eterna?
Siamo partiti del kerigma che riguarda la Resurrezione del Signore e di
“quelli che sono morti credendo in lui”, dei corpi glorificati e dell’universo
tutto che attende la trasfigurazione. Ma che cosa si intende per “tutto
l’universo”? Solo l’universo creato cioè la natura o anche quella parte
dell’universo costruito dall’uomo partecipando all’opera della creazione?
Su questo la Chiesa ha continuato a riflettere dai tempi di Paolo fino ai
nostri giorni, fino al Vaticano II passando attraverso il contributo dei
Padri. E proprio alla luce di quanto ha detto il Concilio Vaticano II (
Lumen gentium, 48; Gaudium et spes, 39) penso che il termine vada
inteso in senso ampio investendo anche l’universo costruito dagli uomini.
Anche queste realtà subiranno la trasfigurazione cioè verranno purificate
da quelle che Giovanni Paolo II ha chiamato “strutture di peccato” e
“meccanismi perversi” esaltando invece le strutture di solidarietà cioè i
meccanismi virtuosi.
A questo punto della riflessione possiamo chiederci che cosa sia la vita
eterna o, forse ancora meglio, il Regno di Dio del quale Gesù ci ha parlato
più volte nelle sue parabole? Come possiamo raffigurarcelo? Diciamo
subito che è una vita vissuta nella comunione con Dio, nella pienezza del
suo amore. Questo non vuol dire però che Dio assorbe la nostra
personalità. Noi non ci annientiamo in lui con la scomparsa della nostra
individualità. Noi continuiamo ad esistere con il nostro carattere, i nostri
sentimenti forti che abbiamo saputo coltivare sulla terra ed ora vengono
potenziati nell’amore di Dio; i nostri valori, i nostri affetti, le nostre
passioni e inclinazioni purificate e sublimate. Trasfigurate è forse il
termine più adeguato come la trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor che
fu una finestra aperta sull’aldilà.
Il Concilio Vaticano II nella “Gaudium et spes” ci conferma che "vinta la
morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, ciò che fu seminato in
infermità e corruzione rivestirà l'incorruttibilita'; resterà la carità con i
suoi frutti, e sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà
che Dio ha creato appunto per l'uomo"(n.39). Continueremo quindi, a
coltivare l’amore, l’amicizia, le relazioni umane e sociali.
Naturalmente continuerà anche l’amore coniugale se il matrimonio è stato
vero amore e non solo contratto sociale. E’ un punto che desidero
sottolineare perché vi è quel passaggio in Marco (12. 18-27) in cui Gesù
viene interrogato dai Sadducei proprio sulla vita eterna e si fa riferimento
alla legge mosaica per cui se un uomo muore e lascia la moglie senza figli,
il fratello deve sposare la vedova e cercare di avere figli. Ora – chiedono i
Sadducei che non credevano nella resurrezione - se una donna sposa, in
successione, alla morte di ciascuno di essi, più fratelli, di chi sarà la moglie
quella donna nel giorno della Resurrezione? E Gesù risponde: “Quando i
morti risorgeranno, gli uomini e le donne non si sposeranno più, ma
saranno come gli angeli del cielo”. E’ la risposta secca, dura quasi
provocatoria a chi crede di mettere in difficoltà Gesù con dei cavilli.
Nell’aldilà non ci saranno più obblighi legati all’istituto legale del
matrimonio ma i sentimenti sì, i legami di valore sì. Anzi in un mondo in
cui non esisteranno più discriminazioni e sperequazioni verranno
recuperate anche le istituzioni liberate dalle strutture di peccato e quindi
avrà luogo anche una vita sociale come vita di convivialità e di ricerca
comunitaria del bene e del bello. Sarà "una nuova abitazione e una terra
nuova – dice ancora la Gaudium et Spes -, in cui abita la giustizia, e la cui
felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono
dal cuore degli uomini"(n.39). Così nella terra presente cresce " quel corpo
dell'umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che
adombra il mondo nuovo". E se non si può confondere il progresso terreno
con lo sviluppo del Regno di Dio " tuttavia, tale progresso, nella misura in
cui può contribuire a meglio ordinare l' umana società è di grande
importanza per il Regno di Dio. La dignità dell'uomo, la comunione
fraterna, la libertà, cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra
operosità , dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore
e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da
ogni macchia, illuminati e trasfigurati, nella vita eterna " (n.39).
