il racconto della mela
DESCRIPTION
An illustrated book from Emma Donoughue's story "il bacio della strega"TRANSCRIPT
La domestica che mi crebbe mi
diceva che mia madre era instancabile. Diceva che avevo i suoi occhi,
sempre fissi su un impervio orizzonte e le sue lunghe
mani mai ferme.
La storia dice che un giorno mia madre
sedeva accanto alla finestra aperta guardando la neve fuori, ricamando corone sulla veste di
battesimo della creatura che aspettava. La domestica l’avvertì che sarebbe morta
se avesse continuato a sedere al freddo, lasciando che la neve entrasse e
spruzzasse il suo lavoro. Mia madre non sembrava
udirla.
Proprio allora l’ago le si conficcò
nel dito, e tre gocce di san-gue macchiarono la neve sulla
cornice d’ebano della finestra. Mia madre disse alla donne
la bambina che aspetto avrà i capel-li neri come l’ebano, labbra rosse
come il sangue, pelle bianca come la neve. Cosa la salve-
rà dal mio destino?
Poi le doglie si impadronirono di
mia madre e se la por-tarono via. Benché io fossi
molto più piccola di lei, ero più forte; non avevo mo-
tivo di rifiutare la vita.
Fu la domestica a
prendersi cura finchè non
fui cresciuta.
le nostre guance bruciavano.
Ogni autunno mi portava la
prima mela del giardino. Non era il
pomo maturo che veniva servito a mio
padre un mese più tardi,
gli saltavo in grembo finchèMan mano che crescevo,
Egli era il mio gioco e il mio grande albero.giardino, farmi dondolare sopra il tappeto erboso.
ma il gusto aspro, quasi insopportabile,della
primizia, così penetrante da farmi tremare.
Quando anche la domestica morì, mi trovò che
vagavo nei corridoi ventosi del castello e mi prese tra
le sue braccia d’ermellino. D’estate gli piaceva portarmi in
Ma il giorno in cui apparve una macchia rossa sul mio lenzuolo stropicciato, mio padre portò a casa una nuova moglie. Non aveva molti anniun anello. Capivo che era spaventata; mi baciò e parlò dolcemente dinanzi alla corte, ma io potevo dire che sarebbe stata mia nemica. lo strascico di velluto che spettava al suo rango, fi nchè non fu coperta da tutto l’apparato del potere. Ma era me che la gente salutava
Adesso so che mi sarebbe potuta piacere, se ci fossimo incontrate da piccole, con i piedi a bagno nel fi ume. Avrei tenuto la sua mano nella mia,
Ma il giorno in cui apparve una macchia rossa sul mio lenzuolo stropicciato, mio padre portò a casa una nuova moglie. Non aveva molti anni più di me, ma aveva già sepolto un marito di sangue reale. Aveva i miei colori. Il suo viso era come una pietra preziosa incastonata in
lo strascico di velluto che spettava al suo rango, fi nchè non fu coperta da tutto l’apparato del potere. Ma era me che la gente salutava quando la carrozza passava, ero io che mi specchiavo meglio occhi af ettuosi di mio padre; era mia la prima mela del giardino. Adesso so che mi sarebbe potuta piacere, se ci fossimo incontrate da piccole, con i piedi a bagno nel fi ume. Avrei tenuto la sua mano nella mia,
se non fosse stata appesantita dal rubino rubato al dito appena freddo di mia madre. Avrei potuto amarla, se.... se... se...
C’era spazio per una sola regina nel castello. Sì, consegnai alla nuova arrivata il centinaio di chiavi tintinnanti, la corona ingemmata,
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Mio padre era entusiasta di vederci così vicine. Una volta
che venne di notte nella sua camera ci trovò entrambe lì, le gambe intrecciate sul
letto sotto un mare di trine e velluti, mentre ci scambiavamo gli orecchini. Rise
rovesciando la testa all’indietro nel vederci. Non si sono mai viste due così belle
dame nello stesso letto! Esclamò. Ma chi, fra di voi è la più bella?
Ci guardammo, lei ed io, e ci unimmo al coro delle sue risate. é una mia
impressione, ripensandoci adesso,
che nelle nostre voci ci fosse una nota stonata?
