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IL CAMMINO DELLA VITA

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Presentando il diario scritto di Roberto Malacart dopo il suo terzo pellegrinaggio in terra di Spagna, a Santiago de Compostela e tradotto in un elegante libro, diffuso nella natia San Vito al Tagliamento e a Porcia dove risiede, osservai come “Camino“ che aveva incominciato a Saint Jean Pied de Port nel 2004 non era ancora concluso nella spettacolare cattedrale di Spagna dedicata all’apostolo Giacomo, che pure l’aveva affascinato. Non era la sognata e agognata “città del Sole”, dove l’avrebbe trovato risposta ai tanti misteri che affo l-lano la mente sin dalla sua comparsa sulla Terra milioni di anni fa: quello dell’esistenza di un Dio crea-tore della vita e della morte, quello del bene e del male. Era probabile un “replay” dell’esperienza, puntualmente arrivata nel 2014, dopo quelle del 2004 e del 2011. Stavolta, Roberto ha scelto il “Cammino del Nord”, che si sviluppa su un tracciato che da un lato si spalanca nella vastità e severità dell’oceano Atlantico e dall’altro in colline verdissime ricoperte di fore-ste di eccezionale bellezza, che precipitano direttamente sulle spiagge, punteggiato da cittadine, chiese, monasteri e grandi croci di pietra che marcano gli incroci di strade e sentieri: scenari da fiaba, che co-stringono i pellegrini a sostare per rimirarli. A più riprese Roberto si sofferma a descrivere questi ambienti incredibili, la cui bellezza il lettore può comprendere ammirando le belle immagini che corredano questo piccolo diario con il consueto pudore, riporta le emozioni e le sensazioni suscitate dall’ambiente, dall’osservazione e dal contatto con i compa-gni di viaggio, troppo spesso dimentichi del senso “penitenziale” del Cammino, più presente, a suo av-viso, in quello francese, riscoperto quando i due tracciati, in prossimità di Santiago de Compostela, si fondono. Mi è piaciuto l’ultima pagina del diario: quando, arrivato davanti alla Cattedrale, nella quale (pur sempre magnifica) non è entrato pur desiderandolo, cosciente che “la città del Sole” era altra, comunque da raggiungere. Non ho dubbi che finirà per scoprirla! Lo fa pensare il richiamo finale: “So che la mia ricerca della Fede proseguirà, forse in un altro pellegri-naggio, magari verso Roma in occasione del Giubileo annunciato da Papa Francesco”. Giuseppe Griffoni

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IL CAMMINO DELLA VITA

Dedico quest’ultima mia avventura agli amici archivisti, esortandoli a cercare le radici della loro storia in quelle del centenario Tulipifero di Porcia.

Questa narrazione è la sintesi dei pellegrinaggi da me effettuati a Santiago de Compostela nel 2004,

2011 e nel terzo del 2014.

La scintilla è scattata nel 1980 quando ho avuto i primi approcci con la ricca storia del Cattolicesimo e

segnatamente, con la diffusa pratica del pellegrinaggio. Nell’occasione mi accostai anche ai numerosi

“Camini” che, da secoli, percorrono milioni di persone, soprattutto da tutta Europa, non necessaria-

mente credenti e praticanti, per raggiungere in terra di Spagna, il santuario di Santiago de Compostela.

Poi, con l’approccio alla ricca letteratura esistente, l’argomento si rivelò più appassionante di quanto

prevedessi, al punto da indurmi ad ampliare la ricerca anche ad altri importanti pellegrinaggi, per primi

quelli che hanno per meta Roma e Gerusalemme.

Allora non mi sfiorò nemmeno l’idea di affrontare un’avventura così estranea al mio modo di vivere e

di pensare, anche se in diverse occasioni mi sono cimentato (diciamo così) in imprese un po’ fuori

dell’ordinario.

Dovevano passare due decenni prima che l’argomento tornasse d’attualità, quando, al rientro in Italia

dall’estero, trovai alcune difficoltà a calarmi nella tranquilla routine di Porcia, un ambiente meno moti-

vato e dinamico di quanto mi attendessi.

Mi sentivo ancora forte e desideroso di reinserirmi in una comunità capace di apprezzare la mia volontà

di sentirmi vivo, dialogare, relazionarmi, rendendomi utile, insomma di crescere “insieme”.

Ma non avevo preso in considerazione la rilevanza dell’impatto che avrebbe avuto il repentino cambia-

mento del modello di vita che mi ero costruito, nel ventennio all’estero, in terre lontane abitate da gente

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di razza, lingua, cultura, usi e costumi ben diversi da quello che, da pensionato, avrei trovato al ritorno a

casa.

Impatto che, purtroppo, c’è stato, quando ho ben presto constatato con una certa amarezza quanto

lunghe e noiose fossero le giornate trascorse negli angusti spazi di una bella cittadina di provincia, che

respira tanto medioevo con l’elegante, settecentesca dimora estiva dei Correr-Dolfin e l’imponente ca-

stello dei principi di Porcia, le strade troppo spesso deserte, i bar grigio rifugio quotidiano di anziani

spossati che hanno ben poco da scambiare. Ben presto capii che un’esistenza così piatta mi deprimeva e

impoveriva.

Avevo bisogno di riflettere, di pormi alcune domande che mi vagavano da tempo nel cervello, che ave-

vano bisogno di precisarci e pretendere una risposta definitiva, senza se e senza ma. Mi calai quindi

nell’abito del pellegrino recandomi a Santiago de Compostela.

“Ci andrò! Decisi e subito cercai di vedermi in tale impresa. “Sono ancora forte – pensai - e non

m’impauriscono, di certo, gli 800 Km. da percorrere a piedi, anche su percorsi accidentati, come deb-

bono essere quelli dei pellegrinaggi. Mi allenerò in modo adeguato e se lo hanno fatto, nei secoli, milio-

ni di persone in condizioni ben più scomode di quelle dei pellegrini d’oggi, perché non dovrei riuscirci

io? In questo modo di ragionare, scoprii il Roberto di sempre: battagliero, agonista, testardo, pronto a

confrontarsi con altre difficoltà.

Correva l’anno di grazia 2004 e, armato di tante buone intenzioni, prima fra tutte quella di verificare, sul

campo (e non solo a parole), in quali condizioni fisiche mi trovavo, affrontai l’avventura.

2004 - Il Cammino interrotto Il “Camino” da me scelto, è stato quello “Francese” che muove da Saint Jean Pied de Port e si sviluppa

in una trentina di tappe e 800 chilometri circa per concludersi a Santiago de Compostela attraverso terre

sconosciute e un tracciato che non sapevo quanto segnalato, quanto frequentato e quale grado di diffi-

coltà comportasse. Percorrerlo fino in fondo, ne ero certo, avrebbe consolidato la mia convinzione di

stare bene, di essere ancora “in gamba”: una sfida da vincere.

Dopo aver camminato per oltre 300 chilometri e, soprattutto, quando, in modo del tutto inatteso, fui

bloccato da un problema fisico provocato da una brutta escoriazione alla gamba destra subita molti an-

ni addietro, fui costretto a gettare la spugna, verificai la saggezza del proverbio che ammonisce di non

mettere mai il carro davanti ai buoi.

Il mio fu un abbandono rabbioso e dopo aver raggiunto comunque in pullman, Santiago de Composte-

la, mi ripromisi che ci sarei tornato. Per me, si trattava di un punto d’onore non essendo abituato a la-

sciare le cose a metà. Le sconfitte non mi sono mai piaciute.