Il Regno non sarebbe un convivio di anime liberate dal corpo ma di uomini
con un loro corpo rigenerato, divenuto eterno ma attento a coltivare le
relazioni. Non credo che sia un caso che l’immagine più usata da Gesù per
indicare il suo Regno è il banchetto conviviale. L’aldilà può essere pensato
quindi come città dell’amicizia perfetta e come città della gioia piena che,
nella misura in cui recepisce il contributo di questo mondo, si sviluppa ed
evolve dentro un equilibrio dato che è stato acquisito una volta per sempre.
Quando ha inizio la vita eterna?
Quando ha inizio la vita eterna? La vita eterna può iniziare già in questo
mondo. Più volte Gesù ci ricorda che “Chi crede in me ha la vita eterna”
(Gv 3,15.16.36), “Chiunque vive e crede in me, non morirà mai” (Gv
11,26), “Se uno osserva la mia parola non vedrà mai la morte”(Gv 8,51),
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv
6,54; 3,36;5,24; 6,47; 6,54); “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in
me anche se muore vivrà” (Gv 11,25), ecc. ecc.
E’ chiaro che quando Gesù parla di mangiare il proprio corpo e bere il
proprio sangue non intende la semplice partecipazione formale all’
eucarestia ma una partecipazione più profonda al suo sacrificio e cioè
l’offerta della propria vita. Che non si tratti di una esperienza individuale
che riguarda solo la persona singola emerge in Luca (17,21): “Il Regno di
Dio è già in mezzo a voi” e in Matteo (18,20): “Dove sono due o tre riuniti
nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Il Regno di Dio è dove c’è
Gesù, nella vita eterna e nella vita presente. Il Regno di Dio e la vita eterna
fanno parte del mistero del “già e non ancora”.
Ce lo ricorda il Concilio: nel mondo presente già cresce il corpo
dell’umanità nuova. Si tratta di usare il discernimento per individuare i
semi di questo regno – e cioè tutti i segmenti di amore, di carità di
solidarietà sparsi nel mondo - ed aiutarli a crescere ( Mt 13, 31-32) come
accade al lievito che è una piccola parte della farina ma fa lievitare tutta la
pasta (Mt. 13, 33).
Questo “corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa
prefigurazione, che adombra la società nuova” (Lumen gentium n.39) è la
Chiesa? Molti lo sostengono e sembrerebbe affermarlo anche il Vaticano II
al n. 5 della Lumen gentium : ”La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo
fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e
abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti
il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e
l'inizio”.
Ma se consideriamo che per questa realtà nuova, Dio opera direttamente
con le sue due mani che come ci ricordava sant’Ireneo sono la Parola e il
Soffio ( Y. Congar, La Parola e il Soffio , Roma 1983) non possiamo non
riconoscere che indubbiamente Cristo è più grande della sua Chiesa e che
lo Spirito soffia dove vuole, anche oltre i confini della Chiesa-istituzione,
suscitando nella storia profeti non solo fra i credenti ma anche fra i non
credenti. Quindi la Chiesa di questa realtà ne è il segno, il sacramento, in
qualche modo – ci auguriamo – l’avanguardia. Se dovessimo sostenere,
invece, che l’umanità nuova e il mondo nuovo si ritrovano solo nella
Chiesa torneremo alla formula medioevale ed asfittica dell’Extra ecclesiae
nulla salus che il Vaticano II ha smentito.
Ma allora che cosa significa per il credente la morte terrena? Il passaggio
della morte terrena per chi crede in Gesù e ne condivide il sacrificio
riguarda in particolare la trasfigurazione del corpo, il passaggio dal corpo
terreno al corpo glorificato. E questo passaggio avviene senza soluzione di
continuità. Infatti Gesù dice al ladrone buono: “oggi sarai con me nel
Paradiso”(Lc 23,43). Non dice alla fine dei tempi, dice oggi, subito.
