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Il diavolo sul ponte leggende sui ponti medioevali dell’ Appennino Le arcate slanciate dei ponti medioe- vali, come quello presso Pievepela- go detto il ponte della Fola, già cita- to in un documento del 1028, colpi- rono la fantasia dei nostri antenati. Pareva loro impossibi- le che questi potesse- ro essere opera di uomini. Bisogna pensare che allora, negli anni più bui del medioevo, erano andate perse tutte le nozioni della già avan- zata tecnologia roma- na. Solo i frati nei con- venti, trascrivendo le opere del passato conservavano la memoria delle antiche tecniche, anche di quelle edilizie. Ecco perché a questi ponti sono legate sempre leggende che hanno per protagonisti un monaco e il demonio. Questo poiché si riteneva che questi ponti non potessero essere opera di uomini, allora si ricordava il frate perché la memoria storica li legava alla costruzione dei ponti che essi, probabilmente, dirigevano, poi sempre il demone poiché si rite- neva che un uomo non potesse costruire un manufatto così complesso. Il frate beffava il demonio, che aveva chiesto la prima anima di passaggio sul nuovo ponte, facendo transitare per primo un gatto, un cane, un gallo o una capra. Anche a Pievepelago si narra sia successo questo e su rocce sotto il ponte si vedono ancora, su di un macigno, le impronte dei demoni che vi si sedevano per riposarsi durante la costruzione. Il ponte della Fola in comune di Pievepelago, è un tipicoi esempio dei ponti medioevali del nostro Appennino ma non è l’unico legato a leggende. Ricordiamo il ponte Luna a Riolunato, ricostruito nel 1800 e quello di Olina, in comune di Pavullo. Esiste, sempre in comune di Pavullo un ponte naturale detto anch’esso ponte del Diavolo, la cui arcata è dovuta a fenomeni di ero- sione.

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Il diavolo sul ponteleggende sui ponti medioevali dell’ Appennino

Le arcate slanciate dei ponti medioe-vali, come quello presso Pievepela-go detto il ponte della Fola, già cita-to in un documento del 1028, colpi-rono la fantasia dei nostri antenati.Pareva loro impossibi-le che questi potesse-ro essere opera diuomini. Bisognapensare che allora,negli anni più buidel medioevo, eranoandate perse tutte lenozioni della già avan-zata tecnologia roma-na. Solo i frati nei con-

venti, trascrivendo le opere del passato conservavano lamemoria delle antiche tecniche, anche di quelle edilizie.Ecco perché a questi ponti sono legate sempre leggende chehanno per protagonisti un monaco e il demonio. Questopoiché si riteneva che questi ponti non potessero essereopera di uomini, allora si ricordava il frate perché la memoria storica lilegava alla costruzione dei ponti che essi, probabilmente, dirigevano, poisempre il demone poiché si rite-neva che un uomo non potessecostruire un manufatto cosìcomplesso. Il frate beffava ildemonio, che aveva chiesto laprima anima di passaggio sulnuovo ponte, facendo transitareper primo un gatto, un cane, ungallo o una capra.Anche a Pievepelago si narra siasuccesso questo e su rocce sottoil ponte si vedono ancora, su diun macigno, le impronte deidemoni che vi si sedevano perriposarsi durante la costruzione.

Il ponte della Fola in comune diPievepelago, è un tipicoi esempiodei ponti medioevali del nostroAppennino ma non è l’unico legatoa leggende. Ricordiamo il ponte Luna aRiolunato, ricostruito nel 1800 equello di Olina, in comune diPavullo.Esiste, sempre in comune diPavullo un ponte naturale dettoanch’esso ponte del Diavolo, la cuiarcata è dovuta a fenomeni di ero-sione.

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Anche nella nostra provincia il timore delle streghee degli stregoni era grande. Tra i segnali dellaloro presenza era la crescita nei campi di unapianta parassita, la cuscuta, che forma lunghifilamenti gialli, chiamati appunto i capellidelle streghe o la scoperta, in un bosco di uncerchio di funghi.Anche nel modenese la Sacra Inquisizionevegliava sulla stregoneria e, seppur non numero-si, furono diversi i roghi di streghe, stregoni ed ere-tici o le condanne a pene detentive.Tra le altre ricordiamo il caso del notaio Jacopo de’ Ravasi, condannato al rogodue anni dopo la morte il cui cadavere fu dissepolto e bruciato.Una altra celebrestrega, ancor oggi ricordata nelle leggende era Eurosia, di Pompeano diSerramazzoni.Per prevenire le fatture malefiche delle streghe vari erano i metodi, tra i più diffu-si modellare una focaccia a forma femminile e cuocerla nel forno per evitaremalefici sul cibo. Si tratta della “stria” che ancor oggi, seppure senza forme antro-pomorfiche viene mangiata.Ancor più diffuso il metodo di scolpiresulle case pietre con immagini umane.Si tratta di un atto apotropaico, rappre-sentare sulla casa l’ immagine della stre-ga o dello stregone significava allonta-narlo da noi.