Più tardi a mente fredda, ripensando a quanto era accaduto in quei giorni, giudicai l’inedita esperienza

comunque positiva: avevo incominciato a conoscere la Spagna, la sua storia, la sua arte, la sua cultura, la

sua gente, ma, soprattutto, ad apprezzare il fascino di parole come silenzio, solitudine, riflessione, condivisione

e, altre attinenti la sfera della spiritualità, sul cui significato e dimensione non ero mai soffermato ma che,

intuivo stimolanti e, forse, in grado di darmi risposte alle domande che mi turbano la mente e il cuore,

che m’arrovello cercando e mai trovando risposte adeguate.

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Ero giunto, insomma, davanti ad una porta, che dovevo aprire per vedere che cosa custodisse di tanto

prezioso: poteva essere soltanto un luogo bello e incredibile come la cattedrale di Compostela, ma an-

che qualcosa d’altro di più grande, a me del tutto ignoto. Solo più tardi ho capito che si trattava di un

“passo” che ogni essere umano finisce col compiere quando la parola vecchiaia, bussa anche alla sua

porta.

In quest’ottica si spiega la mia attesa - durata sette, lunghi anni - di completare il Camino interrotto.

Stavolta dovevo affrontare l’avventura con meno presunzione e più umiltà: indossare i panni del pelle-

grino che non fa domande, cammina fiducioso e sereno, certo che, alla fine, la sua fatica sarà ripagata.

Volevo percepire le emozioni e le sensazioni che lui, il pellegrino come tanti altri, provava lungo il per-

corso.

Mi chiedevo se sarei ritornato per cercare la verità, o per conoscere soltanto un’altra parte di quel mera-

viglioso “Eden” che è il pianeta terra, dove un’intelligenza superiore ha deciso di collocare la specie

umana.

Avrei trovato - attraverso la via del “Camino” - una redenzione da un Male che non capisco come si

giustifichi soltanto perchè alternativo al Bene? E come distinguerne i confini, il bagnasciuga che li sepa-

ra e distingue? Domande, domande e ancora domande!. Ma è possibile che la vita sia un rompicapo,

che la mente umana non riesce, né riuscirà mai a concepire? E la pace, agognata da sempre, dov’è, dove

trovarla?

2011 - La Cattedrale e la Fede Stavolta non ho fallito il bersaglio: sono giunto a Santiago di Compostela 7 anni più tardi, ma sempre in

tempo. L’avevo promesso e ho mantenuto la parola. Non basta: ho voluto descrivere quest’esperienza

in un libro che si proponeva di rendere partecipi parenti e amici e magari di stuzzicarne la curiosità, in-

ducendoli a viverla di persona. Ringrazio, comunque, quanti mi hanno dedicato qualche attenzione e mi

chiedo: “Che cosa è rimasto vivo nel mio animo di questo secondo Camino?”

Rispondo: prima di tutto l’atmosfera di mistero che ho sentito aleggiare dentro e fuori la Cattedrale di

Santiago, già nel primo approccio, viepiù rinvigorito e convincente stavolta e che, lungi dallo spaventa-

re, mi ha inviato alla riflessione, all’analisi e alla preghiera. In secondo luogo il forte invito a meditare,

nell’ottica della visione cristiana, sul mistero della vita e sulla missione dell’uomo in questo pianeta

sperduto nell’universo. Nella Cattedrale di Santiago ho appoggiato le mani sulla statua d’argento di San

Giacomo rispettando la tradizione che vuole l’abbraccio dei fedeli. Poi ho sostato davanti all’urna, sot-

tostante l’altare che contiene i resti mortali dell’apostolo, e ho pensato intensamente ai miei cari. Un ge-

sto suggeritomi dal clima mistico del luogo o soltanto dal fatto che nessuno poteva vedermi inginoc-

chiato?

I teologi dicono che la fede è una grazia: se è così perché Dio la dona a pochi privilegiati che invidio?

Stavolta in me si è accesa davvero la scintilla della Fede ? Non credo, ma continuerò a cercarla, ne sono

certo.

L’esperienza del pellegrinaggio a Santiago mi ha anche sensibilizzato sul fascino e sulla magia che i sim-

boli di cui la fede si avvale (cattedrali, chiese, oratori, conventi, monasteri, ospizi) esercitano soprattutto

sugli increduli e gli scettici.

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Non è un caso che nella cultura occidentale l’arte in tutte le sue forme, abbia trovato un costante riferi-

mento all’ispirazione religiosa, riuscendo, laddove fino ad oggi nessuno è riuscito, a seriamente mediare

fra cervello e cuore, fra ragione e sentimento.

Non riesco ad entrare nella dialettica della fede cristiana della sua complessa teologia. L’osservo con ri-

spetto e in silenzio. Però mi manca un segnale, che non pretendo arrivi perché non ho il diritto di sco-

modare un Dio che mi ha dato il privilegio della ragione, lasciandomi libero di scegliere la vita che vo-

glio.

2014 - Il Camino del Nord Stavolta per raggiungere Santiago ho scelto il Cammino del Nord, che si sviluppa in un ambiente di

spettacolare bellezza con la scoscesa costa atlantica da un lato e un succedersi di colline, boschi, rocce

dall’altro, da Irùn ad Arzùa, dove incrocia il Cammino Francese lungo il quale si procede fino a Santia-

go de Compostela.

Avevo programmato questa nuova avventura per il 2013, ma, all’ultimo minuto per ragioni di famiglia,

ho dovuto rinunciare, bruciando così un’accurata preparazione atletica e psicologica protrattasi per

quattro mesi, nel rispetto delle 67 primavere che mi porto sulle spalle.

In questo nuovo percorso mi sono sentito più spiritualmente motivato. La Cattedrale di Santiago Com-

postela non la vedevo solo come un’opera d’arte, da ammirare per l’austerità delle linee, la sontuosità

dell’apparato, il fascino dei riti, ma qualcosa di più: il coronamento di una ricerca lunga e difficile, talvol-

ta affannosa di una fede consolatoria, poco importa se cristiana, mussulmana, buddista, induista o pa-

gana, in grado d’infondere fiducia, sicurezza, pace e, soprattutto, gioia di vivere, per vivere. Ho deciso

anche di insistere sull’ aspetto “penitenziale” che il pellegrinaggio postula, imponendomi, lungo tutto il

Camino un comportamento spartano, sobrio, privilegiando gli alberghi per i pellegrini, agli alberghi, ri-

velatosi utile sia al portafoglio, sia alla salute.

E non ho rinunciato ad ammirare, il variegato, stupendo spettacolo offerto, in ogni tratto del Camino

del Nord, da una Natura che non esita a esibire tutta la sua straordinaria bellezza lungo una costa fra-

stagliatissima, punteggiata da immense spiagge, orizzonti infiniti, boschi densi e profumati, che coprono

intere colline e all’improvviso rovinano sull’immenso Oceano, che, tenace t’insegue da Irùn a Santiago.

E i pellegrini? Anche a loro ho dedicato una particolare attenzione, soprattutto ai più scalcinati, in diffi-

coltà, bisognosi d’aiuto. Ho camminato con loro in modo discontinuo, talvolta per brevi tratti, altri

giorni interi per smarrirli d’un tratto, ritrovarli e perderli nuovamente, con una sola speranza di rivederli

a Santiago, la meta di tutti.

Non mi è piaciuta l’eccessiva presenza di pseudo pellegrini - turisti, curiosi, giovinastri spinellari - , che con

il loro comportamento sfacciato, irriverente e talvolta, irridente hanno turbato la “sacralità” del pelle-

grinaggio.

