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IL DISTRETTO PER IL WELFARE E PER LA SUSSIDIARIETA’ SOCIALE 1 Insieme, per andare oltre…

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IL DISTRETTO PER IL WELFARE E PER LA SUSSIDIARIETA’ SOCIALE

1

Insieme, per andare oltre…

Il distretto per il welfare e la sussidiarietà sociale

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Volontariato

Terzo Settore

Associazioni

Associazioni dei

e per i malatiFamiglie

Reti di

solidarietà

e aiuto

Pubblica

Amministrazionenelle sue varie

articolazioni

• C I T TA D I N O

• PA Z I E N T E

• M A L ATO

• C L I E N T E

1) LA SALUTE E IL BENESSERE DELLE PERSONEIl punto di riferimento deve essere il piano sanitario nazionale, che prevede una partecipazione attiva, proprio della rappresentanza dell'utenza alla gestione, qualitativa e quantitativa della salute.

2) LA GESTIONE DEI BENI PUBBLICI SOCIALI DI PUBBLICA UTILITA’Oggi, molti di questi spazi, in modo improprio, sono gestiti direttamente dalle strutture pubbliche. I cittadini possono e devono riappropriarsi della loro gestione (biblioteche, spazi pubblici comuni, cultura del territorio, spazi aggregati).

3) LA GESTIONE DELL’HABITAT E DEL TERRITORIOIn questo contesto si può pensare alla loro gestione, con il volontariato, di parte delle attività di piccola manutenzione; alla conservazione di parchi giochi e verde pubblico, di piccole e medie dimensioni; alla gestione di parcheggi abbinati all’uso della bicicletta per favorire nuove forme di mobilità cittadina sostenibile, sia per i visitatori e i frequentatori delle nostre città, che per chi in città si sposta per motivi di lavoro.

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Dice AICCON

che i nuovi modelli di welfare (servizi) devono essere il risultato

di un processo collaborativo:

Cioè:

l’ideazione, l’implementazione, l’organizzazione e la valutazione

dei servizi di welfare e sussidiarietà sociale

devono essere fatte insieme da chi organizza e da chi ne usufruisce

Secondo un’indagine AICCON:

1) Nell’erogazione dei servizi di welfare deve esserci un’alleanza tra l’economia sociale e la Pubblica Amministrazione

2) Il 47% degli intervistati sostiene che è necessaria una collaborazione più stretta fra l’economia sociale e le imprese for profit

3) Il «pubblico» deve fungere solo da supervisore e programmatore

(indagine in occasione delle Giornate di Bertinoro, 10-11 ottobre 2014)

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CO-PRODUZIONE

Insieme chi:

1) Cooperative sociali

2) Associazioni dei malati e dei loro familiari

3) Mondo del volontariato e del non profit

4) Cittadini (con le nuove aggregazioni per i beni comuni)

5) Il pubblico nelle sue varie articolazioni

6) Le associazioni professionali (Unindustria, associazioni varie del mondo delle professioni e del lavoro)

Per dare le risposte ai nuovi bisogni di welfare e di sussidiarietà sociale

Realizziamo le basi per un nuovo modello di

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WELFARE

COMMUNITY

FACCIAMO INSIEME:

1) una rete informale operativa della cooperazione e del non profit trevigiano

2) una «Fondazione di comunità» socio-sanitaria per gestire il welfare integrativo di quello pubblico

6

La welfare community punta

essenzialmente sul protagonismo

attivo delle persone (cittadini), i

quali devono non solo partecipare

all’organizzazione della domanda,

ma anche adoperarsi per organizzare

l’offerta.

Un mix di prestazioni pubbliche,

insieme a un sistema integrativo

privato, in collaborazione con

strutture del Terzo Settore e del

non profit, con una massiccia dose

di volontariato.

Al centro di questo sistema deve

esserci il cittadino (la persona)

che deve delegare sempre meno agli

altri la risoluzione dei propri

problemi.

