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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale Produttività, competitività e risultati economici La competitività è spesso vista come un indicatore chia- ve del successo o del fallimento delle misure politiche adottate. Letteralmente, il termine si riferisce ai produtto- ri che competono tra loro nello stesso mercato. Tuttavia, esiste un concetto collegato che riguarda i risultati eco- nomici delle regioni e dei paesi e che può ugualmente essere definito ‘competitività’. Benché in ogni regione siano presenti aziende competi- tive e non competitive, vi sono fattori comuni che incido- no sulla competitività di tutte le aziende situate in una certa area. Questi elementi includono l’infrastruttura fisi- ca e sociale, le competenze delle forze di lavoro, un quadro istituzionale e una cultura inclini (o meno) all’innovazione e l’efficienza delle istituzioni pubbliche (specialmente la capacità manageriale a livello regiona- le). Inoltre, il successo alimenta il successo: la presenza di aziende fortemente competitive in una regione tende a stimolarne altre e a incoraggiare ulteriori investimenti. Negli ultimi anni, si è andata delineando una definizione tipo di competitività regionale e nazionale, che si riferi- sce alla conquista di un ‘tenore di vita elevato e crescen- te e alti tassi di occupazione su base sostenibile’ 1 . Ben- ché gli indicatori di competitività tradizionali tendano a concentrarsi sul PIL pro capite, vi sono altri fattori impor- tanti che incidono sui risultati economici. Il vertice di Li- sbona ha sottolineato il legame fondamentale tra la forza economica dell’Europa e il suo modello sociale. Una protezione sociale mirata ed efficace aiuta le economie ad adattarsi al cambiamento. Promuovendo una mag- giore coesione sociale, si favorisce una riduzione del sottutilizzo di risorse umane. È altresì importante ricor- dare il contributo di altri fattori, tra cui la qualità dell’ambiente naturale e dell’assistenza sanitaria, i servi- zi sociali, ecc. Gli indicatori di questo tipo arricchiscono la nostra comprensione dello sviluppo economico, sebbene siano necessari ulteriori approfondimenti per elaborare misure migliori dei progressi compiuti in que- ste aree. Nella pratica, il PIL pro capite può essere suddiviso in due componenti principali: il tasso di occupazione, cioè la proporzione di popolazione in età lavorativa effettiva- mente occupata, e la produttività, ossia il PIL per occu- pato. Poiché un elevato livello di una componente non si accompagna necessariamente a un elevato livello dell’altra, esse vengono considerate separatamente nel seguito, sia in forma aggregata che per settore, prima di esaminare gli investimenti e altri fattori chiave alla base della produttività. Tendenze nei risultati economici regionali Negli ultimi venticinque anni, i risultati economici osser- vati per il complesso dell’Unione sono stati tendenzial- mente migliori in termini di produttività e spesso modesti in termini di occupazione. Ciò ha talvolta generato il ti- more di una ‘crescita senza posti di lavoro’, sebbene, in realtà, l’occupazione sia sempre aumentata quando la crescita del PIL ha superato il 2% annuo. Il problema è stato mantenere questo tasso di crescita nel lungo pe- riodo. Nel decennio 1989-1999, ad esempio, esso è sta- to mediamente dell’1,9% annuo ma, poiché il PIL per occupato è aumentato dell’1,4%, l’occupazione è cre- sciuta di appena lo 0,5% annuo. Nel lungo periodo, un elevato incremento occupazionale e una crescita soste- nuta della produttività non sono obiettivi necessaria- mente in contrasto tra loro. In effetti, nella misura in cui l’aumento della produttività promuove la competitività e, quindi, permette di realizzare una maggiore crescita del PIL, le due componenti sono complementari. La sfida nelle regioni in ritardo di sviluppo consiste, tuttavia, nello sviluppare un insieme di politiche che diano impulso alla produttività senza incidere negativamente sui livelli oc- cupazionali. 37

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

Produttività, competitivitàe risultati economici

La competitività è spesso vista come un indicatore chia-ve del successo o del fallimento delle misure politicheadottate. Letteralmente, il termine si riferisce ai produtto-ri che competono tra loro nello stesso mercato. Tuttavia,esiste un concetto collegato che riguarda i risultati eco-nomici delle regioni e dei paesi e che può ugualmenteessere definito ‘competitività’.

