il cappello di padre marella · fabrizio starace 14 memorie di trasformazione 15 il vento del ‘68...

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10 Trimestrale della Fraternità Cristiana Opera di Padre Marella ottobre - novembre - dicembre 2018 RITROVARE SE STESSI BASAGLIA E LA SALUTE MENTALE il cappello di Padre Marella LE TUE OFFERTE ALL’OPERA MARELLA conto corrente postale n° 835405

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Trimestrale della Fraternità Cristiana Opera di Padre Marella ottobre - novembre - dicembre 2018

RITROVARE SE STESSIBASAGLIA E LA SALUTE MENTALE

il cappello di Padre Marella

LE TUE OFFERTE ALL’OPERA MARELLAconto corrente postale n° 835405

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03 EDITORIALE

04 LA RIVOLUZIONE DEI BASAGLIA

08 COSTRUIRE RELAZIONI.Intervista a Michele Filippi

10 ADOLESCENZA E NUOVE SFIDE. Intervista ad Angelo Fioritti

12 COSA POSSIAMO FARE ASSIEME? Intervista a Fabrizio Starace

14 MEMORIE DI TRASFORMAZIONE

15 IL VENTO DEL ‘68

16 DARE UN CALCIO ALLO STIGMA.RIPRENDERE IL CONTROLLO

17 SENZA PERDERSI NEL BUIO.MOLTO PIÙ DI UNA RADIO

18 E DOPO?

20 COMUNITÀ:CADRIANO

22 DON MARELLA DI FRONTE ALLA MALATTIA MENTALE

24 NICOLETTA, RICETTE DI VITA

26 DA BRUXELLES A PADRE MARELLA

27 GRECCIO: UNA NUOVA BETLEMME

28 UNA FAMIGLIA NORMALE. O QUASI

30 IN RICORDO

32 LETTERA AL PADRE

INDICE

LA RIVOLUZIONEDEI BASAGLIA

CARITAS: FARSI COMUNITÀ

STORIE DI VOLONTARIATO

DON MARELLA E LA SALUTEMENTALE

In copertina: logo di Gianluigi Toccafondo, foto di Luca Capponi.

Font ad Alta Leggibilità biancoenero®di biancoenero edizioni srl, disegnata da Umberto Mischi. Disponibile gratuitamente per chi ne fa un uso non commerciale. www.biancoeneroedizioni.com

foto di Carla Cerati

Periodico trimestrale Edit: Fraternità Cristiana Opera di Padre Marella (D. Lgs. n° 460 del 04/12/1997) via dei Ciliegi 4, 40068 San Lazzaro di Savena (Bologna). Direttore: Nelson Bova. Aut. del Trib. di Bologna del 15/01/93 n° 6162. Stampa Sped. Abb. post. Art. 2 comma 20/C legge 662/96, Filiale Bologna - STAMPA LITOGRAFIA SAB

Una piccola rivoluzione, riprendendo iltitolo, l’abbiamo fatta anche noi. I lettori di più lungo corso avranno no-tato il radicale rinnovamento della gra-fica della nostra rivista e ciperdoneranno se abbiamo destabilizzatoalcune certezze, ma lo abbiamo fatto conpassione e convinzione, e adesso vi spie-ghiamo il perché.

Scegliere di continuare a stampare unarivista di questi tempi richiede coraggio,perché molta è la fatica necessaria a pro-durla ma poche sono le certezze di quantieffettivamente la sfoglieranno. Ma nevale la pena quindi? Documentarsi persettimane, scrivere per intere notti, sot-traendo tempo al lavoro, alla famiglia,per un’attività volontaria così controcor-rente di questi tempi. Noi crediamo chevalga sempre la pena attivare pensieri,confronti, riflessioni, approfondimenti ecercare di mantenere viva l’attenzioneper chi ha meno voce. Per questo abbiamopuntato sempre più sui contenuti di qua-lità, sul mettere in relazione la straordi-naria eredità di Padre Marella con ilmondo che la circonda, che a volte è

distratto o indifferente, ma altre volte èricco di persone speciali (come quelle dicui parliamo in questo numero). E ci siamo presi la libertà di raccontarecon leggerezza e ironia la vita di unadelle nostre case, nella nuova rubrica diRita, la nostra Mamma 4x4.

Dopo i contenuti però serviva anche unpasso verso una maggiore contempora-neità nella forma, puntando su una mo-derna sobrietà e sull’attenzione a un’altraforma di esclusione sociale. Non tutti icaratteri tipografici sono uguali. E questo non solo per ragioni estetiche,ma anche di leggibilità per chi ha qualchedifficoltà con la vista o con la letturadei testi, come accade per la dislessia.Abbiamo scelto di essere inclusivi, anchenella scelta del carattere tipografico, nonsolo nell’operare quotidiano. Abbiamo scelto di essere inclusivi anchenello stile della comunicazione, che siauna comunicazione rispettosa, aperta enon ostile, come individuato nel Manife-sto della comunicazione non ostile, chesottoscriviamo.

PREDICATE SEMPRE IL VANGELO,SE NECESSARIO USATE LE PAROLE Claudia D’Eramo

EDITORIALE

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Redazione: Nelson Bova (direttore), Massimo Battisti, Roberta Bucci, Claudia D’Eramo, Rita De Caris, Arturo Fornasari, Gianfranco Leonardi, Alberto Linari, Michelangelo Ranuzzi de’ Bianchi, Carlo Righi.

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Una favola orientale rac-conta di un uomo cui stri-sciò in bocca, mentredormiva, un serpente. Il ser-pente scivolò nello stomacoe vi si stabilì, imponendoda quel momento all’uomola sua volontà, così da pri-varlo della sua libertà.L’uomo era alla mercé delserpente: non appartenevapiù a se stesso. Finché unmattino l’uomo sentì che ilserpente se n’era andato elui era tornato libero. Ma allora si accorse di nonsapere cosa fare della sualibertà.

In luogo della libertà avevatrovato il vuoto.

Crimini di pace

I manicomi sono stati unluogo di separazione dellacittà sana dalla città ma-lata; un luogo di detenzionepiù che di cura. Hanno alungo svolto un ruolo dicontrollo sociale dei suppo-sti “devianti”, un luogo incui spesso finiva chi era aimargini della società e nonnecessariamente chi avevaproblemi mentali. Specialmente dal secondodopoguerra erano diventatiil luogo dove nascondere,dallo sguardo della cittàche produce e che sa adat-tarsi, chi stava ai margini, ipiccoli delinquenti, le pro-

stitute, i dissidenti (con unincremento dei ricoveri durante il fascismo), gliomosessuali e i poveri. Nei manicomi, usando leparole di Franco Basaglia,«si attuava una tortura pre-ventiva, dove si torturava esi uccideva chi non avevaniente da confessare, se nonil proprio rifiuto a esseremassacrato, distrutto, uc-ciso. Una tortura attuata per ottenere il consenso incon-dizionato, l’accettazionepassiva, l’adeguamento auna norma sempre più ri-gida e ristretta che ri-sponde sempre meno aibisogni di chi vi si deve

LA RIVOLUZIONE DEI BASAGLIA C’erano una volta gli “altri”. Storia di una rivoluzione civile e culturaleClaudia D’Eramo

sottomettere». «La diagnosiaveva assunto il valore diun etichettamento che co-difica una passività datacome irreversibile. In que-sto modo avveniva l’esclu-sione del malato dal mondodei sani».

La legge 180

Il 13 maggio 1978 la legge180 in tema di Accerta-menti e trattamenti sani-tari volontari e obbligatori,nota come legge Basaglia,decretava la chiusura deimanicomi e stabiliva che lepersone con disturbi men-tali avevano uguale dirittodi cittadinanza, oltre a de-lineare il sistema di curadella malattia mentalecome lo conosciamo oggi.È stata la prima legge almondo ad abolire gli ospe-dali psichiatrici. Una rivo-luzione che aveva postol’Italia all’avanguardia. Seb-bene, va detto, per chiuderedefinitivamente questestrutture siano serviti oltretrent’anni, come nei casidel Santa Maria di Foggia,del Villa Stagno di Palermoe del Don Uva di Bisceglie,chiusi incredibilmente solonel 2010.

La legge 180 ha restituitodignità ai malati e ha indi-cato nei servizi territorialii luoghi di cura, istituendoi servizi di igiene mentale

pubblici, prevedendo la vo-lontarietà degli accerta-menti e dei trattamenti sanitari e il diritto allapartecipazione, alla comu-nicazione e al consensodell’obbligato nei casi diaccertamenti e trattamentiobbligatori.

La legge, è bene ricordarlo,è stata promulgata in tuttafretta per contrastare il ri-schio del referendum in-detto dai radicali chechiedevano l’immediatachiusura degli ospedali psi-chiatrici e su cui l’opinionepubblica avrebbe dovuto as-sumere una posizione forte,in un senso o nell’altro.

Erano i giorni del sequestroMoro, finito tragicamente il9 maggio dopo cinquanta-cinque giorni che hanno se-gnato profondamente ilPaese. I tempi erano maturiper una legge di mediazione– il cui relatore è stato il democristiano Bruno Or-sini-, sintesi della composi-zione di varie sensibilità edi un approccio che riguar-dava una più generale revi-sione dei servizi sanitari.

Nelle parole di Franca On-garo Basaglia, una delle tenaci e illuminate prota-goniste di questa rivolu-zione, sempre accanto a suomarito Franco: «Il 13 mag-gio non si è stabilito perlegge che il disagio psichiconon esiste più in Italia, masi è stabilito che in Italianon si dovrà rispondere maipiù al disagio psichico conl’internamento e con la se-gregazione. Il che non si-gnifica che basteràrispedire a casa le personecon la loro angoscia e laloro sofferenza».

