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Educare.it - SCUOLA © Educare.it (rivista on line - ISSN: 2039-943X) - Vol. 17, n. 7 Luglio 2017 64 Il “problem posing” come metodologia innovativa per lo studio delle Scienze della Terra Roberto Franco Laureato in Scienze Geologiche, esperto in Sistemazione bacini montani e difesa del suolo. Membro della Società Italia- na di Geologia Ambientale e presidente del Centro Studi Francescani e Medievali. Docente di Scuola Superiore di Se- condo grado, ha pubblicato diversi contributi scientifici su riviste nazionali e internazionali, oltre al libro: Alburchia, la montagna incantata. Un contributo della Geoarcheologia alla conoscenza, tutela e valorizzazione di un sito della Sicilia centro-settentrionale. L’articolo presenta un’esperienza didattica, nell’ambito delle Scienze della Terra, che consente di comprendere come possa essere utilizzato il metodo del Problem posing a scuola. Si tratta di un approccio basato sui principi del costruttivismo che permette di adottare una efficace esplorazione del me- todo scientifico nell’insegnamento. Introduzione L’insegnamento ha risentito per lungo tempo dell’influenza di un modello di ap- prendimento secondo il quale la conoscenza poteva essere semplicemente trasferita da un soggetto (docente) ad un altro (allievo). Ad esempio, nella lezione “ex cathedra”, tradizionale dell’insegnamento universita- rio, il docente fornisce informazioni da ap- prendere e lo studente è coinvolto soprattut- to nello sforzo di seguire la spiegazione e di prendere appunti. Ricerche condotte sulla sua efficacia smentiscono che la lezione sia un modo effi- ciente di trasmettere informazioni in modo accurato. Di circa 5000 parole ascoltate in 50 minuti di lezione, gli studenti ne appuntano circa 500 e in media trascrivono circa il 90% delle informazioni scritte dal docente sulla lavagna (Johnstone & Su, 1994). Negli ultimi decenni questo modello è stato superato da teorie d’apprendimento diverse e da ricerche nel campo dell’intelligenza artificiale. In particolare si è fatto riferimento alla teoria costruttivista. Il costruttivismo, che secondo Von Glasersfeld (1989) fonda le proprie radici nel trattato De antiquissima Italorum sapientia di Giambatti- sta Vico e nella teoria della cognizione di Piaget, propone una costruzione radicale

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    © Educare.it (rivista on line - ISSN: 2039-943X) - Vol. 17, n. 7 – Luglio 2017 64

    Il “problem posing” come metodologia innovativa per lo studio delle Scienze della Terra

    Roberto Franco

    Laureato in Scienze Geologiche, esperto in Sistemazione bacini montani e difesa del suolo. Membro della Società Italia-na di Geologia Ambientale e presidente del Centro Studi Francescani e Medievali. Docente di Scuola Superiore di Se-condo grado, ha pubblicato diversi contributi scientifici su riviste nazionali e internazionali, oltre al libro: Alburchia, la montagna incantata. Un contributo della Geoarcheologia alla conoscenza, tutela e valorizzazione di un sito della Sicilia centro-settentrionale.

    L’articolo presenta un’esperienza didattica, nell’ambito delle Scienze della

    Terra, che consente di comprendere come possa essere utilizzato il metodo

    del Problem posing a scuola. Si tratta di un approccio basato sui principi del

    costruttivismo che permette di adottare una efficace esplorazione del me-

    todo scientifico nell’insegnamento.

    Introduzione

    L’insegnamento ha risentito per lungo

    tempo dell’influenza di un modello di ap-

    prendimento secondo il quale la conoscenza

    poteva essere semplicemente trasferita da

    un soggetto (docente) ad un altro (allievo).

    Ad esempio, nella lezione “ex cathedra”,

    tradizionale dell’insegnamento universita-

    rio, il docente fornisce informazioni da ap-

    prendere e lo studente è coinvolto soprattut-

    to nello sforzo di seguire la spiegazione e di

    prendere appunti.