Insieme alla ummagine della stregaveniva spesso raffigurato un ser-

pente od un drago, simboli deldemonio, o il lupo, nemico

delle greggi e degli ani-mali domestici.

Strege e stregoniLe figure apotropaiche nelle case e nelle chiese

Sculture sugli stipiti delle porte osulle pareti delle case ad immaginiumane sono comunissime da trova-re nelle case della montagna mode-nese. Streghe e stregoni sono spes-so rappresentati, a scopo propizia-torio, anche nelle sculture e neicapitelli delle chiese romaniche epreromaniche.Esiste anche un’erba parassita, lacuscuta, il cui nome popolare è“capelli di strega” si riteneva infat-ti che i fusti lunghi, giallastri esenza foglie, ritrovati nell’ erba,fossero i capelli caduti alle megeredurante i Sabba.

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Il re analfabetae un accordo tra nemici

Tra i documenti conservati nell’archivio dell’Abbazia di Nonantola il più noto èsicuramente l’atto con cui l’imperatore Carlomagno riconosce diversi diritti diproprietà ai monaci.E’ interessante capire come questo documento segnò l’inizio di una grossa frattu-ra tra gli abitanti di Nonantola ed i frati.I primi erano tutti di origine longobarda e consideravanol’ imperatore Carlo che aveva sconfitto Desiderio aPavia, un nemico del proprio popolo.Di conseguenza i monaci, facendo accordi con l’impera-tore dei Franchi, divenivano, agli occhi della gente, tra-ditori della propria razza.Ecco perché fino a tempi recenti i nonantolani considera-vano la loro vera chiesa non l’Abbazia ma la pieve, ochiesa parrocchiale, non a caso dedicata a San Michele,l’arcangelo guerriero che era il protettore del popolo lon-gobardo. Anche il successivo atto di donazione di terreagli abitanti, che ha dato origine alla partecipanza, è con-siderato da alcuni un tentativo dei frati di sanare la frat-tura. Altra interessante curiosità del documento è chequesto non porta la firma dell’ imperatore Carlomagno,

perché come è noto, esso, puressendo considerato il fondatore delsistema scolastico era analfabeta. I suoicortigiani siglavano allora con unmonogramma dove si legge chiaramen-te il nome latino Karolus e l’ imperatorelo siglava al centro con una piccolacroce.Sulla storia diNonantola il Tiraboschiha scritto nel suo volu-me del 1784 “ Storiadell’Augusta Badia diSan Silvestro di Nonantola”

Non solo i monumenti diNonantola ci parlano deiLongobardi: una via del paese,dove da sempre sono allevamentidi bestiame è chiamata viaVarracina e i varracini erano iguardiani di stalla longobardi.Anche altre tradizioni, come quelladella fava nella torta diCapodanno risalgono a quel popo-lo.Infine il culto di San Micheleera legato a quel popolo e le chie-se e gli altari dedicati a questoarcangelo gueriero testimonianoancor oggi il loro passaggio nelmodenese.

Una anticaminiatura cher a p p re s e n t aCarlo Magnocon il figlio ela sigla del reFranco.

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Non più di novantanovele torri matildiche nel basso Appennino

Nella fascia pedemontana che va dal bolognese al reggiano quasisu ogni collina sorgono torri, castelli o i loro resti o la loro memo-ria.Si tratta del sistema di fortificazioni che il Canossa avevano dispo-sto per controllare il loro territorio ed in particolare i valichi appen-ninici. Molto spesso i signori di Canossa a partire da AdalbertoAtto per giungere sino a Matilde, si limitavano ad incamerare,attraverso trattati, acquisti o conquiste, roccaforti già esistenti; inaltri casi, specie per le torri di fortificazioni isolate, si trattava dinuove costruzioni situate in punti strategici. Questo afferma la sto-ria, la leggenda racconta invece che Matilde, inorgoglitasi per ilproprio potere, avesse stabilito di costruire cento torri per averne dipiù del Papa. Il Signore però non permise che questo avve-nisse e fece morire la contessa quando era stata terminata lanovantanovesima torre. Da allora in poi nessuno, neppure l’imperatore potrà avere sotto il suo diretto dominio centocastelli. Altre leggende si intrecciano al nome della grande contessache, evidentemente per le dimensioni, veramente notevoli,

del suo dominio eper il fatto diessere donnacolpì notevolmen-te la fantasiapopolare. Resta anchenella memoria comedonna giusta, in effetti,specie al termine dellasua vita Matilde viaggia-va moltissimo per ammi-nistrare la giustizia neisuoi possedimenti.La viota di Matilde ènarrata in un antico testodi Donizone, ripubblica-to nel 1987.