Il movimento culturale

La storia di questa rivolu-zione è stata la storia di unmovimento, di molti intel-lettuali e di un interoPaese, non solo la storia diun singolo uomo, seppurestraordinario. Grazie algruppo formato da Basaglia,da Franca Ongaro, AntonioSlavich, Agostino Pirella,Lucio Schittar, DomenicoCasagrande, Leopoldo Tesi,Giorgio Antonucci, MariaPia Bombonato, LetiziaComba e Giovanni Jervis, laproposta nata nel manico-mio di Gorizia contagial’Italia intera e poi ilmondo. Al loro fianco, inquesta battaglia e rifles-sione culturale, un Paese

RITRATTI

Gli “altri” sono semprevisti come un elementodi disturbo sociale, os-servava Basaglia; e que-sta riflessione è quantomai attuale, oggi, nel2018.

foto di Gianni Berengo Gardin

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che poteva vantare l’impe-gno militante di grandi intellettuali, editori, gior-nalisti, fotografi, registiche si sono attivati per ilcambiamento, da Giulio Einaudi e Giulio Bollati, Giuliano Scabia, Carla Ce-rati e Gianni Berengo Gar-din, e poi Marco Bellocchio,Silvano Agosti, Sandro Petraglia, Stefano Rulli chenel 1975 hanno realizzato ildocumentario in bianco enero il cui titolo originaleera Nessuno o tutti, piùnoto in una versione piùbreve della pellicola comeMatti da slegare.

C’è anche un’altra protago-nista di questa storia: la piùgrande industria culturaleed educativa di questoPaese, sicuramente in queglianni, la RAI. Già dal 1967 la Rai aveva cominciato aoccuparsi con interesse diquesta rivoluzione in essere,fino a riuscire a incollareallo schermo dieci milionidi spettatori nella primaserata del 3 gennaio 1969per il bellissimo speciale diTv7 girato da Sergio Zavoli,I giardini di Abele.

Ma chi era Basaglia?

Basaglia nasce a Venezial’11 marzo del 1924 e, dopotredici anni di lavoro al-l’università di Padova, eraarrivato a Gorizia nel 1961in seguito al concorso chelo aveva reso direttore delcittadino ospedale psichia-trico. Per quanto venisseironicamente chiamato “ilfilosofo” dai suoi detrattori,non era affatto un visiona-rio, né andrebbe mitizzato erelegato a “santino” (cometroppo spesso una semplifi-cazione narrativa lo ha

ingabbiato in questi anni),era un uomo molto con-creto, sicuramente di spes-sore e immerso nella culturadel suo tempo. Un intellet-tuale, probabilmente unodei più grandi.

Negli anni di Gorizia,Parma, Trieste, negli annidella ricerca, dell’osserva-zione, della pratica, dellostudio e del confronto ènata una consapevolezzaprofonda, accompagnataben presto da un’urgenza diprendere parte, di attivarsi,di lavorare per un modellodi dignità e non di sopraf-fazione. «Nella nostra so-cietà, osservava Basaglia, la

malattia assume un signifi-cato stigmatizzante checonferma la perdita del va-lore sociale dell’individuo».La sua riflessione ben pre-sto era diventata una vera epropria rivoluzione: l’ur-genza di restituire dignitàall’”essere umano”, più cheal “malato”.

Nel gennaio del 1977 Basa-glia, durante una confe-renza stampa, sorprendel’Italia annunciando lachiusura entro quell’annodel manicomio di Trieste,dove si era trasferito dallafine del 1971 dopo unabreve esperienza pressol’ospedale psichiatrico di

Parma. Come per la leggeche porta il suo nome,anche in questo caso ci sa-rebbe voluto più tempo, masenza quell’annuncio equello shock che è partitodal profondo Nord-Est, lalegge 180 non sarebbe statapossibile.

Franco Basaglia aveva in-fatti maturato una convin-zione radicale: nessunaforma di istituzionalizza-zione può aiutare il malatodi mente a ritrovare sestesso. Non bastava solo mi-gliorare il modello del-l’ospedale psichiatrico, nonserviva ristrutturare l’isti-tuzione, ma era necessario

ribaltare completamente ilsistema per restituire citta-dinanza al malato, all’emar-ginato, al presunto deviante.

Franca Ongaro ricorda comeun giorno suo marito Francose ne fosse uscito con unafrase «Il re dorme se anchela guardia dorme». Solo adistanza di tempo Franca siera resa conto che in quelparadosso vi era il sensoprofondo del discorso sulcambio di logica del potere:il re può dormire se tutto ètranquillo, se il suo regnareproduce o garantisce unacomunità non fondata sullasopraffazione ma sul le-game che unisce chi lottaper una finalità comune.

«Il cambiamento incomin-cia dunque dal re, in sestesso, nelle sue funzioni enel rapporto con chi nonsarà più suo suddito macompagno della lotta perun rovesciamento vero dellalogica stessa del vivere».

Coercizione o paternalismo

E infine una riflessione cheemerge dai numerosi scrittidi Franco Basaglia, ancoramolto attuale per chi oggisi occupa di cura, di assi-stenza, di sostegno, di sol-lievo da situazioni dimarginalità sociale, econo-mica, relazionale.

«Se il malato diventa og-getto di “affettuosa cura”ma il rapporto si gioca tra“generosità e riconoscenza”e non tra dovere e diritto,egli sprofonderà ugual-mente in una sorta di an-nientamento totale.Tra queste due polarità –coercizione e paternalismo-

si giocano tuttora i rapportitra utenti e operatori inmolta parte dell’immensarete di strutture residen-ziali per persone con di-sturbi mentali, pertossicodipendenti, per mi-nori e giovani marginali,per anziani poveri e soli».

L’incontro con il malatomentale ci ha anche dimo-strato che –in questa so-cietà- siamo tutti schiavidel serpente e che qualoranon tentiamo di distrug-gerlo o vomitarlo, non cisarà più un tempo per ri-conquistare il contenutoumano della nostra vita.

Fonti e consigli di lettura:

Franco Basaglia L’utopia della realtà

Einaudi (2005)

Franco Basaglia e FrancaOngaro Basaglia Crimini di pace

Baldini+Castoldi (1975,2018)

Franco Basaglia L’istituzione negata

Baldini & Castoldi (2014)Giulio Einaudi (1968)

(a cura di) Franco Basagliae Franca Basaglia Ongaro

Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati

e Gianni Berengo GardinEinaudi (1969)

RITRATTI

foto di Carla Cerati

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In che anni ha iniziato lasua professione di psichia-tra e in quale contesto si ètrovato a esercitarla?

Ho iniziato nel 1974. Eromolto giovane e come mefurono assunti altri giovanispecializzandi in psichiatriaper irrobustire le équipe diIgiene Mentale che già daun paio di anni avevano avviato il “lavoro sul terri-torio”, a Bologna e nei co-muni della provincia. Io mitrovai nei comuni dellamontagna bolognese.Tirava un forte vento dicambiamento. Molte istitu-zioni venivano messe in di-scussione. Se non ricordomale nel manicomio di Bo-logna c’erano allora circa600 persone ricoverate.Altre centinaia erano negliistituti parapsichiatrici diBudrio e San Giovanni inPersiceto. Molti, molti dipiù erano nei due manicomidi Imola. L’AmministrazioneProvinciale di Bologna futra le prime in Italia a de-stinare parte del personaledei manicomi alla costru-zione di una rete di serviziterritoriali.

Mi sono trovato - a volte dasolo, a volte con altri colle-ghi operatori dell’équipe - aincontrare a tu per tu,senza particolari diaframmi,persone che spesso avevanoimportanti disturbi mentali.Eravamo senza camice, ciincontravamo seduti instanzette disadorne che fa-

cevano da ambulatorio,spesso ci si fermava, anchea lungo, a casa di questepersone (in cucina, in camera, in giardino), a voltein un bar o in un luogo dilavoro. Anche l’armamenta-rio professionale e teoricoera piuttosto esile.

Ero ancora studente allascuola di specializzazionein psichiatria. I saperi con-solidati erano presi col beneficio del dubbio. Mi trovai, e ci trovammocosì, in un contesto chemetteva in primo piano larelazione personale, la ricerca - comune con il pa-

ziente e i suoi familiari- disoluzioni che attenuasserola sofferenza o sciogliesserosituazioni bloccate. Si usa-vano i farmaci, ma si pun-tava anche molto sullarelazione terapeutica, sul-l’apporto di familiari e vi-cini, sulle risorse delterritorio e dei Comuni. Si avevano poche risposteprecostituite e si dovevanocercare e costruire insiemesoluzioni nuove. Certamenteal prezzo di non pochi errori, ma con un coinvolgi-mento reale dei pazienti,cosa che oggi è riconosciutacome uno dei più decisivifattori di miglioramento.

COSTRUIRE RELAZIONIIntervista a Michele Filippi, quarant’anni nei Dipartimenti e nei Centri di salute mentale bolognesiMassimo Battisti

RITRATTI

Come ha visto cambiare ladinamica tra medico e pa-ziente nel corso di questiquaranta anni?

In questi quaranta anniogni medico e ogni pazientesono stati persone uniche ehanno avuto tra loro unrapporto che è pericolosocercare di generalizzare.Anche all’interno dei mani-comi ci sono state relazionidi rispetto, comprensione eanche di efficacia terapeu-tica, così come negli annidella psichiatria “democra-tica” si vedevano rapportiimprontati a grande super-ficialità o autoritarismo.Ma cambiamenti comples-sivi certamente sono avve-nuti e anche questo sarebbeun discorso lungo. Si puòdire che si è ridotto il pa-ternalismo ed è cresciuto ilcarattere professionaledella “prestazione”. Da unaparte sono aumentate le co-noscenze e le richieste deipazienti e dall’altra sonoaumentati i rischi profes-sionali per gli psichiatri, dacui la tendenza ad una pra-tica detta “difensiva”. Si èridotta l’attenzione agliaspetti psicologici e socialidella vita dei pazienti esono aumentate l’attenzionee la competenza per gliaspetti biologici e nell’usodegli psicofarmaci. È soloagli inizi il riconoscimentodei pazienti come partnerqualificati nel lavoro dicura.

Lei ritiene che la rivolu-zione di Basaglia sia con-clusa o ci siano ancoraazioni incompiute ma ne-cessarie per restituire la di-mensione umana a chi vienefacilmente etichettatocome malato?

