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IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE 10|2013 dicembre www.cem.coop Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LII - n. 10 - Dicembre 2013 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - Contiene I.R. Atti del 52° convegno Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia ® QUELLO CHE LE COSE CI DICONO EDUCARE AI BENI COMUNI

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®

QUELLO CHE LE COSE CI DICONOEDUCARE AI BENI COMUNI

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Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

DirettoreBrunetto [email protected]

Condirettori Antonio Nanni ([email protected]) Lucrezia Pedrali ([email protected])

SegreteriaMichela [email protected]

Redazione Federico Tagliaferri (caporedattore)[email protected]

Monica Amadini, Daniele Barbieri, CarloBaroncelli, Davide Bazzini, Giuseppe Bias-soni, Silvio Boselli, Luciano Bosi, PatriziaCanova, Azzurra Carpo, Stefano Curci, Mar-co Dal Corso, Lino Ferracin, Antonella Fu-cecchi, Adel Jabbar, Sigrid Loos, Karim Me-

tref, Clelia Minelli, Roberto Morselli, NadiaSavoldelli, Alessio Surian, Aluisi Tosolini,Rita Vittori, Patrizia Zocchio

Collaboratori: Roberto Alessandrini, RubemAlves, Fabio Ballabio, Michelangelo Belletti,Simona Botter, Paolo Buletti, Gianni Cali-garis, Andrea D’Anna, Gianni D’Elia, Marian-tonietta Di Capita, Alessandra Ferrario, Fran-cesca Gobbo, Cristina Ghiretti, Piera Gioda,Stefano Goetz, Grazia Grillo, Mimma Iannò,Renzo La Porta, Lorenzo Luatti, FrancescoMaura, Maria Maura, Oikia Studio&Art, Ro-berto Papetti, Luciana Pederzoli, Rita Ro-berto, Carla Sartori, Eugenio Scardaccione,Oriella Stamerra, Nadia Trabucchi, FrancoValenti

Direttore responsabileMarcello Storgato

Direzione e RedazioneVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax [email protected]. n. 11815255

Amministrazione - abbonamentiCentro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3774965 [email protected]

Quote di abbonamento10 num. (gennaio-dicembre 2014) € 30,00Abbonamento triennale € 80,00Abbonamento d’amicizia € 80,00Prezzo di un numero singolo € 4,00

Abbonamento CEM / esteroEuropa € 60,00Extra Europa € 70,00

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegni di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

[email protected]

www.cem.coop

I L M E N S I L E D E L L ’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E

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Atti del 52° convegnoR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

®

QUELLO CHE LE COSE CI DICONOEDUCARE AI BENI COMUNI

Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967

Editore: Centro Saveriano Animazione Missio-naria - CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 -25121 Brescia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127in data 19/02/1993.

La testata fruisce dei contributi statali diretti dicui alla legge 250 del 7 agosto 1990.

editorialeSperare l’insperato 1Lucrezia Pedrali

Programma del Convegno 2

IntroduzioneGrandi beni e piccole cose 3Maria Maura

Sommarion. 10 / dicembre 2013

SerataLa nostra Thule 19Gianni Caligaris

pagina 5RelazioneL’economia nell’eradei beni comuni

Luigino Bruni

RelazioneConoscere i luoghi e curarli 15come beni comuniDomenico Luciani

Workshops

Elisabetta Sibilio 34

Ricordo di GFZ

«Volo fecondo» 38Eugenio Scardaccione

momento dello spirito

Case sparse e poeti 40Roberto Papetti

Bar - Spazio Off

Se son cose... fioriranno! 43Clelia Minelli

Aperilibri 44Daniele Barbieri

Serata musicale

Kachupa Folk Band 45

Chiusura del Convegno

Beni comuni 46Antonella Fucecchi

laboratorio 1

Dai un’altra occasione alle cose 20Luì Angelini, Nadia Savoldelli

laboratorio 2

Di versi cieli 22Lara Albanese, Emanuela Colombi

laboratorio 3

Le cose che abbiamo in comune 24Riccardo Olivieri, Roberto «Bobo» Varone

laboratorio 4

Per il buon uso della fine del mondo 26Simone Polzot, Eugenio Scardaccione

laboratorio 6

In media res 28Patrizia Canova, Maria Maura

laboratorio 8 (adolescenti)

Istruzioni per cambiare il mondo 30Maria Claudia Olivieri, Martina Vultaggio

laboratorio 9 (bambini)

Qualquadra non Cosa 32Francesco Caligaris, Agnese Desideri

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brunetto salvarani | direttore [email protected]

Sperare l’insperato

editoriale lucrezia pedrali | condirettore [email protected]

editoriale

La speranza è nel riconoscere di non essere soli, nelmantenere intatta la convinzione delle possibilità: pos-sibilità di convivenza, di incontro, di conflitto aspro manon distruttivo, di altro che io non so ma che qualcunoforse sta già pensando e io potrò apprendere, di un’albadopo l’imbrunire (per parafrasare il titolo del convegnoCEM dello scorso anno). Ma la speranza non può essere un esercizio astratto enemmeno si può insegnare. Può generarsi, se si gene-rano le condizioni in cui sperimentare la non solitudine,la convivenza, l’incontro, il conflitto compreso e elaborato,l’apertura critica ma non ostile a ciò che non sappiamo.Ciò significa che abbiamo molto da fare e pur nella faticanon abbiamo alibi per non sperare: educatori, insegnanti,formatori, genitori, adulti siamo tutti coinvolti nel processodi costruzione dei contesti nei quali collocare le pratichedi convivenza, di conflitto, di apprendimento. Sperare l’insperato è l’augurio che vorrei rivolgere a tuttinoi. È un atto di fede (nel senso proprio di affidamento)nella possibilità di proseguire o di ricominciare, di sba-gliare o di riprendersi, di esplorare o di fermarsi. O sem-plicemente di vivere.

Ci ritroveremo la prossimaestate al Convegno CEMe ci racconteremo le formeche abbiamo dato alla speranza nel nostro vivere quotidiano.Buon anno!

«S enza speranza non troverai l’insperato». Citospesso questa formula magica. Mi torna allamente ogni volta che perdo la speranza. Que-

sta formula è più che mai attuale. Se ne ritrova l’eco inMark Twain: Non sapevano che fosse impossibile e alloral’hanno fatto. Credo profondamente che si debba sperarel’insperato, o almeno sperare l’improbabile. Quante volteil probabile non si è realizzato e l’improbabile invece sì,in tempo di guerra e in tempo di pace, durante la vita diun individuo e di quella di una società. Il probabile, oggi,è che la corsa folle in cui viene trascinato il nostro pianeta,con l’economia impazzita, la degradazione della biosfera,la moltiplicazione delle armi di distruzione di massa, leconvulsioni etno-religiose, porti a una catena di catastrofi.Bisogna trarne la conclusione che non vi sia più speranza?«Ciò che è probabile non è certo e con le mie deboliforze apro all’improbabile». (Edgar Morin, I miei filosofi,Erickson, 2013, pag. 36).Sperare l’insperato è quello che cerchiamo di fare ognigiorno noi che ci occupiamo di educazione e lo facciamo,tenacemente orientati verso le possibilità, senza grandicertezze. Cosa appare più improbabile che continuarea credere che sia possibile trovare gli strumenti percomprendere la nostra attuale condizione e aiutarci avivere? L’assenza o la perdita di valore dei grandi quadriteorici che ci hanno sorretto in passato hanno prodottouno smarrimento che può essere superato solo con l’in-venzione quotidiana della vita come opera d’arte, comerisposta originale e non sempre riproducibile. Ricerchia-mo tracce e direzioni di senso, operiamo per costruirecondivisioni di significati in contesti mutevoli e complessi.La frammentazione e l’apparente provvisorietà delle no-stre esistenze ci richiede tanti nuovi inizi; siamo alla ri-cerca di luoghi e dimensioni dove agire i valori, che nonsono mutati nel tempo, ma hanno mutato la loro forma enon trovano il palcoscenico sul quale attualizzarsi. Se-guiamo non certezze, ma le preziose indicazioniche ci sono state consegnate da compagni distrada incontrati nei nostri percorsi, alcuni lasciatie altri sempre accanto a noi.

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2 | cem mondialità | dicembre 2013

52° CONVEGNONAZIONALE DI CEM MONDIALITÀTREVI (PG), 20-24 AGOSTO 2013HOTEL DELLA TORRE

MARTEDÌ 20 AGOSTO 2013

DALLE ORE 14.30 ACCOGLIENZA CONVEGNISTI

ORE 16.00APERTURA DEL CONVEGNO PRESIEDE LUCREZIA PEDRALIINTRODUCE MARIA MAURA

ORE 16.30RELAZIONE DI LUIGINO BRUNIL’ERA DEI BENI COMUNI,QUALE ECONOMIA?

ORE 17.30 - COFFEE BREAK

ORE 17.45RELAZIONE DI DOMENICO LUCIANICONOSCERE I LUOGHI E CURARLI COME BENI COMUNI

ORE 18.45 - DIBATTITO

SERATA«LA NOSTRA THULE»: OMAGGIO A FRANCESCO GUCCINI INTRODUCE BRUNETTO SALVARANI

LETTURA DAL «DIZIONARIO DELLE COSE PERDUTE» A CURA DI GIANNI CALIGARIS

PROIEZIONE DI UNA VIDEO-INTERVISTA REALIZZATA DA PATRIZIA CANOVA

CANZONI «AD LIBITUM» DAL REPERTORIO GUCCINIANO

MERCOLEDÌ 21 AGOSTO 2013

ORE 9.00 - LABORATORI

WORKSHOP 1: «FILO, RETE, TELA» CON GIACOMO CALIGARIS

ORE 15.00 - LABORATORI

WORKSHOP 2: «DA COSA NASCE COSA» CON PAOLA BONSI E ELISABETTA SIBILIO

ORE 18.45LIBRO APERITIVO A CURA DI DIBBÌ

DOMENICO LUCIANI «IL LUOGO E IL SACRO CONTRIBUTI ALL’INDAGINE SUL LINGUAGGIO SIMBOLICODEI LUOGHI»

PRESENTA ROBERTO PAPETTI

SERATA MOMENTO DELLO SPIRITO... «DELLE COSE COMUNI»CON ROBERTO PAPETTI MISTICO ROMAGNOLO

A SEGUIRE “RICORDANDO GFZ”

PRESENTA EUGENIO GEGÈ SCARDACCIONE

GIOVEDÌ 22 AGOSTO 2013

ORE 9.00 - LABORATORI

WORKSHOP 3: «INFRACULTURA - SPOSTA-MENTI PER UN PAESE STABILE»CON FRANCESCO MARRELLA

ORE 15.00 - POMERIGGIO LIBERO

ORE 18.45LIBRO APERITIVO A CURA DI DIBBÌ

BRUNETTO SALVARANI E ODOARDO SEMELLINI«DIO, TU E LE ROSE» LA COLLANA EMI «FATTORE R»

PRESENTA LUCREZIA PEDRALI

SERATA PERFORMANCE MUSICALE CON I KACHUPA

VENERDÌ 23 AGOSTO 2013

ORE 9.00 - LABORATORI

WORKSHOP 4: «LE COSE RACCONTANO» CON ELISABETTA SIBILIO E CLELIA MINELLI

ORE 15.00 - LABORATORI

WORKSHOP 5: «DI FUTURI CE N’È TANTI» CON DANIELE BARBIERI

ORE 18.45LIBRO APERITIVO A CURA DI DIBBÌ

MOHAMED BA «IL TEMPO DALLA MIA PARTE»

PRESENTA ANTONELLA FUCECCHI

SERATA CONCLUSIONI ANTONELLA FUCECCHIPRESENTAZIONE DEI LABORATORI

FESTA FINALE

EDUCARE AI BENI COMUNIQUELLO CHE LE COSE CI DICONO

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GRANDI BENI E PICCOLECOSE

PRESENTAZIONEMARIA MAURA

[email protected]

Vi racconto due storie, la prima parla di un bambino che cammina su un sentierodi montagna, e ammirando la bellezza del bosco chiede al papà: «Ma di chi èquesta valle?». E il papà, dopo un attimo di spiazzamento, risponde: «Beh, nonè di nessuno, in particolare, cioè... è di tutti!».La seconda storia, anche questa è vera, parla di un parco, il parco delle cascatedi Molina, vicino a Verona. È un parco ricco di reperti archeologici, dall’uomodi Neanderthal in poi. All’ingresso del parco c’è un cartello che dice: «Proprietà

della comunità». Ed è proprio così, quel parco appartiene alla comunità di Molina di Fiumane cheha costituito una srl e si occupa di tenere in ordine e gestire il parco. La comunità stessa ha decisodi aver cura di un bene, un bene che appartiene a tutta la comunità.Queste storielle hanno chiaramente qualcosa in comune, la prima è su un piano più astratto, laseconda è più concreta: una buona pratica che sta realmente accadendo. Entrambe le storieruotano intorno al concetto di possesso ma in un certo senso lo superano. Se siamo qui a parlaredi educare ai beni comuni, educare ad avere una buona relazione con le cose, dobbiamo fare unpasso avanti rispetto al criterio di possesso. Che si possiedano cose è un dato di fatto, ma l’uomonon è in relazione con le cose solo per possederle. Cosa deriva dal latino causa, ciò che sta acuore, ciò per cui vale la pena battersi. Le cose sono anche res, e da qui il termine «realtà»: siamocircondati dalle cose, esse esistono già quando noi nasciamo, e sopravvivono a noi, senza le «cose»non ci sarebbe nulla. Educare ai beni comuni significa quindi educare ad una buona relazione conla realtà, con le cose, soprattutto con quelle cose che sono buone per l’umanità. Prendiamo unbambino piccolo: quando vuole una cosa piange e si dispera, finché non la ottiene è poi la divora,

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20 agosto 2013

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Presentazione

la consuma, finché non ne ha abbastanza. A quel punto la lascialì, ma se finisce prima... allora è una tragedia! La mamma insegnaquindi al bambino, lo educa ad aspettare, a consumare concalma e oculatezza ciò che ha a disposizione e anche, pianopiano, ad avere un pensiero che vada oltre il presente. Un pen-siero progettuale. L’educatore, l’insegnante, il genitore, fa proprioquesto: educa a vivere, ad avere un buon rapporto con le cosedel passato del presente e a pensare al futuro.In un’epoca dove il tutto-e-subito va per la maggiore non solotra i bambini piccoli, non è facile parlare di futuro. Le leggi ven-gono fatte ormai da un mese per quello successivo, il lavoroper i giovani è incostante e spesso non lineare, sottopagato.Questo impedisce di progettare il futuro togliendo il respiro.L’illegalità diffusa, piccola e grande, compromette sicurezza,crescita e rallenta lo sviluppo del paese. Ma almeno in campoeducativo, continuare a coltivare una visione lungimirante è ne-cessario. Richiede un certo sforzo, una fervida immaginazione.Torniamo ai beni comuni: perché abbiamo proprio bisogno diinserire l’espressione «beni comuni» accanto ai già esistentitermini «pubblico» e «privato»? Non basterebbe parlare di benipubblici, della res publica, e del popolo sovrano?

In molti paesi d’Europa è così perché i privati già s’impegnanomolto per tutelare questi beni e il pubblico fa la sua parte: or-ganizza, coordina, tutela.Quando parliamo di beni comuni, il pubblico e il privato sono inun certo senso già inclusi, entrambi, nella categoria. Il bene co-mune è infatti in una relazione dialettica, in una tensione tra ledue forze opposte, ma complementari. Una è la forza che tutelail bene (in genere è il pubblico), e l’altra è la forza che rivendicail diritto all’accesso (il privato). Se queste due forze sono in equi-librio tra loro permettono una buona convivenza tra pubblico eprivato, e di conseguenza una buona salute del bene comune.Perché i beni comuni devono essere in buona salute, da loro di-pende la salute dell’umanità, della società, delle comunità. Salutenon solo fisica, ma anche mentale, culturale, affettiva.I beni comuni non sono solo le cose grandi, ma anche, e spesso,soprattutto, le cose piccole, quelle che diamo per scontate,quelle a cui siamo abituati, tanto da esserci dimenticati quantosono fondamentali.Dal semplice buon romanzo, ad una casa accogliente. Le piccolecose, sommate tra di loro, permettono di agevolare la nostravita, aumentarne qualità e facilitare le relazioni.Concludo con un’immagine trovata tempo fa, per caso, su unquotidiano: due uomini sono di fronte ad un alto muro, uno nonpuò vedere oltre perché il muro è più alto di lui, l’altro invecepuò vedere oltre perché è su una pila di libri. Questa immaginemi ha richiamato una celebre frase di Bernardo di Chartres delXII secolo: siamo come nani sulle spalle dei giganti, più bassidi loro per statura, ma proprio in virtù del fatto di essere sulleloro spalle in grado di vedere più lontano.Auguro a tutti voi di accorgervi che siete già sulle spalle di qual-che gigante, quale? Non sarò certo io a dirvelo! nnn

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I beni comuni non sonosolo le cose grandi, ma

anche, e spesso,soprattutto, le cosepiccole, quelle che

diamo per scontate,quelle a cui siamo

abituati, tanto da essercidimenticati quanto sono

fondamentali

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RELAZIONELUIGINO BRUNI

LA TRAGEDIA LE SFIDE LE POSSIBILISOLUZIONI

L’ECONOMIA NELL’ERA DEI BENI COMUNI

20 agosto 2013

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6 | cem mondialità | dicembre 2013

LA TRAGEDIA DEI «COMMONS»

Stiamo entrando decisa-mente nell’era dei benicomuni, una fase dellastoria dell’umanità cheda un certo punto di vi-sta è inedita (per le di-mensioni del problema

certamente) ma dall’altra rappresenta unritorno all’antichità, quando le risorse eco-nomiche delle comunità di raccoglitori ecacciatori erano con ogni probabilità ge-stite comunitariamente dai gruppi. Oggi,e ancor più domani, i beni economici esociali decisivi per la qualità della vitasulla Terra e forse per la sua stessa so-pravvivenza sono e saranno beni che uti-lizziamo contemporaneamente in tanti,tutti in alcuni casi (ad esempio, lo stratodi ozono), e che sottostanno a leggi bendiverse da quelle che regolano la produ-zione e il consumo dei beni privati, quellistudiati dalla scienza economica in questidue secoli. In questa nuova-antica era, laregola saranno i beni comuni, l’eccezionei beni privati. L’idea-base del rapportoconsumo privato/bene comune su cui siè fondata la scienza economica era piùo meno la seguente: una società civile,dove ciascuno persegue semplicementei propri interessi, funziona normalmentebene (meglio, se confrontata con altri si-stemi) perché la cura dei propri interessiè espressione nei cittadini di virtù civile.Se ad esempio ogni cittadino di Milano

si occupa dell’educazione dei propri figli,fa bene il proprio lavoro, sistema il suogiardino e paga le tasse per finanziare laproduzione dei beni pubblici, se cioè aMilano abbiamo tanti prudent men, comeli chiamava Adam Smith, automaticamen-te anche la città è virtuosa. È questa, nellasua essenza, l’idea racchiusa dalla me-tafora più famosa del pensiero economi-co, quella della smithiana «mano invisi-bile»: ciascuno persegue interessi privatie la società si ritrova provvidenzialmenteanche con il bene comune. Anche perquesta ragione, e in polemica con i mo-ralisti a lui precedenti e contemporanei(Mandeville o Rousseau), per Smith l’in-teresse personale non è un vizio ma èuna virtù: è la virtù della prudenza. Questaoperazione «semantica» (self-interest checambia significato morale e da vizio, l’ava-rizia, diventa una virtù, la prudenza) èstata alla base della legittimazione eticadella nascente Economia politica e del-l’economia di mercato che - occorre sem-

RELAZIONELUIGINO BRUNI

LUIGINO BRUNI. PROFESSORE ORDI-

NARIO DI POLITICA ECONOMICA PRES-

SO LA LUMSA (LIBERA UNIVERSITÀ

MARIA SS. ASSUNTA) DI ROMA. NEGLI

ULTIMI 15 ANNI IL CAMPO DI RICERCA

DI LUIGINO BRUNI HA COPERTO MOLTI

AMBITI, DALLA MICROECONOMIA,

ALL’ETICA ED ECONOMIA, ALLA STORIA

DEL PENSIERO ECONOMICO E DALLA

METODOLOGIA ALLA SOCIALITÀ E FE-

LICITÀ IN ECONOMIA. I SUOI ATTUALI

INTERESSI DI RICERCA SONO RIVOLTI

ALL’ECONOMIA CIVILE ED ALLE CATE-

GORIE ECONOMICHE AD ESSA COLLE-

GATE, QUALI RECIPROCITÀ E GRATUI-

TÀ. SU QUESTI ARGOMENTI HA SCRIT-

TO VARI LIBRI. È VICEDIRETTORE DEL

CENTRO INTERDISCIPLINARE E IN-

TERDIPARTIMENTALE CISEPS; È VICE-

DIRETTORE DEL CENTRO INTERUNI-

VERSITARIO DI RICERCA SULL’ETICA

D’IMPRESA ECONOMETICA; È COOR-

DINATORE DEL PROGETTO ECONOMIA

DI COMUNIONE E MEMBRO DEL CO-

MITATO ETICO DI BANCA ETICA.