Tra le torri facilmente raggiungibi-li e che possono ancora rendere l’idea di come fosse una fortificazio-ne matildica segnaliamo quella diFogliano, lungo la strada cheporta da Maranello alla Chiesa equella di Nirano, posta nel paese,sopra la chiesa.Mo lte sono le torri rimaste, ma ilpiù delle volte attorno ad esse sor-sero i castelli che oggi ornano lafascia basso collinare da Bolognaa Reggio Emilia.

La ContessaMatilde di

Canossa in una

miniaturache la

rappresenta.

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Alberi sacri e alberi segnatiLe streghe e la ragazza capra

Il culto dell’albero e dei boschi hacaratterizzato tutte le culture dei, popo-li, celti, romani, longobardi, che si sonosucceduti nella nostra provincia.

Innanzitutto i Celti: perloro l’albero sacro era la

quercia: i druidi raccoglievanoil vischio, che ne è una piantaparassita, per le loro pozioni,una enorme quercia reggeva lavolta celeste ( ricordate“Speriamo che il cielo non cicada sulla testa” ? ), e le deci-sioni valide per tutta la comu-

nità dovevano essere prese sol-tanto ai piedi di una quercia.L’abitudine a riunirsi all’ombradi quest’albero è rimasta viva fino agli anni che hanno preceduto la

prima guerra mondiale. Per i romani poi il bosco era sacro, quasi un esten-sione del tempio e nel bosco si rifugiavano gli ultimi pagani, perseguitatidai cristiani, per i loro riti. Ecco nascere la credenza del bosco sede del

demonio, degli stregoni e delle streghe che vi si radunavano. Per cacciarle c’eraun rimedio semplice, bastava piantare un ferro nel tronco ed esse non sarebberopiù scese a terra. Molte leggende si basano su questi principi ed alberi con chiodi,bande di ferro, schegge confitte nella corteccia sono comuni in

tutta la Provincia. Una leggenda di Montecreto, in parti-colare ci parla di un contadino che aveva bloccato inquesto modo le streghe, poi impietosito le aveva liberatee fu punito con la nascita di una figlia metà umana emetà capra.Altre notizie sul rapporto uomo piante nella nostra regio-ne possono essere trovate nel teso “ Boschi dell’ EmiliaRomagna” edito dalla regione.

Anche le leggende di tipo cristianoche parlano di apparizioni di Santio della vergine vicino o sopra unaltro non sono che le trasposizionicristiane degli antichi culti e sipossono registrare praticamente inogni comune della provincia.Ad esempio anche il Santuariodella Madonna della sassola diCampogalliano è legato ad unaleggenda che parla di una immagi-ne su un tronco.Di erbe magiche parlano anchemolte tradizioni orali legate allevirtù medico curative delle piante

In alto un albero “segnato” in basso la mandragora, in un erbario del 1484 e

un’immagine sacra inserita nel tronco.

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Triganini e triganieriuna battaglia vinta dai piccioni

Tra le caratteristiche meno note, oggi, della pro-vincia di Modena è la grande diffusione dell’allevamento del colombo viaggiatore.il “triganein” - è questo il nome dialettale dell’animale, fa parte a pieno titolo della nostra cul-tura ed ha influenzato anche l’architettura.Molte case di città e quasi tutte le ville di campa-gna sono caratterizzate da un’altana sopraeleva-ta, destinata a colombaia e le torri colombaie;anche se spesso destinate anche ad altri usi (alle-vamento e cattura di colombi o altri uccelli,

come i rondoni, per cibarsene ) sono sortedalla montagna alla pianura un poco dap-

pertutto.Il nome triganino deriva poi dal

greco ( truganos = tortora ).Lo stesso fatto che resista ancora un nome di origine

greca che non ha corrispondenti nella lingua italianaci parla dell’antichità di

questa usanza.E la storia testimo-

nia, con gli scritti diAppiano, Cicerone, Plinio il Vecchio, Frontino, DioneCassio, che, fin dai tempi più antichi, nella nostra cittàfioriva questa abitudine di allevamento.Nel 43 a.C. Bruto era assediato nella nostra città dallearmate di Antonio. In suo aiuto lungo la via Emilia, dopoavere conquistato Bologna, arrivano le armate diOttaviano.Tra i due eserciti un fitto scambio di informazioni, attra-verso i piccioni viaggiatori, permette il coordinamentodelle azioni militari e la vittoria.La battaglia di Modena è raccontata dai principali storiciromani, ad esmpio da Tito Livio.

