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Il “problem posing” come metodologia innovativa per lo studio delle Scienze della Terra
Roberto Franco
Laureato in Scienze Geologiche, esperto in Sistemazione bacini montani e difesa del suolo. Membro della Società Italia-na di Geologia Ambientale e presidente del Centro Studi Francescani e Medievali. Docente di Scuola Superiore di Se-condo grado, ha pubblicato diversi contributi scientifici su riviste nazionali e internazionali, oltre al libro: Alburchia, la montagna incantata. Un contributo della Geoarcheologia alla conoscenza, tutela e valorizzazione di un sito della Sicilia centro-settentrionale.
L’articolo presenta un’esperienza didattica, nell’ambito delle Scienze della
Terra, che consente di comprendere come possa essere utilizzato il metodo
del Problem posing a scuola. Si tratta di un approccio basato sui principi del
costruttivismo che permette di adottare una efficace esplorazione del me-
todo scientifico nell’insegnamento.
Introduzione
L’insegnamento ha risentito per lungo
tempo dell’influenza di un modello di ap-
prendimento secondo il quale la conoscenza
poteva essere semplicemente trasferita da
un soggetto (docente) ad un altro (allievo).
Ad esempio, nella lezione “ex cathedra”,
tradizionale dell’insegnamento universita-
rio, il docente fornisce informazioni da ap-
prendere e lo studente è coinvolto soprattut-
to nello sforzo di seguire la spiegazione e di
prendere appunti.
Ricerche condotte sulla sua efficacia
smentiscono che la lezione sia un modo effi-
ciente di trasmettere informazioni in modo
accurato. Di circa 5000 parole ascoltate in 50
minuti di lezione, gli studenti ne appuntano
circa 500 e in media trascrivono circa il 90%
delle informazioni scritte dal docente sulla
lavagna (Johnstone & Su, 1994).
Negli ultimi decenni questo modello è
stato superato da teorie d’apprendimento
diverse e da ricerche nel campo
dell’intelligenza artificiale. In particolare si è
fatto riferimento alla teoria costruttivista. Il
costruttivismo, che secondo Von Glasersfeld
(1989) fonda le proprie radici nel trattato De
antiquissima Italorum sapientia di Giambatti-
sta Vico e nella teoria della cognizione di
Piaget, propone una costruzione radicale
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della conoscenza. Ciò deriva dalla convin-
zione dell’impossibilità dell’individuo di
conoscere la realtà oggettiva; la conoscenza
viene vista come qualcosa che il singolo co-
struisce nel tentativo di ordinare le proprie
esperienze (Von Glasersfeld, 1984).
Altri autori propongono una costruzione
sociale dell’apprendimento scientifico; la
conoscenza scientifica viene realizzata
quando gli studenti sono attivamente impe-
gnati in dibattiti e attività riguardanti pro-
blemi scientifici (Driver et alii, 1994). Questa
nuova concezione epistemologica della
scienza è stata accompagnata da (e forse ha
prodotto) una nuova concezione sulla natu-
ra dell’apprendimento. La visione della psi-
cologia del comportamento, centrale alla
quale era la struttura stimolo-risposta, è
rimpiazzata dalla psicologia cognitiva: lo
studente è attivamente coinvolto nella co-
struzione della conoscenza.
Il modello costruttivistico può essere sin-
tetizzato in una singola frase: «La conoscen-
za è costruita nella mente di colui che impa-
ra» (Bodner, 1986). La costruzione di una
nuova conoscenza avviene mediante
l’osservazione ragionata di eventi, interpre-
tata e mediata attraverso concetti che già
possediamo. Secondo Ausubel (1978), il fat-
tore singolarmente più importante che in-
fluenza l’apprendimento è ciò che lo studen-
te già conosce. Accerta questo e insegna in
accordo.
La costruzione della conoscenza può es-
sere perciò vista come un processo dinamico
aperto alla competizione intellettuale; un in-
sieme di progressive transizioni tra modelli
aventi un differente grado di capacità espli-
cativa che incoraggiano la ristrutturazione
concettuale attraverso conflitti cognitivi
(Smith et alii, 1981). Il costruttivismo non è
soltanto una teoria della conoscenza, ma
propone una propria concezione della verità
e della relazione tra conoscenza e realtà
(Von Glasersfeld, 1995).
