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Il Regno di Dio fra vita eterna e vita terrena “Svegliati, o uomo: per te Dio si è fatto uomo. “Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14). Per te, dico, Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre, se egli non fosse nato nel tempo. Non avrebbe liberato dal peccato la tua natura, se non avesse assunto una natura simile a quella del peccato. Una perpetua miseria ti avrebbe posseduto, se non fosse stata elargita questa misericordia. Non avresti riavuto la vita, se egli non si fosse incontrato con la tua stessa morte. Saresti venuto meno, se non ti avesse soccorso. Saresti perito, se non fosse venuto” Sant’Agostino. Discorso 85 Premessa Credo che una delle difficoltà maggiori che si presentano ai credenti dinnanzi alla morte di una persona amata è il come continuare a pensarla vivente, come raffigurarsela. Sentiamo forte l’esigenza di parlare con lei, di pregare con lei, di continuare ad avere un rapporto vivo e intenso come era fino al giorno in cui ha chiusi gli occhi, ma ci si accorge che in questo

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Page 1: Il Regno di Dio fra vita eterna e vita terrena Regno di... · elencando. Sulla vita eterna invece , a parte la citazione in alcune preghiere tradizionali e la riproduzione stanca

Il Regno di Dio fra vita eterna e

vita terrena

“Svegliati, o uomo: per te Dio si è fatto

uomo. “Svegliati, o tu che dormi,

destati dai morti e Cristo ti illuminerà”

(Ef 5,14). Per te, dico, Dio si è fatto

uomo. Saresti morto per sempre, se egli

non fosse nato nel tempo. Non avrebbe

liberato dal peccato la tua natura, se

non avesse assunto una natura simile a

quella del peccato. Una perpetua

miseria ti avrebbe posseduto, se non

fosse stata elargita questa

misericordia. Non avresti riavuto la

vita, se egli non si fosse incontrato con

la tua stessa morte. Saresti venuto

meno, se non ti avesse soccorso.

Saresti perito, se non fosse venuto”

Sant’Agostino. Discorso 85

Premessa

Credo che una delle difficoltà maggiori che si presentano ai credenti

dinnanzi alla morte di una persona amata è il come continuare a pensarla

vivente, come raffigurarsela. Sentiamo forte l’esigenza di parlare con lei,

di pregare con lei, di continuare ad avere un rapporto vivo e intenso come

era fino al giorno in cui ha chiusi gli occhi, ma ci si accorge che in questo

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la cultura religiosa non ci aiuta molto. Le immagini dell’aldilà che

vengono offerte sono immagini eteree, leziose, del tutto improbabili:

nuvole, angioletti in un mare di azzurro. Anche le “indiscrezioni” di cosa

faremo nell’aldilà non aiutano molto: vivremo in una contemplazione

continua del Signore, si dice. Ma che significa? Significa che non faremo

niente e guarderemo solo il volto di Dio? Sinceramente non è una

prospettiva entusiasmante immaginare milioni e milioni di persone che se

ne stanno, per l’eternità, seduti e guardano in estasi o sono immersi in

adorazione, senza fare null’altro… E tutto quello che abbiamo

sperimentato in questa vita: i bei progetti, i sentimenti, gli ideali? Tutto

scomparso? Tutto “vanità delle vanità”? come reciterebbe il Quolet.

Lo strano è che di fronte ad una elaborazione e raffigurazione così

indeterminata riguardante l’aldilà, la cultura religiosa sull’aldiquà cioè

sull’esperienza sociale, sulla pace, sulla difesa del creato, si presenta con

tutt’altro spessore: il ricco insegnamento sociale della Chiesa, il

personalismo, il popolarismo sturziano, i testi del Vaticano II e via

elencando. Sulla vita eterna invece , a parte la citazione in alcune preghiere

tradizionali e la riproduzione stanca di alcune oleografie, vi è una forte

afonia come se la Chiesa contemporanea, avendo sviluppato una forte

attenzione ai temi della socialità, temesse di essere accusata di evasione

dalla dura realtà del quotidiano, dai problemi e dalle difficoltà della vita di

tutti i giorni. E così mentre la Chiesa ed i cristiani balbettano sull’aldilà, si

diffondono e si radicano - soprattutto fra le nuove generazioni - feste come

quelle di Halloween del tutto estranee alla nostra tradizione, che

provengono da culti celtici diffusi negli Stati Uniti e favoriti da una

surrettizia spinta consumistica e dalla moda indotta da tutta una serie di

filmati per la tv su un aldilà dominato dall’horror.

In realtà quando ho preso a studiare ed a riflettere su cosa un cristiano può

dire della vita eterna e dell’aldilà, mi sono accorto di trovarmi, invece, di

fronte a tematiche per nulla evasive ma che eventualmente rimandavano ad

un più forte impegno nella vita sociale, politica, culturale perché aldiquà

ed aldilà non sono due realtà del tutto estranee.

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Da dove ripartire in questa riscoperta dell’aldilà se non dalla Resurrezione

di Gesù Cristo? La Resurrezione è la dimostrazione che la vita eterna é

possibile anzi che con la Resurrezione del Cristo si apre una pagina nuova

nel creato: la vita umana diventa eterna. Chiunque crede in me, dice Gesù,

avrà la vita eterna (Gv 3, 15).

La Resurrezione di Cristo è un evento unico ed al tempo stesso

rivoluzionario non solo della storia dell’uomo ma dell’intera creazione.