Benché in ogni regione siano presenti aziende competi-tive e non competitive, vi sono fattori comuni che incido-no sulla competitività di tutte le aziende situate in unacerta area. Questi elementi includono l’infrastruttura fisi-ca e sociale, le competenze delle forze di lavoro, unquadro istituzionale e una cultura inclini (o meno)all’innovazione e l’efficienza delle istituzioni pubbliche(specialmente la capacità manageriale a livello regiona-le). Inoltre, il successo alimenta il successo: la presenzadi aziende fortemente competitive in una regione tendea stimolarne altre e a incoraggiare ulteriori investimenti.

Negli ultimi anni, si è andata delineando una definizionetipo di competitività regionale e nazionale, che si riferi-sce alla conquista di un ‘tenore di vita elevato e crescen-te e alti tassi di occupazione su base sostenibile’1. Ben-ché gli indicatori di competitività tradizionali tendano aconcentrarsi sul PIL pro capite, vi sono altri fattori impor-tanti che incidono sui risultati economici. Il vertice di Li-sbona ha sottolineato il legame fondamentale tra la forzaeconomica dell’Europa e il suo modello sociale. Unaprotezione sociale mirata ed efficace aiuta le economiead adattarsi al cambiamento. Promuovendo una mag-giore coesione sociale, si favorisce una riduzione delsottutilizzo di risorse umane. È altresì importante ricor-dare il contributo di altri fattori, tra cui la qualitàdell’ambiente naturale e dell’assistenza sanitaria, i servi-zi sociali, ecc. Gli indicatori di questo tipo arricchisconola nostra comprensione dello sviluppo economico,

sebbene siano necessari ulteriori approfondimenti perelaborare misure migliori dei progressi compiuti in que-ste aree.

Nella pratica, il PIL pro capite può essere suddiviso indue componenti principali: il tasso di occupazione, cioèla proporzione di popolazione in età lavorativa effettiva-mente occupata, e la produttività, ossia il PIL per occu-pato. Poiché un elevato livello di una componente non siaccompagna necessariamente a un elevato livellodell’altra, esse vengono considerate separatamente nelseguito, sia in forma aggregata che per settore, prima diesaminare gli investimenti e altri fattori chiave alla basedella produttività.

Tendenze nei risultati economici regionali

Negli ultimi venticinque anni, i risultati economici osser-vati per il complesso dell’Unione sono stati tendenzial-mente migliori in termini di produttività e spesso modestiin termini di occupazione. Ciò ha talvolta generato il ti-more di una ‘crescita senza posti di lavoro’, sebbene, inrealtà, l’occupazione sia sempre aumentata quando lacrescita del PIL ha superato il 2% annuo. Il problema èstato mantenere questo tasso di crescita nel lungo pe-riodo. Nel decennio 1989-1999, ad esempio, esso è sta-to mediamente dell’1,9% annuo ma, poiché il PIL peroccupato è aumentato dell’1,4%, l’occupazione è cre-sciuta di appena lo 0,5% annuo. Nel lungo periodo, unelevato incremento occupazionale e una crescita soste-nuta della produttività non sono obiettivi necessaria-mente in contrasto tra loro. In effetti, nella misura in cuil’aumento della produttività promuove la competitività e,quindi, permette di realizzare una maggiore crescita delPIL, le due componenti sono complementari. La sfidanelle regioni in ritardo di sviluppo consiste, tuttavia, nellosviluppare un insieme di politiche che diano impulso allaproduttività senza incidere negativamente sui livelli oc-cupazionali.