1) La BUROCRAZIA (tutta) – anche se in forme diverse per ruoli e responsabilità

2) Le REGOLE (assurde) – che impediscono molto e non proteggono nulla

3) La MIOPIA degli attori – l’attenzione al proprio orticello

4) Il CLIENTELISMO e il FAVORITISMO del particolare –diffusi negli affari pubblici

5) Quegli UTENTI che non vogliono farsi carico delle loro problematiche. Due sono le culture diffuse: quella del chiedere sempre qualcosa a qualcuno e quella dello scetticismo e della rassegnazione

6) Il GARANTISMO di chi c’è – che ha paura del nuovo e di chi arriva

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1) Le leggi, i regolamenti, le disposizioni.L’interpretazione di tutte queste.

2) Il fatalismo degli amministratori.La loro rassegnazione (e, spesso, sudditanza) alla burocrazia.

3) «Non si può fare!» - Ci si ferma, si prende atto e si lascia perdere.

4) «Spetta al Comune, spetta alle USL, spetta al Governo, spetta al …»La disaffezione verso il pubblico e quindi il valore della protesta.

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RASSEGNAZIONE

INDIVIDUALISMO

FATALISMO SOCIALE

Ricordo a tutti, come monito, quanto scrisse Bertolt Brecht:

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Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento

perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E

stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a

prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano

fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non

dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a

prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.

1) OCSE: spesa sanitaria è al 9,2% del PIL (contro la media del Paese del 9,3%). E’ troppo vincolata al finanziamento pubblico

2) Mancano 100 miliardi per dare tutte le risposte necessarie nel welfare sociale e sanitario

3) Ci sono tanti, troppi SPRECHI

4) Il sistema di welfare è organizzato in base alle esigenze di chi lavora, non dei riceventi

5) Burocrazia (la «mala»?) impedisce l’accesso alle cure

6) Regole complesse, ripetitive e spesso inutili che impediscono una reale fruizione dei servizi

7) Il sistema di welfare è ridimensionato in termini qualititativi e quantitativi

8) Troppi illeciti conclamati ed evidenti. Si parla di altri 6 miliardi (quelli evidenziati). Ma forse più diffusa è la corrutela e la prepotenza burocratica.

9) I pazienti sono sempre più spazientiti

10) I cittadini devono partecipare sempre di più alla gestione dei servizi di welfare e della sussidiarietà sociale

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1) Vince la paura di fare qualcosa di nuovo

2) Occuparsi delle persone e non del nostro particolare – Lasciar perdere i nostri egoismi

3) Fare sinergie, rete, stare insieme (anche in modo formale)

4) Trovare soluzioni condivise

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NON BASTA FARE DEL BENE, BISOGNA FARLO BENE

(Denis Diderot, filosofo illuminista)

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CASTEL MONTE è una cooperativa sociale (imprenditori sociali) che si occupa, da oltre vent'anni, di assistenza socio-sanitaria, di sanità e di educazione all'infanzia, tramite la gestione di asili nido. È fortemente ancorata nel territorio della Marca Trevigiana.

La sua sede è a Montebelluna.

È una cooperativa al femminile, essendo la gran parte dei suoi collaboratori costituita da donne.

I suoi valori sociali ed economici sono rappresentati dal lavoro, dalla professionalità e dalla passione.

La sua missione e la sua identità sociale si possono sintetizzare nello slogan: "impresa sociale - persone che si occupano di persone".

L’impegno della Castel Monte è anche fortemente orientato verso la legalità: impegno che ha consolidato con una collaborazione con “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, presieduta da don Luigi Ciotti. Nell'ambito di questa collaborazione, gestisce a Castelfranco Veneto, presso la fattoria sociale El Contadin, la “Bottega dei Sapori e dei Saperi”, dove, insieme ai prodotti agricoli della fattoria, si vendono anche quelli delle cooperative sociali di giovani organizzate da Libera, che coltivano i terreni confiscati alla mafia.

La Castel Monte ha in essere una collaborazione con l'associazione Cittadinanzattiva sui temi della sanità e del consumerismo attivo.

Presidente della cooperativa è il dottor Giuseppe Possagnolo.

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