il processo di yinizzazione - agnese deidda
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Tesi F.A.I.P. di Agnese DEIDDA.TRANSCRIPT
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LUMH LIBERA UNIVERSITA’ DI STUDI PSICOLOGICI EMPIRICI
MICHEL HARDY
F.A.I.P. FEDERAZIONE ASSOCIAZIONI ITALIANE DI PSICOTERAPIA
IL PROCESSO DI YINIZZAZIONE
NELL’APPROCCIO EMPIRICO
VIAGGIO ALLA RISCOPERTA DELLA NOSTRA VERA NATURA
di
Deidda Agnese
TESI D’ESAME – 8 e 9 Giugno 2012
Counselor in Discipline Psicologiche Empiriche
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INTRODUZIONE
Dopo una vita a chiedermi: “Che senso ha la mia vita…” e non trovare risposta che
riempisse il vuoto.
Dopo una vita a chiedermi: “Qual è il mio ruolo, il mio compito…” e non trovare il
posto giusto dove stare.
Dopo essermi chiesta per l’ennesima volta: “Perché non riesco a realizzare le cose per
me importanti … per sentirmi appagata ?”.
Dopo essermi detta, in vari momenti della mia vita: “Non può essere solo colpa degli
altri…”, ed aver avuto spesso atteggiamenti contradditori, irrazionali e inspiegabili…
È stato necessario ammettere : “Non mi conosco …,non so chi sono…Ho bisogno di
aiuto. Voglio trovare la mia strada !”
In quel momento ho incontrato il Prof. Michel Hardy con la sua “Grammatica
dell’Essere” e l’“Approccio Empirico”, ho sentito subito che si parlava alla parte più
profonda di me….assetata…e finalmente potevo fermarmi per ristorarmi !!!!!!!!
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PROCESSO DI YINIZZAZIONE
“Esiste un processo all’interno de quale il
singolo può riconvertire il proprio stato
empirico alterato in uno più vicino al
libero fluire.”
(8.5.4 Gramm. Dell’Essere)
Questo processo di risanamento o di riconversione si chiama Yinizzazione o Yangizzazione e
può avvenire solamente all’interno di un percorso di evoluzione personale, che può essere di
diverso genere, ma che è attuabile solamente con un “metodo empirico” ed esperienziale,
poiché avviene solamente sul piano sensoriale, del proprio “ sentire”. Questa evoluzione si
svolge a piccoli passi e in modo irregolare, ma è sempre collegata all’evasione del debito
empirico della persona e del suo rientro al libero fluire. Quasi tutti i ruoli alterati hanno la
possibilità di tornare al libero fluire, escluso quelli in cui la qualità del debito è troppo grave e il
rientro non è più possibile. Man mano che questo debito diminuisce, la persona sta meglio,
diminuiscono o cambiano le segnalazioni degli “ indicatori empirici” della paura e della rabbia e
si riavvicina alle qualità previste dal proprio codice empirico Yin o Yang, lasciando
gradualmente i modelli contro-sistemici acquisiti. Essi derivano dalla consegna famigliare, dal
“debito empirico di base”, che ha condizionato e compromesso il campo sensoriale della
persona, predisponendola ad attuare delle strategie alterate in ogni ambito vitale. Così, ora si
tratta di attuare il cammino inverso, cioè di riavvicinarsi alla propria consegna famigliare
disarmonica; di essere consapevole di quali strategie di auto boicottaggio ha attuato; di
rivivere le emozioni che le hanno radicate ; di accettare e integrare la nuda e cruda realtà; di
liberare il dolore arretrato, rimosso e mai affrontato, dolore derivato dall’infrazione dei diritti
empirici subiti durante la propria infanzia, che hanno impedito alla persona di sviluppare una
carica primaria sana e genuina. Questo dolore che viene accettato e rivissuto, essendo ora
rilasciato, si trasforma, lascia spazio e cambia il riassetto delle strategie di auto boicottaggio,
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riavvicinando la persona al libero fluire. La riconversione, dopo un periodo adeguato di “lutto”
obbligato, avviene in maniera spontanea e non può essere gestita né dalla propria volontà, né
dalla mente, ma solo riattivando le capacità del “sentire” originarie. Durante questo processo
di Yinizzazione e Yangizzazione, la persona è in grado di accedere e integrare la propria carica
mancante, riavvicinandosi alla sua matrice di eccellenza, cioè ad un maschile o femminile
empiricamente corretto, che vuol dire mettersi in contatto con la parte di sé sommersa e mai
attivata, cioè il proprio “potenziale non evaso”.
La persona comincia ad essere attirata da modelli femminili e maschili sani, riattivando le
strategie armoniche sia con se stesso che con il mondo circostante. La rabbia si assopisce, la
paura diminuisce, lo spazio interiore aumenta e abbandona i meccanismi di difesa finora
adoperati, lasciando gli indicatori empirici dominanti e usando la forza della verità. In questa
fase la persona cambia gusti, abitudini, modi di porsi verso se stesso e gli altri, cambia amicizie
e si sente in sintonia con persone che non aveva mai sentito affini a sé. Nella coppia sa
concedere uno spazio maggiore al compagno (bonus empirico), senza nascondersi dietro le
solite strategie di difesa. Questa trasformazione, anche se avviene a piccoli passi e in maniera
incostante, si sovrappone lentamente al mondo empirico alterato, riconvertendo gli
automatismi e le attitudini deviate. Trovarsi nel processo di riconversione significa rimettersi in
contatto con la parte profonda di sé, sentire la carica giusta che ogni situazione richiede,
perchè i valori della “coscienza personale” sono allineati con quelli della “coscienza empirica” e
anche le scelte ora si avvicinano alle soluzioni ideali. Solo queste scelte d’eccellenza hanno la
capacità di auto-rigenerarsi, ossia di mantenere nel libero fluire sia chi le interpreta e chi ne è
partecipe e non si acquisisce debito. Si tratta di essere in contatto con “la coscienza empirica”,
l’organo che collega il sistema e l’uomo, che si manifesta solamente sul piano sensoriale,
dell’intuizione e delle percezioni sottili della persona. Così ogni situazione o problema della
vita, come le scelte personali, le responsabilità famigliari, sociali e quelle affettive e di coppia,
sono affrontate con la soluzione che più si avvicina allo stato empirico del ruolo da essi
interpretato. Essendo l’amore alla base del libero fluire, esso costituisce anche la premessa
indispensabile per ogni processo di Yinizzazione e Yangizzazione. Soltanto grazie all’amore la
persona si accosta nuovamente ad un sentire assoluto, capace di decifrare la carica empirica e
favorire la continua compensazione tra dare e ricevere. Solo la persona integrata possiede
questa capacità, anche se questo ideale di saggezza, di persona giusta, che” fa le cose giuste al
momento giusto” è stato sempre una meta ambita dall’umanità. Si tratta di una ambizione
sentita più dagli uomini che dalle donne: essere la guida, il condottiero, l’arbitro, il giudice, il
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sacerdote e riconoscere la soluzione adeguata, emettere sentenze giuste, riconoscere il senso
di merito o di mancanza, sia verso se stessi che verso gli altri. Nella pratica di tutti i giorni, sono
invece i ruoli alterati sia Yin che Yang che pretendono di sapere cosa è giusto per sé e per gli
altri e vogliono avere ragione a tutti i costi. Specie i finti Yang (uomo o donna), avendo la
sensazione di aver subito troppi torti, hanno bisogno di segnalare ogni apparente ingiustizia,
non solo con il disappunto, ma con l’illusione di riconoscere la soluzione ideale per qualsiasi
tipo di problema che riguarda loro o gli altri.
Per quello che mi riguarda, durante la mia metamorfosi empirica, non essendo consapevole
che erano atteggiamenti alterati e arroganti, ho cercato di fare la “crocerossina” quando ero
ancora finta Yin, per diventare la “ salvatrice”, la “maestrina” e la “giustiziera” quando la mia
metamorfosi empirica è avanzata e sono entrata nell’energia della rabbia della finta Yang. Il
ruolo della” maestrina” è quello che mi è riuscito di più, mi sono permessa di dare consigli
anche non richiesti invadendo gli altri, di emettere sentenze in ogni situazione, mi sono sentita
autorizzata a criticare e a giudicare chiunque, convinta di avere la soluzione giusta e cercando
di imporla agli altri. Progredendo nella metamorfosi sono arrivata al ruolo della “
giustiziera”, pronta ad estrarre la spada per le provocazioni, le mancanze di rispetto e le
ingiustizie che ho sentito come violazione dei miei diritti, anche dove non c’erano. Ho sentito
di dover prendere sempre le parti di qualcuno, di immischiarmi nelle faccende altrui, o
combattere delle ingiustizie senza che questo mi fosse stato chiesto, infrangendo i diritti degli
altri. Mi sono compiaciuta del ruolo della guerriera, della giustiziera che ho sentito come
nobile, ma che era solo ricerca di potere, attivandosi veramente solo quando la situazione
tornava a mio vantaggio. La rabbia sempre più forte ha cambiato il mio IO, che è diventato
iper- trofico, così, la sfida, la pretesa, la rivendicazione, la minaccia e la lotta sono diventati i
miei caratteri più spiccati. Anche se come “vittima rabbiosa” mi sentivo vittima e carnefice
nello stesso momento, utilizzavo gli strumenti dell’aggressività come mio potere per
vendicarmi quando non mi sentivo amata, compresa e accettata, lasciando il carattere
abbandonato ed entrando nella caratteristiche di quello invaso. Solo attraverso questo
processo di Yinizzazione ho cercato di fermare questo degrado empirico, evadendo parte del
debito empirico e riavvicinandomi al libero fluire e alle qualità d’eccellenza previste dal mio
codice empirico Yin.
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VIAGGIO ALLA RISCOPERTA DELLA NOSTRA VERA
NATURA
1 - Il processo di guarigione inizia con un “cammino di consapevolezza”, col dare uno sguardo
serio alle strategie di auto-boicottaggio, risalendo al “debito di base”, alle proprie convinzioni ,
ai bisogni, alle aspettative e agli atteggiamenti che hanno costituito per ciascuno dei limiti e
tabù, e che ora formano la parte “ombra” della persona.
2 - Per fare ciò, si ha bisogno di rimettersi in contatto con le emozioni bloccate, riprovare la
paura, la rabbia e il dolore che si nasconde sotto queste strategie di difesa. Un riavvicinamento
al proprio “sentire” che può attuarsi solamente attraverso un “metodo empirico
esperienziale”. Infatti, questa volontà di scoprire le ferite nascoste e arrivare a contattare le
emozioni dolorose ad esse collegato, ha già un effetto riparatore e serve a sgonfiare e
neutralizzare ciò che conferiva loro potere.
3 - Per uscire veramente da questo stato di soggiogamento e di malessere, è necessario
contattare, riconoscere e tirare fuori, cioè “esprimere” il risentimento, il rancore e la rabbia
accumulata in tutte le precedenti esperienze della vita: “ terapia della rabbia”, (si tratta
dell’unica maniera in cui la vittima rabbiosa può uscire dal proprio stato di sofferenza , specie
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dall’identificazione con i propri genitori), per usarla poi come un potenziale di forza, “alleanza
con la rabbia”, da utilizzare solo nei momenti che la richiedono.
4 – Acquisire spazio per “integrare” e contenere anche ciò che meno piace di se stessi.
Accettare” il debito di base” come una responsabilità da evadere (come una eredità spirituale,
come una prova), vedere il debito accumulato nella propria vita per “ciò che è”, senza giudizio,
ma con una certa compassione verso se stessi e gli altri. Accettare di sentire il dolore dei vari
episodi che lo hanno provocato, unito ad un inevitabile senso di colpa.
5 - Rendersi disponibile per una “riconversione empirica”, accompagnata da un periodo di
“lutto obbligato”, di disorientamento e di dolore. Avere il coraggio di affrontare il nostro lato
ombra e “starci dentro” fino a che il dolore non si calma, acquisendo, così, un nuovo spazio
interiore, quello del cuore, che può contenere il proprio e l’altrui dolore, che si trasforma in
forza nuova, in grado di avvicinarsi e di accettare anche la morte. E ,conseguenza non meno
importante, esso attua quel passaggio di crescita dal ruolo del piccolo al ruolo del grande,
l’unico che può riavvicinarsi al ruolo empirico integrato del proprio sesso a conoscere il
benessere e l’amore.
6 - Allontanarsi dall’ombra estinguendo il proprio debito. Questo richiede il non perdersi in
quelle ferite, ma anzi, superare l’identificazione con esse e abbattere la convinzione che
questo rappresenti ciò che siamo.
Superare l’auto immagine del ” bambino ferito”, col cambiare la percezione di se stessi e
iniziare il processo di rientro nell’ordine, riuscendo a dire “Si” alla vita e aprendoci ad un
nuovo equilibrio tra il dare a al ricevere, richiesto dalla carica empirica di ogni situazione.
Così, il processo di Yngizzazione e Yangizzazione, è come se fosse un viaggio per la riscoperta
della nostra vera natura, quella di essere delle persone, che sentono se stesse amabili e piene
di doti, riattivando il “potenziale non evaso” del proprio codice empirico Yin o Yang, che è
patrimonio di ciascuno di noi fin dal momento del concepimento.
Questo cammino di crescita personale, richiede una vera e propria trasformazione nella vita di
ogni ruolo alterato, con la quale si riscatta il debito personale e attraverso di esso anche quello
della propria stirpe.
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DIVENTARE CONSAPEVOLI
“Diventare consapevoli delle nostre strategie disarmoniche è alla base
di ogni fare dell’uomo e costituisce il primo passo essenziale verso ogni
cambiamento di rotta. In caso contrario le infrazioni continuano a
moltiplicarsi nel tempo e, per quanto sfuggano al controllo della
mente, si manifestano attraverso i propri effetti indesiderati.”
(3-6, GRAMM. DELL’ESSERE)
Quando, in uno dei primi seminari dell’Approccio Empirico, ho scelto una frase che avrebbe
indicato il percorso da intraprendere, per iniziare questo cammino di consapevolezze, e mi
sono sentita dire “Affronta le tue paure “, ho provato un senso di fastidio. Non sapevo ancora
quanto sarebbe stato importante per la mia crescita personale! Ora, dopo cinque anni di
questo percorso, quando prendo in considerazione i principali eventi della mia vita, vedo che
sono dominati da modi di fare in contrasto con le leggi dell’ordine empirico, da una “coscienza
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personale” in aperta dissonanza con la “coscienza empirica”, che mi hanno allontanato dal
mio “sentire”, dai principi del mio codice empirico e, di conseguenza, portato fuori dal “libero
fluire” e dall’Amore. Tutto ciò ha accresciuto il mio malessere e il senso di vuoto, che si sono
manifestati giorno dopo giorno con gli “indicatori empirici” della paura, del senso di
inadeguatezza e di non merito, della rabbia per non riuscire ad essere partecipe e responsabile
della mia vita e dai sensi di colpa . Ho scoperto di essere piena di convinzioni contro
sistemiche, di tabù, di aspettative, di proiezioni,di assuefazioni, che mi porto dietro anche ora
che sono cresciuta.
Ho paura di non sapere chi sono, di non trovare il posto giusto, di non essere in grado di
esprimere me stessa, di confrontarmi e di parlare a mio sostegno. Temo di essere inadeguata,
di non essere amata, di essere ignorata e abbandonata o di essere respinta. Temo, pure, la
responsabilità e la scelta, per la paura ancora una volta, di sbagliare e confermare così le mie
insicurezze. Alla base c’è l’incapacità di “sentire” la “carica oggettiva” di ogni situazione e, di
conseguenza, quale atteggiamento giusto avere nelle varie circostanze.
Così, tutte queste paure mi hanno impedito di essere protagonista e responsabile della mia
vita, accrescendo l’insoddisfazione e il senso di rabbia.
Essendo stata inconsapevole di tutto ciò, ho trasformato tutte le mie paure in aspettative e le
ho proiettate sugli altri, aspettandomi che questi risolvano i miei problemi , che mi rassicurino
sul mio valore, che mi accettino e sostengano, che mi amino incondizionatamente,
atteggiamenti che neanche io riesco ad avere per me stessa. Ha proprio ragione il prof. Michel
Hardy nei suoi “Appunti di viaggio” della Grammatica Dell’Essere, quando sostiene :
”La credenza popolare per cui ciascuno è libero di trovare la felicità all’interno dei propri
canoni, ossia a modo suo, costituisce più un buon proposito che una realtà. Di fatto la nostra
esistenza viene determinata dallo stato empirico in cui ci troviamo, ossia dalla posizione
all’interno del sistema” (1-9, Gramm. Dell’Essere )
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CHE STRESS CRESCERE !!!!!!!!!!!
“Contrastare l’ordine empirico costituisce la più
grande fonte di stress per l’uomo. Ogni
violazione delle sue leggi comporta un
aumento della tensione emotiva, per quanto
avvenga il più delle volte in maniera nascosta e
subdola. L’incremento di questa carica rappre-
senta tuttavia soltanto la punta dell’iceberg, in
quanto costituisce la parte più visibile di un
arretrato sistemico che da quel momento
compromette la vita dell’uomo. La causa per
questo disagio risiede nell’incompatibilità tra gli
schemi personali e i moti genuini dell’ordine”.
(1.3 Gramm. Dell’Essere)
Per l’Approccio Empirico della Grammatica dell’Essere esistono due sistemi: uno empirico e
armonico che governa tutti i moti dell’universo e dell’uomo, da quelli grandi a quelli piccoli, da
quelli esterni a quelli interni, fino a quelli dell’anima e comprende tutto ciò che è, bene e male,
luce e ombra; ed un altro individuale che si riferisce alla parte interiore dell’uomo e
comprende tutto ciò che ognuno ha imparato durante la sua vita, ma specialmente durante i
primi anni della sua infanzia e dai quali ha ricavato i suoi valori e le sue strategie vitali e
costituisce la “coscienza personale”. Dall’accordo e dall’ intesa dei due sistemi si attua per
l’uomo il senso di benessere e di appagamento. Dal disaccordo e dal contrasto di essi dipende
il suo malessere, la sua sofferenza esistenziale, che formerà nel tempo il suo “ debito
empirico”. Così, se l’uomo vuol stare bene, diventa necessario che il sistema personale si
avvicini il più possibile a quello empirico, che egli lo riconosca tramite il suo sentire e metta in
pratica le sue leggi. Questo, però, è spesso incomprensibile per l’essere umano che trova molta
difficoltà a riconoscere delle regole al di fuori di sé, specie se riguardano le emozioni interiori,
anche perché, è convinto di aver acquisito dalla famiglia e dalla società dei principi giusti e
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veritieri riguardo a se stesso e agli altri, che ora formano le sue convinzioni più profonde e il
suo carattere. Inoltre, la coscienza personale difende tutto ciò, cercando di conservare e
proteggere tutti i meccanismi che ha imparato, anche se risultano disarmonici e senza tener
conto del loro valore empirico. Infatti, questi schemi personali o “coazioni disarmoniche” sono
modi di fare acquisiti, che la legge della compensazione empirica ha attuato, anche senza il
nostro consenso, per poter riequilibrare il nostro stato di debito e così superare alcuni
momenti di particolare difficoltà. Avendo avuto buon esito, la persona li conserva nel tempo,
pian piano diventano inconsapevoli e li scambia per qualcosa di innato, che non si può
cambiare.
Un altro fattore importante che bisogna tenere presente, se si vuole una vita serena e piena, è
quello dei “ruoli empirici” che l’ordine empirico assegna all’uomo, da svolgere lungo il
cammino della sua vita a seconda del periodo del suo sviluppo biologico, dal ruolo del bambino
a quello dell’adulto. La persona in ogni ruolo ha dei diritti e doveri da adempiere, con delle
precise responsabilità, se vuol stare dentro il libero fluire e sentirsi felice. Ciascuno, però, a
seconda del debito acquisito, riesce ad accettare solo in parte o a negare la consegna naturale
di questi ruoli e allora, specie se li nega, essi non corrispondono più all’età biologica della
persona e questo ha delle conseguenze in tutte le manifestazioni delle sue espressioni vitali,
che vengono falsate e che saranno fuorvianti, spesso in contrasto con l’ordine empirico,
facendo aumentare il suo debito e il suo malessere.
Alla base di tutti questi meccanismi c’è da considerare l’influenza che ha su ciascuno di noi la
“consegna famigliare” o “debito di base”, dove, oltre all’assimilazione degli atteggiamenti e
delle convinzioni provenienti dalla educazione ricevuta dai genitori, si aggiungono le infrazioni
contro il sistema empirico provenienti dalla propria stirpe, come un debito famigliare non
estinto che il bambino prende per buono e che aumenterà il conflitto con i valori dell’ordine
empirico. Inoltre, nel periodo dell’infanzia avviene ”l’attivazione” dei principi del proprio
codice empirico Yin o Yang trasmesse dal genitore del proprio sesso e che determinerà la
capacità del singolo di aderire ai propri principi femminili o maschili, insieme alla carica
secondaria Yin o Yang del sesso opposto.
Il contrasto o l’accordo tra il sistema empirico e quello attuato dalla persona, non può essere
compreso da un atto intellettivo, ma viene percepito esclusivamente dal proprio “sentire”,
attraverso il piano sensoriale, sul piano della propria coscienza e si manifesta solo al momento
della sua violazione tramite “gli indicatori empirici”, che l’ordine, a fin di bene, manda per
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segnalare alla persona che qualcosa non va, perché possa porre rimedio e tornare nel libero
fluire.
“Ogni esperienza, ogni atto del singolo rivela la propria validità ai fini empirici, confrontandosi
con la matrice empirica d’eccellenza. I suoi effetti si manifestano a livello della coscienza,
facendolo sentire in armonia o in contrasto con l’ordine.” (1.11 Gram.dell’Essere).
Per poter arrivare ad un equilibrio tra la coscienza personale e la coscienza empirica è
necessaria un’indagine empirica su se stessi, che si può attuare solamente intraprendendo un
cammino di crescita personale esperienziale basato sul “sentire”, unito alla volontà di portare
non solo la consapevolezza, ma specialmente l’accettazione di tutte le situazioni della vita,
volute o no,(che comprendono anche quelle per le quali non sono cresciuta ) che sono le vere
cause di tutti i disagi e conflitti con l’ordine.
Inoltre, cosa non meno importante, tornare ad essere nel libero fluire ed essere in linea con
“l’ordine” diventa necessario per chi vuol essere felice e conoscere l’Amore, perché è l’unica
possibilità di rimanere in contatto con la sua ”armonia”, che trasferita sull’uomo si chiama
“felicità”, equilibrio, appagamento profondo, tanto desiderato da tutti. Per arrivare, così, alla
consapevolezza che la felicità umana non è legata al raggiungimento dei beni materiali, degli
status sociali e neanche dall’avverarsi dei nostri sogni, ma al “modo di viverli” e cioè alla
qualità del nostro sentire.
Perché allora ci resta così difficile?
Perché abbiamo perso la capacità del “ sentire oggettivo” di ogni azione e reazione , (attuando
un’anestesia emotiva) e di conseguenza ( per compensare), facciamo intervenire la mente che
cerca almeno di “capire” qual è l’atteggiamento giusto per ogni situazione. Purtroppo essa
riconosce soltanto le proprie convinzioni acquisite dall’educazione ricevuta. Così sono questi
valori personali ad imporsi senza che la persona se ne accorga. In altri momenti sono le
ambizioni, lo status-sociale, le aspettative ad avere il sopravvento. Per risolvere la situazione,
non si tratta, però, di eliminare la mente, ma di permetterle di rientrare al suo posto, in modo
da ripristinare il proprio sentire oggettivo e sistemico e portare equilibrio tra essa e le altre
varie parti della persona.
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L’INCONTRO CON IL BAMBINO INTERIORE
“La stessa utilizza il ruolo di figlia e bambina per
affrontare il mondo, nonostante sia inserita in un corpo
adulto femminile. Ma le sembianze da donna sono una
pura illusione, in quanto le sue strategie vitali sono
ancora legate al copione di chi non sa portare le
proprie responsabilità. Ma se il sistema prevede tale
condizione come stato di diritto per il piccolo,per il
grande lo sancisce soltanto con la segnalazione di un
debito.”
( 6.5, Gramm. Dell’Essere )
Quando , con le esercitazioni empiriche del seminario “Il potere è in te “, c’è stato l’incontro
con il proprio “ bambino interiore “, per me è stata una vera e propria rivelazione. La mia “
bambina” era sorridente e mi ha subito rassicurato che era sempre con me, anzi, era venuta al
seminario ed era lì al mio fianco. Così, mentre tutti gli altri partecipanti erano impegnati a
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consolare il loro “bambino”, io contenta e tranquilla, sono uscita ed ho portato la mia bambina
a fare una passeggiata.
Solo più tardi, durante la condivisione, quando mi è stato spiegato che questo era un “ caso
grave”, ho smesso di essere tranquilla ed ho cominciato a pormi qualche domanda. La
conclusione dell’analisi empirica era : ”Non sei mai cresciuta,sei rimasta una bambina !”
Queste considerazioni sono arrivate come un lampo e di colpo mi si sono aperti gli occhi, la
mente e il cuore, perché questo fatto mi risuonava dentro. Per giorni, tornata a casa, mentre
svolgevo le attività di routine, mi bloccavo e mi incantavo, perché vedevo delle finestre aprirsi
e davanti a me apparivano frammenti della mia vita, situazioni mai capite che ora diventavano
nuove consapevolezze :
ecco perché non sentivo la mia vera età ed ero fuori dal tempo, tanto che mi sembrava di
averne tanto ancora ;
ecco perché, allo specchio, avvertivo questa dissociazione tra la persona interiore e quella
esteriore;
ecco perché non mi riconoscevo nelle foto, che oltretutto non sopportavo ;
- ecco perché mi sentivo diversa dalle altre donne ;
ecco perché non riuscivo a rapportarmi con l’altro sesso e venivo trattata diversamente dalle
altre ;
ecco perché attiravo, nella coppia, bambini giocherelloni e irresponsabili come me;
ecco perché non riuscivo mai a passare dall’innamoramento all’amore ;
ecco perché non riuscivo ad instaurare dei rapporti di coppia maturi, appaganti e duraturi :
non ero cresciuta !!!!!!!
Un fine settimana era bastato per diventare consapevole di tutto questo!
Ero meravigliata di me stessa, di queste nuove scoperte ed entusiasta di aver trovato questo
nuovo metodo dell’Approccio Empirico formulato dal prof. Michel Hardy , “… basato su
esercitazioni empiriche atte a collegare il singolo con i suoi tabù personali. E sono focalizzate a
evidenziare i limiti della persona nell’affrontare la vita e gli altri, indicando le diverse forme di
auto-boicottaggio “.
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RIFIUTO DI CRESCERE
“C’è sempre un dolore evitato alla base di ogni
passaggio empirico mancato, in quanto la persona
sente di non essere ancora in grado di abbandonare il
vecchio ruolo. Ed è soltanto la sua maturità, ossia la
consapevolezza di dover affrontare tale dolore per
poter uscire dalla trappola, a predisporre una persona
a crescere. Chi è arenato nel ruolo del bambino,
nonostante sia già in una età anagrafica d’adulto,
averte tale passaggio come particolarmente
problematico e angosciante.”
( 6. 6, Gramm. Dell’Essere)
Quando nell’adolescenza sono arrivata al momento del naturale cambiamento fisiologico da
fanciulla in donna, da piccola in grande, ho avvertito chiaramente che al di fuori di me esisteva
un ordine già stabilito che avrebbe attuato questo cambiamento anche senza il mio volere,
anche senza il mio permesso . Non mi sentivo ancora pronta per questo passaggio e volevo
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decidere io il momento giusto. Quando sono avvenuti i primi cambiamenti fisiologici ho
provato un senso di malessere, anzi un senso di costrizione, di mancanza di libertà. Inoltre, il
fatto che tutte queste sensazioni spiacevoli non venissero dagli altri capite, ascoltate,
riconosciute e considerate, mi faceva sentire, oltre che impotente, anche arrabbiata, triste,
furiosa, infelice e depressa.
Da quel momento credo di essermi completamente dissociata dal mio corpo.
Esteriormente cominciava a cambiare, ma interiormente ne provavo vergogna. Il mio seno che
spuntava, prima uno solo,che tragedia… pensavo di essere un mostro,poi è cresciuto anche
l’altro, ma la cosa non mi ha consolato. Il mio corpo che, invece di crescere in altezza, come
succedeva alle altre ragazze, si allargava e si ingrossava mi faceva sentire una “nana”. Il viso
pieno di acne purulenta, sul quale ho passato pomeriggi interi, allo specchio, giurando che non
sarei mai uscita di casa .
I peli che spuntavano sul pube mi convinsero ,con terrore, che mi stessi trasformando in una
scimmia, perché non li avevo mai visti nelle altre donne.
Mi sarei sotterrata ! Volevo morire….ed ogni mese ad ogni sindrome mestruale organizzavo il
mio suicidio. Poi arrivato il ciclo per un po’ di giorni questa idea si alleggeriva, ma durava poco.
In quel periodo stavo in collegio e ,vivere normalmente e studiare pure, per me era molto
faticoso. Ascoltare i professori che spiegavano tutti gli argomenti scolastici, mentre nessuno
parlava dei problemi che riguardavano la vita e le problematiche dei ragazzi adolescenti, mi
lasciava allibita e sconsolata. Mi chiedevo:” Come mai nessuno parla delle cose vere,
importanti della vita ?” Soltanto più tardi alle scuole superiori, la psicologia e la filosofia mi
davano un poco di sollievo. Incontrare e conoscere, anche se in modo superficiale e scolastico,
questi personaggi che si ponevano domande sull’origine del mondo, dell’uomo, dell’universo e
del senso della vita, mi attraeva e mi affascinava :sentivo come una energia profonda e antica
che mi univa a loro.
Che periodo conflittuale…., infelice…e problematico!!!!!!!!!!!
Promisi a me stessa, “quando sarò grande mi ricorderò di tanta sofferenza e farò qualcosa per
gli adolescenti !”
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VITTIMISMO E SENSO DEL DOVERE
“Oltre alle convinzioni disarmoniche, anche gli schemi
di bisogno personali costituiscono l’origine di contrasti
evidenti. Infatti seguendo tali schemi, la persona è
sempre o in richiesta o in difesa e riversa le proprie
problematiche irrisolte sul mondo e sugli altri. Stati,
questi che contrastando le dinamiche empiriche
naturali, provocano come diretta conseguenza
l’estromissione del singolo dal libero fluire. Così
l’individuo entra nel ruolo della vittima, incolpando gli
altri o mortificandosi per non essere stato all’altezza
della situazione, ponendosi in questo modo nel ruolo di
chi subisce la vita.”