    Ricerche condotte sulla sua efficacia

    smentiscono che la lezione sia un modo effi-

    ciente di trasmettere informazioni in modo

    accurato. Di circa 5000 parole ascoltate in 50

    minuti di lezione, gli studenti ne appuntano

    circa 500 e in media trascrivono circa il 90%

    delle informazioni scritte dal docente sulla

    lavagna (Johnstone & Su, 1994).

    Negli ultimi decenni questo modello è

    stato superato da teorie d’apprendimento

    diverse e da ricerche nel campo

    dell’intelligenza artificiale. In particolare si è

    fatto riferimento alla teoria costruttivista. Il

    costruttivismo, che secondo Von Glasersfeld

    (1989) fonda le proprie radici nel trattato De

    antiquissima Italorum sapientia di Giambatti-

    sta Vico e nella teoria della cognizione di

    Piaget, propone una costruzione radicale

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    © Educare.it (rivista on line - ISSN: 2039-943X) - Vol. 17, n. 7 – Luglio 2017 65 65

    della conoscenza. Ciò deriva dalla convin-

    zione dell’impossibilità dell’individuo di

    conoscere la realtà oggettiva; la conoscenza

    viene vista come qualcosa che il singolo co-

    struisce nel tentativo di ordinare le proprie

    esperienze (Von Glasersfeld, 1984).

    Altri autori propongono una costruzione

    sociale dell’apprendimento scientifico; la

    conoscenza scientifica viene realizzata

    quando gli studenti sono attivamente impe-

    gnati in dibattiti e attività riguardanti pro-

    blemi scientifici (Driver et alii, 1994). Questa

    nuova concezione epistemologica della

    scienza è stata accompagnata da (e forse ha

    prodotto) una nuova concezione sulla natu-

    ra dell’apprendimento. La visione della psi-

    cologia del comportamento, centrale alla

    quale era la struttura stimolo-risposta, è

    rimpiazzata dalla psicologia cognitiva: lo

    studente è attivamente coinvolto nella co-

    struzione della conoscenza.

    Il modello costruttivistico può essere sin-

    tetizzato in una singola frase: «La conoscen-

    za è costruita nella mente di colui che impa-

    ra» (Bodner, 1986). La costruzione di una

    nuova conoscenza avviene mediante

    l’osservazione ragionata di eventi, interpre-

    tata e mediata attraverso concetti che già

    possediamo. Secondo Ausubel (1978), il fat-

    tore singolarmente più importante che in-

    fluenza l’apprendimento è ciò che lo studen-

    te già conosce. Accerta questo e insegna in

    accordo.

    La costruzione della conoscenza può es-

    sere perciò vista come un processo dinamico

    aperto alla competizione intellettuale; un in-

    sieme di progressive transizioni tra modelli

    aventi un differente grado di capacità espli-

    cativa che incoraggiano la ristrutturazione

    concettuale attraverso conflitti cognitivi

    (Smith et alii, 1981). Il costruttivismo non è

    soltanto una teoria della conoscenza, ma

    propone una propria concezione della verità

    e della relazione tra conoscenza e realtà

    (Von Glasersfeld, 1995).

    L’individuo davanti alla “realtà”, fin dai

    primi anni di vita, è soggetto attivo che co-

    struisce interpretazioni dell’esperienza, nel

    tentativo di dare senso al mondo e di antici-

    pare così le esperienze future. La conoscen-

    za in quest’ottica non rappresenta una ri-

    produzione del mondo reale, ma piuttosto

    fornisce una struttura e un’organizzazione

    all’esperienza.

    Secondo Vygotsky (1966), lo sviluppo co-

    gnitivo è un processo sociale e la capacità di

    ragionare aumenta nell’interazione con i

    propri pari e con persone maggiormente

    esperte.

    Pertanto, apprendere non significa più ri-

    petere cognizioni standardizzate entro di-

    scipline tradizionali, ma sviluppare strategie

    per acquisire rapidamente e in modo effica-

    ce concetti e abilità nuovi, favorendo la fles-

    sibilità celebrare dell’individuo senza inca-

    nalarla in strutture cognitive preconfeziona-

    te.