Mi giunge spontaneo pensare anche alla poesia Trenta passi, che ho composto: innanzitutto non avrei

mai immaginato di fare (tra virgolette) il poeta, dopo tante esperienze da girovago per il mondo con uno

stile di vita trasgressivo, però mai banale. Riporto la parte finale di questa poesia che ha toccato il cuore

di un pellegrino: domani e ancora domani, perché tanta voglia di vita? Perché ricercare, studiare, annotare per non di-

menticare nulla, perché questo assillo? Perché non dare un colpo di spugna? Perché non cercare luoghi lontani: pacifici, as-

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solati, melodiosi, amorosi? È stato ascoltando i miei lunghi silenzi nei lunghi di culto, che ho chiarito alcuni

aspetti della mia vita, prima a me sconosciuti. Sarebbe possibile e vedere il mio futuro prossimo con un

volto più sereno e diverso ?

Piccola cronaca del terzo Cammino

In aereo dall’Italia alla Spagna Era l’8 settembre, il giorno d’avvio del terzo viaggio per la Spagna. La partenza dell’aereo è avvenuta

dall’aeroporto di Tessera (Venezia) ove sono giunto in automobile accompagnato da mio fratello Rovi-

glio, che, assieme ad una persona di fiducia, assisterà l’anziana nostra madre nella mia abitazione di Ro-

rai Piccolo, nei quaranta giorni di mia assenza. Insieme abbiamo predisposto tutto per bene, anche i

contatti telefonici. Dal canto mio ho preso accurata nota dell’incarico datomi da zia Felicina, che pro-

prio oggi festeggia il compleanno, di ordinare una messa nella Cattedrale di Santiago de Compostela per

le famiglie Malacart, Pegoraro e Garlatti legate fra loro da vincoli di parentela. Di proposito, invece, non

ho preparato la lista delle persone alle quali, al rientro da ogni viaggio, ero abituato a portare un regali-

no: stavolta non lo farò non per taccagneria, ma per coerenza col regime spartano al quale ho deciso di

improntare il mio terzo pellegrinaggio in terra di Spagna. Senza intoppi dopo una sosta tecnica a Ma-

drid, il volo aereo si è concluso a Santander, da dove ho proseguito in taxi per Irùn all’albergo dei pelle-

grini ho fatto le prime conoscenze: l’ungherese Ana, il portoghese Jorge, di 76 anni, un marciatore di

razza nel cui curriculum figurano escursioni annuali ultima delle quali un’impegnativa traversata della

Francia da Maastrich (in Belgio) ad Arlès, il francese Gerard e, ancora, un russo, un polacco, un greco e

un altro portoghese con i quali mi sono inteso un po’ a parole e molto a gesti. Come in altre circostan-

ze, mi è stato d’aiuto la predisposizione per le lingue ed in particolare quelle latine, acquisita nei molti

anni di lavoro all’estero.

Durante la notte ho sperimentato la difficoltà di dormire in una camera condivisa con altri pellegrini

russatori.

La partenza da Irùn Da Irùn sono partito presto e da solo. Mi attendevano 29 chilometri e, subito, ho avuto qualche diffi-

coltà a trovare il luogo della partenza, per la scarsa segnalazione del tracciato nel centro urbano. Il pri-

mo obiettivo è stato il santuario de Guadalupe su un colle che offre un bel panorama della costa france-

se e degli abitati di Irùn ed Hendaye.

Qui ho ritrovato alcuni amici incontrati la sera prima: Jorge, Ana, Gerard e con loro ho proseguito il

cammino, non senza aver rilevato come il sagrato del tempio fosse ingombro d’immondizie, lattine e

cartacce, lasciate probabilmente da pellegrini o turisti poco educati.

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Nella successiva discesa, at-

traverso vicoli scoscesi,

stradine in cemento, la tra-

versata in barca di un breve

tratto di mare, il lungomare

e una ripida scalinata, ab-

biano raggiunto il faro a Pa-

saje de San Juan. Dall’alto

abbiamo salutato il giovane

russo conosciuto la sera precedente che stava facendo il bagno in

mare, un personaggio interessante, sportivo, poliglotta e indipendente.

Abbiamo quindi percorso sentieri poco segnalati e faticato nell’intrico di un fin troppo lussureggiante

bosco, a trovare il sentiero

che ci ha condotto alle prime

case di San Sebastiàn e a un

modesto albergo per pelle-

grini, più simile a un dormi-

torio, sistemato com’era in

una ex scuola. Nessuno ha

badato alla modestia della

struttura e dell’accoglienza.

Attraverso Orio a Getaria Partenza col mio piccolo gruppetto alle 8 per arrivare a Getaria dopo 25 Km: la giornata è bella e il tra-

gitto ben segnalato, talvolta facile talaltro impegnativo per il brusco impennarsi del sentiero che sulla

destra offre le magnifiche vedute delle scogliere dell’oceano Atlantico e sulla sinistra, le colline verdis-

sime e sullo sfondo il profilo azzurro delle montagne.

A Orio abbiamo ammirato l’eremo romanico di San Martìn de Tours (il santo del mantello) e la chiesa

dedicata a San Nicola di Bari circondata da un porticato dove, nei secoli scorsi, riposavano i pellegrini.

Il luminoso ambiente ha suggerito una breve sosta utilizzata per un doveroso spuntino. Attraverso un

succedersi costante di saliscendi e boschi siamo arrivati a Getaria, un paese marinaro, patria di Sebastian

Escano, il pilota di Magellano.

Il giorno dopo siamo partiti

presto verso Deba, distante

28 chilometri cercando di

evitare di perderci tra i

campi e rallentare così la

marcia. Superata Zumaia,

un borgo medioevale con

una bella spiaggia, abbiamo

proseguito per stradine tra

Spiaggia a San Sebastian

Albergo di Getaria

I segnali sono stati cancellati con la vernice nera

L’arcobaleno di buon auspicio

Nella boscaglia in cerca dei segnali

Pasaje San Pedro

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colline, ruscelli e sottobosco.

Durante una sosta in un bar nei pressi della meta, ho conosciuto due finlandesi che avevano fatto “La

marcialonga” in Trentino, che è la più importante e famosa competizione di sci di fondo. Si parte da

Moena per arrivare a Cavalese dopo aver percorso 70 chilometri; poi abbiamo anche conversato su

quest’ultima esperienza nel Cammino. Intanto il tempo era cambiato e ben presto ha incominciato a

piovere.

La patria della “ pelota” L’indomani, il 12 settembre, prima di

partire siamo passati per l’ufficio tu-

ristico per dotarci di una mappa che

ci ha agevolato nei chilometri del

tracciato privi di ogni indicazioni del

Camino, cancellati da vandali con

vernice nera.

La giornata è stata impegnativa ma

resa entusiasmante dai boschi, dall’oceano, da vaste spiagge, aspri dirupi

solitari, alti anche 80 metri e villaggi interessanti.

Uno dopo l’altro abbiamo superato Kalbario, Olats giungendo, alfine a

Markina la patria della “pelota”, dove abbiamo trovato l’albergo occupa-

to e a ripiegare su una pensione privata molto accogliente.

Durante la notte, tuttavia, è accaduto un fatto spiacevole: Charlotte, la signora francese, che da poco si

era unita al nostro gruppo, è stata punta dalle cimici. Allarme generale e provvedimenti immediati: sani-

tari per la donna e disinfestazione per la pensione.

Nella città martire di Gernika C’è attesa nella comitiva d’amici (così è lecito ormai definire il nostro gruppo di pellegrini in marcia ver-

so la “città del sole, Santiago”), del giorno 13 che s’identifica con Gernika, la cittadina distrutta

dall’aviazione nazista e resa famosa dal grande Picasso che in un inquietante opera pittorica ne ha de-

scritto l’orrore.