L’individuo davanti alla “realtà”, fin dai
primi anni di vita, è soggetto attivo che co-
struisce interpretazioni dell’esperienza, nel
tentativo di dare senso al mondo e di antici-
pare così le esperienze future. La conoscen-
za in quest’ottica non rappresenta una ri-
produzione del mondo reale, ma piuttosto
fornisce una struttura e un’organizzazione
all’esperienza.
Secondo Vygotsky (1966), lo sviluppo co-
gnitivo è un processo sociale e la capacità di
ragionare aumenta nell’interazione con i
propri pari e con persone maggiormente
esperte.
Pertanto, apprendere non significa più ri-
petere cognizioni standardizzate entro di-
scipline tradizionali, ma sviluppare strategie
per acquisire rapidamente e in modo effica-
ce concetti e abilità nuovi, favorendo la fles-
sibilità celebrare dell’individuo senza inca-
nalarla in strutture cognitive preconfeziona-
te.
Tra i diversi metodi che si possono mette-
re in atto per condurre attività scientifiche e
sviluppare il pensiero divergente degli stu-
denti, sollecitando in loro la capacità di por-
re e sviluppare problemi, è il Problem posing:
l’apprendimento a partire dal porsi proble-
mi tramite domande di ricerca. Questo me-
todo sviluppa abilità di ragionamento e di
pensiero (metaconoscenza), aiuta i ragazzi a
diventare soggetti che imparano ad imparare e
favorisce l’automotivazione.
L’attività di problematizzazione, nella sua
duplice accezione del Problem posing, come
abilità nel rilevare e impostare problemi, e
del Problem solving, come capacità di proget-
tare e realizzare attività che conducano alle
soluzioni dei problemi impostati, non può
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essere ignorata nel processo di acquisizione
e di elaborazione delle conoscenze. Pertanto
essa va connessa direttamente alla funzione
di concettualizzazione e a tutte le strategie
di ricerca e di trattamento
dell’informazione, che tengano conto sia del
soggetto che opera, sia dell’oggetto culturale
di riferimento. Cercheremo di dimostrare in
questo lavoro che il Problem posing, già con-
solidato ed usato in altre discipline scientifi-
che ed in particolare nelle studio delle ma-
tematiche (Spagnolo, 1998), può costituire
un valido metodo di insegnamento anche
nell’ambito dello studio-scoperta delle
Scienze della Terra.
La didattica del Problem posing
Dal 1889, in alcune relazioni pubblicate in
Gran Bretagna da un comitato “capeggiato”
dal professore Armstrong e riguardanti
l’insegnamento scientifico, si iniziò a parlare
dei metodi d’insegnamento euristici o per
scoperta. In una delle sue relazioni Arm-
strong affermò che
i metodi euristici d’insegnamento sono metodi
che stimolano il più possibile nei nostri studen-
ti l’attitudine dello scopritore; invece di rac-
contare le cose agli allievi, essi vengono chia-
mati a scoprirle per conto loro (Van Praagh,
1996).
Qualche anno prima, Meiklejohn, nel cor-
so di un suo intervento alla Conferenza In-
ternazionale sull’Educazione tenutasi a
South Kensington, sostenne che la condizio-
ne universale di tutti i metodi
d’insegnamento è quella di essere euristici,
affermando che
il metodo di insegnamento che si avvicina
maggiormente al metodo della ricerca sia senza
confronto il migliore; esso infatti non si limita
a fornire alcune nozioni, che risultano così per
gli allievi prive di vita e di interesse ma ne mo-
tiva l’origine; esso tende inoltre a porre il di-
scente sulla strada dell’invenzione e a seguire
quei percorsi attraverso i quali il ricercatore ha
compiuto le proprie scoperte (Van Praagh,
1996).