(1.4 Gramm. Dell’essere)
Durante l’adolescenza, questa dissociazione tra la piccola e la grande, tra la bambina e la
donna, mi portava a non essere partecipe e responsabile della mia vita. La subivo sentendomi
vittima e cercavo di essere il più passiva possibile. Contemporaneamente la sentivo pesante,
incomprensibile e senza senso. Una tristezza perenne e spesso un’angoscia mi toglieva le forze
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per poter essere presente, per essere vitale. A questo si aggiungeva l’unico punto fermo che
mi portava avanti giorno per giorno : ”Non dare problemi alla mia famiglia !” Pur di non dare
problemi sarei rimasta lì, in collegio, a studiare. Sarei rimasta viva e sana, perché il contrario
poteva creare problemi e preoccupazioni ai miei genitori. D’altronde non vedevo un’altra via
d’uscita! Così un senso d’impotenza e di solitudine invadeva tutto il mio essere.
Per sopravvivere avevo imparato delle piccole strategie, come per esempio non entrare in
conflitto con gli altri, se non strettamente necessario, e così riuscivo a rapportarmi solo nel
gioco, dove riuscivo a venir fuori, e in poche altre situazioni. Delle amiche e compagne di studi,
solo una riusciva ad avvicinarsi e a non farsi spaventare dalla mia chiusura. Avendo lei
un’allegria contagiosa e un gran senso dell’ironia, riusciva a penetrare questo scudo di
isolamento e a dissipare per un attimo questa angoscia che mi attanagliava. Con le altre
persone avevo un atteggiamento passivo, da spettatrice e questo a volte andava anche bene,
specie per quelle più egocentriche ( anzi queste mi adottavano) e così, stranamente, mi
ritrovavo molte amiche.
Con i maschi, invece, nessun filarino, anche se mi attraevano i più belli e i più brillanti,
(sentendomi io brutta e insignificante ) i quali non mi vedevano proprio. Negli studi andavo
bene e cercavo di sviluppare l’intelletto, sperando di essere apprezzata almeno per
l’intelligenza , anche se in classe ero timida e silenziosa. In tutta la carriere scolastica credo di
non aver mai alzato la mano per obiettare o chiedere spiegazioni e mentre guardavo e
ascoltavo i professori, pensavo con tristezza e rabbia : ” A questi non importa niente di noi, lo
fanno solo per mestiere!” Qualche volta li ho sfidati: andavo volontaria all’interrogazione e
non aprivo bocca. Loro restavano destabilizzati e non capivano. Cercavano di farmi desistere
da questa specie di masochismo, ma alla fine erano costretti a darmi un brutto voto. Meno
male che questo atteggiamento si è verificato solo due o tre volte in tutto il corso degli studi.
Esso veniva poi riportato ai “superiori” del collegio, che mi convocavano e mi chiedevano i
motivi, che non conoscevo neanche io, e che comunque non avrei spiegato loro, tanto non
avrebbero capito. Infliggevo loro, così, come vendetta , il mio silenzio incomprensibile.
Certo da un lato attiravo l’attenzione su di me e per un attimo ne ero al centro, ma ognuna di
queste proteste-masochistiche, mi è costata mesi e mesi di studio per rimediare quei brutti
voti. D’altronde, il pensiero che questo atteggiamento prolungato potesse intaccare il mio
andamento scolastico o che venisse in qualche modo riportato o scoperto dai miei familiari,
era insostenibile. Non potevo deludere le aspettative dei miei genitori. Così desistevo dal
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progetto e tornavo a fare la “ brava bambina”, senza avere il coraggio di manifestare le più
naturali proteste o esigenze di un’adolescente che si rapporta con il mondo.
In quel periodo anche il rapporto con i soldi non era equilibrato e la preoccupazione
principale era quella di non pesare sull’economia famigliare. Quando partivo per il collegio
ricevevo dei soldi per le piccole spese e siccome si rientrava in famiglia solo a Natale e a
Pasqua, ritenevo che quei soldi “dovessero” bastare fino a quel momento. Sentivo un ordine
severo che mi diceva : ” Ti devono bastare a tutti i costi ”. Le altre mie amiche non avevano un
senso del dovere così spiccato e ogni tanto chiedevano qualche soldino ai familiari. Io credo di
non averli mai chiesti in tutti quegli anni. Era solamente il desiderio di non pesare sulla mia
famiglia o anche orgoglio e disagio o forse paura di espormi e di manifestare una mia
esigenza? Purtroppo questo atteggiamento ce l’ho ancora e anche il rapporto con i soldi è
rimasto uguale. Credo di essere, più che parsimoniosa e misurata, anche tirchia, non solo con
me stessa, ma anche con gli altri e se questo atteggiamento si irradia negli altri campi, come
squilibrio tra dare ed avere, lo vedo un problema. Appena terminati gli studi, ho cercato subito
un lavoro, perché volevo essere a tutti i costi indipendente, specie economicamente. Tutti
questi sensi del “dovere” erano un atteggiamento di responsabilità ? Non credo ! Lo vedo
piuttosto come orgoglio e rabbia insieme, uniti al dolore, ma dominati dalla paura. Ora mi
rendo conto che, quello che io avevo stabilito come senso del dovere, è uno dei concetti più
alterati della coscienza umana, inventato dall’uomo, dalla necessità di controllo della sua
mente, dal suo senso di colpa e di inadeguatezza. Inoltre, il “devo” nega la libertà di scelta e dà
l’impressione che non ci sia una nostra responsabilità, dando ascolto ad una legge morale che
è segno solamente di un auto-convincimento e di una scelta di paura.
Tutto ciò, per affermare che non si è abbastanza degni, né meritevoli, né capaci. Imponendo
solamente un atteggiamento di severità e di durezza verso se stessi, che non contiene il diritto
di sbagliare. Anzi la situazione viene aggravata, perché ogni dovere che si chiede così
severamente verso se stessi, diventa poi un’aspettativa che si avrà verso gli altri.
Così, senza esserne consapevole, venivano fuori da tutti questi atteggiamenti alterati, segnali
di paura, di sfiducia in me stessa, di senso di colpa e di rabbia repressa. Il senso del dovere
costituiva per le persone come me, l’occasione di scaricare molta rabbia verso me stessa,
esternandola anche in forma di auto- punizione.
“Il sistema non ammette doveri, ma considera solo la responsabilità del singolo e le sue
conseguenze. Ugualmente non concepisce il principio di colpa, essendo essa la negazione di
ogni rapporto responsabile.” ( 5.11 Gramm. Dell’Essere)
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LE MIE PAURE
“La paura costituisce da sempre la resistenza
più forte ed efficace,poiché tiene l’uomo
lontano da argomenti o prese di coscienza
scomode. Accettare e approvare ciò che si è ,
senza porre resistenza attraverso la propria
critica e giudizio, costituisce uno dei
presupposti indispensabili per tale condizione.”
(2. 18 Gramm. Dell’Essere)
Ho sempre pensato che la rabbia fosse l’indicatore empirico principale della mia personalità,
anche perché ormai mi precedeva nelle azioni e reazioni. Invece, non avevo nessuna
consapevolezza che tutta la mia vita fosse dominata dalla paura.
Solo dopo anni di questo cammino sto prendendo atto che la paura è il tema centrale della mia
esistenza e che il mio non è altro che un lento cammino per uscire dal dominio di questa.
Alla base di tutte le paure c’è quella dell’abbandono e della solitudine, ma non sono da meno
quella dell’inadeguatezza, la paura di espormi e affermare me stessa e la mia creatività, la
paura del rifiuto, della colpa e della perdita della considerazione, la paura delle critiche e dei
giudizi, la paura del successo e del fallimento, quella del confronto e di manifestare la mia
rabbia, quella di perdere il controllo e, non meno importante, quella di entrare in intimità con
gli altri.
Oltre alle paure inespresse dei miei genitori, si sono aggiunte quelle trasmesse dagli insegnanti
e dalle figure religiose come tabù morali. Infine i timori attinti dalle paure collettive che
ereditiamo con la nostra cultura (guerre e distruzione dell’ambiente) e ancora più profonde di
queste sono le paure esistenziali connesse con il tabù empirico legato alla morte.
Indipendentemente da quante se ne manifestino di tanto in tanto, alcune sono predominanti,
come quella dell’abbandono e della solitudine, del sentirsi ignorati, dell’inadeguatezza, della
sfiducia, delle critiche e dei giudizi e del senso della vergogna. Solo di recente ho riconosciuto
quanto fossero profonde le mie paure e quanto lo fossero sempre state, ma il mio
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atteggiamento era quello di considerarle come un ostacolo da superare, altrimenti avrebbero
limitato la mia vita e fatto di me una fallita. Ho usato la mia forza di volontà e la mia
determinazione per spingermi oltre, ma niente di tutto questo mi ha aiutata ad entrare un po’
più in intimità con me stessa. Stavo scappando dalle mie paure, invece di chiedermi cosa le
aveva procurate, che cosa si nascondeva dietro di esse ed accettarle per quello che sono!
Questa separazione era evidente nelle relazioni affettive, dove venivo in contatto con le mie
paure più profonde : la paura dell’amore, della fiducia, della vulnerabilità, dello smarrimento e
dell’intimità, che mi mettevano in contatto subito con il dolore che c’era sotto e che attivavano
tutte le mie strategie di difesa. Così ho sviluppato uno stile di vita costruito sulle
compensazioni alle mie paure, cercando di sostituire l’amore, ormai irraggiungibile, con valori
diversi, subendo l’attrazione dell’ombra, della chiusura, della separazione, illudendomi che il
mio individualismo mi aiutasse a distinguermi e ad affermarmi. Nella giovinezza mi tenevo
impegnata nello studio dando molta importanza alla mente. Socializzavo con le amiche, ma
non riuscivo ad entrare in intimità con i ragazzi. Mi sforzavo in continuazione di migliorare me
stessa, correvo da un interesse all’altro, ero sempre in cerca di approvazione e tutto per
evitare di sentire la paura e il vuoto interiore. Non conoscevo altro modo di vivere e pensavo
che quello fosse ciò che la vita aveva da offrirmi. Solo ora comincio a riconoscere di aver
attuato uno stato di “anestesia emozionale”, necessaria per far fronte alla vita di tutti i giorni e
sfuggire alla paura del dolore dovuto alla mancanza d’amore e per proteggere un bambino
interiore terrorizzato dall’abbandono e dal rifiuto. Non ero minimamente consapevole di tutte
le possibilità che mi venivano vietate dai miei stessi condizionamenti e che ora conosco come
auto-boicottaggi. Mi limitavo a seguire la mia strada, alla ricerca disperata dell’amore,
cercando di realizzarmi nel campo del lavoro, di inserirmi in un contesto sociale , culturale
come meglio potevo.
Restavo allibita dai fallimenti che collezionavo nella mia vita affettiva, specie di coppia, e mi
rendevo conto che non ne conoscevo le regole, che era un terreno sconosciuto e
incontrollabile. Non sapevo che era proprio la mia ombra ad attirare i partner e che non ero in
contatto con i principi del mio codice Yin. Così, dopo molti insuccessi affettivi e dopo
l’avvenimento di fatti che hanno segnato per sempre la mia vita, che non avrei mai pensato di
poter attuare, dalla ricerca del successo la mia attenzione si è andata gradualmente spostando
verso la ricerca della verità e della conoscenza interiore.
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LA PAURA IN CHIAVE SISTEMICA
“In chiave sistemica si tratta solo di scelte di paura da parte di
chi ha la consapevolezza angosciosa di non meritare l’amore.
Persone queste che a una analisi più approfondita si
dimostrano come portatrici di un debito ingente. Più
esattamente si tratta di un debito di base, acquisito da piccoli e
sempre per una qualità d’amore non sufficiente. L’ombra,
infatti, si instaura come moto principale perché la persona
tiene lontana l’amore, costringendo se stessa a sostituirlo con
valori personalizzati.
(3.10 Gramm. Dell’Essere)
Solo l’incontro con l’Approccio Empirico della Grammatica dell’Essere mi ha fatto apprendere,
per la prima volta, una più profonda comprensione di me stessa e del dolore che trattenevo.
Questo cammino di crescita, mi ha aiutata a scoprire, partendo dalla mia infanzia, dalla mia
famiglia e dai miei genitori, il motivo del congelamento delle mie emozioni. Rivelandomi che è
il “debito empirico di base”, dovuto all’eredità del debito non estinto della “stirpe”, (acquisita
dai miei genitori), che ha creato la loro incapacità di passarmi una qualità d’amore sufficiente e
che questo “dolore per non essere stata amata” o “debito” ha condizionato il mio modo di fare
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e di essere. Così ogni debito corrisponde a un dolore non evaso (non accettato e non vissuto)
ed è la paura di quel dolore che tiene lontano ciascuno dal proprio arretrato, preferendo
entrare nel ruolo della vittima, dando la colpa agli altri, pur di non percepire le proprie
responsabilità e non affrontare il senso di colpa, da esso derivato, continuando, così, a
rafforzare la paura, che è uno degli indicatori empirici più potenti, alla base di ogni strategia di
chiusura. Ho appreso, inoltre, che esiste al di fuori di me un “ordine empirico universale e
armonico” che contiene e regola “tutto ciò che è “, che non giudica e non colpevolizza, ma
segnala, a fin di bene, con gli ”indicatori empirici” del benessere (o strategie d’apertura) o del
malessere (strategie di chiusura) ogni infrazione con l’ordine, perché la persona possa porvi
rimedio. Ho imparato che, solo quando la persona è allineata con l’ordine armonico, possiede
un livello del proprio “sentire” che corrisponde alla carica oggettiva che ogni situazione
prevede, senza la prevalenza di un particolare ambito emotivo e sperimenta uno stato di
chiarezza, di pace, di equilibrio interiore, di armonia, che corrisponde all’amore. Tutto cambia
di fronte ad un debito empirico arretrato e che persiste nel tempo, dove si perde la propria
libertà e autenticità e si entra in moti compulsivi e obbligati. Ci si allontana dal libero fluire,
senza esserne consapevoli, seguendo aspettative, ambizioni, desideri e valori contro sistemici
acquisiti dalla nostra coscienza personale. Inoltre aumenta lo squilibrio tra il moto del dare e
quello del ricevere, che è sempre alla base di ogni disordine empirico. Ogni stimolo
proveniente dal mondo esterno, viene deviato dall’indicatore empirico della paura o della
rabbia presente in ciascuno, in base al quale egli perde il contatto con la realtà empirica e con
la carica insita in ogni situazione. Le risposte sono condizionate da un modo di sentire
obbligato che porta sempre verso un moto preferenziale (o paura o rabbia, troppo o troppo
poco) a prescindere dalla situazione reale che affronta. Diventa “ l’inconsapevolezza dell’agire”
la vera ragione di ogni coazione disarmonica, perchè non si tratta di azioni calcolate o cattive,
ma di automatismi inconsci acquisiti, di strategie di difesa dovute alla legge della
compensazione che l’ordine mette in atto,anche senza il nostro permesso, per riequilibrare il
nostro sentire alterato, per la nostra salvaguardia. Il più delle volte, non avendo mai
conosciuto una condizione diversa, consideriamo gli atteggiamenti che ci accompagnano come
naturali, innati o facenti parte del nostro carattere, come espressione della nostra personalità
e quindi irremovibili. Soltanto quando arriviamo a dei fatti o atteggiamenti che stanno
compromettendo l’andamento della nostra vita, iniziamo a porci delle domande e a vedere
queste tendenze come alterate e devianti. Sino a quel momento evitiamo ogni presa di
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coscienza, perché ci potrebbe mettere di fronte alle nostre responsabilità non evase,
presentandoci un conto gravoso sul debito empirico accumulato.
Ogni debito appartiene alla parte ombra della persona e si specializza in questo campo.
Quando le strategie seguite sono di tipo disarmonico, sono sempre strategie di chiusura
(contrarie alle dinamiche dell’ordine che sono di apertura) e si rifanno tutte al comune
denominatore della “paura”, legate alla parte ombra della persona. Questa paura costituisce
l’indicatore sistemico di base per ogni strategia di chiusura ed è sostenuta dalle credenze, dalle
convinzioni, dai tabù, dai limiti morali acquisiti nell’infanzia, dall’educazione e dalla società. Gli
stessi convincimenti, trasformati, poi, in una serie di preconcetti che non bisogna mai fidarsi di
nessuno,… che il mondo è pericoloso,… che gli uomini non valgono niente,… che la situazione
della donna è molto pesante,… che bisogna cavarsela da soli,… che nessuno ci capisce,… che
nessuno ci amerà mai,… che la vita è solo dolore e disperazione…, diventano convinzioni
personali profonde, che la mente sostiene con ragionamenti che portano alla loro convalida,
cercando solo conferme in ogni situazione per questo sentire. La paura, inoltre, favorisce
l’instaurarsi di atteggiamenti di diffidenza, di incapacità a potersi affidare, di mancanza di
fiducia, di assoluta necessità di controllo, a discapito della spontaneità e della autenticità.
Questo debito empirico sempre più grave, cambia anche il “sentire” della persona, che, non
essendo più in contatto con la carica oggettiva e reale di ogni situazione, si mette al servizio di
queste strategie di chiusura. Così ogni episodio, in grado di smentire le proprie convinzioni,
viene allontanato dalla propria visione, in modo che le strategie di chiusura possano auto-
confermarsi.(es. discorso agli studenti che omettevano il tema più “caldo”). Così, la mente, le
emozioni(il sentire) e la coscienza personale agiscono insieme e d’accordo per nascondere e
camuffare il debito empirico che sta alla base di ogni strategia di chiusura.
Tutti i ruoli alterati, anche quelli Yang dominati dalla rabbia, hanno sotto questa, come
comune denominatore la paura, il senso dell’inadeguatezza e il senso di colpa. La rabbia
costituisce sempre una copertura alla paura di affrontare il proprio dolore non evaso.
Nella vita affettiva e di coppia, queste strategie negative basate sulla paura sono molto
evidenti e spesso invalidano il rapporto. La vita di coppia, poi, invece che alleggerire, aggrava lo
stato di debito di ciascuno dei suoi componenti, ingrandendo col tempo la loro parte ombra.
Così, tutte le espressioni della paura: l’insicurezza, l’inadeguatezza, i bisogni non risolti
dell’infanzia, la mancanza del senso del merito, la mancanza di autostima, le aspettative non
risolte verso se stessi e verso gli altri, logorano la vita di coppia. Se poi è basata solo su rapporti
di dipendenza, di atteggiamenti possessivi e di gelosia, di pretese di avere le cure non ricevute
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da un genitore, di poca fiducia nell’altro sesso e nel mondo, tutto ciò crea insofferenza e
incomprensioni e la coppia non può reggere a lungo. Inoltre, nei ruoli alterati, ciascuno
dimostra di non essere ancora nel ruolo empirico dell’uomo e della donna adulta, del grande,
presupposto indispensabile per sostenere l’andamento della coppia in maniera attiva e farla
durare nel tempo.
Le scelte di paura, oltre a non permettere l’instaurarsi di un rapporto d’amore e di coppia vero,
determinano le scelte e l’andamento della vita affettiva, prediligendo soltanto partner affini
con il proprio debito(attrazione dell’ombra), cioè simili nelle proprie strategie di chiusura e di
paura.
Inoltre, ogni sensazione di paura, d’inadeguatezza, di mancanza di merito, genera (per
compensazione) rabbia, ma ogni espressione di rabbia genera paura, che per non essere
sentita ha bisogno di attuare una anestesia sensoriale ed emotiva.
Così, il senso del dovere è segno di scelte di paura, perché nega il libero arbitrio. Anche l’essere
perfezionista, pignolo, efficiente, sono sempre generati dalla paura, come il senso di colpa, ma
che contemporaneamente creano rabbia, come una reazione a catena. È sempre il ruolo
apparentemente più sottomesso (con l’indicatore attivo della paura), che sente la carica
rabbiosa in modo più consistente e che col tempo fa acquisire a questa una forza maggiore ,
sia nelle manifestazioni esteriori che in quelle interiori. In genere si tratta del ruolo della
vittima, dove la rabbia è l’indicatore passivo e può avanzare, inizialmente, in maniera
silenziosa e nascosta fino ad avere il sopravvento e diventare dominante. Nello stesso tempo
anche il gruppo alterato con l’eccesso Yang, è costretto ad affrontare il suo indicatore passivo
che è quello della paura e dell’inadeguatezza, sotto forma di ansia.
Tutto questo disegno empirico che riguarda l’uomo: il “debito di base” che non dipende da lui,
questa discordanza ,non volontaria, tra la coscienza personale e quella empirica, gli
autoboicottaggi, le coazioni disarmoniche, l’inconsapevolezza dell’agire, le compensazioni che
l’ordine attua da solo, tutto può far sembrare che ci sia un destino già stabilito e che l’uomo
non sia padrone della propria vita.
Solo se riusciamo a riconoscere un disegno più grande, riusciamo a vedere la vera ragione del
nostro essere su questa terra. Esso è un disegno spirituale, dove il riscatto del nostro debito,
corrisponde alla meta più profonda dell’uomo, come una “prova”, che si può accettare o no,
ma dalla quale dipende la nostra evoluzione personale, la nostra crescita, il ricongiungerci con
l’Amore che è l’essenza della nostra Anima e l’espressione dello stesso Ordine empirico.
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L’ABBANDONO
“Infatti, quando l’anima è costretta a sopportare
un grande dolore, solitamente per un moto
d’amore interrotto, si chiude in se stessa e
abbandona il fluire armonico. Una chiusura
questa che provoca l’interruzione di ogni
collegamento con l’amore, documentando
l’allontanamento dal libero fluire.”
(3.13,Gramm. Dell’Essere )
Non è necessario che l’abbandono sia reale per sentirsi abbandonati. Anche un abbandono
simbolico, come avere un genitore che non riesce a dimostrare affetto, come era mio padre
nei miei confronti, ed una madre che lo dimostra in modo ansioso, può avere lo stesso genere
di impatto emotivo. Il fatto poi che io avessi l’impressione che non mi “vedessero”, mi ha fatto
sentire rifiutata e abbandonata. Purtroppo, avendo conosciuto solo questa realtà, le mie
sensazioni di paura, di inadeguatezza e di disagio le consideravo “normali”. Pensavo che tutti i
genitori, specie i padri fossero così: che fosse necessario rispettarli, ma con un reverenziale
timore e che non dovessero dimostrare mai sentimenti o gesti affettuosi verso i figli. A questa
situazione si è aggiunto l’atteggiamento di mia madre che, pur essendo sempre presente, era
perennemente preoccupata ed ansiosa per l’andamento della famiglia. All’inizio
dell’adolescenza, però, quando sono stata messa in collegio, ho avvertito anche da parte sua
un atteggiamento di abbandono e di tradimento. Questo è avvenuto quando in famiglia si è
deciso di farmi continuare gli studi e non essendoci nel mio paese né le scuole secondarie né
quelle superiori, si optò per un collegio in città. Ne fui informata e diedi il mio consenso. Seguì
un periodo nel quale io fui al centro dell’attenzione della mia famiglia, specie nei preparativi
del “corredo”, e addirittura, anche il vicinato partecipò a questo che allora era un evento: ne
fui meravigliata e felice. Arrivato il giorno della partenza, i miei genitori mi accompagnarono in
questo istituto e mi consegnarono alle suore, dicendo che potevo iniziare ad andare in aula,
mentre loro sbrigavano le pratiche in segreteria e che ci saremmo visti dopo le lezioni per
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salutarci. Quando tornai dalla scuola non li trovai e questo mi provocò una specie di choc, non
riuscendo a capire come mai non si fossero trattenuti per salutarmi. Li avrei rivisti dopo
qualche mese, ma la mancanza di quel rito del saluto, specie da parte di mia madre, mi ha
frastornato, meravigliato e ferito. Ho iniziato a provare una grande delusione, un senso di
abbandono profondo, un dolore crescente, un’angoscia che si è trasformata in un peso fisico al
petto che non mi lasciava respirare. La tristezza era così grande che trovavo conforto solo
nell’accucciarmi, in posizione fetale, dentro lo scompartimento di una libreria nello studio del
collegio .
Dopo mesi di tristezza e di angoscia, ricordo che un giorno ho avuto come una intuizione
luminosa e mi sono detta : ”Se io non li amo più, non posso soffrire…,basta smettere di
amarli!” Ricordo che, dopo aver fatto questo ragionamento, il dolore si è attenuato, l’angoscia
ha allentato la sua morsa e pur conservando una grande tristezza ed una profonda solitudine
mi sono sentita risollevata e sono riuscita, da quel momento in poi, a condurre una vita
normale.
Da quel momento, però, io non ho più provato amore per i miei genitori e quando li ricordavo,
non riuscivo più a vedere il loro volto, erano senza viso!
Imparato il trucco o meglio lo schema difensivo, credo di aver incluso pian piano, tutte le
persone che potevano ferirmi e tutte quelle che, nel proseguo della vita, diventavano
importanti affettivamente e che, secondo me, mi potevano tradire o abbandonare. Credo che
questa decisione sia diventata uno schema difensivo disarmonico che abbia condizionato i miei
rapporti affettivi più importanti, specie quelli di coppia e che tuttora scatta a livello inconscio
anche quando non c’è un pericolo effettivo e reale. È come se la mia bambina interiore ferita,
benché porti con sé un grande senso di solitudine e di disperazione, per poter sopravvivere,
abbia attivato una completa “anestesia emotiva”, necessaria per non sentire il dolore, aiutata,
anche, dalle convinzioni della coscienza personale, ma che da quel momento, però, le abbia
impedito anche di sentire l’amore, escludendola dal libero fluire della vita. Infatti, da quel
momento credo di non essere più riuscita ad amare veramente né me stessa né gli altri. Ho
cercato, poi, di coprire questa mancanza d’amore, dedicandomi in altri campi all’auto
realizzazione, pur di riempire i miei buchi emotivi insaziabili, attraverso emozioni di tutti i
generi.
“La persona si dissocia dai valori veri dell’ordine e comincia a vivere un vero e proprio affanno
d’amore , ma ormai è scollegata da ogni possibilità di percepire l’amore, nonostante il grande e
disperato bisogno della persona.“ (3.11Gr. dell’Ess.)
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Non sentivo più la carica oggettiva di ogni situazione e le mie reazioni erano sempre al di fuori
del contesto e delle sue necessità reali, creandomi insoddisfazione, frustrazione e solitudine,
facendo sorgere contemporaneamente senso di ingiustizia e di rabbia. Questo fatto dell’essere
andata in collegio, non può essere la causa scatenante per il sorgere di questa sindrome di
abbandono così esagerata,ma è stato soltanto una circostanza che l’ha fatta venire fuori,
perché c’era già alla base e le cause sono molteplici e più profonde, anche se si possono
sempre sintetizzare in un solo diritto infranto: quello del bambino di non essere stato amato
con una qualità d’amore sufficiente. Come ogni figlia, ho assimilato questa eredità empirica
alterata, l’ho integrata nella mia vita e ne sono diventata la rappresentante, interpretando un
ruolo empirico alterato, lontano dalle qualità del mio codice Yin. In questo modo è come se
fossi stata orfana di entrambi i genitori, non potendo apprendere né il potere Yin da mia
madre, né la forza Yang da mio padre.
Questa situazione ha influenzato l’intero mio assetto psico-emotivo, mi ha portato ad attuare
delle coazioni disarmoniche e fatto crescere il mio debito empirico, con la conseguente
estromissione dal libero fluire e dall’amore. Ciò mi ha fatto sentire, nella vita di tutti i giorni,
senza appoggio, senza sostegno, abbandonata, piena di paure, alla continua ricerca dell’amore,
per colmare un vuoto interiore terribile. Questo stato d’animo si è poi riflesso nei rapporti
affettivi di coppia creando dei rapporti di dipendenza e, poi, di antidipendenza. Questo lavoro
di crescita personale, mi ha aiutato a vedere come la paura dell’abbandono, anche
inconsapevole, possa contaminare tutte relazioni intime. Ora riesco ad avere chiaro che il mio
modo di pormi in una relazione era, ed è, guidato dalla paura del rifiuto. Sotto, sotto, sono
terrorizzata dall’idea di aprirmi, di essere respinta, di essere vista, di espormi e di amare. Solo
di recente riesco ad ammettere che le mie relazioni sono fatte di fughe, di drammi, di conflitti
per non sentire il dolore dell’abbandono.
Ora che incomincio a prendere consapevolezza di ciò, posso vedere quanto fossi isolata e
terrorizzata dall’idea di aprirmi e di lasciarmi veramente avvicinare e contemporaneamente,
come fossi alla ricerca disperata dell’amore.
In fondo tutti noi abbiamo fame d’amore.
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LA SOLITUDINE
“Il senso di esistere, di meritare , di avere un posto in
questo mondo dipende dall’amore e dalla qualità
d’amore che abbiamo ricevuto da piccoli, poiché amare
ed essere amati equivale ad esistere. Se questo non
succede o se la qualità d’amore è insufficiente, procura
un dolore (debito di base ) che influenzerà la sua vita e
farà scelte di paura, perché avrà la consapevolezza
angosciosa di non meritare l’amore.”
( 3.12, Gramm. Dell’essere)
A malincuore è necessario ammettere che ancora adesso sono condizionata dalla paura
dell’abbandono e che questa provoca sempre una sensazione tremenda di solitudine. Di
conseguenza ho atteggiamenti di diffidenza e di chiusura verso tutti. Sono così chiusa e
solitaria che, forse, non sono mai veramente in contatto né con gli altri, né con me stessa.
Quando qualcuno o qualche situazione provano a penetrare questa corazza di isolamento,
provo insofferenza. È come se volessi decidere io chi incontrare, dove e quando. Quali
situazioni affrontare e quali sensazioni provare. La verità è che mi piacerebbe avere tutto sotto
controllo per paura di aprirmi e affidarmi agli altri e così rischiare di essere ferita. Visti poi i
tentativi deludenti, avuti nel cercare di instaurare relazioni affettive di coppia, è come se avessi
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deciso di arrendermi, di chiudermi in un bozzolo protetto, senza manifestare quasi mai la mia
energia, senza sentirmi vitale, senza sentirmi partecipe e protagonista della mia vita, ma
restando solo spettatrice, facendo la vittima. Con il risultato di sprofondare, sempre più,
nell’insoddisfazione, nella tristezza e nella noia , forse anche nella depressione, ma facendo
crescere, di sicuro, tanta rabbia.
Anche se nel profondo mi sono sentita isolata e solitaria, specie nell’adolescenza, pur di non
averne conferma mi isolavo ancora di più e mi illudevo che questa fosse una mia scelta ,
perché: ”Ero capace di stare da sola !”