Nella prima parte della tappa abbiamo camminato sulla terra che

porta il nome della famiglia di Simon Bolivar, il generale nato in

Venezuela che nei primi decenni del 1800 guidò nell’America del

Sud la rivolta contro la dominazione spagnola, ottenendo la libe-

razione dei territori corrispondenti agli attuali Stati di Venezuela,

Perù, Colombia, Ecuador, Panama e Bolivia.

Giocatore di jai alai in una partita olimpica del 1900

Chistera

Vecchio e colorato edificio coloniale spagnolo

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Dopo aver attraversato i centri abitati di Zenarrutza, Muntibar,

Elexalde, Marmiz, abbiamo raggiunto finalmente Gernika, una cit-

tà molto bella e storica per i baschi. Il 26 aprile I937 sul suo cielo

comparve un nugolo di aerei tedeschi che la sottopose a uno spie-

tato bombardamento che in tre ore provocò la quasi totale distru-

zione della città e l’atroce morte di centinaia di suoi abitanti.

Lo scambio dello zaino L’obiettivo stavolta è Lezama lungo un percorso assai vario fra

boschi di pini, eucalipti e querce, strade sterrate, centri abitati con borghi antichi, chiese medioevali, in-

croci con il calvario in pietra con l’immagine di Cristo da un lato e della Madonna dall’altro.

Alla fine siamo arrivati, un po’ stanchi alla meta, l’albergo, che

purtroppo era occupato. Stava calando la notte e non sape-

vamo dove trascorrerla. Dopo molte insistenze, gli hospitale-

ros ci hanno indirizzato in un centro sportivo, che poté met-

terci a disposizione solo una tettoia, dove erano stese sul pa-

vimento di cemento alcune stuoie.

Fuori intanto la pioggia scendeva a dirotto, raffreddando l’aria

e, non bastasse, gli aerei in decollo e atterraggio nel vicino ae-

roporto di Bilbao, che provocavano un frastuono infernale.

È stata una notte davvero disagiata, tant’è che al mattino mi

sono alzato con la schiena dolorante.

Per rimediare ai disagi abbiamo fatto colazione in un bar vicino, ma era destino che qualcos’altro di

spiacevole dovette accadere, era nell’aria e puntuale mi è caduto sulla

testa. Riguardava lo zaino che come sempre avevo depositato con altri

in un angolo del locale. Quando andai per riprenderlo, al suo posto ne

trovai un altro, totalmente diverso. Che fare?

Soltanto incamminarmi con la speranza di trovare il pellegrino che

l’aveva scambiato col mio. Poco dopo ho raggiunto l’amica francese

Natalie Bresson alla quale ho raccontato l’accaduto che mi suggerì di

aprire lo zaino. Mossa indovinata! All’interno ho trovato dei documenti

e, soprattutto un numero telefonico, attraverso il quale Natalie ha rag-

giunto in Francia la moglie del distratto scambista che, messasi in con-

tatto col marito (era davvero un pellegrino), lo ha avvertito

dell’accaduto. Questi, con molta calma, mi ha raggiunto molto più tardi

all’ostello, dove è avvenuto lo scambio e se n’è andato senza giustificar-

si. Avevo recuperato con lo zaino i miei documenti e, soprattutto, i sol-

di che custodiva.

Ho tratto un sospiro di sollievo, e, che dire? La madre degli imbecilli è sempre incinta. Al mio rientro a casa a

Nathalie Bresson, che è scrittrice di libri per bambini ed è su Face-book, ho inviato una e-mail e una

lettera di ringraziamenti col DVD del mio libro sul Cammino a Santiago del 2011.

Sosta internazionale di pellegrini al bar

Pellegrini in attesa dell’apertura dell’albergo

Puente Colgante a Portugalete del 1893

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Il museo di Bilbao Tappa breve (solo 17 Km) e poco impegnativa a livello fisico quella che si conclude a Bilbao, dove ab-

biamo dovuto attendere l’apertura dell’albergo per pellegrini, con l’hospitalero che lamentava il mancato

sostegno degli enti locale e le difficoltà della sua gestione. Svolta la solita prassi: registrazione del docu-

mento, timbro sulla credenziale, doccia e bucato, siamo

usciti per visitare città utilizzando l’autobus.

La fondazione della città risale al 1300, si estende lungo

il fiume Nerviòn navigabile fino al mare e oggi conta

350 mila abitanti.

Ebbe uno sviluppo commerciale grazie alle colonie

d’oltremare; poi ospitò le industrie siderurgiche, chimi-

che e cantieri navali, e ora, con la crisi economica si è

convertita alla cultura e al turismo.

Noi pellegrini siamo abituati ai silenzi, nel verde della

natura e percepiamo tutto il tafferuglio cittadino in

modo violento e sgradevole. Abbiamo avuto conferma di quanto sia verace questo sentimento proprio

qui.

Il centro è classico con chiese e monumenti, la restante città è moderna ma poco invitante. L’attrazione

principale è il Museo Guggenheim che abbiamo trovato chiuso.

A parte l’alto livello delle opere contenute, è l’architettura assolutamente unica dell’edificio ad attirare i

visitatori: progettato da Frank Gehry è ispirato vagamente allo scafo di una nave e ha forme e volumi

assolutamente indescrivibili. È rivestito da lastre al titanio che ricordano le squame di un pesce. Il piano

terra è posto a 6 metri sotto il livello del fiume, mentre l’esterno è perfettamente inserito sul lungofiume

pedonale.

Da Bilbao a Pobeña Il Camino, a questo punto, offre scenari contradditori: si passa dalla periferia industriale di Bilbao non

diversa da quelle che si trovano in tante altre città eu-

ropee, decisamente poco attraenti per l’intrico della

viabilità che va dal sentiero lastricato alla strada asfalta-

ta, al viadotto e all’autostrada; per il capolavoro tecno-

logico del ponte sospeso (puente Colgante) che collega

Portugalete a Getxo, costruito nel 1893, nel suo genere

il più grande d’Europa; per i successivi centri balneari

con spiagge baciate dall’Oceano. Dopo aver superato

nell’ordine Barakalbo, Sestao e Purtugalete, e una bella

pista ciclabile, abbiamo lasciato la terra di Euskadi, El

Pais Vasco, come viene chiamato nella lingua ufficiale

spagnola (il castellano), che i libri di storia descrivono

Piacevole camminata fra i turisti

Pellegrini sulle scogliere Cantabriche

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abitata da “una comunità autonoma con una identità nazionale e una cultura fortissima, e una lingua per nulla assimi-

labile ai ceppi europei (latino, anglosassone, slavo). Nessuno conosce esattamente l’origine del popolo basco: alcuni lo fa d i-

scendere dai Sumeri, altri vedono forti affinità con i Liguri”.

La Cantabria Il cambio di Regione dai Paesi, da Eukadi alla Cantabria non modifica l’ambiente naturale del nord della

Spagna con le scogliere, i golfi, le colline verdi e l’oceano immenso.

Forse le opere dell’uomo, influenzate da culture e lingue diverse, emergono più nettamente, senza peral-

tro stimolare confronti che appaiono inutili nella realtà statuale attuale, che le vede unite nello stato di

Spagna.

A Castro Urdiales dopo 19 Km di un percorso a tutta vista con l’oceano, i panorami sono mozzafiato e

le scogliere suggestive. In quest’ambiente marino ci sono molti campers da tutta Europa che stazionano

sulle scogliere e giovani surfisti con le tavole sul pelo dell’acqua in attesa di cavalcare le grandi onde.

Giungiamo poi a Castro Urdiales, antica città di mare fortificata, abitata dai Verduli e poi romanizzata,

con la sua plaza de Toros con accanto l’albergue per i pellegrini, da sempre, l’importante porto pesche-

reccio e mercatile.