    Tra i diversi metodi che si possono mette-

    re in atto per condurre attività scientifiche e

    sviluppare il pensiero divergente degli stu-

    denti, sollecitando in loro la capacità di por-

    re e sviluppare problemi, è il Problem posing:

    l’apprendimento a partire dal porsi proble-

    mi tramite domande di ricerca. Questo me-

    todo sviluppa abilità di ragionamento e di

    pensiero (metaconoscenza), aiuta i ragazzi a

    diventare soggetti che imparano ad imparare e

    favorisce l’automotivazione.

    L’attività di problematizzazione, nella sua

    duplice accezione del Problem posing, come

    abilità nel rilevare e impostare problemi, e

    del Problem solving, come capacità di proget-

    tare e realizzare attività che conducano alle

    soluzioni dei problemi impostati, non può

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    essere ignorata nel processo di acquisizione

    e di elaborazione delle conoscenze. Pertanto

    essa va connessa direttamente alla funzione

    di concettualizzazione e a tutte le strategie

    di ricerca e di trattamento

    dell’informazione, che tengano conto sia del

    soggetto che opera, sia dell’oggetto culturale

    di riferimento. Cercheremo di dimostrare in

    questo lavoro che il Problem posing, già con-

    solidato ed usato in altre discipline scientifi-

    che ed in particolare nelle studio delle ma-

    tematiche (Spagnolo, 1998), può costituire

    un valido metodo di insegnamento anche

    nell’ambito dello studio-scoperta delle

    Scienze della Terra.

    La didattica del Problem posing

    Dal 1889, in alcune relazioni pubblicate in

    Gran Bretagna da un comitato “capeggiato”

    dal professore Armstrong e riguardanti

    l’insegnamento scientifico, si iniziò a parlare

    dei metodi d’insegnamento euristici o per

    scoperta. In una delle sue relazioni Arm-

    strong affermò che

    i metodi euristici d’insegnamento sono metodi

    che stimolano il più possibile nei nostri studen-

    ti l’attitudine dello scopritore; invece di rac-

    contare le cose agli allievi, essi vengono chia-

    mati a scoprirle per conto loro (Van Praagh,

    1996).

    Qualche anno prima, Meiklejohn, nel cor-

    so di un suo intervento alla Conferenza In-

    ternazionale sull’Educazione tenutasi a

    South Kensington, sostenne che la condizio-

    ne universale di tutti i metodi

    d’insegnamento è quella di essere euristici,

    affermando che

    il metodo di insegnamento che si avvicina

    maggiormente al metodo della ricerca sia senza

    confronto il migliore; esso infatti non si limita

    a fornire alcune nozioni, che risultano così per

    gli allievi prive di vita e di interesse ma ne mo-

    tiva l’origine; esso tende inoltre a porre il di-

    scente sulla strada dell’invenzione e a seguire

    quei percorsi attraverso i quali il ricercatore ha

    compiuto le proprie scoperte (Van Praagh,

    1996).

    Non sono, comunque, mancate le critiche

    a tale impostazione. Una delle più autorevo-

    li e significative, per gli sviluppi che ha

    comportato nelle attività di ricerca più re-

    centi, è quella di Driver che, a proposito

    dell’approccio euristico all’insegnamento,

    afferma:

    Gli allievi della scuola secondaria sono pronti a

    riconoscere le regole del gioco quando chiedo-

    no: ‘È questo ciò che doveva accadere’, oppure

    ‘Ho la risposta corretta?’. La disonestà intellet-

    tuale dell’approccio deriva dall’aspettarsi dalle

    attività di laboratorio degli allievi due risultati

    possibilmente compatibili. Da un lato, ci si

    aspetta che gli allievi esplorino un fenomeno

    per proprio conto, raccolgano dati e operino in-

    duzioni basate su di essi; dall’altro, questo pro-

    cesso li dovrebbe condurre alla legge o al prin-

    cipio scientifico correntemente accettato (Har-

    len, 1992).

    Per superare alcune di queste valutazioni

    negative, soprattutto quella che affermava

    che gli allievi non erano capaci di giungere a

    scoperte corrette soltanto ed esclusivamente

    per proprio merito, è stato introdotto il me-

    todo della “scoperta guidata”, che permette

    di guidare gli studenti nella scoperta di re-

    golarità, leggi e principi.