Senza vedere che tutti questi atteggiamenti mi portavano ad una tristezza sempre più
profonda e cosa ancora più grave, aggravavano il mio debito, mi allontanavano dal libero fluire
e dall’amore, espandendo il mio lato ombra, e mettendomi in contatto solo con il dolore altrui
e tutto ciò in maniera inconsapevole.
Ricordo che un giorno mentre girovagavo in un mercatino rionale, mi colpì una spilla con la
scritta: “ Sono sola! ”.
Provai un’attrazione irresistibile, la comprai e me la misi al petto . Era una verità che sapevo
solo io , le altre persone, di sicuro, non ci avrebbero badato. Pensai: ” Non mi vedono
normalmente e non mi vedranno con una spilla in più !”.
Ero convinta di fare questo gesto solo per me. Se poi qualche persona l’avesse notata,
pensavo alle donne e non agli uomini, avrebbero potuto pensare : ”Come la capisco!”.
Passai così un’ intera giornata con la spilla addosso.
Quando rientrai nel pensionato studentesco nel quale mi trovavo, venni subito avvicinata
dalla suora responsabile che mi chiese, con severità: “ Togli subito quella spilla, perché è
indecente che una ragazza per bene si offra così apertamente agli uomini…!”, con grandi risate
delle altre ragazze che avevano assistito alla scena.
Ci rimasi molto male e penso ora, che in fondo, l’addobbarmi con quella spilla, fosse solo un
grido della “ mia bambina abbandonata”, un modo per essere vista. Nessuno, però, aveva
capito questo grido ed il fatto che fosse stato preso come un richiamo per l’altro sesso, mi ferì,
mi fece sentire goffa, inadeguata ed ancora più sola.
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IL SENSO DI INADEGUATEZZA
“Una delle percezioni più tangibili di questo concetto è dato
dalla sua mancanza di Autostima. Anche l’io integrata tende
più verso l’Io ipotrofico piuttosto che verso un Ego Eccessivo,
anche se si tratta soltanto di “punte” Emotive e non della
maniera di affrontare la vita Day- by- day.”
(8.3.2 Gramm. Dell’essere)
Alla base delle mie convinzioni negative c’è sempre stata una sensazione di disagio, di non
accettazione di me stessa, d’inadeguatezza e di “ non essere degna d’amore.”
Infatti, ogni volta che mi guardo allo specchio, il primo atteggiamento che mi viene spontaneo
è di critica e di giudizio: ”Non sono attraente!”, ”Sono insignificante…!”, “Nessuno mi amerà
mai!”. Come se ci fosse la sensazione di essere in qualche modo imperfetta, difettosa, sia
fisicamente che moralmente. Naturalmente il mio giudizio mi rende insicura, impacciata,
vulnerabile e permalosa. Se poi il giudizio degli altri tocca questi punti deboli, il disagio,
l’inadeguatezza e la vergogna si espandono fino a distruggere tutta la mia energia e non so che
cosa dire e che cosa fare.
La sensazione di essere inadeguata penso venga instillata dall’ambiente familiare e sociale nel
quale si cresce, ma specialmente dalla madre, che è la rappresentante del proprio sesso.
Quando questa eredità è alterata, si acquista il “debito di base”, che col tempo è destinato a
crescere e questo degrado si manifesta con la “metamorfosi empirica”. Anche se da parte di
mia madre, nessun messaggio è mai arrivato apertamente, è bastato magari un tono della
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voce, un sopracciglio inarcato, espressioni non verbali, atteggiamenti di severità e di
inadeguatezza che mia madre ha avuto verso se stessa, per condizionarmi e per creare delle
convinzioni alterate, che hanno innescato atteggiamenti o coazioni disarmoniche che hanno
peggiorato la situazione iniziale, aggiungendo debito a quello già esistente. Sta di fatto, che
questo atteggiamento disarmonico si è instaurato in me così profondamente, che si è poi
presentato in ogni relazione. Esso ha condizionato ogni mia manifestazione vitale, facendomi
sentire sempre incapace, vulnerabile e ansiosa. Quando questo schema alterato si presenta, mi
fa pensare che il difetto sia veramente nel mio profondo e quando voglio raggiungere un
traguardo per me importante, sento una voce che mi ripete che non ne sono capace, che non
ci riuscirò e se il traguardo è in campo affettivo, allora mi ripeto :”Se veramente qualcuno mi
conoscerà, di certo non gli piacerò!”. Non sapendo che queste sono premonizioni che si
avverano, perché vado in giro con questa energia negativa, chiedendo agli altri di
accontentarmi. Dentro di me credo di essermi arresa, abbattendomi e accettando come vere
queste convinzioni fino a perdere l’autostima e la fiducia in me stessa. Certo, questo è fare la
vittima, non sentendomi responsabile degli atteggiamenti che assumo di fronte a ciò che la
vita mi offre, concentrata solo su me stessa e tormentata da queste spiacevoli sensazioni,
come dentro una bolla, prigioniera di queste emozioni.
Ho cercato tutte le possibili compensazioni, ma queste ferite sono pronte a riaffiorare ogni
volta che ho un apprezzamento poco gentile, che ho un rifiuto dalle persone care e
specialmente se mi trovo di fronte a un tradimento o alla perdita di una amicizia. La mia
autostima è così labile, che basta un soffio perché vada in pezzi.
Quando in uno dei seminari ho fatto l’esperienza di guardarmi allo specchio e di parlare con la
mia “bambina interiore”, ho trovato molta difficoltà. Ogni volta che le dicevo: ”Io ti amo!”,
scoppiavo in una grande risata, come fosse una presa in giro, un modo ironico o un gioco, ma
non una cosa vera e seria. Per me accettarmi così come sono è faticoso e doloroso.
Nell’adolescenza ho sofferto molto per non essere cresciuta in altezza, non mi piacevo
esteticamente e mi vedevo brutta e insignificante, diversa da mia sorella maggiore e da mia
madre, che erano alte e di bello aspetto. Così, unito a questo senso di inadeguatezza, ho
sentito anche un senso di impotenza nel cambiare questa realtà e questo ha fatto crescere la
rabbia. A parte il lato estetico, ho sempre avuto la sensazione sgradevole di non essere in
grado di esprimere me stessa, specie i lati positivi con spontaneità e autenticità , di non
riuscire a contrappormi agli altri con calma o con la giusta dose di rabbia. In realtà, essendo
solo in contatto con il mio lato ombra, la mie paure sono cresciute ed hanno invaso ogni
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campo, a discapito di quelle positive. Così, in maniera più o meno inconsapevole, ho messo in
atto atteggiamenti o “coazioni a ripetere” che hanno influenzato e rovinato le sfere più
importanti della mia vita: l’auto-affermazione, la mia creatività, la mia affettività, la mia
sessualità e l’autostima e fatto crescere la rabbia.
Anche il mettermi di fronte ad un foglio bianco per preparare questa tesi per conseguire il
counselor , mi ha fatto provare un grande senso di inadeguatezza e nel sottofondo c’è stato un
pensiero ricorrente: ”Non ce la farò mai! Non ne sono capace!” Inoltre, questa sensazione
spiacevole di scoraggiamento e di sfiducia in me stessa mi fa sentire una grande tristezza e
solitudine. Tutto ciò mi ha portato a riconsiderare i momenti più importanti della mia vita ed
ora con più consapevolezza riesco a vedere che questo stato di malessere sono i sintomi che
gli “indicatori empirici” hanno mandato per segnalare il mio arretrato empirico, perché prenda
consapevolezza del mio debito e decidere se rientrare o no nel flusso armonico. Riconoscere
che non sono mai cresciuta, che ho fatto sempre la vittima e non sono mai stata in grado di
assumermi le responsabilità delle mie azioni, è molto pesante e doloroso da ammettere. In
fondo, c’è sempre stata una dissociazione tra il pensare e il fare, tra la mente e il corpo, tra il
capire e il sentire. Riesco a capire chiaramente che sarebbe meglio essere aperti, positivi e
vitali, possedere i principi del mio codice Yin e vivere intensamente la propria vita accettando
ciò che offre, ma non lo so fare, nella pratica quotidiana non ci riesco.
Lo voglio intensamente, me lo propongo tutti i giorni, ma la mia volontà non conta, è come se
si sciogliesse e mi ritrovo al punto di prima, anzi peggio, aggiungendo giudizi e denigrando me
stessa per un altro fallimento. Non basta il volere quando si è anestetizzati e si è perso la
capacità sensoriale, cioè quella di sentire la carica giusta che è inserita in ogni azione e
reazione e che è in armonia con quella richiesta dal nostro codice empirico, che corrisponde
con quella dell’ordine armonico.
Si avvera, così, ciò che sostiene il prof. Michel Hardy nella Grammatica dell’Essere : ”Soltanto
la consapevolezza del proprio debito equivale a una presa di responsabilità reale, equivalendo
a un risveglio dopo aver “dormito” per una intera vita”(4.9)
Con questo lavoro di crescita personale, sto cercando a fatica di tralasciare i giudizi verso me
stessa, verso gli altri e di analizzare i meccanismi che la mente impone, pur di entrare dentro
me stessa, per osservare come sono realmente e accettare ciò che è, ciò che è successo e che
non si può più cambiare, cercando di provare comprensione e compassione per le parti di me
che non mi piacciono e cosa più importante provare a “ sentire” il dolore che c’è dietro questa
completa negazione di me stessa .
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SENTIRSI IGNORATI E IL DISAGIO
“Ogni percezione di disagio evidenzia l’appartenenza a un ordine
disarmonico, ossia all’ombra. Il disagio nasconde sempre strategie di
chiusura,ossia strategie vitali basate sulla paura e i suoi effetti più
tangibili. Sono suoi segni di riconoscimento la sfiducia, il controllo, il
rifiuto della corporeità, l’incapacità di affidarsi e la mancanza di
spontaneità.
(3.18 Gramm. Dell’Essere)
Una sensazione negativa profonda, che ho provato nella mia infanzia, è stata quella di sentirmi
ignorata, “non vista”, e di non ricevere abbastanza amore e attenzione (specie da mio padre ).
Per superare questo senso di disagio e di sofferenza, ho attuato delle strategie di difesa, delle
compensazioni. La mia mente, pur di trovare delle soluzioni, mi ha fatto acquisire delle
convinzioni non veritiere, che la mia coscienza personale, però, ho considerato come verità
assolute e oggettive e che hanno influenzato gli atteggiamenti che ho assunto in tutti gli ambiti
vitali, specie nel rapportarmi con gli altri e in particolar modo in quelli di coppia.
Le conclusioni alle quali sono arrivata sono state : “ è necessario cavarmela da sola…!”, “
Quando chiederò non ci sarà nessuno che mi starà ad ascoltare..! ”, “ Non c’è tempo per
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me…!”, ” Non voglio disturbare !”. Mi sono resa conto che ogni convinzione o schema che ho
adottato ha dietro una carica emotiva molto forte. Ancora adesso, quando queste convinzioni
dominano i miei comportamenti, i sentimenti e le emozioni che provo sono quelle provate
nella mia infanzia, quando si è instaurato lo schema. Esse sono di disagio, di una immensa
tristezza e di solitudine, di autocritica, di distacco emotivo, di chiusura, ma anche di
risentimento e di rabbia, per il fatto che i miei bisogni vengano ignorati. Questi schemi emotivi
alterati e autodistruttivi nel confronto di me stessa e del mondo, quando si attivano, hanno
come delle lenti deformanti sulla realtà oggettiva e portano a confondere l’apparenza delle
cose con la realtà, creando reazioni eccessive e mai risposte oggettive, appropriate alle
circostanze reali , obiettive. Tali schemi mentali mi hanno accompagnato dall’infanzia fino
all’età adulta e mi hanno reso molto difficile chiedere ciò che voglio alle persone care, nei
rapporti di coppia, nelle amicizie e nel rapportarmi con la società. Quando si tratta di portare
fuori e di esprimere i miei bisogni emotivi, mi sento insicura e molto vulnerabile. Forse non li
ho neanche ben chiari, non avendo mai preso in considerazione che potessi manifestarli e
chiedere che venissero esauditi. Senz’ altro, questa percezione alterata della realtà, ha origine
nell’infanzia dall’atteggiamento dei miei genitori, dall’amore mancato e dalla sana
affermazione e manifestazione del mio IO. Mio padre era così concentrato sul lavoro e
preoccupato del mantenimento di una famiglia numerosa (7 figli), che avevo l’impressione che
non ci fosse mai tempo per me e che se mi fossi fatta avanti avrei disturbato. Mia madre,
sempre presente, ma così riservata e chiusa che non ha mai espresso, neanche per scherzo,
una sua esigenza personale, né emotiva, né affettiva o sociale, mi ha passato l’insegnamento
che le emozioni personali sono private e che ognuno se le gestisce da solo e quando sono
troppo pesanti , le accetta lo stesso , perché “Ognuno ha la sua croce da portare!”.
Di conseguenza ho appreso che era necessario che ognuno se la cavasse da solo e che non era
bene esprimere le proprie esigenze e i propri bisogni. Questi insegnamenti familiari mi hanno
portato ad acquisire dei comportamenti di deprivazione emotiva, che ancora adesso metto in
atto ad ogni segno di trascuratezza che mi arriva dall’ambiente esterno (vera o presunta che
sia..) e sono ipersensibile ad ogni segno di freddezza o di chiusura da parte di qualcuno, specie
se ne sono legata affettivamente.
Con questo cammino di crescita personale, è stato necessario ammettere che il senso di
deprivazione emotiva è stato per me una questione di vitale importanza, che ha condizionato
pesantemente la mia vita affettiva e che ancora adesso non è stato superato. Infatti, questo
schema di disagio, specialmente quando mi trovo a contatto con l’energia maschile, è venuto
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fuori chiaramente di recente in un seminario condotto da due docenti ( Prof. Michel Hardy e
Prof. Massimo Ciccolini), nel quale io facevo in co-docenza “l’angelo” (solitario perché, per
caso, mi sono trovata da sola ad interagire con due uomini ).
Questi professori che hanno accompagnato il mio cammino di crescita, che conosco e che
apprezzo, in quella circostanza e secondo la mia percezione alterata della realtà, erano così
impegnati ed interessati a collaborare e a confrontarsi fra loro, che ho avuto l’impressione di
essere fuori posto, di essere inadeguata, che non mi venisse concessa attenzione e tempo. Di
colpo ero regredita a pochi anni di vita e loro rappresentavano mio padre e mio fratello che
parlavano di lavoro, di affari, di cose da grandi e non c’era spazio per me.
La sensazione di solitudine che provavo era così dolorosa e famigliare che mi riportava a tutta
l’infanzia nella quale avevo sentito la stesse emozioni. Ero così a disagio che non sapevo più
quale era il mio posto, cosa fare e cosa dire, togliendomi la capacità di essere presente per gli
altri, disponibile e partecipe del mio compito di sostegno come “angelo”. Per superare questo
disagio, un’altra parte di me, che faceva da spettatrice, riusciva a vedere la dissociazione nella
quale ero caduta e cercava di sdrammatizzare, cercando di convincermi che ero al sicuro, che
potevo avere fiducia nelle persone e invitandomi a provare ad integrare questi sentimenti,
ripetendomi: ”Accetta questo disagio…,stacci dentro! Non sei solo questo…!”. Per la verità è
successo che, per difendermi, mi sentivo chiusa dentro una bolla e come prima conseguenza
“ero diventata sorda”, quando parlavano con me non li sentivo e non li capivo. Ho passato in
questo stato angoscioso l’intero seminario, senza avere il coraggio di esporre i miei bisogni e le
mie emozioni. Solo nella condivisione finale, anche se poteva essere il momento meno
opportuno, sono riuscita, superando il senso di inadeguatezza, la paura dei giudizi e il senso di
colpa, ad esporre chiaramente questi sentimenti e ne sono uscita finalmente sollevata. Questa
era la prima volta che affrontavo il problema del mio disagio a contatto con l’energia maschile,
nel momento stesso che si verificava e con persone che sapevano ascoltare e capire.
Mi rendo conto, che è stata una grande occasione di consapevolezza, anche se la situazione
richiedeva altro. Per me è stato prezioso quanto è successo, perché mi ha fatto capire quanto
sussista ancora il problema del mio malessere e del mio disagio, e come venga fuori subito,
specie se a contatto con l’energia maschile, anche se amorevole e ben disposta nei miei
confronti, come quella che c’era nel seminario. Così ora non posso più fare finta di niente.
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LA PRESENZA DELL’IO NON APPAGATO
La presenza dell’Io, conosciuta anche come ego, ha possibilità
espressive illimitate nell’esistenza dell’uomo, essendo la spinta
fondamentale per ogni suo fare. L’energia che ne deriva si
rivela in ogni movimento, in ogni azione o pensiero, formando
la piattaforma del suo essere e dell’interazione con il mondo.
Una spinta empirica sana e vitale questa senza la quale il
singolo non potrebbe percepire il diritto naturale di
esistere e di meritare.
( 4. 14 , Gramm. Dell’Essere )
Essendo la più piccola di una famiglia numerosa ( sette figli più una zia che viveva con noi ),
non veniva chiesto il mio parere per nessuna decisione che riguardasse l’aspetto organizzativo,
economico e sociale della mia famiglia. Neanche nella quotidianità delle faccende domestiche
venivo coinvolta, perché c’erano quattro donne più grandi di me. Benché abbia sentito sempre
il sostegno di mia madre, l’affetto e il rispetto delle sorelle e della zia, mancava la presenza
delle figure maschili, perché i fratelli o studiavano fuori paese o lavoravano con mio padre e
rientravano solo qualche fine settimana.
Tra noi familiari non c’era l’abitudine di avere manifestazioni fisiche d’affetto, non le ho mai
viste neanche tra mio padre e mia madre, a parte nei saluti e nelle occasioni ufficiali. Non
c’erano neanche atteggiamenti di rimprovero o di punizioni pesanti , specie nei miei confronti.
In realtà la battaglie per gli orari, per l’abbigliamento e per il trucco, per i primi amori, le
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avevano già fatte le sorelle maggiori ed io non ho dovuto contrastare molto mia madre. Dico
mia madre, perché era lei che durante la settimana decideva e amministrava gli affari e
l’andamento della famiglia. Nell’ambito famigliare e sociale nel quale sono cresciuta, non c’era
l’abitudine di esprimere le proprie opinioni, le proprie esigenze, le proprie difficoltà o le
proprie emozioni, così non avendole conosciute né viste mai venir manifestate dagli altri,
specie dalle mie sorelle e da mia madre, neanche io le ho mai espresse o vissute apertamente.
Nell’adolescenza, quando avrei avuto bisogno di confrontarmi con i genitori e i famigliari, con
gli amici e i primi amori, non mi trovavo a vivere in casa perché ero in collegio, dove si studiava
solamente, non si usciva e non si frequentava nessuno. Con l’educazione ricevuta in famiglia e
in collegio, la mia unica preoccupazione era quella di fare la “brava bambina”, con
atteggiamenti passivi, di falsa modestia, di non creare problemi, sentendomi vittima, come se
mi avessero chiesto di astenermi dalla competizione e dalla sfida che la vita e la società
impongono, sentendo una specie di rassegnazione, di mancanza di spinta e di senso di merito.
Durante l’adolescenza, che ho vissuto malissimo, con grandi conflitti, avrei voluto tanto
confidarmi con qualcuno, ma nessuno sembrava avere questa esigenza, né in famiglia, né in
società, né a scuola, nessuno affrontava questioni riguardanti il mondo emotivo e le difficoltà
di crescere e diventare donna. A queste difficoltà si aggiungevano i problemi che avevo di
interagire con l’altro sesso, iniziando dalla mancata comunicazione con mio padre. Anche
quando non mi faceva paura, provavo un grande disagio solo nello stargli vicino. Non ricordo di
essere mai stata presa tra le sue braccia, sulle sue ginocchia, non ricordo un gesto affettuoso o
scherzoso nei miei confronti, neanche un contatto fisico. Mi sembrava di non essere “vista”,
considerata, come se non provasse interesse nei miei confronti. Più che autorevole, lo
percepivo autoritario e da lui non mi arrivavano segnali che mi davano forza, ordine e
protezione. Avendo provato queste sensazioni negative, si sono radicate le mie convinzioni di
disagio e di inadeguatezza sia nei miei che nei suoi riguardi e i miei rapporti con lui erano
inesistenti. Ricordo, potevo avere tre o quattro anni, un giorno che si inaugurava un grande
lavoro (mio padre faceva l’impresario edile) e tutta la famiglia l’aveva raggiunto. Proprio quel
giorno, durante la festa, all’improvviso mi vide e mi chiamò per salire su qualcosa da
inaugurare. Io, sotto choc e impaurita, mi avvicinai meccanicamente e salita sul podio, sul più
bello mi feci la pipì addosso, creando l’ilarità di tutti i presenti, il fastidio di mio padre,
l’apprensione di mia madre e il disagio mio personale.
Mi sembrava che in questo clima famigliare, il mio IO abbia appreso che non c’era il permesso
di manifestarsi, di avere un proprio posto e di sentire che la vita prevedeva anche per lui dei
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diritti e delle responsabilità. Ora comprendo che tutto ciò è dipeso dalla consegna famigliare,
dal debito di base. L’IO sano corrisponde sempre all’acquisizione del proprio posto e del
proprio codice empirico Yin o Yang e quando questa eredità non corrisponde alle regole
dell’ordine empirico, anche la formazione dell’ego porta una alterazione corrispondente ad
essa. A seconda del debito, l’IO si presenta o troppo forte, o troppo debole, situazioni che per
l’ordine empirico sono entrambe alterate e apportano ulteriore debito, con una forte tendenza
verso l’ombra. Così i miei atteggiamenti iniziali di apparente modestia, di umiltà presunta,
dettata dalla paura, e di finto accontentarmi del mio IO ipotrofico, si rivelavano puntualmente
come auto- inganni, facendomi percepire, insieme alla mancanza di spinta e di merito, anche
un senso di insoddisfazione e di frustrazione che faceva crescere la mia rabbia. ” Qualora
all’ego gli sia vietato di tagliarsi il suo legittimo spicchio di torta, si ribella e inonda di amarezza
la persona, di senso di impotenza e di sconfitta. Questo effetto tuttavia, costituisce già il
risultato di un indicatore empirico che appare sempre e soltanto in seguito ad un debito
acquisito.”(4.18 Gramm. Dell’Essere)
Con l’avanzare della metamorfosi empirica e della rabbia , si rimane prigionieri di un IO
imperante, (di un IO ipertrofico), e si rincorrono per tutta la vita bisogni insaziabili senza
riuscire ad uscire dal ruolo del “ piccolo”, percependo la pretesa di essere al centro della
attenzione, come espressione fondamentali del proprio carattere personale che si paralizzava
in queste dinamiche. Inoltre, dove c’è molto debito manca sempre un collegamento sano alle
proprie qualità Yin o Yang, ossia con il proprio codice empirico, senza il quale non si è in grado
di contenere la spinta dell’IO. I principi del proprio codice empirico, fanno da base sulla quale
l’IO si muove e si espande o si atrofizza. L’IO conferisce ad entrambi i sessi la legittimazione di
potersi manifestare, per poter realizzare dei passaggi obbligatori, fissati dal loro codice
empirico, per quanto diversi tra loro, senza i quali non si può raggiungere un appagamento
profondo del proprio essere uomo o del proprio essere donna. La forza Yang è sostenuta dal
diritto all’auto-realizzazione e quello Yin alla maternità. Soddisfare tali mete costituisce la più
alta responsabilità per entrambi. L’ego alterato, invece, ci inganna attraverso scopi
apparentemente diversi, scartando quelli previsti dall’ordine come meno attraenti. Così non è
l’esistenza dell’IO che costituisce un problema, ma che la sua qualità sia secondo le regole
dell’ordine empirico. Allora non si tratta di reprimere l’ego a favore di un approccio più
spirituale, ma di un processo di trasformazione in cui l’IO alterato, con mete eccessive o troppo
scarse, venga allineato ai parametri naturali dell’ordine empirico. Processo, questo, che si può
attuare solamente se si vuole estinguere il proprio debito personale.
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IMPEGNI CON SE STESSI: USCIRE DALL’IDENTIFICAZIONE CON I PROPRI GENITORI
“Esistono responsabilità empiriche personali che competono
ad ogni singolo individuo costituendo una vera e propria
richiesta dell’ordine. Esso le avanza a pena di escludere il
singolo dal libero fluire, nel caso non le assolva. Queste
richieste sono inderogabili, irrevocabili e indiscutibili e non
appartengono alla propria giurisdizione. Esse non sono
“doveri”, bensì impegni con se stessi. Si tratta della necessità di
ogni essere umano di uscire dall’identificazione, nonostante
tutto quello che lo trattiene, in particolar modo con la figura
dei propri genitori.”
(4.4. Gramm. Dell’Essere.)
Per uscire dall’identificazione con la figura dei miei genitori è stato necessario, innanzi tutto,
riconoscere, con dispiacere, il fatto che essi siano stati inadeguati al loro ruolo di padre e di
madre, (anche se tutto ciò è avvenuto in maniera involontaria), e che mi abbiano procurato
delle ferite profonde per la qualità d’amore insufficiente avuta nei miei confronti, procurando
in me un grande senso di abbandono e di solitudine. È stato, altresì, necessario
accettare che, essendo cresciuta accanto a dei genitori lontani dai loro principi Yin e Yang (due
“vittime rabbiose”), mi abbiano tramandato un “ debito di base “ consistente, che mi ha
allontanato dal mio codice guida Yin e dall’ armonia con i principi dell’ordine empirico. Inoltre,
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questa eredità mi ha tenuta legata a “ bisogni infantili ” insoddisfatti , che mi hanno trattenuto
nel ruolo della piccola, che non è capace di sentire la carica reale di ogni azione e situazione,
che non è capace di assumersi le proprie responsabilità, che non sa contenere niente, né il
dolore né l’amore, perchè sempre concentrata su se stessa.
A questo si aggiunge la consapevolezza che da mia madre ho ereditato la rabbia repressa che
lei non è riuscita a manifestare nella sua vita e che, come lei, faccio la vittima, perché ho paura
di esprimere i NO necessari per affermare me stessa, per espormi e rischiare ; unita alla carica
Yang debole da parte di mio padre, che non è riuscito a trasmettermi il concetto di forza e di
ordine (animus), per contenere e sorreggere la carica Yin primaria.
Ora posso vedere che, fin dall’infanzia, ho assorbito e mi sono adeguata alle convinzioni più
profonde ricevute dalla educazione, agli atteggiamenti, alle aspettative, ai valori alterati della
mia famiglia e della società nella quale sono cresciuta, che hanno poi condizionato il modo di
affrontare la vita.
Certo, crescendo, gli “indicatori empirici” si sono fatti sentire ed ho avvertito un senso di
disagio e di vuoto perenne, di insoddisfazione e di frustrazione per tutto ciò che facevo, di
paura e di rabbia sproporzionata alla realtà dei fatti, ma non riuscivo a ricostruirne la causa e
alla fine mi ci sono abituata e le ho considerate normali.
Con l’acquisizione di tutte queste consapevolezze, è stato necessario, anche, ammettere la
rabbia e il risentimento che ho scoperto avere nei loro confronti (più per mio padre, che per
mia madre) e avere il coraggio di affrontare questi sentimenti e di esprimere queste emozioni.
Dopo aver attraversato questi passaggi, mi sono accorta di sentire i miei genitori più vicini e di
provare per loro una comprensione nuova, piena di affetto e gratitudine. Inoltre, è stato
importante per me riconoscere che la consegna famigliare a livello empirico, è una consegna
d’amore. Se equilibrata e secondo i valori empirici, permette ai figli di inserirsi nella vita e di
viverla pienamente. Se, invece, è squilibrata, consegnerà alla generazione successiva tutti gli
squilibri e i debiti non risolti provenienti dalla propria stirpe. Inizialmente, è stato faticoso
accettare che ciascuno di noi svilupperà le stesse strategie squilibrate e alterate adoperate dai
propri genitori e che con l’avanzare dell’età si avvicinerà sempre più a quelle della stirpe,
prendendo l’ultima parte della consegna dopo la morte dei genitori. Tutto ciò, però mi è
servito per avere una nuova visione della condizione umana e solo così arrivare ad integrare
tutto questo, perché così è…. e non si può cambiare.
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RISALIRE ALLE ASPETTATIVE E PROIEZIONI
“Si tratta delle precise responsabilità di risalire alle proprie
aspettative e proiezioni, poiché esse fanno parte delle
responsabilità personali. Questo processo costituisce l’unico
atto di separazione che il sistema concepisce, anzi, che richiede
all’essere umano, ovvero di lasciar andare parte del bagaglio
famigliare assimilato”.
(4.4 Gramm. Dell’Essere. )
Un’altra richiesta, per prendere le distanze dai propri genitori e poter essere liberi di
esprimersi in maniere autentica e personale, è quella di portare allo scoperto le nostre
aspettative e proiezioni, sia verso noi stessi che verso gli altri o la vita e quindi diventarne
consapevoli e responsabili.
Già questa prospettiva mi procura incertezza e confusione. Mi sembra di non capirne il
significato e mi viene da chiedere : ” Aspettative del passato, del presente o del futuro ?”.
Credo che sia un modo per prendere tempo e sento che ci sono altre domanda prima di
questa: ” Perché si vogliono mettere in discussione le aspettative che sono sacrosante per
ognuno di noi e ci danno fiducia e speranza? Si può dubitare sulle aspettative riposte negli
altri, ma non su quelle riposte in noi stessi!” Qualcosa in me è in allarme e
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questa prospettiva di metterle in discussione, mi mette a disagio e mi procura un senso di
fastidio. Senz’altro sto applicando strategie di chiusura, che sono l’esatto contrario di ciò che è
richiesto dai valori empirici armonici, ma queste sono le sensazioni che provo affrontando
questo argomento.
Ammetto che verso me stessa ho avuto molte aspettative che riguardavano un po’ tutti i
campi : da quello affettivo, a quello lavorativo, oltre che sociale, culturale e spirituale e
speravo nell’aiuto degli altri e della vita stessa.
Nella maggior parte dei casi, queste aspettative non erano in contrasto con i principi
dell’educazione ricevuta e questo mi faceva sentire bene. Ero convinta che crescendo tutte
queste aspettative si sarebbero realizzate spontaneamente, senza fatica, come un piano
prestabilito o forse come una fiaba romantica.
Nella pratica, però, restava il fatto che non mi piacevo, che non mi accettavo, che vedevo la
vita molto pesante e che mi innamoravo di uomini che non erano interessati a me, ma speravo
che tutto si sarebbe messo a posto da solo.