Da un lato l’elegante città turistica con gli innumerevoli ristoranti del lungomare e dall’altra quella stori-

ca con il castello, il faro, la chiesa gotica di Santa Maria de la Assunciòn e il ponte medioevale.

Il gruppo sfilacciato Seguendo strade a noi sconosciute e sostando ogni tanto per riprendere le forze, facendo sempre atten-

zione al sentiero per non allungare il Cammino, siamo arrivati a Liendo nel pomeriggio, io e Gerard di-

rettamente all’albergo situato vicino alla chiesa “Saturnino Candina” dove ci siamo separati: lui avrebbe

proseguito fino a Noja per raggiungere Jorge che da bravo marciatore qual’era aveva preceduto il grup-

po. Io ho rinunciato perché ero stanco e avevo voglia di stare un po’ solo. Pio desiderio! Poco dopo

Il paradiso dei surfisti

L’oceano sempre sulla destra

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sono giunti Natalie Bresson e Jean-Enrique dal Quebek. Mi sono abbandonato ad un sonno ristoratore

solo dopo essere fuggito dai russatori, rifugiandomi al pianterreno su un lettino di emergenza.

Verso Noja Il mattino seguente, 19 settembre, sono partito per No-

ja, lontana 22 chilometri, assieme a Natalie. Abbiamo

subito sbagliato strada allungando il cammino di 2 km.

Dopo Laredo e Santoña, abbiamo attraversato

un’interminabile campagna e raggiunto, insieme ad una

coppia cecoslovacca, la casa del gestore dell’albergue di

Noja, uno spagnolo dal quale ho saputo che aveva la-

vorato per l’Enel in Friuli, conversando allegramente,

pagando e mettendo il timbro sulla Credenziale.

Ho pernottato nell’ostello, in un edificio adibito fino a

qualche anno fa a scuola elementare, con la coppia cecoslovacca, Natalie, una ragazza spagnola e un

giovane inglese con lo zaino delle forze armate da 20 Kg contenente tutto per una campagna militare.

La Cabana de l’abuelo Peuto La capanna di nonno Peuto (Perfetto)

Per giungere Guemes a 15 Km, mi sono messo in marcia

di buon’ora, stavolta in perfetta solitudine e senza aver

fatto colazione, per godermi la camminata tra i campi con

la nebbia al sorgere del sole in un paesaggio fiabesco.

La camminata non è stata lunga, ma impegnativa, attra-

versando San Miguel de Meruelo lungo la strada asfaltata,

arrivando all’albergue a Guemes che non è nel borgo del

paese ma all’esterno, dove ho ritrovato gli amici francesi

Enrique, Jean-Enrique del Quebek, Lucienne, Anita e

Genevieve di 80 anni.

Più tardi durante il meritato riposo, ho intuito l’accento

veneto di una persona, l’ho avvicinata e, scambiando opinioni sul Cammino ho scoperto che è origina-

rio di Ala di Trento, località a me nota.

Questo albergue privato La Cabaña del abuelo Peuto è estremamente accogliente ed è aperto praticamente

tutto l’anno: un luogo da non perdere! Ne è gestore padre Ernesto Bustio che si avvale di un staff di

volontari.

Qui si respira un clima incredibile: ci trovi, insieme, ospitalità, generosità, simpatia, amicizia e armonia.

Padre Ernesto Bustio, è stato un giramondo e ha trasformato il suo rifugio (la ex casa del nonno Peuto)

in un “Centro umano del Cammino della Costa”.

Pellegrini da tutto il mondo a Noja

Riconoscimento del re Filippo VI di Spagna

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Nel 1979 sistemò una vecchia Land Rover con tre

amici di Santander e San Francisco e, alternando il

lavoro di muratore con quello di curato, uscì in

strada col proposito di conoscere la gente, lavora-

re e fotografare tutto quello che trovava. Percorse

parte dell’Europa e il Nord Africa, in Senegal

s’imbarcò per Portorico, pagandosi il viaggio fa-

cendo il marinaio in condizioni di semi-schiavitù.

Il gruppo vagò per buona parte dell’America La-

tina e lavorò in Venezuela in una miniera e in Co-

lombia con i contadini. Da Buenos Aires fece ri-

torno a Santander, a casa sua con nello zaino più

di 5.000 fotografie che utilizza per far conoscere

la situazione dei paesi visitati e nei quali aveva lavorato.

La frase che piace ripetere a padre Ernesto è: “Tutti sono pellegrini della vita”. Non ancora soddisfatto

di tanto viaggiare s’imbarcò, altre, diverse volte per l’America Latina e in Africa: viaggi che ora si tro-

vano, fissati in immagini, nella sua “Cabana”.

Padre Ernesto si è sempre considerato un “pellegrino della vita” e nel 1984 tornò a Guemes per diven-

tarne il parroco. Qui i pellegrini passano e sono interessati in generale alla usa attività spirituale. Lui dice

che non è importante fare il Cammino per un motivo spirituale o turistico, perché c’è un motivo che sta

al di sopradi tutti: la ricerca di qualcosa e di tradurre questa cosa. Crede che prima di tutto ci sia la ricerca per-

sonale di qualcosa di nobile e conserva 80.000 diapositive, informatizzate all’Università della Cantabria,

che mette a disposizione di tutti i pellegrini e non.

Utopia è la parola che usa sovente per definire l’obiettivo di come cambiare il sistema squilibrato del

consumismo mondiale: far ritornare l’ecologia com’era; eliminare le piantagioni di eucalipti dannose al

paese; liquidare la corruzione nel mondo, porre fine alla fame e alle malattie nei paesi del terzo mondo.

Per questo l’albergo da lui voluto, dopo la sua morte, dovrà continuare grazie all’opera di soli volontari

e delle donazioni.

Mamma pellegrina con figlio Quella del 20 settembre è stata un domenica che ci ha permesso di attraversare le due grandi spiagge di

Galiziano e Somo.

Dal porticciolo di Somo una barca con i compagni di viaggio, mi ha condotto direttamente a Santander,

evitando una camminata di oltre 24 chilometri dove abbiamo trovato ospitalità in un albergo gestito da

volontarie locali, estremamente professionali.

Più tardi ci ha raggiunto una giovane donna olandese col figlio di 3 anni, trainato in una carrozzina lun-

go il Camino del nord. Io ritengo che sia assai rischioso imbarcare in un’impresa di questo genere una

minuscola creatura, che ha bisogno di attenzioni particolari, di un tetto e di un’alimentazione adeguata.

Costringerlo a vivere per oltre un mese in tanta precarietà, fra gente adulta non sempre sensibile ed

educata, mi sembra decisamente sbagliato. Questa riflessione, senz’altro paradossale cher fino a poco

La bilioteca con 80.000 diapositive di padre Ernesto

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tempo fa non avrei mai fatta e m’induce a sospettare che questo pellegrinaggio stia arricchendo la mia

sensibilità. Invero mi sento migliorato, più sereno e disponibile verso il prossimo, più fragile Penso tut-

to dipenda dal fatto che sto diventando vecchio: 67 anni non sono pochi!

Sotto una “pioggia a catinelle” La tappa che ci ha condotto a Santillana del Mar dopo 37 Km. è stata resa difficoltosa da una pioggia

battente che ci ha inseguito per tutto il giorno. Usciti (il sottoscritto, Jean Enrique e Charlotte) abbiamo

camminato a lungo sull’asfalto per evitare il fango

dei sentieri. Due le soste: a Santa Cruz de Bezana

da Requejada, una umidissima zona industriale, do-

ve la Solvay estrae la soda da un vicina cava di mi-

nerali, che poi vende in molti paesi europei, Italia

compresa. A Santillana del Mar abbiamo evitato

l’albergue, che sapevamo poco confortevole e scel-

to una pensione privata, in cui i prezzi sono più alti.