    L’idea di una Problem posing education è

    stata proposta per la prima volta dal peda-

    gogista brasiliano Freire (1970) sulla base

    delle osservazioni ed esperienze di lavoro

    maturate come docente di operai contadini

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    in Brasile. La sua filosofia è incentrata sullo

    sviluppo di una coscienza critica nei centri

    di istruzione per insegnare agli oppressi a

    riconoscere le cause della loro vessazione

    (Auerbach, 1990). Il Problem posing, quindi,

    come percorso educativo verso una coscien-

    za critica.

    Come metodo d’insegnamento-

    apprendimento, il Problem posing comporta,

    quindi, l’ascolto, il dialogo e l’azione

    (Dewey, 1970; Wallerstein, 1987). Quando

    gli insegnanti mettono in pratica

    l’educazione secondo il Problem posing, si

    avvicinano agli apprendenti quali compagni

    dialoganti, il che crea un’atmosfera di spe-

    ranza, di amore, di umiltà e di fiducia (Frei-

    re, 1970).

    La dimensione che viene richiamata

    dall’utilizzazione dei “problemi” in campo

    didattico è quella della ricerca che, se con-

    dotta secondo i canoni della rigorosità e del-

    la metodologia scientifica, adeguata alle

    possibilità psico-

    evolutive, mette in atti-

    vità nel soggetto anche

    la pratica (alunni-

    docente), realizzando

    l’interiorizzazione e la

    “metabolizzazione”

    delle conoscenze e dei

    saperi che con essa ha

    realizzato (apprendi-

    mento significativo per

    scoperta). In questo

    contesto l’ambiente di-

    venta laboratorio nel

    senso di un “luogo” in

    cui il sapere si trasfor-

    ma in saper fare. Il Pro-

    blem posing rappresenta,

    pertanto, una procedu-

    ra codificata di un pro-

    cesso mentale che, attraverso la formulazio-

    ne di problemi piuttosto che di semplici

    domande su affermazioni e sulla messa in

    discussione di dati e proprietà di un ogget-

    to, può portare a congetturare ipotesi alter-

    native (Cammarata et alii, 2011).

    Problem posing e le Scienze della Terra

    La strategia d’intervento che ha visto

    coinvolti gli alunni di una classe prima di un

    istituto d’istruzione secondaria, si è articola-

    to nelle seguenti fasi:

    1. Scelta dell’oggetto e del luogo

    Ogni percorso didattico inizia da un “og-

    getto” da osservare e da un “luogo” da visi-

    tare per consentire agli studenti di fare

    un’esperienza diretta e “reale” dell’oggetto

    precedentemente osservato. Chiaramente

    l’oggetto e il luogo devono essere legati alla

    disciplina delle Scienze della Terra.

    Figura 1 – Le diversi componenti del geosistema

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    Quest’ultima è molto importante in quan-

    to indaga il mondo non vivente nelle sue

    dimensioni temporale, spaziale, chimico-

    fisica e dinamica, ricostruendo eventi e am-

    bienti geologici del passato e consentendo di

    fare previsioni sul futuro. Inoltre determina

    la distribuzione geografica di strutture e fe-

    nomeni geologici; analizza le proprietà fisi-

    che e la composizione chimica della materia

    non vivente a livello macroscopico e micro-

    scopico; studia le continue trasformazioni

    chimiche, fisiche e fenomenologiche che ca-

    ratterizzano il geosistema, come illustrato

    nello schema di figura 1.

    Le conoscenze che l’uomo ha accumulato

    nel tempo sul sistema Terra non sono uni-

    camente finalizzate a colmare la sua innata

    curiosità e il suo desiderio di sapere. Oggi

    più che mai, vengono sfruttate per migliora-

    re la qualità di vita dell’uomo, per soddi-

    sfarne il continuo bisogno di nuove risorse,

    per proteggerla da catastrofi naturali.