Penso ormai da moltotempo che nelle relazioniumane e nei rapporti socialinon ci possa essere proprionulla di concluso o di com-piuto. Non c’è niente chestia fatto.

Credo che non ci dobbiamosorprendere di questo. Néper questo lasciarci andarealla delusione e all’ama-rezza. Tutti i giorni dob-biamo respirare, mangiare edormire. E ci possiamoanche prendere gusto. Sonomolto d’accordo con chidice che la parte più impor-tante e più efficace del la-voro di cura è la progressivacostruzione comune, opera-tore e paziente, di vie perun miglioramento della sa-lute. E che parte decisivadel benessere di ciascuno dinoi sta nella possibilità di

partecipare con altri a co-struzioni comuni: affettive,organizzative, culturali. Cifa più bene il darci da fareche la cosa fatta. Volendo,il termine recovery po-trebbe essere espresso anchein questo modo.

Come si spiega che oggi il“matto”, parola che sta ri-comparendo nell’uso co-mune, sia tornato a farpaura?

Penso che sia tornato a farpaura perché fa paura. Perché ci rappresentaaspetti della vita umana,quindi anche della nostra,che possono essere moltodolorosi, o incomprensibili,o inquietanti. Non pensoche sia né giusto né utilegiudicare negativamente chiha paura delle persone chehanno disturbi mentali, chine prende le distanze, chi lisqualifica: sia perché questoatteggiamento almeno unpoco riguarda tutti noi, chi ha disturbi mentalicompreso; sia soprattuttoperché credo che esprima unlimite nella possibilità difrequentare i diversi terri-tori della esperienza umana.Bisogna moltiplicare le occasioni di conoscenza di-retta delle persone chehanno disturbi mentali, discambio e arricchimento reciproco. Bisogna moltiplicare la pro-duzione di film, documen-tari e comunicazioni socialche aiutino a riconoscerecome nostre anche espe-rienze cha ora appaionostrane e lontane.…Ma bisogna vigilare perchénel frattempo non sianovarate leggi che riapranomanicomi!

Non c’è riforma, nonc’è riconoscimento di diritti, non c’èatteggiamento di

comprensione o dirispetto, non c’è

vitalità di rapporto terapeutico, non c’è

condivisione di valori che non debbano essere costantemente

alimentati e spessoquotidianamente

ricostruiti, magaridopo averli vistipieni di crepe o

addirittura sgretolati

”foto di Claudia D’Eramo

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La legge 180, nel 1978, por-tava con sé una rivoluzionee nello stesso tempo un’uto-pia. Quanto di tutto questosi è 40 anni dopo effetti-vamente realizzato?

La legge Basaglia è passatain un contesto che ancoraoggi ci si chiede come siapotuto avvenire. Un colpodi spugna a due secoli dipsichiatria manicomiale. Perchiudere completamente imanicomi ci sono comunquevoluti 20 anni e gli OPG,gli ospedali psichiatricigiudiziari quasi 40, nel2015. La graduale trasfor-mazione dei manicomi haportato ai centri di salutementale, declinati nei ter-ritori con sensibili diffe-

renze da regione a regione.

Differenze sia per gliaspetti operativi e sia perquelli economici. Nessunaregione destina per il disa-gio mentale il 5% del bud-get della sanità, comesarebbe previsto dallanorma. L’Emilia Romagna,assieme alle province diTrento e di Bolzano è co-munque il territorio che siavvicina di più a questapercentuale, con circa il4%. In alcune regioni nonsi arriva neppure al 2%, conuna media nazionale del3,6%.

Quindi la legge 180, qua-rant’anni dopo, è ancorauna mezza utopia?

Molto più di mezza. Come

Asl dobbiamo continuare a

lavorare con i servizi terri-toriali: questo percorso nonè certamente completato. Le ricordo però che l’OMS,l’Organizzazione Mondialedella Sanità, ha recente-mente dichiarato che la de-ospedalizzazione e lade-costruzione di luoghi cheemarginano chi convive conla malattia mentale fannodell’Italia un modello perl’intero pianeta. Pensi chesono stato recentemente inGiappone: lì sono ad oggiinternate 300.000 persone.E il paese asiatico non ècerto l’unico ad avere an-cora i manicomi.

In quarant’anni la società èmolto cambiata. Il disagio

ADOLESCENZA E NUOVE SFIDEDialogo con Angelo Fioritti, direttore sanitario Ausl BolognaNelson Bova

RITRATTI

mentale, pare di capire, hamolte più sfumature di untempo.

Pensate che a Bologna eprovincia la rete dei servizi

conta oggi 52 comunità perminori con 700 adolescenti.Senza contare quelli che vi-vono a casa loro seguiti daneuropsichiatria, Ser.T. eCentri di Salute Mentale.Sono numeri rilevanti, e lerichieste sono negli ultimianni in continuo aumento.Non a caso la Regione stavarando il Piano Adole-scenza, provvedimento pen-sato proprio per far frontea questa emergenza. Il temapurtroppo riguarda tuttaItalia e tutta Europa.

Le richieste per la tossico-dipendenza sono stabili datempo, ma sono in fortecrescita le dipendenze com-portamentali da gioco d’az-zardo, shopping compulsivo,dipendenza da internet, ec-cetera. A questo si aggiungeil sempre più frequenteinvio da parte della magi-stratura di casi di minoriautori di reato.

In quale ambito ritiene chela ASL che lei dirige stialavorando bene?

La collaborazione semprepiù stretta con il terzo set-tore e l’associazionismo.Con la società civile. Nes-sun ente pubblico ne puòprescindere, ma un conto èdirlo a parole e un conto èlavorare assieme. Su questomi sento di dire che noiriusciamo a valorizzare que-sta preziosa risorsa. Sonosolo preoccupato del panicoche si è creato tra i volon-tari da quando è entrata invigore la nuova legge sulterzo settore, con il caricodi obblighi e burocrazia chesi porta dietro. Ma so giàche insieme supereremoanche questo ostacolo.

Oggi la patologia prevalente che dobbiamo affrontare èla conseguenza dellapovertà educativa digiovanissimi lasciati un po’ allo sbando. Un mix di uso di sostanze stupefacenti, disturbo del carattere,disfunzionamenti non gravissimi, non classificabili in malattia mentale,molto complessi ed articolati.

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COSA POSSIAMO FARE ASSIEME?Dialogo con Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Modena e presidente della Società Italiana di Epidemiologia PsichiatricaNelson Bova

RITRATTI

Dottor Starace, cosa è rima-sto oggi della legge Basa-glia?

Quelli erano anni di grandilotte civili, dall’aborto, aldivorzio, all’obiezione dicoscienza, al servizio mili-tare, anni che hanno vistonascere la legge Falcucciche ha aperto la strada atutte le norme per l’inseri-mento scolastico e socialedegli alunni disabili. Anchela legge 180 rientra in quelclima vicino agli ideali diuna comunità che perse-guiva più l’umanesimo chela produttività. Ora, a qua-rant’anni di distanza, noi

dobbiamo essere i custodi diquei risultati straordinari edi quei principi ancora va-lidi in un contesto che èprofondamente cambiato.

Cosa è radicalmente cam-biato rispetto in quaran-t’anni?

Per esempio l’associazionetra disturbo mentale e usodi sostanze. È antistoricoche i Ser.T., che si occupanodi tossicodipendenza neiterritori, siano separati daiservizi di salute mentale eche entrambi siano separatidalle neuropsichiatrie. Sap-piamo che l’insorgenza dei

disturbi psichiatrici avvienenel 50% dei casi prima dei18 anni. Una separazionecosì netta delle competenzefa si che anche quando que-sti vengono diagnosticati,poi non siano gestiti in ma-niera adeguata. Pensi all’uso delle sostanzee dell’alcool. Secondo i datidel Ministero della Salute,l’inizio dell’uso di sostanzerisale ai 12-13 anni. Il suo consumo problema-tico genera la cronicizza-zione che il paziente poi siporta dietro nel corso deltempo. La neuropsichiatria èmeno attrezzata dei Ser.T.sulle tossicodipendenze,

Ser.T. che però per defini-zione sono competenti solodai 16 anni. Con questi ser-vizi noi della salute men-tale dovremmo lavoraregomito a gomito per seguirei ragazzi in tutta l’età evo-lutiva. Invece spesso ci tro-viamo a gestire degli adulticon situazioni ormai croni-cizzate. Una proposta inte-ressante sta per arrivaredalla Regione Emilia Roma-gna, con il Progetto Adole-scenza, in discussione inConsiglio Regionale. I treservizi saranno integratinello stesso dipartimento.Manterranno la loro auto-nomia, ma questa soluzionesarà comunque utile per ac-crescere la relazione e loscambio di informazioni.

Da quando è direttore delDipartimento di SaluteMentale dell’Ausl di Mo-dena cosa ritiene di aver

cambiato rispetto ad 8 annifa?Sono riuscito ad azzerarecompletamente le conten-zioni fisiche. Nel solo terri-torio modenese eranoancora alcune centinaia.Inoltre i trattamenti sani-tari obbligatori sono scesisotto la media regionale, il5%, ma stiamo lavorandoper abbassarli ancora.

Quando parla di protagoni-smo delle persone in curacosa intende?

Intendo l’attivazione di re-altà e gruppi di mutuo aiutogestito. Persone dipendentida alcolismo, da attacchi dipanico, da allucinazioniuditive e così via parteci-pano attivamente alle pro-poste che li riguardano. Sappiamo che il mutuo

aiuto è uno strumento for-midabile per lo scambio diinformazioni e per far sen-tire le persone meno sole, eper noi è uno strumento perascoltare le loro proposte.

