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30-01-2014 Il mio bonsai preferito I nostri primi 14 anni Era una splendida mattina di primavera quando decisi di recarmi in montagna, proprio sopra il mio paese, alla ricerca di qualche albero in miniatura che potesse in futuro, diventare un bonsai. Mentre mi avvicinavo al luogo di ricerca continuavano a ritornarmi in mente le indicazioni di Severino (il mio primo maestro bonsai, animatore e punto di riferimento del vecchi bonsai club di Breno). “Una pianta deve avere un buon nebari , vegetazione compatta, forma interessante del tronco ecc,ecc … “ tutte parole inizialmente prive di significato, che comunque mi riempivano di curiosità ed entusiasmo. Armato di zaino e piccozza inizio a vagare nel bosco … Dopo non so quante piante avessi osservato ed esaminato … arrivai ai piedi di una parete rocciosa, dove da alcuni minuscoli terrazzamenti si prostravano alla vallata delle piante vecchissime, centenarie, che emanavano unenergia viva. Cominciai ad arrampicarmi … Dopo circa un centinaio di metri arrivai ad un fazzoletto di terra e trovai ciò che cercavo. Appena la vidi mi avvicinai , tolsi lo zaino e mi sedetti vicino. Sembrava di stare accanto ad uno di quei vecchi faggi che da anni incontravo durante le mie passeggiate. Alcuni capolavori di madre natura in Valle Camonica Alberi antichi, misteriosi e magici che ti rapivano l’attenzione e come per incanto fermavano il tempo, trasmettevano una pace che solo la natura sa esprimere. La forza evocativa di questo piccolo cespuglio fu la stessa. Ebbi subito la sensazione di aver trovato del materiale idoneo che potesse intraprendere la Via del Bonsai. Trascorsa l’estate , appena il bosco cominciò a cambiare colore, partii per la raccolta. Arrivato a casa preparai un grosso vaso nero in plastica e con molta cura misi a dimora la pianta. Usai del soffice terriccio di faggio (ai tempi si usava così) che alcuni giorni prima raccolsi nel bosco, ben lontano dalla mitica akadama. Passò l’inverno riparata sotto un grosso albero in giardino,

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30-01-2014 Il mio bonsai preferito

I nostri primi 14 anni

Era una splendida mattina di primavera quando decisi di recarmi in montagna, proprio sopra il mio paese, alla ricerca di qualche albero in miniatura che potesse in futuro, diventare un bonsai. Mentre mi avvicinavo al luogo di ricerca continuavano a ritornarmi in mente le indicazioni di Severino (il mio primo maestro bonsai, animatore e punto di riferimento del vecchi bonsai club di Breno). “Una pianta deve avere un buon nebari, vegetazione compatta, forma interessante del tronco ecc,ecc … “ tutte parole inizialmente prive di significato, che comunque mi riempivano di curiosità ed entusiasmo. Armato di zaino e piccozza inizio a vagare nel bosco … Dopo non so quante piante avessi osservato ed esaminato … arrivai ai piedi di una parete rocciosa, dove da alcuni minuscoli terrazzamenti si prostravano alla vallata delle piante vecchissime, centenarie, che emanavano un’ energia viva. Cominciai ad arrampicarmi … Dopo circa un centinaio di metri arrivai ad un fazzoletto di terra e trovai ciò che cercavo. Appena la vidi mi avvicinai , tolsi lo zaino e mi sedetti vicino. Sembrava di stare accanto ad uno di quei vecchi faggi che da anni incontravo durante le mie passeggiate.

Alcuni capolavori di madre natura in Valle Camonica

Alberi antichi, misteriosi e magici che ti rapivano l’attenzione e come per incanto fermavano il tempo, trasmettevano una pace che solo la natura sa esprimere. La forza evocativa di questo piccolo cespuglio fu la stessa. Ebbi subito la sensazione di aver trovato del materiale idoneo che potesse intraprendere la Via del Bonsai. Trascorsa l’estate , appena il bosco cominciò a cambiare colore, partii per la raccolta. Arrivato a casa preparai un grosso vaso nero in plastica e con molta cura misi a dimora la pianta. Usai del soffice terriccio di faggio (ai tempi si usava così) che alcuni giorni prima raccolsi nel bosco, ben lontano dalla mitica akadama. Passò l’inverno riparata sotto un grosso albero in giardino,

senza molte attenzioni si addormentò per circa quattro mesi. Appena la temperatura cominciò a stabilizzarsi sopra i 10 gradi … si risvegliò! Tutto era andato bene ….

Dalla foto si può vedere la pianta nell’ ottobre del 2001, con la sua prima forma naturale nel grosso vaso di coltivazione. A destra un progetto di massima del maggio dello stesso anno .

La lasciai stare un paio di anni e nella primavera del 2003 feci un rinvaso più accurato, eliminando tutto il vecchio terriccio del bosco e potando l’apparato radicale, eliminando un paio di grosse radici rimaste dalla raccolta. Come terriccio usai dell’akadama, pomice e lapillo vulcanico in pari uguali (miscela che tuttora utilizzo con ottimi risultati). In occasione del III corso della scuola d’arte bonsai, decisi di portare la pianta per la sua prima vera impostazione. Qui il Maestro Hideo Suzuki mi fece osservare, nel disegno dei tronchi e dei rami, la possibilità di dare maggiore dinamicità e forza alla composizione. Decisi perciò di cambiare fronte di 180°, potatura radicale di una buona parte della ramificazione di destra e per finire una maggiore inclinazione verso sinistra. La forza evocativa del faggio cominciò a manifestarsi, un nuovo progetto prese corpo.