    Per tali motivi le Scienze della Terra rie-

    scono a suscitare grande interesse e passione

    stimolando una grande varietà di sentimen-

    ti. Nello studio delle Scienze della Terra, in-

    fatti, una funzione determinante è assolta

    dalla componente emozionale, in quanto, fa-

    cilita l’interazione fra diversi tipi di cono-

    scenza, semplifica il processo di apprendi-

    mento, concorre a vedere in maniera diversa

    e a dare un significato alternativo ai feno-

    meni abituali del mondo circostante.

    In questo lavoro si è fatto particolare rife-

    rimento alla Paleontologia. Ricordiamo che

    essa è lo studio della vita del passato, come

    documentata dai fossili e dalle rocce che li

    inglobano. La documentazione fossile costi-

    tuisce lo strumento fondamentale per rico-

    noscere e interpretare la storia della vita sul-

    la Terra e per comprendere la storia dei pro-

    cessi evolutivi degli organismi. La Paleonto-

    logia trova le sue fondamenta in due disci-

    pline solo apparentemente distanti tra loro,

    la Geologia (lo studio della Terra) e la Biolo-

    gia (lo studio della vita), alle quali fornisce a

    sua volta importanti informazioni e stru-

    menti di studio.

    I fossili apportano un gran numero di in-

    formazioni sul passato del nostro pianeta,

    permettendo di ricostruire le antiche forme

    di vita e di capire come siano cambiate nel

    tempo la geografia (paleogeografia) e le

    condizioni ambientali (paleoecologia e pa-

    leoclimatologia) della Terra (Vialli, 1985).

    Fatta questa necessaria premessa, la clas-

    se è stata divisa in gruppi, e ad ognuno di

    essi, sono stati forniti frammenti di conchi-

    glie fossili (figura 2) e, come oggetto

    d’indagine, campioni di valve di conchiglie

    raccolte in diverse spiagge della Sicilia (es.:

    Mytilus, Ostrea, Cardium, Chlamys, ecc.).

    Quest’ultimi sono stati osservati sia ad oc-

    chio nudo che con la lente d’ingrandimento.

    Figura 2 – Fossili di Lamellibranchi: a) Chlamys; b)

    Megalodon; c) Calcari a Lumachella; d) Rudiste

    Nell’immaginario collettivo, la passione

    per le conchiglie alimenta il collezionismo.

    Le conchiglie utilizzate sono state dei La-

    mellibranchi, del phylum dei Molluschi, così

    chiamate per la particolare configurazione

    delle branchie. Appartengono alla classe dei

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    Bivalvi e sono conosciute a partire dal Cam-

    briano medio.

    L’attività didattica è continuata diretta-

    mente in campo, attraverso delle escursioni

    all’interno del Parco regionale delle Mado-

    nie. Questo territorio rappresenta un’area di

    eccezionale interesse botanico, zoologico e

    geologico; ed è per quest’ultima valenza

    geologica che il Parco, nel 2001, è entrato a

    far parte dell’European Geoparks Network.

    In particolare, interessante è stata

    l’escursione alla Rocca di Cefalù, costituita

    interamente da Calcari a Lumachella il cui

    contenuto faunistico è rappresentato da ru-

    diste, gasteropodi, coralli coloniali, idrozoi,

    briozoi, alghe e foraminiferi.

    Con questi calcari furono realizzate le an-

    tiche mura megalitiche di Kephaloidion, da-

    tabili non prima del V sec. a.C e due sarco-

    fagi, risalenti verosimilmente al Il sec. a.C.

    (Purpura, 1978).

    È apparso subito chiaro e fondamentale

    come il Parco delle Madonie rivolga la co-

    municazione della sua esistenza e dei suoi

    obiettivi anche alle istituzioni scolastiche,

    favorendo l’instaurarsi di sinergie che pos-

    sono essere di beneficio a entrambe.

    Per essere vissuta come risorsa, la scuola

    deve certamente superare l’isolamento cul-

    turale in cui è rimasta per tanti anni. Essa

    deve pertanto diventare risorsa locale, un si-

    stema dinamico in grado di co-evolversi con

    lo sviluppo dell’ambiente di cui è parte in-

    tegrante.