Nella storia dell’uomo non è mai accaduto che un morto resuscitasse - non

per tornare a morire come è stato, per esempio, per Lazzaro - ma per

vivere in eterno. Questo fatto unico ed eccezionale è anche rivoluzionario

perché ha sconfitto la morte ed ha aperto la strada verso la resurrezione a

tutti gli uomini sia quelli premiati con la vita eterna sia quelli puniti con la

dannazione eterna; quindi ha cambiato profondamente la vita eterna

trasformandola dal Paradiso in cui la Trinità viveva con la schiera degli

angeli nel Regno di Dio che accoglie, trasfigurati e glorificati, anche i

frutti positivi dell’umanità e questo sia per i valori, i sentimenti e le virtù

sia per le strutture.

Ecco questa è la prospettiva che vogliamo approfondire. Una prospettiva

che concretizza la vita eterna, la strappa alle immagini devozionali e ne fa

il punto di arrivo di tutte le speranze, le passioni, le utopie positive della

storia degli uomini.

La Resurrezione fulcro della nostra vita e dell’Universo

Il card. Carlo M. Martini, che considero uno dei miei maestri nel cammino

di fede , in una delle ultime interviste rilasciate a Eugenio Scalfari su “la

Repubblica” - ricordava che per lui ” e per tutta la comunità dei fedeli,

la Resurrezione era il fulcro della nostra vita… Lo Spirito risorge in

tutti noi. Risorge ogni giorno, risorge quando preghiamo, quando ci

comunichiamo mangiando il pane e bevendo il vino del Signore,

quando risorgono in noi la carità e la speranza del futuro, quello

terreno e quello extraterreno. La storia del mondo non sarebbe quella

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che è se la speranza non alimentasse i nostri sforzi e la carità non

illuminasse la nostra vita quotidiana. La Resurrezione dello Spirito è

la fiamma che spinge le ruote del mondo. Lei può immaginare un

mondo senza carità e senza speranza?( Eugenio Scalfari, “Ragionando

con Martini di peccato e Resurrezione”, 13 maggio 2010, in “la

Repubblica.it” Spettacoli & Cultura) "

La Resurrezione è il fondamento centrale della fede cristiana per cui Paolo

ha potuto dire nella prima lettera ai Corinti: “Se Cristo non fosse risorto la

nostra predicazione sarebbe senza fondamento e vana la vostra

fede”(15,14). A Paolo si deve la gran parte del “kerigma” cioè

dell’”annunzio” della Chiesa apostolica sulla Resurrezione. Nel suo testo

più antico, la prima Lettera ai Tessalonicesi, collocabile intorno al 50 d.C,

si trova una delle prime formule della Resurrezione collegata alla

resurrezione dei morti:” Noi crediamo che Gesù è morto e poi è

resuscitato. Allo stesso modo, crediamo che Dio riporterà alla vita,

insieme con Gesù, quelli che sono morti credendo in lui”(1 Tess 4,14).

Nella prima ai Corinti ,scritta fra il 54 ed ilo 55, si trova il testo più ampio

ed elaborato di Paolo su questo tema. Un vero e proprio manifesto in cui

oltre al kerigma, al collegamento fra la resurrezione di Cristo e la

resurrezione dei morti, si parla anche della corporeità di chi risorge.

La dottrina delle resurrezione dei corpi

Noi risorgeremo, dice Paolo, con un corpo trasfigurato rispetto a quello

terreno ma allo stesso tempo tale da conservarne l’identità. ”Il corpo è

seminato corruttibile e risuscita incorruttibile; è seminato ignobile e

risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita potente; è seminato corpo

naturale e risuscita spirituale”(1Cor15, 42-44).

A differenza della cultura greca che crede nell’immortalità dell’anima la

Chiesa apostolica ed i padri della Chiesa hanno predicato, da subito, la

resurrezione dei corpi. Secondo i filosofi pagani ed in particolare quelli

greci e quindi la cultura platonica e neoplatonica il corpo veniva ritenuto

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fonte di limitazione, un accessorio accidentale del quale l’anima doveva

liberarsi. Il fondamento della dottrina cristiana sulla resurrezione dei corpi

è invece la Resurrezione di Gesù e quindi si sottolinea la “novità” di un

corpo trasfigurato e glorificato.

Sembrerebbe una affermazione che si scontra, in maniera insuperabile, con

la mentalità tipica delle scienze naturali che tanto permea la cultura

moderna. Ma non è così. La dottrina della resurrezione non afferma che gli

uomini, dopo essere definitivamente morti, tornino nella realtà della vita

spazio-temporale, ma che essi entrano in un modo di esistenza diversa,

nuova, definitiva, al di là della realtà terrena a noi accessibile. Di fronte ad

una posizione di questo tipo una scienza naturale consapevole e

responsabile non può dire nulla né a favore, né contro perché esula dalla

sua competenza. Invece l’antropologia più recente che non identifica la

morte corporea con la ‘morte’ umana ‘totale’ e più in generale la

corporeità con l’umanità, avrebbe di che interrogarsi .

Ma cerchiamo di saperne di più di questa dottrina della resurrezione dei

corpi.

“La nostra patria – dirà Paolo nella Lettera ai Filippesi – è nei cieli e di là

aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il

nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del

potere che ha di sottomettere a se tutte le cose”( 3,20.21).