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pre ricordarlo - ha svolto una importante funzione di civilizzazione del mondo,se lo confrontiamo con il regime feudale. C’è però un problema molto serio.La legittimazione etica dello scambio e questa visione virtuosa dell’interesse(visto come espressione di prudenza) hanno funzionato e funzionano in societàsemplici dove il bene dei singoli è direttamente anche il bene di tutti, dove ibeni sono soprattutto privati: lavatrici, panini, scarpe e computer. Se invece ibeni diventano comuni, se i beni economici più importanti e strategici per noie per i nostri nipoti, per i più poveri e per le altre specie, sono le energie nonrinnovabili, foreste, laghi, mare, beni ambientali, acqua, discariche, ma anchela gestione di un condominio o la convivenza nelle città multietniche, il discorsosi complica terribilmente. Accade cioè che la virtù della prudenza non è piùautomaticamente una virtù del mercato poiché non è più vero che ricercarel’interesse privato produce anche bene comune, anzi accade che il bene indi-viduale produca male comune. Il più grande cambiamento della società glo-balizzata e post-moderna ha proprio a che fare con il tema dei beni comuni,che stanno diventando la regola, non l’eccezione. Siamo infatti entrati nell’epocadei beni comuni. Oggi la qualità dello sviluppo dei popoli e della Terra dipendesicuramente da scarpe, frigoriferi e lavatrici (i classici beni privati) ma moltopiù da beni (o mali) comuni come i gas serra, lo sfruttamento delle risorsenaturali o lo stock di fiducia dei mer-cati finanziari (la crisi finanziaria puòanche essere letta come una tragediadel bene collettivo fiducia), da cui di-pendono poi anche i beni privati. Èallora ormai molto evidente che i benicomuni strategici dell’umanità sonosempre più decisivi e per questo sog-getti a tensioni: dall’energia all’acqua,dall’ambiente alla sicurezza, dalle fo-reste agli oceani, tutti tipici beni co-muni. Se non saremo capaci di in-ventarci nuovi sistemi che tenganoassieme libertà e beni comuni, il ri-schio grande è che si rinunci ad uno dei due poli della tensione (o alla libertàindividuale o ai beni comuni stessi), uno scenario ovviamente molto triste. Pos-siamo, e dobbiamo, cercare nuove vie. Uno dei primi studiosi a porre laquestione di quella che definì la «tragedia dei beni comuni», fu nel 1968 D.Hardin, un biologo, che pose all’attenzione degli studiosi un problema, dopodi lui presente in ogni libro di Teoria microeconomica, in un articolo, Thetragedy of commons, pubblicato sulla prestigiosa rivista Science. Quali le tesi di questo importante articolo? Hardin inizia la sua analisi con l’af-fermazione che nella gestione di molti fenomeni collettivi esistono delle tragedie,una parola che nel suo senso originario greco indica quelle situazioni nellequali non esiste una soluzione ottima, perché ogni scelta comporta dei costialti: non c’è dunque nella tragedia una scelta ottima che sia ottima per tutti eda tutte le prospettive da cui la guardiamo. Nel caso della crescita della popo-lazione, dell’ambiente e dei beni collettivi o comuni (commons), la situazioneè spesso quella di una tensione drammatica tra la libertà degli individui e la di-struzione delle risorse stesse: come se la moneta con cui si paga la conquistadella libertà (e l’assenza di mediatori gerarchici e sacrali) sia quella della di-

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L’ECONOMIA NELL’ERA DEI BENI COMUNI

Oggi la qualitàdello sviluppo dei popoli e dellaTerra dipendesicuramente dascarpe, frigoriferie lavatrici (i classici beniprivati) ma moltopiù da beni (omali) comunicome i gas serra,lo sfruttamentodelle risorsenaturali o lostock di fiduciadei mercatifinanziari (la crisifinanziaria puòanche essereletta come unatragedia del benecollettivofiducia), da cuidipendono poianche i beniprivati

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struzione delle risorse comuni dalle quali dipende la sopravvi-venza delle nostre comunità, delle risorse che ci fanno vivere(come l’ambiente o l’acqua). Noto, e ormai classico, è l’esempioche Hardin riporta nel suo paper (articolo) relativo al pascolocomune e libero, dove ogni contadino di quella comunità portaa pascolare le proprie mucche. La scelta che massimizza la li-bertà e l’interesse individuale è quella di aumentare di un’unitàil bestiame al pascolo, poiché il vantaggio individuale è + 1,mentre la diminuzione del bene comune «erba» è soltanto unafrazione di – 1 poiché il danno si ripartisce su tutti gli altri con-tadini: il beneficio individuale di aumentare l’uso del bene co-mune è maggiore del costo individuale. Questo maggior van-taggio individuale rispetto al costo individuale vale sempreanche quando si fosse vicini all’ultimo metro quadro libero dierba (poiché anche 0.00002 è maggiore di 0.00001). Da qui l’in-centivo individuale (per tutti e per ciascuno) ad aumentare sem-pre più i capi di bestiame al pascolo fino ad arrivare alla distru-zione del pascolo stesso se... non accade qualcosa che limiti lalibertà individuale. Dagli alberi nell’Isola di Pasqua al buco del-l’ozono nell’atmosfera terrestre, dall’immondizia nelle stradealla strada vicinale, la storia dell’umanità ci racconta molte diqueste minori e maggiori tragedie di comunità e di civiltà piccolee grandi che sono «collassate» (come direbbe J. Diamond), poi-ché i loro membri non sono stati capaci di non oltrepassare il li-mite, il «punto critico» e di non ritorno oltre il quale il processodiventa irreversibile. Nell’Isola di Pasqua, ad esempio, l’estin-zione di quella popolazione non fu con ogni probabilità legataall’abbattimento dell’ultimo albero ma all’aver superato, ad uncerto punto e in modo inconsapevole ma irreversibile, unasoglia oltre la quale divenne inevitabile arrivare all’estinzioneanche dell’ultimo albero. La storia umana però ci raccontaanche di tante altre storie dove le comunità sono state invececapaci di fermarsi in tempo, di coordinarsi, limitare la libertàindividuale e così non collassare tragicamente, senza che nes-suno avesse individualmente pianificato il collasso. Norme so-ciali, leggi, tradizioni antiche, usi e costumi potrebbero esseremolte volte letti come strumenti che le civiltà hanno inventatoproprio per evitare di collassare. In realtà, la storia è più complessa di quella raccontata da Hardin,come ci ha mostrato con i suoi lavori teorici, istituzionali e storici

il Nobel per l’economia 2009 Elinor Ostrom insieme al suogruppo di ricerca interdisciplinare. La domanda tragica oggi difronte a noi è se nella gestione dei commons oltrepasseremo illimite e seguiremo il sentiero degli antichi abitanti dell’Isola diPasqua o saremo invece capaci di fermarci in tempo, di coordi-narci. Saremo cioè capaci di quella saggezza individuale e col-lettiva che consente alle comunità - compresa la comunità mon-diale degli esseri umani e delle altre specie del pianeta - di noncollassare e implodere ma di vivere e crescere in armonia? Unelemento chiave nella gestione dei beni comuni è l’emergeredell’individuo e delle sue libertà nella modernità. Nelle societàtradizionali (normalmente piccole) c’era essenzialmente unostrumento: la gerarchia, che consentiva a qualcuno o a pochi,normalmente sulla base di una legittimazione sacrale, di scegliereper tutti. In questo contesto gerarchico (tipicamente antico, mapresente ancora oggi in molte comunità) la tragedia dei commons

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La tragedia dei «commons» peremergere ha bisognodell’esistenza dellalibertà degliindividui: per questoessa è tipicamente un problemamoderno

RELAZIONELUIGINO BRUNI

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semplicemente non si pone, poiché non c’è un contrasto tra li-bertà individuale e bene comune, perché non esistono le libertàindividuali. In quelle società il bene del re coincide con il benedel popolo, poiché la «funzione da massimizzare» è essenzial-mente una sola (è l’antico concetto del popolo come unico or-ganismo o corpo, come «persona corporativa»). In questa culturaolistica e sacrale cade di fatto la possibilità stessa della tragedia:davanti ad una foresta o ad un lago di pesca, il re pone dei limitie tutti li rispettano coercitivamente. La tragedia dei commonsper emergere ha bisogno dell’esistenza della libertà degli indi-vidui: per questo essa è tipicamente un problema moderno.L’altro elemento essenziale perché emerga la tragedia è che ilbene sia consumato contemporaneamente da più persone (quellache si chiama in economia la «non escludibilità» del consumo,caratteristica che fa di un bene economico un bene comune enon un bene privato) e anche che quel bene sia scarso, ci siacioè rivalità: ovvero il consumo dell’altro riduce il mio. Se mancaquesta duplice caratteristica, non si parla più di bene comune ocollettivo ma di bene pubblico puro. Pensiamo, per un esempiodi attualità, al caso dell’acqua. In tante regioni del mondo più«povero», l’acqua non è mai stata un bene libero: per molta partedella popolazione del mondo (quella delle zone aride) l’acquaè sempre stata un bene scarso, costoso, strategico e quindigestito dalle comunità (spesso sacrali) con grande cura. Lanovità di questi ultimi decenni è la generalizzazione del problemadalle zone aride (dove, tra l’altro, il problema diventa semprepiù grave) a molti altri paesi del mondo dove l’acqua nei millennipassati non era mai stata un bene scarso. Oggi, per ragioni variema legate tutte al nostro modello di sviluppo, l’acqua sta assu-mendo tutte le caratteristiche di un bene comune globale (scarsoe rivale), in certi casi nei rapporti tra individui, in altri tra comunità,

in altri ancora tra Stati. Si pensi al problema dell’abbassamentodelle falde acquifere nelle zone sub-sahariane e nelle regioni diconfine tra Pakistan e India. Qui è evidente e lampante l’equiva-lenza tra il caso del pascolo comune di Hardin e lo sfruttamentodelle falde acquifere: ogni individuo tende a pompare l’acquain base ai propri bisogni (che sono la sete in Africa, ma ancheannaffiare il giardino con il pozzo artesiano nelle ville sullesponde dei laghi della nostra Italia!), ciascuno cerca di trarre ilmassimo vantaggio privato e… la falda si abbassa sempre più,fino al superamento del punto critico che porterà all’essiccamentodella falda stessa. Il problema dei beni comuni oggi presentadunque diversi aspetti, tutti cruciali e campali se letti dalla pro-spettiva che qui stiamo esaminando: A) in un mondo «post-gerarchico» o moderno non può esserepiù il re, lo sciamano o il Leviatano hobbesiano a deciderequanto bene comune (si pensi ancora all’acqua) deve consu-mare ciascuno (anche perché, pur volendolo costruire, un Le-viatano mondiale che imponga agli Usa o alla Ue quanta acquaconsumare non esiste). In fondo la gestione «statale» o «comu-nale» dei commons in passato funzionava non solo perché moltibeni comuni (soprattutto in ambito ambientale) non erano scarsi,ma anche perché il mondo era di fatto ancora comunitario egerarchico: non sceglievano gli individui ma le comunità con iloro rappresentanti; B) quando si ha a che fare con beni comuni la soluzione nonpuò essere «non far nulla» (ad esempio «non» privatizzare e ba-sta), semplicemente perché se non si fa nulla il bene si distrugge(in un mondo di individui che decidono liberamente). Il mes-saggio dei beni comuni è che spesso il non far nulla equivalealla distruzione del bene stesso. Che cosa fare allora per evitarela tragedia dei commons?

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LE SOLUZIONI DEL PROBLEMA

La scienza sociale, soprattutto quella economica,ha proposto in questi ultimi decenni alcune solu-zioni alla tragedia dei commons. Anzitutto, ha tra-dotto il problema dei commons nel linguaggiodella Teoria dei Giochi, mostrando che la tragediadi Hardin è in realtà un dilemma del prigioniero:esiste cioè una strategia razionale per l’individuo

ma che poi si rivela non essere ottima né collettivamente né indi-vidualmente. Consideriamo, per entrare nella logica del dilemmadel prigioniero, il caso ipotetico di Anna e Bruno (due pescatoridello stesso lago). Supponiamo che siano già nella fase in cui sirendono conto di aver superato una soglia critica e iniziano a per-cepire che il pesce sta diminuendo. Come potrebbero ragionare?Entrambi sanno che: A) se limitano la propria pesca, i pesci del lago potranno riprodursidi nuovo e loro avere pesce in futuro (hanno un costo di breve, il li-mitarsi, ma un vantaggio di lungo: ottengono ciascuno 3 punti); B) se non limitano la pesca, in breve tempo il pesce sarà tropposcarso per tutti (ottenendo ciascuno 2 punti); C) se l’altro (Anna) non limita la pesca e Bruno la limita, Bruno ri-nuncia al poco pesce oggi e non avrà pesce neanche domani(perché gli altri, Anna, nel frattempo lo esauriscono). Anna avrà unvantaggio individuale di breve (perché pescherà anche il pesce diBruno). Inoltre, se Anna fosse l’unica a non ridurre la pesca (e tuttigli altri pescatori sì), lei avrebbe solo vantaggi (di breve e di lungo)senza costi: Anna otterrebbe 4 punti (dove 4>3), cioè vantaggi col-lettivi senza costi individuali). Come conseguenza di ciò, in questocaso Bruno otterrebbe un solo punto (e 1<2). Che cosa farannoallora i due pescatori razionali (per la teoria economica)? Con questastessa cultura, cioè entrambi con questa struttura di preferenze, i

due non si limiteranno ottenendo ciascuno due punti.Ciascuno dei due pescherà troppo e con questo si arri-verà presto alla fine della risorsa comune.

RELAZIONELUIGINO BRUNI

L’equilibrio di Nash (l’esito razionale) del gioco sarà (2,2),che rappresenta un dilemma perché i due avrebberopreferito la cooperazione (3,3), che sarebbe stata un esitomigliore anche collettivamente (oltre che individualmentepoiché per entrambi 2<3). Quali allora le possibili solu-zioni per evitare questo dilemma/tragedia? Se descriviamola tragedia dei commons come un dilemma del prigio-niero (con tanti giocatori), allora la prima soluzione chesalta in mente è la ripetizione del gioco quando l’orizzontefuturo del gioco è indefinito (non si sa cioè quando ilgioco finisce). In particolare si afferma che sulla basedell’apprendimento dalle «tragedie» passate, se gli indi-vidui non sono miopi, i prigionieri hanno l’interesse per-sonale e l’incentivo a «uscire dalla prigione» e cooperaresenza bisogno di enforcement legale o esterno (giudici,tribunali...). Questa soluzione non sembra particolarmenteutile (anche se non del tutto da scartare) per capire lastoria di come le comunità reali risolvono le tragedie deicommons. Come sviluppo di questa visione-soluzioneindividualistica e «razionale», c’è poi la proposta di pri-vatizzare il bene collettivo suddividendolo in tante frazioniprivate (del bosco, del parco, del fiume ecc.). In realtà lasuddivisione del bosco in tante parti individuali non è dademonizzare o da criticare sempre come anti-sociale: sipensi ai tanti casi (alcuni studiati in letteratura) di gestionedei beni comuni anche in alcune aree del Trentino o del-l’Emilia Romagna dove boschi e terre sono gestite consistemi che sono una combinazioni di elementi comunitarie di elementi individuali (ogni famiglia ha un pezzo delbene comune, ma per la suddivisione e l’uso dei boschie delle terre, e dei loro profitti, si seguono criteri più co-munitari). Il punto cruciale però è che molti beni comunicruciali (dall’ozono all’acqua) non sono «divisibili» equindi occorre trovare soluzioni collettive al problema.Esistono, infatti, altre possibili soluzioni.

Tabella 1 - La tragedia dei «commons» come un dilemmadel prigioniero

ANNA\BRUNO SI LIMITA NON SI LIMITA

SI LIMITA 3.3 1.4

NON SI LIMITA 4.1 2.2

Se descriviamo la tragedia dei «commons»

come un dilemma del prigioniero

(con tanti giocatori), allora la prima soluzione che salta

in mente è la ripetizione del gioco quando l’orizzontefuturo del gioco è indefinito

(non si sa cioè quando il gioco finisce)

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IL CONTRATTO SOCIALE E L’ETICA INDIVIDUALE

Le altre due soluzioni classiche sono ilcontratto sociale (à la Hobbes: si creacon un patto artificiale un «Leviatano»)e l’etica individuale. La soluzione hob-besiana punta tutto sullo Stato (checrea un sistema di sanzioni e di istitu-zioni per implementarle): soggetti ra-

zionali comprendono che, se non si auto-limitano lalibertà individuale, non riescono a coordinarsi tra di loro,uscire dalla tragedia e raggiungere un risultato miglioreper tutti.

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Tabella 2 - Il gioco del Leviatano (le cifre in bianco rappresentano penalità o sanzioni nei confronti di chi non si limita)

ANNA\BRUNO SI LIMITA NON SI LIMITA

SI LIMITA 3.3 1.4 - 2

NON SI LIMITA 4 - 2.1 2 - 2.2 - 2

Così, con un contratto sociale, creano il Leviatano a prezzodella libertà individuale. Il problema decisivo (che sisomma alla rinuncia della libertà) che va contro questasoluzione è che nei commons oggi più rilevanti non la sipuò implementare poiché, data la loro natura globale,non esistono un contratto sociale e un Leviatano globali(e per fortuna). Chi può creare oggi un sistema di enfor-cement per far rispettare patti eventualmente stipulatidalle grandi potenze mondiali? I fallimenti degli accordisulle emissioni di CO2, sullo sfruttamento dei fondalioceanici e sui beni pubblici internazionali sono molto piùeloquenti di qualsiasi discorso teorico. L’altra soluzionepunta, anche come reazione, alla sfiducia delle soluzionitop-down, sull’etica individuale (sia essa kantiana o dialtra ispirazione) dove il soggetto interiorizza la normaetica («non inquinare l’ambiente», ad esempio) e la segueperché sa che, una volta interiorizzata, è più felice se-guendo quella data condotta morale. Questa soluzione,non alternativa ma complementare alla prima (anche sela complementarietà non è automatica), consiste nellaformazione di un’etica individuale nella quale i soggettiattribuiscono un valore intrinseco alla scelta di limitarsinel consumo dei beni comuni (un valore che si aggiunge

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nella «matrice» del gioco). Se misuriamo questo valoreintrinseco con ε e se questo valore è abbastanza grande(>1 con i nostri payoff), un soggetto può decidere di li-mitare il consumo dei beni comuni, anche fosse l’unicoa farlo, come si nota dalla figura che segue:

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LA RAZIONALITÀ DEL NOI

Dire cultura non significa soltanto cambiarei valori individuali ma passare ad una di-versa percezione del problema, che puntisul «noi». Il ruolo della cultura consistenon solo nel formare individui con valoriintrinseci, ma nel formarli ad una visione«comune» del problema. Si parte fin dal-

l’inizio dalla consapevolezza di un legame tra persone e si ra-giona in termini di «noi»:

Tabella 3 - Il gioco delle ricompense intrinseche

ANNA\BRUNO SI LIMITA NON SI LIMITA

SI LIMITA 3 + ε,3 1 + ε,4

NON SI LIMITA 4.1 2.2

Tabella 4 - Il dilemma del prigioniero nel frame «noi»

ANNA\BRUNO SI LIMITA NON SI LIMITA

SI LIMITA 3,3 1,4

NON SI LIMITA 4.1 2.2

In questo caso Anna ha un’etica ambientale e coopera(si limita nel consumo dei commons), anche fosse lei lasola a farlo (senza Bruno). Al tempo stesso, i risultati diAnna dipendono dalla risposta di Bruno: in termini di ri-sultati materiali (i nostri payoff) otterrà infatti 1 o 4 inbase al comportamento di Bruno. La ricompensa intrin-seca (ε) le rende incondizionale la scelta cooperativama la risposta degli altri condiziona il risultato che ottiene:in altri lavori, ho chiamato questo tipo di logica reciprocitàincondizionale: quando le motivazioni intrinseche sonoforti, non si dipende dagli altri nella scelta ma si dipendedagli altri nei risultati. L’etica individuale è certamenteimportante, ed è co-essenziale, ma oggi occorre ancoraun ulteriore passo. In questa soluzione (che è comunquemolto importante e co-essenziale in qualsiasi soluzioneseria del problema dei commons) il centro è l’individuo,mentre nella seconda è lo Stato. Che cosa manca inquesta storia di possibili soluzioni? Il grande assente èla società civile, che è una realtà che non possiamo de-finire né Stato, né mercato (auto-interessato o capitali-stico), né puramente una somma di faccende individua-li-private. Che cosa vuol dire allora prendere sul serio lasocietà civile nel tema dell’acqua e più in generale deicommons?