    L’ambiente, infatti, è inteso come spazio

    culturale alternativo; diviene una sorta di

    “libro di testo” estremamente ricco e poliva-

    lente da cui attingere oggetti, interessanti e

    innovativi, sorgente infinita di problemi da

    porsi. Esso in effetti può essere giustamente

    considerato “specchio didattico ed alfabeto”

    ed, inoltre, come “grammatica di conoscen-

    za e di fantasia”, con finalità cognitive che

    mirano ad elevare il territorio a “banca delle

    conoscenze” e l’ambiente a “bottega della

    fantasia” (Frabboni, 1987).

    2. Studio del oggetto dato

    Questa fase ha rappresentato un momen-

    to molto importante. Sono state raccolte, se-

    lezionate e organizzate tutte le informazioni

    significative relative all’oggetto dato.

    Si è messo così in atto un percorso per cui

    i ragazzi partendo dalla comprensione-

    osservazione delle valve dei Lamellibranchi,

    sono giunti alla scoperta della loro organiz-

    zazione, dell’orientamento, del loro modo di

    vita e un approccio alla loro classificazione

    tramite lo schema di figura 3.

    Figura 3 – Schema di classificazione di conchiglie

    (Da: GAINOTTI A. & MODELLI A., Biologia. Diversità

    e unità dei viventi. Guida per l’insegnante, Zanichelli,

    Milano 2002)

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    Al tal fine l’insegnante ha rivolto agli

    studenti alcune “domande-stimolo”, in gra-

    do di valorizzare le dinamiche cognitive,

    contenutistiche e comportamentali per for-

    nire risultati e indicazioni interessanti (es.:

    Che tipi di caratteri sono quelli presi in conside-

    razione per classificare le conchiglie? Conoscete

    alcuni molluschi che si possono considerare dei

    fossili viventi?).

    Mentre si è proceduto allo scambio di

    idee è stato “focalizzato l’oggetto” annotan-

    do parole chiave, schematizzando i concetti

    conclusivi per meglio ricostruire la memoria

    collettiva a cui si era arrivati insieme. Una

    rappresentazione sintetica dei Lamellibran-

    chi è stata riportata con uno schema a bloc-

    chi in figura 4.

    Figura 4 – Schema sintetico a blocchi sui Lamelli-

    branchi

    In questa fase sono state, inoltre, suggeri-

    te alcune situazioni-problema da utilizzare a

    scopo diagnostico, con una duplice finalità:

    da un lato, accertare le preconoscenze degli

    studenti; dall’altro, evidenziare eventuali

    carenze di concetti base. Diverse sono state

    le tecniche utilizzate per sollevare eventuali

    insufficienze sull’oggetto dato e il suo conte-

    sto:

    domandare agli studenti la definizione

    di alcune parole;

    far disegnare (non fotografare) l’oggetto

    dato;

    porre alcune domande su fatti specifici

    esaltando gli aspetti emozionali;

    partendo dallo schema di classificazione

    di conchiglie, chiedere loro di fare dei

    commenti;

    mettere gli alunni nella condizione di

    proporre un loro modello alternativo allo

    schema di classificazione di conchiglie.

    3. E se non…

    In questa fase si è cercato di met-

    tere gli studenti nelle condizioni di

    “ragionare in negativo” (E se tale

    elemento non esistesse?), al fine di

    mettere in discussione il dato in lo-

    ro possesso; negare le sue proprie-

    tà; modificare le proprietà eviden-

    ziate e proporre ipotesi alternative

    per porre nuove domande in un

    processo circolare di continua ela-

    borazione di dati e problemi.

    Messi davanti ad affermazioni

    apparentemente contraddittorie è

    iniziato un vivace dibattito.

    4. Problem posing s.s.

    È risultato fondamentale, in questa fase,

    definire in maniera opportuna la “situazio-

    ne-problema”.