Non sono, comunque, mancate le critiche
a tale impostazione. Una delle più autorevo-
li e significative, per gli sviluppi che ha
comportato nelle attività di ricerca più re-
centi, è quella di Driver che, a proposito
dell’approccio euristico all’insegnamento,
afferma:
Gli allievi della scuola secondaria sono pronti a
riconoscere le regole del gioco quando chiedo-
no: ‘È questo ciò che doveva accadere’, oppure
‘Ho la risposta corretta?’. La disonestà intellet-
tuale dell’approccio deriva dall’aspettarsi dalle
attività di laboratorio degli allievi due risultati
possibilmente compatibili. Da un lato, ci si
aspetta che gli allievi esplorino un fenomeno
per proprio conto, raccolgano dati e operino in-
duzioni basate su di essi; dall’altro, questo pro-
cesso li dovrebbe condurre alla legge o al prin-
cipio scientifico correntemente accettato (Har-
len, 1992).
Per superare alcune di queste valutazioni
negative, soprattutto quella che affermava
che gli allievi non erano capaci di giungere a
scoperte corrette soltanto ed esclusivamente
per proprio merito, è stato introdotto il me-
todo della “scoperta guidata”, che permette
di guidare gli studenti nella scoperta di re-
golarità, leggi e principi.
L’idea di una Problem posing education è
stata proposta per la prima volta dal peda-
gogista brasiliano Freire (1970) sulla base
delle osservazioni ed esperienze di lavoro
maturate come docente di operai contadini
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in Brasile. La sua filosofia è incentrata sullo
sviluppo di una coscienza critica nei centri
di istruzione per insegnare agli oppressi a
riconoscere le cause della loro vessazione
(Auerbach, 1990). Il Problem posing, quindi,
come percorso educativo verso una coscien-
za critica.
Come metodo d’insegnamento-
apprendimento, il Problem posing comporta,
quindi, l’ascolto, il dialogo e l’azione
(Dewey, 1970; Wallerstein, 1987). Quando
gli insegnanti mettono in pratica
l’educazione secondo il Problem posing, si
avvicinano agli apprendenti quali compagni
dialoganti, il che crea un’atmosfera di spe-
ranza, di amore, di umiltà e di fiducia (Frei-
re, 1970).
La dimensione che viene richiamata
dall’utilizzazione dei “problemi” in campo
didattico è quella della ricerca che, se con-
dotta secondo i canoni della rigorosità e del-
la metodologia scientifica, adeguata alle
possibilità psico-
evolutive, mette in atti-
vità nel soggetto anche
la pratica (alunni-
docente), realizzando
l’interiorizzazione e la
“metabolizzazione”
delle conoscenze e dei
saperi che con essa ha
realizzato (apprendi-
mento significativo per
scoperta). In questo
contesto l’ambiente di-
venta laboratorio nel
senso di un “luogo” in
cui il sapere si trasfor-
ma in saper fare. Il Pro-
blem posing rappresenta,
pertanto, una procedu-
ra codificata di un pro-
cesso mentale che, attraverso la formulazio-
ne di problemi piuttosto che di semplici
domande su affermazioni e sulla messa in
discussione di dati e proprietà di un ogget-
to, può portare a congetturare ipotesi alter-
native (Cammarata et alii, 2011).
Problem posing e le Scienze della Terra
La strategia d’intervento che ha visto
coinvolti gli alunni di una classe prima di un
istituto d’istruzione secondaria, si è articola-
to nelle seguenti fasi:
1. Scelta dell’oggetto e del luogo
Ogni percorso didattico inizia da un “og-
getto” da osservare e da un “luogo” da visi-
tare per consentire agli studenti di fare
un’esperienza diretta e “reale” dell’oggetto
precedentemente osservato. Chiaramente
l’oggetto e il luogo devono essere legati alla
disciplina delle Scienze della Terra.
Figura 1 – Le diversi componenti del geosistema
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Quest’ultima è molto importante in quan-
to indaga il mondo non vivente nelle sue
dimensioni temporale, spaziale, chimico-
fisica e dinamica, ricostruendo eventi e am-
bienti geologici del passato e consentendo di
fare previsioni sul futuro. Inoltre determina
la distribuzione geografica di strutture e fe-
nomeni geologici; analizza le proprietà fisi-
che e la composizione chimica della materia
non vivente a livello macroscopico e micro-
scopico; studia le continue trasformazioni
chimiche, fisiche e fenomenologiche che ca-
ratterizzano il geosistema, come illustrato
nello schema di figura 1.