Da 8 anni a Modena il di-partimento che lei dirigepropone il MAT. Di cosa sitratta? Si tratta di una settimanadi eventi culturali, spetta-coli, approfondimenti perdiffondere la consapevo-lezza che la sanità, senza lacomplicità della comunità,non è più in grado da soladi rispondere ai bisogni dichi soffre di disturbi men-tali. Da quando faccio ilMAT i familiari non hannopiù un atteggiamento riven-dicativo e di contrapposi-zione ma si propongono inmodo costruttivo: cosa pos-siamo fare assieme?

foto di Maurizio Bergianti

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Cos’è stato il manicomio inItalia? Cosa è stato a Bolo-gna? Una istituzione totale,un ghetto in cui rinchiuderele classi emarginate, unluogo di divisione che haeretto barriere tra un mododei “sani” e un modo di “re-clusi”, uno spazio che haconsentito alle classi domi-nanti di recitare una nor-malità e di non doverposare lo sguardo sulla sof-ferenza: il manicomio èstata una grande forma diesclusione sociale, tra le piùlaceranti.

A Bologna, come nel restod’Italia, la cura delle per-sone con disturbi del com-portamento ha assunto piùla forma di controllo chenon quella di assistenza,passando dalla medicalizza-zione alla progressiva sepa-razione dagli altri infermi.Così infatti è nato alla finedel ‘700 presso l’OspedaleSant’Orsola il primo repartodestinato ai “pazzerelli”,fino ad arrivare alla con-cessione dell’ex conventodelle Salesiane in via San-t’Isaia per realizzare il ma-nicomio cittadino. Erano gli

anni di Francesco Roncati,che dirigerà la strutturafino al 1905, e di FrancescoRizzoli, in quel momentoconsigliere provinciale eamministratore degli spe-dali. Roncati teorizzava unmodello di manicomioideale, che poggiava suquattro pilastri: ordine, si-curezza, isolamento e sepa-razione. Occultare la follia, sepa-rarla dalla città, evitare chegli sguardi dei sani potes-sero incrociare quelli deifolli, per non creare reci-proco turbamento. Una curamillimetrica dell’esteticadei luoghi e del controllodelle persone, dell’effi-cienza organizzativa e del-l’igiene, un richiamocostante al decoro dovutoalla prestigiosa città uni-versitaria di cui si eraparte.

Il libro di Cinzia Migani èun omaggio alla memoria,alle storie degli invisibili, aun gruppo di lavoro e un af-fettuoso e riconoscenteomaggio a Ferruccio Giaca-nelli, co-autore della primaparte di questo libro, padredella psichiatria bologneseal fianco di Basaglia nelpercorso per l’approvazionee la successiva attuazionedella legge 180 e primo di-rettore dell’Istituto Min-guzzi, nato come centro distudio e di documentazionesulla storia della psichiatriae dell'emarginazione so-ciale. Memorie di trasfor-mazione è un volume

importante, accurato e dacui traspare una passioneper le storie di chi è statoai margini: la terza parteinfatti è dedicata al rac-conto di tre persone chehanno trascorso moltotempo – troppo, sottolineaMigani - nei manicomi diBologna e in quello diImola, luoghi di disumaniz-zazione in attesa di una ri-voluzione che sarebbearrivata solo nel 1978.

«Se uno si cimentasse afrequentare gli archivi in-contrerebbe molte storie diieri utili a comprenderemeglio come evitare di ali-mentare scelte organizza-tive che rischiano diportare un contributo allederive di esclusione socialenei luoghi dedicati alla curadelle persone», nelle paroledi Cinzia Migani (foto in alto).

MEMORIE DI TRASFORMAZIONEStorie d’archivio all’epoca dei socialClaudia D’Eramo

CULTURA

Cinzia Migani, Memorie di trasforma-zione, Negretto Editore (2018)

Quando il vento del 1968inizia a soffiare sull’Italia,il tema del rinnovamentodell’assistenza psichiatrica,amplificato dall’attitudineantiautoritaria del movi-mento studentesco, acquistauna grande visibilità nelnostro Paese. Il manicomioera concepito come luogo dicustodia e il paziente defi-nito come pericoloso «a séo agli altri o di pubblicoscandalo». I fermenti del’68 trovano vivace riflessoall’interno delle mura del-l’ospedale Roncati cheospita oltre 600 pazientitra uomini e donne. Compo-sta da studenti di varie fa-coltà, l’Associazione per lalotta contro le malattiementali collabora ai dibat-titi contro l’“istituzionepsichiatrica autoritaria”promossi da Gian FrancoMinguzzi e Corso Bacchi-lega, e frequenta i repartidell’ospedale animandolicon le proprie idee.Basaglia è a Bologna nel1968 per un incontro conJean-Paul Sartre e con lostorico Vladimir Dedijer,che si tiene nell’Istituto diPsicologia occupato daglistudenti. A invitarli è GianFranco Minguzzi, terapeutae intellettuale, già assi-stente psichiatra al Roncatie all’epoca docente di psi-cologia all’Università di Bo-logna. Il rapporto traBasaglia e Minguzzi prose-gue negli anni, soprattuttodopo la fondazione nel1973 di Pischiatria Demo-cratica, di cui Minguzzi

diviene Segretario nazio-nale. Il gruppo di psichiatripromotori, in buona partereduci dell’esperienza gori-ziana, si pone in questomodo come punto di riferi-mento tecnico in vista dellarealizzazione della riformasanitaria e dell’approva-zione della legge 180. Nel maggio del 1967 vieneindetto un concorso per di-rettore dell’Ospedale psi-chiatrico Roncati e tra i candidati c’è anche Franco Basaglia.

Le sue idee anti-istituzio-nali e la sua «vocazione fi-losofica» preoccupano lacommissione giudicatrice,che in sede di valutazionelo critica. Questo docu-mento inedito è emersograzie al lavoro di ricercanegli archivi pubblici e pri-vati bolognesi, in partico-lare, tra i verbali del 1967inerenti la partecipazionedi Basaglia al concorso perricoprire la carica di diret-tore del Roncati.

IL VENTO DEL SESSANTOTTO Basaglia e i fermenti antiautoritari di Bologna

Maria Letizia Bongiovanni, Valentina Gabusi e Silvia Napoli

CULTURA

da N

on è che l'in

izio: tracce del '6

8 negli archivi bolog

nesi, curata da Mauro M

aggioran

i

1716

I Diavoli Rossi nascono diciannove anni fa per rea-lizzare un’attività riabilita-tiva indirizzata al recuperodelle capacità fisiche e psichiche delle persone condisturbi psichici. Le personeescluse dai normali circuitisportivi non avevano occa-sione di praticare sport eabbiamo voluto creare unmomento sistematico di socializzazione e di praticasportiva, volendo sensibiliz-zare il contesto sociale sultema del disagio mentale e

dell’integrazione delle per-sone con disturbi psichici.Costruire e ricostruire l’au-tonomia e l’autostima, com-battendo lo stigma dellamalattia e dell’emargina-zione attraverso le attivitàdi una polisportiva. I Diavoli Rossi sono opera-tori, utenti, familiari, vo-lontari, amici e sono apertia chiunque abbia voglia dimettersi in gioco. L'attivitàsportiva, per noi operatoripsichiatrici, comporta uncambiamento drastico da

un punto di vista professio-nale: non siamo più in unambulatorio dove i ruolisono ben definiti, ma su uncampo di calcio o in unospogliatoio dove si parla disport o altro, non di far-maci o patologie, e i ruolisono molto meno definiti.Vedere le persone fuori dalcontesto terapeutico offreun'altra visione del disturbopsichico e cambia il nostroruolo di professionisti , mo-dificando il rapporto umanoe il nostro essere operatori.

DARE UN CALCIO ALLO STIGMAMino Di Taranto, coordinatore dei Diavoli Rossi

SOCIETà

RIPRENDERE IL CONTROLLO Antonio Serra, vicepresidente de l’Arco

L’Arco nasce da un’inizia-tiva di Michele Filippi, psi-chiatra in pensione, che hariunito intorno a sé alcuniprofessionisti (psicologi,educatori) e alcuni “pari”,persone, cioè, che hannovissuto per esperienza di-retta la sofferenza dellamalattia mentale e chehanno precedentementemostrato, in vari ambiti, lapropria capacità di relazio-narsi positivamente conpersone che vivono i lorostessi problemi. Sia i professionisti che i pariagiscono, nei percorsi indi-viduali da noi proposti,come facilitatori. L’intentoè quello di ottenere risul-tati più incisivi, grazie al-

l’integrazione tra saperi professionali e saperi espe-rienziali, nel fornire a per-sone che hanno visto lapropria vita bloccarsi, acausa di una malattia psi-chica, degli spunti e deglistrumenti che siano ingrado di consentire loro unaripartenza, nonostante ilpermanere dei sintomi. L’in-tenzione è quindi di creareun’opportunità in cui iprincipi della recovery, lacui validità è da tempo in-ternazionalmente ricono-sciuta, siano applicati inmaniera rigorosa. Nasciamoin completa autonomia rispetto al Dipartimento diSalute Mentale, ma pen-siamo che proprio questa

autonomia, sia pure in unospirito di leale e positivacollaborazione, possa costi-tuire un nostro valore ag-giunto. Le nostre attivitàhanno preso l’avvio solo dapochi mesi, ma i risultatiottenuti finora ci paionogià incoraggianti e ci spin-gono a proseguire per lastrada intrapresa. Oltre aipercorsi individuali, L’Arcopropone una serie di incon-tri aperti a tutti, su argo-menti attinenti i temi cheaffrontiamo, non dei veri epropri corsi, ma dei dialoghiin cui le conoscenze dei facilitatori de l’Arco e leesperienze dei partecipanti,possano fecondarsi vicende-volmente. Nel 2019 prende-ranno l’avvio anche gruppidi approfondimento su par-ticolari argomenti e cheverranno co-progettati eco-gestiti con le personeche ci seguono e che noi se-guiamo.