Eccoci ancora di fronte al tempo che è solo esperienza di questo mondo.
Mille anni agli occhi di Dio sono come il giorno di ieri quand’è passato
(Salmo 90.4) e Pietro sottolinea “ per il Signore, un giorno è come mille
anni e mille anni come un giorno” ( 2 Pt 3.8).
Infatti la teologia moderna non parla più di uno stato intermedio fra la
morte della persona ed il giudizio universale e quindi di dormienti in attesa
del giudizio universale. Immediatamente alla nostra morte noi
sperimentiamo il giudizio universale ed otteniamo nello stesso tempo
l’immortalità dell’anima e la resurrezione nella nuova carne. Lo stesso
Purgatorio, se mai esistesse, sarebbe fondato non sul tempo ma
sull’intensità.
Fra i teologi che hanno dato un importante contributo a questo chiarimento
vi è Karl Rahner.
“Chi sostiene – ha scritto (K.Rahner, “A proposito dello stato intermedio,
in “Teologia dell’esperienza dello Spirito”, Edizioni Paoline, pag.558) -
che l’unico compimento totale dell’uomo quanto al ‘corpo’ e quanto all’
‘anima’ subentri immediatamente con la morte, che la ‘resurrezione della
carne’ e il ‘giudizio universale ‘ avvengano ‘lungo’ la storia temporale del
mondo, e che le due cose coincidano con la somma dei giudizi particolari
dei singoli uomini, costui non corre il pericolo di sostenere un’eresia”.
E’ con questa tesi “minimalista”, enunciata nel corso degli anni 70, che
Rahner tende a capovolgere una concezione che si rifaceva a Benedetto
XII ed alla sua costituzione “Benedictus Deus” del 1336. “La concezione
medioevale dello stato intermedio – sostiene il grande teologo tedesco -, va
considerata come una tappa della storia della teologia e niente più. Essa è
il tentativo di conciliare il punto di vista collettivo e quello individuale del
compimento escatologico”( K.Rahner, idem, p.562).
La concezione dello stato intermedio, osserva ancora Rahner , non ha dalla
sua nemmeno la tradizione della Chiesa infatti “la stragrande
maggioranza dei Padri della Chiesa ha inteso la liberazione dallo sheol
ad opera di Gesù Cristo morto e risorto, di coloro che erano morti prima
di lui, nel senso della dottrina giudaica della resurrezione come
resurrezione corporea, ma non come liberazione solo delle anime in
ordine alla visione di Dio” (K. Ranher, idem, pag.562).
Di più, contro la teoria dello stato intermedio gioca l’esigenza di dover
intendere l’anima separata dal corpo ( l’anima è già nella beatitudine di
Dio mentre il corpo dorme). Ma fin dalla teologia classica, l’anima è
definita come “forma corporis” ed il Concilio di Vienna del 1312 con la
costituzione “Fidei catholicae” dichiarò l’unità sostanziale di anima e
corpo.
Lo Spirito è il grande stratega del Regno
Ma come matura il Regno di Dio su questa terra? Come opera Dio
attraverso la Parola ed il Soffio? Che contributo possono dare gli uomini
alla sua costruzione? Come possono viverlo già lungo questa esperienza
terrena?
Per cercare di capirlo dobbiamo ripartire dallo Spirito Santo. “Dio è
presente ed attivo nella nostra vita – osserva Congar (Yves Congar,
Spirito di Dio, Spirito dell’uomo, Queriniana, Brescia, 1987, pag.5) -
mediante una potenza che non coarta la nostra volontà e che chiamiamo
Spirito Santo”.