Ora, posso vedere tutte queste aspettative esagerate e irraggiungibili, come una visione
illusoria della realtà, ma ancora mi resta molto difficile riconoscere che siano compensazioni
che il mio “ bambino ferito” usa per nascondere e non sentire il dolore e la delusione per non
essere stato amato.
Sentire che quelle ferite ci sono ancora, è facile, basta poco : una frustrazione e una delusione,
per riaprirle, ma resta difficile ammettere a me stessa che per non prendermi la responsabilità
di sentirne il dolore, le ho messe intatte sulle spalle degli altri e mi aspetto che me le curino e
me le risolvano.
La mia mente, poi, si rifiuta di mettere in dubbio le convinzioni più profonde, i principi e le
sicurezze che ha appreso dall’educazione famigliare e che ha considerato come verità, che ha
difeso come tali e che le hanno dato sostegno.
Così come, mi viene difficile mettere in crisi il raggiungimento delle mie mete sociali e culturali
e dei traguardi economici per i quali ho speso tanta energia.
Infine, mi resta impossibile mettere in dubbio la severità e la durezza con la quale me li sono
imposti.
Visto, però, il risultato della mia vita, forse è meglio che ci dia uno sguardo…..di
consapevolezza !
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BISOGNI PERSONALI, CONVINZIONI E ASPETTATIVE
“Ognuno impara ad approcciarsi al mondo attraverso il proprio
copione personale ed i propri parametri più o meno alterati.
Tale copione svolge la funzione di lente personale, attraverso
la quale il singolo osserva e decodifica la realtà empirica. Esso
diventa la sua identità, ciò che generalmente si intende per
carattere, permettendogli di identificarsi con le convinzioni
alterate acquisite. Partendo da tale identità egli crea una vasta
scala di aspettative e proiezioni che coprono ogni ambito
personale e si trasformano in vere e proprie pretese…”
(5.10 Gramm. Dell’Essere)
Come tutti, anche io ho avuto molti bisogni che non sono stati mai soddisfatti : il bisogno di
essere amata, di sentirmi sostenuta e approvata, il bisogno di essere ascoltata. Ho avuto
bisogno di sapere che i miei genitori sarebbero stati sempre presenti, che sarei entrata in
rapporto con loro e che da loro avrei appreso i principi armonici yin e yang, che sarebbero
serviti come base per tutto il mio fare. Quando questi bisogni sono rimasti disattesi, perché gli
altri e i genitori in particolare, non sono riusciti, nonostante la loro buona volontà, a
soddisfarli, essi sono stati accantonati, messi in cantina e sono rimasti lì, pronti per uscire ogni
volta che ho incontrato una persona che mi sembrava adatta ad esaudirli.
Quando la persona che ho incontrato mi sembrava quella giusta, li ho tirati fuori come
aspettative e gliele ho messe sulle spalle. Con esse ho trasformato l’altra persona in un oggetto
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per i miei voleri e ho distrutto qualsiasi tipo di rapporto volessi creare, specie di armonia e di
intimità. Inoltre, questo atteggiamento ha bloccato il sentimento di fiducia e di gratitudine
verso gli altri e la vita, aumentando così il debito empirico ed allontanandomi dal libero fluire.
Tutti nutriamo aspettative reciproche e le poniamo anche nelle situazioni e nella vita in
generale. Per conseguire maggiore consapevolezza sui miei atteggiamenti, è stato necessario
esaminare le mie aspettative. Per prima cosa è stato necessario portarle fuori, esserne
consapevole ed analizzarle, perché, spesso, invece di sentire le mie aspettative o paure, entro
nel “ bambino ferito” e mi è più facile sentirmi vittima della situazione, della gente e della vita.
Inoltre, quando i miei desideri non sono esauditi sono piena di risentimento e quando le mie
aspettative sono deluse vado su tutte le furie. Questo succede spesso, specialmente quando i
miei bisogni entrano in conflitto con quelli di un’altra persona, specie nelle relazioni intime o di
coppia ,dove ognuno reagisce in maniera diversa e personale. A me capita di incolpare l’altro,
di diventare offensiva o di troncare e andarmene.
Quando fatico a trovare le mie aspettative o non so di averle, mi chiedo: ”Quando mi sento
delusa….? Arrabbiata…? e provo frustrazione…. o disappunto… ?”
Ecco, subito, apparire miriadi di situazioni, dove ancora adesso provo tutto ciò e reagisco
colpevolizzando, arrabbiandomi, o isolandomi con finta rassegnazione. Ho scoperto, così, di
essere piena di aspettative sia verso gli altri che verso me stessa. Mi aspetto che gli altri siano
onesti, che mi trattino con sensibilità, rispetto , fiducia e stima. Mi aspetto che le persone care
siano sincere, disponibili, comprensive e affettuose, anzi, che apprezzino i miei lati positivi, la
mia creatività, la mia spiritualità, la simpatia e la spontaneità, che mi comprendano
intuitivamente, senza che io esprima un bisogno e siano sempre sensibili ,senza che io debba
dire loro una parola. Quando ciò non si verifica, mi sento tradita, delusa e arrabbiata. Posso
usare l’indignazione, il tono moralistico o lanciarmi in critiche e giudizi, sentendomi
pienamente giustificata. È imbarazzante vedere quanto mi aspetto dagli altri ! In verità, spero
che gli altri abbiano nei miei confronti un atteggiamento più comprensivo di quello che ho io
verso me stessa! Ho constatato che ogni volta che sento frustrazione o rabbia c’è una
aspettativa delusa. Specie con le persone care, mi sento spesso abbandonata e tradita, perché
mi sembra di essere stata trattata in maniera insensibile e ingiusta.
Un altro modo per scoprire le mie aspettative, è stato esaminare cosa si nasconde dietro il mio
giudizio. Spesso, proprio dietro ogni mio giudizio, c’è qualcosa che voglio o che mi aspetto da
qualcuno. Anche qui si è aperta la consapevolezza di un altro mondo, di mille richieste
inconsapevoli di essere considerata, vista e amata.
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Un terzo modo , per cominciare a riconoscere le mie aspettative , è quello di prendere
qualcuno che mi è molto vicino ed incolparlo per tutte le cose che non è e che non mi dà. Sotto
ognuna di queste colpe ho trovato varie aspettative su ciò che chiedo agli altri e su ciò che non
mi piace di me stessa. Il più chiarificatore è stato però, quello di esaminare le differenti aree
della mia vita e chiedermi :” Quali aspettative ho rispetto: all’amore, al partner e al sesso ?
Quali, rispetto: all’auto-realizzazione, alla sopravvivenza e all’autostima ? Quali ,come: essere
spirituale, emotivo, creativo e sociale?
È venuto fuori un elenco di aspettative lunghissimo e variegato, che riguarda ogni aspetto
della mia esistenza. Dietro la figura di un partner ho messo tutte le qualità, per
compensazione, che vorrei e che sento di non avere (bello, alto brillante ,ecc…). Riguardo agli
uomini sono venute fuori convinzioni di poca fiducia e stima, ma credo invece che la verità sia
che ho paura di mettermi di nuovo in gioco, di aprirmi e di mettere allo scoperto la mia
vulnerabilità. Negli altri campi viene sempre fuori un onnipresente senso di inadeguatezza, di
poca autostima, di paura di non essere accettata per quello che sono,di paura delle critiche e
dei giudizi, del rifiuto e dell’abbandono, di perdere il controllo che ho su tutto, di espormi e di
sentire di nuovo tutte le mie ferite.
Inoltre, ho constatato che le aspettative si manifestano in due modi differenti : quelle che mi
provocano una reazione incontrollabile di accusa e giudizio e sono accompagnate dalla
convinzione che meritano di essere soddisfate; e quelle che hanno una reazione meno
evidente, che non lasciano venir fuori l’energia , aspettative negate, che mi impediscono di
ammettere ciò che in realtà voglio o che mi aspetto dagli altri. Queste ultime le metto in atto
quando vivo nell’illusione che non ho bisogno di niente da nessuno, oppure quando mi sento
così indegna che penso di non meritare niente. Così, benché le aspettative ci siano, le ho
sepolte in profondità e sono molto più difficili da raggiungere. In realtà continuo ad avere
aspettative, ma si manifestano indirettamente sotto forma di risentimento inespresso, di
depressione o di aggressione passiva. Nelle aspettative negate mi riconosco molto ed ho
constatato che ho coperto i miei bisogni con convinzioni del tipo: ” è necessario imparare a
prendermi cura di me stessa…, è inutile fare affidamento sugli altri o aver bisogno di qualcosa,
perché tanto i miei bisogni non verranno mai capiti e ascoltati….” . Forse, li ho rinnegati così a
lungo che è diventato quasi impossibile averne la consapevolezza e riuscire ad esprimerli. Non
così per gli effetti, perché le mie aspettative negate mi creano grande solitudine e disperazione
e sono molto potenti, perché,spesso, diventano profezie che si avverano da sole.
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COSA C’E’ DIETRO LA FRUSTRAZIONE, IL GIUDIZIO,
LE ACCUSE, LE RICHIESTE ECCESSIVE,
CIOE’ LE ASPETTATIVE ?
“Sono sempre le ferite emotive, cioè quello che in
chiave empirica si chiama debito, a suscitare ogni
meccanismo di difesa. Ogni debito trattiene un dolore
non evaso. Ed è soltanto la paura di quel dolore che
trattiene il singolo lontano dal proprio arretrato,
facendogli scegliere giorno dopo giorno di non
avvicinarsi al proprio campo di responsabilità.”
( 3.1 Gramm. Dell’Essere)
In genere non ho né la voglia, né il tempo per chiarire a me stessa cosa c’è dietro le mie difese
e cosa ho coperto con le mie aspettative, né tanto meno ho la voglia di andare in profondità .
Purtroppo, fin dalla più tenera età, ho imparato che nessuno si sarebbe mai preso cura dei miei
bisogni più profondi e sfortunatamente, siccome la mia fiducia è stata danneggiata (o così ho
creduto), sono sospettosa e guardinga ed esprimo i miei bisogni in maniera sbagliata, carichi di
aspettative.
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La mia bambina ferita, invece di comunicare il suo dolore, i suoi sentimenti e la sua paura,
preferisce reagire arrabbiandosi, accusando, incolpando o chiudendosi offesa e scoraggiata.
Così, ancora adesso, ogni volta che sento che non otterrò ciò di cui ho bisogno, entro nel
bambino interiore ferito e sento crescere una sensazione di delusione, di frustrazione, di
rabbia o di risentimento.
Queste tensioni, però, mi creano tanti conflitti, portando tanta infelicità e incomprensioni nella
mia vita e nei miei affetti.
Per colmare le mie paure, per i bisogni non soddisfatti, pur di non sentire dolore, ho
sviluppato fin dall’infanzia, strategie di difesa o compensazioni : ho preteso, ho controllato, ho
manipolato, ho fatto qualsiasi cosa abbia potuto funzionare: la vittima, il carnefice, la brava
bambina, la crocerossina, la salvatrice , la giustiziera, la contestatrice, la co- dipendente e
l’anti- dipendente, pure l’autosufficiente e la tattica che mi è riuscita meglio l’ho adottata per
dei periodi o per tutta la vita.
La paura di non essere amata è stata così tanta, che ho cercato di proteggere la mia bambina
imparando a manipolare e a controllare il mio ambiente, le persone a me vicine, in modo da
tenerla il più possibile al sicuro.
Da quando ho cominciato ad esplorare il mio modo di pretendere, spesso inconsapevole, ma
ugualmente arrogante, ho visto anche il mio modo rabbioso di reagire, anche quando è finto
rassegnato, e sono rimasta meravigliata dalle ferite e dal risentimento che vi ho trovato.
Ho scoperto che sono piena di difese pur di evitare di sentire il dolore per il rifiuto e
l’abbandono; per non sentire lo smarrimento per il senso di impotenza e il senso di
inadeguatezza; ma specialmente sto evitando la paura di sentire il senso di colpa e di
tradimento verso me stessa.
In profondità, dentro di me, mi sono trascinata la convinzione, che nonostante tutti i tentativi,
non ci sarà mai nessuno disposto ad amarmi per quella che sono, così anche la più piccola
contrarietà mi spinge ad attaccare o a ritirarmi nella mia tana, così solitaria ma così familiare.
Sul momento non riesco ad accorgermi che il mio comportamento è alimentato dal
risentimento e dal dolore di ferite passate e dalla paura di non ottenere ciò di cui ho bisogno.
In fondo le aspettative non sono altro che difese per non sentire il dolore di non essere stati
amati abbastanza.
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RICHIESTE E ASPETTATIVE NELLA RELAZIONE
“Il debito influisce su tutto il suo operato, su
ogni tipo di azione e reazione e su ogni sua
condizione di benessere o di malessere, senza
che la persona ne sia consapevole. I suoi
rapporti affettivi riportano lo stesso stato, in
quanto sapendo accedere solo parzialmente al
proprio codice empirico alterato, attira
esclusivamente altri soggetti alterati.
( 4.3, Gramm. Dell’essere)
Quando entro in una relazione, raramente ho un’idea di quello che mi aspetta. Incontro
qualcuno e mi innamoro, penso che siamo due persone adulte che si sono innamorate. Sotto,
sotto, invece, sta cominciando un dramma completamente diverso. Come sostiene Osho :
”L’amore nato in un momento diventa una relazione, trasformandosi così in una schiavitù
perché ci sono aspettative, ci sono richieste e ci sono frustrazioni e uno sforzo da entrambe le
parti di dominare. Così, diventa una lotta per il potere “. E’ proprio vero! Devo ammettere che
ancora adesso, conservo molte aspettative verso il partner : pretendo rispetto, fiducia, stima,
sensibilità nei miei confronti e responsabilità verso se stesso. Mi piacerebbe che fosse
spirituale, con una visione universale e divina della vita, con un atteggiamento fraterno e
democratico verso l’uomo, aperto e rispettoso delle necessità degli altri. Ma non è finita!
Vorrei, anche, che fosse consapevole del suo potere, della sua energia, forte, chiaro, centrato e
sicuro di sé. Mi aspetto che sia gioioso, creativo, positivo, che sdrammatizzi le situazioni, tutte
doti che mancano a me, che sono più seriosa e maestrina. Non per ultimo mi aspetto che
abbia la capacità di “pormi dei limiti” con calma e gentilezza (non certo usando modi bruschi) e
che sappia fare l’amore (non sesso) con sensibilità e generosità. Come si vede, le mie
aspettative vanno oltre il sogno romantico del principe azzurro, oltre l’uomo “integrato” della
Psicologia Empirica. Oltre l’eroismo e la “santità”, così, può essere solo un uomo molto
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“alterato” che può starmi vicino. È chiaro che, fino a che resto impigliata nelle mie aspettative,
sono ancora nel ruolo del “ piccolo”, che chiede solo un amore cieco, di dipendenza, convinta
di trovare qualcuno che la libera dalla paura, dal dolore e dalla solitudine. Così, quasi sempre,
la mia bambina ferita, che ha tanto bisogno d’amore, ogni volta che si è innamorata, si è illusa
di aver trovato l’Amore vero. Anche se ha pensato di agire con le migliori intenzioni di dare e di
ricevere amore, di condividere, di comunicare e di dare nutrimento, una volta entrata in
relazione, lei comincia a venire in superficie e a pretendere. Mi piace e mi rispecchia, la
storiella che riporta Krishnananda delle “Ceste piene dei desideri, in cantina”, che rappresenta
bene la similitudine dei bisogni infantili repressi, che si conservato nell’inconscio. “All’inizio di
ogni relazione, lui o lei si guarda intorno e dice: - C’è qualcuno che dice di amarmi ? é possibile
?.... Vediamo un po’…! Ciascuno di noi ha un cesto in cui conserva tutti i bisogni insoddisfatti
dell’infanzia. Generalmente lo abbiamo riposto in cantina e lo abbiamo dimenticato. Ma essere
innamorati riporta alla memoria il cesto e con questo si risvegliano tutti i desideri segreti di
essere amati che abbiamo lì riposto. Così, inconsciamente , facciamo un salto in cantina e
cominciamo a cercare il cesto. Una volta che lo abbiamo trovato, diciamo a noi stessi : -Questa
persona dice di amarmi? Facciamo una prova ! Cominciamo dall’ultimo desiderio, che è un
desiderio piccolo, piccolo!
Il nostro innamorato visto che il desiderio è piccolo, sarà ben lieto di soddisfarlo e intanto
affonda la sua mano dentro il suo cesto ed estrae a sua volta un desiderio . Questo gioco può
andare avanti per un po’ di tempo. Intanto più ci diventa familiare e comodo rovistare nel
nostro cesto, più diventiamo intimi con l’altra persona, ma più crescono le nostre aspettative.
Dopo tutto abbiamo aspettato tutta la vita per vedere soddisfatti i nostri bisogni.! Pensiamo :-
Questo è Amore!!!!!
Finalmente cominciamo a tirare fuori quelli grandi. La persona “dipendente” estrarrà:
-Voglio che tu sia sempre presente per me !
L’antidipendente tirerà fuori: -Voglio che tu mi dia lo spazio di cui ho bisogno, ma non voglio
che tu mi lasci o che veda qualcun altro!
Con il tempo, il bambino ferito che c’è in noi, mette sulle spalle del suo partner tutti i bisogni
che i genitori non hanno esaudito. Così, alla fine, si ritrovano davanti due bambini pieni di
paure, di esigenze e di aspettative, incapaci di capire i bisogni dell’altro. Sfortunatamente,
questa comunicazione è inconscia e indiretta !!! “
Mi sembra la tattica precisa che metto in atto in tutte le mie relazioni affettive.
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Quando l’altro non soddisfa le mie aspettative, si riaprono le ferite dell’abbandono e
dell’inadeguatezza e lentamente le sensazioni di frustrazione e di tradimento crescono, arriva
la disillusione e do la colpa all’altro invece di confrontarmi con le paure e le insicurezze che mi
porto dietro. Per la Psicologia empirica , invece, la stessa situazione di coppia, indica che le due
persone non sono nel ruolo dell’adulto, non possiedono completamente le qualità del loro
codice empirico Yin e Yang, sono soggetti che si attirano per compensazione a seconda della
loro alterazione empirica, dovuta al debito più o meno pesante che si portano dietro e del
quale non sono consapevoli, anche se la conseguenza è sempre l’allontanamento dal flusso
armonico dell’ordine empirico e quindi dall’Amore. Solo le “coppie integrate”, che hanno
integrato la carica primaria con la secondaria, la “luce” e “l’ombra” del loro codice empirico Yin
o Yang, riescono ad accedere all’amore che appaga e che è auto-rigenerante.
Nelle “coppie alterate”, alla base dei rapporti di coppia si trova l’aggancio con l’ombra, invece
di quello dell’amore. In questo caso è il debito di ambedue i partner a creare questa attrazione
fatale, che porterà a costruire una relazione insoddisfacente di dipendenza basata sul
“bisogno” . Questo vale soprattutto per le “coppie alterate” (donne yin alterate e uomini yang
alterati ) che rimangono nell’ambito dei loro principi attivi, per quanto sviluppati in maniera
eccessiva e si attraggono fatalmente per il loro senso di inadeguatezza.
Nel caso invece delle ”coppie inverse” (donna yang e uomo yin ), chi conduce il gioco è la
donna che prende il ruolo maschile e l’uomo è costretto a compensare il compito femminile
che manca. Non essendo una situazione soddisfacente per nessuno dei due, il malessere si
manifesta con una dinamica conosciuta come “tira e molla” o “amore e odio“, ossia attrazione
morbosa e insofferenza verso il partner, ma incapacità di lasciarlo. Anche se l’altro si dimostra
come inadeguato, è la dinamica della co -dipendenza affettiva a sovrastare ogni dolore.
L’altra possibilità è la “coppia congelata” (donna finta Yin e uomo finto Yang), due vittime
rabbiose, nelle quali il processo della metamorfosi empirica si stabilizza, congelando i partner
nei propri debiti. Questi creano una relazione insoddisfacente, ma di dipendenza. Insieme
stanno male, ma non vogliono staccarsi per paura della solitudine. La frase “Né con te, né
senza di te!” li rappresenta bene.
Io mi riconosco, in periodi diversi, in queste forme alterate di coppia, ma specie nelle
dinamiche delle vittime rabbiose, forse perché ho attraversato vari stadi alterati e questi si
sono rispecchiati nei miei rapporti affettivi di coppia.
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CONDIZIONAMENTI FAMILIARI E SOCIALI
“Esistono svariati motivi in grado di provocare una separazione
di partenza di cui il più frequente è un debito familiare non
estinto (debito di base ). Esso proviene dalla propria stirpe ed è
stato assimilato attraverso la famiglia di origine rappresentata
dai genitori. Un copione che adottato dal bambino come nuovo
sistema di riferimento assoluto, sostituisce man mano i valori
naturali dell’ordine.”
(5.2, Gramm. Dell’Essere )
Fino a quando non ho iniziato questo percorso di crescita, non avevo alcuna idea di chi fossi
realmente. Mi avevano insegnato che il mio valore più profondo era basato su ciò che facevo e
non su ciò che ero, così ho impiegato tutte le mie energie per conseguire dei risultati
professionali, culturali, economici e sociali che corrispondevano ai valori della mia famiglia e
della società in cui vivevo. Speravo che questo mi desse un valore, un certo potere personale e
che mi aiutasse a realizzarmi anche a livello affettivo e di coppia.
Non sentendomi né bella, né affascinante e tanto meno sensuale, pensavo che dimostrare di
essere intelligente potesse darmi una certa sicurezza ed anche essere un fattore di attrazione,
oltre che di autoaffermazione. Negli studi, nonostante il mio groviglio interiore, riuscivo senza
fatica a raggiungere dei buoni risultati e ricordo come mi preparavo i discorsi “intelligenti”, ma
specialmente “ logici” da contrapporre a mio padre. Di fronte alle persone che mi
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intimorivano, opponevo inizialmente una resistenza passiva, ma la rabbia cresceva e quando
arrivavo al limite della frustrazione, diventavo aggressiva e polemica.
Finiti gli studi, pensai di realizzarmi nel lavoro e l’insegnamento rappresentava il
raggiungimento di svariate mete, potevo ottenere un certo potere personale, economico e
sociale. Inoltre, l’indipendenza economica mi permetteva di stare lontano dalla famiglia, di
rapportarmi agli altri in maniera più spontanea, di essere responsabile delle mie azioni e di
intrattenere le mie prime relazioni affettive e di coppia senza condizionamenti famigliari.
Il traguardo finale era la libertà unita alla felicità, ma quello iniziale era il bisogno di
allontanarmi da tutti i condizionamenti familiari, sociali e religiosi che sentivo pesanti e che
inevitabilmente mi portavo dietro, provenendo da una famiglia numerosa e dal vivere in un
piccolo paese dove ci si conosceva e si era tutti parenti.
Alla fine, questo lavoro di programmazione per realizzare le mie aspettative, è servito a ben
poco, perché i condizionamenti me li sono portata “dietro” ed, in particolar modo, me li sono
portata “dentro”.
Come si fa a liberarsi di un’educazione basata principalmente su : ” Cosa dirà la gente ?“. Con
una “camera buona”, sempre in ordine e chiusa, perché”…e se arriva qualcuno ?”. Con una
miriade di regole su : ”Le ragazze perbene non fanno queste cose…!” Con i preti per i quali
ogni manifestazione sessuale era “peccato”?
Con uno stuolo di parenti dei quali si sapeva tutto e ai quali ,in un certo modo, bisogna
rendere conto? Con un vicinato aperto per sostenersi, ma anche pronto a criticare e a
giudicare tutto ciò che succedeva intorno? Con una vita sociale dove si condividevano le
nascite e le morti, gli amori e gli odi, i matrimoni e i tradimenti, le malattie e le occasioni di
festa? Così ogni mio atteggiamento era legato alla paura della critica e del giudizio,
all’approvazione o alla disapprovazione degli altri ed io non mi sentivo libera di esprimere me
stessa, ma anzi oppressa da tutto ciò.
Li avvertivo tutti uniti, con uno sguardo minaccioso e con il dito puntato, mi sembrava che
formassero una grande montagna o un’onda altissima che si potesse abbattere su di me,
piccolissima, al minimo errore. Così, pur di non sbagliare ed essere disapprovata, ho cercato di
fare sempre la “ brava bambina”, sentendomi vittima, rinunciando a me stessa, perché non mi
sentivo libera di esprimere la mia personalità, la mia creatività. Più tardi, quando ho avuto un
posto di lavoro, approfittavo dei trasferimenti per cambiare spesso ambiente e potermi così
sperimentare: in alcuni ambienti sono stata accolta molto bene e sono riuscita ad aprirmi e
manifestarmi; in altri mi sono chiusa, specie dopo esperienze amorose dolorose ed ho cercato
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di non fare troppe amicizie, per vedere se riuscivo a sentirmi più libera e meno condizionata
dal giudizio degli altri. Come si vede, le mie speranze erano sempre riposte negli altri, la mia
attenzione era sempre all’esterno, al di fuori di me. Ho pensato, pure, che queste paure e
condizionamenti dovute alla famiglia e alla società, mi avessero impedito di avere una
relazione di coppia vera e così, ora, finalmente indipendente, potevo realizzare nuovi rapporti
affettivi. Scoprii ben presto che questo era un campo veramente doloroso, nel quale mi
sentivo molto vulnerabile e del quale non conoscevo le regole. Passato un po’ di tempo,
dall’inizio di ogni nuova relazione, mi sentivo sola e infelice pur essendo in coppia e vedevo il
mio futuro come faticoso, pesante e poco attraente. In poco tempo le storie d’amore finivano
ed io provavo, insieme ad un certo sollievo, anche una grande delusione, dolore e tristezza. Le
delusioni si accumulavano e pur mettendo in discussione me stessa, non riuscivo a vedere né
le vere cause e neanche le soluzioni. Non ero consapevole di essere completamente fuori dal
fluire armonico dell’ordine empirico, perché non aderivo al mio codice Yin e non mi avvicinavo
alle sue qualità, né nella vita di tutti i giorni, né in quella di coppia. Ora so che mi portavo
dietro un “debito di base “ pesante, dovuto alle cariche sbilanciate dei miei genitori poco
integrati, al quale si aggiungeva l’influenza del “debito empirico della stirpe” non ancora
estinto. Tutto ciò, unito ai condizionamenti sociali, culturali e religiosi, hanno fatto in modo che
io non sia mai entrata nel ruolo dall’adulta, della persona responsabile della propria vita, ma
sia rimasta piena di bisogni, di aspettative, di convinzioni e di proiezioni disarmoniche. Credo
che questa condizione abbia influenzato ogni manifestazione vitale e aggravato il mio debito,
con conseguente disorientamento e malessere dovuti al manifestarsi degli indicatori empirici
della paura e della rabbia. Ora so che per crescere e tornare al libero fluire, è necessario
mettere in discussione i principi e le convinzioni ricevute dalla propria famiglia e dall’ambiente
circostante e tornare ad aderire ai principi dell’ordine empirico e a quelli del proprio codice.
Il codice yin e la sua matrice d’eccellenza restano il punto di riferimento obbligato per ogni
femminile. “Essa prescinde da ogni visione individuale e soggettiva, dalle convinzioni e
proiezioni personali di come una “ vera donna “ avrebbe bisogno d’essere. Al contempo rivela
coordinate inconfutabili per un femminile oggettivo (legato a valori assoluti e universali, ossia
empirici ) e non influenzato né dalle mode né dai costumi del momento.” (8.1.1 Gramm.
Dell’Essere) Questo processo di riavvicinamento ai principi del proprio codice si chiama
“Yinizzazione” ed è l’unico processo di guarigione per chi vuol tornare al suo sentire e sentirsi
appagata e autentica, in armonia con l’universo.
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TABU’ PERSONALI
“Durante il percorso di evoluzione personale molti
partecipanti riescono, con l’andare del tempo, ad
avvicinarsi ai tabù empirici. In questo modo sono
costretti ad affrontare prima quelli personali, acqui-
siti attraverso la consegna famigliare e assimilati in
forma di tabù religiosi, sociali, imposti dal proprio clan,
che spesso si dissociano da quelli empirici.”
(4.22, Gramm. Dell’essere )
La prima volta che sentii parlare di tabù personali, pensai che la cosa non mi riguardasse. Anzi
pensavo di non avere tanti tabù, perché non li associavo ai limiti che mi sono imposta, dovuti
all’educazione familiare, sociale, culturale e religiosa, assimilati durante l’infanzia e che mi
hanno costretto ad accettare come giusti, valori e atteggiamenti che ho scoperto essere contro
l’ordine empirico e contro i principi del proprio codice o del proprio ruolo.
Per quanto riguarda i tabù personali, solo dopo questo percorso di evoluzione personale sono
consapevole di averne tanti e cosi radicati che ancora adesso non riesco a liberarmene e
condizionano la mia vita in molti aspetti. Inoltre, ora riesco a vedere che sono stati dannosi per
la mia crescita, perché mi hanno fatto accettare molte convinzioni e comportamenti solo per la
paura di perdere l’appoggio, la considerazione e l’amore degli altri.
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Ho imparato a “non disturbare” e mi pongo mille problemi prima di chiedere aiuto, un
consiglio o un favore, non riuscendo a distinguere tra educazione e paura. In particolar modo,
ho imparato a non ”disturbare il buon costume” facendo sempre la “ brava bambina”,
seguendo tutte le regole dettate dalla mia famiglia e dalla società. Anche perchè, ero convinta
di essere una persona “educata”, se riuscivo a non dimostrare mai, neanche con un gesto, la
mia rabbia. Così ho rinunciato ad espormi per parlare a mio sostegno, non riuscendo più a
sentire quali erano i miei confini da far rispettare sia da me stessa che dagli altri e poter, così,
dire i miei Si e i miei No consapevoli.
Ho imparato che il sesso è sporco, questo a causa oltre che dell’educazione della mia famiglia,
dove non ho ricevuto una educazione sessuale, anche della religione e da come l’hanno
interpretata alcuni suoi rappresentanti (un prete non mi ha dato l’assoluzione perché andavo a
trovare il mio ragazzo), con l’aggiunta dell’educazione ricevuta nell’adolescenza, in un “collegio
vescovile”, tenuto da suore e diretto da un vescovo, dove il sesso era tabù. Ancora adesso mi
vergogno della mia nudità e ritengo il rapporto sessuale fuori dal matrimonio un ”peccato”.
Ho imparato ad usare la mente, perché ormai non più in contatto con il mio sentire, essendo
anestetizzata per evitare ogni incontro con il dolore.
Ho cercato di fare la crocerossina, la salvatrice, la giustiziera, per nascondere sotto una
parvenza di perbenismo la rabbia e il risentimento che avevo verso me stessa, gli altri e la vita,
per non ammettere di essere dominata dalla paura e dalla inadeguatezza.