SENZA PERDERSI NEL BUIOFabio Tolomelli, fondatore della rivista Il Faro

MOLTO PIÙ DI UNA RADIOCristina Lasagni, direttrice di Psicoradio

SOCIetà

La rivista il Faro nasce perorientare le persone che sisono perse nel buio di unasocietà che emargina lepersone per comportamentinon in linea con quelliconsiderati "normali".L'obiettivo del giornale è diutilizzare la scrittura e lalettura per fare emergere,scoprire e riconoscereaspetti della propria perso-nalità e testimoniare allepersone che si sono appenaammalate che è possibilestare meglio o guarire. Il giornale è stato pensatodal dott. Filippi, da miamoglie e da me e ha godutosubito di un forte interesse

da parte di operatori eutenti. Un grazie va a PaoloFacchinetti che ha curato lagrafica fino a che la saluteglielo ha permesso; poi aLucia Luminasi e ConcettaPietrobattista che sono le persone che si sono im-pegnate per salvare la rivi-sta dopo che è decedutoPaolo, anche nominandouna nuova direttrice re-sponsabile, Michela Trigari,e un ingegnere grafico,Marco Balboni. Grazie a loroil giornale è diventato piùespressivo e lo si può ap-prezzare anche su internet.La redazione è formata daun nucleo storico e da al-cuni redattori "satellite" etutti e tutti sono potenzialilettori. La cosa più impor-tante è poter crescere uma-namente capendo che cisono delle difficoltà psico-

logiche che, se condivise,possono facilitare un per-corso di salute attraversouna società più giusta e ri-spettosa. Conoscendo lasofferenza psichica sotto ilprofilo umano si può supe-rare quello che è lo stigma.I tumulti delle onde nelbuio della vita ci disarcio-nano da quelle che sono lenostre sicurezze. Quando misono ammalato ho perso lafacoltà di interpretare cor-rettamente la realtà, diavere un buon umore, diavere una memoria efficacee via di seguito. Però con lecure e con il tempo ora stomeglio ed ho recuperatoqueste facoltà che eranoandate perse. L'importante èavere il faro che ci per-mette di orientarci in salvo.A me... mi ha salvato

Dal 2006 c’è un programmaradiofonico che tutte lesettimane va in onda sutante radio italiane. Le trasmissioni trattanomolti temi: dalla musica allepaure, dal cinema alle dia-gnosi, dal sentire le vociall’etnopsichiatria all’amoreper l’arte. E a parlarne sonopersone che la sofferenzapsichica la conoscono moltobene. C’è un gioco che faccio spesso con i miei col-leghi dell’Università: ascol-tiamo una puntata diPsicoradio, e io spiego chela redazione è formata dapersone con disturbi psi-chici alle quali insegniamo

a fare comunicazione radio-fonica. Tutte le volte, maproprio tutte, qualche col-lega mi ha chiesto: ma i pa-zienti quando iniziano aparlare? E tutte le volte holetto la loro sorpresa,quando ho risposto che i pa-zienti erano le persone cheavevano ascoltato fino adallora, erano quelli che ave-vano fatto le interviste,scelto le musiche, fatto laregia. Chi ascolta Psicoradioè costretto, anche inconsa-pevolmente, a rivedere opi-nioni e pregiudizi, nelmomento in cui si con-

fronta con la professiona-lità, la fantasia, l’origina-lità dei redattori. Nel 2009Psicoradio ha vinto il Pre-mio nazionale Marconicome “migliore progetto dicomunicazione indirizzatoai giovani, in particolare at-traverso la radio”. Primal’avevano vinto Fahrenheit eCaterpillar, di RadioRai 3 e2. Il lavoro culturale suitemi della salute mentaleche Psicoradio svolge fabene a tutti, a chi fa radioe a chi l’ascolta, a chi sa dinon stare bene e a chi crededi essere sano.

1918

E DOPO?Maura Fabbri, Caritas diocesana Bologna

SOCIetà

Il vangelo ci racconta cheGesù ha evitato la lapida-zione dell’adultera, ha impartito una dura lezioneal fariseo Simone su cosasia l’amore, ha liberato“l’indemoniato” di Gerasa.Sì, ma… e dopo?

Se Gesù fosse ripassato daGerasa un anno dopo?

L’ex “indemoniato” sa beneche non ci sarà nulla disemplice per lui nel suo vil-laggio, non a caso chiede aGesù di poterlo seguire, làdove non lo conoscono,dove non sanno niente dilui, dove non c’è pregiudi-zio.Quel “dopo” è il tempo no-stro, quello della Comunitàche può dare spazio e re-spiro a una storia diversa,di cui il “miracolo” non puòessere che l’inizio.

È ventennale il cammino diattenzione di Caritas neiconfronti delle persone conproblemi di salute mentale,soprattutto se senza dimora.Se riavvolgiamo di ven-t’anni il calendario di Bo-logna, troviamo un contestosociale molto diverso. La realtà della “malattiamentale in strada”, comeveniva definita, riguardavain massima parte i cittadiniitaliani, spesso in compre-senza con abuso di alcoole/o di sostanze stupefa-centi, tanto che uno deiquesiti che andava per lamaggiore era lo storico“prima l’uovo o la gallina?”,vale a dire: la dipendenzaha innescato la malattia o

viceversa? La domanda nonci coinvolgeva più di tanto,ci interessava molto capirecome rapportarci con questepersone, come far sentireloro che noi c’eravamo, chela Comunità poteva esserevicina, che la Chiesa nonera lontana, fredda, distac-cata. Come far sì che si sen-tissero meno soli e inutili,se non addirittura fasti-diosi e imbarazzanti, menoai margini, meno figli dinessuno.

Partimmo nel 2003 con unpercorso di formazione or-ganizzato dal prof. Asioli,allora direttore del Diparti-mento di salute mentale diBologna e l’anno dopo conil primo progetto Chi èfuori è fuori?.

Per chi viveva in strada cifu l’inserimento in dormi-torio e l’accesso alla Mensadella Caritas. Tutte le 22persone coinvolte hannoavuto la residenza, 16 hannoottenuto il riconoscimentodell’invalidità civile supe-riore al 75%, 4 hanno otte-nuto la casa popolare, 2sono rientrate in famiglia,tutte sono state seguite dalpunto di vista sanitario emolte hanno mantenutorapporti con le parrocchieaderenti al progetto.

Dal 2010 al 2012 si sonoaggiunte altre parrocchie einserite altre 19 persone.Da allora molte cose sonocambiate, sono tanti anchegli immigrati, in strada enon, a soffrire di disturbimentali.

Si sono aggiunti nuovi pro-getti: l’orto, un fazzolettodi terra di fianco al Semi-nario, con vista sulla città,dove, sotto l’appassionataguida del CEFAL, 12 personetra cui alcune con ancheproblemi mentali, si sonoscoperte capaci di inten-dersi con la terra, i suoitempi, i suoi ritmi.Abbiamo il thè delle tre,uno spazio aperto e liberodove il vissuto di ognunodiventa ricchezza per tutti,

dove, senza giudizi e inter-pretazioni arbitrarie, cia-scuno si sente libero diessere quello che è.E la radio! Non dobbiamosempre essere “voce di chinon ha voce”, a volte dob-biamo solo restituire unavoce che è stata zittita ousurpata. Un giorno al thèabbiamo letto la paraboladel Seminatore e ci siamochiesti che cosa ci azzec-cava con la nostra vita. Micommuove sempre ricordare

la Parola fatta davverocarne e non umiliata a dot-trina. «Tanto per comin-ciare in natura non vasprecato nulla, il seme checade sulla strada non pro-durrà una spiga, ma saràcibo per gli uccellini»

«ah, ma allora anche quelloche non germoglia lo man-geranno i lombrichi che poiconcimeranno il terreno»«è facile fare un bel rac-colto su un terreno arato,

concimato e ben curato, mapensate al valore di unaspiga, anche una sola che,magari piccolina, magari unpo’ bruttina, ma ha avuto ilcoraggio di crescere fra isassi e le spine…» «a pro-posito di terreno, io sono unterreno che la vita ha nonsolo indurito, ma cementato,eppure spero che ci sia sem-pre qualcuno che non sistanca di sprecare seme per-ché non si sa mai…»

La persona nella sua unicitàe totalità, secondo la pro-spettiva cristiana dell’uomoe della vita, è al centro delprogramma riabilitativo chemira, dove possibile, ad unrecupero delle autonomie di base, volendo riattivarerisorse personali e rico-struire, al tempo stesso,quelle reti sociali e fami-liari spesso compromesse acausa dell’esperienza dellamalattia.

La nostra storiaNel 1993 la signora GemmaNanni Costa ha lasciato ineredità all’Opera una gra-

ziosa villetta con l’inten-zione che fosse utilizzataper alleviare la sofferenzadi persone con disturbi psi-chici. Dopo i necessari ade-guamenti architettonici, siè deciso di accoglierviadulti con disagio psicoso-ciale per offrire un am-biente familiare dove potersviluppare le proprie poten-zialità ed essere gradual-mente inseriti in ambientilavorativi adeguati allereali capacità di ciascuno. Attualmente, l’équipe lavoraprevalentemente nella curadella persona, nel favorirel’acquisizione negli ospitidi una consapevolezza ri-guardo alle proprie risorse elimitazioni, e nella curadelle relazioni con le fami-glie di origine.

L’équipeL’équipe formativa è com-posta da una responsabile(psicologa), da altri dueoperatori in possesso dei ti-toli idonei (psicologo ededucatore), da assistenti dibase e referenti per lanotte. Tutta l’équipe oltre

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COMUNITÀ ALLOGGIO PER LA SALUTE MENTALE“GEMMA NANNI COSTA” DI CADRIANO

Le nostre comunità

La Comunità dell’Opera PadreMarella “GemmaNanni” è una comunità alloggioche accoglie adulticon disturbi psichici, spesso associati a dipendenze da uso di sostanze

ad espletare i vari compitia favore degli ospiti, si riu-nisce quindicinalmente perdiscutere dei singoli casi edell’andamento della comu-nità. Gli operatori più qua-lificati conducono gruppicon gli utenti, nei quali sifavorisce l’emergere del vis-suto di ciascuno con anco-raggio sul proprio progettopersonale. Il progetto per-sonale di ciascuno vienequindi elaborato attraversoi colloqui individuali.