Segnalare le altane o le torricolombaie è impossibile, dato illoro numero. Per la guerra diModena si possono ricordare unoscontro tra Antonio e Ottaviano alponte di Sant’ Ambrogio ed unaltro, probabilmente alla Fossalta.Ricordiamo anche che molti mode-nesi militarono nell’esercito roma-no, lo ricordano la lapide di questapagina Publio Flavoleio, trovata aMagonza, ed altre di LucioCornelio Cinna, trovata a Nimegae di Marco Miledio Marcello adAquileia

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Un popolo di diavoliI contadini deportati in Emilia

Nell’ età imperiale il territorio sotto ildominio di Roma entrò in crisi: l’agricol-tura si trasformò e al posto dei piccolipoderi di pochi iugeri cominciarono asorgere i latifondi, molta della popolazio-ne dalla campagna si spostò verso la cittàe gli schiavi non bastavano più per colti-vare la terra. Il problema preoccupava gliimperatori che cercarono di porvi rime-dio: il più semplice era quello di deporta-re, cioè di trasferire forzatamente, interepopolazioni dai confini dell’ Impero allezone che più necessitavano di manodope-ra. Tra questi imperatori ci fu ancheTraiano che al termine delle guerre inDacia deportò una intera popolazionenelle nostre terre. Questo popolo chiama-

va se stesso “popolo di diavoli” e “diavoli” erano gli abitanti. Ora “diavoli” ancoroggi in tedesco si dice “teufel” (pronuncia toifel). E una piccola frazione del bolo-gnese, ai confini con Castelfranco si chiama ancor oggi Tivoli. Questo nome, chein italiano non ci dice niente, viene in dialetto del luogo pronunciato “taievul” o“taevol”, quasi coincidente con la pronuncia arcaica del nome tedesco. Ancoroggi quindi, nel nome del paese è tra-smessa la memoria di un antico popolodo orgogliosi guerrieri che, piegatodalla forza di Roma, ha attraversato l’Europa conservando l’orgoglio del pro-prio nome.Il catalogo di una mostrasulla centuriazione può permetterci diapprofondire le notizie su questoimportante fatto che hadisegnato lanostra pianura (Misurare laterra - ed.Panini -Modena 1893))

Tracce reali del popolo di diavolinon esistono, ma è possibile ancoroggi in molte zone della provinciascoprire i tracciati delle vie roma-ne e delle centuriazioni che su diesse si innestavano, citiamo in par-ticolare la zona di Nonantola siaintorno a Bagazzano che a viaMislé. D’altronde lo stesso nomedi quest’ultima via è una chiaratestimonianza della antica divisio-ne: mislé è infatti la trasformazio-ne di “ limes est” (é il confine)poiché qui finiva la centuriazionedi Nonantola.

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Morti sotto le chiese... e oggi parliamo di geomanzia

Sotto alcune chiese modenesi come quelle di Montale e Casinalbo, esisto-no i resti di antichissime necropoli risalenti all’ età del bronzo.Difficoltà tecniche impediscono lo scavo e quindi queste antiche tomberesteranno per molto tempo ancora al loro posto.Il sottosuolo modenese è ricchissimo di siti archeologici dell’ età del bron-zo, tanto che il nome dei villaggi di questo periodo, terremare, deriva dalnostro dialetto. Veniva infatti chiamata “tera merna” un terreno ricco dimateriale organico derivato dai resti organici depositati da questi nostri,lontani antenati. Questa particolarità del terreno era talmente nota agliagricoltori modenesi che la tera merna (da cui appunto una traduzioneinesatta: terra mare) veniva usata come concime. Il terreno, ricco di restiarcheologici veniva scavato dalle alture e sparso nei terreni circostanti, avolte anche venduto e portato lontano. Ecco perché i resti dell’ età delbronzo dei nostri musei portano sovente l’ indicazione “origine sconosciu-ta”.Riguardo alle chiese sopra le necropoli ci pare importante sottolinearecome i luoghi in cui si veneravano i trapassati si siano nel tempo trasformatiin luoghi di culto, mantenendo una curiosa continuità sacrale.Un altro caso sembra quello di San Possidonio dove è stata rinvenuta unalapide che ci parla di un tempio dedicato agli imperatori romani (Cesare,Augusto...) del I° secolo dopo Cristo. Nell’iscrizione sono descritti il tem-pio, il viale antistante ornato di statue, di opere di abbellimento e di unastrada che collegava il monumento alla via principale. Anche qui il fatto chesotto alla chiesa di San Possidonio altri scavi abbiano messo in luce altrimarmi ed un pavimento a mosaico, ci fapensare che la chiesa attuale sorganello stesso posto dell’antico tempio.Alcuni ipotesi par lano, a questoriguardo di luoghi particolari in cui leenergie della terra si concentrano eche sono sempre stati per questo scel-ti dagli uomini. Su questo tema ricca èla bibliografia rinascimentale conser-vata negli Archivi modenesiOggi questa ipotesi sembra avere basiscientifiche.Particolare importanza sida all’ orientamento delle case, allelinee di magnetismo naturale che keattraversano: ‘ una vera e propriascienza chiamata geomanzia.

Le due chiese sono facilmentevisitabili: quella di Montale è ailati della via Estense e la suaposizione, innaturalmentesopraelevata rende facilmenteintuibile la presenza dellanecropoli che, invece, è menochiara a Casinalbo.Una traccia del culto degliimperator resta, a Modena, i: sitratta del nome di una via:Saragozza che deriva da(Ce)saraugusta.