E’ lo Spirito che suscita la partecipazione, alimenta la creatività umana,
dilata la nostra comprensione verso quel disegno di Dio che dà senso alla
storia, all’economia, alla politica, alla scienza, alla tecnica. Un progetto di
ordine sociale che, come ricorda la Gaudium et spes , pone al centro il
bene delle persone e ha per base la verità, si realizza nella giustizia, è
vivificato nell’amore, deve trovare un equilibrio sempre più umano nella
libertà. Un progetto attraverso il quale lo Spirito di Dio ‘dirige il corso dei
tempi e rinnova la faccia della terra’ (Gaudium et spes, n.26) e che Egli
solo conosce pienamente e va sviluppando con lo svilupparsi della storia.
A noi è dato di cercarlo, di discernerlo fondandoci sulla parola rivelata,
contemplando e scrutando avvenimenti e processi che mai gli sono
completamente estranei. E questo lasciandoci guidare dal grande criterio
dell’amore giacché, ricorda San Giovanni, ‘chi non ama non conosce Dio,
perché Dio è amore’ (1Gv 4,8).
Dalla Pentecoste lo Spirito opera nel mondo continuando quanto aveva
iniziato Gesù e cioè ispirando e sostenendo gli uomini nella realizzazione
di patti di pace fra di loro e contrapponendosi all’opera del Maligno. E fa
questo continuando a suscitare profeti e con la diffusione dei carismi. Per
questo Satana non è più il signore incontrastato di questo mondo perché
c’è lo Spirito di Verità che combatte a fianco agli uomini di buona volontà.
Lo Spirito di Verità combatte sostenendo le virtù degli uomini ma anche le
loro opere positive. Combatte sostenendo i pacifici, i misericordiosi, i miti,
gli umili di cuore ma anche le attività, le strutture, le imprese ispirate alla
solidarietà, alla fraternità, alla giustizia e le lotte contro le ingiustizie, le
sopraffazioni, le discriminazioni, le prepotenze, la creazione di
meccanismi perversi e di strutture di peccato. E' un'opera grandiosa per cui
possiamo definire lo Spirito Santo come il grande costruttore di una rete
che opera collegando le coscienze degli uomini, aiutandoli ad entrare in
sintonia fra di loro. Potremmo dire, riprendendo un termine caro a Teilhard
de Chardin che lo Spirito Santo è il creatore della noosfera cioè di
quell’involucro che avvolge la Terra come un’altra atmosfera ma non
formata dall’aria che si respira ma delle relazioni fra le coscienze dei
viventi. Un’opera grandiosa che possiamo scoprire applicando agli
avvenimenti di questo mondo il discernimento spirituale. Compiere una
lettura spirituale della storia vuol dire appunto rintracciare l'intervento
dello Spirito Santo nella storia degli uomini. E' un esercizio a cui non
siamo abituati ma è il metodo della Sacra Scrittura.
Come aiutare lo Spirito?
Abbiamo già detto che noi possiamo aiutare lo Spirito nell’opera di
rendere presente il Regno già in questa vita terrena con la preghiera,
coltivando l’amore con chi è già nel Regno, con una vita santa ed infine
vivendo profondamente l’Eucarestia.
Una vita cristiana animata da una spiritualità ricca e viva chiede
innanzitutto di esprimersi nella preghiera. La preghiera è un modo di
vivere interloquendo costantemente con Dio, rendendogli conto delle
proprie azioni, chiedendo misericordia per gli errori e le debolezze,
invocando aiuto nelle difficoltà ma soprattutto offrendogli ed
indirizzandogli i nostri progetti e la fatica del realizzarli. E’ “il fervore
delle nostre anime”, ci insegna San Giovanni Crisostomo[5]
, che rende la
nostra preghiera degna di essere ascoltata. Quindi anche la preghiera muta
di chi lavora, traffica in casa, opera nel campo sociale e civile ma anche la
preghiera dei mistici capace di raggiungere le vette dell’estasi. La
preghiera di lode, la preghiera di intercessione, la preghiera di
ringraziamento. Si, la preghiera è una dei modi in cui entriamo in contatto
con l’aldilà e con cui rendiamo presente il Regno in questa vita terrena.