Se Anna ragiona in termini di «noi», può preferire limitarsi semprepoiché, sia che Bruno si limiti o meno, la «somma» della coope-razione è sempre maggiore: 6 (3+3) > 4 (2+2) ma anche 5(4+1) > 4. Qui la somma dei payoff è interpretata come unamisurazione del bene comune, come una sorta di funzione dibenessere collettivo che coincide con la funzione di benessereindividuale, come suggerito dagli economisti inglesi Michael

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IL RUOLO DELLA SOCIETÀ CIVILE

In un recente articolo Amartya Sen ha sottolineato che nel tema deiglobal commons come l’acqua «il problema importante è dato dalfatto che i paesi industrializzati utilizzano una quota sproporzionata-mente maggiore di ciò che definiscono “i beni collettivi globali”(global commons), ovvero il patrimonio di aria, acqua e altre risorsenaturali di cui noi tutti, collettivamente, possiamo fruire». È evidente,come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, che soprattutto

per i commons globali la soluzione hobbesiana dello Stato che sanziona i tra-sgressori non è implementabile. Ciò non significa dire che i capi di governo(e soprattutto gli elettori di questi capi, spesso molto poco lungimiranti) nondebbano far di tutto per arrivare ad un patto sociale mondiale con sanzioni,ma questa non sembra la soluzione più semplice né l’unica. Ma c’è di più: gliutilizzatori dei beni comuni globali sono oggi miliardi di persone indipendentile une dalle altre (non capi di governo) dove ciascuno massimizza i propriobiettivi: coordinare e limitare tutta questa gente è impresa ardua, se non im-possibile. Da questa prospettiva, risulta importante la dimensione etica indi-viduale ed educativa sebbene neanche questa possa, da sola, presentarsicome la soluzione. Eppurequalcosa va fatto poiché ètroppo urgente un nuovo pattosociale mondiale tra cittadiniuguali e liberi (e non soloquelli del G20, ma tutti poten-zialmente) che si autolimitinonell’uso delle risorse comuni.Sarebbe un patto diverso daquello hobbesiano (tenden-zialmente illiberale) o quellofatto dai «capi» (di governo,di famiglia, di clan): il nuovopatto sociale mondiale do-vrebbe essere un patto dellafraternità dopo l’uguaglianzae la libertà. Queste ultime so-no state la grande conquista della modernità ed hanno creato la democrazia,i diritti… ma si stanno, da sole, rivelando incapaci di gestire i beni comuni daiquali dipenderà molto, forse quasi tutto, del presente e del futuro. Liberté eegalité dicono individuo; fraternité è il principio della modernità che dice le-game tra le persone e che senza legami, senza riconoscere che siamo legatigli uni con gli altri perché insistiamo sulle stesse risorse comuni, non si escedalla tragedia dei commons. Tutto ciò ha implicazioni molto concrete. Se vo-gliamo che l’acqua, il suolo pubblico, parchi e molti beni comuni siano gestitiné solo dallo Stato né solo dal mercato for-profit o capitalista (per i motiviappena accennati), allora occorre riconoscere e assegnare un posto importantealla società civile anche in tema di economia e di impresa. Sono convinto chenon si troverà una soluzione condivisa a questo tema cruciale finché non da-remo centralità a questo «terzo escluso», la società civile e alle sue espressionianche economiche. Perché non immaginare e poi realizzare anche per la ge-

Bacharach e Robert Sugden con la loroteoria della we-rationality. Il ragionamentotipico di chi guarda il mondo partendodalla prospettiva «noi» è il seguente: «me-glio io che nessuno». Pur sapendo di ri-schiare che sia sfruttata dal free-ridingdegli altri, preferisco la mia sola contri-buzione al bene comune rispetto alla si-tuazione nella quale nessuno contribui-sce, pur sperando che si scateni recipro-cità. Ovviamente, se nelle persone c’èsia la ricompensa intrinseca (ε) sia il fra-me noi, è ancora più semplice far scattarela cooperazione. Nella vita delle personesuccede comunque spesso che con ilpassare degli anni si riduca magari l’εma, con la maturità, aumenti il senso delnoi (il bene della comunità). Quanti deb-bono essere i soggetti «noi» (e/o i soggettiche cooperano sempre, per l’ε)? Daglistudi di Teoria dei Giochi sappiamo che,se si verificano due pre-condizioni: 1) cisono alcuni che hanno un valore di εmol-to alto (resistono per più tempo alle «cri-si»); 2) i cooperatori «noi» sono un po’ so-fisticati (ad esempio puniscono in modoaltruistico e non troppo costoso), alloraè possibile che una piccola quota di sog-getti «noi» possa «invadere» nel tempouna grande popolazione. Sappiamo, in-fatti, dalla storia che i cambiamenti cul-turali sono spesso il frutto di minoranzemolto motivate e formate. Ovviamente, ilsistema legale, sociale, istituzionale e po-litico influenza molto sia l’individuale siail frame «noi».

L’ECONOMIA NELL’ERA DEI BENI COMUNI

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stione dell’acqua una soluzione simile aquella che è emersa dalla società civile,sui temi della cura, del disagio, della ma-lattia mentale? In questi settori, che sonoaltre forme di beni comuni, trent’anni fala gestione era totalmente in mano alloStato (e alle famiglie); oggi gran parte diquesti servizi sono in mano a migliaia dicooperative sociali che gestiscono questiservizi eticamente e relazionalmente sen-sibili in modo efficiente (mercato quindi)ma senza avere il profitto come movente.È la cosiddetta impresa sociale o civile,cioè un soggetto che è mosso da finalitàsociali e solidaristiche ma che non ha co-me scopo il profitto. La società civile hasaputo esprimere quindi imprenditori so-ciali che, pur senza aspettarsi grandi re-munerazioni del capitale investito, hannovoluto e saputo utilizzare il loro talentoimprenditoriale per gestire beni comuni(gli imprenditori sono essenziali per ge-stire in modo efficiente risorse scarse).Tutto ciò è stato possibile (nei casi piùvirtuosi, non tutti ovviamente) grazie aduna nuova alleanza o patto tra mercato,pubblico e società civile: il pubblico èben presente ma è un partner alla pari

con imprenditori e comunità. Per moltibeni comuni dovremo immaginare unasoluzione simile: dar vita, con appositeleggi (come è avvenuto nel 1991 con lalegge per la cooperazione sociale) a nuo-ve imprese sociali per la gestione del-l’acqua che siano frutto di un’alleanza trapubblico, imprese e società civile. Ciònon significa proibire per legge i profittialle imprese sociali (anche perché oc-correranno capitali significativi) ma porrelimiti a questi (non si parla di impresenon profit ma low profit), prevedere go-vernance pluralistiche e con più soggetticoinvolti nelle decisioni, istituire profondilegami con le comunità locali interessatealla gestione dell’acqua. L’impresa so-ciale, che alcuni chiamano impresa dicomunità o di comunione, è la soluzionealla gestione dei beni comuni, non solo

dell’acqua, ma del suolo pubblico dellecittà (parcheggi), dell’energia, dell’am-biente. Una soluzione perfettamente in li-nea con il principio di sussidiarietà. Lastoria ha conosciuto molti momenti neiquali comunità, società, popoli sono statiposti di fronte al bivio che separa la fra-ternità dal fratricidio, due strade sempreconfinanti e intrecciate, dai tempi di Cai-no. A volte abbiamo scelto la direzionedella fraternità; altre, forse le più nume-rose, quella del fratricidio. Oggi il bivio èancora di fronte a noi e occorre far ditutto perché la direzione sia quella dellafraternità. È in gioco il futuro stesso dellanostra specie. Forse siamo ancora in tem-po per imboccare la direzione giusta. Macome? La risposta resta inevitabilmenteaperta. Il messaggio civile che ho affidatoa queste pagine è comunque duplice.Da una prima prospettiva dobbiamo con-cludere che, se vogliamo uscire dai di-lemmi e dalla tragedia delle non-coope-razione (facendoci del male), occorre svi-luppare strategie multidimensionali: unnuovo patto e regole chiare, eque, espres-sive e condivise; occorre rafforzare e col-tivare le motivazioni individuali (l’ε) senzadarle mai per scontate, sviluppare (anchecon opportuni incentivi, premi e sceltedi governance) una «cultura del noi». Altempo stesso, sebbene in sordina, ho pro-posto un secondo elemento: occorre ri-conoscere che non si esce dalle trappoledella non-cooperazione e della sfiduciase non si dà diritto di cittadinanza allavulnerabilità nella vita civile, economicae nelle organizzazioni. La vera reciprocitànasce solo dal riconoscimento della mu-tua vulnerabilità, poiché si esce dalla tra-gedia dei commons accettando il fattoche dalle grandi tragedie, che potrebberodiventare mortali, si esce accettando eincorporando le piccole e quotidiane tra-gedie della reciprocità tradita, delle man-cate e inevitabili risposte degli altri, quellegood pains, come dice Martha Nus-sbaum, da cui dipende necessariamentela fioritura dell’esistenza. nnn

RELAZIONELUIGINO BRUNI

L’impresasociale, che

alcunichiamano

impresa dicomunità o di

comunione, è lasoluzione alla

gestione deibeni comuni,

non solodell’acqua, ma

del suolopubblico delle

città(parcheggi),dell’energia,

dell’ambiente

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RELAZIONEDOMENICO LUCIANI

CONOSCERE I LUOGHIE CURARLI COME BENI COMUNI

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LA CONDIZIONI DEI LUOGHI NELLA CRISIDELLA MODERNITÀ

E’innanzitutto necessario riflettere sulle mo-

dificazioni sociali e culturali che hannodeterminato nel corso degli ultimi de-cenni del XX secolo, e con crescente evi-denza all’inizio del XXI secolo, una fortee articolata domanda di nuove attenzioninel campo dello studio e della cura dei

luoghi. Sono venuti in questione il valore del suolo non costruitoe degli spazi aperti, anche quelli marginali e di risulta, nellacittà e nelle periferie. È stato messo in luce il significato deisegni contestuali per la stessa tutela delle emergenze testuali.Le forme e le vite di insediamenti a scala territoriale, come lecittà diffuse e le nebulose insediative, sono apparse drammati-camente inadeguate alle attese di qualità della vita. I territoridell’agricoltura hanno riproposto l’istanza di un loro peculiaredisegno, posto in relazione con le funzioni economiche e le de-stinazioni d’uso, e con il riconoscimento della loro specifica di-mensione ecosistemica. La mobilità si è rivelata un fenomenodi speciale complessità e difficoltà conoscitiva a causa delle di-mensioni e dei suoi connotati pervasivi.In tutta Europa sono venute inoltre emergendo l’urgenza di in-terventi rivolti al «che fare» nel vasto e impressionante catalogodi luoghi feriti e degradati dalla secolare vicenda della «rivolu-zione industriale» e delle aberrazioni derivate dal gigantismotecnologico. Sono queste alcune modificazioni sociali e culturaliche rinviano al quadro generale di quel processo storico com-plesso, ancora in corso, che possiamo immaginare come crisidella modernità. In particolare nell’arco della seconda metà delXX secolo, sono stati proprio i fondamenti del moderno, fino al-l’imperativo dell’apparato tecnoscientifico, a smarrire il sensodel limite (culturale, etico, politico) nell’uso dei mezzi. Per restarein Europa e nel campo del paesaggio ciò appare con specialeevidenza nei modi, tempi, parametri quantitativi del consumo disuolo; nell’abbandono di vasti territori; nella dissipazione di pa-trimoni naturali e storici che nel secondo dopoguerra hannocausato una deformazione dell’assetto dei luoghi arrivata allasoglia dell’irreversibilità.

NUOVE SENSIBILITÀ E NUOVE TENSIONI

Durante il trentennio che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottantadel Novecento queste tendenze non sono state di fatto contrastate.Gli strumenti dell’urbanistica e la qualità dell’architettura sonoapparsi inadeguati. Da almeno due decenni sono in atto riflessioni

RELAZIONEDOMENICO LUCIANI

DOMENICO LUCIANI. ARCHITETTO E PAE-

SAGGISTA, HA DIRETTO DALLA SUA ORIGI-

NE (1987) AL GIUGNO 2009 LA FONDAZIONE

BENETTON STUDI RICERCHE. ATTUALMEN-

TE NE COORDINA LE ATTIVITÀ DI RICERCA,

SPERIMENTAZIONE E PUBBLICAZIONI SUL

PAESAGGIO E IL GIARDINO, CON IL RUOLO,

IN PARTICOLARE, DI SUPERVISIONE DEL

CONCORSO «LUOGHI DI VALORE». HA PUB-

BLICATO SAGGI E ARTICOLI IN VARIE RIVI-

STE, ITALIANE E STRANIERE, E IN NUME-

ROSI ATTI DI CONVEGNI E CURATO, TRA GLI

ALTRI, I VOLUMI «LUOGHI. FORMA E VITA

DI GIARDINI E DI PAESAGGI», 2001 (PREMIO

HANBURY 2001) E «PETRARCA E I SUOI

LUOGHI. SPAZI REALI E PAESAGGI POETICI

ALLE ORIGINI DEL MODERNO SENSO DEL-

LA NATURA», 2009 (CON MONIQUE MOS-

SER). HA FATTO PARTE DI VARI COMITATI

SCIENTIFICI INTERNAZIONALI.

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critiche e iniziative che cercano di rispon-dere alla crescente preoccupazione chesi è venuta manifestando anche al di làdelle ristrette cerchie di addetti ai lavori.L’uso dei beni comuni ha cominciato adapparire abuso: l’acqua ne è l’esempiopiù vistoso e per molti versi drammatico.Contestazioni diffuse, comitati, associa-zioni, gruppi di cittadini, anche se conmodi puntiformi, si sono variamente ma-nifestate contro gli appetiti bulimici di ter-ritorio, le crescite deregolate di insedia-mento, le perdite di alterità reciproca tracittà e campagna, le banalizzazioni del-l’agricoltura, gli impoverimenti biotopici,gli strappi alle fragili reti naturali/culturalie alle testimonianze storiche stratificate,i grandi lavori invasivi e autoreferenziali(Tav e Mose insegnano).Abbiamo osservato negli ultimi decennie continuiamo a osservare l’affacciarsi diun’inquietudine che via via è diventataanche consapevolezza dell’esistenza dilimiti invalicabili. È apparso insomma inquesti ultimi anni un primo sottile, maprezioso, strato di sensibilità verso il rap-porto tra il degrado dei luoghi e il males-sere individuale e collettivo delle popo-lazioni. Possiamo catalogare una signifi-cativa costellazione di esperienze civiliin luoghi nei quali la domanda di salva-guardia non nasce dalla tutela di un valorespeciale, dalla protesta per una ferita pro-dotta alla maestà dell’arte o alla bellezzadel monumento o alla fascinosa notorietàdel posto, ma dal degrado della condi-zione umana in paesaggi ordinari, anchein ragione dell’impoverimento dei patri-moni culturali e naturali che nel tempo visi erano accumulati. Si tratta perciò diqualcosa che riguarda tutti i luoghi, e cheinizia ad agire sull’intelligenza conoscitivae sulla sensibilità percettiva di intere co-munità, non più soltanto di ristrette éliteculturali. Conoscenze locali si sono mes-se in dialogo con saperi esperti; pratichedi lunga tradizione sono state intercettateda campi di ricerca e sperimentazionescientifica.

L’EVOLUZIONE DELLE IDEE E DELLE NORME

Una prima fase aveva portato, nell’ultimo Ottocento e nel primo Novecento, alla de-finizione del valore dei patrimoni storici, artistici, monumentali eminenti e del compitopubblico di proteggerli, sulla base di una legge austriaca ispirata da Alois Riegl edi successive leggi di tutela derivate in molti paesi europei. Una seconda fase èconnotata tra le due guerre mondiali da leggi di tutela che in Italia hanno riscontronel 1923, nel 1939, e nel 1942 con la legge urbanistica. Una terza fase, per noigloriosa, si svolge in Italia nella primavera del 1947 con l’incontro nell’Assembleacostituente di diverse ispirazioni ideali e con il compimento alto nell’articolo 9 dellaCarta costituzionale entrata in vigore il 1° gennaio 1948. È la Repubblica, vale a direl’intera articolazione delle espressioni democratiche, a tutelare il paesaggio in strettolegame con il patrimonio culturale, e a promuovere la ricerca. Una quarte fase vivenel secondo dopoguerra con la diffusione di una sensibilità ecologista che in Italia,con la Commissione Franceschini del 1967, ha sancito, ben al di là delle emergenze,la protezione di patrimoni culturali e naturali di particolare valore, introducendo lanozione di beni ambientali. Una quinta fase, a partire dalla metà degli anni Ottanta,ha delineato nuove attenzioni verso i paesaggi e verso i giardini, riaprendo la rifles-sione e il dibattito di cui sono testimonianza le due differenti Carte di Firenze.Unasesta fase è quella in corso, connotata dall’incursione vitale del concetto di benecomune, che ha fatto ritornare all’attenzione vaste aree, soprattutto montane, sottopostealle regole d’uso civico e ha aperto la sperimentazione di ipotesi gestionali del tuttonuove relative a spazi urbani e a servizi collettivi.

LA RESPONSABILITÀ PUBBLICA E IL RUOLO DELLA COMUNITÀ

Le novità attuali non stanno dunque nell’attenzione ai luoghi, ai paesaggi, nel rico-noscimento del loro valore, perché già i geografi dell’Ottocento, e prima i viaggiatoridel Settecento, e prima ancora le idee e le arti dell’umanesimo europeo, ci avevanotrasmesso questa sensibilità. Le novità stanno nella dichiarazione di responsabilitàpubblica che da questo riconoscimento deriva. I paesaggi così intesi divengono

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CONDIZIONE DEI LUOGHI E QUALITÀ DELLA VITA

IL RISULTATO PIÙ IMPORTANTE DI TUTTA LA BATTAGLIA DI IDEE DI QUESTI ULTIMI

DECENNI STA NELL’EVIDENZA ASSUNTA DAL RAPPORTO INSCINDIBILE E FONDATIVO

TRA LA QUALITÀ DELLA VITA DELLE PERSONE (E DELLE COMUNITÀ) E LA CONDI-

ZIONE DEI LUOGHI NEI QUALI ESSE LAVORANO, APPRENDONO, CIRCOLANO, COL-

TIVANO RELAZIONI SOCIALI E CULTURALI, SI STRINGONO INSIEME PER SEGNARE I

PASSAGGI CRUCIALI DELL’ESISTENZA. È CHIARO CHE QUESTA CONDIZIONE COM-

PLESSIVA DEI LUOGHI COINVOLGE SIA IL PATRIMONIO DI NATURA E DI MEMORIA

SIA LE DOMANDE DI FUTURO DELLE COMUNITÀ PERTINENTI. LA SVOLTA È STATA

ACCELERATA DALLA «CONVENZIONE EUROPEA DEL PAESAGGIO», DOCUMENTO

NORMATIVO CAPITALE, LEGGE DELLO STATO ITALIANO DAL GENNAIO 2006, CHE A

PARTIRE DAI CONNOTATI ANTROPOLOGICI DEI LUOGHI, DALLA LORO COSTITU-

ZIONE DI BENE COMUNE, LI ASSUME SUL TERRENO DELL’ETICA E DELLA POLITICA;

FA ENTRARE IL COMPITO DI GOVERNARLI NEL CAMPO DELLE RESPONSABILITÀ IN-

DIVIDUALI E COLLETTIVE, PRIVATE E PUBBLICHE, COSTITUISCE IL COMPIMENTO

DI UNA TAPPA DEL PECULIARE PROCESSO CULTURALE EUROPEO CHE POSSIAMO

SCANDIRE IN ALCUNE FASI CRONOLOGICHE.

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allora ambiti identificabili di spazio,non più rappresentazioni di luoghibensì luoghi concreti, storicamente eantropologicamente determinati, coa-cervi di segni, significati, aure, aber-razioni, tensioni, presenze che si ac-cumulano nel tempo portate da inar-restabili trasformazioni materiali, dametamorfosi del gusto, da migrazionidi idee, e anche da improvvise sor-prendenti costruzioni ideali e ideolo-giche. Ma per sciogliere questo nodoconcettuale dovremo riordinare il rap-porto tra le parole e le cose. Paesaggiosta a paese come giardinaggio sta agiardino. Paesaggio assume perciò,a sua volta, sempre più un significatoattivo di conoscenza, cura, governo,disegno di luogo. Di qui ci vengonoproblemi nuovi. Uno, che dobbiamoaffrontare con nettezza, nasce dal fatto,non infrequente, che la percezionedel luogo da parte della comunità in-sediata può essere diversa, anche ra-dicalmente, e perfino conflittualmente,dalla percezione del viaggiatore, dellostudioso, dello stesso responsabiledella salvaguardia. Prende così pesocruciale la mentalità, il gusto, la sen-sibilità delle persone e della comunitàinsediata, delle sue rappresentanze,dei suoi valori culturali e civici.E viene perciò in primo piano l’urgen-za di coinvolgere la comunità stessain un processo virtuoso di elevazionedel senso comune e di crescita cultu-rale, a partire dalla scuola di base. Èun processo che implica da parte delmondo scientifico una corrispettivacapacità di conoscenza (non adesio-ne) della mentalità della comunità in-sediata, e di dialogo critico con l’ideadi spazio, di tempo, di natura, di ere-dità storica, di «identità» (termine in-sidioso che andrebbe sostituito da«idea di sé») che vigono nella comu-nità insediata per avviare una modifi-cazione maieutica, un dialogo di re-ciproca elevazione.

IL BUON GOVERNO DEI LUOGHI COME BENI COMUNI

La questione dell’individualità di un luogo,della sua temporalità, della sua conter-minabilità e commensurabilità spaziale,si presenta a noi, in definitiva, come que-stione di conoscibilità (studio) per mezzodi saperi trasmissibili e come questionedi responsabilità (cura) verso il patrimo-nio storico e naturale che ogni luogo cu-stodisce. Responsabilità è per noi azioneinevitabile, poiché la nostra civilizzazionenon ci concede, come altre, l’opzione pu-ramente contemplativa, l’osservazione«esterna» delle evoluzioni e/o delle mo-

dificazioni e/o degli strappi traumatici.La «conoscibilità» e la «responsabilità»presuppongono un’identificazione dei ca-ratteri costitutivi e dei tratti fisiognomiciessenziali dei luoghi, un programma plu-riennale di modificazione, una prassi quo-tidiana. Questo insieme di compiti pre-suppone la presenza di norme tese a re-golare la convivenza (compresenza reci-procamente utile, non solo compatibile)nello stesso spazio di patrimoni naturali,sedimenti culturali e presenze umane;norme in grado di mettere d’accordo l’im-mancabile corredo di esigenze e di ten-sioni funzionali. Il buon governo si confi-gura dunque come sistema coerente diatti, anche inventivi, da compiere nel tem-po, come definizione dei modi e deglistrumenti per compierli.La transizione in corso dall’idea di tuteladei luoghi intesa come vincolo all’idea disalvaguardia della loro «autenticità», co-me guida attiva delle loro modificazioniè difficile ma decisiva. È un processo checoinvolge patrimoni collettivi e al qualepartecipano molte diverse componentisociali e professionali. Possiamo in con-clusione definirlo come un vero e propriovirage concettuale e culturale strategico,un nuovo campo di elaborazione scienti-fica, tecnica e progettuale, ma anche unterreno di coraggiosa sperimentazionedi «democrazia dal basso». La difficoltàsta nell’assumere la modificazione delluogo come linguaggio, nell’accettare ilcompito di indirizzarla verso nuove formee nuove vite, che a loro volta conservinoi caratteri fondativi delle forme e dellevite precedenti. E forse sta soprattutto nelfatto che questo diritto al buon governovale, come si è visto, per tutti i luoghi,non solo per quelli dotati di speciale in-tensità espressiva o densità monumentaleo fascinazione emozionale, e che anzi, inquesta fase storica di crisi della moder-nità, vale ancor prima per le periferie de-gradate e per i paesaggi feriti. nnn

RELAZIONELUCIANI

IL CONCETTO DI LUOGO COME FORMA/VITA

SE IL COMPITO CHE ASSUMIAMO COMECENTRO È IL LEGAME IMPRESCINDIBILEE STORICAMENTE MOBILE TRA LACONDIZIONE DELLA FORMA/VITA DEILUOGHI E LA CONDIZIONEUMANA/SOCIALE DELLE PERSONE EDELLE COMUNITÀ CHE LI ABITANO,DOVREMO SCAVARE ANCORA, CON LATEORIA E CON LA SPERIMENTAZIONE,INTORNO AI SIGNIFICATI CHEATTRIBUIAMO AL CONCETTO DI LUOGO.IL LUOGO OCCUPA DUNQUE UNOSPAZIO, HA UN SITO E UNA POSTURA,MA È MOLTO PIÙ DELLO SPAZIO CHEOCCUPA E DEL SITO IN CUI STA. ÈFORMA/VITA; RAPPORTO INMOVIMENTO PERENNE TRA FORMA EVITA; RISULTATO SEMPRE AGGIORNATOE SEMPRE MUTEVOLE DI TUTTE LESTRATIFICAZIONI DI NATURA E DICULTURA (MEMORIA) E, INSIEME, DITUTTE LE TENSIONI A CONTINUARE AMUTARE NEL TEMPO, DI TUTTE LEPROIEZIONI VITALI VERSO IL FUTURO.POTREMMO, CON UNA FORZATURA CHEPARE UTILE, INDAGARE SU UNPAESAGGIO E SULLA SUA STORICITÀCOME INDAGHIAMO SU UNA PERSONA.COME LA SOCIETÀ È SISTEMACONTINUO DI INDIVIDUI, COSÌ LABIOSFERA È SISTEMA CONTINUO DILUOGHI RICONOSCIBILI NELLA LOROPECULIARE INDIVIDUALITÀ, OGNUNOCON LA PROPRIA «STIMMUNG»,TESSUTO DI FILI E PUNTIRICONOSCIBILI, RETE CHE DEFINISCEPER QUANTI LEGGIBILI LA CONTINUITÀDEL MONDO NATURALE E STORICO.