Foto autunno 2003 prima e dopo la lavorazione con il Maestro Suzuki al III corso della scuola d’arte bonsai

Fino al dicembre del 2005 non ci furono grossi interventi estetici, solamente un nuovo rinvaso in un ovale di color crema, che permise alla pianta di crescere con l’inclinazione ideale.

Foto autunno 2005 dopo il rinvaso con vista fronte e lato sinistro

Aspettai altri 4 anni, fino all’autunno del 2009, per effettuare il successivo rinvaso . Dalla foto sotto si può notare l’abbondante concimazione con concime organico a lenta cessione. Di norma preferisco concimare questa essenza solamente l’autunno, questo mi aiuta a contenere l’eccessivo vigore di crescita in primavera .

Ecco la pianta nell’ottobre del 2009 Si noti il miglior equilibrio vegetativo raggiunto dopo 10 anni di cure Per quanto riguarda i lavori di mochikomi, utilizzai una pinzatura primaverile sulle nuove gemme che appena si aprono formano una “cascata di foglioline verdi “ pinzando il prima possibile alla seconda foglia. La particolarità di questa essenza è quella di aprire le gemme contemporaneamente in un paio di giorni. Bisogna quindi fare molte attenzione a non scordarsi questa operazione per non trovarsi con internodi molto lunghi. Per equilibrare invece il vigore vegetativo tra la parte apicale e i rami bassi, a giugno, appena le foglie sono diventate mature e coriacee, partendo dalle più grandi, le riduco del 50%, le medie del 30% e le piccole interne rimangono tali. In questo modo hanno tutte la stessa dimensione, questo contribuirà ad uniformare la crescita delle nuove gemme che da luglio cominceranno a formarsi. Nel 2011 acquistai l’attuale vaso Tokoname, ovale e smaltato verde scuro che si sposa bene con i caldi colori autunnali, con la gamma dei verdi e dei gialli.

Foto scattata i primi giorni di maggio del 2012 , con le tenere foglie appena aperte

Per l’esame del XVI corso della scuola d’arte bonsai in programma il 10 marzo 2014, pensai di realizzare un tavolino che potesse valorizzare ulteriormente la ceppaia di faggio. Scelsi così una forma molto semplice e classica per l’esposizione di una caducifoglia. Un tavolo da 64 cm x 46 cm x 20 h, lineare, con una serie di pioli da 6 mm di diametro, perimetrali, che si sposano perfettamente con la fitta ramificazione dei palchi. In essenza di noce. Una colorazione scura e una finitura opaca, mi riportano alla mente la parte ombrosa della vegetazione in una esposizione estiva, con le foglie di un verde intenso e l’invito a rifugiarsi all’ombra dei palchi che si aprono verso un prato verde. Nelle foto a seguire le varie fasi della realizzazione.

Particolare dei vari elementi prima e dopo l’assemblaggio

Tavolino con la colorazione naturale del noce nazionale , e poi con il colore mogano e la vernice opaca

Il 15 e 16 marzo, durante la festa di primavera della scuola d’arte bonsai, ebbi la fortuna e l’onore di ricevere il premio dal Maestro Shigeru Otani, come migliore caducifoglia esposta. Questo riconoscimento mi riempie di gioia, dandomi nuove energie nel continuare a ricercare e diffondere l’arte bonsai. Ringrazio di cuore tutta la scuola, Mariateresa, Sawa e tutti i miei compagni di viaggio del XVI corso. Conclusioni

L’arte bonsai permette di comunicare sensazioni e stati d’animo, che emergono attraverso la contemplazione della natura. Grazie agli insegnamenti del Maestro e all’esperienza diretta, si capisce l’importanza della conoscenza della parte teorica di quest’arte. Come un musicista utilizza le note musicali, i pentagrammi e gli strumenti per creare un’opera, il bonsaista utilizza la perfezione tecnica, i tempi giusti di lavorazione e i canoni estetici per creare la propria opera vivente. La nostra sensibilità diventa percepibile a chi osserva l’esposizione nel tokonoma. Siamo noi che attraverso la pianta cresciamo, ci scopriamo, evolviamo. Come il piccolo cespuglio di faggio si è trasformato diventando mistico, saggio ed eterno, il nostro spirito si fonde con la nostra creazione. Ricercare l’essenza nelle azioni di ogni momento, con la convinzione che ogni momento ha un valore assoluto di esistenza e di importanza. E’ con l’azione, ora, che presente e futuro prendono corpo. Ogni ramo potato, pinzato, concimato, annaffiato contribuisce a cambiare inesorabilmente la nostra personalità. Il faggio e l’IO, due mondi solo concettualmente diversi ma esistenti simultaneamente in una sola realtà, dove l’Arte Bonsai diventa il mezzo di fusione. Ogni uomo, in fondo, ha il bisogno di raggiungere la pace interiore del faggio secolare.

Ultimi freddi … aspettando la primavera.

Massimo Pedersoli allievo del XVI corso