    L’insegnante ha lasciato agli studenti tut-

    to il tempo necessario per analizzare il pro-

    blema e trovare le soluzioni; non ha antici-

    pato, ne tanto meno ha fornito loro le solu-

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    zioni. Il docente li ha solo guidati nel per-

    corso. A tal proposito, è stato puntualizzato

    che una “situazione-problema” dovrebbe:

    avere senso: gli studenti non devono es-

    sere soltanto esecutori, obbedienti a det-

    tami proposti dall’insegnante, ma diretti

    responsabili della loro crescita intellet-

    tuale;

    essere legata ad un ostacolo definito,

    considerato come superabile e di cui gli

    studenti devono avere contezza attraver-

    so le loro rappresentazioni mentali;

    stimolare domande negli alunni;

    rifarsi ad una situazione complessa, ma-

    gari legata al mondo reale, che possa

    aprire scenari su differenti risposte e

    strategie utili per risolverla;

    aprirsi su un sapere generale e comples-

    sivo (concetto, legge, regola).

    L’importanza di porre domande e cercare

    risposte ad esse non consiste soltanto nel

    dimostrare affermazioni ma piuttosto

    d’indagare su di esse. Questo procedimento

    che sviluppa, in chi lo applica, il pensiero

    divergente, instaura un’attività di ricerca e

    di scoperta.

    Considerazioni conclusive

    Nel seguente lavoro si è cercato di evi-

    denziare che al fine di fare acquisire agli

    alunni apprendimenti scientifici significativi

    e duraturi, è opportuno realizzare attività

    che consentono loro di partecipare attiva-

    mente alla costruzione del proprio sapere.

    Tra i diversi metodi che possono essere

    messi in atto nell’ambito delle Scienze della

    Terra è stato quello del Problem posing.

    Lavorare con il metodo del “porre i pro-

    blemi” ha presentato numerosi vantaggi, tra

    i quali quelli che riportiamo in questo elenco

    sicuramente non esaustivo:

    le fasi di lavoro del metodo hanno abi-

    tuato gradualmente gli alunni ad acqui-

    sire consapevolezza del fatto che sono

    loro stessi i protagonisti del proprio

    cammino di apprendimento;

    con il Problem posing, gli alunni sono stati

    costantemente stimolati nella costruzione

    e risoluzione di problemi; ciò ha favorito

    il conseguimento di un metodo di studio

    autonomo e responsabile, non mnemoni-

    co, legato prettamente a quanto spiegato

    dal docente. Infatti, con il porre dei pro-

    blemi è stato più semplice acquisire uno

    stile euristico e sistematico;

    il Problem posing ha attivato più facilmen-

    te la motivazione allo studio degli alun-

    ni, alimentata per altro dalle componenti

    emozionali insite nelle Scienze della Ter-

    ra;

    l’applicazione del metodo ha consentito

    agli studenti di sviluppare le capacità

    metacognitive, secondo la competenza

    chiave di imparare ad imparare;

    il Problem posing ha consentito la parteci-

    pazione attiva di tutti gli studenti al la-

    voro nella logica didattica del cooperative

    learning.

    Nell’applicare il metodo del Problem po-

    sing grande importanza assume il docente.

    L’insegnante, come facilitatore

    d’apprendimento; attraverso riflessioni e

    azioni stimola e incoraggia gli alunni, con-

    sentendo loro progressivamente di spostarsi

    dalla situazione primitiva in cui si trovano

    al punto in cui desiderano arrivare. Il docen-

    te deve essere, ancor prima che insegnante,

    un educatore, nella misura in cui segue lo

    sviluppo dell’allievo in maniera non astrat-

    ta, ma partecipe e compartecipe, non assur-

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    gendo unicamente al ruolo di dispensatore

    di nozioni. Ci vuole un insegnante con la

    competenza e la capacità di percepire

    l’essere umano in tutta la sua complessità e

    di saper scegliere una strategia e applicare

    un metodo (Ciambrone, 2014).

    In ultima analisi, vogliamo sottolineare

    che la didattica per problemi (Problem sol-

    ving e Problem posing) è una metodologia at-

    tiva con un’alta valenza formativa anche

    nella didattica inclusiva in quanto consente

    a ciascun alunno con bisogni educativi spe-

    ciali (BES) di sviluppare alcuni aspetti fon-

    damentali della personalità quali la respon-

    sabilità, l’autonomia, la fiducia in sé, la sti-

    ma di sé, la cooperazione con gli altri, la so-

    lidarietà e le capacità decisionali.

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