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La serata è stata aperta dalla bella introduzionedi Brunetto e si sarebbe chiusa con l’intervistarealizzata da Patti Canova, che ormai è unamaestra di reportage. In mezzo c’ero io, forseperché nei miei periodi di barba e capelli foltispesso mi chiamavano «Guccini». Ora la bar-ba ed i capelli non sono più scuri come un

tempo, ma vedo che anche Francesco li ha ridotti entrambi; inquesto almeno i nostri destini sono paralleli.Il mio compito eraquello di estrarre letture dal suo libro Dizionario delle coseperdute, che ho infarcito un po’ con i miei stessi ricordi. Gucciniè un po’ più vecchio di me, ma a quell’epoca la nostra differenzadi età era uno sbadiglio, og-gi separa due generazioni.Francesco è cresciuto incampagna nel modenese,io a Parma, in città. Comun-que ci dividevano pochedecine di chilometri. Guc-cini racconta le cose per-dute, ma in realtà è l’affre-sco di un mondo, di una pic-cola epoca. Il Guccio, con

OMAGGIO A GUCCINI GIANNI CALIGARIS

quel mosaico, ha creato (o ricreato) un’atmosfera, quella del-l’ultima generazione cresciuta senza la tv e, a maggior ragione,senza tutto il seguito tecnologico che avrebbe riempito il vuotocol nulla ed il nulla con il vuoto. Tutto ciò che si ritrova in Culodritto, la bellissima canzone dedicata a sua figlia Teresa, trasfusarecentemente in un libro illustrato. Leggendo il brano dedicatoai giochi con i tappini a corona delle bibite, in cui si dice che aParma si chiamano inesplicabilmente sinalcoli, ho spiegato cheil nomignolo derivava dal fatto che le prime bottigliette con queltipo di chiusura, nel primo dopoguerra, erano le «gazzose»,bibite analcoliche per bambini, quindi sine alcol. Poi ho letto i ricordi sulla Topolino Fiat. È stata la prima auto(comprata usata) della mia famiglia, modello «A». Era decap-pottabile, ho rievocato la tendina antisole che si poteva montare,a righe bianche ed azzurre come letende sulla spiaggia di Biarritz. Sireggeva su una struttura di tubi d’al-luminio, che in seguito mi furono pre-ziosi per approntare ottime cerbot-tane (vedi l’apposita voce, op. cit.).Ho rammentato che per misurare illivello del carburante occorreva apri-re il serbatoio ed immergerci un’astadi metallo graduata. Non potevo nonriprendere i passaggi dedicati allascuola, soprattutto alle elementari. Ibanchi di legno intagliati da genera-zioni di scolari, i pennini con la can-nuccia, i calamai incassati nel bancopieni di inchiostro scadente, in cuiqualcuno si divertiva ad immergereletali pezzetti di carta assorbente che avrebbero impastato ipennini con grumi rivoltanti e filamentosi che avrebbero resoarduo lo scrivere in bella grafia, ma che erano ottimi per bersa-gliare il compagno antipatico. Quindi ho pensato, in omaggio ai suoi ricordi scolastici, di intro-durre un lemma che forse non aveva spazio per citare: la gommaper cancellare. Prima quella standard, rossa e blu, il rosso piùmorbido per la matita, il blu più abrasivo per l’inchiostro, col ri-schio però di danneggiare la carta. Poi le prime gomme aristo-cratiche, con le quali ci si faceva belli a scuola: la gomma-paneo quella tedesca (credo si chiamasse Staedtler), infine quellestrette e circolari col buco in mezzo per le macchine da scrivere.Anche quelle sono «cose perdute». Oggi c’è il tasto canc. Beh,che altro? Il pubblico dei convegnisti sembra aver gradito, ancheperché l’intervista girata da Patti ha concluso la serata con im-magini molto autentiche. Va bene, visto che Guccini ha annunciatol’uscita del secondo dizionario, vuol dire che avrò lavoro ancheper l’anno prossimo. Cercate di non mancare. nnn

[email protected]

LA NOSTRATHULE

Nella foto in alto,da sinistra,Brunetto Salvarani,Francesco Guccinie Odoardo Semellini.

Nella foto a destra,Patrizia Canovae Francesco Guccini.

La serata era stataconcepita comeun omaggio alGuccio, a partiredall’annuncio chenon avrebbe piùcantato, ma, d’orain poi, solamentescritto

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Dai un’altra OCCASIONEalle cose

S i parla del laboratorio in due parti:A) quello che il laboratorio si pre-figgeva, con i capitoli teorici sui

quali ci siamo confrontati (troverete inseritisuggerimenti di gioco che potete provarea fare a casa per entrare nello spirito diciò che abbiamo fatto). B) quello che il laboratorio è stato, con inodi che, senza entrare nei dettagli, sonostati via via affrontati.

A1 Le cose. Entro una definizione chevede le cose come termine generale e com-plesso, le cose materiali (gli oggetti) rap-presentano una parte rilevante del pae-saggio attuale. Tutti viviamo circondati daoggetti. Intratteniamo con essi relazionifunzionali. Ma c’è anche uno sguardo pro-gettuale, come quello del designer, oppurelo sguardo storico della loro testimonianzasulla vita che hanno attraversato. O unosguardo d’arte, come accade in Dada ePop Art. Agli oggetti abbiniamo ricordi,sensazioni, opinioni. Alcune di queste as-sociazioni mentali appartengono alla pri-vata storia individuale, ma è strabiliante laquantità di risposte simili che persone di-versissime fra loro danno a stimoli come:«scegliete un oggetto che dia l’idea di “cat-tivo”, di “buono”, di “famiglia” e “strano”».(Provateci anche voi: cercate gli oggetti

Una sequenza di giochi-esperimenti per esplorare il mondomateriale e riflettere suinostri modi di percepirlo.Un viaggio nell’universodegli oggetti quotidianiper sviluppare un nuovosguardo verso di essi perutilizzare le cose che ci circondano a scopiestetici e narrativi.

lab1

Esplorazioni sul potere ludico, estetico e narrativo degli oggetti

con queste caratteristiche, fate giocare glialtri membri della vostra famiglia e do-mandatevi insieme come e perché li avetescelti). Per non restare schiacciati dal poteredegli oggetti, è bene trovare strategie direlazione con loro e sviluppare uno sguardocapace di affrontare molteplici punti divista applicando interculturalità e decen-tramento.

A2 La relazione. Le cose esistono a pre-scindere da noi; occorre dunque un’esplo-razione non finalizzata, una conoscenzasenza pre-giudizio. È un processo di libe-razione simmetrica dalla funzionalità del-l’oggetto e dagli schemi mentali dell’os-servatore. Occorre operare sulla risignifi-cazione e sulla decostruzione delle cose.Da qui l’importanza dell’osservazione pre-cedente alla costruzione. (Ora cercate unoggetto o pochi oggetti con cui comporreuna faccia poggiata sul tavolo; domanda-tevi chi rappresenta; provate a cambiarleespressione).

A3 La procedura. Tutto ciò può diven-tare comunicazione, essere trasmesso daqualcuno a qualcun altro attraverso unaprocedura, cioè un’azione codificata perraggiungere un risultato. Occorre non dareper scontato il proprio punto di vista o lasuggestione di partenza. La natura dellecose diviene così patrimonio comune at-

LUÌ ANGELINI E NADIA SAVOLDELLI

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traverso esperimenti di «accomunabilità».Dato che l’uso «narrativo» degli oggetti ècomunque di tipo allusivo, occorre che perogni messaggio in uscita (mia idea + og-getto che la rappresenta) ci sia un’attentaverifica di ciò che il destinatario percepisce.(Cercate un gruppo di oggetti da disporresu un tavolo, che facciano indovinare alla

vostra compagna/o di giochi a che fiabaalludete).

A4 La negoziazione. Tutto ciò che stain un laboratorio, fatto per natura e ne-cessità di esperimenti in sequenza, apre laporta su una più densa e magmatica cosache si chiama «realtà», dove tutto è immersoin una continua rinegoziazione di segnalisocializzati che per natura eludono ogni di-sciplina procedurale: restano, come bussolae attrezzi per il viaggio, la disposizione men-tale e le competenze tecniche. Tutti gli attidi comunicazione sociale, e ancor più quelliconcernenti le cose non direttamente ne-cessarie, necessitano di un complesso siste-ma di riconoscimento sociale. Com’è cheun orinatoio è diventato una delle più celebriopere dell’arte del Novecento? QuandoMarcel Duchamp lo espone nel 1917, fir-mandolo «R. Mutt» (persona inesistente),compie provocatoriamente una sequenzadi operazioni di rinegoziazione che sinte-tizzano, come di rado si può in forma cosìpalese, il senso dell’intero percorso che col-lega l’espressione dell’artista alla percezionedel pubblico. nnn

Quello che il laboratorio è stato

È stato un bel gioco! Deliberatamente un gioco perchésiamo ambedue, Nadia e Luì, convinti che il gioco sia illuogo mentale e pratico dove tutti indistintamente cisiamo formati, che continua dentro di noi anchequando di quel gioco si è persa memoria. Che nesiamo consapevoli o no, è giocando che abbiamocompiuto gran parte dei nostri processi formativi.Abbiamo anche giocato fra di noi a costruire un ping-pong fra gli apporti di una e dell’altro, contribuendociascuno con le proprie specificità. Ci auguriamo che la«partita» a due voci abbia offerto a chi c’era palesevisualizzazione di interculturalità fra due soggetti«diversissimi». Questi i temi che, uno dopo l’altro,sono stati affrontati:

B1 Confronto tra noi, le cose e le nostreassociazioni mentali:

z scelta di oggetti sulla base di suggestioni ed indagine dimotivazioni che guidano la scelta;z esplorazione di caratteristiche fisiche e inferenza mentale;z messa a nudo degli universi mentali individuali che guidanol'esplorazione dell'oggetto.

B2 Rapporti tra noi, i nostri sistemi percettivi,lo spazio e le cose:

z esperimenti di relazione fra schema corporeo e forma deglioggetti; «oggetti e corpo» e «corpo e oggetti»;z esplorazione dell’apparenza degli oggetti nello spazio;z ricerca del punto d’incontro fra le caratteristiche intrinsechedelle cose e il movimento intenzionale che si imprime loroper rafforzarne e o contraddirne il senso.

B3 Le regole del gioco fra noi e le cose; fra noie noi (facenti e guardanti); fra noi (facenti eguardanti), noi (facenti) e le cose:

z definizione del sistema di riferimento visivo comune (si puògiocare solo con gli oggetti che una società già conosce);z utilizzo dell’associazione mentale come atto finalizzato neiconfronti di osservatori esterni (pubblico);z attribuzione di significati umani alle cose materiali;z codificazione dello spazio narrativo.

B4 Socializzazione dei segnali che noiattribuiamo alle cose:

z selezione degli elementi-chiave di un evento narrabile;z ricerca della migliore visualizzazione possibile;z orchestrazione del flusso narrativo.

Per concludere, tre spunti di riflessione svincolati dallaboratorio: i laboratori sono eventi irripetibili e inqualche modo irraccontabili: restano le idee chematurano.

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Luì Angelini lui@lavoce dellecose.it

Nadia [email protected]

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Il laboratorio Di versi cieli

Il cielo stellato, più di ogni altroluogo riconosciuto dall’Unesco,è davvero patrimonio mondiale

dell’umanità ed unisce e accomu-na ogni popolo del mondo. Que-sto è stato un importante filo con-duttore del nostro laboratorio. Per questa ragione, l’incontro frail teologo Brunetto Salvarani, l’as-sociazione culturale Googol(www. googol.it), che da anni or-ganizza laboratori sul cielo cheuniscano l’aspetto scientifico aquello narrativo ed emozionale, eil progetto europeo Eu Unawedell’Osservatorio Astrofisico di Ar-cetri (www.unawe.org) che si ri-volge a bambini e bambine pro-venienti da aree svantaggiate delnostro pianeta, ha consentito lanascita di questo laboratorio cheper tutti i conduttori costituivauna prima esperienza. Per tutti noigrande era la curiosità di una col-

laborazione fra persone portatricidi saperi così diversi, saperi chedurante il laboratorio si sarebberoarricchiti e congiunti con quellidei partecipanti al laboratorio. In-somma una nuova avventura. Poi-ché il laboratorio si svolgeva pre-valentemente di giorno, il cielostellato è stato riprodotto graziead un planetario gonfiabile, unacupola di sei metri di diametro

alla quale si accede attraverso uncorridoio. Non appena entrati siresta colpiti da un’atmosfera estre-mamente evocativa. La luce cen-trale del planetario e la volta a cu-pola ricordano infatti l’atmosferadi una grotta con il fuoco al centroe si prestano in modo straordina-rio alla narrazione, al ricordo, allariscoperta delle origini. Diversi par-tecipanti al laboratorio hanno in-fatti condiviso la sensazione di tro-varsi all’interno di un ventre ma-terno. Questa situazione intima eraccolta, silenziosa, nella qualel’oscurità è schiarita unicamentedal bagliore delle stelle, è stata ilteatro principale del laboratorio.Seduti in cerchio abbiamo narratoil cielo stellato e le sue caratteri-stiche scientifiche, atteso i trascor-rere delle ore, narrati miti e leg-gende vicini e lontani, abbiamoevocato il significato religioso delcielo grazie alle numerose incur-sioni di Brunetto Salvarani che inmodo semplice e chiaro ha arric-chito il percorso di racconti biblicie termini religiosi. Ovviamente non è mancata la pas-seggiata notturna con osservazio-ne del cielo condotta dall’astro-noma Alessandra Zanazzi, che hacollaborato per tutto il tempo allaboratorio.Lo sguardo del laboratorio si è sof-fermato in modo particolare sulleorigini perché, per dirla ancora unavolta con Guccini: «Per capire lanostra storia bisogna farsi ad un

IL CIELO ACCOMUNA GLI UOMINI E LE DONNE DI

TUTTO IL MONDO. CHIUNQUE, GUARDANDO IN

ALTO, PUÒ AMMIRARE CIELI SERENI O NUVOLOSI,

RAGGIANTI O CUPI, CON LA LUNA, LE STELLE, I

PIANETI. PER QUESTA RAGIONE, DA SEMPRE, I

POPOLI IN OGNI ANGOLO DELLA TERRA HANNO

COLLOCATO NEL CIELO I PROPRI SOGNI, LE PROPRIE

AMBIZIONI, LE PROPRIE ASPIRAZIONI. PER QUESTA

RAGIONE ANCHE LE DIVERSE RELIGIONI HANNO

FATTO DEL CIELO UN LUOGO IMPORTANTE E

DENSO DI SIGNIFICATO. A VOLTE, PURTROPPO,

IMMERSI NEI RITMI FRENETICI DELLA VITA NELLE

CITTÀ, DIMENTICHIAMO DI ALZARE GLI OCCHI AL

CIELO PERDENDO QUEL COLLEGAMENTO CON LA

BELLEZZA DEL COSMO CHE NON CI AVVICINA

UNICAMENTE ALLA CONOSCENZA SCIENTIFICA,

MA ANCHE A PROFONDI TEMI LEGATI

ALL’ESISTENZA DELL’ESSERE UMANO, CON

MOLTEPLICI COLLEGAMENTO CON LA STORIA, LA

FILOSOFIA, LE RELIGIONI. FRA GLI SCOPI DI QUESTO

LABORATORIO STAVA PROPRIO LA VOLONTÀ DI

RITROVARE QUESTO COLLEGAMENTO, SCOPRIRE LA

BELLEZZA DI RACCONTARE IL CIELO, IL SIGNIFICATO

DI TANTI TERMINI LEGATI AL CIELO SPESSO

RICORRENTI NELLA BIBBIA O IN ALTRI TESTI

SACRI.TUTTO CIÒ CHE RIGUARDA LA NATURA CHE

CI CIRCONDA PUÒ ESSERE AVVICINATO

UNICAMENTE ATTRAVERSO L’ESPERIENZA, IL

LABORATORIO È LA FORMA MIGLIORE PER

TRATTARE UN TEMA COSÌ COMPLESSO.

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Di versi CIELI

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LARA ALBANESE, EMANUELA COLOMBI E BRUNETTO SALVARANI Lara Albanese

[email protected]

Emanuela [email protected]

Brunetto [email protected]

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tempo remoto: c’era un vecchiocon la barba bianca, lui, la suabarba, ed il resto era vuoto. Voicapirete che in tale frangentequel vecchio solo lassù si an-noiava, si aggiunga a questoche, inspiegabilmente, nessunoaveva la tv inventata...».

Le narrazioni hanno affiancatol’animazione tipica del plane-tario, che avviene attraversospeciali cilindri di proiezione,grazie alla tecnica del teatro

delle ombre e dell’animazionecon la lavagna luminosa. Il tea-tro delle ombre risulta partico-larmente efficace in questocontesto perché il pubblico sitrova circondato dalle ombre,ombra in mezzo alle ombre.Non a caso molti dei parteci-panti al laboratorio hanno scel-to questa tecnica di animazio-ne durante il laboratorio. Dopo una prima fase legata al-la conoscenza del planetario edelle tecniche di animazionesotto la cupola, divisi in piccoligruppi, i partecipanti al labo-ratorio hanno approfondito untema legato al cielo, hannoscelto come narrarlo sotto lacupola e messo a punto un ve-ro e proprio spettacolo per pla-netario messo in scena alla finedel laboratorio. Ciascuno haportato le proprie esperienze,i propri ricordi di cielo, le pro-prie abilità nel narrare e nel rac-contare. Anche le percussionie i canti hanno trovato unospazio sotto la cupola per dareorigine a un nuovo cielo: il cielodel laboratorio di CEM Mon-dialità. nnn

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Il cielo in diverse parti del mondoDal punto di vista astronomico esistonoluoghi del nostro pianeta molto lontanitra loro dai quali si vede esattamente lostesso cielo, si tratta di luoghi, che, puressendo distanti, si trovano alla stessalatitudine. Per esempio chi osserva il cielo notturno in Italia o nel Norddella Cina, vede esattamente lo stessopanorama celeste: la Stella Polare, ilGrande Carro, Orione, Il Cigno, L’Aquila, le Pleiadi. Eppure laCina e l’Italia non sono per nulla vicine.Ovviamente, osservando le stesse stelle,popoli diversi hanno immaginato figurediverse.Così, per esempio, laddove noivediamo le tre bellissime stelle dellacintura del gigante Orione, nell’anticaCina si vedevano le tre stelle utili perscrivere nel cielo il carattere cherappresenta il numero Tre. Lo stessoavviene per tutte le altre costellazioni.Quando invece la latitudine cambia e cisi sposta sullo stesso meridiano, comeper esempio spostandosi dall’Italia alSud Africa, il cielo cambia. Nell’altroemisfero, non si vedono né Il GrandeCarro, né il Piccolo Carro e nemmeno lacostellazione di Cassiopea. Il panoramaceleste è completamente diverso, i mitie le leggende che vi sono ambientatihanno altri protagonisti. Soltanto lecostellazioni a cavallo dell’equatoreceleste possono essere ammirate daentrambi gli emisferi, come lastraordinaria costellazione di Orione,che proprio in questi mesi splende neinostri cieli, ma che splende anche,questa volta assieme alla croce del Sud, nell’altro emisfero, benché a testa in giù.

«L’Argentina, l’Argentina, che tensione! Quella Croce del Sud nel cielo terso, lacapovolta ambiguità d’Orione el’orizzonte sembra perverso».Francesco Guccini, «Argentina»

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Le cose CHE ABBIAMOin comune RICCARDO OLIVIERI E ROBERTO «BOBO» VARONE

Riccardo [email protected]

Roberto «Bobo» [email protected]

L’educazione alla cittadinanza attiva «studiata»... in laboratorio

Parlare di cittadinanza attiva vuol dire riconoscere,insieme a diritti e doveri, anche poteri e respon-sabilità dei singoli cittadini e delle reti sociali,

attraverso percorsi di tutela dei diritti, fornendo stru-menti di democrazia e partecipazione. Educazione alla cittadinanza attiva come strumento diun nuovo civismo diffuso, che riconosca e difenda iBeni Comuni, che ispiri un atteggiamento partecipativoverso la comunità sociale, che insegni il rispetto tra igeneri e le pari opportunità, che suggerisca il rifiuto diogni forma di discriminazione, che sia orientata a prin-cipi non violenti, che educhi alla democrazia e che re-stituisca all’educazione il compito di formare buoni cit-tadini prima che buoni studenti o lavoratori.