Proprio facendo riferimento al Cristo risorto la Chiesa ha sempre predicato

l’identità fra corpo risorto e corpo terreno. Lo stesso termine “ri-sorto” fa

riferimento ad una realtà caduta che ritorna ad essere. Già Paolo in 1

Corinzi 15,36-38 per spiegare l’identità nella diversità fa ricorso alla

metafora del seme. “Ciò che tu semini non prende vita, se prima non

muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice

chicco, di grano ad esempio o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come

ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo”.

E più avanti: “Ecco io vi annuncio un mistero: non tutti , certo, moriremo,

ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono

dell’ultima tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo

trasformati. E’ necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di

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incorruttibilità e questo corpo mortale si rivesta di immortalità”(1 Cor 15,

51-53).

In polemica con gli gnostici, i Padri della Chiesa con la formula

“risurrezione di questo corpo” hanno voluto sottolineare la continuità

“etica” fra la vita presente e quella futura, e quindi il valore e la proiezione

eterni delle azioni umane positive compiute nella storia sebbene queste

fossero svolte in un contesto finito e limitato nel tempo .

Le Resurrezione riguarda tutto il creato

San Paolo parla di “tutto l’universo”. “Tutto l’universo aspetta con grande

impazienza il momento in cui Dio mostrerà il vero volto dei suoi figli. Il

creato è stato condannato a non aver senso, non perché l’abbia voluto, ma

a causa di chi ve lo ha trascinato. Vi è però una speranza: anch’esso sarà

liberato dal potere della corruzione per partecipare alla libertà e alla

gloria dei figli di Dio. Noi sappiamo che fino ad ora tutto il creato soffre e

geme come una donna che partorisce. E non soltanto il creato, ma anche

noi che abbiamo, le primizie dello Spirito, soffriamo in noi stessi perché

aspettiamo che Dio, liberandoci totalmente, manifesti che siamo suoi

figli.” (Rom. 8, 18-23).

D’altronde il Nuovo Testamento parla sì di una discontinuità fra il cosmo

presente ed il futuro universo glorificato (Rm 8,19-21; Ap 21,1-2) ma non

della sua distruzione definitiva. Oltre a Paolo anche l’Apocalisse parla

dell’attesa di “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21,1). Anche Pietro

che pure afferma che “i cieli spariranno con un grande fracasso, gli astri

dei cieli saranno distrutti dal calore e la terra, con tutto ciò che contiene

cesserà di esistere” (2Pt 3, 10) conclude ricordando che “Dio, come dice

la Bibbia, ci ha promesso cieli nuovi ed una nuova terra, dove tutto sarà

secondo la sua volontà”.

Il Giudizio potrebbe difficilmente essere visto come qualcosa di

pienamente giusto se la Resurrezione fosse compresa come una sorta di

violenta intrusione nella realtà creata già esistente dimenticando che lo

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stesso Dio che giudica è l’unico Creatore e Signore dell’universo e di tutto

ciò che vi si contiene.

San Paolo in 1 Corinzi (15, 20-27) dice: "… Poi Cristo distruggerà ogni

Principato, Dominazione e Potenza, e consegnerà il regno a Dio Padre:

allora sarà la fine. Perché Cristo deve regnare, finché Dio abbia messo

tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico a essere distrutto sarà la

morte. Infatti la Bibbia afferma: «Tutto ha posto sotto i suoi piedi»”.

La grande “rivoluzione” del Cristo

Abbiamo già visto che la Resurrezione di Gesù ha dato una prospettiva

nuova, eterna, agli uomini e al creato ma questo ha potuto farlo perché ha

rivoluzionato anche l'aldilà realizzando appunto quel Regno di Dio di cui

parlava nella sua predicazione terrena proclamando : “Convertitevi perché

il Regno di Dio è vicino".

Ragionando con la logica temporale, propria della vita terrena, possiamo

dire che il primo atto che compie Gesù dopo la sua morte è la liberazione

dei giusti che erano morti prima di lui e li conduce con sé in Paradiso. Dice

infatti Pietro ( 1Pt 3,19): "E' in spirito andò ad annunziare la salvezza agli

spiriti che attendevano in prigione". E chi erano questi spiriti? Una antica

tradizione dei padri della Chiesa vuole che siano i giusti, morti prima della

Resurrezione , che erano in un luogo di attesa lo sheol e cioè "gli inferi"

che non corrispondeva all'infermo ma ad una sorta di limbo. Un altro

esempio di questo “cortocircuito” fra tempo ed eternità ce lo mostra la

trasfigurazione del Monte Tabor. E’ dopo la sua morte che Gesù libera i

giusti, abbiamo detto, e quindi anche Mosé ed Elia eppure sul Tabor, in

questo squarcio di eternità che egli apre dinnanzi agli apostoli attoniti,

Mosé ed Elia sono al suo fianco.

Per comprendere questo ed altri paradossi temporali di cui è disseminato il

Nuovo Testamento bisogna ricordare che la scansione del tempo non

riguarda la vita eterna. Per chi è in essa tutto è, in un certo senso

contemporaneo. Così la Resurrezione produce i suoi effetti fin dagli inizi

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dei tempi anche se questo concetto ci confonde: la categoria del tempo è

necessaria alla nostra comprensione ma l'esperienza di Dio è oltre.

Il significato dell’Ascensione

Se il primo atto della rivoluzione è la Resurrezione con l’appendice della

“discesa agli inferi” e la resurrezione dei giusti che erano già morti, il

secondo è l’Ascensione. Un evento la cui importanza spesso sfugge e

viene considerato, per così dire, secondario quasi pleonastico. Eppure

nell’economia della rivoluzione dell’eternità proprio l’Ascensione ha un

ruolo importante.