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Attenti a quei luoghi !banditi e briganti modenesi

Gli ultimi anni del 1500 furono caratterizzati da una serie di carestie cheportarono, specialmente nelle campagne, la popolazione ad innescare unaterribile spirale di povertà.Il contadino, cui non bastava il raccolto per vivere, intaccava la riserva dicereali per seminare, quindi o si indebitava o doveva ridurre la semina l’an-no successivo.Questa sequenza, ripetuta finiva in genere per ridurre i piccoli proprietarialla vendita dei terreni.In un decennio dal 1588 al 1597 un quinto dei terreni modenesi passarono dimano, da piccoli proprietari ai signori della città.Si creò allora una massa di braccianti disoccupati che diedero origine all’accattonaggio cittadino o al brigantaggio rurale.Questo fatto colpisce particolarmente alcune zone.

La villa della Motta e del Cavezzo,Camposanto, Solara e Malcantone

quivi raccolto avean la feccia e il lezzod’ogni omicida reo, d’ogni ladrone;

quel clima par da la fiera stella avvezzoa morire di forca o di prigione.

Fur cinquecento, adusati al caldo, al geloa l’inculta foresta, al nudo cielo.

I versi della Secchia Rapita citati, cispiegano perché certi paesi hanno,per secoli, cattiva fama.E là dove c’erano briganti nascono,naturalmente, leggende di tesorinascosti, che nei secoli successivivengono trasmesse di bocca inbocca.Interessanti notizie sulla povertà edil brigantaggio nel modenese sonoritrovabili nelle numerose cronachedi quegli anni.Tra le altre citaamo La cronacamodenese di Tommasino de’ Bianchidetto de’ Lancellotti.

Il toponimo stesso di Malcantone,ci parla della fama che questalocalità aveva.E a Malcantone è, secondo le leg-gende, sepolta una pentola pienadi marenghi d’oro, frutto dellescorrerie dei briganti del posto.Altra zona di briganti è la monta-gna.Fino dall’Alto Medioevo in quellezone è pressoché impossibiledistinguere tra Signori e briganti.Le cronache modenesi sono pienedi questi racconti.

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Montagne che cozzanoil petrolio nel modenese

Un numeroso gruppo di cavalieri romani, transitando sulla via Emilia, all’al-tezza di Modena, videro “cozzare insieme due monti, con grande strepitoed alzarsi in cielo alte fiamme e nuvole di fumo. Questo Racconta Plinio ilvecchio nelle sue “ Storie naturali” ed il fenomeno è da sempre stato colle-gato con quello della salsa di Montegibbio, anche se oggi, vedendone ledimensioni, ci pare impossibile. Che alle salse siano legati fenomeni naturalidi notevoli dimensioni è testimoniato anche da fatti più recenti Non moltianni fa, ad esempio, all’ Ubersetto si è alzata una colonna di acqua salatache, con un grande boato e tra vapori dovuti alla pressione, ha scagliatoanche lontano sassi di notevoli dimensioni. Anche il fuoco ha una spiega-zione possibile.Come tutti sanno il fenomeno delle salse è dovuto a fuoriu-scita di fango argilloso spinto dalla pressione del gas metano che cerca dirisalire alla superficie. Basta quindi una scintilla, oggi è meglio un accendi-no, per vedere levarsi le fiamme del gas che brucia. Meno spiegabile e forsedovuto all’ immaginazione dei testimoni o al gonfiarsi delle voci che si tra-smettono, il racconto delle montagne che cozzano, anche se l’esperienza cidice che la nostra è una zona sismica soggetta a terremoti Molte leggendesono legate alle salse: si parla di persone sprofondate ed annegate e per-fino, a Nirano, di un carro trainato da un paio di buoi inghiottito dalla salsaprincipale. Quest’ultimo fatto era giustificabile dal fatto che la prima salsache si incontra salendo era, fino agli anni 1950 una grossa pìozza fangosa.E’ invece vero che le salse furono usate, durante la guerra partigiana, perfare sparire i cadaveri di alcuni tedeschi.La stessa origine geologica ganno i ‘pozzi dell’olio” veri e propri pozzipetroliferi sfruttati, tra la fine del1800 ed i primi decenni del 1900 indiverse local i tà del nostroAppennino.

La Provincia di Modena, e quellavicina di Reggio Emilia, sono rela-tivamente ricche di salse.Oltre alle più note salse di Niranoin comune di Fiorano, citiamoanche quelle di Montegibbio(Sassuolo), quelle di Ospitaletto(Marano) e quella della Cintora(Serramazzoni- Rocca S.Maria) inprovincia di Modena e quelle diCasola e di Regnano nel reggiano.