Un laboratoriocostruito attorno a cinque parole chiavedella democraziapartecipata

Solidarietà: «Lo Scudo di Achille»

Lo Scudo di Achille è considerato il primo esem-pio di narrazione descrittiva della letteratura edefinisce minuziosamente le caratteristiche dellavita, della società e dell’identità del luogo diappartenenza dell’eroe Achille. Racconta del-l’identità individuale del guerriero nel contestosociale, è forgiato dal dio del fuoco ed è la mas-sima protezione del Pelide. Ognuno di noi ha ilsuo scudo di Achille ed utilizza la propria iden-tità, le proprie esperienze biografiche, il propriocontesto sociale come difesa verso il mondo.Riconoscere il «proprio scudo», ribaltarlo comepunto di partenza e di accoglienza dell’altro,permette di individuare i legami, le affinità, inodi d’incontro con l’altro, gli altri, creandouna rete di identità intrecciate. Una rete chesolidarizza biografie, desideri, paure, aspirazioni.Il primo tassello di un concetto, la solidarietà,dal quale siamo partiti per significare il nostrovocabolario del cittadino attivo. La dottrina so-ciale della Chiesa fornisce una definizione dellasolidarietà che può essere accettata da tutti,anche da chi non è credente: «La solidarietànon è un sentimento di vaga compassione, odi superficiale intenerimento, per i mali di tantepersone, vicine o lontane. Al contrario è la de-terminazione ferma e perseverante di impe-gnarsi per il bene comune: ossia per il bene ditutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramenteresponsabili di tutti. Più che un atto di carità,adempiamo un dovere di giustizia» (GiovanniPaolo II, Sollicitudo rei socialis, n. 40).«Se fossimo in mare avremmo detto: siamotutti sulla stessa barca. Qui possiamo dire: sia-mo tutti sulla stessa terra, i cui tremori distrut-tivi capitano ora qui ora là. La percezione –non necessariamente consapevole – di una co-munanza di condizione e di umana precarietàè il fondamento della solidarietà che abbiamosperimentato. Solidarietà che dovrebbe ali-mentare la nostra convivenza anche lontano

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ga utilizzato come strumentoper orientare il pensiero collet-tivo. Abbiamo scandagliato imedia mainstream, veri e proprioracoli del nostro tempo, ci sia-mo interrogati sul mondo 2.0.

Comunità: «Utopia»

Dal primo all’ultimo minutodella nostra avventura ci ha ac-compagnato un enorme wallpaint (murale) raffigurante unacittà. Al termine di ogni stepdel laboratorio, lo abbiamo de-finito aggiungendo elementi,luoghi, attività che raccontas-sero i nostri desideri di questaUtopia, la città, il territorio doveameremmo vivere e del suofunzionamento. Ne è ovvia-mente risultato un territoriomeraviglioso. Ma pur essendocosì lontano dalla realtà, è dav-vero così irraggiungibile? E co-sa ne ostacola il raggiungimen-to? E noi, cittadini schiacciatida mega macchine, cosa pos-siamo fare per costruirla? Tuttogravita attorno al riappropriarsidel concetto di comunità, at-traverso la risignificazione diciò che ci è stato sottratto: de-mocrazia, partecipazione, giu-stizia. nnn

dai terremoti». Questa è una «citazione terremotata», frutto diun’attività solidale con l’associazione LaCà, nata dopo il sisma inEmilia.

Città - cittadinanza: «I Cerchi Concentrici»

Importiamo in abbondanza termini inglesi, con la goffaggine pro-vinciale di crederli più autorevoli. In questo caso però non adoperiamoil corrispondente birthright citizenship, cittadinanza per diritto di na-scita. Perché in quella lingua è diritto automatico per chiunque nascasul suolo degli Stati Uniti. Usare il termine inglese comporterebbe lanecessità di adeguarsi alla norma. Perciò viene riesumato il latino,utile a negare. «Esiste un altro tipo di ius soli, di buon diritto al suolo.È quello di una comunità che difende il proprio territorio» (Erri DeLuca). Ci siamo interrogati su come siano strutturate le nostre città,utilizzando la teoria dei centri concentrici, chiedendoci chi detieneil potere, al centro della città, e, seguendo la teoria di Luigi Gui,chi invece è esposto alla frattura esistenziale, vulnerabile, emargi-nato, o socialmente escluso. Abbiamo ragionato su quali siano i«vettori» della forza centrifuga, che dal centro spingono le personeverso l’esterno, e quali possano essere invece le strategie di resistenzaper opporsi a queste forze, e rimettere le persone al centro, nelpieno esercizio dei propri diritti.

Territorio: «Ilva»

Il territorio non è solo uno spazio fisico, è il contenitore dei nostriluoghi, delle nostre relazioni, a volte delle nostre gabbie, altrevolte dei nostri desideri. Se la metropoli è spesso una grandedistesa di non luogo, al suo interno vi sono i territori nei qualisiamo cresciuti. Siamo partiti da Trevi per approdare sulle rive diTaranto, una città che ha ridefinito la sua identità di città-statogreca in una città-stato dell’acciaieria. Un territorio che sta mo-rendo. Abbiamo azzardato la ricerca di una risposta al dilemmasalute-lavoro, immedesimandoci in chi ne patisce il dramma. Edabbiamo azzardato la prima forma di laboratorio intergenerazio-nale su un tema tanto forte e lacerante, con una sessione congiuntacon il laboratorio adolescenti. Ne è risultato un viaggio tra le con-traddizioni che animano il cittadino contemporaneo, che attra-versano la cultura del lavoro in epoca di crisi, le paure delle famigliedel terzo millennio, dei padri come dei figli, la condizione delledonne; paure, aspirazioni e desideri in un role-play che si è tra-sformato in un affresco del mondo in cui viviamo. Gli adulti (alcunidei quali genitori) hanno scoperto la profondità e la passione deiragazzi, che, sentendosi coinvolti ed ottenendo pari dignità, hanno

potuto esprimere le sensibilitàdi quelle generazioni che, sem-pre più nella nostra geronto-crazia italica, sembrano esserelontanissime.

Comunicazione: «RicercAzione»

«La comunicazione è unoscambio interattivo fra due opiù partecipanti, dotato di in-tenzionalità reciproca e di uncerto livello di consapevolezza,in grado di far condividere undeterminato significato sullabase di sistemi simbolici e con-venzionali di significazione e disegnalazione secondo la culturadi riferimento». (Paul Watzla-wick in Pragmatica della comu-nicazione umana. Studio deimodelli interattivi, delle pato-logie e dei paradossi, 1971).Nella nostra società attuale,quali sono i sistemi simboliciconvenzionali di significazione?Su quali canali vengono veico-lati? C’è un sistema di veicola-zione? Abbiamo intervistato cit-tadini di Trevi su temi e parolechiave di uso comune, ci siamosoffermati a ragionare su cometanta parte del vocabolario at-tuale non solo si discosti dal-l’originale etimologico, ma ven-

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I l nostro laboratorio è par-tito lasciandoci provocaredalle carte di Silvio Boselli

(dal testo Voltalacarta, La Me-ridiana) che ci hanno accom-pagnato, confermando il loro«potere» evocativo, per tutto ilpercorso. La ricchezza e la va-rietà del gruppo, in quanto aprovenienza, età e momentiesistenziali ci ha permesso, nonsenza momenti di mediazione,di esplorare i legami: i nostri,quelli interrotti, la fatica nel co-struirli e conservarli, quelli so-gnati e desiderati, il loro poteredi cambiamento individuale esociale. La riflessione è stataanimata, oltre che dalla vogliadi narrare e narrarsi, anche dasimpatici giochi cooperativi, incui talvolta potersi prendere unpo’ in giro. Ma è vero che sia-mo in un’epoca in cui perce-piamo di vivere una sorta di fi-ne del mondo? Molti autori inambiti diversi evocano questasensazione. Gustavo PietropolliCharmet, parlando di famiglie,giovani ed adolescenti, sotto-linea il fatto che nella famigliaitaliana oggi si valorizza soprat-tutto la relazione empatica, re-ciproca, tra genitori e figli, cre-

dendo così di «costruire figlifelici», in netto contrasto conquanto avveniva in passato,quando era richiesto ai figli diimparare a controllare i propribisogni e desideri. Tutto ciò,sottolinea Charmet, col perico-lo di non permettere ai figliesperienze loro, di confrontocon il reale, di non permettereloro di sperimentare il dolore,rendendoli troppo vulnerabili.Elena Pulcini sostiene che «l’etàglobale è caratterizzata da unasorta di polarizzazione patolo-gica che vede da un latol’emergere di un individualismoillimitato e dall’altro la nascitadi forme di comunitarismo en-dogamico».Infine, Miguel Benasayag e Gé-rard Schmit, in Epoca delle pas-sioni tristi, partendo dal loroosservatorio di un consultoriofamiliare in una periferia fran-cese, sostengono che «la no-stra epoca sarebbe passata dalmito dell’onnipotenza dell’uo-mo costruttore della storia aun altro mito simmetrico e spe-culare, quello della sua totaleimpotenza di fronte alla com-plessità del mondo. Si sta or-

26 | cem mondialità | dicembre 2013

Simona [email protected]

Eugenio [email protected]

Per il BUON USOdella finedel mondoEducare al legame

mai affermando l’idea che l’uo-mo non possa fare altro chesubire le forze irrazionali dellastoria. […] Sicuramente l’uomonon fa la storia, ma cosa puòfare l’uomo nella storia?».L’uomo, con la sua libertà cheparte dalla sua fragilità e nondalla sua forza, può riconosce-re il rapporto d’interdipenden-za con le «cose del mondo»,con gli altri, coltivando, co-struendo legami. Progettandoatti di liberazione che lo con-nettono agli altri, a partire pro-prio dalla sua dimensione difragilità. Partendo da questa ri-flessione, dopo aver assaporatocolori e suoni della fine delmondo, ci siamo raccontati inostri legami, affidandoci allanarrazione guidata da stimolipresi a prestito dalla scritturaautobiografica. I legami fon-dano l’appartenenza, a volteportano la fatica del costruirli,del mantenerli, dello scioglierli.Il legame ha un tempo, ognipersona ha il suo tempo! Sia-

SIMONA POLZOT E EUGENIO SCARDACCIONE

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mo quindi usciti, in piccoligruppi, dalla nostra sala, peresplorare il convegno e non so-lo, muniti di macchine fotogra-fiche, per farci interrogare daquello che potevamo immor-talare e rappresentare in unamostra fotografica le provoca-zione esterne.Altre riflessioni sono divenutepatrimonio del gruppo. La me-tafora dello specchio, dove essoriporta al legame ed al confron-to con se stessi; nello specchioperò possiamo far entrare/ve-dere l’altro; può dare la misuradi se stessi, può entrare in unareciprocità. La terra e le manievocano il legame dell’uomo,di generazioni con la terra, an-che dura; le mani possono ma-nipolare, trasformare, far en-trare in contatto, i bambini usa-no le mani danno valore allecose, entrano in relazione an-che per trasformarle. I legamisi creano anche attraverso ilcorpo, attraverso tutti i cinquesensi, passano talvolta attraver-

so sensazioni, i legami hanno colori,nei rapporti possono esserci diverse sfu-mature di colore. I legami sono pontiche superano la fatica di crearli, legamitra cose, persone, oggetti, con se stessi,col paesaggio, con la Terra. Portano al-l’incontro con il mondo. Un buon le-game si costruisce con il dialogo, il con-fronto, il compromisso (impegno). Haa che fare con la filosofia, con l’etica.Ha a che fare con regole condivise, chenascono dal dialogo, che rispondonoa valori. nnn

dicembre 2013 | cem mondialità | 27

Ingredienti per costruire legami

Quali ingredienti ci servono per costruirelegami? Ecco alcune ricette.

Ricetta del legame fondente

Ingredienti: Coraggio in abbondanza, tante,diverse persone, affidamento a volontà,flessibilità secondo il gusto, distanza q.b. Preparazione: Cucinare a fuoco lento.Amalgamare rimescolando di tanto in tanto.A cottura ultimata servire in tavola e gustarein buona compagnia.

Insalata della vita in agrodolce (per tutti: esperti e principianti)Ingredienti: Semi di disponibilità inabbondanza, una manciata di pazienza, unpizzico di magia (l’invisibile), tre tazze diascolto, una spolverata di sguardi,conoscenza a cucchiaiate (a piacere), unbicchiere di regole (a seconda dellasituazione). Preparazione: Mettete in una ciotola gliingredienti tutti insieme e mescolate, concura, con un cucchiaio di legno. Ricordatevidi mescolare lentamente, allegra-mente,serenamente usando buone parole. Lasciateriposare l’insalata affinché prenda il saporedella vita e il tutto si leghi a perfezione.Servire con passione in quantità generose,utilizzando possibilmente ciotole in legno eposate colorate. Tempo di preparazione:tutta la vita.

Un legame da gustare

Ingredienti: Equilibrio, in-contro, desiderio,ascolto, sostegno reciproco, cura, magia,individuazione, attesa, ricchezza. Preparazione: Mescolare insieme due ciotoledi desiderio e tre di in-contro. Una volta benamalgamate, aggiungere mezza caraffa diequilibrio fino ad ottenere un composto diuna certa consistenza. Montare bene trepezzi di sostegno reciproco e unire il tutto alcomposto. Aggiungere l’individuazione perfar lievitare l’identità, mescolandoaccuratamente ascolto senza fine.Aggiungere, se disponibile (moltoconsigliato) un pizzico di magia. Infornare aforno caldo e gustare l’attesa. Sfornarne laricchezza. Fondamentale per la riuscita è lacontinua cura.

N.B. Attenzione: evitare di utilizzare utensilisporchi di dipendenza!

Provocazioni

Provocati da Ersilia, dal libro «Le città invisibili» di Italo Calvino, abbiamo incontrato esperienze lontane dalle nostre, come per favorire un processo di meticciamento.Il racconto dell’Ong Elos di Santos (Brasile) che sintetizza la propriapratica di cambiamento sociale in 7 passi: o olhar (guardare), o afeto (l’affetto), o sonho (il sogno), o cuidado (la cura), o milagre(realizzare il miracolo), a celebração (la celebrazione) e a re-evolução (la rivoluzione).L’esperienza di Etty Hillesum, raccontata nel suo diario, che nelcampo di concentramento scopre che il senso della vita si trovadando valore alle piccole cose e scrive «Il gelsomino dietro la casa ècompletamente sciupato dalla pioggia e dalle tempeste di questiultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sullepozzanghere scure e melmose che si sono formate sul tetto bassodel garage. Ma da qualche parte, dentro di me, esso continua afiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre espande ilsuo profumo tutto intorno alla tua casa, mio Dio. Vedi come ti tratto bene».Ci siamo, quindi, dati un momento personale, dove poterraccogliere, rielaborare pensieri, emozioni, valori attraverso segni,simboli e colori. Abbiamo disegnato i nostri Mandala!

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Tra la memoria delle cose e le cosedella memoria

Ancor prima di entrarenel laboratorio, la visio-ne di alcune sequenze

filmiche (Forrest Gump, Il Gran-de Freddo, Amiche per sempre,Il favoloso mondo di Amélie)ci ha permesso d’introdurrel’argomento della giornata edi riflettere sulla rappresenta-zione di oggetti identitari, cioèsu come il cinema tracci le fi-sionomie dei propri personaggia partire dagli oggetti che li ac-compagnano e li caratterizza-no. Come veri detective, abbia-mo osservato le sequenze ecompilato schede di analisi sutipologie di oggetti e perso-naggi. A quel punto eravamopronti per immergerci nellastanza delle scatole: una verae propria installazione predi-sposta per stimolare ciascunoa frugare tra le cose della me-moria e per suscitare la memo-ria delle cose... L’ingresso nella

penombra è stato ricco di sug-gestioni: il laboratorio era pie-no di scatole di forme e gran-dezze varie che contenevanooggetti un po’ di tutti i tipi:piccole cose, sparse, nell’attesache qualcuno le trovasse, leguardasse e magari potesse ri-trovare in quell’oggetto unatraccia dei propri ricordi, un’im-magine, un profumo, un’idea...Ciascuno ha avuto modo diesplorare, annotare sul propriocosario e poi condividere congli altri impressioni, sensazioni,pensieri, idee e ricordi suscitatida quel viaggio singolare. La

successiva visione di una se-quenza di Ogni cosa è illumi-nata ha consentito di trasfor-marci, proprio come il prota-gonista del film, in collezionistidi oggetti utili per trovare trac-ce di noi e delle nostre piccolestorie personali.

Cose animate

La visione di un frammento delfilm Gli anni dei ricordi, in cuisei donne cuciono su una tra-punta immagini simbolo diframmenti della propria vita,ha rappresentato lo stimolo perportare anche noi a realizzareun patchwork collettivo di cartae, attraverso la tecnica dellastop motion, a trasformarlo inuna composizione animata incui la storia personale di cia-scuno è andata a intrecciarsialle storie degli altri, generandoun patchwork di gruppo dav-vero bello. Abbiamo poi for-mato quattro gruppi e abbia-mo realizzato altre stop motionutilizzando gli oggetti che ave-vamo a disposizione: cose checostellano le nostre vite e cu-stodiscono ricordi, metafore,significati importanti. Ognigruppo si è dedicato alla co-struzione di un soggetto, diuno story board e poi ha creatola propria storia e l’ha animata. Queste attività ci hanno per-messo di riflettere sul fatto chele cose e gli oggetti di ogni

LE NOSTRE VITE SONO DISSEMINATE DI COSE

CHE LE PLASMANO, LE DELIMITANO, LE

TRASFORMANO... OGNI CASSETTO, SCAFFALE O

ANGOLO REMOTO DELLA NOSTRA MEMORIA

CONSERVA QUALCOSA INTORNO ALLA QUALE SI

LEGA UNA STORIA, UN RACCONTO, UN

AVVENIMENTO. NELLE COSE, CHE NON SONO

SEMPLICEMENTE OGGETTI, MA RAPPRESENTANO

NODI DI RELAZIONI CON LA VITA DEGLI ALTRI,

ANELLI DI CONTINUITÀ TRA LE GENERAZIONI,

PONTI CHE COLLEGANO STORIE INDIVIDUALI E

COLLETTIVE, SI DEPOSITANO IDEE, AFFETTI E

SIMBOLI. ED È PROPRIO INTORNO A QUESTE

MOLTEPLICI ACCEZIONI DELLE COSE CHE ABBIAMO

LAVORATO NEL LABORATORIO, ATTRAVERSO

DUE NUCLEI D’INDAGINE:

1. LE COSE CHE PARLANO DI NOI: TRA LA

MEMORIA DELLE COSE E COSE DELLA MEMORIA.

2. LE COSE INDISPENSABILI PER IL BUEN VIVIR:

I BENI COMUNI DA DIFENDERE E SALVAGUARDARE.

LA SINTESI DI TUTTO IL PERCORSO SVOLTO,

I MATERIALI FORNITI E TUTTI I PRODOTTI

REALIZZATI SONO STATI INSERITI NEL BLOG

CEMINMEDIARES.BLOGSPOT.COM APPOSITAMENTE

COSTRUITO PER DOCUMENTARE IL PERCORSO

DEL LABORATORIO E CHE, OVVIAMENTE,

INVITIAMO TUTTI A VISITARE!

In media res

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PATRIZIA CANOVA E MARIA MAURA

Patrizia [email protected]

Maria [email protected]

28 | cem mondialità | dicembre 2013

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giorno hanno una storia, deisignificati, rappresentano spes-so qualcosa che eccede la loropura materialità. Le cose so-no media, perché veicolano ri-cordi, pezzi di vita, personescomparse, visioni del mondo,filosofie e, nel laboratorio, gra-zie ad altri media (videocamere,smartphone, tablet) hanno po-tuto animarsi, prendere vita ediventare protagoniste.

La mediazione delle scarpe

Avete mai pensato alle scarpecome ad oggetti che svolgonoun’importante azione di me-diazione tra noi e il terreno?Come molti medium hannoanche un ruolo facilitatore: cipermettono di andare più lon-

tano, di non farci male ai piedi,di agevolare il nostro cammino. Le scarpe hanno una funzionedi utilità, ma sono anche veicolodi molti significati. Spesso si puòcapire la personalità di qualcunoproprio a partire dalle scarpeche indossa! Per questo motivoil cinema ne ha fatto un oggettodi culto. Moltissime sono le se-quenze cinematografiche dovele scarpe sono protagoniste eraccontano storie. Noi ne ab-biamo visto alcune (Big Fish; Lafebbre dell’oro; Un ponte perTerabithia; Billy Elliot; Ceneren-tola; Forrest Gump; Il diavoloveste Prada) dalle quali abbiamopreso spunto per narrare le no-stre storie di scarpe, sempre uti-lizzando diverse tecniche dellavideo animazione. nnn

L’acqua: risorsa generatrice, bene comune, diritto universale

La sacralità dell’acqua

Il secondo nucleo d’indagine è stato dedicato a uno dei benicomuni più importanti da difendere: l’acqua.L’acqua come generatrice di vita e di creatività ci haaccompagnati nella mattinata. All’ingresso nel laboratorio iconvegnisti si sono trovati interamente avvolti dal blu.Inizialmente abbiamo ascoltato e prodotto suoni d’acquausando oggetti e strumenti musicali (bastone della pioggia,oceano sonoro…), abbiamo letto poesie, filastrocche,citazioni letterarie e filosofiche sul bene naturale piùprezioso, quindi ci siamo sdraiati tutti su comodi cuscini perammirare le immagini proiettate sul soffitto, tratte da «OroBlu»; «Profondo Blu»; «Koyaanisqatsi» di Godfrey; «Genesis»:tutti film in cui si celebra la sacralità dell’acqua comeelemento generatore del tutto.Avvolti nella magica sensazione liquida provocata dallavisione cinematografica, ciascuno ha potuto quindisperimentare diverse tecniche espressive nelle varieinstallazioni artistiche appositamente preparate e in cuil’acqua era protagonista. Si poteva sperimentare l’effetto dell’acqua e di liquidicolorati sulla lavagna luminosa, la ripresa in stop motion digocce di china che danzavano in una bacinella, dipingerel’acqua con gli acquerelli, fare sculture con pongo, creare

composizioni con carte azzurre e blu, scrivere pensieri liquidie infine scrivere su gocce alcune frasi che l’esplorazione dellospazio liquido aveva ispirato. Per concludere l’argomentoabbiamo ascoltato un interessante intervento di Marco DalCorso sulla sacralità dell’acqua, che ha messo in relazione ipunti salienti del manifesto dell’acqua con la prospettivateologica.