Le conoscenze che l’uomo ha accumulato
nel tempo sul sistema Terra non sono uni-
camente finalizzate a colmare la sua innata
curiosità e il suo desiderio di sapere. Oggi
più che mai, vengono sfruttate per migliora-
re la qualità di vita dell’uomo, per soddi-
sfarne il continuo bisogno di nuove risorse,
per proteggerla da catastrofi naturali.
Per tali motivi le Scienze della Terra rie-
scono a suscitare grande interesse e passione
stimolando una grande varietà di sentimen-
ti. Nello studio delle Scienze della Terra, in-
fatti, una funzione determinante è assolta
dalla componente emozionale, in quanto, fa-
cilita l’interazione fra diversi tipi di cono-
scenza, semplifica il processo di apprendi-
mento, concorre a vedere in maniera diversa
e a dare un significato alternativo ai feno-
meni abituali del mondo circostante.
In questo lavoro si è fatto particolare rife-
rimento alla Paleontologia. Ricordiamo che
essa è lo studio della vita del passato, come
documentata dai fossili e dalle rocce che li
inglobano. La documentazione fossile costi-
tuisce lo strumento fondamentale per rico-
noscere e interpretare la storia della vita sul-
la Terra e per comprendere la storia dei pro-
cessi evolutivi degli organismi. La Paleonto-
logia trova le sue fondamenta in due disci-
pline solo apparentemente distanti tra loro,
la Geologia (lo studio della Terra) e la Biolo-
gia (lo studio della vita), alle quali fornisce a
sua volta importanti informazioni e stru-
menti di studio.
I fossili apportano un gran numero di in-
formazioni sul passato del nostro pianeta,
permettendo di ricostruire le antiche forme
di vita e di capire come siano cambiate nel
tempo la geografia (paleogeografia) e le
condizioni ambientali (paleoecologia e pa-
leoclimatologia) della Terra (Vialli, 1985).
Fatta questa necessaria premessa, la clas-
se è stata divisa in gruppi, e ad ognuno di
essi, sono stati forniti frammenti di conchi-
glie fossili (figura 2) e, come oggetto
d’indagine, campioni di valve di conchiglie
raccolte in diverse spiagge della Sicilia (es.:
Mytilus, Ostrea, Cardium, Chlamys, ecc.).
Quest’ultimi sono stati osservati sia ad oc-
chio nudo che con la lente d’ingrandimento.
Figura 2 – Fossili di Lamellibranchi: a) Chlamys; b)
Megalodon; c) Calcari a Lumachella; d) Rudiste
Nell’immaginario collettivo, la passione
per le conchiglie alimenta il collezionismo.
Le conchiglie utilizzate sono state dei La-
mellibranchi, del phylum dei Molluschi, così
chiamate per la particolare configurazione
delle branchie. Appartengono alla classe dei
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Bivalvi e sono conosciute a partire dal Cam-
briano medio.
L’attività didattica è continuata diretta-
mente in campo, attraverso delle escursioni
all’interno del Parco regionale delle Mado-
nie. Questo territorio rappresenta un’area di
eccezionale interesse botanico, zoologico e
geologico; ed è per quest’ultima valenza
geologica che il Parco, nel 2001, è entrato a
far parte dell’European Geoparks Network.
In particolare, interessante è stata
l’escursione alla Rocca di Cefalù, costituita
interamente da Calcari a Lumachella il cui
contenuto faunistico è rappresentato da ru-
diste, gasteropodi, coralli coloniali, idrozoi,
briozoi, alghe e foraminiferi.
Con questi calcari furono realizzate le an-
tiche mura megalitiche di Kephaloidion, da-
tabili non prima del V sec. a.C e due sarco-
fagi, risalenti verosimilmente al Il sec. a.C.
(Purpura, 1978).
È apparso subito chiaro e fondamentale
come il Parco delle Madonie rivolga la co-
municazione della sua esistenza e dei suoi
obiettivi anche alle istituzioni scolastiche,
favorendo l’instaurarsi di sinergie che pos-
sono essere di beneficio a entrambe.