AttivitàL’ingresso di nuovi ospitiall’interno della comunitàavviene, di norma, su richie-sta diretta del Centro diSalute Mentale, del Servizioper le Tossicodipendenze oin generale dei servizi pub-blici del Sistema SanitarioNazionale. In qualche caso,sono i privati a richiederel’ingresso in comunità perun loro familiare. Con l’ac-coglienza si avvia il pro-getto individuale dell’ospiteche viene seguito da educa-tori che si occupano di:

Monitoraggio sulle attività relative alla cura della persona

Ascolto attivo e sostegno psicologico

Cura del progetto individuale e del percorso terapeutico in sinergia coi serviziinvianti

Cura delle relazioni coi familiari o persone di riferimento A sinistra la

responsabile Katja Colombo e la sua équipe. A piena pagina alcuni ospiti. Fotografie di Arturo Fornasari

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All’ inizio degli anni Trentaun macabro fatto di cro-naca sconvolse Torino: unaquattordicenne venne tro-vata morta in una zona iso-lata, dopo aver subitoviolenza carnale. Inizialmente si pensò al-l’opera di un uomo adulto,di certo un pervertito, unmaniaco; lo stupore e losgomento pervasero glianimi quando si seppe cheil colpevole, reo confesso,era in realtà un quindi-cenne amico della vittima,corteggiatore respinto, non-ché assiduo frequentatoredella parrocchia.

Don Marella analizzò l’ac-caduto in un breve scrittodi eccezionale modernità,pervenutoci in due versioni,ma mai pubblicato all’epoca.In quelle righe dense dicontenuti Marella attribuìla responsabilità del mi-sfatto non ad un “mostro” oad un malato mentale, masoltanto ad un giovane chenon aveva ricevuto una corretta educazione ses-suale, e la cui educazionecristiana si era limitata alfargli mandare a memoriaprecetti non interiorizzati,inutili per aiutarlo nellosviluppo di un autenticosenso morale.

In quest’analisi ritroviamo icaposaldi della pedagogiamarelliana: la libertà,umana e cristiana, e la re-sponsabilità verso noi stessie verso il prossimo.

Non può essere libero chinon conosce davvero ilbene, come quel ragazzosventurato in preda ad unistinto cui non sapeva,forse, neppure attribuire unnome. Non può essere re-sponsabile chi non consi-dera il prossimo un fratelloo una sorella di cui farsicarico, anziché un mero og-getto di piacere da sfrut-tare per i propri fini.

Cercava il terreno buonodella nostra natura umana,libera da ipocrisie, nelquale porre il seme dellaParola di Dio. La sua spiri-tualità, evangelica e fran-cescana, anelava a questo. Il coraggio di Marella nel-

l’attuare ciò di cui era per-suaso lo portò, negli annigiovanili, a creare con ilfratello Tullio il RicreatorioPopolare di Pellestrina,dove bambini e bambine,insieme, potessero acco-starsi al vero, al bello, albene. Il conformismo delleistituzioni dell’epoca portòa stroncare quella realtà,che oggi giudichiamo profe-tica, e a punire severamenteil suo fondatore. Tanti anni dopo, lo stessocoraggio portò don Marellaa realizzare la Città dei Ra-gazzi di San Lazzaro, dovel’esercizio della libertà edella responsabilità avrebbecondotto ragazzi sfortunatia diventare uomini buoni,leali e produttivi per la so-cietà. Per Marella non esistevano malati mentali oindividui irrecuperabili: esi-stevano soltanto fratelli daaiutare, persone da educare(con rigore, ma anche condolcezza paterna). Anche oggi, la FraternitàCristiana – Opera PadreMarella accoglie, con l’uma-nità e la professionalità deisuoi operatori, persone chespesso portano dentro di séun disagio psichico, un passato di violenza, una di-pendenza: ma nessuna diqueste viene mai giudicatairrecuperabile.

Ciascuno è creato a imma-gine di Dio, e Dio può scri-vere rettamente anche sullenostre righe storte.

DON MARELLA DI FRONTE ALLA MALATTIA MENTALE

Michelangelo Ranuzzi de’ Bianchi

padre marella

Don Marella noncredeva nellostigma della

malattia mentale,allora ritenuta

retaggio inelutta-bile per un buon

numero di infelicida isolare e

rinchiudere: cre-deva nell’educa-

zione e nellosviluppo armonico

della personaumana, da condurre

in un ambito il più possibile

naturale, privo diogni artificiosità

”Archivio fotografico storico FOTOWALL di Walter Breveglieri

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Nicoletta ci dà una mano incucina come aiutocuocanella nostra struttura diSan Lazzaro, il Centro So-ciale Lavoratori: il CSL at-tualmente accoglie moltigiovani stranieri oltre chelavoratori in difficoltà. Ni-coletta ha molto da raccon-tare, la cucina è un buonpunto di osservazione perconoscere una comunità, seuno ha scelto di guardare.Lei racconta ricette. Ricetteche sono incontri e storiedi vita. Nelle sue ricette c'èl'affetto per le persone el'attenzione che ha nelguardarle, c'è la sua fami-glia e la sua storia.«I ragazzi africani sonosempre contenti quandoprepari il riso, mangereb-bero sempre riso... mangianoil riso con le banane, l'hoassaggiato anche io, èbuono. Però bisogna fargliconoscere anche quello chemangiamo qui... Mangianosenza lamentarsi, gli piacela nostra cucina, gli spie-ghiamo cos'è quando lo pre-pariamo. Se proprio non glipiace il primo mangiano ilsecondo o viceversa. Comeloro devono capire noianche noi dobbiamo capireloro, non c'è differenza».«La nostra cucina in comu-nità è molto varia, cuci-niamo quello che ci arrivadalle donazioni... stiamo at-tenti ai ragazzi musulmani,a preparare quello che pos-sono mangiare anche loro.Quando c'è il Ramadan glifacciamo preparare i loropiatti tipici dopo che è ca-

lata la sera, un ragazzo èresponsabile della cucinaper tutti gli altri».

Nicoletta non ha avuto unavita facile, la sua famigliaè di origine calabrese masuo padre stava in Svizzeraed era gravemente malato,spesso doveva andare perdei periodi ad aiutarlo. Haconosciuto l'Opera Marellaquando era giovane e si ètrovata senza soldi e lavoro:qualche buona persona le haindicato di andare a chie-dere aiuto a Padre Gabrielein via del Lavoro e così hafatto, è stata accolta, e nonlo ha mai dimenticato.Nella sua vita ha fattomolti lavori e tirocini, halavorato in albergo o inaltre comunità.

Ora sono tre anni che ciaiuta in cucina con un tiro-cinio ed è contentissima, lacomunità è diventata perlei come una seconda fami-glia, non si tira mai indie-tro per un lavoro e farebbequalsiasi cosa per questi ra-gazzi: «Non hanno bisognosolo di cose materiali maanche di affetto. A voltevedo negli occhi dei ragazzi

la tristezza e riconoscol'esperienza di quando misono trovata in difficoltà. Avolte ho paura per loro, hopaura che non ce la fac-ciano». «Quando c'è uncompleanno o un eventospeciale, faccio una torta...l'ho fatta quando Massimo ètornato dall'operazione al-l'occhio che è andata bene.Una volta ho fatto settechili di fusilli al ferretto,tutti a mano, ci ho messoun giorno intero... i ragazzisono stati molto contenti,mi fanno sempre i compli-menti. Mi dedico molto aloro quando ci sono le feste.Il mio piatto forte è lapasta al forno alla cala-brese».

«Quando sono arrivata quinon sapevo se sarei stataaccettata e voluta bene.Dopo pochi giorni in cucinacon la cuoca Olga mi sonotrovata benissimo, e anchecon tutti gli operatori dellacomunità. Olga mi sta inse-gnando la cucina spagnola.L'altra cuoca invece, Maria,è vietnamita, prepara ipiatti piccanti che agliospiti piacciono molto.Quando le cuoche titolarinon ci sono, cucino io e mifaccio aiutare dai ragazzi. Aforza di correre avanti e in-dietro sono calata ventichili!». «Qui ho trovato lapace, spero di restare sem-pre, voglio dire grazie atutti gli operatori e soprat-tutto a Massimo e a Claudiache saranno sempre nel miocuore».

NICOLETTA, RICETTE DI VITAIncontri e storie in cucinaCarlo Righi

VOLONTARIATO

Quando ho potuto lavorare riuscivoa mantenere il mio

equilibrio, ma senzalavoro mi perdevo

foto di Claudia D’Eramo

2726

Nei corridoi del ProntoSoccorso Sociale c'è viavai -ospiti, bisognosi, benefat-tori, volontari, operatori - ein guardiola il telefonosquilla di continuo. Moltichiamano per donare mobilie altri beni, se è pomeriggiosenti il portinaio che ri-sponde come un disco regi-strato: «Allora, signora,gentilmente, dovrebbe chia-mare domattina, c'è la se-gretaria...». Alla mattinaorganizziamo i ritiri deimobili ed è in questo lavoroche Piero ci aiuta. QuandoPiero ci ha offerto la suadisponibilità come volonta-rio ci siamo sentiti un po'in soggezione. È un medicoveterinario ma per ventitréanni ha lavorato a Bruxellesalla Commissione Europeaoccupandosi prima di con-trollare gli standard di pro-duzione alimentare perstati europei ed extraeuro-pei e poi dell'erogazione deicontributi comunitari inambito agricolo. Cosa pote-vamo proporgli all'altezzadelle sue capacità? Poi, co-noscendolo meglio, abbiamocapito che Piero metteva adisposizione il suo tempocon umiltà e mente aperta,presto è diventato partedella famiglia e ha trovatoil suo ruolo.

Essendo sempre stato moltooccupato, una volta in pen-sione a Piero è sembrato di avere tantissimo tempolibero e ha deciso di impe-gnarlo in modo significa-tivo e arricchente. É di

Bologna e si ricorda ancoral'anziano Padre Marella nelsuo storico angolo, per que-sto si è rivolto all'OperaMarella che conosceva difama. Per un po' ci ha aiu-tati a verificare l'igiene epulizia in cucina e dispensa,ma poi gli abbiamo chiestodi affiancare la nostra se-gretaria in ufficio perché lerichieste dei ritiri mobilipossono diventare piuttostoconcitate. Da due anniPiero ci aiuta, con la suaprecisione e cordialità, duemattine ogni settimana.