L’acqua: bene comune?

L’acqua è elemento primo, materia essenziale per la vita.L’acqua è crescita, sviluppo, risorsa. L’acqua è luogo,paesaggio, cultura, civiltà. L’acqua è religione, arte,memoria. L’acqua è un diritto naturale essenziale einsostituibile.Oggi, purtroppo, sono ancora più di un miliardo le personeche non hanno accesso a questo bene prezioso e in moltiangoli del pianeta sono in atto vere e proprie guerre per ilcontrollo e la distribuzione dell’acqua. Nel laboratorioabbiamo provato a suscitare consapevolezza critica suquesto tema, a interrogarci sugli squilibri tra nord e sud delmondo in relazione all’iniqua distribuzione dell’acqua eabbiamo anche riflettuto sulla nostra impronta idrica, suquanta acqua consumiamo ogni giorno con scarsaconsapevolezza, sugli sprechi e sulle buone pratiche che tuttidovremmo adottare se vogliamo preservare questa risorsacosì importante. Il percorso si è concluso con la realizzazionedi quattro spot, nello stile della comunicazione sociale,sull’acqua come diritto universale, bene comune e risorsalimitata da preservare.

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P er rispondere a queste do-mande, come conduttricidel laboratorio adolescenti

2013, ci siamo affidate ad alcunipunti fermi: in fatto di gusti musi-cali, televisivi e 2.0, i nostri adole-scenti CEM sono evidentementemolto più raffinati di noi condut-trici. Abbiamo avuto dunque qual-cosa da insegnare; ad esempio bal-lare a ritmo delle vomitevoli hit esti-ve (come non innamorarsi di gan-gnam style, dei tutorial dei bimbi-minkia per farsi i capelli o le unghie,di Gemma del Sud; come non so-spirare di fronte alle espressionischifate dei severissimi cuochi di

MARIA CLAUDIA OLIVIERI E MARTINA VULTAGGIO

È facile o difficile parlare di beni comuni con gliadolescenti? È facile o difficilesperimentare concretamentela cittadinanza attiva? È facileo difficile far parlare assiemediverse generazioni?

Istruzioni PER CAMBIAREil mondo Un laboratorio ai tempi dell’Ikea

LABORATORIO PER ADOLESCENTI DALLA SECONDA MEDIA AI 17 ANNI

Masterchef... come non cedere allatentazione di analizzare e riprodurrecriticamente tutto questo in un la-boratorio CEM!). Il sottotitolo dellaboratorio stesso riprende il titolodi un album di un gruppo che pernoi è già un cult: gli Stato Sociale.Ironia sottile, analisi semiseria di unpaese in rovina, il loro «L’amore aitempi dell’Ikea» ci rimanda a sug-gestioni di usa e getta, di fai da teche ci danno l’illusione di libertà,di effimero tutto e subito: a noi èparso uno spaccato sulle nuove ge-nerazioni, da usare assolutamente!

z Come educatrici «polemiche e im-pegnate», da sempre abbiamo su-bito il fascino dei personaggi sco-modi. Più sono misteriosi, poetici,ribelli, più ci incantano. Se poi san-no narrare la storia di un popolo,ecco trovato il libro guida da cuipartire per strutturare il laboratorio:«Racconti per una solitudine inson-ne», del Subcomandante Marcos(Oscar Mondadori, Milano 2001).Qui si parla, senza ombra di dubbio,di lotte per la terra, l’aria, l’acqua,i diritti fondamentali. Si parla diBeni Comuni e del prezzo che questihanno per i popoli indigeni. Marcosracconta di guerre, ingiustizie, sfrut-tamento, odio, violenza, ma lo facon leggerezza. Quasi sorridendo.Lasciando aperto uno spiraglio allasperanza. È così che vogliamo che

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crescano i nostri ragazzi, figli dellacrisi di valori che ci circonda. Chesappiano vedere il bello e coltivarloin ogni cosa.

z Durante l’anno in quanto «cate-goria» educatori, facilmente ci tra-sformiamo, o ci definiscono i nostriutenti, come altro: poliziotti, giudici,carcerieri, mamme, papà, fratellimaggiori, nelle migliori delle ipotesi;nelle peggiori schiavi delle coope-rative, precari, nullatenenti, mob-bizzati. Anche queste definizionifanno parte della crisi di valori checi circonda. Progetti che hanno gui-dato e costruito il nostro welfare,spariscono nel nulla; le linee guidanon guidano più nessuno, ed è tut-to un tagliare, tagliare, tagliare, co-me se di tutto il patrimonio del so-ciale che in Italia si è faticosamentecostruito si potesse fare tranquilla-mente a meno. CEM in questo èper noi, da sempre, una boccata diaria buona. Un formare che è for-marsi, un educare che ti costringea guardarti dentro e metterti in di-scussione. È il tempo della speri-mentazione educativa. La parolad’ordine è: osare! Partendo dal ca-

lendario maya e dalla possibilità cheil mondo finisse siamo passati perle lotte degli zapatisti, e siamo ar-rivati a parlare dell’Ilva, la fabbricadei veleni. Abbiamo parlato di sa-nità in Italia. Di scuola. Ci siamo mi-schiati con un laboratorio adulti pervivere assieme un role playing, «Ilmale minore» sulla questione Ta-ranto: qual è il bene a cui si può ri-nunciare, la salute o il lavoro? Esisteuna terza via, che abbia il saporedella dignità? Abbiamo messo inpratica strumenti di cittadinanza at-tiva attraverso momenti di briefing,debriefing, brainstorming. Abbiamocucinato, ci siamo sporcati le manicon la terra, seminato, ci siamo tuf-fati in piscina. Abbiamo tirato fuorile voci anche dei più timidi con lapedagogia narrativa e ci siamo cro-giolati al sole con la pedagogia dellalentezza. Ma, soprattutto, abbiamocostruito relazioni, che ci ricaricanoper l’anno che sta per arrivare. Per-ché è facile, soprattutto quando seiun adolescente, sentirsi le energieper conquistare il mondo. Il difficileè farlo senza avere sete di potere,soprattutto quando il mondo at-torno va in tutt’altra direzione.

z Assaporare le cose semplici: que-sto è quanto ha significato per noieducare ai beni comuni. E dare spa-zio ai ragazzi, che hanno sempremolto da dire, ma spesso nelle no-stre città frenetiche non hanno piùgli spazi e i tempi giusti per farlo.Noi conduttrici abbiamo dato unastruttura e una forma, ma i conte-nuti sono stati tutti loro, e per que-sto possiamo solo ammirarli e rin-graziarli, anche per il tempo oltre illaboratorio, in cui ci si cercava a vi-cenda, non più solo come condut-tori e partecipanti, ma come per-sone che vogliono confrontarsi allapari.

Perché, come direbbe lo scarafaggioDon Durito, che ci ha accompagnatonella lotta contro il temibile Monte-zuma che voleva far finire il mondo,«questa storia insegna a sognare, oa lottare. Che è lo stesso». nnn

Maria Claudia [email protected]

Martina [email protected]

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U na richiesta d’aiuto:due supereroi fuoriservizio hanno biso-

gno che qualcuno li sostituiscanell’arduo compito di liberarei Beni Comuni dalle gabbie incui un perfido mostro li ha rin-chiusi. Chi meglio dei bambinidel CEM per una tale impresaeroica? Dopo esserci conosciutied esserci trasformati in supe-reroi, siamo andati a conoscereCedrata e Chinotto, che ci han-no spiegato come avremmofatto a liberare tutti i beni co-muni. Così, con indosso le no-stre maschere, giorno dopogiorno li abbiamo cercati, sco-perti, usati, e alla fine li abbia-mo liberati dalle grinfie delmostro.La nostra avventura è iniziatacon l’acqua: Com’è l’acqua?Questa è la prima domandache ci siamo posti, cercando dicapire come la utilizziamo eperché è importante non spre-carla, tenerla pulita e, soprat-tutto, perché è un bene di tutti.Abbiamo disegnato l’acquacon varie tecniche e poi ci sia-mo preparati per la battaglia,che si è svolta nel luogo piùacquoso dell’Hotel della Torre:la piscina! Una volta allonta-nato il mostro ci siamo tuffatiper liberare l’acqua, che ci haringraziato e ricordato la suaimportanza. Missione compiu-

AGNESE DESIDERI E FRANCESCO CALIGARIS

Qualquadra NON COSA

LABORATORIO PER BAMBINI

ta, ma sono ancora molti i Benida salvare. Il Cibo ha bisognodel nostro aiuto. Abbiamo al-lora parlato dei nostri cibi pre-feriti, di cosa ci piace mangiare,e di come è brutto che ci siaqualcuno a cui non è permessomangiare il proprio cibo pre-ferito. Con la pasta abbiamocostruito delle cornici per i no-stri piatti, e poi siamo andati acostruire il nostro orto in bot-tiglia. A gruppi di quattro, uti-lizzando vecchie bottiglie diplastica, terra, semi, e ovvia-mente la nostra amica acqua,abbiamo dato vita a piccoli orti.Il cibo, però, ci stava aspettan-do incatenato: attraverso unpercorso impervio lo abbiamoraggiunto e liberato. Ci man-cavano ancora due beni comu-ni da liberare, l’Energia e la Co-municazione. Per capire cos’è l’energia ab-biamo giocato ad un memoryenergetico, accoppiando lefonti al tipo di energia cheemettono, abbiamo costruitodelle girandole/pale eoliche edinfine un fortissimo mulino adacqua, utilizzando una baci-nella, una bottiglia di plasticae dei cucchiai. Una volta libe-rata, l’Energia è venuta nel no-stro laboratorio a raccontarciuna storia, una triste storia suquanto molte famiglie abbianosofferto la mancanza di ognitipo di energia necessaria allasopravvivenza e che ora pos-

Agnese [email protected]

Francesco [email protected]

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sono tornare a sorridere, maci ha anche purtroppo inse-gnato che nonostante sia fi-nalmente libera, l’Energia nonpuò arrivare ovunque, facen-doci capire quanto sia triste eingiusto che molte famiglietuttora soffrano e muoiano perla sua mancanza. Ma la Comunicazione dovevaancora essere liberata! Per pre-pararci al meglio abbiamo ri-flettuto sulla comunicazione, equindi su quanto sia importan-te e vitale riuscire a comunicarema soprattutto riuscire a ca-pirsi, abbiamo elencato ognimezzo di comunicazione pos-sibile a seconda delle diversetipologie di comunicazioni esi-stenti, abbiamo disegnato ilnostro concetto di comunica-zione e dialogo, disegnandomessaggi di aiuto, amicizia eistruzione. I bambini hanno poicostruito, con bicchieri di pla-stica e spago, un modello ru-dimentale ma altrettanto fun-zionale e funzionante di tele-fono e, attraverso il gioco del«passaparola», hanno compre-so ancora meglio la facilità concui comunicare possa diventaredifficile e di quanto possano

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peggiorare le situazioni, a cau-sa di fraintendimenti, senzaun’adeguata comunicazione.Era giunto il momento della li-berazione, ma non sapevamoda dove iniziare a cercare laprigione della Comunicazione.Quest’ultima però, molto scal-tra, ci è venuta incontro la-sciandoci un prezioso indizio:e quale indizio avrebbe mai po-tuto lasciarci la Comunicazione,senza farsi scoprire, se non unrebus? Con un fantastico giocodi squadra i nostri supereroi

hanno decifrato il messaggioe sono volati a liberare la Co-municazione! Mancava solouna cosa da fare: avvisare tuttala popolazione di Felicitalia, equesto poteva avvenire solo at-traverso uno dei più influentimezzi di comunicazione esi-stenti: il telegiornale! Divisi inquattro gruppi, ognuno deiquali avrebbe dovuto narrarela liberazione di un Bene Co-mune, i supereroi si sono sedutidavanti alla nostra telecamerae, con la professionalità degnadel miglior anchorman, raccon-tate le loro imprese nel servizio,hanno passato la linea ai col-leghi, avvisando così tutti i cit-tadini di Felicitalia, che nonhanno potuto fare altro che ac-cogliere la notizia con gioiosegiornate di festa! nnn

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Il naufragoe il drago addormentatoLe attività che abbiamo svolto nellaboratorio sono state intervallate damomenti ludico-sportivi ed espressivi, edabbiamo ricevuto, oltre a quelle dei nostribeni comuni, la visita di Roberto Papetti checi ha proposto due giochi molto divertenti:il naufrago e il drago addormentato. Ognibene comune è stato interpretato da unpartecipante al convegno, ed ognuno haapportato un contributo raccontandociqualcosa su Acqua, Cibo, Energia eComunicazione. I bambini hanno poiprodotto dei cartelloni, con frasi e disegniispirati da ogni bene comune.

Una speranzaper FelicitaliaLavorare con questi bambini è statobellissimo, sicuramente stancante maaltrettanto ripagante. Si sono comportatitutti come è giusto che bambini della loroetà si comportino, ma soprattutto hannoformato fin da subito un gruppo moltoaffiatato. Dal punto di vista lavorativo sonostati impeccabili: sono infatti giunti ariflessioni di una profondità e saggezzailluminanti, che nemmeno si addicono abambini di quell’età, e che mai ci saremmosognati di chiedere. Se questi saranno gli abitanti del nostrofuturo, allora possiamo continuare acredere, possiamo dire di aver trovato inostri supereroi: cittadini non comuni grazieai quali Felicitalia può sperare di potertornare ad illuminare il mondo intero con laluce del suo sorriso.

Agnese Desideri & Francesco Caligaris(alias Cedrata & Chinotto)

Con la partecipazione straordinaria di:

Gabriella Olivieri nel ruolo dell'AcquaGiacomo Caligaris nel ruolo del CiboGiovanni Caligaris nel ruolo dell'EnergiaIacopo Fava nel ruolo della ComunicazioneFrancesco Marrella nel ruolo di MalComuneMezzoGaudio (poi scopertosi buono)Roberto Papetti nel ruolo di Roberto Papetti

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a cura di Elisabetta Sibilio

I l popolo del web aumenta giorno dopo giorno, ma noi nefacciamo parte? Esiste un web dinamico under 18 inconce-pibile per gli over 50 costretti a rincorrere? Si tratta di una

rete democratica e rivoluzionaria che rende liberi o di un labirintoprecostruito che intrappola e che mostra una visione omologata?Internet è solo un mezzo, un luogo in cui riversare contenuti omodifica i contenuti stessi? Questi sono i quesiti emersi dall’in-contro tra generazioni avvenuto nel workshop. Una discussionenata dalla consapevolezza che la rete occupa ambiti semprepiù vasti della nostra vita. Lavoro, educazione, politica, diverti-menti, arte, informazione. E allora, partendo ognuno dalla propria

dei partecipanti al workshop, perfettamente divisi in under 30e over 50. Alla domanda «perché avete o non avete Facebook?»è stato come sbattere contro le parole di Zygmunt Bauman: «lostrabiliante successo di Facebook non sarà dovuto al fatto diaver creato il mercato su cui, ogni giorno, necessità e libertà discelta s’incontrano?». I più giovani hanno sentito il bisogno diavere Facebook, per non esserne esclusi, senza neanche sapere,inizialmente, cosa ci avrebbero fatto. Per la generazione dei ge-nitori di questi ragazzi è diverso. Questo bisogno non è mainato, non c’è stato lo scatto. Gli amici? Li sento al telefono, viamail, li vedo di persona. Loro non hanno un social network equindi non serve neanche a me. L’incontro tra queste due visioni,in apparenza incompatibili, è stato ricchissimo. Impagabile ilmomento in cui il gruppo dei ventenni spiegava ad una plateadi cinquantenni come funzionano Facebook o Twitter. In queglisguardi si leggevano tante sensazioni contrastanti: interesse,dubbi, scoperta, diffidenza, curiosità. Meraviglioso.E per concludere diamo la parola ai partecipanti, i veri protagonistie conduttori del workshop, che ce lo raccontano con un tweet:z «Apertura al dialogo inter generazioni. Meglio fb che carta e

penna x organizzare la pizzata. Ma poi non basta il mi piace.Mi sento a metà». Erica

z «Continua evoluzione tecnologica». Lauraz «Social network rete comunicativa. Più che scontro, incontro

generazionale per capirsi e capire di più le proprie motivazioni.#openyourmind». Giulia

z «Giacomo fa magie: ora so che significa “bannare” un “troll”che “tagga” in modo scorretto e poi... ho letto Il web ci rendeliberi? di quel reazionario di Gianni Riotta!» Pasquale

FILORETETELA

GIACOMO CALIGARIS

esperienza quotidiana del web, abbiamo condiviso pensieri edubbi sui social network, scoperto nuovi termini nati in rete,analizzato comportamenti figli di una libertà a tratti inquietante,ci siamo impauriti di fronte a quello che può fare una stampante3D, stupiti con Banksy, ci siamo interrogati sulla libertà e sullaconfusione. Abbiamo percorso quella linea sottile che sta nelmezzo. Il web tra luci e ombre.Proprio perché nato da una realtà quotidiana più vicina, il dibattitosui social network (Facebook in primis) è stato il momento piùsentito di tutto il laboratorio. Anche grazie alla composizione

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Per parlare di cose e di «rispetto»per le cose, questo mini-laborato-rio ha portato i convegnisti nel

mondo della plastica e del suo riciclo condue approcci diversi e complementari.Abbiamo ripercorso insieme la storia del-la plastica e del suo rapporto con le no-stre vite. Mentre per noi meno giovani laplastica ha segnato un cambiamento del-le abitudini quotidiane, per i ragazzi èqualcosa di scontato e invasivo, che starovinando il nostro pianeta in un asproconflitto con la natura. Come spesso suc-cede la realtà delle cose sta nel mezzo:se per alcuni versi la plastica ha segnatoun irreversibile progresso, siamo chiamatia un atteggiamento responsabile. Insom-ma, non possiamo eliminare la plasticadalla nostra vita ma possiamo seguirebuone pratiche che ci aiutino a conviveresanamente con tutte le sue «manifesta-zioni».Nella seconda parte del workshop è statoquindi proposto un approccio pratico. Seun sacchetto di plastica rimane per cen-tinaia di anni in natura e produce dannimentre lentamente si degrada, noi lo ab-biamo trasformato in un filato lavorabileall’uncinetto: con una trentina di sacchet-

La Cultura è un Bene Co-mune? Il primo passo pertentare di rispondere a

questa domanda è provare a de-finire che cosa sia la Cultura. Ilworkshop è stato pensato comeun percorso di ricerca di ciò chepotesse aiutare a dare una defi-nizione di un concetto tanto com-plesso.Il gruppo di partecipanti è statoaccompagnato in un itinerario peril territorio di Trevi, nel corso delquale le informazioni venivanotrasmesse non in maniera acca-demica, ma attraverso una nar-razione. Per ciascuna tappa unracconto introduceva la storia delluogo in cui ci si trovava. I parte-cipanti erano poi lasciati liberi diricercare tutto ciò che per loropoteva rappresentare «Cultura».L’unico obbligo nel corso dell’in-tera mattinata era quello di scri-vere su un taccuino un massimodi nove parole che sintetizzasserotutto ciò che loro ritenevano con-nesso al concetto di Cultura.La prima tappa è stata alle Fontidel fiume Clitunno. Lì si è intro-dotta la storia del territorio, delle

ti-killer si può ottenere una borsa solida,carina, riutilizzabile praticamente all’infi-nito. Poi le bottiglie in PET, anch’essepiuttosto devastanti per l’ambiente, sonostate riciclate letteralmente «in verde». Leabbiamo riutilizzate come impianti per lacoltura idroponica (autoinnaffiante, in-somma). Ognuno di noi ha confezionatoil suo orto in bottiglia e vi ha piantato deisemi di crescione che il giorno dopo mo-stravano già le prime foglioline. Infine ipartecipanti hanno prodotto, utilizzandoesclusivamente rifiuti di plastica, lo skylinedi una città immaginaria. L’ombra proiet-tata su una parete del laboratorio era bel-lissima e abbiamo fatto un po’ di fatica acedere alla sua natura effimera e a smon-tarla per avviare, naturalmente, tutti i suoielementi al doveroso riciclo. nnn

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DA COSANASCECOSA

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sue antiche origini umbre e ro-mane, della rigogliosità delle ac-que, della presenza dei buoi dirazza chianina e della secolarecoltivazione dell’olivo.Proprio l’olivo è diventato con-nessione per la seconda tappadell’itinerario, presso I Mandorli,antica azienda agricola della fa-miglia Zappelli. Maria, la mag-giore delle sorelle che gestisconol’azienda, ha raccontato la lorostoria, dall’arrivo degli avi dallaToscana, sino al momento in cuilei ha preso in mano le redinidell’attività. Sempre concentratisul ciclo di produzione dell’olio,nella preservata sala settecente-sca, sono emersi temi attuali co-me quelli dell’agricoltura biolo-gica, del lavoro femminile e del-l’educazione.L’ultima tappa della ricerca è stataalla chiesa della Madonna delleLacrime per ammirare una delleopere del Perugino. Il raccontoche ha introdotto la cappella dellaNatività ha voluto dare delle sug-gestioni legate ad aneddoti dellavita del pittore, basandosi sul-l’idea che un’opera d’arte sia ilrisultato della storia di un uomo,espressione di una costruzioneidentitaria fatta dall’unione di di-versi saperi.Anche il pranzo si è infine trasfor-mato in un momento di Culturagrazie ad un menu a base di pro-dotti radicati nella vita della re-gione ed al racconto che ne hafatto Tommaso, responsabile del-la Tenuta San Lorenzo.I partecipanti sono stati quindidivisi in tre gruppi a cui è statadata una cartina topografica sucui erano evidenziati i luoghi del-l’itinerario. A ciascun gruppo èstato chiesto di inserire nellamappa tutte le parole chiave rac-

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colte nel corso della giornata edi collegarle tra loro ed ai luoghivisitati concentrandosi rispettiva-mente su tre temi: storie, personee arte. Sovrapponendo le tremappe concettuali è stata creatauna rete di collegamenti: la Cul-tura. Si è dunque arrivati a defi-nire la Cultura come un tessutoconnettivo. Un’infrastruttura chepermette la creazione di sapere.La Cultura non è dunque un be-ne. È un processo. Essa non èeliminabile, essendo intrinsecaed autogenerativa; non è fonda-mentale dal momento che si puòvivere benissimo senza esserenecessariamente consci dellasua esistenza; non è propria inquanto frutto di scambi e relazio-ni. Va inoltre considerato che laCultura per sua natura è «neutra»potendo essere tanto arricchentequanto devastante. Il vero benecomune è l’essere umano: crea-tore e creazione di infinite com-mistioni, saperi, storie, luoghi, og-getti e vite; risultato della Culturaed al tempo stesso suo genera-tore. nnn Durante questo breve laboratorio, i parteci-

panti hanno provato a mettersi in gioco ri-spetto alla scrittura, partendo da un og-

getto. Dopo un brevissimo brainstorming dedicatoai testi letterari che più ci hanno formato, o segnato,si è passati a tentare di definire che cosa fa di untesto letteratura per proporre quindi un «gioco» discrittura. Anzitutto, prima ancora di vedere e co-noscere l’«oggetto misterioso» di cui si sarebbedovuto scrivere, si è creato una sorta di decalogo,di regole alle quali attenersi durante la stesura delproprio testo. Le regole erano di tipo quantitativo(lunghezza minima e massima) e qualitativo (si èdeciso che i testi dovessero essere in prosa e nar-rativi). Dopodiché si è svelato l’oggetto misterioso,posizionato su di un piedistallo e avvolto in unacoperta: una macchina da scrivere portatile deglianni Sessanta.Tra le regole elencate, fondamentale è la scelta diun personaggio con un punto di vista completa-mente straniato, e soprattutto la fedeltà a questo

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Un workshop intitolato Di futuri ce n’è tanti risulta con-trocorrente mentre dappertutto si ripete che non ci sonoalternative (Tina) e che per i giovani non c’è più futuro.