Dopo la sua morte Gesù è asceso al cielo per preparare l’accoglienza degli

apostoli e dei fedeli. Racconta Giovanni (14,1-4) che Gesù disse ai

discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate

fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve

l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò

preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi

dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Disse

Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere

la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene

al Padre se non per mezzo di me».

Un teologo che ebbe un ruolo importante nella teologia della seconda metà

del secolo scorso e fu fra i protagonisti del Concilio, Jean Daniélou, mette

un accento particolare sull’Ascensione. Gesù dice il teologo e cardinale

francese, si presenta come il Figlio dell'uomo annunciato da Daniele: chi

crede in Lui è già giudicato (Giov. III, 17), è passato dalla morte alla vita

(V, 25), possiede la vita eterna (V, 24). Tutto questo viene compiuto dagli

avvenimenti misteriosi della sua Incarnazione, della sua Passione, della

Resurrezione e infine dell' Ascensione per la quale, secondo il detto

dell'Epistola agli Ebrei, l'umanità è introdotta una volta per sempre nella

sfera di Dio.

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“Lo straordinario avvenimento che nella storia del mondo è rappresentato

dall' Ascensione – scrive Daniélou ( Jean Danilou,“Il Mistero della

salvezza delle nazioni”, in Italia nel 1954, oggi in www.atma-o-

jibon.org/italiano?/danielou_salvezza1.htm) - è che, una volta per tutte e

per sempre, l'umanità viene unita alla vita divina ed è introdotta da Cristo

nella sfera di Dio.

«Hapax », «una volta per tutte », in una maniera assolutamente «

irreversibile» secondo il termine che usano i filosofi moderni per definire

il senso stesso del tempo. Questo vuol dire che non ci può essere più un

ritorno indietro e che l'umanità non può essere più separata da Dio. Essa vi

è entrata per sempre e definitivamente. Noi siamo salvati in Cristo. Per

conseguenza la salvezza nostra non è più soltanto una speranza, ma una

realtà già realmente posseduta. Abbiamo già la vita divina e la fine dei

tempi è venuta con Cristo. Questo è definitivamente acquisito “.

Secondo il pensiero di parecchi Padri, con l'Incarnazione l'umanità intera

ha già contratto un'unione indissolubile con la divinità attraverso Gesù

Cristo. Ma è un'unione ancora iniziale e potenziale, destinata a svilupparsi

nei singoli uomini attraverso la loro incorporazione a Cristo: il risultato di

questa incorporazione è la Chiesa, corpo mistico di Cristo. All'Ascensione

è Cristo, capo della Chiesa, che entra in cielo e che vi introduce quelli che

sono definitivamente incorporati a Lui. Con l’Ascensione Cristo inaugura

il nuovo Paradiso che non è abitato solo da angeli ed arcangeli ma dagli

uomini con i loro valori, la loro storia, la loro cultura. Con l’Ascensione il

Regno di Dio si insedia nel Paradiso.

Tuttavia,- osserva ancora Daniélou - se consideriamo noi stessi e l'umanità

che ci circonda, siamo colpiti da quel che resta di miseria, di peccato e

dalla piccola differenza che spesso sembra esserci tra un cristiano e un non

cristiano. Siamo sbalorditi vedendo come la salvezza acquistata in Cristo

sia ancora cosi poco manifesta. Era già così per i primi cristiani; benché

convinti che a partire dalla Pentecoste lo Spirito Santo fosse venuto e che

essi avessero la vita divina, erano pure coscienti di ciò che loro mancava;

vedevano bene, in particolare, di non essere ancora risorti. Se essi, secondo

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il detto di S. Paolo, potevano dire: «Consurrexistis cum Christo - Siete già

risorti con Cristo », sapevano anche che la resurrezione a cui

partecipavano con la grazia non era ancora manifestata nel loro corpo.

Secondo un'espressione di S. Giovanni: «Noi siamo ora figli di Dio . Ma

ciò che saremo un giorno non è ancora stato manifestato ».

C'è quindi qualche cosa di acquisito e nel tempo stesso uno scarto che

separa questa prima acquisizione dal compimento definitivo. E una riprova

dello scarto che esiste fra la vita terrena cadenzata dal tempo e l'aldilà

immerso nell'eternità. Comunque sappiamo che al tempo di questa

manifestazione, di questa Apocalisse, «noi saremo simili a Lui perchè lo

vedremo come è ». (I Gv 3,2).

La missione dello Spirito

In stretto collegamento con il Verbo, anche durante la missione terrena del

Cristo, opera lo Spirito Santo. Il dono dello Spirito nella Pentecoste è la

terza fase della grande rivoluzione dopo la Resurrezione e l’Ascensione.

Esiste quindi un filo rosso che collega fra di loro Incarnazione, Passione,

Resurrezione, Ascensione e Pentecoste. Un filo rosso che continua ancora

oggi a scorrere nella storia e scorrerà fino alla Parusia quando cioè sarà

messa fine alla storia del mondo, cioè alla vita terrena.