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Una storia d’amore scritta col sangue

Le disgrazie del mercante Felippus

“Un giorno, Signori ,comincia la mia lacrimevolestoria...”Chi pala è un mercante,probabilmente spagnolo,di nome “Felipus” che havissuto l’ultimo periododella sua vita ed ha trova-to una tragica morte nelmodenese. La vicenda èvenuta alla luce durantealcuni lavori di restauro

nell’ immediato dopoguerra nella rocca di Spilamberto. Casualmente venneabbattuta una parete al termine di una scala e fu messa in luce una piccolacella, di due metri per due, dalle pareti istoriate da scritte e disegni. Era lacella di messer Felipus che, ivi rinchiuso dai signori del castello, raccontò lasua vicenda usando come inchiostro il proprio sangue, almeno così siafferma. La vicenda è romantica: messer Felipus, mercante giunto in Italiaper nave dalla Spagna, si fermò ospite della famigl ia Rangoni aSpilamberto. Il racconto sul muro èin parte indecifrabile e comunquepoco chiaro, ma integrato dalla leg-genda che si è creata intorno, paresemplice: tra il mercante e la bellacastellana ( messer Felipus scrive”una bella donna che mi ha fattorompere la testa”) nacque l’amore ea giudicare dal disegno sul muro diun bambino, anche un figlio.Felipus fu murato vivo e, nonostantesui muri proclami la propria innocen-za probabilmente non uscì più dallasua cella.

Abbastanza frequenti sono le scrit-te sui muri di prigionieri e condan-nati a morte o di altra natura che,comunque si rivelano sempre comevivaci spaccati della vita di untempo.Nelle segrete del castello diSpezzano, purtroppo non aperte alpubblico, se ne trovano diverse checi parlano delle usanze più brutalidel basso medioevo.Altre sono sparse un poco dovun-que nei castelli della provincia.

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Le porte dell’infernoe i pesci più prelibati.

Ogni epoca da ai fenomeni naturalile spiegazioni che la cultura deltempo permette.I fossili ad esempio vengono creduti“lusus naturae”, scherzi della natura,cioé casuali riproduzioni di conchi-glie o animali marini.Quando poi si trovano resti di mag-giori dimensioni come la vertebra diuna balena, nessuno la identificacome tale, ma si ritiene sia un restodi drago, ed il suo ritrovamentosuscita paura. Ecco perché la presenza a Medolla,tra la villa Wegmann ed il Casino, diun fenomeno geologico strano, daorigine a spiegazioni che oggi ci sembrano risibili.Un tratto di terreno infatti, probabilmente per la presenza di sostanzeorganiche in decomposizione anaerobica, presenta un anomalia termica: ilterreno ha cioé temperatura più alta delle zone circostanti. Il fenomeno èfacilmente osservabile negli inverni nevosi, poiché, a causa della tempera-tura più elevata, la neve tende a non fermarsi o a sciogliersi più rapidamen-te.Il dipartimento di scioenze della terra dell’Università di Modena ha studia-to il fenomeno e diverse pubblicazioni sono state fatte su questo tema.

Nasce allora la leggendache in quel posto ci fosse laporta dell’ inferno, o,; per-lomeno l’ inferno fosse piùvicino che altrove, riscal-dando con le proprie fiam-me il terreno.Altra leggenda, legata allostesso fenomeno, parla diun drago che dormirebbe,per incantesimo sotto terra

Un altro fenomeno naturale checolpiva la fantasia dei nostri ante-nati: in località La Sartora, sitrova un pozzo di acqua salata. Ilfenomeno si spiega con il fatto chein quella zona le argille marineplioceniche sono vicine alla super-ficie.Questo fatto, relativamentecomune nei dintorni di Mirandolafa sì che nei laghetti l’argilla, allapresenza di sali si deposuti rapi-damente e quindi il pesce è piùpregiato perché ha un saporemeno fangoso.

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I sotteranei di Sassuolodalle guerre medioevali alla resistenza

Tra i sistemi di difesa piùcomuni nelle antiche for-tezze o nei paesi fortifi-cati, erano i sotterraneiche collegavano questelocalità all’esterno.La loro funzione, oltrequella di via di fuga incaso che il nemico faces-se irruzione all’ internodelle mura, era quella diraccordo segreto con

l’esterno in caso di assedio.La maggioranza di queste via di fuga sono sparite per l’incuria degli uominio per crolli naturali. Altri sotterranei, o meglio parte di questi, furono usati,ai tempi delle grandi pestilenze, come cimiteri collettivi dei morti di peste.Alcuni invece sono ancora accessibili anche se, spesso semisconosciuti oritenuti leggendari, non vengono neppure esplorati. Tra questi, almeno perquanto raccontano i protagonisti delle vicende connesse, sono i sotterra-nei di Sassuolo che partendo dal palazzo ducale o dalle sagrestie di alcuneChiese del paese, sboccano, o megl io sboccavano in Secchia.Sboccavano, perché sembra che le uscite siano state fatte saltare, o per-lomeno siano state accuratamente celate, durante l’ultima guerra;I sotterranei di Sassuolo pare infatti siano stati usati dai partigiani siacome nascondigli che come vie difuga o depositi d’armi. Secondo unavoce, di cui non si può giudicare ilgrado di verità, in questi sotterraneici sarebbe ancor oggi celato un Tank,sottratto ai tedeschi, negli ultimi mesidi guerra. Altri nadscondigli di armisono state le grotte, seppure pochedella nostra provincia. Citiamo adesempio quelle a monte di Castellinodelle formiche.Altri passaggi segreti si racconta col-leghino alcune ville tra San Michele eSassuolo con le rive del Secchia