Così, questi tabù personali o limiti auto-imposti e appresi con cieca fiducia durante l’infanzia,
fanno ancora parte delle mie convinzioni, del mio essere e del mio agire ed hanno bisogno di
essere demoliti se voglio rimettermi in sintonia con quelli empirici. Questo passaggio, che si
rivela fondamentale per la mia crescita personale, mi è molto difficile, perché essi fanno ormai
parte della mia coscienza personale che li conserva gelosamente e li difende ad oltranza,
perché senza di essi c’è la paura di crollare e di perdere la propria identità.
L’unico tabù reale ai fini empirici è la morte, gli altri stati di sofferenza derivano da essa, come
il dolore, l’abbandono, la solitudine, il tradimento, e cosi via, che sono tutti moti d’ombra che
ad essa si avvicinano e si collegano.
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LA SFIDUCIA
“Ed è proprio grazie alla fiducia che la donna è in grado di
sviluppare il “potere liquido”, incrementando la propria forza
incondizionata, l’accoglienza e la cura all’interno del rapporto.
Si tratta di un atto di fede, di fede nella vita (anche se
apparentemente investe il compagno, un’altra persona o una
condizione di esistenza ) che le permette di abbandonarsi al
libero fluire.”
( 8-1-3 Gramm. Dell’Essere )
“Non ci si può fidare di nessuno !”, già questa affermazione dà un senso di grande solitudine
ed evidenzia l’alterazione grave nella quale mi trovavo fin dall’infanzia, ma arrivare a
concludere :”Non ci si può fidare di nessuno…..,nemmeno in famiglia….., neanche dei
fratelli….!!!!”, ha provocato in me una ferita molto profonda, insieme a sensazioni di
tradimento, di paura, di vergogna e di rabbia, che mi hanno accompagnato e condizionato una
vita intera. Sono d’accordo con Osho quando dice: “Danneggiare la fiducia di un bambino è
danneggiare tutta la sua vita, perché la fiducia ha un valore immenso: nel momento in cui la
perdi, stai anche perdendo il contatto con tutto il tuo essere. La fiducia è il ponte che ti unisce
all’esistenza. La fiducia è la forma d’amore più puro.” Tutto è successo quando avevo cinque o
sei anni. In una visita fatta con mia madre, nel posto di lavoro di mio padre dove lavorava
anche mio fratello, in un momento di pausa, questo mi chiama e mi invita a seguirlo, cosa che
faccio volentieri e con fiducia. Mi porta in un locale appartato e lì si denuda e si masturba
chiedendomi di guardare. Io non capisco cosa stia facendo, ma sento che non è una cosa pulita
e giusta. Quello che mi resterà impresso in maniera indelebile, sarà il tono di voce
particolarmente gentile, che cerca di sminuire ciò che sta succedendo, per non spaventare una
bambina, ma che io avverto viscido. In quel momento credo di essere entrata in stato di choc,
perché sono rimasta paralizzata e non ho detto una parola né allora né dopo. In realtà, però, io
l’ho vissuto come un abuso. Non sapevo proprio cosa pensare e cosa fare e non volevo dare
questa preoccupazione a mia madre, perché ne sarebbe andata della pace famigliare, così ho
deciso di tenere il segreto, sperando di dimenticare. Una cosa, però, è stata certa da quel
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momento: io non ho più avuto fiducia in quel familiare. Peggio ancora, la famiglia, invece di
essere un posto sicuro e protetto, era diventato un posto pericoloso e malsicuro ed era
necessario che io stessi sempre all’erta. Questo atteggiamento di diffidenza che poteva essere
appropriato durante l’infanzia, è diventato col tempo una convinzione di sfiducia sempre più
allargata e generalizzata, che ha fatto in modo che continuassi, anche da adulta, a relazionarmi
agli altri e, specie agli uomini, con sospetto. Inoltre, ora mi rendo conto che, avendo tenuto
segreto questo fatto, il senso di tradimento e di sfiducia è cresciuto in maniera esponenziale
nel tempo e con esso il risentimento, il rancore e la rabbia. Questi atteggiamenti disarmonici e
la percezione alterata della realtà, hanno prodotto, purtroppo, vari meccanismi di difesa che
hanno influenzato il mio modo di sentire, di pormi verso gli altri e di affidarmi alla vita. Sono
diventata iper-sensibile a tutte le situazioni che potevano avvicinarsi, anche lontanamente, ad
un abuso. Non riuscivo a seguire fatti di cronaca o film su questo argomento senza che mi
salisse un malessere, una tensione, una collera furiosa. Da quel momento sono diventata
sempre vigile nelle relazioni, anche di amicizia, e trovavo difficile stringere amicizie maschili,
perché avevo paura che questi, in qualche modo, approfittassero di me oppure mi tradissero,
arrivando alla conclusione che tutte le relazioni erano sempre un terreno pericoloso. Ho
trovato difficoltà a portare avanti relazioni intime, perché guardavo con sospetto e diffidenza
le situazioni anche quando non ce ne era bisogno: è facile che interpreti atteggiamenti neutri
come minacce o prove della presunta mancanza di affidabilità dell’altro. Oppure, per non
evitare completamente le relazioni, le idealizzavo così tanto che alla prima delusione
escludevo i partner come traditori. Di conseguenza, proprio a causa dell’ostilità e della
negatività che leggevo nelle azioni degli altri, le mie relazioni più intime si trasformavano in
situazioni molto stressanti, con sentimenti di amore e odio, con emozioni contraddittorie e
finivano quasi sempre in campi di battaglia. Ancor peggio, mi è capitato in varie circostanze, di
attirare situazioni simili di molestie, tanto che spesso mi sono chiesta : ”Ma perché tutti i
maniaci li attiro io ?”. Ora lo so : il tenere questo avvenimento “ segreto” lo ha reso un nodo
irrisolto, carico di energia, che attirava situazioni e uomini simili. Con la convinzione di non
essere protetta e al sicuro, si è ingigantito il sentimento di paura, di inadeguatezza, di
abbandono e la mancanza di valore nei miei stessi confronti. La paura più grande è rimasta
quella di avvicinarmi e di sostenere l’energia maschile che mi procura sempre disagio,
atteggiamenti di controllo della situazione, insofferenza e sentimenti di frustrazione e di
rabbia. Se analizzo questi fatti e le convinzioni che ne sono scaturite secondo la l’Approccio
Empirico, tutte evidenziano l’allontanamento dal libero fluire e dal mio codice empirico Yin,
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causato da un “debito di base” ingente e fuorviante. La figura dei miei genitori e specialmente
di mia madre è stata fondamentale. Già lei si portava dietro una eredità della stirpe femminile,
che non le ha permesso l’ acquisizione completa dei suoi principi Yin e che ha attivato la
metamorfosi empirica e la rabbia ad essa collegata. Lei, però, non riuscendo ad esprimerla nel
contesto della coppia, della famiglia e della società nella quale ha vissuto, è rimasta repressa e
l’ha sub-appaltata completamente a me. Questo ha fatto sì che il mio agire sia stato dominato
fin dall’infanzia, prima dalla paura e poi dalla rabbia, da “coazioni disarmoniche”, al di fuori dei
valori empirici reali e che questi valori alterati abbiano condizionato il mio modo di pormi
riguardo la vita. A questo si sono aggiunti l’assenza affettiva di mio padre, che non ha certo
aiutato ad integrare la carica secondaria Yang e l’atteggiamento di mio fratello, che io, già
alterata di partenza, ho estremizzato. Se poi analizzo me stessa secondo la “metamorfosi
empirica”, credo che il passaggio da ”yin alterata a vittima rabbiosa o finta yin , sia avvenuta
già nell’infanzia per l’accumulo di un dolore molto pesante, il sentire di non essere amata e
protetta in maniera adeguata e che questo si sia trasformato in rabbia, aumentando il mio
debito empirico e manifestandosi con gli “indicatori empirici” prima della paura, del senso di
inadeguatezza, del non merito e del senso di colpa, ma secondariamente questa percezione di
impotenza ha fatto affiorare e crescere l’insoddisfazione e la rabbia, che col tempo, per la
legge della compensazione, era necessaria acquisire per riequilibrare la situazione e reperire
sostegno e forza. Per lungo tempo, mi viene da dire per tutta la vita, queste sensazioni alterate
si sono sovrapposte : paura e rabbia ; vittima e carnefice; innocenza e sensi di colpa e hanno
creato una grande confusione emotiva, che mi ha destabilizzato e dato molta insicurezza. Nella
prima parte della mia vita, ha predominato la paura (indicatore attivo), regalando spazio alla
mia parte “ombra “, più che alla mia parte “luce yin “. Così la paura si è allargata a dismisura ed
ha riempito ogni mio ambito vitale, riuscendo ad inibire e a bloccare ogni espressione sana
dell’IO o aspirazione naturale e spontanea. Col tempo, specie nell’adolescenza, la situazione si
è aggravata e sono diventata iper -emotiva, con reazioni fuori luogo, senza attinenza alle
situazioni reali del momento : lunatica, imprevedibile, inaffidabile e inattendibile, non solo per
gli altri, ma anche per me stessa. Con tutte queste paure ed insicurezze, alcuni principi ,che
potevano essere di “ luce yin “, sono stati stravolti : sono diventata eccessivamente ponderata,
prudente, timida; con atteggiamenti di modestia e di riservatezza esagerati, cercando di
mortificare ogni mio atteggiamento femminile o sensuale, per prevenire lo sguardo e le
attenzioni degli uomini, che non sapevo gestire e che mi creavano disagio.
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Tutti atteggiamenti di chiusura che, come uno scudo protettivo, ho attuato per difendermi, ma
che hanno trattenuto anche la mia energia e bloccato la mia vitalità, la mia creatività,
chiudendo il cuore e isolandomi dal “sentire”, attuando così una perfetta “anestesia emotiva”.
E la rabbia? Proprio perché mi sentivo “vittima innocente” e anche una “brava bambina” ho
cercato, con tutte le mie forze, di dimenticare le cose spiacevoli, di capire, di perdonare, di
lasciare perdere pur di acquistare un po’ di entusiasmo per la vita, ma con tutta la buona
volontà non riuscivo ad essere me stessa, spontanea e sicura, e queste delusioni mi
procuravano solitudine, malinconia e tristezza, così anche i sentimenti di risentimento che
nascevano verso me stessa, gli altri e verso la vita mi sembravano giustificati. Per molto tempo
la rabbia si è riversata verso me stessa e mi odiavo così tanto che credo di aver messo in atto
tutti i tipi di auto boicottaggio che conoscevo pur di non riuscire nella vita. Provavo fastidio e
rabbia nel sentirmi fragile e indifesa e così cercai in tutti i modi di sviluppare l’indipendenza e
l’autosufficienza sia emotiva che materiale, che mi sembrava una ricerca della libertà mentre
invece era indice di paura di affidarmi e abbandonarmi al fluire della vita. Ho potuto constatare
che l’impulso rabbioso, proprio perchè temuto e represso, è cresciuto lentamente ma
costantemente, assumendo, più che l’aspetto della vendetta, le sembianze buone che la brava
bambina cercava di camuffare, di chi vuol fare la crocerossina per aiutare gli altri, di chi vuole
giustizia per sé e per gli altri, di chi si sente il paladino dei diritti umani calpestati, della
salvatrice delle donne maltrattate e della giustiziera che esige soddisfazione dal mondo (specie
dagli uomini). Così col tempo la rabbia si è sempre più generalizzata diventando una lotta
contro tutti, per la paura di subire un sopruso o di essere sottomessa. Per quanto la vittima
rabbiosa è spaventata sopra ogni misura, la sua spinta aggressiva acquisisce sempre più forza
fino a quando non è più in grado di poterla sostenere. A tal punto lascia libero sfogo al proprio
rancore poiché vive con la sensazione di aver sempre subito troppo e in maniera ingiusta.
Durante questo passaggio la persona si sposta dalla propria posizione da Yin alterato verso
l’altro estremo della gamma empirica, avvicinandosi all’Yang alterato. Il sistema empirico non
contempla il ruolo della vittima, neanche al bambino che ha subito un qualsiasi atto grave di
sopruso o di invasione, ma riconosce sempre una co-responsabilità della controparte
(denominata come responsabilità passiva), anzi chiede di rendersi responsabile per tale
episodio, in quanto da quel momento esso fa parte del bagaglio indelebile del suo vissuto. Di
conseguenza avrà bisogno di rendersi responsabile di questo fatto nel corso della sua vita,
accettando il suo bagaglio come tale: perché il passaggio da un ruolo all’altro è condizionato
dalla sua capacità di poter sostenere, col passare del tempo, maggiori responsabilità.
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LA VERGOGNA
“A ogni individuo è richiesto di assumersi le responsabilità
empiriche del proprio essere uomo e donna,circoscritte e
definite dal codice Yin e Yang. Non si intendono tanto le
responsabilità nei confronti degli altri, i propri doveri e carichi
famigliari e sociali, ma soprattutto quelli verso se stessi. Si
tratta delle responsabilità conferite dal proprio ruolo empirico,
scoprendole là dove lui non li avrebbe mai sospettate. “.
(8.4. Gramm.dell’Essere )
Quando sono rimasta incinta, la prima sensazione che ho provato è stata di vergogna. La
vergogna di portare la notizia ai miei famigliari, di affrontare le chiacchiere della gente, gli
sguardi e gli ammiccamenti dei passanti. Anche dare la notizia nel mio ambiente scolastico, mi
creava imbarazzo e vergogna, non avevo il coraggio di affrontare i colleghi, i genitori e gli stessi
alunni. Non l’ho confidato alle amiche, perché mi vergognavo di me stessa. Ero andata contro
tutte le regole morali e di perbenismo nelle quali avevo creduto e delle quali mi ero fatta
paladina. Ora avrei dovuto abbassare la testa, dare giustificazioni, chiedere scusa alla mia
famiglia che si sarebbe sentita delusa e umiliata. Mi chiedevo dove potevo nascondermi, per
scomparire durante la gravidanza e riapparire dopo, direttamente con il bambino. Avevo la
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sensazione sgradevole che l’arrivo di un figlio fosse avvenuta senza il mio permesso, senza che
io l’avessi voluto e desiderato, infatti io cercavo solo una storia d’amore.
Un’altra sensazione à arrivata contemporaneamente alla vergogna, l’incredulità che questo
fatto fosse successo a me che non mi sentivo donna adulta e che il mio corpo fosse capace
biologicamente di questo, che fosse così perfetto, visto che lo consideravo brutto e difettoso.
Con la vergogna è venuta a galla una parte profonda di me che si considerava indegna e
inadeguata, piena di convinzioni negative su me stessa e su gli altri.
Comunque, avevo avuto rapporti sessuali con il mio compagno, perché allora cadevo dalle
nuvole? Perché non avevo preso precauzioni?
Per prima cosa pensavo, in buona fede, di essere capace di mantenere saldi i principi ricevuti
dall’educazione famigliare, religiosa, culturale e sociale e che avevo fatto miei: i rapporti
sessuali prima del matrimonio erano moralmente deplorevoli e costituivano una colpa grave
(peccato). Se poi si restava incinta era anche una fonte di vergogna per tutta la famiglia, per
non parlare della società che la bollava come persona “poco seria” per tutta la vita. Benché
non sia mai riuscita a conciliare il sesso con la religione e trovassi esagerate queste posizioni,
tuttavia un principio che trovavo giusto e che difendevo era che bisognava almeno essere una
coppia ed essere innamorati prima di avere un rapporto sessuale e fare un figlio. (Cosa
smentita clamorosamente……)
Un altro fattore importante e molto profondo della mia impreparazione, era che avevo
difficoltà ad instaurare delle relazioni affettivo sentimentali di coppia. Ero così complessata e
mi sentivo così inadeguata che spesso non mi accorgevo nemmeno delle attenzioni degli
uomini; ma ancora più grave era che se mi piaceva qualcuno non avevo il coraggio di espormi,
di mostrare le mie simpatie, di scegliere. Così passavo lunghi periodi, anni interi, infatuata di
qualcuno, non corrisposta, senza una storia d’amore reale, vivendo delle mie fantasie.
Quando poi qualcuno era interessato a me, era necessario che mi corteggiasse a lungo, per
rassicurare la mia inadeguatezza e il mio valore e spesso pur di non stare sola, mi
“accontentavo” (più che scegliere venivo scelta ) .
Invece, in questa situazione avvenne il contrario: tutto fu molto veloce ed io mi ritrovai a
reagire istintivamente, aggirando la mia razionalità e tutti i miei condizionamenti. Le
conseguenze furono che: non conoscevo bene questo ragazzo, non ne ero innamorata e che al
primo rapporto rimasi incinta.
Si, dopo, mi sentivo molto stupida, ingenua, poco furba e previdente ed ero molto arrabbiata
con me stessa !!!!!
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Ero incredula, allibita, come se l’essere incinta fosse dissociato dall’atto sessuale. Ero
completamente dissociata dal mio corpo e dal mio sentire.
Solo il foglio delle analisi diceva “positivo”, ma a ciò non era associata alcuna emozione, né in
campo emotivo, né a livello del mio corpo, era come se fosse un fatto esterno che non mi
riguardasse.
Ero in stato di choc o di anestesia emotiva ?!!! Questo stato,comunque, fu aggravato quando
decisi di dare la notizia al mio partner. Costui era molto spaventato e mi disse chiaramente che
non era pronto, che non era innamorato, mi precisò che non voleva un figlio da me e non si
fece più vedere e sentire. Anche se razionalmente potevo capirlo, le sensazioni che provai
furono terribili. Mi sentivo non amata, ma ancor peggio “ rifiutata come persona e come
donna” e questo ha riaperto tutte le mie ferite di abbandono e di rifiuto che mi portavo dietro.
Per giorni mi ripetevo ossessivamente, dondolandomi avanti e indietro: “ Non lo vuole da
me….!!!!!”
Questa sensazione spiacevole e distruttiva era diventata la cosa più importante, passavo dal
dolore per il rifiuto alla disperazione per questa situazione che non riuscivo a vedere come
positiva e che vivevo nella solitudine e nell’isolamento.
L’angoscia mi attanagliava ed era un turbinio di pensieri contrastanti, di decisioni mutevoli (un
giorno pro e un giorno contro ) e di emozioni dolorose e rabbiose insieme. Piangevo in
continuazione e speravo di svegliarmi e di scoprire che era solo un brutto sogno. In qualche
momento di lucidità presi in considerazione la possibilità di continuare la gravidanza e di
tenere il bambino. Potevo finalmente essere coerente con le mie idee antiaboriste, con le mie
convinzioni morali e religiose e dimostrare a me stessa che non ero così condizionata dalle
critiche e dai giudizi familiari e sociali, ma tutto ciò restava più una dialettica intellettuale che
reale, perché appena prendevo in considerazione questa possibilità, mi tornava il pianto, la
tristezza ed una specie di depressione.
La cosa più incomprensibile restava sempre il fatto di non sentire di essere incinta.
Fisicamente non avevo nessun sintomo e non vedevo alcun cambiamento, la mancanza delle
mestruazioni la sentivo come un guasto ad un meccanismo biologico e non collegata ad un
atto sessuale. Emotivamente non mi sentivo madre e non ho mai sentito che in me stesse
nascendo una nuova vita. Psicologicamente non mi sentivo coinvolta da questo avvenimento
se non in maniera negativa, vedendo unicamente le difficoltà e concludendo che la mia vita era
finita e rovinata.
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Solo intellettualmente capivo che era un avvenimento importante che avrebbe cambiato la
mia vita, ma l’avrei voluto condividere con un compagno che amavo, anche per il bene del
bambino, che vedevo come un infelice e un rinnegato.
Da sola ci voleva molto coraggio ed in me, invece, facevano da padroni la paura, il panico e la
vergogna.
Intanto, nei giorni che seguirono, in mezzo a questa confusione interiore e insieme alla rabbia
contro me stessa (per essere stata così stupida per non aver preso delle precauzioni, per
essere stata così ingenua di aver creduto di poter costruire una storia d’amore, per essere
vigliacca e poco coerente con i miei principi), cresceva il risentimento ed il rancore verso il mio
partner. Mi vedevo ragazza-madre, da sola, con un bambino che avrebbe avuto magari la
faccia di quel bellimbusto che si era dileguato, ma che questo fatto avrebbe tenuto uniti per
tutta la vita e questo non lo volevo proprio! Mi sembrava la perdita della mia libertà, la fine di
tutti i miei progetti romantici, nessun uomo mi avrebbe voluto, considerato e guardato, la
perdita della mia posizione sociale e del rispetto della mia famiglia.
Tutto questo con il passare dei giorni divenne insostenibile e cominciai a prendere in
considerazione l’idea di abortire, per cancellare una situazione non scelta, non voluta. Certo,
conoscevo la posizione della religione nella quale credevo, che lo considerava un omicidio, ne
parlai con un prete che me lo sconsigliò vivamente, io stessa ero convinta che era una
soluzione sbagliata, ma tutto questo non mi dava coraggio, né attenuava la mia angoscia. Alla
fine decisi di abortire, sperando di cancellare un errore, per poter cominciare ad appropriarmi
della mia vita.
Dopo questo, non riuscii a riappropriarmi della mia vita come speravo, perché non ne ero stata
capace neanche prima, ma mi sentii momentaneamente sollevata….e subito dopo appesantita
dal senso di colpa.
Quello che mi apparve chiaro da subito fu l’esagerato senso di vergogna e la paura delle
critiche e dei giudizi della famiglia e della società che mi portavo dietro. Tutto ciò mi colse di
sorpresa, perché pensavo di essere una donna libera ed emancipata, capace di andare a testa
alta a difendere le mie idee di fronte a tutti.
L’atteggiamento che, invece, mi restò incomprensibile fu quello di non sentirmi responsabile
dell’accaduto, come se fossi scollegata dalle leggi di causa ed effetto che governavano il mio
corpo, come se vivessi in un mondo emotivo personale, lontano dalla realtà, alla ricerca
disperata di realizzare soltanto il sogno romantico dell’amore.
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Per non parlare poi di questa “anestesia emotiva” che non mi faceva provare neanche un po’
di emozione e di calore per la crescita di una nuova vita, che per ogni donna credo sia la cosa
più importante e vederne i risvolti positivi.
Mi sentivo solo sciocca e abbandonata e crebbe la rabbia per me stessa che non sapevo gestire
le situazioni affettivo sentimentali e sessuali; per gli uomini che si confermavano poco
affidabili e per la società, perché avevo scoperto che ero piena di condizionamenti che mi
toglievano la libertà.
Giurai di cambiare………..,invece non cambiò niente!!!!!!!!!!
Ora so che: ”…è il nostro stato empirico a condizionare il nostro fare e il nostro essere in tutto
e per tutto. Filtriamo il mondo circostante attraverso le nostre ferite ancora aperte,
provenienti da un passato rimosso e nascosto nelle falde dell’inconscio, ”sguazzando” nei
debiti ancora accesi. Abbiamo sviluppato dei moti compulsivi per gestire le nostre emozioni,
risultato diretto dell’arretrato sistemico.” (3.2 Gramm. Dell’Essere)
QUALI CONSAPEVOLEZZE HO ADESSO DI QUESTI FATTI ?
IL NON ESSERE CRESCIUTA E LA MANCANZA DI RESPONSABILITA’
“Il singolo ha bisogno di far fronte all’intero
ammontare delle proprie responsabilità:
sempre…,dovunque…e in ogni situazione.”
(4.2 Gramm. Dell’Essere )
Non sentirmi responsabile, come fossi una bambina che vive fuori dalla realtà, e non riuscire a
vedere le conseguenze del mio agire è senz’altro indice di mancanza di crescita, di essere
rimasta bloccata nel ruolo della piccola, nonostante l’età adulta.
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Questo succede in correlazione con il debito di base, quando la carica primaria, è debole e si è
sviluppata solo parzialmente, impedendomi di acquisire le qualità più importanti del mio
codice empirico Yin ed è mancata l’acquisizione della carica secondaria paterna che dà forza,
sostegno e contenimento a questa, così non sono potuta entrare nel ruolo della grande e
sentire la forza empirica e la responsabilità della madre. Questo passaggio di crescita mancato,
ha prodotto l’atteggiamento di sentirmi vittima delle situazioni, di non essere consapevole
della gravità delle mie azioni, per aver infranto non solamente le legge dell’ordine empirico,
ma quelle del tabù sistemico d’eccellenza: dare la morte.
Questa mancanza di responsabilità si attua, in maniera inconsapevole, quando non si ha lo
spazio per contenere il dolore di essere colpevole, di aver sbagliato, di essere stata ingiusta.
Dolore che ci farebbe sentire di non essere abbastanza bravi e capaci di vivere la nostra vita,
che ci annienterebbe. Così è molto più facile dare la colpa agli altri, fare la vittima, piuttosto
che affrontare le proprie responsabilità e convivere con il senso di colpa che ne deriva. Ma per
l’ordine empirico non esiste il ruolo della vittima, perché è un ruolo di compensazione che si
attua solo per paura.
Inoltre, il senso di innocenza e di colpa mancato, modifica la percezione della realtà e la rende
immaginaria, togliendo la percezione reale delle conseguenze delle proprie azioni, ma, in
seguito, anche la capacità di riparare a ciò. Infatti, il motivo principale di ogni rimozione è
l’impossibilità di disporre di questo spazio interiore sufficiente per poter contenere il dolore
che la consapevolezza della responsabilità libera. Assumersi il peso delle proprie
responsabilità è, però, la condizione necessaria per evolversi, per crescere, per attuare il
passaggio dal ruolo del piccolo a quello della grande. Così le responsabilità non riconosciute
diventano la causa dei propri malesseri e dei propri disagi. Spesso confondiamo colpa con
responsabilità. Tutte le volte che non si ha la forza di sostenere le proprie responsabilità
empiriche si accumula debito, ci si allontana dal libero fluire e dall’amore. Questo debito si fa
sentire con gli indicatori empirici del vuoto interiore, della rabbia incalzante, del malessere
latente, della paura e della malattia, che influenzano tutte le manifestazioni vitali della
persona . Prima si fanno sentire sul piano psichico - emotivo e poi, quando questo non ce la fa
più, sul piano fisico. Questi atteggiamenti ormai alterati e dominati prima dalla paura e poi
dalla rabbia crescente, condizionano il proprio fare, ogni azione e ogni reazione; influenzano il
proprio stato di benessere o di malessere; si fanno sentire specialmente, nei rapporti affettivi e
di coppia. Ciascuno, riuscendo ad accedere solo in parte ai principi del proprio codice empirico,
attira solo persone alterate ed è sempre la propria parte d’ombra ad attirare il partner. In
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ambito femminile, visto che la rabbia con la metamorfosi empirica cresce col tempo, la
persona tende a diventare sempre più Yang e a sostituire i principi del codice femminile con
quello maschile, aumentando il malessere. Questo ,spesso, viene scambiato come stato di
normalità.
Questa situazione rimane fino a quando la persona non riconosce il proprio debito come reale,
e fino a che non risale alla sua origine, ossia all’evento che inizialmente lo ha generato,
sentendone il dolore e così evadendolo.
ANESTESIA EMOTIVA
“La persona s’illude di “sentire”, ma allo stesso
momento si dispera per tutte le volte in cui,
fidandosi delle proprie percezioni, deve constatare
di essere stato ingannato da sensazioni “sbagliate”.
( 2.8 Gramm. Dell’Essere )
Ora riesco a vedere chiaramente che questa “anestesia emotiva” non è apparsa all’improvviso,
nel momento che ho saputo di essere incinta, ma è sorta molto prima. È cominciata
nell’infanzia per superare il dolore della mancanza d’amore che sentivo da parte dei miei
genitori e si è fissata nell’adolescenza quando, per superare l’angoscia dell’abbandono per
essere stata messa in collegio, ricordo di aver compreso che la soluzione era quella di “non
amare più”, ed ho iniziato dai genitori. Da
quel momento in poi, credo sia diventato un meccanismo di difesa inconsapevole, che si è
allargato ed ha compreso tutte le situazioni e tutte le persone che entravano nel mio campo
affettivo e che potevano costituire una ulteriore possibilità di dolore. Così, già nella giovinezza,
l’anestesia era completa e il mio piano sensoriale alterato. Questo influenzava ogni mia
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relazione con atteggiamenti di chiusura, di controllo, di difesa o di attacco incontrollabili,
facendo aumentare l’allontanamento dal flusso armonico e contemporaneamente togliendomi
la possibilità di riconoscerlo come tale, perché mi faceva perdere il contatto con me stessa e
con la realtà circostante.
Uno dei meccanismi di protezione che ho sviluppato durante la mia infanzia, per non “sentire”
il dolore e attuare questa anestesia emotiva, è stato quello di estraniarmi, sentendomi vittima
incompresa e di ritirarmi nel mio mondo interiore, come un rifugio sicuro, che era, ed è
ancora, il mio spazio di sopravvivenza, dove sono sola e faccio quello che mi piace, dandomi
l’illusione di avere un certo potere, ma che non essendo in contatto con le emozioni, non dà
nutrimento e mi rende lontana dalla “carica oggettiva” di ogni situazione, ma specialmente da
ogni responsabilità.
Contemporaneamente, specie nelle scuole superiori, in mancanza dell’essere presente e del
“sentire”, avvertivo la necessità di sviluppare al massimo l’intelletto, la “mente”. Mi pareva
l’unica arma che mi era rimasta, visto che avevo problemi ad accettare me stessa come donna
e i suoi principi Yin, ed ero piena di complessi d’inferiorità non sapendo come pormi in
relazione con l’altro sesso. Così, pensavo che se non venivo riconosciuta come donna
fisicamente attraente, potevo essere riconosciuta e apprezzata come persona intelligente.
Questo atteggiamento, che ora vedo chiaramente come forma di compensazione, l’ho
utilizzato per avere successo negli studi, per raggiungere l’indipendenza economica, per
affermarmi nel lavoro e me ne sono servita anche come approccio con l’altro sesso, ma con
poco successo.
Interiormente, intanto, imperava il vuoto, il senso di solitudine, il disagio, la rabbia, la tristezza
e la ricerca disperata d’amore che non riuscivo né a dare né a ricevere.
Questi, che sono i segnali d’allarme che l’ordine empirico mi mandava per farmi sentire che la
direzione della mia vita era sbagliata, per me erano così abituali, che li consideravo parte del
mio carattere contro i quali non c’era niente da fare. Così, essendo in contatto solo con la mia
parte ombra, mi sono chiesta mille volte cosa ci facevo in questo mondo pieno di dolore e
spesso mi veniva da urlare: “Fermate il mondo,voglio scendere!”
Ora comincio a essere consapevole che la mia vita era soltanto una continua compensazione e
questo mi procura dispiacere e dolore, insieme ad una grande tenerezza per quella bambina.