Vedi, la sua chioma era nera come il carbone, la mia come l’ebano.
Le mie labbra erano rosse come le sue, le nostre guance pallide
come due pagine contigue di un libro.
Ma i nostri volti non erano uguali,
nè erano paragonabili.
Rise ancora fragorosamente. Ditemi, chiese, come
posso scegliere fra due tali bellezze? Guardai la mia
matrigna, anche lei mi fissò, i nostri occhi erano come
due specchi opposti che creano un corridoio di riflessi,
vuoto all’infinito. Mio padre sogghignò mentre mi baciava
sulla fronte, mi spinse gentilmente fuori dalla stanza e mi
sprangò la porta alle mie spalle.
Ma mentre l’anno passava e la matrigna rimaneva snella come il primo giorno in cui egli l’aveva condotta al castello la bocca di mio padre co-minciò a indurirsi. Le proibì di fare qualsiasi cosa eccetto rimanere
sdraiata ad aspettare un figlio, il figlio che egli aveva tanto desi-derato. La mia matrigna giaceva sulla schiena che si indebolì
talmente che potevo vedere le ossa sotto i suoi occhi. Quan-do un altro anno si allungò nella primavera, non era più
la mia matrigna a giacere consunta e malata ma mio padre. Io andavo e venivo dal suo letto, ma egli
era oltre ogni possibilità di cura. Malediceva le sue due mogli che lo avevano abban-
donato e infine, malediceva il figlio che non era
mai venuto.
Chiamami regina, disse.
Sei la moglie di mio padre,
Sarò regina dopo la sua morte, disse.
Non risposi.
replicai.
Dì che sono la regina,
ripetè,
le dita c
he sbiancava
no
La mia matrigna
mi fece chiamare
nella stanza del trono,
dove sedeva avvolta nell’ermellino, il pugno chiuso attorno allo scettro.
attorno allo
scettro
.
Se davvero
lo fossi,
non ci sar
ebbe biso
gno di aferm
arlo.
Si ere
sse in
pied
i su
l pied
istall
o so
pra d
i me.
Nel mom
ento in cui sarò vedova,
disse, potrei cacciarti.
é vero.
Se ti opponi,
disse afabilmente,
potrei farti portare
nella foresta
da un cacciatore
farti strappare il cuore
e chiedergli
di riportarmelo su un piatto.
Carne indigesta, mormorai.
Posso farlo! Ne ho il potere!
Non dissi nulla.
Mi scagliò contro lo sce
ttro,
ma io indietr
eggiai e q
uello
prec
ipitò
al su
olo.
Q u e l l a notte udii molti passi
dirigersi verso la porta di mio padre. Afondai la faccia nel cusci-
no. Aspettai. Non si sentiva un suono nell’oscurità; nessuna ultima parola per me.
Decisi di non rimanere ad aspettare che ciò che il giorno dei funerali avrebbe portato, quali occhi cortigiani avrebbero scintillato di violenza. Decisi di lasciare tutto a lei, e lasciare lei a tutto.
Mi riempii l’abito di pezzi d’oro e fuggii.Se fosse stato ancora inverno quella notte mi avrebbe uccisa; l’aria tiepida fu la mia salvez-za.Più vasta di quanto avessi immaginato la
foresta ospitava creature che non sapevo nominare, cose con occhi d’argento e
denti rumorosi; nonostante tutte le mie pellicce non chiusi occhi
quella notte.
All’alba ero più smarrita di un pulcinoDopo aver vagato quasi morta di fame
e impazzita per più giorni di quanti potessi ricordare,ebbi la fortuna di essere trovata
al fuoco come un gatto.Mi lasciavano sognare accanto
e lasciavo bruciare la minestra. neanche quando rimanevo intontita
come un’ombra sul muro. Gli uomini non mi chiedevano mai
a cosa pensassi,
davanti ai miei occhi,sempre allungandosi
Si ergeva
da un gruppo di boscaioli.Mi chiesero chi fossi.
per riposare accanto al fuoco
Avevano saputo della morte del re.così glielo dissi.