Altri sotterranei, con ben altrosignificato sono legati alla secon-da guerra mondiale: si tratta deirifugi, spesso scavati apposita-mente, come quello davanti allaChiesa di sant’Agnese a Modena,o le buche, purtroppo scomparse,dove si nascondevano i partigianicombattenti della bassa.Come rifugio daei beni durante leguerre sono stati invece usati ipozzi che spesso, a distanza disecoli ci rivelano i loro tesori.

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Dai parenti mi guardi Iddiola saga dei Pico e il nome di Concordia

La storia di Concordia, a differenza diquanto ci può suggerire il nome, è storiatragica di violenza, omicidi, scontri. Lostesso nome deriva da un fatto che oggici può fare sorridere, nonostante irisvolti violenti. Bisogna sapere che nel 1390 la signoriadi Mirandola, di cui Mirandola facevaparte, era disputata tra i quattro figli di

Paolo Pico e dai tre figli di Niccolò.Nella chiesa di San Francesco, in una localita che allora non si chiamava

ancora come oggi, si riunirono i tredici anziani, rappresentanti della comu-nità per decidere a quale dei due gruppi giurare fedeltà. Mentre si discuteva piombarono in chiesa i quattro figli di Paolo,Francesco, Tomasino, Prendiparte e Spinetta con i loro armati. Viene datoun ultimato: o si sceglie di aderire alla loro parte o tutti verranno strangola-ti. Naturalmente la decisione fu presa all’unanimità.Per festeggiare la scelta fu eretta la Chiesa di san Paolo ed al nuovo centrofu dato il nome di Concordia. Ancora a Concordia nel 1533 fu assassinatoGianfrancesco II° Pico, dal nipote Galeotto II° Pico. La saga dei Pio ci racconta di altre tragedie e lotte familiari. La crudeltà ela violenza erano tipiche di quei tempi. Basta ricordare che alla morte diOttobono Terzi, un signore cheaveva retto Modena nel 1405 i con-tadini di Modena “gli mangiarono ilfegato subito che l’ebbero cotto e,sbranato il suo corpo lo trangugia-rono” Tra altre guerre e lutti continua latragica storia del paese fino a chenel 1629 i lanzichenecchi misero asacco il paese e lasciarono in ere-dità la peste.

Le pesti nel modenese furonodiverse, ancora oggi, a testimo-nianza di queste epidemie sorgonochiese dedicate ai santi Rocco eLazzaro.In genere queste erano gli oratoricollegati ai luoghi dove venivanocurati gli appestati, chiamati perquesto “lazzaretti”.I cimiteri dei morti per quellamalattia erasno sempre lontani daicentri abitati ed anche per lorovale la pena ricercare la topono-mastica: vengono infatti spessoricordati come “sagrati”’.

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Una collina multiusoda fortezza militare a ghiaccia industriale

Nelle vicinanze di Medolla, quasi alconfine del comune di Cavezzo, siincontra una piccola collinetta artifi-ciale che venne utilizzata, nei secoliin modi diversi. La sua origine sem-bra certa: essa fu costruita inizial-mente per servire da vedetta al con-fine fra gli stati estensi e quelli deiPico.La collinetta di Montalbano vennepoi usata durante gl i assedi diMirandola come postazione per leartiglierie, infatti solo se rialzate dalterreno le traiettorie delle armi dafuoco riuscivano a raggiungere laroccaforte. I cannoni vennero usatidue volte, prima dalle truppo franco

spagnole nel 1705, poi nel 1735 dagli spagnoli del duca di Montemar , inquesta seconda volta vennero lanciate su Mirandola 15.000 cannonate e1500 granate esplosive. Ma la collinetta ebbe quasi sicuramente un usomeno bellicoso: pare servisse da ghiacciaia per la conservazione dellecarne suine in una zona dove, per tradizione,non esistevano né dazi négabelle, era cioé per concessione ducale una zona franca.Secondo il Tiraboschi gli abitanti di montalban,o pretendevano, fin dal1500 di non dipendere né da Modena né da Mirandola.Per questo venivano macellati molti maiali la cui carne, esente da dazio,poteva essere venduta a prezzi estremamente più bassi rispetto ad altrezone. Le ghiacciaie erano grotte scavate artificialmente in collinette artifi-ciali, in genere ricoperte da boschetti, che di inverno venivano riempite dineve pressata. Questa, trasformata in ghiaccio durava fino all’estate.Il ghiaccio però, generalmente non veniva usato, specialmente nelle villesignorili, per la conserevazione dei cibi,ma per preparare gelati e sorbetti.I ricettari ducali sono infatti ricchi diistruzioni per la preparazione di questpiatti.