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LA MANCANZA DEI PRINCIPI GUIDA YIN
“D’altro canto ogni esponente del gentil sesso
percepisce se stessa come femminile, anche in
presenza di alterazioni evidenti, ognuna ha l’illusione di
essere una “ vera donna”, ma in realtà soltanto poche
donne si trovano nel ruolo di Yin integrata “.
(7.1.4 Gramm. Dell’essere)
Sappiamo che il codice Yin viene “attivato” nell’infanzia dal genitore del proprio sesso, che
“accende le candele” delle qualità Yin che possiede (anima) e così facendo dà il permesso alla
figlia di farle proprie. Accompagnate dalle qualità Yang dal padre che daranno confini e
sostegno a queste (Animus). Da quel momento, però, è necessario che la figlia crescendo le
metta in pratica, nell’agire quotidiano della propria vita. Di conseguenza, se la madre non è
una donna integrata, ma alterata, non può passare la pienezza dell’intero codice Yin alla figlia,
perché non l’ha potuto apprendere neanche lei dalla propria madre. Così succede per il padre,
che per la legge della compensazione empirica nella coppia, è anche lui alterato , e non può
passare la sua carica secondaria correttamente, anche se viene attivata più tardi (dai 30 a 40
anni). Questa situazione, così lontana dall’ordine empirico, crea sofferenza, dolore e debito per
tutti e tre. Cosi la figlia risulta già alterata in partenza, con un “debito di base”, che insieme a
quello dei genitori comprende anche quello tramandato dalla propria stirpe, il quale oltre che
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allontanarla dal libero fluire e dall’amore, la separa anche dai suoi principi guida Yin e la
costringe ad intraprendere la sua metamorfosi empirica personale.
Nell’infanzia e specie nell’adolescenza, quando ho avvertito il rifiuto di crescere per diventare
donna, (già sintomo di una carica Yin debole e di un debito grave), trovavo molto pesanti
alcune qualità femminili di mia madre. La sua pazienza, il non contestare apertamente mio
padre, il senso del sacrificio, la preoccupazione perenne per la famiglia, l’accettare la vita così
come è, con una rassegnazione malinconica, mai gioiosa od entusiasta, l’umiltà e la modestia
nel manifestare le sue qualità femminili, mi rendevano la prospettiva di crescita poco
allettante ed ho giurato di non somigliarle. Così, non essendo consapevole che sono uguale a
lei e che mi ha passato come compito quello di manifestare la rabbia che non è riuscita a
manifestare lei, specie con il mondo maschile, mi sono portata dietro delle convinzioni
personalizzate sull’essere donna e dei suoi compiti, che si sono avvicinate più alle mie esigenze
personali che a quelle dell’ordine empirico.
Queste convinzioni alterate, sono diventate dei veri e propri “handicap emotivi”, che mi hanno
allontanato sempre più dai valori reali del mio codice Yin e hanno influenzato tutti i miei
atteggiamenti, aggiungendo altro debito e creando delle “coazioni a ripetere” incontrollabili e
inconsapevoli. Di conseguenza, è stato influenzato il mio modo di pormi in ogni campo, ma
specialmente i rapporti con l’altro sesso, dove, con l’aggiunta di proiezioni infantili, aspettative
morbose e richieste assurde, ho confuso quasi sempre “dipendenza” con amore. La cosa più
grave è che queste convinzioni e proiezioni le ho sentite come vere e le ho difese come tali.
Invece, per la propria realizzazione ogni persona, anche se alterata, dispone “solamente” dei
suoi principi guida Yin o Yang, che sono le sue “matrici d’eccellenza” alle quali è necessario
tornare. Questo significa che è un diritto e un obbligo per ciascuno appropriarsi del proprio
codice e applicarlo nell’interezza dei suoi principi (luce e ombra), se si vuol trovare
appagamento nei rapporti affettivi e nello stare da soli.
Così: ” Esso costituisce la responsabilità più grande di ogni individuo, indispensabile ai fini del
proprio compito e del suo svolgimento, oltre ad essere la piattaforma empirica per ogni futuro
benessere, serenità e contentezza.” (8.4.4 Gramm. Dell’essere)
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LA RABBIA
“La rabbia, infatti, costituisce sempre e soltanto una
copertura per un dolore non evaso , proveniente
dall’auto-esclusione dall’ordine”.
( 7.2.7 Gramm. Dell’Essere )
Tutte le volte che da bambina sono stata in qualche modo ferita, tradita, umiliata e
abbandonata ho provato dolore, disappunto e frustrazione. Qualche volta ho reagito
immediatamente, ma spesso ero troppo scossa e paurosa per poter rispondere. Così ho
nascosto il dolore e ho fatto credere di non essere colpita, facendo finta di nulla. Invece, il
dolore per tutte le offese subite l’ho registrato e conservato, facendo crescere il mio
risentimento e aspettando l’occasione per farla pagare in qualche modo agli altri. In genere ero
troppo offesa e abbattuta per riuscire ad esprimere il mio risentimento in maniera diretta.
Questo, però, mi faceva sentire impotente e accresceva la mia frustrazione fino a diventare
rabbia che usciva sotto forma di giudizio, di critica e quasi sempre colpevolizzando gli altri.
La mia tattica preferita, per farla pagare agli altri, è stata quella di interrompere il contatto e di
ritirare la mia energia. Riesco a farlo con facilità, con freddezza e con una completa mancanza
di emozioni, come se avessi un interruttore e potessi chiudere con un clic le mie emozioni e il
contatto con l’altra persona.
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Questa strategia di difesa, assimilata in situazioni del passato, nelle quali ha funzionato, è
ormai diventato un meccanismo inconscio che applico anche nel presente e spesso neppure
me ne accorgo.
Può essere che alcune situazioni del passato che non potevano essere cambiate (non potevo
certo cambiare la mia famiglia e la società in cui vivevo), mi abbiano riempito di sensazioni di
impotenza e di rassegnazione e così mi sono creata delle convinzioni personali per
sopravvivere. Spesso mi sono sentita senza potere, senza scelta, senza speranza e non mi
restava che ritirarmi e ritornare nel mio rifugio interiore, sicuro e familiare anche se molto
solitario. Così, piuttosto che mantenere l’impegno con le altre persone e con la vita, sentendo
ed esprimendo il mio dolore, ancora adesso, mi ritiro nel mio rifugio, sentendomi veramente
vittima.
Ma siccome non si può vivere senza amore e senza gli altri, ho notato che sotto questa specie
di falsa rassegnazione di subire la vita, c’è sempre stata una profonda rabbia e una mancanza
di accettazione verso l’esistenza, con un desiderio disperato del mio IO che le cose fossero
differenti.
Oltre alla rassegnazione, da buona vittima che non è capace di prendersi le sue responsabilità,
un altro modo che ho usato per compensare e non sentire il dolore, è stato colpevolizzare.
Questo mi ha fatto sentire bene, perché non ero costretta a mettermi in contatto con la
frustrazione che c’era sotto e non era necessario neanche prendere le responsabilità che il
mio ruolo richiedeva nella situazione, perché potevo addossarla completamente all’altra
persona. Ma sentirmi vittima innocente e senza colpa, ha fatto aumentare sempre più la mia
rabbia.
Mi sono resa conto che, tutte le volte che sono stata compiacente per paura, perché mi è
mancato il coraggio di dire NO, per evitare di confrontarmi con gli altri o per l’incapacità di
mettere dei limiti, è cresciuta la mia rabbia. Certo, inizialmente c’era la paura di perdere
l’amore dell’altra persona o che potesse arrabbiarsi e allontanarsi, ma il prezzo che ho pagato
compiacendo è stato molto alto, perché in tal modo rinunciavo al mio potere, gradualmente
perdevo la mia dignità e questo faceva crescere la mia vergogna , la rabbia e la voglia di rivalsa.
Ora sono consapevole che questi sono stati i sistemi che ho usato di più per proteggermi, per
tenere a distanza o per influenzare e modificare il comportamento delle altre persone o
l’ambiente, al fine di ottenere ciò che volevo. In fondo sono stati la maniera , più o meno
consapevole, con la quale ho praticato i miei giochi di potere per sopravvivere.
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METAMORFOSI EMPIRICA : DA VITTIMA A CARNEFICE
“Il ruolo Yin alterato è il punto di partenza di ogni metamorfosi
femminile, essendo anche il ruolo naturale che ogni donna vive
durante l’infanzia. Esso costituisce il primo livello di degrado
femminile, caratterizzato in ogni ambito vitale dall’assenza del
suo “Animus”.
(Gramm. Dell’essere. 8.1.1 )
Essendo portatrice di una carica primaria Yin (anima) debole ed insufficiente e una carica
secondaria Yang (animus) scarsa e senza forza, data la consegna famigliare non in linea da
quanto previsto dall’ordine, a livello empirico è stato come essere orfana di padre e di madre.
Questo ha impedito che la carica primaria Yin si sviluppasse correttamente, innescando, così, il
meccanismo della “compensazione empirica”. Costringendo la parte Yang a riempire lo spazio
vuoto e creando un codice di base alterato e un femminile debole. La mancanza d’amore
equilibrato, secondo i criteri dell’ordine empirico, mi ha procurato dolore e malessere (o
debito), il quale ha influenzato la mia crescita naturale ed armonica. Non avendo altra scelta,
mi sono adattata alla situazione alterata della mia famiglia, ma, per proteggermi dal dolore, ho
attuato delle “ strategie di difesa” o compensazioni, che hanno influenzato il mio modo di
pormi nella vita. Questa situazione di partenza alterata o “debito di base” porta ad
intraprendere una strada sbagliata e se si continuare a perseverare si aggrava il malessere
psico -emotivo personale. Da qui è iniziata la mia “metamorfosi empirica” che faceva avanzare
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lentamente ma costantemente l’indicatore empirico della rabbia, senza che io ne fossi
consapevole, anche se, insieme ad esso si facevano sentire il senso di vuoto, l’insoddisfazione
costante, il senso di inutilità e di fallimento della mia vita, ma non sapevo proprio cosa fare.
Sono passata da Yin alterata nell’infanzia, dominata dalla paura e senza avere il coraggio di
esprimere la rabbia, sentendomi ”vittima innocente”, a finta Yin dominata dalla paura e
cominciando ad esprimere la rabbia, attuando atteggiamenti da ”vittima rabbiosa passiva”.
Quando mi trovavo nella fase di Yin alterata, ero troppo timorosa per esprimere le sensazioni
di rabbia per essere stata abbandonata, tradita e abusata, così tutta questa energia l’ho
conservata e repressa. Crescendo, pur avendo conservato la memoria di ogni singolo fatto che
mi aveva ferita, ho cercato di dimenticare, di perdonare, volevo essere una persona gentile e
generosa, proprio una brava bambina. Nei momenti in cui venivo colpita da qualcuno o da
qualcosa che avevano detto o fatto, mi chiudevo sentendomi offesa oppure, non potendo
negare di essere stata ferita, trovavo una spiegazione intelligente, quasi di superiorità: “l’ha
fatto senza pensarci”. Ogni atteggiamento da vittima era più facile che confrontarmi con l’altra
persona. Mi lasciavo invadere senza capire cosa stesse succedendo e non avevo il coraggio di
proteggere il mio spazio. Naturalmente non riuscivo a spiegarmi il senso di frustrazione e di
risentimento che crescevano dentro di me. Per molto tempo ho usato queste sensazioni
negative contro me stessa, per distruggere l’autostima e provare vergogna. Ma la quantità di
energia trattenuta era così tanta che spesso si affacciava, anche involontariamente, nelle mie
relazioni, specie con le persone care. Ero ormai entrata nella fase successiva, quella della
“vittima rabbiosa attiva”. Nell’adolescenza, contemporaneamente a questi atteggiamenti di
insicurezza e di paura, non essendo in possesso dei principi del mio codice Yin, non sono
riuscita ad accettare il più importante momento di crescita e ad accedere al passaggio di ruolo:
da quello della piccola a quello della grande. Ho vissuto un periodo molto infelice e stressante,
nel quale ero collegata esclusivamente con il mio lato ombra, non scorgendo nessuno spiraglio
di luce né in me, né nella vita. Credo che, proprio per sopperire a questo atteggiamento, la
legge della compensazione empirica abbia fatto avanzare l’indicatore empirico della rabbia e
così la metamorfosi ha continuato il suo cammino e c’è stato il passaggio da donna finta Yin a
quella finta Yang. Una “vittima rabbiosa attiva” che per superare la paura di sentirmi ancora
vittima, passavo in momenti alterni dalla paura alla rabbia, che ora riuscivo ad esprimere, da ”
vittima a carnefice”, sentendomi giustificata e innocente. Mi sono resa conto, specie nella
giovinezza, che con l’accumulo delle delusioni e dei fallimenti sentimentali, la rabbia cresceva
sempre di più e in molti casi mi precedeva nelle reazioni. In quel periodo mi sentivo proprio
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una vittima rabbiosa e secondo me ne avevo tutte le buoni ragioni. Alternavo momenti nei
quali mi sentivo vittima impotente ad altri in cui il risentimento aveva il sopravvento. Secondo
me, avevo subito anche troppo ed ora era arrivato il momento di dire : “Basta!”
Questa per me era diventata una parola magica: prima accumulavo malintesi, delusioni,
frustrazioni e rabbia, senza mai chiarire, quando poi arrivavo al limite e pronunciavo dentro e
fuori di me “Ora basta!”, chiudevo l’amicizia o il rapporto sentendomi offesa, tradita e vittima.
Non mi sentivo mai veramente responsabile, né tanto meno consapevole di portarmi dietro
tutte le aspettative e le proiezioni infantili, così la colpa ricadeva quasi sempre sugli altri.
Spesso mi trovavo a fare la crocerossina, la salvatrice, perché attiravo amicizie o compagni che
avevano bisogno di aiuto per risolvere i loro problemi e questo inizialmente mi piaceva tanto e
mi faceva sentire buona. Ma quando, passato il momento del bisogno, scomparivano o non
erano riconoscenti, ero assalita dalla delusione e dalla rabbia. Così ho dovuto ammettere che
non era bontà, ma un modo nascosto per essere accettata dagli altri e un modo di acquistare
potere e controllo su di loro. Il ruolo che mi è riuscito meglio è stato quello della “maestrina”
che insegna, dà consigli, controlla, gestisce, giudica, punisce e disapprova. L’ho applicato, oltre
che nell’ambiente di lavoro, anche nel rapporto con gli altri, con i familiari, con i partner e nella
vita di tutti i giorni, come una deformazione professionale. Il campo, però, dove non riuscivo a
gestire la rabbia restava quello delle relazioni di coppia. Ogni volta che veniva stuzzicata una
mia ferita, l’altra persona diventava il bersaglio di tutta la mia rabbia repressa. Ciò che veniva
fuori era una sfida continua e una gran voglia di rivalsa. Riuscivo ad usare in maniera raffinata
ma mortale, l’abuso verbale, i dispetti, gli atteggiamenti di insofferenza o di
accondiscendenza, con molta facilità l’esclusione, il silenzio e l’indifferenza. In modo lento ma
costante aspettavo che l’altro sbagliasse per poterlo demolire e per dimostrare a me stessa e a
loro che era vera una mia convinzione che col tempo era cresciuta e si era radicata : “Che in
fondo gli uomini non valgono niente!”. Con queste generalizzazioni, che da fatti e persone
singole, col tempo ho amplificato comprendendo tutta la categoria degli uomini, credo di
essermi avvicinata molto alla fase della donna Yang, del perfetto carnefice e della “giustiziera”.
Quando succede che uno di loro sbaglia o che le donne vengano maltrattate, io sento nascere
una rabbia immensa, acquisto potere e mi sento la “giustiziera” (carnefice è troppo crudo per
una persona “sensibile e buona “come me !), come quella persona incaricata dalle altre donne
di mettere ordine, di mettere a posto gli uomini. Qui sento che la rabbia sta diventando rivalsa
e odio, il dolore sta diventato disperazione, perchè sto perdendo la “speranza” e sto arrivando
a coinvolgere anche l’anima che fino a questo momento era riuscita a restare indenne da
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questo processo di degrado. Credo che solo questo cammino di consapevolezze intrapreso con
l’Approccio Empirico mi abbia salvato o reso consapevole del pericolo dell’avvicinarsi
dell’ultimo passaggio della metamorfosi empirica quello “ dell’inquinamento dell’anima”.
LA SINDROME DELLA “GIUSTIZIERA”
“Alla donna Yang, ossia la guerriera, l’amazzone, colei che si è
impegnata nella difesa di ciò in cui ha scelto di credere,
l’arrendersi è impossibile, tanto quanto affidarsi o il lasciare
spazio a qualcun (o qualcos’altro) al di fuori di sé.
(8.1.3 Gramm. Dell’Essere)
L’anno scorso, in una serata fredda e nebbiosa dei primi di dicembre, nel centro storico di
Ferrara ho incontrato un corteo che manifestava contro “la violenza sulle donne”. Sfilavano in
silenzio, nella nebbia fitta, con delle lunghe fiaccole. Subito ho provato simpatia. Per un po’
sono rimasta spettatrice, ma poi mi sono accodata : mi sembravano troppo poche per una cosa
così grande! Che bella sensazione…, mi sentivo a casa…, completamente a mio agio!
In quella serata buia, di nebbia fitta, con quelle fiaccole che creavano un alone lattiginoso
attorno alla figura delle persone, in quel contesto ambientale storico medioevale, si era creata
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una atmosfera speciale, attuale e antica allo stesso tempo, come se fossimo regredite nel
tempo. Questa energia particolare era così palpabile, che anche le altre donne la avvertivano,
tanto che una signora vicino a me esclamava sotto voce: ” Che bello…è come partecipare ad
un rito proibito!”
Aggiungo io: “Si…come fossimo delle streghe!!”
Le altre donne che sentono, sorridono….
Intanto, una ragazza giovane che mi passava vicino, mi porge la sua fiaccola dicendo: “Ho
bisogno di rientrare per chiudere l’ufficio, vuoi la mia fiaccola?” Rispondo di sì con gioia e
gratitudine.
Con questa torcia in mano, lunga e luminosa, ho provato un brivido, mi sembrava di avere in
mano una spada di luce. Ero nel posto giusto, potevo aiutare a difendere le donne e “fare
giustizia!!!” Mi sentivo forte e potente: ero entrata nella mia “agency”, quella della salvatrice,
della giustiziera e non ero da sola, avevo trovato un gruppo di persone, per la maggior parte
donne che la pensava come me! Quando è terminata questa cerimonia, ho chiesto gli indirizzi
di queste associazioni, per poter collaborare con loro e dare il mio contributo.
Sono tornata a casa contenta ed emozionata, ma subito dopo, dentro di me sono iniziate delle
oscillazioni, sentivo due voci contrastanti.
- Che bello…sono proprio contenta!
- È troppo forte quello che hai sentito!
- Posso essere utile!
- Aiuto e sostegno non sono desiderio di giustizia!
- Hanno detto che mi aspettano!
- Hai ancora troppa rabbia! Come fai ad essere obiettiva e a non proiettare i tuoi disagi e la
rabbia che hai ,specie, con gli uomini?
- Visto che ne sono consapevole non ci cadrò e sarò attenta…..!
- Non potrai controllare l’energia e la rabbia, che anche involontariamente, usciranno dai
tuoi occhi, dalle tue mani, dai tuoi gesti, dal tuo corpo, dal tuo cuore!!!
- Forse è vero…,ma…
- Ma…, non è compito tuo fare giustizia!
- Qual è il mio compito?
- Pensaci….
- Non lo so ….,le donne in difficoltà hanno bisogno anche di me!
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- La spada di luce della giustiziera non ti appartiene!!! Come mai non riesci a dirlo a te
stessa e a deporre le armi?
- Se mi togli questa spada, che mi dà forza, cosa faccio?
- Allora la vuoi per te stessa, per avere forza e non per le altre donne! Lo fai per te, perché
se togli questo atteggiamento non sai cos’altro fare!
- Cosa c’è di male nell’aiutare gli altri?
- Così viene fuori, ancora una volta, che non hai chiaro qual è il tuo compito nella vita…!
- Mi sento pure buona, altruista, di sostegno. Mi sembra di mettere in pratica delle qualità
di cura e di accoglienza che a loro servono!!
- In parte è vero, ma quando succede di indirizzare tutte le energie verso un solo obiettivo
esterno per realizzare te stessa, è esagerato, è fuorviante!
- Io le posso capire, sono donna come loro. Mi sembra che nell’aiutare gli altri ci sia
comprensione, apertura di cuore, amore!
- Questo è un bisogno esagerato, ti stai identificando in loro, è una compensazione alla tua
rabbia per quelle ingiustizie, che tu ritieni che la vita e gli uomini ti abbiano inflitto!
- E anche se fosse…,loro sono state veramente maltrattate…e solo tra donne riusciamo a
capire cosa vuol dire veramente…!
- Hanno bisogno di cura ed accoglienza, di comprensione, di sostegno e d’amore ed invece
tu pensi che abbiano bisogno di giustizia!
Dice Michel: ”E’ sintomo di un degrado avanzato quando la donna scambia la propria brama di
giustizia e le attitudini da salvatrice con forza e nobiltà d’animo.”
Solo il mio cammino di consapevolezza era riuscito ad insinuare dei dubbi su quello che sentivo
e che istintivamente avrei fatto. Ho rinunciato per il momento a questo progetto, fintanto che
non risolverò i miei problemi e non integrerò queste energie di rabbia e di giustizia personali.
COME HO SCOPERTO LA “SINDROME DELLA SALVATRICE” ?
Durante il seminario del “potere della rabbia”, quando ho tirato fuori il risentimento e la
rabbia nei confronti di mio padre, ho avuto delle strane percezioni.
Mi sono sentita bambina e mi sono vista sull’uscio di casa che gli gridavo: “Vai via da questa
casa! Quando arrivi tu …,arriva la paura,…il disagio…il terrore ! Rovini sempre l’atmosfera di
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serenità che la mamma, sorelle e zia riescono a creare quando non ci sei!” E continuavo a
mandarlo via urlando.
Questa visione mi ha portato, oltre la meraviglia, tante domanda e nuove consapevolezze. Era
come se già da piccola, mi fossi assunta il compito di difendere la casa, la famiglia e soprattutto
mia madre. Era chiaro che non riconoscevo a mio padre il ruolo di “padre”, di guida, ma
specialmente di “marito” di mia madre. Questo, inoltre, significava che non occupavo il posto
giusto nella famiglia, come figlia. Mi ero arrogato il diritto di difendere mia madre, cosa che mi
sembrava non richiesta da nessuno. Dopo questa presa di coscienza, sono venuti fuori anche i
motivi di tale atteggiamento. Ero convinta che mio padre non fosse la persona giusta per mia
madre, perché, secondo me, tra loro non vedevo amore e li vedevo uniti solamente dalla
preoccupazione di portare avanti la famiglia. In particolar modo, mi sembrava che non
venissero riconosciute, in nessuna occasione, le qualità di mia madre. Lei che si prodigava così
tanto per tutti i figli, per la casa, per i vicini e per i parenti. Così paziente, silenziosa e calma,
sulla quale si poteva contare. Per me era perfetta e non capivo perché mio padre non la
venerasse. Così arrivai alla conclusione: “Questo uomo non la merita !”
Come potevo così piccola essere arrivata a queste convinzioni che, per di più, non
riguardavano il mio ruolo di figlia?
Ora so che tutto è dipeso dal “debito di base”, trasferito ai figli attraverso la consegna
famigliare unita a quella della stirpe, della quale gli stessi genitori sono portatori responsabili e
vittime nello stesso momento.
Per l’ordine empirico, ogni situazione ha delle responsabilità specifiche a seconda de l” ruolo
empirico” delle persone interessate e quello della madre e del padre è uno dei ruoli più
importanti. Ogni genitore può passare al figlio solo le qualità Yin o Yang che ha ricevuto dai
propri genitori e non una di più. Così mia madre, che in questo caso rappresentava per me la
carica primaria Yin, e mio padre che rappresentava la mia carica secondaria Yang, non essendo
integrati, mi hanno potuto passare solo una carica primaria debole e una secondaria scarsa,
perché era ciò che avevano ricevuto dalla discendenza femminile e maschile della propria
stirpe. Così, mia madre ed io, ci siamo ritrovate a dover integrare con la carica Yang la parte
mancante e con la metamorfosi empirica diventare prima finta Yin e poi finta Yang.
Certo, mia madre ha cercato in buona fede, di fare il meglio che poteva, dare l’amore che
conosceva anche se era ansioso e invadente, curare e accogliere i figli con modi che creavano
dipendenza, ma solo il fatto che fosse la sola responsabile dell’educazione dei figli e
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dell’andamento della casa, la portava per necessità e per scelta, a prendere delle decisioni o a
dare delle regole (che spettano al padre) e ad amministrare l’andamento dell’intera famiglia.
D'altronde, quando mio padre il fine settimana rientrava, non sembrava molto interessato
all’andamento della famiglia, (credo che fosse molto sicuro delle cure di mia madre), era ben
contento di questa divisione dei compiti e responsabilità. Lui era proiettato sempre all’esterno,
lavoro, affari e politica.
Per me erano una “coppia invertita”, lei finta Yang e lui Finto Yin.
Quello che io sentivo, dietro questa donna schiva, riservata e un po’ severa, era una grande
ansia e preoccupazione e gli atteggiamenti di mio padre li trovavo, spesso, poco responsabili.
Evitavano di discutere davanti a noi figli, ma dopo che andavamo a letto, si sentivano discutere
in cucina e mio padre alzava spesso la voce. Questo mi spaventava molto, quello che avvertivo
era la rabbia di mio padre e la remissività di mia madre. Questo mi dava un senso di ingiustizia.
Mi sembrava che lei non fosse capace di difendersi da sola, mi sembrava che avesse bisogno di
aiuto. Ed io mi sentivo dalla sua parte e pronta a difenderla. Questo è il punto cruciale, che ha
creato debito per entrambe, perché come madre era necessario che lei si assumesse la
responsabilità e la forza di difendersi da sola e di gestire il rapporto di coppia integrando la sua
rabbia repressa. In fondo, con il suo atteggiamento troppo remissivo è come se avesse passato
a me la sua rabbia e demandato il compito di mettere a posto io le cose, specie il rapporto con
gli uomini.
Ora il compito è mio, sia di accettare responsabilmente questa eredità da parte della stirpe
femminile dalla parte materna, sia quella di integrarla per poterla evadere, accettando tutto il
dolore che si nasconde dietro questa rabbia atavica, per potermi riavvicinare con un
atteggiamento nuovo di rispetto e stima al mondo degli uomini e tornare ,così, al libero fluire e
ai principi del mio codice Yin, acquistando serenità e leggerezza.
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IL SI CONSAPEVOLE
“Una delle responsabilità empiriche più rilevanti per l’uomo è
quella di saper dire di SI. Ciò che a molti sembra la cosa più
scontata, in realtà costituisce uno scoglio notevole per la
maggior parte delle persone. Il sistema differenzia,infatti, tra il
SI consapevole - basato sempre su un moto cosciente – e tra
una affermazione che nasce come scelta di paura.”
(4.5 Gramm. Dell’Essere)
Dire i SI consapevoli vuol dire innanzi tutto aprirsi, accettare, avere fiducia.
Aprirsi verso se stessi, gli altri, il mondo, la vita. Ma aprirsi fa paura, perché possiamo essere
feriti. Allora prima di saper dire i SI consapevoli, è necessario saper dire i NO consapevoli. Per
saper fare ciò, però, è opportuno saper mettere dei limiti, non lasciarsi invadere e non
invadere quelli degli altri. Questo presuppone che ciascuno conosca i propri confini, che
conosca il proprio valore, che possieda l’autostima e che abbia acquisito già un certo potere
personale. Cosa non ovvia, perché questo viene conferito soltanto se la persona è radicata nel
suo codice empirico Yin o Yang. Solo allora possiede la forza che lo fa passare dal ruolo del
bambino a quello dell’adulto.
Tutti passaggi obbligatori che io non avevo realizzato.
Tuttavia, questo dilemma tra la voglia di aprirmi e la paura, che mi ha fatto attuare strategie di
chiusura o che ha fatto sì che tutti i tentativi di apertura restassero solo dei buoni propositi, è
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stato presente in tutti i momenti più importanti della mia vita e che ora, in questo momento di
crescita personale, non posso più ignorare.
Mi sono resa conto che non conoscevo i miei confini e non conoscevo quelli degli altri. Mi
lasciavo invadere per paura di mettermi in contrasto con gli altri, diventavo accondiscendente
per paura di sbagliare, non sapevo parlare a mio sostegno, facendo crescere, così la vergogna e
la rabbia. Ho detto tanti SI automatici per paura di perdere l’amicizia, l’attenzione, l’amore e
quindi i SI diventavano un atto di chiusura più che di apertura. Tutto questo è avvenuto, il più
delle volte, in maniera inconsapevole, perché non conoscevo il mio valore, il rispetto per me
stessa, non avevo autostima e stavo negando spazio all’espressione del mio IO, che invece, nel
suo essere più profondo, richiedeva il rispetto di sé che gli dà la forza e la consapevolezza della
propria dignità.
Forse, mi sono detta, ho bisogno di ricominciare dai NO consapevoli. Ma purtroppo, mi sono
resa conto che non sono capace di sostenere neanche quelli, perché la brava bambina che c’è
in me, sta proprio male se è costretta a scegliere responsabilmente, si sente “cattiva”, si sente
in colpa, è convinta di offendere qualcuno, di procurare dolore e non vorrebbe che ciò venisse
attuato nei suoi confronti. Le volte che sono riuscita ad esternare i miei NO, più che
consapevoli e amorevoli, sono stati rabbiosi , furibondi e conclusivi. Come mai?
Da bambina i miei confini non sono stati rispettati e così non ho appreso la capacità di
rispettare né i miei, né quelli degli altri. Anzi ero convinta che per sopravvivere era necessario
prendermi cura di me stessa e proteggermi. Così questi meccanismi di difesa sono stati
completamente inconsci e hanno portato a invadere e ad essere invasa. Si aggiunge poi, che
durante l’adolescenza, forse perché non ero in famiglia ma in collegio, non ho avuto il coraggio
e le occasioni per difendere le mie convinzioni, le mie scelte, la mia creatività, i miei talenti, il
mio mondo, i miei primi amori, né tanto meno deludere le aspettative dei miei genitori. Così
non c’è stata questa contrapposizione, questo passaggio obbligatorio che aiuta ad entrare nel
ruolo della grande. Infine, si aggiunge il fatto che a causa del debito empirico “di base”, non
ero in contatto con i principi del mio codice Yin e non avevo la capacità di sostenere né le
qualità femminili previste da questo codice, né quel senso di colpa, quel dolore che si prova a
dire i NO consapevoli, “ a deludere i propri genitori e rischiare di nuovo l’abbandono e il loro
rifiuto, ma che aiuta a fare scelte autentiche e personali. “
Come si fa ad imparare a rispettare propri limiti e quelli dell’altro?