Jean Daniélou , nel libro citato, osserva che si riflette molto sul rapporto di

Gesù col Padre e poco invece su quello con lo Spirito Santo. Eppure a

cominciare dal Battesimo nel Giordano per tutta la sua vicenda terrena

Gesù opera con lo Spirito e si qualifica non solo come re e sacerdote ma

anche come profeta. Si pensi, per fare un esempio, alla profezia nella

sinagoga di Nazareth:

“Lo Spirito del Signore è sopra di me, perciò mi ha unto per evangelizzare

i poveri. Mi ha mandato ad annunciare ai prigionieri la liberazione, ai

ciechi la vista, e a rimettere in libertà gli oppressi. Oggi questa scrittura

s’è adempiuta davanti a voi (Luca 4,18-19)”.

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E’ in virtù dello Spirito santo – ci ricorda Congar – che Gesù porta avanti

la sua lotta contro Satana ed esercita il suo potere di iniziatore del Regno

manifestando la sovranità misericordiosa e benevolente di Dio.

Gesù ha inviato lo Spirito nel mondo: "E' bene per voi che me ne vada,

perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore: ma quando me

ne sarò andato ve lo manderò . E quando sarà venuto, egli convincerà il

mondo quanto al peccato, alla giustizia ed al giudizio. Quanto al peccato

perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e

non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo

è stato giudicato" (Gv. 16, 7-11).

Quanto al peccato, quanto alla giustizia e quanto al giudizio certamente

non può non comprendere anche l' aiuto agli uomini a costruire quel pezzo

di storia delle realtà terrene che, trasfigurato, entrerà a far parte del Regno

di Dio.

Che cos’è la vita eterna?

Siamo partiti del kerigma che riguarda la Resurrezione del Signore e di

“quelli che sono morti credendo in lui”, dei corpi glorificati e dell’universo

tutto che attende la trasfigurazione. Ma che cosa si intende per “tutto

l’universo”? Solo l’universo creato cioè la natura o anche quella parte

dell’universo costruito dall’uomo partecipando all’opera della creazione?

Su questo la Chiesa ha continuato a riflettere dai tempi di Paolo fino ai

nostri giorni, fino al Vaticano II passando attraverso il contributo dei

Padri. E proprio alla luce di quanto ha detto il Concilio Vaticano II (

Lumen gentium, 48; Gaudium et spes, 39) penso che il termine vada

inteso in senso ampio investendo anche l’universo costruito dagli uomini.

Anche queste realtà subiranno la trasfigurazione cioè verranno purificate

da quelle che Giovanni Paolo II ha chiamato “strutture di peccato” e

“meccanismi perversi” esaltando invece le strutture di solidarietà cioè i

meccanismi virtuosi.

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A questo punto della riflessione possiamo chiederci che cosa sia la vita

eterna o, forse ancora meglio, il Regno di Dio del quale Gesù ci ha parlato

più volte nelle sue parabole? Come possiamo raffigurarcelo? Diciamo

subito che è una vita vissuta nella comunione con Dio, nella pienezza del

suo amore. Questo non vuol dire però che Dio assorbe la nostra

personalità. Noi non ci annientiamo in lui con la scomparsa della nostra

individualità. Noi continuiamo ad esistere con il nostro carattere, i nostri

sentimenti forti che abbiamo saputo coltivare sulla terra ed ora vengono

potenziati nell’amore di Dio; i nostri valori, i nostri affetti, le nostre

passioni e inclinazioni purificate e sublimate. Trasfigurate è forse il

termine più adeguato come la trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor che

fu una finestra aperta sull’aldilà.

Il Concilio Vaticano II nella “Gaudium et spes” ci conferma che "vinta la

morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, ciò che fu seminato in

infermità e corruzione rivestirà l'incorruttibilita'; resterà la carità con i

suoi frutti, e sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà

che Dio ha creato appunto per l'uomo"(n.39). Continueremo quindi, a

coltivare l’amore, l’amicizia, le relazioni umane e sociali.

Naturalmente continuerà anche l’amore coniugale se il matrimonio è stato

vero amore e non solo contratto sociale. E’ un punto che desidero

sottolineare perché vi è quel passaggio in Marco (12. 18-27) in cui Gesù

viene interrogato dai Sadducei proprio sulla vita eterna e si fa riferimento

alla legge mosaica per cui se un uomo muore e lascia la moglie senza figli,

il fratello deve sposare la vedova e cercare di avere figli. Ora – chiedono i

Sadducei che non credevano nella resurrezione - se una donna sposa, in

successione, alla morte di ciascuno di essi, più fratelli, di chi sarà la moglie

quella donna nel giorno della Resurrezione? E Gesù risponde: “Quando i

morti risorgeranno, gli uomini e le donne non si sposeranno più, ma

saranno come gli angeli del cielo”. E’ la risposta secca, dura quasi

provocatoria a chi crede di mettere in difficoltà Gesù con dei cavilli.

Nell’aldilà non ci saranno più obblighi legati all’istituto legale del

matrimonio ma i sentimenti sì, i legami di valore sì. Anzi in un mondo in

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cui non esisteranno più discriminazioni e sperequazioni verranno

recuperate anche le istituzioni liberate dalle strutture di peccato e quindi

avrà luogo anche una vita sociale come vita di convivialità e di ricerca

comunitaria del bene e del bello. Sarà "una nuova abitazione e una terra

nuova – dice ancora la Gaudium et Spes -, in cui abita la giustizia, e la cui

felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono

dal cuore degli uomini"(n.39). Così nella terra presente cresce " quel corpo

dell'umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che

adombra il mondo nuovo". E se non si può confondere il progresso terreno

con lo sviluppo del Regno di Dio " tuttavia, tale progresso, nella misura in

cui può contribuire a meglio ordinare l' umana società è di grande

importanza per il Regno di Dio. La dignità dell'uomo, la comunione

fraterna, la libertà, cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra

operosità , dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore

e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da

ogni macchia, illuminati e trasfigurati, nella vita eterna " (n.39).