E dopo la preghiera l’amore per chi è già nel Regno. Si, quando l’amore si
sposa ad una fede forte e radicata nella resurrezione del Cristo e quindi
nella resurrezione di tutti coloro che Egli ha attratto a sé, ecco che esso è
un altro passo nella sconfitta della morte come suggerisce quella bella
preghiera attribuita a Sant’Agostino:
"La morte non è niente.
Sono solamente passato dall'altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto(…).
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace. ".
E quando la preghiera e l’amore raggiungono vette di donazione totale e
divengono esperienza di virtù eroica, si parla di santità.
“Tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, - dice il
Concilio Vaticano II - sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e
alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa
società terrena un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa
perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo
volle donarle, affinché, seguendo l'esempio di lui e diventati conformi alla
sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena
generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così
la santità del popolo di Dio crescerà in frutti abbondanti, come è
splendidamente dimostrato nella storia della Chiesa dalla vita di tanti
santi” (Lumen gentium n. 40).
Sempre la LG ci dice che la santità “ si esprime in varie forme in ciascuno
di quelli che tendono alla carità perfetta nella linea propria di vita ed
edificano gli altri; e in un modo tutto suo proprio si manifesta nella
pratica dei consigli che si sogliono chiamare evangelici. Questa pratica
dei consigli, abbracciata da molti cristiani per impulso dello Spirito Santo,
sia a titolo privato, sia in una condizione o stato sanciti nella Chiesa,
porta e deve portare nel mondo una luminosa testimonianza e un esempio
di questa santità”.
Tutti i fedeli del Cristo quindi sono invitati e tenuti a perseguire la santità e
la perfezione del proprio stato. Perciò tutti si sforzino di dirigere
rettamente i propri affetti, affinché dall'uso delle cose di questo mondo e
da un attaccamento alle ricchezze contrario allo spirito della povertà
evangelica non siano impediti di tendere alla carità perfetta; ammonisce
infatti l'Apostolo: Quelli che usano di questo mondo, non vi ci si arrestino,
perché passa la scena di questo mondo (cfr. 1 Cor 7,31 gr.).
Infine l’Eucarestia quando riesce ad affrancarsi dalla pietà devozionale e
diventa partecipazione vera ed intensa al sacrificio di Cristo. Questa
capacità di vivere l’eucarestia mi rimanda ad una delle più belle ed ispirate
pagine del gesuita scienziato Pierre Teilhard de Chardin con cui apre il suo
saggio “La Messa sul Mondo”:
“Poiché ancora una volta, o Signore, non più nelle foreste dell'Aisne ma
nelle steppe dell'Asia, sono senza pane, senza vino, senza altare, mi
eleverò al di sopra dei simboli sino alla pura maestà del Reale; e Ti
offrirò, io, Tuo sacerdote, sull'altare della Terra totale, il lavoro e la pena
del Mondo.
Lì in fondo, il Sole, appena incomincia ad illuminare l'estremo lembo del
primo Oriente. Ancora una volta, sotto l'onda delle sue fiamme, la
superficie vivente della Terra si desta, vibra e riprende il suo formidabile
travaglio. Sulla mia patena, porrò, o Signore, la messe attesa da questa
nuova fatica e, nel mio calice, verserò il succo di tutti i frutti che oggi
saranno spremuti.
Il mio calice e la mia patena sono le profondità di un'anima ampiamente
aperta alle forze che, tra un istante, da tutte le parti della Terra, si
eleveranno e convergeranno nello Spirito”.
Conclusione
Potrei concludere con questa immagine che continua a risuonarmi nella
mente da quando ero ancora giovane. Ma è giusto che un discorso
cominciato rivolgendomi a chi come me cerca di farsi una ragione della
morte che sia coerente con la propria fede torni a questa dimensione, alla
dimensione personale. Ed allora non mi sembra che ci sia pensiero più
bello di quello che Rahner ci suggerisce come preghiera conclusiva della
nostra vita: chiedere al Signore di chiamarci mentre stiamo pregando
“affinché l’ultima parola del cuore in questo tempo possa essere la prima
parola dell’eternità che non ha più fine” (K. Rahner , Necessità e
benedizione della preghiera, Brescia, 1994, pag. 154).