«Venire a contatto contante persone ben intenzio-nate e di buon cuore è con-fortante - racconta Piero -e mi permette di conoscereun mondo sociale piuttostovario. Alcuni benefattorihanno appena perso un fa-miliare e desiderano donarei mobili e gli effetti perso-nali che gli appartenevano.Spesso sono persone an-ziane... mi stupisco di comesanno usare le nuove tecno-logie per inviarci le fotodei beni». Piero per primacosa spiega a chi telefona

come funziona il servizio enon solo per quel che ri-guarda l'organizzazione, maanche per le sue finalitàcioè il riuso e il sostegnodelle persone povere.

«A volte le persone richia-mano dopo i ritiri per rin-graziare e complimentarsi –dice Piero – e magari perfare un'offerta... Più rara-mente invece può essercistato qualcosa che non èandato bene e devo acco-gliere una lamentela».

Quando è arrivato qui danoi Piero dice di essere ri-masto sorpreso: sapeva chel'Opera Marella aiutava lepersone in difficoltà, manon si aspettava di trovareun'equipe ampia e formataper assistere e sostenerepersone dalle esperienze divita dolorose e problemati-che. È un contesto com-plesso e Piero è contento difornire il suo servizio ancheperché vede che è ricono-sciuto, soprattutto è statocontento di aver potutopartecipare a momenti diconvivialità organizzati peri volontari.Piero offre il suo volonta-riato anche in altri ambitioltre che all'Opera: dà ripe-tizioni in una scuola mediae svolge varie attività al-l'ANT, offrendo la sua vici-nanza ai malati di tumore.Noi lo ringraziamo del suoprezioso aiuto e speriamoche resti con noi molto alungo.

DA BRUXELLES A PADRE MARELLAIncontri e storie: PieroCarlo Righi

VOLONTARIATO

Sempre di più il periodo natalizio è circon-dato dall’ebbrezza connessa alle feste, davoci e luci che sembrano celebrare più ilconsumo che non nutrire lo spirito. La lunga vigilia appare come un crescentetempo di preoccupazioni e incombenze,dell’effimero e dello spreco, con il con-creto rischio di lasciare in disparte la con-sapevolezza di cosa ci si appresta acelebrare. A Natale, ogni cristiano fa me-moria della venuta del Signore Gesù nel suocuore e nella sua vita. Tutti, cristiani e non, hanno a mente larappresentazione del presepio. Tommaso daCelano, nella biografia di San Francesconota come Vita Prima, rievoca le virtù delsanto la cui «aspirazione più alta, il suodesiderio dominante, la sua volontà piùferma era di osservare perfettamente esempre il santo Vangelo e di imitare fedel-mente con tutta la vigilanza, con tuttol'impegno, con tutto lo slancio dell'animae del cuore la dottrina e gli esempi del Si-gnore nostro Gesù Cristo».

Per questo, apprestandosi a realizzare aGreccio la Natività, voleva «rappresentareil Bambino nato a Betlemme, e in qualchemodo vedere con gli occhi del corpo i di-sagi in cui si è trovato per la mancanzadelle cose necessarie a un neonato, come fuadagiato in una greppia e come giaceva sulfieno tra il bue e l'asinello. Quando arrivòquella notte, uomini e donne arrivano fe-stanti dai casolari della regione, portandociascuno secondo le sue possibilità, ceri efiaccole per illuminare quella notte, nellaquale s'accese splendida nel cielo la Stellache illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto èpredisposto secondo il suo desiderio, ed èraggiante di letizia. Ora si accomoda lagreppia, vi si pone il fieno e si introduconoil bue e l'asinello. In quella scena commo-vente risplende la semplicità evangelica, siloda la povertà, si raccomanda l'umiltà.Greccio è divenuto come una nuova Be-tlemme».

Sono queste, nelle parole del cardinaleGianfranco Ravasi, le tre stelle simbolicheche brillano nella notte del Natale di Gesùed è proprio questa costellazione a farcomprendere quanto il presepio travalichila stessa fede cristiana e diventi un segnouniversale per tutti gli uomini e le donnedal cuore e dalla vita semplice, povera eumile.

Un’altra voce quindi, nel tempo delle feste,non solo è possibile, ma è l’unica testimo-niata dal nostro Signore: la voce dei poveri,dei senza casa, degli esclusi, dei persegui-tati simboleggiati nei presepi all’internodelle nostre case. Nella testimonianza delpresepio si anima la vita, la sofferenza, lamaternità, la gioia, la dolcezza, la paura,l’umiltà, la persecuzione, la carità. Le trestelle della notte del Natale, la semplicitàevangelica, la povertà e l’umiltà, ci ricor-dino il senso profondo del Natale e ci aiu-tino a leggere il mondo e i nostri legamicon tutti gli altri.

Che sia davvero un Santo Natale.

GRECCIO: UNA NUOVA BETLEMMEAuguri di un Santo Natale

Padre Gabriele Digani e Claudia D’Eramo

NATALE

Particolare della Natività di Giotto, Basilica inferiore di San Francesco d’Assisi

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Si può iniziare l’avventuradi una rubrica sotto ilsegno di una pioggia tor-renziale? E delle influenzefamiliari? Pare proprio disì… ma facciamo un passoalla volta.Dopo che la scorsa notte -momento ormai da tempo ilmomento privilegiato perleggere le mie e-mail e perfare tanto altro – ho saputoche la prima consegna perquesta nuova rubrica eraimminente ho pensato dimettermi subito al lavoro lamattina successiva, appenale nostre quattro splendidepesti avessero portato fuoridi casa i loro allegri piediniper andare a scuola (Illusa!).Splendidamente l’allertameteo arancione per ventoforte e temporali è statapuntuale come un orologiosvizzero e nella notte hafatto il suo sporco lavoro: ilcancello di casa era bloc-cato da terra e sassi. Comeuscire con la “supercar” perportare Aurora al controllopediatrico? E poi recuperaretutta la truppa da scuola?Non mi restava che abban-donare l’idea di una mat-tina iniziata in casa alcalduccio, con una bellatazza di orzo fumante, euscire fuori a spalare… sassi.E terra.

Abitare in montagna è unafortuna e abbiamo colto alvolo l’occasione quando ci èstata offerta circa 4 annifa ma… a volte porta con séanche i suoi piccoli svan-taggi, soprattutto se abiti a

Monzuno. Come il vento, adesempio. Ma quanto ventoc’è da queste parti? E letempeste d’acqua che por-tano via terra e sassi comese fossero brustolini (depo-sitandoli davanti al nostrocancello appunto!)? Ne vo-gliamo parlare? Quindi hopassato così le prime oredella mia giornata oggi:sotto una dolcissima (e ge-lida!) - pioggerellina autun-nale. Ma scusate! Non misono ancora presentata, eh,controindicazione delloscrivere di notte, ci si perdein mille pensieri! Dicevo,dunque, sono Rita, ho quasi42 anni e vivo con la miafamiglia in una bellissimacasina dal tetto a puntasulle colline bolognesi.Cosa? Non si dice l’età dellesignore? Innanzitutto ionon sono una semplice “si-gnora” ma una mamma 4x4…e quando prendi lo status dimamma tutti gli altri se nevanno a far benedire! E poisono stata io a rivelarmiperché vado molto fiera deimiei anni.

La nostra è una famiglianormale. O quasi. Io ed Igor abbiamo 4 figlie,femmine. Dai, ditelo anchevoi: “A quando il maschio?”.Originalissima domanda checredo ci sentiremo fare finoa che non saremo così de-crepiti che la decenza invi-terà al silenzio. “Loro” (Sofia Stella, Alice,Aurora e Carlotta) sono le nostre 4 meravigliose prin-cipesse, vivaci, divertenti e

terribili piccole donne didue, quattro, cinque e noveanni, e non potremmo dav-vero desiderare altro.Troppo romantica? Direi dino, è davvero così e sonocerta che anche Igor (miomarito) vi direbbe lo stessose aveste occasione di par-lare con lui! E spontanea-mente, giuro, non sottotortura, perché è un uomodavvero originale ed è perquesto che l’ho sposato!!! Viracconterò di lui, prometto.Ovviamente 4 figli nonsono solo romanticismo. Loavevate già intuito? Geniali,mi siete già simpatici!

Nel pacchetto baci & coc-cole sono compresi strilli,corse pazze, notti insonni ealzatacce, capelli dritti, la-vatrici, pipì in autostrada,pupù radioattive, dentiniche spuntano e dentini checadono, fantasia in cucina(che nemmeno a Master-chef…) e poi scuole, inse-gnanti, amichetti, casesottosopra, pulizie not-turne… avete da aggiungere?Da cosa volete che parta?Sono certa di trovare moltasolidarietà, attorno a me!Ad esempio, cominciamo daQUESTA notte. (Ma davverovi interessano i fatti miei?)È un lunedì sera e ioSOGNO una settimana dimattine “libere” dove farefinalmente tante delle coseche ho in agenda (tra cuidare un senso al primo nu-

UNA FAMIGLIA NORMALE. O QUASIRita De Caris

MAMMA 4x4 mero di questa rubrica perconsegnarla in tempo!). Ehno cara Rita, troppo facile!Se dico Gastroenterite, im-magino di non dover ag-giungere molto. No, non lamia.. peggio, quella di Au-rora, la nostra biondina di5 anni!

«Mamma, ho mal di gola»mi dice …. E io penso: eccol’anticamera di una bellaserata. «Tesoro, ora pro-viamo a cenare e poi ve-diamo come far passare ilmal di gola, vedrai che ci

riusciamo!» le rispondo,sperando di trovare veloce-mente una soluzione.