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IL NO CONSAPEVOLE
“Ogni avvicinamento alla zona d’ombra esige
l’abbandono del proprio stato di innocenza,
costringendo la persona ad accostarsi al proprio
arretrato empirico.
(4.26 Gramm. Dell’Essere.)
Nel mio personale progetto di recupero, per saper dire i NO consapevoli e rafforzare il rispetto
di me stessa, ho avuto bisogno di acquisire due consapevolezze fondamentali: la prima è
riconoscere quando sono invasa e la seconda è stabilire i miei confini. Il saper riconoscere
quando sono invasa, ha richiesto un ritorno a me stessa, al mio “sentire” anche se ancora
alterato e anestetizzato, ma specialmente alla fiducia nel mio corpo. I suoi segnali di malessere
o di benessere, anche se ancora attutiti da anni di disattenzione, sono chiari e semplici e posso
fidarmene. Certo, la mia mente imperante crea interferenze e cerca di confondermi, ma sto
imparando a darle meno importanza e ad ascoltare con un’attenzione consapevole e senza
giudizio, in quali parti del mio corpo sento le emozioni e affidarmi alla sua innata saggezza.
Ristabilire la natura dei miei confini, invece, è stato più difficile di quanto pensassi. Mi sono
chiesta quali atteggiamenti degli altri mi lasciano profondamente offesa e oltre a scoprire che
vengono stuzzicate, quasi sempre, tutte le mie ferite del passato, sono rimasta meravigliata nel
vedere quanti atteggiamenti e quante piccole cose sono comprese. Anzi, mi è servito per
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capire quante volte, in modo più o meno consapevole, sono stata io che ho invaso gli altri.
Questi sono i più comuni: non ascoltare quando qualcuno parla, interrompere o avere un
atteggiamento di sufficienza, lasciare aspettare qualcuno a lungo, non mantenere gli impegni,
prendere qualcosa senza chiedere, dare consigli e giudizi non richiesti, decidere per gli altri,
risolvere i problemi degli altri, voler avere ragione, voler avere sempre l’ultima parola, dare
sempre la colpa agli altri, e così via.
Imparare di nuovo i miei confini e farli rispettare da me stessa e dagli altri è un processo
appena iniziato (meglio tardi che mai!) e si prospetta molto faticoso.
Mi porto dietro una specie di imperativo categorico che “devo essere sempre e in ogni caso
buona” e che questo significa non disturbare, non creare problemi, lasciar perdere, pensare
per primo alle necessità degli altri, essere gentile, comprensiva e saper perdonare. Queste
convinzioni, conseguenza dei condizionamenti famigliari, sociali e religiosi, ho scoperto essere
solo una copertura per il mio senso di colpa, di abbandono e d’inadeguatezza e indicano che
l’autostima è molto bassa e il debito empirico è molto grande. Ormai, però, questi
atteggiamenti me li porto dietro ed è difficile cambiarli e spesso, anche esserne consapevole.
Tutto ciò mi ha portato a confondere spesso educazione e rispetto con paura; gentilezza a tutti
i costi con il senso di colpa; il non riuscire a fare la differenza tra essere accogliente ed essere
accondiscendente; tra un vero farsi valere e la preoccupazione di fare del male; tra una sana
rabbia e un atto di violenza ingiustificato. Mi sono accorta che mi sono sentita sempre in colpa
o che ho provato vergogna quando ho cercato di mettere dei confini o affermare me stessa,
non ne avevo la forza. Quando mi sono sentita ferita, non c’è stato spazio per le
consapevolezze, le mie reazioni sono state: o di rabbia o di compiacere o di ritirarmi, mai di
chiarimento e di confronto responsabile, onorando i miei impegni con me stessa e con gli altri.
C’era una parte di me che si aspettava (o meglio che pretendeva) che gli altri, specialmente
quelli che mi erano più vicini, fossero sempre sensibili, giusti e onesti nei miei confronti e
quando non lo erano mi sento tradita. Come se andassi in giro con queste aspettative infantili
e non ammettessi che il mondo non è sempre così. (Ammettere il contrario, sarebbe stato
troppo doloroso e pericoloso). Come se non avessi avuto la forza interiore necessaria per
sentirmi una persona in grado di affrontare la vita e vedere chiaramente ogni situazione per
quella che è. Come se regredissi e non avessi il coraggio di assumere la “responsabilità” di
essere pienamente consapevole.
Credo che il debito empirico sia questo, il nascondere qualcosa perché ci procura dolore e non
volerlo vedere per quello che è. La voglia di restare innocente e di non crescere, mi ha portato,
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inevitabilmente, a restare nel ruolo empirico della vittima, della bambina che subisce e che
quindi può solo difendersi. Dominata dai sogni romantici riguardo la coppia, dalle aspettative
infantili riguardo alla felicità, dai capricci riguardo alle scelte, dalle pretese di avere tutto e
subito, altrimenti li punisco ritirando la mia energia o escludendoli. Perfettamente
inconsapevole e fuori dalla realtà oggettiva, mi sono aggirata nel mondo piena di paura e di
rabbia, facendo aumentare il mio debito empirico, e cadendo dalle nuvole quando scoprivo
che molte aspettative venivano deluse. ” Di certo non è colpa mia…..,io ho messo tutta la
buona volontà!”, questo mi sono sempre detta, delusa, triste e arrabbiata. Nella coppia poi, il
problema dei confini e delle responsabilità è sempre stata una questione molto confusa. Mi
lasciavo lentamente invadere, confondendo l’invasione con amore e contemporaneamente
invadevo per dimostrare che amavo. Il concetto di intimità mi era (e mi è ) perfettamente
sconosciuto e anche quello di Amore vero. Quando avevo fiducia nella persona accanto, il mio
atteggiamento era un invito all’invasione e cercavo di resistere, senza mai chiarire, fino a
quando mi sentivo soffocare. Quando, poi, l’altra persona aveva fiducia in me, ne approfittavo
per cercare di cambiarlo, facendo di tutto per portarlo verso le mie aspettative. Purtroppo,
non funzionava in nessun modo e quello che arrivava era uno scontro continuo, recriminazioni,
rabbia e dolore. Alla fine conclusi che se la relazione di coppia significava sempre malessere e
dolore, la cosa non mi interessava e anche ammettendo che le responsabilità fossero mie, ciò
indicava che io non ero adatta per la vita di coppia. Credo di essere passata, delusione dopo
delusione, dalla co-dipendenza all’antidipendenza, senza sapere che erano le diverse facce
della stessa medaglia: la paura di amare. Ancora non sono capace di cambiare questi schemi,
ma il fatto che riesco a vederli e a sentire che dietro queste mie difese c’è molto dolore,
comincia a rendere la cosa differente. Per molto tempo ho usato il NO solo come difesa, come
paura, come chiusura, come espressione del mio bambino ferito, mortificando anche
l’espressione del mio IO, della mia creatività, dei miei talenti, delle mie qualità Yin e questo ha
fatto crescere la mia rabbia e la voglia di rivalsa verso gli altri e gli uomini in particolare. Solo
dopo essermi data il permesso di tirar fuori e di dare espressione a tutta questa energia
repressa (con i seminari sulla rabbia), ho cominciato a prendere in considerazione e a vedere la
differenza con il NO consapevole e amorevole che è capace di sostenere le proprie scelte con
una forza-calma, senza sfida, derivata dall’aver acquisito autostima e potere personale. Ora
sono consapevole che il rispetto di sé non dipende da come siamo nel rapporto con gli altri, ma
da come siamo nel rapporto con noi stessi: dall’avere il coraggio di esternare la nostra
vulnerabilità e condividere il nostro dolore.
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ALLEANZA CON LA RABBIA
“Soltanto chi ha acquisito prima il proprio potere
personale, avendo stretto alleanza con la rabbia, può
applicare in seguito strategie d’apertura.”
(4.6.Gramm. dell’Essere)
Questa frase “alleanza con la rabbia” mi riporta indietro ai seminari sulla rabbia, dove ho preso
consapevolezza del potere della mia rabbia. Nei primi seminari, dove era richiesto prenderne
contatto, io la negavo, facevo proprio fatica a sentirla. Mi ripetevo convinta : “Ma io non sono
arrabbiata con nessuno..,io ho perdonato tutti !”
La prima consapevolezza che mi arrivò fu che ero molto arrabbiata con me stessa.
La seconda fu quella di ammettere che ce ne era anche per gli altri, ma che non mi consideravo
degna di esprimerla. Manifestarla voleva dire infrangere tutte le regole della buona
educazione, che io da “ brava bambina” avevo sempre seguito.
Quando veramente mi concessi il lusso di contattala, ce ne era per tutti e quando riuscii ad
esprimerla, mi resi conto che era una rabbia furiosa, distruttiva, omicida, che avevo voglia di
urlare tutta la rabbia del mondo (e urlai così tanto che da allora non ho più sofferto di mal di
gola ), ma che nello stesso tempo mi faceva sentire sollevata e forte ( ho provato la sensazione
come se mi potessi sollevare da terra, perché tutto il mio corpo era energia).
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Dopo queste esperienze, la piccola che c’è in me ha scoperto che ha il coraggio di vincere la
paura, il coraggio di esporsi, di manifestare chi è. Inoltre, che può affrontare il fuoco della
rabbia senza ridursi in cenere e, cosa più importante, senza perdere la vicinanza e la stima
delle persone care.
Fino ad allora conoscevo soltanto la sensazione di risentimento e di rancore che da la rabbia
repressa, che distrugge ogni tipo di relazione, oppure quello di essere “portata via” dalla
rabbia, e questo mi faceva paura, perché quando questo succedeva, specie nelle relazioni,
creava uno scambio di accuse e l’allontanamento o la rottura completa del rapporto.
Alla fine del percorso sulla rabbia, quando c’è stata la sua integrazione e trasformazione come
forza vitale, sono arrivata alla consapevolezza che, avendo tutta questa energia, potevo usarla
in maniera propositiva, come mia alleata, potevo fare…anche niente, perché non avevo più
bisogno di dimostrare nulla a nessuno, sapevo che c’era e ci potevo contare. Questo mi ha
dato un certo potere personale, come una calma e uno spazio interiore per dire i NO motivati,
anche se ancora difensivi, per cercare di sentire e di bloccare le situazioni dall’esterno appena
si verificano.
Con queste nuove consapevolezze, sto cercando di affrontare la paura di porre dei limiti, di
dire i NO consapevoli, anche se possono far male, rischiando che qualcuno si allontani, pur di
imparare ad amare e rispettare me stessa.
So che il vero potere personale viene raggiunto quando si è in grado di sentire il dolore che c’è
dietro la rabbia e si è capaci di esprimerlo e condividerlo, restando aperti e mostrando la
propria vulnerabilità. Ma, ancora adesso, quando mi arrabbio, non riesco a darmi il tempo di
sentire niente, né il dolore e tanto meno di esprimerlo e condividerlo. La mia bambina ferita
non ha spazio, né pazienza.
Sto provando, con gli amici e i familiari, a rimanere aperta e a condividere le mie sensazioni
quando mi sento invasa e non rispettata, ma questo per me è molto difficile, perché la
tendenza è quella di chiudermi e di chiudere fuori da me l’altra persona.
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L’INCLUSIONE : INTEGRARE L’OMBRA
“Questo principio di completezza si rivela da sempre
come scomodo per l’uomo, il quale accetta soltanto ciò
che riconosce come conveniente. Tale forza empirica
contiene tutto ciò che egli teme per sua natura,
essendo l’opposto di ciò che ha scelto come benefico o
amabile”.
(4.22 Gramm. Dell’essere )
Saper dire di NO non basta, la meta finale è quella di arrivare al SI consapevole, al SI
responsabile, al SI che guarisce.., che fa ritornare al flusso della vita, a quello del flusso
armonico dell’ordine empirico e all’Amore. Per iniziare questo cammino è stato necessario
ricominciare dall’integrare le parti di me rinnegate, la mia ombra Yin con il predominio della
paura e della tristezza e avvicinarmi all’ombra Yang della spinta rabbiosa, con una alleanza
genuina con la rabbia, che dà forza e sostegno. Per iniziare a fare ciò è stato necessario
rivedere i fatti più importanti della mia vita, scoprire gli auto boicottaggi che mi sono data,
rimettermi in contatto con il mio“ sentire”,con le emozioni bloccate, con i sentimenti nascosti
e smascherare i falsi tabù, i bisogni infantili e le convinzioni alterate.
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ACCETTARE IL MIO CORPO
La prima parte da me rinnegate è stato il mio corpo. Per tornare al mio “sentire” è stato
necessario, innanzi tutto, riascoltare il mio corpo, il mio respiro, il mio cuore (che sento poco),
la mia pancia e sentire le sensazioni di benessere o di malessere che arrivano da esso.Il
rapporto con il mio corpo è stato sempre conflittuale e sono stata sempre piena di complessi e
di tabù personali. Riflettendoci bene,non ho mai avuto un rapporto sano e genuino con esso,
non sono mai stata consapevole della sua importanza, ho visto solo i difetti e non l’ho mai
veramente accettato, rispettato e amato. Ho cercato di curarlo e di rispettarlo per
convenienza, per non provare il dolore della malattia, per non vederlo debole, per non
dipendere dagli altri. Non l’ho mai considerato come espressione visibile di chi sono, della mia
personalità, della mia femminilità, della mia anima. Anche nella giovinezza, non ho vissuto in
maniera consapevole le varie parti del mio corpo, anzi in molti momenti importanti e cruciali,
ero completamente dissociata da esso. In genere ho dato più importanza alla testa, al cervello,
alla mente più che al corpo. Queste consapevolezze, ora, mi procurano dispiacere e mi fanno
provare tenerezza per lui. Lo voglio ringraziare, perché, dopo tutto quello che gli ho fatto
passare, è ancora forte, resistente e sano. Gli sono riconoscente, perché mi ha sostenuta e
portato in giro anche quando ero triste, depressa e disperata. È come se fino ad ora sia stato
lui a sorreggere me, a portarmi a contatto con gli altri e riportarmi a casa, senza che io lo abbia
mai riconosciuto come un amico saggio e prezioso. Anzi, negandogli amore da parte mia e
impedendogli spesso di riceverlo dagli altri, mortificandolo. Peggio, mi sono portata dietro
convinzioni e pregiudizi che dare attenzione al corpo era a discapito dall’anima, che dargli
piacere non era spirituale, che i due aspetti che la natura ci ha dato erano inconciliabili e
bisognasse scegliere. Ora mi rendo conto che è stata una grande mancanza di responsabilità e
di rispetto nei suoi confronti. Segno di un grande debito empirico e di mancanza di
collegamento con i principi del mio codice Yin, che mi hanno vietato di intrattenere un
rapporto sano e genuino con il mio corpo.
ACCETTARE ME STESSA
Un altro aspetto che, contemporaneamente al corpo, è stato necessario affrontare, è stato
quello di accettare me stessa, le mie debolezze, i miei atteggiamenti, i miei errori, la mia vita,
la mia famiglia e dire SI ai miei sentimenti, cercando di integrare quelli che non voglio sentire,
specie il dolore, il senso di colpa e di inadeguatezza che costituiscono parte della mia Ombra.
Amare me stessa, accettarmi ed apprezzarmi così come sono e perdonarmi, non è stato e non
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è ancora una cosa semplice, ma è necessario se voglio aprirmi agli altri e trovare armonia,
serenità e appagamento. Ritrovare me stessa è una responsabilità che spetta solo a me e
voglio provarci.
Finora è stato molto più facile riversare attenzione e amore per il prossimo, ci ho provato
facendo la crocerossina, la salvatrice e la giustiziera, pur di avere dall’esterno tutto ciò che non
davo a me stessa: riconoscimento, attenzione e potere. C’è voluto molto tempo per mettere in
dubbio alcune convinzioni molto radicate: ”Se amo me stessa, allora sono egoista”, oppure
“Non sono degna, non merito amore”. Tutte ferite non guarite e nascoste, che hanno
aspettato le cure dagli altri. Così la mia attenzione è stata sempre proiettata all’esterno e
aspettavo che gli altri mi apprezzassero e mi amassero. Anche quando ho cercato di rivolgere
l’attenzione verso me stessa, alla realizzazione della parte più profonda di me, ho trovato la
soluzione nel “fare”, più che nell’”essere”. Ho cercato di realizzarmi nella professione,
nell’acquisizione degli status symbol richiesti dell’attuale società, nel raggiungimento della
indipendenza economica e affettiva, nel potere dell’intelletto, nella parità dei sessi. Ho provato
a cercarla anche nelle relazioni di coppia, ma fallivano quando scoprivo che i miei partner non
corrispondevano alle mie aspettative. In questo campo, mi sono resa conto che non riuscivo ad
uscire dal ruolo della vittima rabbiosa. Quando provavo amarezza, frustrazione e rabbia, la
cosa più spontanea, non era entrare dentro me stessa e ascoltare che cosa sentivo, diventare
consapevole che stavano toccando le mie ferite, ma era incolpare gli altri e punirli, anche se
con modi gentili e velati.
Finora, per affrontare queste ferite antiche e credo comuni a tutti, ho seguito due possibilità:
quella della “anestesia emotiva” e cioè di evitare completamente il dolore e quindi anche le
occasioni che lo potevano creare, e l’altra della “compensazione del fare”, trovando impegni,
interessi o divertimenti. Il risultato è stato un grande senso di vuoto e una completa
dissociazione tra la mente e il corpo, tra la ragione e i sentimenti, tra il capire e il sentire, tra il
cuore e la mente, tra me e il prossimo, tra il ricevere e il dare, senza mai incontrare l’Amore.
Qual è allora la soluzione ?
ACCETTARE LA MIA VITA
Per l’ordine empirico non esistono differenze tra indicatori piacevoli e spiacevoli, positivi e
negativi. Esso esprime solamente ciò che è. A ciascuno di noi viene chiesto
questo stesso atteggiamento d’inclusione, se vogliamo restare connessi con l’ordine armonico,
col flusso della vita e sentirci appagati e conoscere cosa vuol dire l’amore. Così diventa
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necessario accettare per intero le qualità del nostro codice empirico Yin o Yang, che
comprende qualità di luce e d’ombra, che solo noi definiamo come positive o negative e che
invece insieme creano la meraviglia dell’essere umano e la sua completezza. L’ordine pone
questa necessità di integrazione come diritto empirico, come un atto di responsabilità
personale, rispettando, però, la libertà di ciascuno di aderirvi oppure no. Quando la persona
rifiuta di adeguarsi a questa legge, questo succede da una scelta inconsapevole, condizionata
dalla qualità del suo debito empirico, e sceglie solo le qualità che sente come buone, crea
un’ampia zona d’ombra che diventa la sede dei suoi tabù. L’ordine, per il suo bene, gli segnala
l’infrazione attraverso il malessere e il senso di vuoto e la mancanza d’amore, servendosi degli
indicatori empirici della paura o della rabbia, del senso di colpa e di inadeguatezza, integrando
ciò che egli rifiuta, mettendolo in contatto con i lati più bui della sua realtà, e ripresentandogli
in continuazione le stesse situazioni non risolte, senza chiedere il suo permesso. Riportare
questo grande disegno dell’ordine empirico alle mie esperienze personali, ha portato chiarezza
e significato a tanti eventi della mia vita. Accettare e integrare le parti di me che mi piacciono
è abbastanza facile e di queste me ne prendo volentieri la responsabilità. Rimane più faticoso e
spiacevole accettare che fanno parte di me tutti gli atteggiamenti che non sopporto di me
stessa e degli altri e che non voglio proprio vedere, perché mi danno fastidio e mi spaventano.
Accettare che la mia vita è stata dominata dalla paura di vivere, perché mi sentivo incapace e
inadeguata, ora è molto doloroso e sconfortante. Ammettere che ho arrecato dolore,
distruzione e morte, perché ero invasa dalla paura e dalla rabbia, dal risentimento e dal
rancore verso gli altri e verso me stessa, mi lascia allibita e richiede compassione e perdono
verso me stessa. Riconoscere che non sono mai stata consapevole delle mie qualità Yin e del
mio potere come donna, e che per nascondere la mia timidezza nel rapporto con l’altro sesso,
mi sono mostrata arrogante e presuntuosa, scostante e chiusa, attirando dei partner con la
mia stessa ombra, è sconsolante. Riconoscere che ho mortificato me stessa, la mia espressione
genuina e spontanea, per paura di sbagliare e per paura del giudizio e della critica degli altri,
mi sembra incredibile… ma vero. Che non ho saputo coltivare la mia creatività, i miei talenti, le
mie qualità Yin luce, è una amara constatazione. Quello che, però, mi addolora di più è
arrivare alla consapevolezza che forse non ho mai amato veramente….e qui non mi resta altro
che piangere.
Solo esplorando la mia ombra, però, ho scoperto quanto essa fosse grande e potente e
come abbia condizionato e dominato le decisioni più importanti della mia vita. Queste
consapevolezze, oltre a procurarmi dolore, hanno evidenziato responsabilità non
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prese e che ora vedo chiaramente, mi hanno riportato con i piedi per terra, mi hanno
reso più comprensiva e più umana, mi hanno ridimensionata, mi hanno reso più umile.
Inoltre, ho potuto constatare che solo portando fuori, alla luce, tutti i blocchi, i segreti
piccoli e grandi che mi sono portate dietro, ho potuto togliere potere all’ombra ed
acquistare un certo equilibrio emotivo, che spero mi aiuti a vedere la realtà
oggettivamente per ciò che è, e adeguare le mie risposte sentendo la carica empirica
reale che ogni situazione richiede. Ho intrapreso questo faticoso cammino, per
necessità, per non essere sempre e solo in balia della paura, dell’inadeguatezza, della
rabbia, ma per integrare, oltre alla parte ombra, anche la parte luce, le mie qualità Yin
che finora erano atrofizzate e messe da parte, perchè anche di quelle mi sentivo
indegna. Intanto con questo lavoro possiedo più tranquillità ed è aumenta la fiducia in
me stessa. Per il potere personale che dà più “presenza” c’è ancora molta strada da
fare.
ACCETTARE IL DOLORE
“Più il singolo rimuove il dolore del proprio
debito, più esso fa da punto d’attrazione,
fungendo da catalizzatore per l’ambiente
circostante.”
(Gramm. Dell’Essere 4.2.4)
I sentimenti che proviamo non sono né negativi né positivi, sono reali, sono energie che hanno
bisogno di essere accolte ed espresse. Anzi sono necessarie, esse appartengono al nostro
codice empirico Yin o Yang e ne costituiscono la “luce” e “l’ombra”. Non si possono scegliere o
separare, perché contribuiscono a formare lo stato completo della persona. Cercare di
rimuovere quelle che non ci piacciono, con mille compensazioni, per non sentire il dolore che
c’è dietro, non serve, perché gli indicatori empirici ci avviseranno sempre con effetti e
manifestazioni sotto forma di sofferenza psichica, emotiva e infine fisica. Tutti portiamo le
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ferite dell’abbandono, il dolore di non essere stati amati e accettati completamente, che
costituisce il “debito di base”, arrivato fino a noi dai nostri genitori e dalla nostra stirpe.
Possiamo evaderlo solo essendone consapevoli e accettandolo responsabilmente sulle nostre
spalle. Questo debito ci ha portato a fare scelte sbagliate, poco coraggiose, non in armonia con
l’ordine empirico e neanche coerenti con il nostri principi guida del codice empirico Yin o Yang.
Siamo stati dominati dalla paura e dalla rabbia, l’inconsapevolezza dell’agire ci ha rovinato la
vita, ma questo era tutto ciò che sapevamo fare… Non ci sono né colpe né giudizi, ma
accettare ciò che è….., anche se questo è molto doloroso! Fino ad ora ho cercato di far finta
che questo dolore non ci fosse, per paura che fosse troppo grande da dominare la mia vita o
da restarne schiacciata. Ho usato tutte le strategie difensive possibili, ho compensato facendo
la vittima o il carnefice e attuando l’anestesia emotiva, pur di non sentirlo, anche se questo mi
ha impedito di entrare in intimità con me stessa e con gli altri. La non volontà di sentire il
dolore è stato spesso la causa dell’allontanamento o della rottura della maggior parte delle
mie relazioni affettive. Ho constatato, però, che non basta “capire” che le strategie difensive
non funzionano per smettere di usarle. Ma, quando c’è stata la volontà di guardare in faccia
”gli auto-boicottaggi che mi sono data per non riuscire nella vita”, è stato necessario
ricollegarmi alle emozioni profonde, spesso bloccate e rinnegate, che li hanno creati, e
“sentire” il dolore e la paura che c’era dietro. Ogni dolore o debito era come un segreto
nascosto, pieno di energia; scoprirlo e portarlo alla luce, mi ha riportato all’esperienza
dell’abbandono e della privazione della mia infanzia. Da quel momento, però, non ho più
potuto far finta che questo dolore non ci fosse, ma ho scoperto che aveva cambiato energia,
potere e attrazione ed io ho potuto prenderne le distanze, sviluppando uno spazio interiore
per accoglierlo. Questo mi ha aiutata a rilassarmi, ad uscire da me egocentrica, ad avere fiducia
in me stessa e negli altri. Ad essere più oggettiva e presente, perché liberata da questo filtro
che mi faceva vedere la realtà deformata.
Scoprire e rivivere tutta la paura e il dolore della mia bambina, mi ha aiutato ad aprirmi alla
comprensione del cuore, e per la prima volta nei suoi confronti, ho provato” compassione”.
Come se la grande fosse in grado di consolare la piccola, lasciando da parte il consueto giudizio
e controllo mentale e ammorbidendo la mia energia. Grazie a questa esperienza ho scoperto
che posso lasciarmi andare, confrontarmi con il dolore e scendere sempre più in profondità
con me stessa e scoprire i giochi dolorosi di difesa e di pretesa, di invadere ed essere invasi,
che ho condotto finora. Da questo momento ogni esperienza dolorosa mi porrà due possibilità,
o entrare nel bambino ferito che incolpa, controlla, si vendica o si ritira, o rimanere con la
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sensazione dolorosa di frustrazione, di tristezza e di rabbia. Sentire il dolore invece di sfuggirlo
richiede molto coraggio, ma credo sia questo il passaggio di crescita e di responsabilità
richiesto dall’ordine empirico per passare dal ruolo della piccola a quello della grande, che
corrisponde ad avere lo spazio interiore per contenere e accettare il dolore contenuto nello
stesso debito empirico.
ACCETTARE IL SENSO DI COLPA
“Per quanto la percezione del senso di colpa sia ben diverso
dalla colpa ai fini empirici, la crescita comincia proprio
attraverso la gestione di questa percezione fuorviante.”
(4.27 Gramm. Dell’Essere )
La percezione del senso di colpa è insito nella persona umana fin dall’infanzia, ma si fa di tutto
per non sentirla, per non accettarla pur di continuare a sentirsi innocenti. Quando questo
ruolo di vittima innocente continua anche da grandi, vuol dire che non si è cresciuti, infatti la
crescita inizia dall’accettare e saper gestire questa sensazione spiacevole di colpa che è
collegata al dolore. Purtroppo, questa sensazione di colpa fa parte integrante del ruolo
dell’adulto, che lo accompagnerà in modo inevitabile e permanente. Esso appartiene alla parte
ombra di ciascuno e costituisce una sfaccettatura del dolore che l’adulto ha bisogno di saper
contenere. Assumersi il peso del proprio senso di colpa costituisce una condizione necessaria,
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senza la quale il singolo non può crescere ed evolversi, oltre che rappresentare il passaggio tra
il ruolo del piccolo a quello del grande. Man mano che si cresce, si acquisisce la forza del
proprio codice Yin o Yang, che dà anche la forza di sostenere il dolore e il senso di colpa. Esso
inizia con il distacco dalla propria famiglia originaria, col dire i propri No alle persone care, col
dire i No alle aspettative degli altri, per potersi sentire responsabili delle proprie scelte e
questo fa sentire tremendamente in colpa. Entrando in contatto con il senso di colpa, ci si
prepara anche ad una ulteriore evoluzione del proprio ruolo, quella di poter essere padre e
madre ai fini empirici. Si tratta di un passaggio ulteriore che permette di entrare
nell’evoluzione massima della specie.
Ricordo che quando mi chiamarono per scegliere la mia prima sede di lavoro, benché ci fosse
la possibilità di insegnare nel mio paese, scelsi la sede più lontana. Mi sentii molto cattiva,
ingrata e in colpa, perché andavo contro le aspettative di mio padre e di tutta la famiglia, che si
aspettavano che mi prendessi cura di lui. Questo senso di colpa e di malessere durò fino a
quando non constatai che mio padre e altri familiari venivano a trovarmi volentieri e, quindi,
non costituiva una grande offesa.
Non so se questo abbia segnato il passaggio all’età adulta, ma io l’ho vissuto come tale,
sentendomi più responsabile di me stessa e delle mie decisioni. Comunque, questa sensazione
di colpa resta sempre nel profondo della mia persona e viene a galla tutte le volte che metto
dei limiti agli altri, che dico dei No anche se giusti, quando vado contro le regole e le
convinzioni apprese dall’educazione, dalla società e dalla religione, quando cerco di affermare
me stessa.
Alla percezione di colpa, che rimasta latente, ora si aggiunge quella molto più grande che mi
porto dietro, dopo aver fatto questo cammino di consapevolezze: di non aver avuto il coraggio
di vivere pienamente la vita, di aver buttato via il tempo, di aver fatto scelte sbagliate e
irrimediabili, di aver mantenuto atteggiamenti severi, posizioni dure di critica e di giudizio
verso me stessa e gli altri, privandomi di dare e ricevere amore da chi mi stava accanto, di
essermi vietata, solo per paura, di realizzare i miei progetti, di manifestare i miei talenti, la mia
creatività, me stessa.
Per trovare pace invece, tali situazioni hanno bisogno di essere ammesse come tali,
assumendomene la responsabilità e accettando di passare attraverso il dolore, il senso di colpa
e la disperazione di ciò che realmente è.
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IL DARE E IL RICEVERE
“L’ordine riconosce come suo principio cardinale quello
dell’equilibrio naturale, condizione di base e punto d’arrivo di
ogni sforzo empirico”
(1.3 Gramm. Dell’Essere)
L’ordine concepisce ogni situazione attraverso una propria carica empirica.