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Mentre, nella maggior parte delle regioni in ritardo di svi-luppo (ma non in tutte), i livelli di occupazione sono mi-nori che nel resto dell’Unione, nella totalità di esse la pro-duttività è al di sotto della media. È possibile distingueredue gruppi principali:

− le regioni con tassi occupazionali vicini alla mediaUE o, in alcuni casi, superiori ad essa, che devonorecuperare il ritardo in termini di produttività, misura-ta dal PIL per occupato. Queste regioni sono perlo-più situate in Portogallo, in Grecia e nella parteorientale della Germania: nelle prime, la produttivitàè generalmente pari ad appena il 40% circa dellamedia UE, mentre, in quelle degli altri due paesi,essa si colloca intorno al 60% della media;

− le regioni in ritardo in termini sia di produttività che dioccupazione. Queste includono la maggior parte del-le regioni della Spagna e dell’Italia meridionale, dove itassi occupazionali scendono fino al 40% a fronte diuna media UE che supera il 60%. In questi casi, piùche la scarsa produttività, la ridotta occupazione rap-presenta, eccezionalmente, la causa più importanteall’origine di un PIL pro capite modesto.

Analisi settoriale: bassaproduttività nell’agricoltura

Un modello interessante emerge dalla struttura settoria-le dell’attività economica, se quest’ultima viene suddivi-sa nei seguenti settori: agricoltura; industria (essenzial-mente manifatturiera); distribuzione, trasporti, alberghie ristorazione; servizi finanziari e alle imprese, servizinon destinabili alla vendita e altri servizi (principalmentesanità, istruzione e pubblica amministrazione) (tavolaA.18 e carta 8). La produttività è massima nei servizi fi-nanziari e alle imprese, con un valore aggiunto lordo peroccupato nell’Unione più che doppio rispetto alla mediadell’economia nel suo complesso2. È lievemente supe-riore alla media nell’industria e appena inferiore nella di-stribuzione, nei trasporti, nelle attività alberghiere, neiservizi non destinabili alle vendita e negli altri servizi3.Nell’agricoltura, la produttività è pari soltanto a circa lametà della media di tutti i settori.

Scarsi risultati economici spesso abbinati allaconcentrazione nei settori meno produttivi

Nei tre paesi beneficiari del Fondo di coesione, i tassi dioccupazione complessiva sono bassi in larga misura acausa della scarsa occupazione nei servizi finanziari ealle imprese, dove la produttività è relativamente elevata(per quanto questo aspetto debba essere interpretatocon cautela a causa dell’elevato valore aggiunto nel setto-re protetto dei servizi finanziari). D’altro canto, la quota di

occupazione nella distribuzione, nei trasporti, nel settorealberghiero, nei servizi non destinabili alla vendita e neglialtri servizi è vicina alla media UE, così come il livello diproduttività. L’occupazione è assai più elevata che altrovenell’agricoltura, dove la produttività è molto bassa.

Il modello si riflette a livello regionale (carta 9). Si posso-no distinguere tre gruppi di regioni nell’Unione formatada 27 Stati membri (anche se non tutte rientrano perfet-tamente nella classificazione):

− regioni in ritardo di sviluppo con un’elevata occupa-zione nell’agricoltura, una quota di occupazione indu-striale spesso superiore alla media e scarsa occupa-zione nei servizi. Queste si trovano soprattutto negliStati membri meridionali e nei paesi dell’Europa cen-trale, ad eccezione di Repubblica ceca, Slovacchia eUngheria. Mentre l’occupazione agricola nell’Unionerappresenta meno del 5% del totale, in alcune regionidi Spagna e Portogallo essa è di oltre il 15%; la per-centuale supera il 20% in alcune aree della Grecia enelle parti più orientali dei paesi che hanno presentatodomanda di adesione;

− regioni con un’elevata occupazione nell’industria.Molte sono raccolte lungo un arco centrale che, dalWest Midlands in Inghilterra, dalla Francia orientale edalla Spagna settentrionale, attraverso la Germaniameridionale e l’Italia settentrionale, raggiunge la Re-pubblica ceca, la Slovacchia e la Slovenia. Mentremolte di queste regioni sono prospere, parecchie altrenon lo sono, riflettendo la variazione significativa nelvalore aggiunto tra le industrie manifatturiere;

− regioni con un’elevata occupazione nei servizi. In que-ste, la quota di occupazione nel terziario è del 70% opiù. Si tratta per la maggior parte di regioni prospere,che includono alcune capitali nel nord dell’Unione, mail gruppo comprende anche regioni situate nella Fran-cia meridionale, in Spagna e in Italia, che hanno livellirelativamente bassi di PIL pro capite e la cui occupa-zione si concentra nei servizi di base, quali la ristora-zione associata all’attività turistica.