Igor è a Recanati a racco-gliere le olive con suo padree non rientrerà prima digiovedì. Sofia Stella - lapiù piccola e pestifera dellabanda – è su di giri per l’as-senza del papà e della so-rellina Alice (4 anni, che èvoluta rimanere dai nonniqualche giorno in più) e sta

saltando sul divano con ilsederino all’aria e quei suoiboccoli rossi indomabili chefluttuano inesorabili men-tre io la rincorro inutil-mente per tentare di finiredi metterle il pigiama...«Sofiiiiii»!!! Riesco, final-mente e… il mal di gola diAurora si trasforma in un:«Mamma ho il vomitooooo-ooo!».

Sorvolo sul proseguo dellaserata. So solo che ho spa-recchiato a tarda nottedopo aver collocato la mia

biondina nel suo lettinocon una bacinella accanto,sapendo che presto sarebbeservita, una, due, tre, quat-tro volte, ahimè.Ma il sonno arriva ancheper lei e dopo un’ennesimainterruzione per uno strillodi Sofia che voleva raggiun-germi nel lettone, ecco cheil torpore arriva anche perme. E buonanott…No, ma anche il cane no!Camillo? Lui dorme sempre

tranquillo e beato di sopra,in soggiorno, sul divano.Sempre. E con mia sommainvidia! Cosa gli succedeora? Ma proprio STANOTTEha deciso che doveva cer-care affetto e attenzione?Ebbene sì, il bassottinonero, mascotte delle nostrefiglie, sente anche lui l’as-senza di Igor. E ha paura…piange, anzi mugola in cimaalle scale perché io vada aprenderlo per portarlo giùcon noi! Resisto. Anzi, lominaccio e resisto. Ma lui“%&*!£” (non posso scriverela parola che ho pensato) micolpisce sul lato vulnera-bile… inizia ad abbaiare, inmodo costante, martellante,e sa che non gli permetteròdi svegliare i tre dolci an-gioletti che finalmente sisono addormentati!

Così, contro voglia (e controcoscienza!) salgo, gli apro elo porto in camera, desti-nandogli un asciugamanocome cuccia. Notte Camil-lone, anche a te.Non ci credo, ho davveroiniziato a raccontarvi ifatti miei! Una normalitàspiazzante e intrisa sempli-cemente di quei soliti im-previsti che chissà quantevolte avrete vissuto sullavostra pelle.Però raccontarli è catartico,fa ridere anche me quandorileggo, e aiuta a sdramma-tizzare.Ecco, forse un senso questapagina ce l’ha allora, seaiuta prima di tutto me aprendere meno sul serio ledisavventure di tutti igiorni e a farle diventareun racconto che possa anchefarmi ridere! Magari potròpure trasformarle in storieper le mie figlie un giorno!Ok allora ci sto.

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Lo scorso 5 ottobre Bologna si è ritrovatapiù sola; a quarant’anni dalla nascita dellasua creatura, l’Associazione Nazionale Tumori, poi divenuta Fondazione ANT, èmorto il professor Franco Pannuti. Il suosogno, trasformato in realtà dalla sua te-nacia, era garantire un’assistenza domici-liare gratuita alle persone che stavanoattraversando la dolorosa esperienza deltumore: tanto ai malati quanto ai loro familiari, provati dal dolore e dalle preoc-cupazioni. I malati infatti devono avereuna dignità e non possono essere lasciati

soli, potendo scegliere di vivere il momentodella malattia a casa propria, circondatidall’affetto della propria famiglia, masenza rinunciare a un’assistenza medica especialistica. Questa intuizione è stata digrande conforto per decine di migliaia dipersone in questi lunghi 40 anni. «Eubiosia» augurava sempre Pannuti e au-gura tuttora la sua ANT, dal greco anticola buona vita, perché «la dignità della vitasia preservata in ogni delicata fase dellamalattia e sino all’ultimo istante di vita».E anche oltre.

IN RICORDO

Maria Adamo 1946-2018Il primo settembre ci ha lasciati una donna speciale, unadonna determinata che ha trasformato le difficoltà che lavita le ha fatto affrontare in straordinarie battaglie perun pieno diritto di cittadinanza. Le sue battaglie per l’ab-battimento delle barriere architettoniche hanno consentitoa molti di poter finalmente avere accesso a luoghi pubblicie privati quale diritto di ogni cittadino. Una donna di profonda fede, di grande preparazione, un simbolo di unastagione memorabile di volontariato e solidarietà.

Franco Pannuti1932-2018

IN RICORDO

Nata a Cavallino di Veneziail 9 novembre 1916 in unafamiglia di sei sorelle e seifratelli. Responsabile dellacasa di Padre Marella “allaTombetta” di S. Matteodella Decima durante i difficili anni del dopo-guerra, ha prestato servizioall’ospedale Selva dei Pinidi Modena. Suor Teresa, con il benestare di Padre Ma-rella e l’aiuto dei suoi nu-merosi bambini, spigolònelle prime ore mattutine icampi di grano alla Tom-betta, e con il ricavato siriuscirono a pagare le spesedi viaggio per la gita estivadi tre giorni a Venezia pertutti, ospiti della sua fami-glia Ballarin nella fattoriadi campagna. Le notti passate nel casonedi legno coricati sulla pa-glia, nell’entusiasmo gene-rale di poter vedere il mare,alcuni per la prima volta, edi andare al cinema vec-chio della laguna del Caval-lino.

Per molti anni in sella allasua bicicletta per racco-gliere l’elemosina che ser-viva a sostenere i suoi 50bimbi ospiti. Una pioniera,una delle prime donne aviaggiare in Lambretta e su-bito dopo con la sua mac-china Prinz.

Ha guidato anche per lesuore Imeldine fino alla ve-neranda età di 94 anni eancora al 98° anno di vene-randa età sfrecciava con lasua bicicletta elettrica.Dagli scritti di Emilia Car-lotta Ballarin, suor Teresa:«Nel mio paese di Cavallinoin provincia di Venezia, in-contrai a 25 anni suor Gia-cinta, la quale mi invitò adandare con lei da Padre Ma-rella come suora.Ci pensai,e mi feci poi accompagnarea Bologna in via San Ma-molo 23, casa di Padre Ma-rella dove c’era anche suorImeldina. Erano gli annidel dopoguerra, fui gioiosa-mente accolta e vestitacome suora di Marella, edandai con Ida Panigoni aCento di Ferrara alla casadella Tombetta; mi trovaicosì con suor Iolanda e 50bambini da accudire. Il la-voro non mancava, la casaera senza luce e senza acquacorrente, c’era solo un pozzonelle vicinanze. Negli anni‘50 Padre Marella ci accom-pagnò a Roma e da PadrePio con due corriere. In seguito rimasi con 35

bambini, quelli più grandiandarono a Bologna. Moltigiorni non sapevamo cometirare avanti, e per trovarevestiario e viveri facevoquotidianamente 15 km conla bicicletta mosquito, ilmacellaio ci regalava sem-pre qualche cosa, mentre laconsorella rimaneva a casaa badare i bambini. Dopo 7anni di lavoro lasciail’Opera per motivi di salute,ma il Padre disse che sareistata sempre ben accolta:c’era sempre bisogno di col-laborazione».

Suor Carlotta “Emilia Ballarin” 1916-2018Mauro Nobilini

Suor Carlotta e i suoi bimbi alla Tombetta

Essere educatori oggi è cosapiù difficile e impegnativadi una volta. Infatti lamentalità corrente è pro-prio quella descritta nelladomanda che tu mi ha fatto.Un genitore oggi per essereun buon educatore deve an-dare contro corrente espesso sentirsi isolato, senon addirittura deriso ocriticato. Ma la cosa piùpreoccupante è quella dicostatare che questa menta-lità lassista e permissiva èpraticata, tollerata, per nondire inculcata, da molti in-segnanti, da coloro cioè chedovrebbero essere modelli dieducazione. Il rapporto in-segnanti – genitori spessonon esiste, e a volte è addi-rittura conflittuale. Educarecosta fatica, dire dei nocomporta spesso delle rea-zioni alle quali bisognadare risposte e atteggia-menti faticosi con conse-guenti perdite di tempo.Adeguarsi all'andazzo gene-rale, sottovalutare i pro-blemi, rinviare sempre nella

speranza che il tempo ag-giusti le cose, è un modopericoloso e sbagliato chespesso ci fa trovare difronte a situazioni talmentedegenerate da non esserepiù curabili. Come sacerdotemi sento di dire, con tuttasincerità e franchezza, chela religiosità e di conse-guenza la moralità è scesa aun livello così basso, a unlivello di materialismo etolleranza così accentuati,da far pensare a un pagane-simo di ritorno. Sotterrandoi valori morali che tengonoa freno le nostre debolezze

emergono sempre più conviolenza le passioni piùistintive che spingono afare tutto ciò che costameno fatica, procura piacerie soddisfazioni immediate.Mi rendo conto di non averdetto molto per arrestarequesto preoccupante feno-meno, mi auguro tuttaviache i giovani, con la lorointelligenza e desiderio dibene, siano loro stessi adimboccare la strada alterna-tiva che porta ad una vitapiù dignitosa.

Risponde Padre Gabriele Digani(direttore della Fraternità Cristiana Opera di Padre Marella)

LETTERA AL PADRE

Caro Padre, guardando la

televisione ieri sera mi è sorta una riflessione. Se qual-

cuno - una maestra, l'allenatore di cal-cio, un amico – prendesse da parte miofiglio e cercasse di insegnarli dei prin-cipi sbagliati, mi opporrei con forza ecercherei di allontanare questa “cattivacompagnia”. Ad esempio mi opporrei sequesto qualcuno cercasse di convincerloche deve sempre avere paura del giudi-

zio altrui, o che ciò che conta nella vitaè avere soldi e cose costose, o che è più facile sistemarsi con una vincita all'enalotto piuttosto che lavorandosodo, oppure ancora che per sentirsi aposto bisogna conformarsi agli altri.Questi però sono alcuni dei messaggicon cui le pubblicità ci martellano incontinuazione senza che a nessuno sembri un problema o faccia qualcosaper difendere le giovani menti. Cosa ne pensa?

Un genitore preoccupato

Padre Gabriele Digani

www.operapadremarella.it [email protected] 051.6255070