Il Regno non sarebbe un convivio di anime liberate dal corpo ma di uomini

con un loro corpo rigenerato, divenuto eterno ma attento a coltivare le

relazioni. Non credo che sia un caso che l’immagine più usata da Gesù per

indicare il suo Regno è il banchetto conviviale. L’aldilà può essere pensato

quindi come città dell’amicizia perfetta e come città della gioia piena che,

nella misura in cui recepisce il contributo di questo mondo, si sviluppa ed

evolve dentro un equilibrio dato che è stato acquisito una volta per sempre.

Quando ha inizio la vita eterna?

Quando ha inizio la vita eterna? La vita eterna può iniziare già in questo

mondo. Più volte Gesù ci ricorda che “Chi crede in me ha la vita eterna”

(Gv 3,15.16.36), “Chiunque vive e crede in me, non morirà mai” (Gv

11,26), “Se uno osserva la mia parola non vedrà mai la morte”(Gv 8,51),

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv

6,54; 3,36;5,24; 6,47; 6,54); “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in

me anche se muore vivrà” (Gv 11,25), ecc. ecc.

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E’ chiaro che quando Gesù parla di mangiare il proprio corpo e bere il

proprio sangue non intende la semplice partecipazione formale all’

eucarestia ma una partecipazione più profonda al suo sacrificio e cioè

l’offerta della propria vita. Che non si tratti di una esperienza individuale

che riguarda solo la persona singola emerge in Luca (17,21): “Il Regno di

Dio è già in mezzo a voi” e in Matteo (18,20): “Dove sono due o tre riuniti

nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Il Regno di Dio è dove c’è

Gesù, nella vita eterna e nella vita presente. Il Regno di Dio e la vita eterna

fanno parte del mistero del “già e non ancora”.

Ce lo ricorda il Concilio: nel mondo presente già cresce il corpo

dell’umanità nuova. Si tratta di usare il discernimento per individuare i

semi di questo regno – e cioè tutti i segmenti di amore, di carità di

solidarietà sparsi nel mondo - ed aiutarli a crescere ( Mt 13, 31-32) come

accade al lievito che è una piccola parte della farina ma fa lievitare tutta la

pasta (Mt. 13, 33).

Questo “corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa

prefigurazione, che adombra la società nuova” (Lumen gentium n.39) è la

Chiesa? Molti lo sostengono e sembrerebbe affermarlo anche il Vaticano II

al n. 5 della Lumen gentium : ”La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo

fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e

abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti

il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e

l'inizio”.

Ma se consideriamo che per questa realtà nuova, Dio opera direttamente

con le sue due mani che come ci ricordava sant’Ireneo sono la Parola e il

Soffio ( Y. Congar, La Parola e il Soffio , Roma 1983) non possiamo non

riconoscere che indubbiamente Cristo è più grande della sua Chiesa e che

lo Spirito soffia dove vuole, anche oltre i confini della Chiesa-istituzione,

suscitando nella storia profeti non solo fra i credenti ma anche fra i non

credenti. Quindi la Chiesa di questa realtà ne è il segno, il sacramento, in

qualche modo – ci auguriamo – l’avanguardia. Se dovessimo sostenere,

invece, che l’umanità nuova e il mondo nuovo si ritrovano solo nella

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Chiesa torneremo alla formula medioevale ed asfittica dell’Extra ecclesiae

nulla salus che il Vaticano II ha smentito.

Ma allora che cosa significa per il credente la morte terrena? Il passaggio

della morte terrena per chi crede in Gesù e ne condivide il sacrificio

riguarda in particolare la trasfigurazione del corpo, il passaggio dal corpo

terreno al corpo glorificato. E questo passaggio avviene senza soluzione di

continuità. Infatti Gesù dice al ladrone buono: “oggi sarai con me nel

Paradiso”(Lc 23,43). Non dice alla fine dei tempi, dice oggi, subito.

Eccoci ancora di fronte al tempo che è solo esperienza di questo mondo.

Mille anni agli occhi di Dio sono come il giorno di ieri quand’è passato

(Salmo 90.4) e Pietro sottolinea “ per il Signore, un giorno è come mille

anni e mille anni come un giorno” ( 2 Pt 3.8).

Infatti la teologia moderna non parla più di uno stato intermedio fra la

morte della persona ed il giudizio universale e quindi di dormienti in attesa

del giudizio universale. Immediatamente alla nostra morte noi

sperimentiamo il giudizio universale ed otteniamo nello stesso tempo

l’immortalità dell’anima e la resurrezione nella nuova carne. Lo stesso

Purgatorio, se mai esistesse, sarebbe fondato non sul tempo ma

sull’intensità.

Fra i teologi che hanno dato un importante contributo a questo chiarimento

vi è Karl Rahner.

“Chi sostiene – ha scritto (K.Rahner, “A proposito dello stato intermedio,

in “Teologia dell’esperienza dello Spirito”, Edizioni Paoline, pag.558) -

che l’unico compimento totale dell’uomo quanto al ‘corpo’ e quanto all’

‘anima’ subentri immediatamente con la morte, che la ‘resurrezione della

carne’ e il ‘giudizio universale ‘ avvengano ‘lungo’ la storia temporale del

mondo, e che le due cose coincidano con la somma dei giudizi particolari

dei singoli uomini, costui non corre il pericolo di sostenere un’eresia”.