La verità è più rapida delle menzogna,
Ogni volta che mi fermavo
e ogni altra sera io sfamai loro.Quella sera mi sfamarono,
della mia matrigna. ero aggredita dal pensiero
Vedi, io sapevo che la mia m
atrigna m
i avreb
be trovata
. Il nostro
legame si
era asso
ttigliato
ma non si era mai ro
tto.
In qualche modo sapevo che mi avrebbe ritrovata e uccisa.
Vedi, io sapevo che la mia m
atrigna m
i avreb
be trovata
. Il nostro
legame si
era asso
ttigliato
ma non si era mai ro
tto.
Non vi era nulla della moglie che era, quando sorrise. Posso entrare in casa tua? Chiese. Dissi d
i no e mi vo
ltai. M
a dopo a
ver
ravvivato il fuoco, lavato le camicie e tagliato le rape, tornai alla porta, per curiosità e lei era ancora lì.La feci entrar
e un minuto.
Disse
che
ero dimagrita. Dissi che stavo bene. Non parlammo del passato. Ho cominciato a rompere gli specchi, disse. Sedendo acc
anto al fuoco co
n lei,
chiusi gli occhi e mi sentii come ai vecchi tempi. Lei era dietro di me e mi allacciava il corsetto, stringendolo come non avrei m
ai potuto far
e da so
la.
Quando alla fi ne lei arrivò, però, sembrava cambiata. Un giorno d’estate guardai fuori dalla fi nestra
e lei er
a nella
radura
Quando gli
uomini rincasa-
rono, quella sera,
mi trovarono in una
sorta di stupore.
Prima si preoc-
cuparono,
sentendo il mio re-
siro profondo e afannato,
poi si arrabbiarono, vedendo le
rape sul tavolo e niente cibo per
cena. Dissero che la mai matrigna
dveva essere un’incantatrice per
trovarmi in mezzo a una
foresata.
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Quan-do gli uo-
mini rincasa-rono, quella sera, mi
trovarono rannicchiata intorno al ceppo, sull’erba umida. Mi sollevarono e mi dissero che la mia
matrigna doveva essere una strega per avvelenarmi talemente di indolenza. Mi consigliarono di rimanere in casa e cacciare ogni
visitatore. Ma un pomeriggio, all’inizio dell’autunno, fui stordita da una zaffata di profumo di un’intensità irresistibile. Non potevo
ricordare cosa fosse; sapevo solo che potevo a malapena sopportarlo. Mi voltai, e alla fnestra c’era la mai matrigna, una mela nella mano le-vata. Matrigna, sì, era qualla la parola ma non c’era nulla della madre in lei. La mela era matura a metà.Un lato era verde, l’altro rosso. Ella morse il lato verde, e sorrise. Presi la mela senza una parola, morsi il lato rosso e iniziai a tossire. Paura ed eccitazione si combattevano nella mia gola, e l’oscurità calò sui miei occhi. Caddi al suolo. Era tutto bianco, dove andai; come neve calda, pressata negli angoli e nelle fenditure del mio corpo. Non c’era luce, nè rumore, nè colore. Pen-
sai di essereun tesoro,
conservatoin un luog
sicuro.
Q uando rinvenni sobbalzavo
in una bara aperta. La luce del sole pugnalava miei occhi. I
boscaioli mi stavano trasportando giù dalla montagna, fuori dal bosco.
Mi raddrizzai, tossii, mi sedetti.La mia testa girava ancora; pensai di poter svanire di nuovo. Ma nella mia bocca c’era la mela, scivolosa, ancoradura, aspra sui
bordi.
Po t e vo sentire i segni dei
miei denti sulla buccia. La morsi, e il succo scorse lungo gli angoli delle mie labbra. Non era avvelenata. Era la prima mela dell’anno dell’orto di mio padre. La masticai fino ad inghiottirla
e seppi cosa fare.
Mi voltai da
quella parte, e cominciai
a camminare. Nel giardino
domandai:Chi eri tu prima di
sposare miopadre?
M i f e c i
mettere a terra e uscii dalla cassa, sorda alle loro pro-teste. Mi guardai intorno finchè vidi il castello, piccolo sullo sfondo della foresta, lon-
tano sulla col-lina.