Nella prima parte ho sintetizzato storie (una sola è stata lettaper intero, Sentinella di Fredric Brown). Senza introduzione ocommenti, ho buttato lì Philip Dick, Ursula Leguin, due Robert(Sheckley e Sawyer), Brian Aldiss: romanzi e racconti sulla de-finizione di umanità ma anche sul groviglio intorno a sesso,amore e X; sui nostri rapporti con scienza e tecnologia comesu politica, disobbedienza, utopia. Nella seconda parte ho spie-gato come utilizzo queste storie in contesti formativi e chereazioni ci sono. Poi una discussione piuttosto partecipata so-

personaggio che non ha la più pallida idea di checosa possa essere tale oggetto. Sono scaturiti branidi letteratura dei generi più svariati, dall’introspe-zione alla fantascienza, al poliziescoA conclusione, quasi a mostrare che anche scrittoridi alta levatura hanno svolto il loro stesso esercizio,si è letto e consegnato ai partecipanti il testo delracconto di Primo Levi Il versificatore.Molto positiva, secondo le conduttrici, è statal’estrema eterogeneità dei partecipanti al labora-torio, che ha permesso, pur nel rispetto da partedi tutti delle regole imposte, risultati di scritturamolto interessanti e diversificati tra loro. nnn

DI FUTURICE N’È TANTI

DANIELE BARBIERI

prattutto sull’attuale pessimi-smo e sull’idea che dalla scien-za oggi ci arrivino quasi solocattive notizie. Da missionarioabusivo (chiarisco: rispetto allascience fiction) credo che lamigliore fantascienza sia un gri-maldello per uscire da un pre-sente pigro e ingabbiato. Nonmi stanco di ripetere che ogniletteratura si muove all’incrociodi paure e desideri e che, siccome viviamo in un secolo alta-mente tecnologico, la fantascienza inevitabilmente affronta timori(spesso) ed entusiasmi (raramente) provocati da questa nostraimmersione in un mondo tecno-scientifico... del quale ignoriamole regole-base. I corti circuiti sono inevitabili. Combinazioneha voluto che pochi giorni prima del convegno CEM sia arrivatoin edicola il romanzo conclusivo di WWW, la trilogia di RobertSaywer. La storia inizia quando nella rete nasce Webmind, un’en-tità intelligente e incorporea. Invece di raccontarci la banalestoria della solita macchina o alieno (in realtà Webmind non èné l’una né l’altro) che minaccia gli umani, Saywer esplora ilversante positivo e ottimista di questa sconvolgente novità. Nonè un ingenuo, ha ben presente rischi e contraddizioni ma questatrilogia comunica che la parte migliore dell’umanità potrebbetrovare un alleato non previsto nella rete, in ciò che lì sta pren-dendo vita. Se il meticciato fra una rete altamente evoluta e ilgenere umano (vogliamo dire: la sua parte migliore?) ci portasu una strada di liberazione, allora ne ricaveremo non solo menoguai e più giustizia ma anche felicità, se si può usare questaparola così ambigua. Nel laboratorio ero l’unico ad aver letto illibro (WWW-3 appunto, pubblicato da Urania) ma ho invitato acercarlo per molti motivi. Anche perché avevo già colto fra lereazioni «a caldo» soprattutto timore: la felicità è impossibile, leutopie sono pericolose, il meno peggio è l’obiettivo massimo.Se ci condanniamo a non capire «le cose della scienza» il pes-simismo è giustificato, ma se invece usciamo da questa gabbiapossiamo incamminarci su strade oggi impensabili, forti di unaricchezza sociale e scientifica diffusa in tutto il mondo, ma cheoggi è ben stretta nelle mani di pochi. La buona fantascienzapuò darci un aiuto in questa direzione. nnn

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C’era una volta uno

stormo di gabbiani,attorniato da unsuggestivo paesag-gio marino, nonlontano dalle diste-se dell’attraente cir-

condario delle abitazioni, alberghi e case perferie situate lungo le spiagge movimentatedel mare Adriatico, da Cesenatico a Rimini,passando tra le riposanti valli intorno a Cese-na. Questi uccelli erano abituati a volare inalto, vederne di tutti i colori, non si facevanoinfluenzare dalle dicerie di altri gabbiani, cer-cavano di vedere appunto dall’alto, in mododistaccato, puntuale ed osservavano attenta-mente il pullulare delle attività umane. Il sole

VOLOFECONDO

RICORDANDO GFZEUGENIO SCARDACCIONE

[email protected]

e la luna, le nuvole, il vento li accompagna-vano, i ritmi e i cicli della natura insegnavanoloro saggezza, pazienza e tanta voglia di im-parare anche dagli errori. Passarono giornied altrettante notti del periodo invernale, senzaparticolari degni di nota, quei gabbiani, infatti,non avevano avuto modo di lamentarsi, e pro-prio come avviene a chi coscientemente fa ilproprio dovere, avevano accettato gli eventicon un saggio senso della vita. Avevano vis-suto esperienze anche dure, intense, talvoltalaceranti, ma non si erano scoraggiati a causadi intoppi ed ostacoli vari, avevano cercatodi individuare e gestire le situazioni conflittualiin modo opportuno. La loro vita e lo stile divolo si esprimevano all’insegna di una sobriaespressività, senza piroette spettacolari, laloro ferrea volontà di esplorare nuovi pae-saggi e fare nuove esperienze era una pecu-liarità, che faceva loro onore. Volevano conti-nuare a conoscere luoghi e fenomeni inediti,non avevano voglia di subire passivamentegli eventi. Ma... un bel giorno, alle soglie diuna primavera che si preannunciava piena disorprese, uno di loro Feconvol, volle osare escappò, congedandosi dai suoi compagni distormo. Aveva un insopprimibile bisogno ditrascorrere un suo tempo di riflessione, unasorta di fertile ripensamento. Era stato sem-pre con gli altri gabbiani, aveva spiccato volia ripetizione, sfiorato onde di tanti mari, erastato solidale con i più piccini, la sua genero-sità era diventata proverbiale, la sua cordialitàed autorevolezza, intrise anche di timidezza

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21 agosto 2013

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fisica di «mostri» che si erano incuneatinel rene, polmone e fegato e sarà obbli-gato a rientrare nella sua Cesena, accu-dito amorevolmente da una splendidagabbanella marchigiana. Per mesi lotteràcon dignità contro le insidie di un corpo

e riservatezza, gli avevano consentito difarsi accettare così com’era. Ma cosa era successo? Perché improv-visamente se n’era andato? Insoddisfa-zione, routine, voglia di cambiamento edi avventura, desiderio di rischiare, di ri-trovare se stesso, di misurarsi con le pro-prie forze...? Ancora oggi non si riesce acapire cosa Feconvol avesse voluto di-mostrare, andando via, lontano, a BeloHorizonte, in Brasile. Riuscirà il nostroFeconvol a rientrare nello stormo? Ebbe-ne, dalle attendibili notizie che si hannoa disposizione, viene confermato che Fe-convol continuerà a sfiorare le onde deimari e degli oceani, si farà accarezzaredalle nuvole, sarà sempre riscaldato dairaggi del sole, senza però farsi scottare,il vento lo smuoverà e lo aiuterà, anchela calda ed affidabile luna lo accompa-gnerà teneramente. Elegante, discreto,pacato, più maturo e riflessivo ritorneràa sorridere, a non darsi per vinto, crederànella possibilità di un suo cambiamento,di quello degli altri gabbiani, del contestodove vive. In un giorno di ottobre del 2011fu assalito da una terribile aggressione

che accuserà colpi a ripetizione e che siindebolirà notevolmente. Continuerà lostesso, imperterrito, ad incontrare altriuccelli umani, a consolidare relazioni bel-le e profonde, ad abbellire ed imprezio-sire i luoghi/cieli/mari/monti con i suoioriginali disegni, ammirerà gli orti e igiardini di pace, si ricorderà delle seratecon i suoi burattini, scriverà con penninoe calamaio, proseguirà la ricerca e la dif-fusione della pedagogia della lumaca,per costruire una scuola, una famiglia,una società lenta e nonviolenta. Cercheràdi offrire suggerimenti validi, utili, con-templerà le bellezze interiori ed esterioridi stampo artistico, architettonico, natu-rale. Non tenterà di farsi imbrigliare nellarete delle invidie, delle maldicenze, delladisperazione o rassegnazione, farà in mo-do da consolidare feconde relazioni. Im-parerà a convivere con la sua terribilemalattia e le fragilità della vita, s’impe-gnerà a fondo, pur se debilitato, a trovaresoluzioni praticabili e compatibili ai pro-blemi che si troverà ad affrontare. Tra-sgredire, obbedire, osare, saper sceglie-re, volare, atterrare, essere intraprendentiattivi e rallentare non sono in contrappo-sizione con i sogni, le speranze, le ansie,le delusioni e le fatiche di ogni giorno. Equalche giorno prima di salutare tutti de-finitivamente una domenica di un caldoagosto del 2012, confiderà ad un carocompagno di volo: «Ho vissuto felicemen-te perché ho potuto fare ciò che ho desi-derato, compresi i tanti incontri, che mihanno arricchito, migliorato e fatto starebene. E se un giorno dovrò andare viaper lasciare affetti, scomparire e spiccarel’ultimo viaggio/volo, ebbene non serboalcun rimpianto». nnn

Forse in ognigabbiano vive una parte di Feconvol/GFZ,e in ogniFeconvol/GFZvive ungabbiano!

Stefania Fenizi, moglie di Gianfranco Zavalloni (nella foto in alto).

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Lei aveva occhi belli, per via dell’attesapazientePeter Handke

Il film documentario Case spar-se, visioni di case che crollanodi Gianni Celati, proiettato nellaserata cosiddetta della spiritua-lità, al Convegno CEM 2013, èuna lunga meditazione sul fe-nomeno delle case abitate da

contadini, ora abbandonate e in un lentoe costante disfacimento. Sparse tra stradepovere e silenziose, stagliate su terrenipiatti, orizzonti aperti e quasi desertici,nella nostra pianura Padana, queste casesi possono vedere passando in macchinao in treno tra Luzzara, Modena, Boretto,Comacchio, Ferrara.Come in un album di figurine che santa-mente vogliono essere viste e meditate,le case, in vedute frontali, sono ripresecon lente e carezzevole attenzione. Sem-bra abitino un tempo sospeso e in un pae-

saggio di fiaba. Quando si fa menzionea visioni di case che crollano, solo appa-rentemente si devono intendere case con-sumate o consunte, brutte, inadeguate,morenti. Ogni cosa che ha vissuto per iltempo che gli compete non è consumata,le rughe sui volti, la decrepitezza, è tempoche passa, scarto da un’origine che as-solve ancora una funzione di significato.La produzione e il circolo delle cose chesi producono nell’epoca della merce edei valori di scambio diventano niente,non è così per queste case che crollano,estranee ad ogni idea di rifiuto in quantopresenti e piantate lì per interrogare lanostra sensibilità: «In un’epoca in cui sitende a restaurare tutto per cancellarnele tracce del tempo, quelle case porta-vano i segni d’una profondità del tempoe così ponevano la domanda: cosa dob-biamo fare delle nostre rovine, cosa faredi tutto ciò che è arcaico e sorpassato enon può essere smerciato come un arti-colo di consumo?» (Celati). Nel film, unadonna dice «che noi non siamo più abi-tuati a vivere tra crolli e distruzioni, dun-que questo ci sembra la fine del mondo»,facendo un paragone con la situazionein Africa e in Medio Oriente. C’è una lineadivisoria netta tra popoli che sono abituatia crolli, nella penuria, dunque a prendere

il mondo così com’è, e popoli ricchi chetendono al un restauro totale del visibile,per farlo sempre uguale ad un’immaginepubblicitaria, questo mondo diventandosempre più dominato dal fanatismo delfar tutto nuovo di zecca e cancellare letracce del tempo.

ASPETTATIVA E ATTESA

Il documentario, non avendo trame pre-disposte, riassumibili in una storia, mettein un certo senso disagio. Riprese di casein stato di abbandono si alternano a veduteoccasionali di attori che provano una recita,cani che attraversano la strada, uomini fer-mi con la bicicletta a contemplare spaziaperti, un bar e una piazza silenziosa, dia-loghi tra abitanti di un luogo, riflessioni diun filosofo... tutto il mondo là fuori non piùdiviso in cose interessanti e cose banali.La «qualunquità» dei posti come il saledella terra, non più reperti oggettivi ma ri-cerca di oggetti d’affezione.Il modo di filmare e d’intendere l’imma-gine di Gianni Celati deve molto al foto-grafo Luigi Ghirri e al regista Michelan-gelo Antonioni. In un testo breve del 1987,La veduta frontale. Antonioni. L’avventurae l’attesa, Celati interpreta il mondo delregista ferrarese attraverso la fotografiadell’amico fotografo. Il testo è costruitosull’opposizione tra due termini: aspet-tativa e attesa, due cose molto diverse.Le aspettative sono soddisfatte dai mec-canismi narrativi del cinema spettacolare,servono per «ingannare il tempo». L’attesaè invece la sensazione di un presenteineludibile, di un tempo che non può es-sere ingannato. Le vedute oblique, gliscorci, le trame, gli effetti speciali, sonoil cinema delle aspettative, le vedute fron-tali, sono sosta nel paesaggio dell’attesae della pazienza del cinema di Antonioni,e delle immagini di Ghirri. L’attesa è il luogo di una possibile e im-provvisa grazia, la pazienza è il differi-mento infinito di una redenzione possi-bile, come credo voglia dire Franz Kafka:«In teoria vi è una perfetta possibilità di

MOMENTO DELLO SPIRITOROBERTO PAPETTI

CASESPARSEE POETI

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felicità: credere nell’indistruttibile in noi e non aspirare a rag-giungerlo».Le riprese lente e pazienti, spostano forse all’infinito quel qualcosache deve venire, non perché non si crede nella sua venuta maperché porre l’accento sulla sicurezza e l’immediatezza di taleavvento significherebbe svuotare d’ogni senso la speranza e tra-durla in programma, in presuntuosa certezza.In un’intervista rilasciata a Matteo Bellizzi, Celati spiega benecome dal libro Verso la foce sia per lui iniziata l’esplorazione nelpaesaggio, intesa come attesa, richiamo e apertura del mondoesterno. «Mi affidavo a qualcosa che era tutto fuori, era un lavoroper credere al mondo e credere anche alla mia mancanza quindianche in questi deserti che sono le nostre campagne».«Stando con gli africani e studiando molto il Corano ho imparatoche in una veduta coranica non esistono le leggi di natura, è comese Dio intervenisse momento per momento, in qualunque cosa checi circonda. È ciò che in filosofia si chiama occasionalismo: Male-branche per esempio ha cercato di sviluppare questa dottrina percui non esiste più il punto di interesse storico, è come se, comedice il Corano, ci fosse una continua meraviglia dell’accadere».Il sottotitolo del documentario Visioni di case che crollano fa pen-sare a qualcosa di favoloso e sorprendente. Di fatto la contempla-zione dello stato di dissoluzione delle cose è qualcosa di profon-damente visionario: «Intanto la parola visione ha una tradizionemolto lunga. L’apparizione ha a che fare con la mistica (vengonoin mente le sante). L’uomo adulto che diventa l’imbecille razionalenon capisce queste sante che diventano dei matti. La tradizionedella visione va ad esperienze sciamaniche in Africa o in Asia…

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CASE SPARSEE POETI

ALCUNE DELLE POESIE CITATE

DMANDA U n’è ch’a vòiafè di paraghéunma quant che mè a sò casch in biciclèttaa m sò fat mèl tal còstital méni e sòtta i pi.La dmanda ch’a v faz la è quèsta:chi sòia mè?Al mi feròidi al s’assarmèiama quèlli de Signòur?Insòmma comè ch’a pòs sfrutéste dòun ‘d natéura?Pòsi fé di mirècal?A pòsi vénd dal madunòini in zòir?

LA DOMANDANon è che vogliafare dei paragonima quando sono caduto in biciclettami sono fatto male tra le costolenelle mani e sotto i piedi. La domanda che vi faccio è questa:chi sono io?Assomigliano le mie feritea quelle del Signore?Insomma come posso sfruttarequesto dono di natura?Posso fare i miracoli?Posso vendere in giro le madonnine?

TE ÈULTUM CASÈTTMo u i è ti éultum caséttun òm t’un fònd ad lèt,che bai te schéur, si ócc céus,ch’u n s’vó svigé dafàt.

IN FONDO AL PAESEMa nelle ultime casec’è un uomo in fondo a un letto,al buio, che beve ad occhi chiusi,perché non vuol svegliarsi.

LA TOSALa mi chèsa la i è acsè d’in éltch’u s sint a tòs e Signour.

LA TOSSELa mia casa è così in altoche si sente la tosse di Dio.

Tonino Guerra, I bu, Maggioli Editore, Rimini 1993 (prima edizione, Rizzoli, Milano 1972)

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CASE SPARSEE POETI

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CUTA zughé a cut bsògna avài òc, ès féurb.Mè a cnoss di póst, di béus ch’a i so sno mè.Stavólta a m so masè tramèza agli aside magazèin de lègn ad Bigudòun.A i sint ch’i zcòrr, ch’i cèma,a sbarlòc dal fiséuri, a i vèggh ch’i zéira,ch’i s’inségna se daid dò ch’i à d’andé.Mè aspétt aquè, a n mu n móv, a téngh è fiè.Adès u m pèr ch’i s séa un pó sluntanè,mè a stagh sémpra masèd, l’è bèla un’òura,a m’infèil t’un budèl piò strètt, acsè,fra do cadasi, a i ví fè dvantè mat.Mo dò ch’i è? A n’i sint piò,i n capéss mégga gnént, i va purséa.E sarà piò ‘d do òuri ch’a so què,l’è da òz dopmezdè, u s fa nòta, e lòu,puràz, i zirca sémpra, mo i n mu n tróva,e a i ví vdai a truvèm dréinta sté béus.È po’ ès ènca ch’i apa pérs la vòia,che è zugh u s séa smanè, ch’i séa ‘ndè chèsa.Pèzz par lòu, mè a stagh bón tra tótt’ stagli asi,aquè sòtta u n mu n tróva piò niseun.

NASCONDINOPer giocare a nascondino bisogna avere occhio, essere furbi. Io conosco dei posti, dei buchi, che so solo io. Stavolta mi son nascosto fra le assidel magazzino di legno di Bigudòun.Li sento che parlano, che chiamano,sbircio dalle fessure, li vedo che girano,che si indicano col dito dove devono andare. Io aspetto qui, non mi muovo, trattengo il fiato. Adesso mi pare che si siano un po’ allontanati, io sto sempre nascosto, è ormai un’ora,m’infilo in un budello più stretto, così, fra due cataste, li voglio far diventare matti. Ma dove sono? Non li sento più,non capiscono mica niente, vanno purchessia. Saranno più di due ore che sono qui, è da oggi pomeriggio, si fa notte, e loropoveracci, cercano sempre, ma non mi trovano, e li voglio vedere a trovarmi in questo buco. Può anche darsi che abbiano perso la voglia, che il gioco si sia smagliato, che siano andati a casa. Peggio per loro, io sto buono fra tutte queste assi,qui sotto non mi trova più nessuno.

MA ACSEMo acsè, dal vòlti, quand a tourn a chèsa,la sàaira, prèima d’infilè la cèvaa sòun, drin, drin,un’arspònd ami niseun.