E’ con questa tesi “minimalista”, enunciata nel corso degli anni 70, che

Rahner tende a capovolgere una concezione che si rifaceva a Benedetto

XII ed alla sua costituzione “Benedictus Deus” del 1336. “La concezione

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medioevale dello stato intermedio – sostiene il grande teologo tedesco -, va

considerata come una tappa della storia della teologia e niente più. Essa è

il tentativo di conciliare il punto di vista collettivo e quello individuale del

compimento escatologico”( K.Rahner, idem, p.562).

La concezione dello stato intermedio, osserva ancora Rahner , non ha dalla

sua nemmeno la tradizione della Chiesa infatti “la stragrande

maggioranza dei Padri della Chiesa ha inteso la liberazione dallo sheol

ad opera di Gesù Cristo morto e risorto, di coloro che erano morti prima

di lui, nel senso della dottrina giudaica della resurrezione come

resurrezione corporea, ma non come liberazione solo delle anime in

ordine alla visione di Dio” (K. Ranher, idem, pag.562).

Di più, contro la teoria dello stato intermedio gioca l’esigenza di dover

intendere l’anima separata dal corpo ( l’anima è già nella beatitudine di

Dio mentre il corpo dorme). Ma fin dalla teologia classica, l’anima è

definita come “forma corporis” ed il Concilio di Vienna del 1312 con la

costituzione “Fidei catholicae” dichiarò l’unità sostanziale di anima e

corpo.

Lo Spirito è il grande stratega del Regno

Ma come matura il Regno di Dio su questa terra? Come opera Dio

attraverso la Parola ed il Soffio? Che contributo possono dare gli uomini

alla sua costruzione? Come possono viverlo già lungo questa esperienza

terrena?

Per cercare di capirlo dobbiamo ripartire dallo Spirito Santo. “Dio è

presente ed attivo nella nostra vita – osserva Congar (Yves Congar,

Spirito di Dio, Spirito dell’uomo, Queriniana, Brescia, 1987, pag.5) -

mediante una potenza che non coarta la nostra volontà e che chiamiamo

Spirito Santo”.

E’ lo Spirito che suscita la partecipazione, alimenta la creatività umana,

dilata la nostra comprensione verso quel disegno di Dio che dà senso alla

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storia, all’economia, alla politica, alla scienza, alla tecnica. Un progetto di

ordine sociale che, come ricorda la Gaudium et spes , pone al centro il

bene delle persone e ha per base la verità, si realizza nella giustizia, è

vivificato nell’amore, deve trovare un equilibrio sempre più umano nella

libertà. Un progetto attraverso il quale lo Spirito di Dio ‘dirige il corso dei

tempi e rinnova la faccia della terra’ (Gaudium et spes, n.26) e che Egli

solo conosce pienamente e va sviluppando con lo svilupparsi della storia.

A noi è dato di cercarlo, di discernerlo fondandoci sulla parola rivelata,

contemplando e scrutando avvenimenti e processi che mai gli sono

completamente estranei. E questo lasciandoci guidare dal grande criterio

dell’amore giacché, ricorda San Giovanni, ‘chi non ama non conosce Dio,

perché Dio è amore’ (1Gv 4,8).

Dalla Pentecoste lo Spirito opera nel mondo continuando quanto aveva

iniziato Gesù e cioè ispirando e sostenendo gli uomini nella realizzazione

di patti di pace fra di loro e contrapponendosi all’opera del Maligno. E fa

questo continuando a suscitare profeti e con la diffusione dei carismi. Per

questo Satana non è più il signore incontrastato di questo mondo perché

c’è lo Spirito di Verità che combatte a fianco agli uomini di buona volontà.

Lo Spirito di Verità combatte sostenendo le virtù degli uomini ma anche le

loro opere positive. Combatte sostenendo i pacifici, i misericordiosi, i miti,

gli umili di cuore ma anche le attività, le strutture, le imprese ispirate alla

solidarietà, alla fraternità, alla giustizia e le lotte contro le ingiustizie, le

sopraffazioni, le discriminazioni, le prepotenze, la creazione di

meccanismi perversi e di strutture di peccato. E' un'opera grandiosa per cui

possiamo definire lo Spirito Santo come il grande costruttore di una rete

che opera collegando le coscienze degli uomini, aiutandoli ad entrare in

sintonia fra di loro. Potremmo dire, riprendendo un termine caro a Teilhard

de Chardin che lo Spirito Santo è il creatore della noosfera cioè di

quell’involucro che avvolge la Terra come un’altra atmosfera ma non

formata dall’aria che si respira ma delle relazioni fra le coscienze dei

viventi. Un’opera grandiosa che possiamo scoprire applicando agli

avvenimenti di questo mondo il discernimento spirituale. Compiere una

lettura spirituale della storia vuol dire appunto rintracciare l'intervento

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dello Spirito Santo nella storia degli uomini. E' un esercizio a cui non

siamo abituati ma è il metodo della Sacra Scrittura.

Come aiutare lo Spirito?

Abbiamo già detto che noi possiamo aiutare lo Spirito nell’opera di

rendere presente il Regno già in questa vita terrena con la preghiera,

coltivando l’amore con chi è già nel Regno, con una vita santa ed infine

vivendo profondamente l’Eucarestia.