Oggi sono rientrate in Francia, Lucienne, Anita e la

80enne Genevieve, con le quali nei giorni preceden-

ti avevo fatto un po’ di strada.

Da Santillana del Mar a Comillas

La meta odierna è Comillas a cui si giunge su un percorso ondulato, senza grandi dislivelli, ma è inter-

venuto il contrattempo rappresentato da lavori di allargamento della strada che ci hanno costretto a cer-

carne un’altra allungando il percorso e ritardando l’arrivo. Jean e Charlotte sono andati senza esitazione

alla pensione privata situata all’inizio della città, mentre io mi sono diretto all’albergo allocato nelle ex

carceri, che ho trovato chiuso per disinfestazione. Dopo una sosta in una birreria, mi sono riunito agli ami-

ci. Anche qui, a Comillas ho avuto la sensazione che i pellegrini non siano ben visti dalle comunità loca-

li, spesso tollerati o snobbati. Ben altro clima avevo trovato nel 2004 e 2011 lungo il Camino francese.

La pioggia incessante sul suolo granitico

Suggestiva la chiesa isolata di S. Martìn

Chiesa di S. Maria a S. Cruz de Bezana

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L’anno santo a Camino Lebaniego Partenza da Comillas verso Unguera sotto la nebbia e nessun pellegrino sulla pista. Dopo un’ po’ ab-

biamo bordeggiato il grande campo da golf a 18 buche di Santa Marina e il parco naturale de Oyambre

a San Vicente de la Barquera, caratterizzato da dune sabbiose e costa rocciosa.

A Camino Lebaniego abbiamo sfiorato il monastero di Santo Toribio, il monaco benedettino del VI se-

colo, che custodisce il lignum crucis, la reliquia della croce di Cristo più grande fra quelle conosciute, por-

tata da Astorga all’epoca della dominazione araba della Spagna.

Anche qui si celebra l’Anno santo quando il giorno della festa del santo, il 16 aprile, cade di domenica.

Come a Santiago, in Vaticano e a Gerusalemme, “La Porta Santa” rimane aperta per 12 mesi. Dopo Ser-

dio e Pesuès, un sentiero attraverso un bosco di eucalipti ci ha condotto a fondovalle e a Unguera,

l’ultimo paese della Cantabria.

Benvenuti nelle Asturias. Siamo nelle Asturias con capitale Oviedo, l’unico territorio di Spagna a non cadere sotto la dominazio-

ne araba. I suoi antichi abitanti s’integrarono dapprima con gli occupanti Celti, poi coi Romani e, infine,

con i Visigoti. Nell’VIII secolo acquisirono l’indipendenza divenendo Principato e poi Regno.

Passarono, quindi, sotto il Regno di Leòn e successivamente in quello di Castilla Vieja. Nel 1934

un’imponente rivolta operaia contro la dittatura di Primo de Rivera fu duramente repressa dalle truppe

comandate da Francisco Franco e poi nella successiva guerra civile furono fedeli alla Repubblica. Lungo

il percorso abbiamo notato molti Horrèos, costruzioni caratteristiche delle Asturias e della Galizia e si

trovano accanto alle case di campagna e sono adibiti a deposito di prodotti della campagna.

La gastronomia in Asturias non è molto diversa dalle quella altre regioni, il piatto principe é la fabada, un

robusto stufato di fagioli,

carne di maiale e salsicce.

Il sidro è la bevanda re-

gionale e si beve ovun-

que. Si produce tramite

fermentazione alcolica di

diverse qualità di mele e

la sua gradazione varia dai

4 ai 7 gradi.

Un ambiente “magico” Tappa piuttosto lunga, 36 chilometri con obiettivo San Esteban de Leces e, come spesso accade, è stato

difficile uscire dalla città per carenza di segnali, malmessi e, a volte, ambigui. Il tempo è piovoso e sono

arrivato a destinazione ancora una volta fradicio. A mezzogiorno abbiamo pranzato al bar del paese di

Nueva, gestito da un giovane italiano nato in Svizzera, da padre di Lecce e da madre del luogo.

La Fabada: stufato di fagioli e salsicce

Villaviciosa monumento alle mele

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La pista corre per boschi e fattorie con tanti recinti del bestiame e bei paesotti dai nomi suggestivi: Ce-

lorio, Naves, Villahormes, Nueva, Niembo, Piñeres. Abbiamo ritrovato anche Ana, l’ungherese che

ogni tanto spariva per farsi ritrovare nei luoghi più impensati e, dopo aver superato la bellissima spiag-

gia di Ribadeseo e il ponte che attraversa il mare fino all’altra sponda, piuttosto stanchi, abbiamo rag-

giunto l’albergue di San Esteban de Leces.

Nei due giorni i successivi ho raggiunto, il 27 settembre, insieme ad Ana, La Isla e trascorso la notte

all’albergue della signora Angelita, dove abbiamo trovato una allegra e spinellata compagnia di giovani:

un polacco, due cechi, un milanese, un finlandese, un greco e un brasiliano. Il 28 settembre abbiamo

raggiunto Sebrayo distante dalla partenza 16 chilometri, sotto la pioggia passando per i borghi di Colu-

gna e Pernùs. trovando rifugio in una albergo con 14 posti letto gestito da Sonya, una donna cortese e

tranquilla. La sera ho contattato mia madre che oggi compiva 93 anni.

In perfetta solitudine Prima di partire per Gijòn ho salutato l’amica ungherese Ana in partenza con l’autobus per Oviedo con

l’intenzione di affrontare il Camino Primitivo per Santiago. Come già costatato camminare da solo mi

dà una piacevole

sensazione di liber-

tà, mi sento pa-

drone dello spazio

e del tempo che

continua. Il tempo

continua ad essere

brutto, piove e la

temperatura si è

abbassata sensi-

bilmente. Ho,

quindi, fatto attenzione all’asfalto scivoloso e usurato

per evitare spiacevoli incidenti e, anche ai segnali, non

sempre evidenti. Di buon passo ho superato Peòn e Gijòn una città di 250.000 abitanti di origine celtica

e poi dominio dei romani raggiungendo infine Deva.

Imperterriti nonostante l’acqua

Un rifugio accogliente dopo ore sotto la pioggia

La natura è fantastica

All’alba nella spiaggia nei pressi di Somo

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Qui mi sono lasciato prendere la mano dal centro storico e dal lungomare, dimenticando di consultare

la guida, col risultato di trovarmi in un camping sbagliato, adibito ai soli turisti. Ho agguantato al volo

un autobus in transito che mi ha portato al campo Deva che si trovava all’altro capo della città, dove ho

pernottato.

Il mattino seguente ho proseguito per Luiña lasciandomi alle spalle Gijon e, più avanti, una zona indu-

striale rumorosa e maleodorante e, ancora, gli abitati di Santa Eulalia e San Pelayo. Nel pomeriggio ho

raggiunto Aviles, sotto una pioggia battente, e sostato in un bar, bagnato fradicio. Avrei potuto fer-

marmi, le giustificazioni non mancavano: ero stanco e infreddolito. Non lo feci, dovevo arrivare ad ogni

costo al traguardo di tappa, Soto de Luna e ci arrivai piuttosto provato. All’albergo, una volta espletate

le formalità di rito mi sono ristorato sotto il getto bollente dell’acqua di una doccia e una volta cambiati

indumenti e abito, mi sono sentito un’altra persona, pulita, allegra, libera e soprattutto ormai vicina a

Santiago de Compostela. .