MA COSÌMa così, delle volte, quando torno a casa, la sera, prima di infilare la chiavesuono, drin, drinnon risponde nessuno.

Raffaello Baldini, La Nàiva Furistír Ciacri, Einaudi, Torino 2000

Per noi il vedere è diventato un processo meccanicocome se esistesse un puro vedere retinico. In tutto quelloche ci succede possiamo dire che c’è un modo per po-terlo mettere in discorsi, è un processo di concettualiz-zazione del mondo, ma c’è un altro modo che fa partedella nostra vita che fa parte del sensitivo, della sensitività.Nel Timeo gli dei hanno messo la sensibilità negli uomini,in greco aisthesis, che è la parola da cui deriva esteticache per noi è la scienza del bello, ma originariamente èlo studio di com’è lo stadio percettivo, il sensibile. Il sen-sitivo sarebbe questo nostro tipo di coniugazione conquello che è fuori di noi, un connubio con quello fuori dinoi. Quel muro è giallo ma il fatto che sia giallo è solo unmodo per metterci d’accordo, il muro non è giallo in sé,tutto il sensitivo è una nostra forma di accoppiamentocon quello che è fuori di noi. Non parliamo di concettima di percetti, qualcosa che è un momento che poi scap-pa via, non posso concepire la visione in termini dell’og-gettività… Gli antichi dicevano la vaghezza, il bello eradato dalla vaghezza che sfugge. La visione richiede chel’uomo sia un po’ disarmato, se io so già tutto di un datoposto non vedo più niente, il percetto sarebbe questanostra copulazione con quello che sta di fuori».Quelle case sono nell’abbandono, sono abitate da vento-sità, sono portatrici di visioni, precognizioni, dicono delqui e ora, del tempo e dello spazio, dell’attesa del presentee del futuro, oltre che essere impregnate di fantasmi e distorie. Per questa ragione, dopo la proiezione del film èseguita la lettura di due poeti, Raffaello Baldini e ToninoGuerra, di Sant’Arcangelo di Romagna, che con un lin-guaggio diverso ma in perfetta sintonia di atmosferehanno interrogato gli stessi temi, a partire dallo stessopaesaggio e ambiente umano. nnn

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La scelta del team è stataquella di offrire prodottirispondenti all’idea dellebuone pratiche e delletradizioni alimentari, piùo meno locali, a chilome-tri zero, e di proporre gu-

stose pratiche di riciclo alimentare. Lo spazio bar, come ogni anno attivo pertutta la giornata, non solo ha allietato lepause di lavoro dei diversi laboratori conbevande, centrifughe e frullati di fruttafresca e stuzzichini di ogni tipo, ma haanche curato l’aperitivo prima della ce-na, abbinato ogni sera alla presentazionedi un libro. Così, mentre i nostri amiciautori ed i loro presentatori intrattene-vano il pubblico con interessanti disqui-sizioni rispetto ad ambiente, immigra-zione, canzonette e religione, si sonoserviti prodotti di eccellente qualità pro-venienti sia da un vicino agriturismo chepratica agricoltura biologica e biodina-mica con particolare cura, sia da fornitoriterritoriali che si sono incontrati graziealla ricerca ed alla creazione di legamie relazioni con l’ambiente circostante lasede del Convegno. C’è stata quindi laserata con la porchetta, pinzimoni vari edabbondanti, affettato di chianina, torta altesto, tartine di tartufo e paté d’olive, oltrealla mitica panzanella dell’ultima serata,ottenuta con il recupero del pane raffer-mo, avanzato nelle giornate precedenti.Ogni giorno dalla postazione computernello spazio bar sono state gestite le in-formazioni e la cronaca del Convegnosui social network, prevalentemente Twit-ter e Facebook, anche per mantenere i

contatti con chi non è potuto essere pre-sente al Convegno quest’anno e raccon-tare in diretta gli avvenimenti e gli incontrisalienti. Grazie a questa postazione si so-no potute proporre per ogni momentodel Convegno playlist tematiche nonchémusiche o canzoni a richiesta.Nei momenti liberi è stato animato ungrazioso e divertente angolo, il knit-café,con una serie di knitting ladies, che sisono prodigate nella produzione di borse(confezionate utilizzando fili di plasticariciclata dai sacchetti non più utilizzati)ed una copertina con avanzi di gomitolio filati riciclati. Uno spazio-bar, si po-trebbe dire, sorto dal desiderio di ciòche i diversi «baristi» vorrebbero trovarein un bar: buon cibo, sollievo, incontri,quel tanto di informazione, possibilitàdi un angolo culturale e cooperazionenella produzione di «cose».«Se son cose... fioriranno» ha offerto tuttociò nella semplicità di gradevoli scambie preziosi incontri che tra un aperitivo,una sferruzzata, una canzone kitsch,un’elucubrazione filosofica e la preoccu-pazione per la questione ambientale han-no avuto luogo ed hanno seminato buonerelazioni. Relazioni nate attraverso le «co-se» e la riflessione rispetto ad esse, e checi saranno sicuramente d’aiuto nell’ela-borazione di nuovi stili per la salvaguardiae la tutela dei beni comuni. nnn

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CLELIA MINELLI

SE SON COSE...FIORIRANNO!

Il bar diquest’anno haofferto unaserie di «cose»che non solosono fiorite, masono anchematurate,cresciute, che sono statecolte e gustate.Ogni giorno i «baristi» sisono alternatinel preparare,cucinare,incontrare,affettare,mescere,condurreworkshop,presentare,cucire,sferruzzare... e chi più ne ha, più nemetta

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Provo a raccontare gli «aperi-libri» da tre punti di vista diversi: chi (comeme) stava dì là dal tavolo; empatizzando con voi – assidue/i di CEM – susedie e panche; immaginando di essere fra i novizi e le novizie che piom-bavano (con ent-usiamo, esa-ustione o esa-ustività?) per la prima volta alCEM. Io, me medesimo, mi sono divertito e appassionato. Da sempre amo(castamente) Roberto Papetti ma ho imparato un sacco da Domenico Lu-ciani. Confesso che ero prevenuto, sapendo che lavorava anche con la Be-

netton ma lui è stato splendido e chiaro anche nella critica alla politica benettoniana. Il giornodopo io e Lucrezia abbiamo cercato di inquadrare Dio, tu e le rose con uno dei due autori(Brunetto Salvarani) che avevamo la fortuna di aver lì, dopo averlo strappato alla presentazionedel suo libro precedente e del suo libro successivo e prima che ne scrivesse altri sette; cometutte/i avranno notato Salvarani non si ricordava più di cosa parlasse Dio, tu e le rose ma haavuto gioco facile nel battersi con Lucrezia che musicalmente oscillava fra Claudio Villa e Labella Gigogin. Gran finale con Mohamed Ba e con Antonella Fucecchi: considero Il tempodalla mia parte uno dei romanzi più importanti, eppur più semplici, per chi voglia accostarsi– da «ignorante» – a migrazioni, diversità, identità e dintorni.

DANIELE BARBIERI

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Dopo i Giganti, Cisco Bellotti eFreak Antoni, ospiti delle ultimeedizioni, ad animare la seratadi giovedì 22 agosto a Trevi èstata la Kachupa Folk Band; no-me derivante dal piatto tipicodell’isola di Capo Verde che

mischia più ingredienti per ottenere un sapore ini-mitabile e originale. Grande è stato il successo dellagenerosa performance dei Kachupa tra i partecipantial Convegno, che ne hanno apprezzato le canzoni, itesti e i ritmi in un crescendo musicale in perfettasintonia con i temi di CEM. Sei gli artisti che com-pongono la band, nata come gruppo di strada, vin-citrice di numerosi premi, tra cui il Sanremo Villagenel 2011, il premio dell’«Inedited World Music Festi-

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KACHUPAfolk band

val» e dell’«Umbria Mei Folk Contest» nel2012. La band ha inoltre pubblicato trecd: Gabrovo express, El chupitero e ilcofanetto (cd più il libro Se la tartarugas’abbronza) Terzo binario in collabora-zione con Slow Food.Punto di partenza della Kachupa FolkBand è l’arte di strada, fatta di conoscenzadelle diverse culture, di confronto e d’in-tegrazione promuovendo le diversità mu-sicali, ricercando le musiche popolari so-prattutto del bacino del Mediterraneo.Nata come band di strada, con un carrettosul quale il batterista suonava cassa epentole e il resto della band intorno! I Ka-chupa continuano a fare spettacoli in stra-da, fiabeschi e talvolta surreali. Amanotoccare nuovi luoghi, culture, gente... permescolarsi insieme e far nascere l’Ener-gia Kachupa, un miscuglio unico e diver-tente di musica e magia da mani che siconsumano sui tamburi, sulle corde, suglistrumenti... nnn

www.kachupa.com

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BENI COMUNI

CHIUSURA CONVEGNOANTONELLA FUCECCHI

[email protected]

Arrivati a questo punto del nostro cammino, è necessario fissare alcuni punti fermi perarricchire la riflessione e raccogliere le fila del Convegno. Anzitutto sottolineare ilnesso che collega i beni comuni alle tematiche affrontate negli ultimi anni, a partiredalla resilienza (2009), indispensabile per vivere nella società del rischio che ci esponead una fragilità costante, per passare nel 2010 al rilancio della cittadinanza e dei suoivalori in chiave globale e locale, cioè glocale. Abbiamo, poi, considerato la necessitàdi ridefinire un rapporto tra generazioni ormai profondamente distanti dedicando il

2011 alla riflessione sul patto generazionale, per approdare nel 2012 alla prospettiva artistica che haespresso il bisogno di una visione profetica capace di futuro e di progettualità. Il tema di quest’anno chiama in causa i precedenti, in quanto coinvolge più dimensioni: antropologicasociale, educativa e politica. Trattare la questione dei beni comuni in poco tempo è arduo perché è giàcomplesso trovare, in primo luogo, una definizione unitaria di cosa sia un bene comune. Perciò BrunoAmoroso nel suo intervento contenuto nel testo La società dei beni comuni1 intitola il primo paragrafo«Verso una definizione condivisa di bene comune», dal momento che esiste una pluralità di modi di intenderei beni comuni e di ordinarli gerarchicamente. L’autore sceglie la formulazione più ampia, proposta da Uni-mondo: «I beni comuni possono essere definiti come l’insieme dei principi, delle istituzioni, delle risorse,dei mezzi e delle pratiche che permettono ad un gruppo di individui di costituire una comunità umanacapace di assicurare il diritto ad una vita degna a tutti». In ogni caso, comunque i beni vengano classificati,presentano caratteristiche chiare: sono essenziali, esauribili, insostituibili, non monetizzabili, indispensabili,devono essere fruiti insieme e saranno necessari anche alle generazioni future. Questi attributi rimandanoad ambiti tematici che coinvolgono alcuni termini chiave: responsabilità, comunità, fraternità.

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LA RESPONSABILITÀ

La responsabilità è il principio che il pensiero oc-cidentale del Novecento ha messo a tema dopoAuschwitz grazie alle riflessioni di Hannah Ha-rendt e Hans Jonas; il cuore dell’elaborazionefilosofica ruota sul tema delle generazioni futureche ancora non ci sono, ma sono già titolari didiritti negati da una fruizione dissennata, vorace

e consumistica di tali beni. La responsabilità nel campo dei benicomuni può essere declinata efficacemente come la intendeElena Pulcini nel volume La cura del mondo2: la responsabilitàè un’evoluzione della paura immunizzante. Dalla paura di qual-cosa o qualcuno alla paura per, alla premura, alla sollecitudineper qualcuno o qualcosa del quale mi faccio carico, rispondendoin proprio. In questo senso siamo vicini al concetto di custodia,di protezione, di difesa e di tenerezza, tanto evocati da papaBergoglio. Ma la sintesi migliore e più straordinaria di questoatteggiamento di cura per il futuro è già contenuto in un’affer-mazione anonima, attribuita al pensiero nativo americano: il mon-do non lo abbiamo ricevuto in eredità dai nostri avi, ma avuto inprestito dai nostri nipoti. Forse è impossibile trovare una visionepiù alta e più consapevole di questa e una sintesi più efficacedel concetto che il pensiero europeo ha faticosamente raggiuntosolo dopo l’annientamento dello sterminio.

LA FRATERNITÀ

Un altro punto fermo evocato dal prof. Bruninella sua relazione di apertura (cfr. pp. 5-14) è il paradigma ampiamente incompiutoe trascurato della fraternità, il terzo valoredel motto della Rivoluzione Francese; perla gestione condivisa e solidale dei benicomuni, in relazione alla loro fragilità, alla

loro estrema vulnerabilità e deperibilità occorre richiamarsi an-che alla fraternità, non intesa, però in senso familistico e clanico:il mito infatti e la Bibbia ci mettono in guardia dal costruire pa-rametri di fraternità solo sul legame di sangue attraverso la tra-gicità delle figure di Caino e Abele, per non parlare di Giacobbe

ed Esaù, Giuseppe, fino a Romolo e Remo; i fratelli maggiori eminori solo terribilmente rivali e gelosi dell’amore del padre eun’idea di fratellanza intesa in questo modo è legata alla prioritàgerarchica, spesso rovesciata dall’astuzia. Occorre una fraternitàpostmoderna, fondata su libertà ed uguaglianza, sul riconosci-mento paritario e dunque su un patto di cittadinanza e non disangue.

LA COMUNITÀ

Il terzo tema chiave nella trattazione dei beni comuniè contenuto all’interno della stessa definizione: il con-cetto di comune e di comunità, termine ambivalente,complesso, da maneggiare con cura. L’idea di comu-nità che occorre promuovere è quella delineata dallariflessione filosofica di Roberto Esposito: la commu-nitas che condivide il munus inteso come dono che

obbliga a contraccambiare, un patto di interdipendenza cheaiuta a superare l’individualismo in nome di un vantaggio col-lettivo articolato in diritti e doveri. Così intesa la communitasnon è imperniata sul sangue e sul suolo, ma è partecipativa, in-clusiva, aperta ad una concezione di cittadinanza non impostatasull’ethnos, ma sul demos. Il rischio, altrimenti, è quello di esal-tare il localismo, di creare la piccole patrie delle memorie feti-cisticamente venerate. Una comunità non endogamica e nonimmunitaria, ma glocale. Nella riflessione non solo teorica sullagestione dei beni comuni riemerge significativamente anche iltema della virtù o delle virtù3. Tale tema sottolinea significativa-mente l’impegno etico che occorre per vivere la comunità inmodo solidale, per esercitare una responsabilità consapevole,per attuare il paradigma incompiuto della fraternità imparandoa gestire e a trascendere i conflitti inevitabili e necessari perl’evoluzione. Tra le virtù indicate, attirano la nostra attenzione diformatori CEM, la sobrietà, l’empatia, la dignità, la trasparenza,l’immaginazione capace di futuro e di fantasia. Ma per praticaree vivere tali dimensioni occorre un’interiorizzazione ed una for-mazione che richiamano prepotentemente in causa l’educazione:come genitori, insegnanti, professionisti a vario titolo nel campodella formazione, siamo impegnati in prima linea per educarecittadini capaci di essere nella communitas in modo responsabilee fraterno. Si riafferma il primato educativo che impone ditornare ad essere adulti autorevoli, assertivi, guide e maestridel bene vivere secondo i fondamentali etici della giustizia edella buona vita. È un compito al quale non possiamo sottrarci.

1 Aa.Vv., La società dei beni comuni, a cura di P. Cacciari, Ediesse, Roma 2010.2 E. Pulcini, La cura del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 2009.3 G. Viale, Virtù che cambiano il mondo. Partecipazione e conflitto per i beni comuni,Feltrinelli, Milano 2013.

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I 1962 Pallanza (Vb) La proposta universalistica del CEM per la scuolaII 1963 Rocca di Papa (Rm) Cultura, spiritualità e pedagogia missionariaIII 1964 Assisi (Pg) Ricomponiamo su nuove basi il programma educativoIV 1965 Paestum (Sa) Insegnamento della storia in una scuola aperta sul mondoV 1966 Castelnuovo Fogliani (Alseno, Pc) Religione e culturaVI 1967 Paestum (Sa) Incontro fra Oriente e Occidente

Taormina (Me) Educazione al senso internazionale: aspetto culturale e pedagogicoVII 1968 Testa del Gargano (Fg) Educare alla mondialità con i primi capitoli della storiaVIII 1969 Paderno del Grappa (Tv) L’ambiente geografico, l’uomo e la cultura IX 1970 Portoconte (Alghero, Ss) La religione e le religioniX 1971 S. Marino Incontro tra i popoliXI 1972 Collevalenza (Todi, Pg) L’anima dei popoli nell’arteXII 1973 Pallanza (Vb) Le religioni nel futuro del mondoXIII. 1974 Paestum (Sa) La scuola come comunità locale aperta alla comunità internazionale

Desenzano del Garda (Bs) La musica come superamento di confini politici e razzialiXIV 1975 Lignano Sabbiadoro (Ud) Mass media ed educazione in una prospettiva mondialeXV 1976 Marina di Aurisina (Duino-Aurisina, Ts) Ci interroghiamo sulla speranzaXVI 1977 Sassone (Ciampino, Rm) Un progetto didattico di liberazione dalla crisiXVII 1978 Palmi (Rc) Amore come incontroXVIII 1979 Montesilvano Lido (Pe) I1 fanciullo nella letteratura e nell’arteXIX 1980 Castellamare di Stabia (Na) Scuola come comunità di vitaXX 1981 Castelnuovo Fogliani (Alseno, Pc) Educazione ai valori come educazione alla paceXXI 1982. Montesicuro (An) Educazione allo sviluppo – la nuova frontiera per la scuola italianaXXII 1983 Verona Educazione allo sviluppo e modelli di comunicazioneXXIII 1984 Roma Mondialità e comunicazione: creatività a confrontoXXIV 1985 S. Cesarea Terme (Le) I giovani e la pace: modelli culturali ed educativiXXV 1986 Assisi (Pg) Liberare l’educazione sommersaXXVI 1987 Sassone (Ciampino, Rm) L’educazione sommersa si fa propostaXXVII 1988 Arezzo Convivialità, un futuro per l’educazioneXXVIII 1989 Macerata La terra, l’uomo, nuovi alfabeti per l’educazioneXXIX 1990 Assisi (Pg) Il volto dell’altro, educarci alla differenzaXXX 1991 Assisi (Pg) L’irruzione dell’altroXXXI 1992 Assisi (Pg) Non solo paroleXXXII 1993 Assisi (Pg) Ricordare il futuroXXXIII 1994 Assisi (Pg) Sulle strade del desiderioXXXIV 1995 Assisi (Pg) Una città per narrareXXXV 1996 Assisi (Pg) Il nomade e la bussola. Il viaggio, metafora della relazione educativaXXXVI 1997 Assisi (Pg) Oltre la siepe. Educare alla mondialità nell’era della globalizzazioneXXXVII 1998 Città di Castello (Pg) Abitare il limite. Per una cultura della sobrietàXXXVIII 1999 Città di Castello (Pg) Abitare il pluriverso. Per una cultura della reciprocitàXXXIX 2000 Pra’ Catinat (To) Nel nome della madre. La saggezza della terra come educazioneXL 2001 Viterbo Cultura e pedagogia del donoXLI 2002 Viterbo Educare diversa-menteXLII 2003 Viterbo Per un’educazione capace di futuro. Sulle rotte dell’arcobalenoXLIII 2004 Frascati (Rm) Alfabeti dell’immaginario. L’educazione e lo scontro dei simboliXLIV 2005 Frascati (Rm) Liberare gli immaginari della speranza. Dai segni del potere al potere dei segniXLV 2006 Viterbo Tra bene e male? Il conflitto negli immaginari dell’educazioneXLVI 2007 Viterbo Umano disumano post-umano: corpo a corpo nell’educazioneXLVII 2008 Viterbo La politica e la nuda vita. È ancora possibile educare oggi?XLVIII 2009 San Marino La felicità nella società del rischio. L’educazione al bivio: rassegnazione o resilienza?XLIX 2010 San Marino Adesso! Dalle paure al coraggio civile per una nuova cittadinanza glocaleL 2011 Trevi (Pg) Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionaleLI 2012 Trevi (Pg) Trovare l’alba dentro l’imbrunire. Arte passione interculturaLII 2013 Trevi (Pg) Quello che le cose ci dicono. Educare ai beni comuni.

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Non solo a scuolaR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

Atti del Convegno tenuto a Parma il 17 marzo 2012 in occasione del 70° anniversario della fondazione di CEM

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Sentinella

Oltre ogni crisiper un nuovo patto generazionale

quanto resta della notte?

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Educare ai beni comuniQuello che le cose ci dicono

R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

NUMERO PROGRAMMATICO 2013-2014

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AcquaR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Arte e nuovi media R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Arte e intercultura R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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intestato a CEM Mondialità

Ufficio AbbonamentiCentro Saveriano Animazione Missionariavia Piamarta 9 | 25121 Brescia | tel. 0303772780 | fax [email protected]

Chiediamo a tutti i lettori, i simpatizzanti e gli amici di sottoscrivere la

a partire da Euro 25,00

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Abbonamenti cumulativi 2014

Per maggiori informazioni rivolgersi all’ufficio abbonamenti: 030 [email protected]

MISSIONE OGGI + CEM € 52,00 invece di € 60,00 M ISSIONE OGGI ONLINE + CEM € 40,00 invece di € 50,00 AZIONE NONVIOLENTA + CEM € 51,00 invece di  € 62,00 CONFRONTI + CEM € 67,00 invece di € 80,00 GAIA + CEM € 40,00 invece di € 50,00 MISNA ONLINE + CEM € 60,00 invece di € 110,00

MOSAICO DI PACE + CEM € 52,00 invece di € 60,00 MOSAICO ONLINE + CEM € 45,00 invece di € 50,00 NIGRIZIA + CEM € 54,00 invece di € 62,00 QOL + CEM € 42,00 invece di € 55,00 SATYAGRAHA + CEM € 52,00 invece di € 60,00 AFRICA + CEM € 50,00 invece di € 60,00

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cem_dicembre_2013_OK_copertina 17/12/2013 16:00 Pagina 4