Ciascuna carica empirica trasmette valori certi che costituiscono le coordinate nascoste di ogni
situazione, il che non ha niente a che fare con le semplici percezioni soggettive. La realtà
oggettiva prescinde dall’opinione dell’uomo e dalle sue credenze e segue sempre i binari dati
dalla propria carica, l’amore. Essa si manifesta in ogni singolo atto e avvenimento, facendo
parte di un progetto di auto -perfezionamento, il libero fluire. Tale intelligenza empirica è
insita in ogni situazione e si rivela all’uomo soltanto attraverso il proprio sentire. Essa
comporta delle responsabilità empiriche precise e diverse a seconda del ruolo empirico.
Alla base del libero fluire c’è la legge della compensazione empirica ed un esempio può essere
visto nel rapporto tra dare e ricevere, con il quale il sistema misura ogni singolo avvenimento.
Così ogni atto, azione o reazione è sottoposto a parametri infallibili, atti a rilevare uno
squilibrio in ogni movimento. L’equilibrio tra dare e ricevere costituisce il parametro di base
del sistema (che si evidenzia con l’atto del fare) e l’amore è la sua espressione naturale. Il
principio vitale dell’amore è alla base della creazione stessa ed è alla base di tutto.
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Dare e ricevere non costituiscono un’intenzione, tanto meno un buon proposito, ma un
passaggio energetico reale e concreto che esprime l’intento reale di chi lo esegue, in grado di
appurare da parte dell’ordine la qualità del suo operato ai fini empirici. Esso si manifesta
attraverso una condizione di apertura, di disponibilità e di flessibilità, attraverso l’assenza di
ogni tipo di resistenza nei vari ambiti vitali, dentro e fuori di sé. Non opponendosi alla vita, non
opponendo resistenza ai suoi mutamenti naturali e al suo fluire. Anche se ogni carica empirica
possiede infinite facce, si esprime al meglio sempre attraverso strategie d’apertura. La carica
gioiosa è l’energia più vicina ai parametri empirici del libero fluire: ottimismo, spontaneità,
immediatezza, apertura e amorevolezza sono generate all’interno di tale flusso. Ogni
percezione di autenticità e di appagamento profondo c’è quando la persona ha la capacità di
potersi donare e aprirsi al mondo.
L’amore più che uno stato psicofisico, si rivela come il principio attivo di ogni moto dinamico
dell’ordine armonico, sia all’interno della sfera emotiva, che al di fuori, nel senso più ampio
della creazione, chiamando in causa la natura più profonda dell’amore, la forza originaria o
amore Yang che è al di là di ogni sentimentalismo romantico o dell’immagine del legame
affettivo e sentimentale tra due partner.
Chi si allontana dal libero fluire avverte l’assenza d’amore, e da quel momento, la qualità delle
proprie percezioni hanno a che fare con la paura, la rabbia, il senso di colpa e possono
diventare obbligatorie e compulsive. Nello stesso momento hanno il potere di congelare la
persona sul piano sensoriale(non sente più la carica insita in ogni situazione), provocando una
specie di anestesia emotiva. Allora subentra la mente che tenta di capire, dove manca il
sentire, cercando di interpretare gli stimoli delle varie situazioni.
Questo meccanismo di compensazione tra il dare e il ricevere avviene durante tutto l’arco
della nostra vita e cambia a seconda dei ruoli empirici.
L’ordine prevede per la prima parte della nostra vita una tendenza naturale a prendere,
sostenuta dai diritti empirici del bambino e ci è concesso di sviluppare il proprio IO. Come c’è
una seconda fase della vita in cui ciò che prima si è ricevuto, poi si è tenuto a restituire e si
tende maggiormente a dare, compensando così il tempo precedente(ai figli). Il dare e il
ricevere sono alla base della compensazione empirica che regola ogni legame affettivo e di
coppia, delle affinità elettive.
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LA MATRICE D’ECCELLENZA DEL MONDO YIN
“Si tratta indubbiamente di un ideale teorico, ossia di un ruolo
irraggiungibile e concettuale per ogni donna, come lo è l’idea di
perfezione in questo universo. Ciò nonostante ogni esponente Yin
possiede l’assoluta responsabilità di affinarsi ai suoi parametri, ancora
prima di essere madre, moglie o compagna”.
(8.1.1 Gramm. Dell’Essere)
La matrice d’eccellenza è costituita dai principi del proprio codice Yin che corrispondono ai
principi empirici stabiliti dall’ordine universale. Questo codice contiene la radice biologica del
proprio sesso, insieme a tutti i diritti e gli obblighi stabiliti dalla stessa matrice e costituisce per
la donna il riscontro del suo fare. Ogni suo gesto e atteggiamento è valutato e comparato, in
tempo reale, con i valori empirici in essa contenuti, riportando l’esito di tale raffronto sul piano
della coscienza empirica e sul piano del proprio sentire se la persona è integrata. Chi possiede
la completezza di questo codice, che è costituito da una parte luce e una d’ombra, diventa
donna “integrata” e diventa capace di instaurare rapporti sani ed equilibrati con i principi
empirici Yang del sesso opposto. Inoltre, la stessa, ha bisogno di aver assimilato la propria
carica primaria Yin e quella secondaria Yang, perché è soltanto questa sinergia a conferirle la
propria luce e permetterle di sviluppare il suo femminile completamente, riuscendo ad
integrare anche il suo lato ombra, accettandolo e concedendogli il diritto di potersi
manifestare. Il ruolo integrato può essere raggiunto soltanto gradualmente con il tempo,
attraversando i vari ruoli previsti dall’ordine. Prima si passa attraverso il ruolo del piccolo, poi
in quello dell’adolescente, per entrare in quello dell’adulto e soltanto dopo di questo, in quello
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della madre o del padre. La matrice d’eccellenza del codice Yin o Yang sta sempre alla base di
tutti questi ruoli, essendo il loro trampolino di lancio per ogni evoluzione. Uomo o donna
integrati non si nasce ma si diventa (per la donna ciò avviene dopo i 35 – 40 anni), per quanto
le basi per tale condizione empirica provengono sempre dalla consegna famigliare( il debito di
base proviene sempre dalla propria stirpe), anche se questa consegna non toglie la
responsabilità del singolo, che ha l’obbligo di riscattare il debito prima di passarlo alle prossime
generazioni. Così il ruolo integrato ha bisogno di essere conquistato e mantenuto attraverso il
proprio modo di fare. Ogni ritorno alla matrice d’eccellenza indica anche un cambiamento nel
proprio debito, poiché il singolo si può accostare ad essa soltanto nella stessa misura in cui
prima ha evaso il proprio debito empirico arretrato. Soltanto il ruolo del piccolo non contiene
responsabilità e può essere vissuto anche da chi non accede alla propria matrice d’eccellenza.
Per entrare, invece, in quello del grande, la persona necessita di aver riscattato il proprio
debito, essendo questo la causa per ogni separazione. Ogni avvicinamento al proprio codice è
indispensabile per diventare “grandi” ai fini empirici, perchè solo con questo passaggio si
acquisisce uno spazio interiore maggiore per poter contenere il peso delle responsabilità
(insieme al dolore e al senso di colpa) e maggiore apertura di cuore. Il ritorno al fluire empirico,
che è armonia, equilibrio tra dare e ricevere e quindi amore, fa in modo che queste qualità
vengano “sentite” e vissute dalla donna integrata, l’unica in grado di sentire l’Amore.
Le qualità fondamentali previste dal codice Yin sono:
Il lato luce del femminile = purezza, luce
L’amore incondizionato = forza incondizionata che sostiene
Potere liquido = morbidezza e fluidità e forza.
“Animus” solido = sicura di sé, responsabile e determinata
Arrendevolezza = affidarsi e lasciarsi andare
Cura e accoglienza = (atto sessuale), apertura, dolcezza,disponibilità, amorevolezza
Fiducia cieca = affidarsi al proprio uomo, lasciargli il diritto di guida
Forza di sacrificio = gestazione,parto, accudimento dei figli
Indipendenza emotiva = accudire la prole e compagno, senza tralasciare il suo IO
Parametri della sezione aurea = bellezza, proporzione, equilibrio.
La donna integrata e il mondo femminile = tribù delle donne
La donna integrata e la spiritualità = forza del cuore
La forza della verità = come meccanismo di difesa
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RITROVARE IL LATO “LUCE” DEL FEMMINILE
“La luce Yin costituisce una emanazione ben visibile
del femminile, simile alla sinfonia dei suoni che si
apre all’orecchio umano quando ascolta una
bellissima canzone”
(Michel Hardy)
Ogni ruolo alterato dimostra un avvicinamento eccessivo all’ombra e, per uscirne, le è richiesto
di accostarsi alla propria “luce”. Ogni donna ha il diritto di rispettare se stessa e quando questo
è disatteso diventa un obbligo. L’unica forma di rispetto valida per i fini empirici consiste nella
consapevolezza dell’essere” portatrice sana” dei principi femminili. Se evade il proprio debito e
torna nel libero fluire, sa accedere in modo naturale alla propria forza incondizionata, alla
morbidezza, a tutti i principi luce annessi al suo codice empirico Yin. Attraverso questo
processo di Yinizzazione l’anima torna nel flusso sistemico e la persona può accedere
all’amore.
Durante questa trasformazione cambia anche la visione del maschile e si evidenzia attraverso
l’attrazione per uomini più “ sani” e meno alterati.
Nella donna integrata, l’insieme delle qualità empiriche Yin, formano la sua “luce”, che è
sempre fondata sulla sua purezza e il suo candore. Queste qualità unite alla sua forza,
formando il “potere liquido” femminile o “forza liquida”, avendo in eguale misura dolcezza e
fermezza. Esso è la” forza che sostiene”, trattandosi di una dolcezza, apertura e morbidezza
sostenute con forza, intensità e persistenza. Ai fini empirici, la forza che sostiene Yin equivale e
si compensa con la spinta in avanti Yang. Come nell’atto sessuale, così nella vita, la forza Yin si
manifesta nell’accogliere, nell’apertura e nella morbidezza. All’interno della coppia, della
famiglia e di ogni relazione affettiva è la forza Yin a costituire il potere predominante, come un
sostegno di base per durare nel tempo. La forza che sostiene o forza incondizionata si
manifesta con la cura, l’accoglienza, la comprensione, la dedizione, l’arrendevolezza e
morbidezza dell’amore incondizionato della madre, che è silenzioso, persistente e sempre
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presente. La donna Yin integrata è l’unico ruolo empirico dove è avvenuto il passaggio da
piccola a grande, essendo vicina alla matrice d’eccellenza.
Questo le permette di essere in contatto con il “ sentire” sistemico ed avere un piano
sensoriale e percettivo molto sviluppato, che usa per approcciarsi con il mondo. Benché abbia
capacità analitiche e intellettive evolute, ella predilige affidarsi al suo sentire, al suo intuito e
all’utilizzo delle sue strategie sottili, al sesto senso, e al presentimento perché è collegata
all’intelligenza empirica o saggezza universale ed emotiva, così la percezione della carica
empirica di ogni momento è oggettiva.
Sa eseguire tante cose contemporaneamente, cioè possiede talenti “pluriformi” ed è
sufficientemente organizzata.
Fra le tante qualità che costituiscono la parte “luce” della donna, alcune sono uniche e
grandiose, tra queste “l’amore incondizionato o forza incondizionata”. Essa è composta da
tante qualità empiriche Yin e una delle più significative è l’amore incondizionato, che non
mette né condizioni né limiti e non chiede niente in cambio. Esso implica una generosità
emotiva e materiale, senza posizioni di convenienza. Incarna il principio del dare
incondizionato, che si manifesta nell’accoglienza e nella cura, nel nutrimento sia fisico e sia
emotivo del proprio nucleo famigliare. Richiede che la donna sia passata nel ruolo della grande
e di aver acquisito uno spazio interiore maggiore a livello del cuore e di riuscire ad aprirsi
anche all’esterno ed accogliere tutto ciò che le si rivolge, compreso il dolore sia proprio che
altrui. Benché sia attenta, premurosa e disponibile, paziente con gli altri, sa prendersi gli spazi
necessari per se stessa, possiede la forza dell’essere presente e grazie ad essa vive il momento
presente con spontaneità e naturalezza.Essa esercita il principio della compassione, che
costituisce ai fini empirici l’unica qualità dell’anima e tende naturalmente ad una genuina
permissività sia nell’educazione dei figli sia verso il mondo intero.Un’altra qualità qualificante
del ruolo Yin è il potere liquido.
Nella donna in integrata, il potere liquido si manifesta nella propria morbidezza e fluidità, sia
nelle forme corporee, sia nei modi di fare. Si chiama “potere liquido”, perché è un potere
basato su strategie Yin che sono di accogliere, di aggirare l’ostacolo come fa l’acqua. La sua
forza nasce da strategie di apertura e di accoglienza, che per essere applicate hanno bisogno di
coraggio. Sa parlare a proprio sostegno amorevolmente, usare “la forza della verità”, come
autodifesa, utilizza il tatto per saper entrare nelle situazioni in punta di piedi. Lei è portatrice di
una qualità Yin fondamentale: la comprensione, è conciliante e sa perdonare, possiede un IO
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integrato. Non percepisce i principi Yin come sacrificio e il progetto famiglia è al primo posto.
Esprime il proprio potere attraverso atteggiamenti di servizio.
Dimostra una fragilità naturale,sensibilità, delicatezza, come propria ombra. Rimane aperta
davanti al dolore, alla morte o a chi soffre, che equivale a vero coraggio.
Nonostante la leggerezza, la giocosità e la gioia di vivere, la donna Yin integrata è portatrice di
un Animus solido, carica secondaria femminile, che le da stabilità e sostegno. Esso le permette
di essere responsabile,determinata e sicura di sé.
Portatrice di fiducia naturale nella vita, sa abbandonarsi e lasciarsi andare, sa commuoversi e
provare gratitudine, sa esprimersi in maniera immediata e spontanea.
Non sente il bisogno di mettersi in mostra e non ama le maniere competitive, specie con
l’uomo. Nella coppia dona colore e leggerezza, possiede una grande capacità di adattamento
senza dover subire, non ha paura di affidarsi e appoggiarsi sul partner. La donna integrata non
patisce la propria fragilità, usa la forza della verità, della sincerità, che è alla base della purezza.
Essa costituisce un obbligo per ogni donna e va conquistata e difesa ogni giorno con il proprio
fare e richiede anche di esporsi per cautelare l’ordine, quando questo si rende necessario, essa
permea ogni campo dell’agire femminile e le dona sicurezza e serenità.
Accede a parametri oggettivi (Parametri della sezione aura ) e sistemici della bellezza, sia dei
modi, sia delle misure, in quanto collegata al libero fluire e si manifesta in ogni ambito vitale.
Lei detiene il concetto della bellezza sia esteriore che interiore, a livello profondo. Possiede
un’eleganza naturale, gusto ricco e romantico, senza eccedere. Grazia innata, che esprime con
maniere semplici, garbo nel suo fare, sensibilità e delicatezza, buone maniere come modi
naturalmente eleganti. Possiede amabilità e grazia dell’anima che esprime donando grazia al
mondo circostante. Aggrazia le qualità dell’uomo, donandogli sensibilità e savoir- faire , gli
dona cuore e commozione trasformando la sua qualità di comunicazione.
Sente l’affinità naturale con la tribù delle donne, la complicità del femminile e sostiene il
femminile in ogni circostanza, anche se lo fa con garbo, senza ledere il maschile. La complicità
femminile prevede la condivisione del proprio mondo emotivo e sensoriale con le altre donne.
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LA DONNA INTEGRATA E LA SPIRITUALITA’
Lei possiede una grande inclinazione spirituale e trascendente, capacità d’introspezione e di
flessibilità mentale, si fida di sé e dell’universo e costituisce la spina dorsale di ogni femminile,
la sua spiritualità non corrisponde a religiosità.
Essa implica tutte le pratiche individuali per potersi avvicinare al proprio centro:
forza incondizionata = forza spirituale = forza del cuore
Custodisce la sacralità, utilizza la preghiera, la meditazione, pratiche spirituali,Yoga, detiene il
principio della devozione e dell’umiltà.
La donna Yin entra nel proprio potere nel momento in cui viene superata la dimensione fisica,
collegandosi a quella metafisica, in particolar modo avvicinandosi alla morte.
I DIRITTI DELL’OMBRA YIN
Come i suoi talenti o lato “luce”, anche il lato “ombra” costituisce un diritto Yin e richiede di
essere messo in opera, di avere un posto legittimo.
Ogni donna ha il diritto alla propria paura, senza però rimanervi aggrappata. Le è richiesto di
riconoscersi nella propria fragilità e nella tristezza, di prendere atto della sua naturale
tendenza a subire(inadeguatezza) e di entrare in dipendenza emotiva. La donna integrata sa
sperimentare questa parte, ma senza perdersi in essa.
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CONCLUSIONE
Ho scelto di intraprendere questo viaggio di evoluzione personale, dopo aver constatato il
fallimento della mia vita affettiva e di coppia e dopo che mi sono ritrovata ad attuare delle
azioni, come l’aborto, contrari ai miei stessi principi.
È stato necessario ripercorrere tutta la mia vita e i miei errori, per diventare consapevole che,
in fondo, è stata una vita alla ricerca disperata dell’amore, sia verso me stessa , che per gli altri.
Così questo processo di Yinizzazione è diventato un tentativo serio di riportare amore e gioia
nella mia vita e di scoprire il mio vero sé.
Mi sembra di rivivere la storia del “Brutto anatroccolo” di H.C.Andersen. Di un’anatra scura e
arruffata, veramente brutta, diversa dalle altre, esclusa dal mondo delle anatre, che per
sopravvivere vagabondò per una vita intera, sentendosi sempre sbagliata, fino a che non si
trovò in mezzo a dei cigni e scoprì che anche lui era un bellissimo cigno, a cui era accaduto di
nascere nel posto sbagliato.
In un certo modo, come per l’anatroccolo, questo cammino di crescita personale è come un
viaggio alla riscoperta della mia vera natura, quella di essere un cigno.
Fino ad ora ho ingannato me stessa sentendomi una creatura brutta, spaventata, non amata e
non amabile, rifiutata, che vive in un mondo ostile ed estraneo, dove nessuno la considera e
apprezza, sentendomi triste, sola e stressata. Invece sono un cigno che vuole cominciare a
vedere e sentire se stessa come essere amabile, ricca di doti, appagata, che vive
pacificamente, in un mondo splendido, seguendo le leggi naturali dell’ordine empirico.
Il cambiamento non è facile e non può avvenire all’improvviso, per troppo tempo mi sono
identificata con la mia bambina ferita, ma il processo di Yinghizzazione è proprio questo: un
processo di risanamento e di riconversione per tornare ad avvicinarmi alle qualità e ai principi
del mio codice empirico Yin e al libero fluire.
Per arrivare a questo traguardo, è stato necessario, innanzi tutto, diventare consapevole delle
mie strategie di difesa o strategie di autoboicottaggio, che per compensazione ho attuato per
coprire le mie ferite interiori (fare la vittima e il carnefice, la salvatrice, attuare l’anestesia
emotiva, usare la mente, ecc).
Sono partita dalla sindrome della “salvatrice” e della “giustiziera”(appartenenti alla finta Yang)
e dominate dalla rabbia, pensando che mi rappresentassero, per scoprire ,invece, che dietro
alla voglia di rivalsa e di rabbia, c’era l’insicurezza, l’inadeguatezza, la paura e il dolore, cioè
tutto il debito empirico acquisito. A quel punto, è stato necessario addentrarmi nelle mie
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paure, nel mio lato ombra ed ho potuto constatare che queste sono molteplici, profonde, ed
hanno condizionato tutte le mie strategie vitali. Esse corrispondono ai bisogni e ai diritti
infranti del mio bambino interiore e costituiscono le ferite interiori che mi porto dietro
dall’infanzia e che sono nate sempre da una mancanza d’amore. Le paure più importanti sono
quelle dell’abbandono, del tradimento, delle critiche e dei giudizi, unite a quelle per il senso di
sfiducia, di non merito, della solitudine e dal senso della vergogna, (senza tralasciare le paure
culturali, sociali e religiose). Dopo averle ripercorse, con il bagaglio delle emozioni ad esse
collegato e preso conoscenza che le paure hanno dominato la mia vita e che per contrastarle
ho sviluppato la rabbia, ho provato più tenerezza e comprensione per la mia bambina
interiore.
Solo con questa presa di coscienza, quella della paura e della rabbia in chiave sistemica, ho
potuto avere una visione più chiara delle cause e conoscere come sono strettamente correlate
al “debito di base” della propria famiglia, tramandato dalla stirpe ai genitori, che, se non
estinto, passa direttamente ai figli.
Se i genitori non sono integrati non possono “attivare” l’intera gamma dei principi del codice
empirico del figlio e, quindi, costui parte già alterato, non potrà attuare il passaggio da piccolo
a grande, non si assumerà le sue responsabilità, dando inizio al processo di “metamorfosi
empirica”, che avanzerà anche senza il suo permesso. Tutto ciò, appoggiato e sostenuto dalla
“coscienza personale”, basata sui valori, sui principi e sulle convinzioni, assimilate
dall’ambiente famigliare dal quale si proviene e avvalorate dalla “mente” e dal “piano
sensoriale”, anche se, spesso, queste credenze sono in contrasto con i principi dell’ordine
empirico o “ coscienza empirica”. È dall’accordo o il disaccordo tra i principi di queste due
coscienze che si avverte l’appagamento, il benessere o il malessere e lo stress della persona.
Dopo aver preso consapevolezza di questa visione più ampia del processo empirico, è stato
necessario rimettere in discussione per prima la figura dei miei genitori, per poi smantellare le
convinzioni, le aspettative, i bisogni, i falsi tabù che mi portavo dietro e che mi facevano
attuare coazioni disarmoniche, ed infine riattivare il “sentire”, perché le mie azioni non erano
collegate con la carica oggettiva che ogni situazione richiede, avendo attuato l’anestesia
emotiva. Per riattivare il piano sensoriale è stato necessario ritornare indietro e rivivere i vari
episodi della mia vita che hanno fissato quelle emozioni e riprovare il dolore ed esse collegato.
Dopo aver esplorato i momenti più dolorosi e problematici della mia vita e tirato fuori i segreti
che non avevo il coraggio di vedere, e ampliato la visuale con il debito empirico di base, ho
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provato una accettazione di me stessa, della famiglia, degli altri e della società, più ampia e
profonda.
Certo,ora il quadro completo della vita, che ho davanti, è pieno di rovine e il dolore che provo
è sconfortante, specie nel dover constatare che non ho vissuto per paura della vita, ma non si
può cambiare e visto che non ci sono né colpe né colpevoli, è necessario accettarlo per ciò che
è, assumendomene la completa responsabilità.
Solo in questo modo, credo possa avvenire l’evasione del debito e il ritorno al libero fluire,
anche se il processo è lento e irregolare.
Per uscire dallo sconforto e dal dolore, mi aiuta la prospettiva di vederlo con una nuova ottica,
come una “prova” spirituale, un cammino spirituale che ciascuno ha da fare (o che ha scelto di
fare).
Col cambiare la percezione di me stessa, sto cambiando anche il modo di pormi verso gli altri,
e questo incomincia a cambiare la mia vita.
La cosa più importante di questo processo di guarigione e di ritorno al libero fluire è che si
ritorna in contatto con l’amore dell’universo, con i principi “luce” del proprio codice empirico
Yin e con il proprio “sentire” e l’anima fa festa perché finalmente è tornata nel suo elemento:
l’Amore.
107
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio Michel Hardy che mi ha condotto per mano dal buio della mia completa
inconsapevolezza , verso la luce della speranza e delle sue infinite possibilità…..!
Ringrazio le mie compagne e compagni di viaggio, che mi hanno sempre accolto e
sostenuto e con i quali ho condiviso lacrime e risate.
Ringrazio lo “Spirito Santo” al quale avevo chiesto la grazia di trovare “la mia strada” e
sono stata esaudita.
Grazie a tutti…, è stato il più bel viaggio della mia vita !!!!!!!!!!!!
E non è finito………………………..!
Agnese
108
BIBLIOGRAFIA
Michael Hardy ,“La grammatica dell’Essere” volume I, II, III, IV, V, VI.
Osho , “Sermon in Stones”.
Krishnananda , “ A tu per Tu con la paura”.
Tara Bennet – Goleman, “Alchimia Emotiva”.
MARCELLA DANON, “COUNSELING”.
KAHLIL GRIBAN, “IL PROFETA”.
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INDICE
INTRODUZIONE ........................................................................................................ 2
PROCESSO DI YINIZZAZIONE ................................................................................... 3
VIAGGIO ALLA RISCOPERTA DELLA NOSTRA VERA NATURA ...................................... 6
DIVENTARE CONSAPEVOLI ....................................................................................... 8
CHE STRESS CRESCERE !!!!!!!!!!! ............................................................................ 10
L’INCONTRO CON IL BAMBINO INTERIORE .............................................................. 13
RIFIUTO DI CRESCERE ............................................................................................. 15
VITTIMISMO E SENSO DEL DOVERE ................................................................... 17
LE MIE PAURE ....................................................................................................... 20
LA PAURA IN CHIAVE SISTEMICA ......................................................................... 22
L’ABBANDONO....................................................................................................... 26
LA SOLITUDINE ..................................................................................................... 29
IL SENSO DI INADEGUATEZZA ................................................................................ 31
SENTIRSI IGNORATI E IL DISAGIO ........................................................................... 34
LA PRESENZA DELL’IO NON APPAGATO .................................................................. 37
IMPEGNI CON SE STESSI: USCIRE DALL’IDENTIFICAZIONE CON I PROPRI GENITORI . 40
RISALIRE ALLE ASPETTATIVE E PROIEZIONI .......................................................... 42
BISOGNI PERSONALI, CONVINZIONI E ASPETTATIVE ................................................ 44
COSA C’E’ DIETRO LA FRUSTRAZIONE, IL GIUDIZIO, ................................................. 47
LE ACCUSE, LE RICHIESTE ECCESSIVE, ...................................................................... 47
CIOE’ LE ASPETTATIVE ? .......................................................................................... 47
RICHIESTE E ASPETTATIVE NELLA RELAZIONE ...................................................... 49
CONDIZIONAMENTI FAMILIARI E SOCIALI .............................................................. 52
TABU’ PERSONALI ............................................................................................... 55
LA SFIDUCIA .......................................................................................................... 57
LA VERGOGNA ....................................................................................................... 61
IL NON ESSERE CRESCIUTA E LA MANCANZA DI RESPONSABILITA’ ............................ 65
ANESTESIA EMOTIVA .................................................................................................. 67
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LA MANCANZA DEI PRINCIPI GUIDA YIN ..................................................................... 69
LA RABBIA ............................................................................................................. 71
METAMORFOSI EMPIRICA : DA VITTIMA A CARNEFICE .......................................... 73
LA SINDROME DELLA “GIUSTIZIERA” ........................................................................ 76
COME HO SCOPERTO LA “SINDROME DELLA SALVATRICE” ? ................................... 78
IL SI CONSAPEVOLE............................................................................................... 81
IL NO CONSAPEVOLE ............................................................................................ 83
ALLEANZA CON LA RABBIA ..................................................................................... 86
L’INCLUSIONE : INTEGRARE L’OMBRA .................................................................... 88
ACCETTARE IL MIO CORPO .......................................................................................... 89
ACCETTARE ME STESSA ............................................................................................... 89
ACCETTARE LA MIA VITA ............................................................................................. 90
ACCETTARE IL DOLORE .............................................................................................. 92
ACCETTARE IL SENSO DI COLPA .................................................................................. 94
IL DARE E IL RICEVERE ......................................................................................... 96
LA MATRICE D’ECCELLENZA DEL MONDO YIN .................................................... 98
RITROVARE IL LATO “LUCE” DEL FEMMINILE .......................................................... 100
LA DONNA INTEGRATA E LA SPIRITUALITA’ ............................................................ 103
I DIRITTI DELL’OMBRA YIN ........................................................................................ 103
CONCLUSIONE ....................................................................................................... 104
RINGRAZIAMENTI ................................................................................................. 107
BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................... 108
111
IL COUNSELING
“Sono un viaggiatore e un navigatore, e ogni giorno
scopro qualche nuova regione dentro la mia anima”
Kahlil Gibran
Il counseling è un incontro tra due persone (counselor e cliente) in cui attraverso il dialogo, ma
soprattutto la qualità della relazione, si instaura una condizione di fiducia, di empatia, di ascolto,
adatto per condividere e alleviare le preoccupazioni e i problemi dell’altra persona.
Il cliente resta sempre il protagonista di questo processo, ma viene guidato a esaminare la sua
situazione da diversi punti di vista, sino a quando lui stesso non riesce a scorgere diverse possibili
soluzioni al suo problema.
I fattori più importanti per questo nuovo ruolo, oltre la professionalità e le conoscenze in campo
psicologico, sono le qualità personali di apertura, di sensibilità, di disponibilità, di attenzione e di
discrezione del counselor, che si possono sintetizzare in : PRESENZA, ASCOLTO, EMPATIA.
Se chi ascolta sarà capace di entrare in sintonia con l’altro(ascoltare con il cuore), questo si sentirà
ascoltato, compreso , accettato( che va bene così com’è) e potrà trovare più facilmente dentro di sé le
risorse necessarie per risolvere il suo problema. L’empatia è la capacità di comprendere l’esperienza
soggettiva del cliente, mettendosi nei suoi panni, guardando le cose dal suo stesso punto di vista, ma
senza mai cadere nell’identificazione.
Il counselor è come il “saggio amico” a cui si può confidare il proprio disagio, sapendo di non venir
giudicati e neppure consigliati, ma semplicemente sostenuti e accompagnati nel processo di ricerca di
soluzioni e trasformazioni autonome.
Esso è un nuovo modo di affrontare i problemi che coinvolgono l’individuo, non si propone di
addestrare, né di curare, ma il suo obiettivo è quello di tirar fuori le potenzialità presenti in ciascuno.
Il counselor è stato definito “l’arte del guidare” e può essere paragonato a una guida di montagna che
accompagna i suoi clienti in paesaggi a lui famigliari e che mette a disposizione la sua esperienza, ma
ogni percorso è sempre nuovo e ognuno deve camminare sulle proprie gambe e il progresso verso la
meta dipenderà dall’impegno del soggetto in prima persona che diventa guida di se stesso
Questa nuova professione, considera il malessere individuale dell’uomo contemporaneo, travolto da
innumerevoli cambiamenti, non più come un disturbo da eliminare, ma il punto di partenza di un
percorso di riorganizzazione interna, di riscoperta dei propri valori scelti autonomamente, della
consapevolezza della propria libertà e responsabilità di ristabilire un nuovo dialogo con se stesso e con il
mondo circostante, per poter applicare ad attuare tutte le proprie risorse nella vita quotidiana e in
contesti interpersonali e sociali.