Dopo uno spuntino e un riposino sono uscito a visitare il paese, in chiesa mi sono trattenuto in silenzio

per un po’, notando che stavo imparando a pregare.

A cena, come ormai d’abitudine, ho scelto il menù del pellegrino: zuppa di verdure con salsiccia, pesce

alla griglia e torta di Santiago.

Santiago è sempre più vicina Di buon mattino ho ripreso il Camino in direzione di Cada-

vedo, con alla mia destra la stretta fascia costiera e alla sini-

stra l’oceano Atlantico.

Più tardi in una sosta al bar ho incrociato un’anziana italiana

che, avvinazzata, sparlava dei suoi conterranei: l’ho accura-

tamente evitata.

Più avanti è stata la volta di un giovane pellegrino spagnolo

proveniente da Santiago che stava facendo il Cammino nel

senso inverso, diretto a Roma e col quale ho conversato amabilmente.

A Cadavedo ho la brutta sorpresa di trovarmi in un albergo con soli 8 posti, povero e squallido gestito

da un’hospitalera portatrice di handicap (non era la prima volta). L’indomani affronto l’ennesima tappa

che porta a Piñera e anche qui manca la segnaletica a causa dei lavori per l’autostrada.

Più avanti la costa è molto alta e bisogna fare attenzione a non scivolare. Giunto al paese di Lurca, ho

sostato per ammirare questo caratteristico ambiente di pescatori, col classico porto e i tipici ristoranti

marinari. A pranzo ho degustato del vino rosso che mi ha tagliato le gambe perché ormai abituato alla

birra.

Dopo otto ore di marcia, sono entrato a Piñera, dove ho trascorso la notte nell’unico albergo ospitato

nelle vecchie scuole con quattro pellegrini che non conoscevo.

Santiago si sta approssimando e una certa ansia sta insinuandosi nel mio animo ma mi rallegrano le

condizioni del tempo migliorate, permettendomi, così, di camminare con maggior lena.

Solo all’alba immerso nella natura

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L’altra Porcia Il giorno dopo, 3 ottobre, il sole ha dissolto rapidamente la nebbia mattutina che gravava su colline e

boschi rendendo magico l’ambiente. La meta stavolta è Tapia e lungo il tragitto ho incrociato i paesi di

Navia e La Caridad l’uno cintato da muri di terra, l’altro con le segnalazioni del Camino con grandi cro-

ci collocate nell’anno jacobeo del 1993.

Più avanti mi sono imbattuto in un rio, una spiaggia e un villaggio di pescatori, che hanno lo stesso

nome della mia cittadina, Porcia, e portano all’albergo di Tapia, arroccato sulla scogliera che offre

un’incredibile vista sull’oceano.

Qui ho ritrovato Charlotte, l’esuberante signora francese di 72 anni de la Rochelle, piccola e con uno

zaino più grande di lei, con la quale mi sono recato all’ufficio informazioni per avere qualche notizia

sulla misteriosa Porcia e se esistesse qualche relazione con quella italiana. Mi è stato detto che il 50% del

villaggio spagnolo è sotto la giurisdizione di Tapia e l’altra metà di La Caridad., nient’altro.

Maltempo in Galicia L’indomani, 4 ottobre, sono ripartito con Charlotte in direzione Vilelà col tempo minaccioso e il traffi-

co stradale pressoché inesistente. Percorsi alcune spiagge e un tratto di costa abbiamo raggiunto Los

Santos allungato sulla ria dell’Eo, che fa da spartiacque fra il Principato de Asturias e la Galicia. Passato

il ponte sul fiume ci siamo trovati a Ribadeo la prima città della regione, bella e vivace. Galizia deriva

dal latino e si riferisce alle tribù celtiche preesistenti. È terra di pellegrinaggi da oltre un millennio, aven-

do nel suo territorio Santiago de Compostela con gli altri Camini: Francès, Norte, Primitivo, Inglès, Portuguès

e de La Plata.

Piatti tipici della Galizia: il pulpo, il caldo, chorizo, empanadas, churrascos, pescados, mariscos e la tarta

de Santiago. La Galizia non è terra di vini a parte i bianchi: Ribeiro, Albariño e Godello, a fine pasto

l’Orujo un liquore digestivo simile alla grappa.

La lingua locale è una via di mezzo tra il Castellano e il Portoghese e la musica tradizionale mantiene

elementi di origine celtica. Caratteristici del posto sono i cruceiros: crocefissi in pietra alti anche quattro

metri, nei quali da una parte è scolpito Cristo e dall’altra la Madonna e si trovano negli incroci o davanti

alle chiese e cimiteri.

Sempre sotto la pioggia siamo arrivati a Vilelà, un paese

sperduto tra le colline. L’albergue è un po’ fuori mano,

grande spartano e funzionale,. Nella circostanza ha

ospitato soltanto 4 pellegrini.

Durante la notte ha piovuto a dirotto e il vento se è fat-

to sentire sulle piccole finestre.

Il mattino seguente le condizioni del tempo, erano peg-

giorate: Vivelà si presentava triste e inzuppata di piog-

gia e lo stesso spettacolo hanno offerto Cubelas, Mon-

donedo e Lausada, bei paesi medioevali, al pari di Gon-

E se non piove c’è sempre tanta umidità

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tàn dove si è conclusa la tappa nel nuovo albergue edificato nel 2007. Secondo l’hospitalera, i mesi più

indicati per fare il Cammino del Nord sono da aprile a luglio. Le ho creduto, visto che ottobre non si

presta davvero a tali imprese. Ho dovuto acquistare in farmacia alcune pasticche per prevenire una

bronchite e durante la notte ho avuto un forte mal di stomaco provocato dal polipo alla gallega, mangiato

a cena.

Ancora maltempo il giorno dopo, 7 ottobre, non ab-

biamo trovato nessun pellegrino lungo l’intero tragitto

della tappa che ci ha condotto a Baamonde, il cui alber-

go è tutto meno che un ostello per pellegrini. È antico

ma ben ristrutturato, in grado di ospitare 86 persone.

Quella sera c’era una comitiva di 25 giovani tedeschi

maleducati e rumorosi. Per fortuna che il suo capo, alle

ore 22, con quattro ordini secchi e decisi li ha zittiti. Nel

pomeriggio con Charlotte ho visitato la chiesa romanica

di Santiago del XIII sec. col Calvario (tre croci in pietra)

e la casa dello scultore Victor Corral con le sue opere

sparse soprattutto in giardino. Si va a Rosika, cammi-

nando fra boschi e campi fradici d’acqua, sostando in località di Santa Leocadia sostando in un bar tip i-

co e molto accogliente, dove abbiamo trovato altri pellegrini e improvvisato una festa con panini inte-

grali , birra , musica celtica suonata dal gestore e guardando le foto storiche del mio sito su Internet. Poi

ci siamo sorbiti 7 ore di cammino disagevole e impegnativo sotto la pioggia tra piste e campi di granito.

Per fortuna avevamo prenotato in anticipo la nostra permanenza all’albergue “da Elena” per la cena,

che abbiamo consumato con tre coppie di amici pellegrini oltre che per la notte, che abbiamo trascorso

piuttosto male per la forte umidità.