Per essere vissuta come risorsa, la scuola
deve certamente superare l’isolamento cul-
turale in cui è rimasta per tanti anni. Essa
deve pertanto diventare risorsa locale, un si-
stema dinamico in grado di co-evolversi con
lo sviluppo dell’ambiente di cui è parte in-
tegrante.
L’ambiente, infatti, è inteso come spazio
culturale alternativo; diviene una sorta di
“libro di testo” estremamente ricco e poliva-
lente da cui attingere oggetti, interessanti e
innovativi, sorgente infinita di problemi da
porsi. Esso in effetti può essere giustamente
considerato “specchio didattico ed alfabeto”
ed, inoltre, come “grammatica di conoscen-
za e di fantasia”, con finalità cognitive che
mirano ad elevare il territorio a “banca delle
conoscenze” e l’ambiente a “bottega della
fantasia” (Frabboni, 1987).
2. Studio del oggetto dato
Questa fase ha rappresentato un momen-
to molto importante. Sono state raccolte, se-
lezionate e organizzate tutte le informazioni
significative relative all’oggetto dato.
Si è messo così in atto un percorso per cui
i ragazzi partendo dalla comprensione-
osservazione delle valve dei Lamellibranchi,
sono giunti alla scoperta della loro organiz-
zazione, dell’orientamento, del loro modo di
vita e un approccio alla loro classificazione
tramite lo schema di figura 3.
Figura 3 – Schema di classificazione di conchiglie
(Da: GAINOTTI A. & MODELLI A., Biologia. Diversità
e unità dei viventi. Guida per l’insegnante, Zanichelli,
Milano 2002)
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Al tal fine l’insegnante ha rivolto agli
studenti alcune “domande-stimolo”, in gra-
do di valorizzare le dinamiche cognitive,
contenutistiche e comportamentali per for-
nire risultati e indicazioni interessanti (es.:
Che tipi di caratteri sono quelli presi in conside-
razione per classificare le conchiglie? Conoscete
alcuni molluschi che si possono considerare dei
fossili viventi?).
Mentre si è proceduto allo scambio di
idee è stato “focalizzato l’oggetto” annotan-
do parole chiave, schematizzando i concetti
conclusivi per meglio ricostruire la memoria
collettiva a cui si era arrivati insieme. Una
rappresentazione sintetica dei Lamellibran-
chi è stata riportata con uno schema a bloc-
chi in figura 4.
Figura 4 – Schema sintetico a blocchi sui Lamelli-
branchi
In questa fase sono state, inoltre, suggeri-
te alcune situazioni-problema da utilizzare a
scopo diagnostico, con una duplice finalità:
da un lato, accertare le preconoscenze degli
studenti; dall’altro, evidenziare eventuali
carenze di concetti base. Diverse sono state
le tecniche utilizzate per sollevare eventuali
insufficienze sull’oggetto dato e il suo conte-
sto:
domandare agli studenti la definizione
di alcune parole;
far disegnare (non fotografare) l’oggetto
dato;
porre alcune domande su fatti specifici
esaltando gli aspetti emozionali;
partendo dallo schema di classificazione
di conchiglie, chiedere loro di fare dei
commenti;
mettere gli alunni nella condizione di
proporre un loro modello alternativo allo
schema di classificazione di conchiglie.
3. E se non…
In questa fase si è cercato di met-
tere gli studenti nelle condizioni di
“ragionare in negativo” (E se tale
elemento non esistesse?), al fine di
mettere in discussione il dato in lo-
ro possesso; negare le sue proprie-
tà; modificare le proprietà eviden-
ziate e proporre ipotesi alternative
per porre nuove domande in un
processo circolare di continua ela-
borazione di dati e problemi.
Messi davanti ad affermazioni
apparentemente contraddittorie è
iniziato un vivace dibattito.
4. Problem posing s.s.
È risultato fondamentale, in questa fase,
definire in maniera opportuna la “situazio-
ne-problema”.