Una vita cristiana animata da una spiritualità ricca e viva chiede

innanzitutto di esprimersi nella preghiera. La preghiera è un modo di

vivere interloquendo costantemente con Dio, rendendogli conto delle

proprie azioni, chiedendo misericordia per gli errori e le debolezze,

invocando aiuto nelle difficoltà ma soprattutto offrendogli ed

indirizzandogli i nostri progetti e la fatica del realizzarli. E’ “il fervore

delle nostre anime”, ci insegna San Giovanni Crisostomo[5]

, che rende la

nostra preghiera degna di essere ascoltata. Quindi anche la preghiera muta

di chi lavora, traffica in casa, opera nel campo sociale e civile ma anche la

preghiera dei mistici capace di raggiungere le vette dell’estasi. La

preghiera di lode, la preghiera di intercessione, la preghiera di

ringraziamento. Si, la preghiera è una dei modi in cui entriamo in contatto

con l’aldilà e con cui rendiamo presente il Regno in questa vita terrena.

E dopo la preghiera l’amore per chi è già nel Regno. Si, quando l’amore si

sposa ad una fede forte e radicata nella resurrezione del Cristo e quindi

nella resurrezione di tutti coloro che Egli ha attratto a sé, ecco che esso è

un altro passo nella sconfitta della morte come suggerisce quella bella

preghiera attribuita a Sant’Agostino:

"La morte non è niente.

Sono solamente passato dall'altra parte:

è come fossi nascosto nella stanza accanto(…).

Ritroverai il mio cuore,

ne ritroverai la tenerezza purificata.

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Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:

il tuo sorriso è la mia pace. ".

E quando la preghiera e l’amore raggiungono vette di donazione totale e

divengono esperienza di virtù eroica, si parla di santità.

“Tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, - dice il

Concilio Vaticano II - sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e

alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa

società terrena un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa

perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo

volle donarle, affinché, seguendo l'esempio di lui e diventati conformi alla

sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena

generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così

la santità del popolo di Dio crescerà in frutti abbondanti, come è

splendidamente dimostrato nella storia della Chiesa dalla vita di tanti

santi” (Lumen gentium n. 40).

Sempre la LG ci dice che la santità “ si esprime in varie forme in ciascuno

di quelli che tendono alla carità perfetta nella linea propria di vita ed

edificano gli altri; e in un modo tutto suo proprio si manifesta nella

pratica dei consigli che si sogliono chiamare evangelici. Questa pratica

dei consigli, abbracciata da molti cristiani per impulso dello Spirito Santo,

sia a titolo privato, sia in una condizione o stato sanciti nella Chiesa,

porta e deve portare nel mondo una luminosa testimonianza e un esempio

di questa santità”.

Tutti i fedeli del Cristo quindi sono invitati e tenuti a perseguire la santità e

la perfezione del proprio stato. Perciò tutti si sforzino di dirigere

rettamente i propri affetti, affinché dall'uso delle cose di questo mondo e

da un attaccamento alle ricchezze contrario allo spirito della povertà

evangelica non siano impediti di tendere alla carità perfetta; ammonisce

infatti l'Apostolo: Quelli che usano di questo mondo, non vi ci si arrestino,

perché passa la scena di questo mondo (cfr. 1 Cor 7,31 gr.).

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Infine l’Eucarestia quando riesce ad affrancarsi dalla pietà devozionale e

diventa partecipazione vera ed intensa al sacrificio di Cristo. Questa

capacità di vivere l’eucarestia mi rimanda ad una delle più belle ed ispirate

pagine del gesuita scienziato Pierre Teilhard de Chardin con cui apre il suo

saggio “La Messa sul Mondo”:

“Poiché ancora una volta, o Signore, non più nelle foreste dell'Aisne ma

nelle steppe dell'Asia, sono senza pane, senza vino, senza altare, mi

eleverò al di sopra dei simboli sino alla pura maestà del Reale; e Ti

offrirò, io, Tuo sacerdote, sull'altare della Terra totale, il lavoro e la pena

del Mondo.

Lì in fondo, il Sole, appena incomincia ad illuminare l'estremo lembo del

primo Oriente. Ancora una volta, sotto l'onda delle sue fiamme, la

superficie vivente della Terra si desta, vibra e riprende il suo formidabile

travaglio. Sulla mia patena, porrò, o Signore, la messe attesa da questa

nuova fatica e, nel mio calice, verserò il succo di tutti i frutti che oggi

saranno spremuti.

Il mio calice e la mia patena sono le profondità di un'anima ampiamente

aperta alle forze che, tra un istante, da tutte le parti della Terra, si

eleveranno e convergeranno nello Spirito”.

Conclusione

Potrei concludere con questa immagine che continua a risuonarmi nella

mente da quando ero ancora giovane. Ma è giusto che un discorso

cominciato rivolgendomi a chi come me cerca di farsi una ragione della

morte che sia coerente con la propria fede torni a questa dimensione, alla

dimensione personale. Ed allora non mi sembra che ci sia pensiero più

bello di quello che Rahner ci suggerisce come preghiera conclusiva della

nostra vita: chiedere al Signore di chiamarci mentre stiamo pregando

“affinché l’ultima parola del cuore in questo tempo possa essere la prima

parola dell’eternità che non ha più fine” (K. Rahner , Necessità e

benedizione della preghiera, Brescia, 1994, pag. 154).

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