Non solo a Montalbano si costrui-vano ghiacciaie.Ancor oggi in molte ville del mode-nese nel parco, sorge una collinettaboscosa, la ghiacciaia appunto.Anche nelle abitazioni signorili dicittà spesso nel cortile sorgono leghiacciaie, unica soluzione per laconservazione dei cibi.Nei toponimi è conservata lamemoria delle ghiacciae pubbli-che, sono infatti comuni, nelle fra-zioni dei paesi nomi come Fredda,Gelata ...

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Un papa e lo zamponele origini di un piatto modenese.

Molte leggende sono legate alla gastro-nomia modenese, alcune di antica tradi-zione o con una dignità letteraria, altrepiù recenti.Ricordiamo ad esempio che, secondoAlessandro Tassoni, i tortellini furonocreati da un oste che li pensò, “mirandodi Venere il bellico”, osservando l’ombeli-co di Venere.Per Pederiali invece fu una famiglia di

contadini modenese, tali Sandrone, Apollonia e Sgorghiguelo, che licostruirono a forma di anello e ripieni di carne, per poterli infilare in unafreccia e lanciarli al principe Enzo, prigioniero a Bologna, dopo la battagliadella Fossalta del 1245.Anche lo zampone ha una origine leggendaria legata ad un fatto storico.Durante l’ assedio di Mirandola tenuto dal papa Giulio II° tra il 151O e il 1511,gli abitanti della città assediata dovettero razionare le cibarie e conservar-le, in un epoca dove non esistevano i frigoriferi, senza che si danneggias-sero. Un cuoco di corte trovò la soluzione: innanzitutto si sapeva già che lacarne di maiale, macinata e condita si sarebbe conservata più a lungo, nonsi sapeva però dove conservarla, anche perché con le interiora si erano giàfatto cotechini e salami.Restavano inutilizzati solo gli zampetti, questi allora furono riempiti dicarne macinata e conservati per cuocerli in seguito: era nato lo zampone.Un’altra versione sull’origine dello zampone è conytenuta in un poemettosatirico in dialetto firmato da Celo ed san Stein “ La storia dal magoun”.Secondo l’autore lo zampone nasce da un miracolo di san Geminiano cheunisce in un unico piatto gli innumerevoli gusti del maiale“d’acord, come strumeint - chi sounen tot a teimp in d’un orchestra”per guarire i modenesi dal magoun.E oggi“s”a vdi un mudnes ch’al s’ingoza colzampoun, a n’al tulidi menga perbudloun, o un gran ludret, piutostconsideré ch’as trata sol d’un poveramalé,ch’al sta fand la cura dalmagoun !”

In realtà gli insaccati hanno unaorigine molto più antica: era tradi-zione celtica macinare e salare lecarni di maiale per meglio conser-varle, i romani invece le mischia-vano con il miele. Dai Galli abbia-mo ricevuto anche le crescentine(oggi tigelle) ed al lambrusco

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Un eccidio nella pianura.fantasmi di guerrieri nella nebbia

L’ otto febbraio 1743, nel corso dellaguerra per la successione austriaca cheiniziò alla morte di Carlo VI° e terminòcon la salita al trono di Maria Teresa, learmate franco-spagnole si scontraronocon quelle austro- piemontesi nei pressidi Camposanto.Gli austro-piemontesi, guidati dal mare-sciallo di Taun e da Carlo Emmanuele III°di Savoia, giunsero a Camposanto daBomporto e si scontrarono con i francospagnoli nella zona vicino all’ attualeponte sul Panaro.La battaglia proseguì e si intensificò neipressi della Chiesa e durò un’ interagiornata.Si scontravano 22.000 uomini, dragoni,ussari, carabinieri spagnoli, fanterie,artiglierie e l’esito della battaglia fu incerto.Da ambe le parti lo scontro di Camposanto fu considerato una vittoria, l’u-nica cosa certa è che sul campo dibattaglia restarono, tra feriti ecaduti, seimila uomini.Gli austriaci dissero di avere persomille uomini, i piemontesi 700, i fran-cesi 1500 e ben 2800 gli spagnoli.A Camposanto, il cui nome perònon deriva dalla battaglia ma, pro-babilmente da un palude prosciuga-ta ( Campo sanato), ancor oggi c’échi dice che di notte si sentano ilamenti dei feriti e che, sul campo dibattaglia, nelle sere di nebbia sivedono affrontarsi due eserciti difantasmi.

Dai tempi dei Romani Modena èstata al centro di diverse batta-glie,.Oltre le battaglie di Mirandola edall’assedio di Modena da parte diAntonio, già citate nel testo, quellache i modenesi ricordano maggior-mente è quella di Zappoli-no chevide la sconfitta dei bolognesi e acui si riferisce l’episodio dellaSecchia Rapita, signore di Modenaera allora Passerino Bonacolsi, ilcelebre “docca Pasarein”