L’indomani, 9 ottobre, siamo partiti per dos Monxes senza la pioggia, ma col vento freddo e con tutti i

panni bagnati nello zaino. Dopo un percorso per la maggior parte su strada asfaltata, siamo arrivati

all’albergue “Leces” de Sobrado dos Monxes stravolti e, per l’ennesima fradici. L’albergue privato è

nuovo, ben organizzato e mi ha permesso di mettere in lavatrice e asciugatrice gli indumenti bagnati da

due giorni, comprese pedule e zaino. È stato un vero miracolo perché ero rimasto senza nessun indu-

mento asciutto. Abbiamo fatto poi visita al Monastero Cistercense Santa Maria di Sobrado ed è stata

una grande delusione vedere tutto in stato di abbandono e il solo primo piano utilizzato per i pellegrini,

con stanze fredde ed umide. Lo spirito laico che alita intorno al Cammino del Nord mi sta mettendo

sempre più a disagio I veri alberghi per pellegrini stanno per essere sostituiti da nuove pensioni moder-

ne, funzionali, a prezzi accessibili.

Bisogna però stare molto attenti perché vengono offerti nuovi servizi che costano e, allora, i conti non

tornano più. Ma c’è dell’altro: si avverte ormai nettamente la perdita della gestualità sacra, propria dello

spirito informatore del pellegrinaggio cristiano, fatto di riflessione, silenzio, meditazione. E si comincia

a sentire nell’aria il tipico odore dello spinello. Dio non voglia!

L’abbraccio dei Camini Siamo usciti da Sobrado in direzione di Arzuà, districandoci fra incroci, e pascoli, passando per Made-

los e poi tra asfalto, boschi di eucalipti, a Boimorto con la strada senza marciapiede e fortunatamente

La difficoltà ad asciugare

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con poco traffico. Dopo Castro, e Fraga giungiamo Arzuà,

un paese moderno che offre i servizi necessari e non ha cose

pregevoli. Il tempo è clemente, arriviamo all’albergue nel

primo pomeriggio. Charlotte non si separa da me per timore

di restare da sola: anche questo fa parte dello spirito del pel-

legrinaggio che intendo io.

Domani sarò a Pedrouzo, ultima notte del Cammino. Ad Ar-

zùa, punto “incontro del Camino Francese” con quello del

Nord, i pellegrini sono molto numerosi nonostante la stagio-

ne inoltrata e i primi freddi. La notte è stata da incubo per gli “infiltrati” che hanno colpito ancora: ma-

leducati, rumorosi, russatori incontinenti. Non potendo dormire, sono sceso al pianterreno col sacco a

pelo cercando di dormire su due poltrone.

Un clima diverso

Il mattino del 11 ottobre sono partito con Charlotte in direzione di Pe-

drouzo totalmente stravolto dalla nottata insonne e meno male che non

pioveva. Ora stavamo percorrendo il Cammino Francese e questo trat-

to l’ho già fatto nel 2004 e 2011: allora c’era una gran folla di pellegrini

e tutto parlava del Camino. Il cambiamento si avverte nettamente e la

percezione che il nostro percorso stia per finire è forte: mette dentro

un’ansia e un’eccitazione finora sconosciute.

I pellegrini che incrociamo in questo ultimo tratto del Cammino sono

numerosi, e se necessario, contribuiranno a indicare il percorso. Prose-

guiamo sulla strada trafficata: non ci sono grandi salite ma è un conti-

nuo saliscendi .

Superate le località di Calzada, Brea, Santa Irene e

infine all’albergue di Pedrouzo. È il penultimo gior-

no del Cammino, sono stanco, ma con rimpianto

lascio alle spalle tutto quello che ho vissuto, soffer-

to, imparato, dato e ricevuto. Domani sarò alla meta

che avevo stabilito di raggiungere nel 2013: Santiago

de Compostela. Poi proseguirò in pullman fino a

Finisterre e Muxia, centri intrisi di tradizione e di

storia collegati all’apostolo S. Giacomo. Finalmente

una sosta in un bar e un panino con prosciutto,

formaggio e pomodoro.

L’ultima tappa del Camino Quando - come il 12 ottobre 2014 – giunge l’ultima tappa del Camino che porta alla meta di Santiago

de Compostela, sentimenti contrastanti avvolgono il pellegrino. C’è chi non vede l’ora di arrivare a San-

tiago de Compostela per ammirarne l’austera architettura, per abbracciare la statua dell’apostolo Gia-

Il tempo sta migliorando

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como o, memore di una grazia ricevuta, gioisce per

aver finalmente onorato l’impegno del “voto”. Ma an-

che chi, per contro, si duole della fine di

un’esperienza unica e irripetibile, che ha però raffor-

zato la sua fede, regalato emozioni e, soprattutto, se-

renità e pace. E trovi anche qualcuno che si rattrista

senza un apparente motivo, piange dolcemente, sen-

za far rumore davanti all’imponente Cattedrale.

Per me, è la terza volta che raggiungevo questo in-

credibile “luogo dello spirito”, ma, stavolta l’emozione è

stata ancora più intensa. Come tutti, subito ho scor-

dato le fatiche, i disagi, i contrattempi, e le difficoltà

affrontate e superate. Nei brevi “flash” su alcune tappe ne ho segnalati alcuni che lo dimostrano.

Mi si permetta, a questo punto, di fare un po’ di cronaca dell’ultima giornata del pellegrinaggio. Con

l’amica Charlotte superato colline ricoperte di eucalipti e, costeggiando l’aeroporto di Santiago, seguen-

do una pista in terra che fiancheggia un’ampia strada, sono arrivato al grande cippo in legno con i sim-

boli del Camino e a un vasto piazzale al centro del quale campeggia il monumento ai pellegrini, eretto in

occasione della Giornata Mondiale della Gioventù del 1989, con l’immagine di papa Giovanni Paolo II.

Poi, salutata Charlotte, che aveva urgenza di raggiungere l’albergo dei pellegrini al seminario major, pro-

seguo sino ai tre ponti che oltrepassano l’autostrada, la ferrovia, la carretera nacional e superata la

“Puerta” del pellegrino” e quella “do Camino” finalmente ho raggiunto, piazza Obradoiro e la Cattedra-

le.

Volevo entrare, ma qualcosa m’impediva di farlo. Lì per lì, non ho saputo dare una spiegazione: “Ci

penserò, più tardi”, mi sono detto con un’alzata di spalle, dirigendomi al vicino ufficio informazioni tu-

ristiche per cercare una pensione modesta. Guarda caso, una cortese impiegata mi ha suggerito la stessa

che mi aveva ospitato nel 2011, il “Mundo Albergue”poco distante.

All’ufficio del pellegrino, poi, ho ritirato la “compostela e il certificato di distanza e rivisto l’amico un-

gherese, lì per la stessa ragione. L’ho accompagnato alla mia pensione, che però era occupata. Tramite il

portiere l’ho inviato in un’altra vicina, dove si è sistemato. Più tardi ci siamo rivisti, ma le difficoltà di

comunicare ci hanno consigliato di anticipare l’addio, dopo l’obbligato scambio d’indirizzi e l’abbraccio.

Sin dall’arrivo a Santiago mi sono sentito appagato sia nel fisico e che nello spirito. Ho pensato: “ È una

sensazione logica dal momento che posso dire che tutto è andato per il meglio. Ho fatto il bravo pelle-

grino, comportandomi con sobrietà e saggezza, curando con uguale attenzione il corpo e l’anima, incan-

tato dal fascino e dalla bellezza e varietà degli ambienti che il Camino ha proposto da Irùn a Santiago “.

A questo punto ho capito che mancava una tessera al mosaico che avevo iniziato a costruire nel 2004 ,

un tessera in cui erano stampate due parole: “Accetta la Grazia della Fede”.

Rifiutando di entrare subito nella Cattedrale, ho capito che non ero ancora in grado di farlo. Ma so che

la ricerca proseguirà, forse in un altro pellegrinaggio, magari verso Roma in occasione del Giubileo an-

nunciato da Papa Francesco.

Arzùa e siamo sul Camino Francès

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