L’insegnante ha lasciato agli studenti tut-
to il tempo necessario per analizzare il pro-
blema e trovare le soluzioni; non ha antici-
pato, ne tanto meno ha fornito loro le solu-
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zioni. Il docente li ha solo guidati nel per-
corso. A tal proposito, è stato puntualizzato
che una “situazione-problema” dovrebbe:
avere senso: gli studenti non devono es-
sere soltanto esecutori, obbedienti a det-
tami proposti dall’insegnante, ma diretti
responsabili della loro crescita intellet-
tuale;
essere legata ad un ostacolo definito,
considerato come superabile e di cui gli
studenti devono avere contezza attraver-
so le loro rappresentazioni mentali;
stimolare domande negli alunni;
rifarsi ad una situazione complessa, ma-
gari legata al mondo reale, che possa
aprire scenari su differenti risposte e
strategie utili per risolverla;
aprirsi su un sapere generale e comples-
sivo (concetto, legge, regola).
L’importanza di porre domande e cercare
risposte ad esse non consiste soltanto nel
dimostrare affermazioni ma piuttosto
d’indagare su di esse. Questo procedimento
che sviluppa, in chi lo applica, il pensiero
divergente, instaura un’attività di ricerca e
di scoperta.
Considerazioni conclusive
Nel seguente lavoro si è cercato di evi-
denziare che al fine di fare acquisire agli
alunni apprendimenti scientifici significativi
e duraturi, è opportuno realizzare attività
che consentono loro di partecipare attiva-
mente alla costruzione del proprio sapere.
Tra i diversi metodi che possono essere
messi in atto nell’ambito delle Scienze della
Terra è stato quello del Problem posing.
Lavorare con il metodo del “porre i pro-
blemi” ha presentato numerosi vantaggi, tra
i quali quelli che riportiamo in questo elenco
sicuramente non esaustivo:
le fasi di lavoro del metodo hanno abi-
tuato gradualmente gli alunni ad acqui-
sire consapevolezza del fatto che sono
loro stessi i protagonisti del proprio
cammino di apprendimento;
con il Problem posing, gli alunni sono stati
costantemente stimolati nella costruzione
e risoluzione di problemi; ciò ha favorito
il conseguimento di un metodo di studio
autonomo e responsabile, non mnemoni-
co, legato prettamente a quanto spiegato
dal docente. Infatti, con il porre dei pro-
blemi è stato più semplice acquisire uno
stile euristico e sistematico;
il Problem posing ha attivato più facilmen-
te la motivazione allo studio degli alun-
ni, alimentata per altro dalle componenti
emozionali insite nelle Scienze della Ter-
ra;
l’applicazione del metodo ha consentito
agli studenti di sviluppare le capacità
metacognitive, secondo la competenza
chiave di imparare ad imparare;
il Problem posing ha consentito la parteci-
pazione attiva di tutti gli studenti al la-
voro nella logica didattica del cooperative
learning.
Nell’applicare il metodo del Problem po-
sing grande importanza assume il docente.
L’insegnante, come facilitatore
d’apprendimento; attraverso riflessioni e
azioni stimola e incoraggia gli alunni, con-
sentendo loro progressivamente di spostarsi
dalla situazione primitiva in cui si trovano
al punto in cui desiderano arrivare. Il docen-
te deve essere, ancor prima che insegnante,
un educatore, nella misura in cui segue lo
sviluppo dell’allievo in maniera non astrat-
ta, ma partecipe e compartecipe, non assur-
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gendo unicamente al ruolo di dispensatore
di nozioni. Ci vuole un insegnante con la
competenza e la capacità di percepire
l’essere umano in tutta la sua complessità e
di saper scegliere una strategia e applicare
un metodo (Ciambrone, 2014).
In ultima analisi, vogliamo sottolineare
che la didattica per problemi (Problem sol-
ving e Problem posing) è una metodologia at-
tiva con un’alta valenza formativa anche
nella didattica inclusiva in quanto consente
a ciascun alunno con bisogni educativi spe-
ciali (BES) di sviluppare alcuni aspetti fon-
damentali della personalità quali la respon-
sabilità, l’autonomia, la fiducia in sé, la sti-
ma di sé, la cooperazione con gli altri, la so-
lidarietà e le capacità decisionali.
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