Tendenza a lungo termine versoi servizi e necessità di una ristrutturazionenelle regioni in ritardo di sviluppo

Per molti anni, nell’Unione si è osservato un calo tenden-ziale dell’occupazione nell’agricoltura e nell’industria – inquest’ultimo settore, tuttavia, il totale degli occupati si èrecentemente stabilizzato, anche se la quota ha continua-to a diminuire – e un’espansione dell’occupazione nei ser-vizi. Questa tendenza, peraltro, come notato in

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

Guyane (F)

Guadeloupe

(F)

Martinique

(F)

Réunion

(F)

Canarias (E)

Açores (P)

Madeira

(P)

Kypros

Agricoltura (10% al vertice)

Agricoltura (25% al vertice)

Industria (10% al vertice)

Industria (25% al vertice)

Servizi (10% al vertice)

Servizi (25% al vertice)

Il 10% e il 25% al vertice della popolazione totaleEL, RO, SK: 1998BG, LT, LV: 1997D (Sachsen): NUTS1Fonte: Eurostat e INS

0 100 500 km

SIG16SIG16

© EuroGeographics Association per i confini amministrativi

9 Regioni con l'occupazione più elevata nell'agricoltura, nell'industria o nei servizi, 1999

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precedenza, deve ancora manifestarsi in molte regioni,soprattutto in quelle in ritardo di sviluppo. In effetti, anchenelle regioni più prospere, l’occupazione nei servizi è tut-tora in crescita. Tra il 1990 e il 1999, essa è aumentata dicirca 12 milioni di impieghi nell’Unione, mentre nel restodell’economia l’occupazione è diminuita di 9 milioni di po-sti. Il calo si è verificato per la maggior parte durante la re-cessione dei primi anni ‘90; tuttavia, durante la ripresa, apartire dal 1994, l’occupazione agricola ha continuato adiminuire (di circa 1,3 milioni di posti), mentre quella indu-striale è rimasta sostanzialmente invariata. Nelle regioni inritardo di sviluppo, continuerà in futuro l’allontanamento divaste proporzioni dall’occupazione nell’agricoltura, men-tre non si assisterà necessariamente a una perdita di postidi lavoro nell’industria. In effetti, in alcune regioni, l’occu-pazione nell’industria manifatturiera, soprattutto dove ètuttora al di sotto della media UE, potrebbe anche aumen-tare, proseguendo una tendenza emersa negli ultimi anni.Nelle regioni centrali prevalentemente industriali, d’altrocanto, l’occupazione manifatturiera potrebbe in molti casidiminuire, quanto meno in percentuale sul totale, sebbe-ne in molte aree si sia già verificato uno spostamento ver-so le attività ad elevato valore aggiunto, come osservatonel seguito.

Prevedibilmente, la ristrutturazione dell’occupazione ne-gli anni a venire sarà perfino più accentuata nei paesi can-didati all’adesione, in molte regioni dei quali i posti di lavo-ro restano concentrati nell’agricoltura e/o nell’industria.

In questo contesto (si vedano le carte dell’occupazione edella produttività per settore), è opportuno notare che,nelle regioni più prospere dell’Unione, l’allontanamentodell’occupazione dall’industria e, in misura minore,dall’agricoltura non è stato necessariamente accompa-gnato da un declino analogo nella quota di valore aggiun-to generato in questi settori. In effetti, in molti casi, la pro-duttività è aumentata significativamente nell’industria,mentre l’occupazione si è concentrata in attività ad eleva-to valore aggiunto. Ciò dimostra il potenziale associato almantenimento di un settore manifatturiero di piccole di-mensioni ma altamente competitivo come elemento chia-ve dell’economia regionale.

Importanza analoga dei mutamentiintrasettoriali e di quelli intersettoriali

Un aspetto importante del ritardo nello sviluppo economi-co delle regioni meno prospere dell’UE è la concentrazio-ne dell’attività in settori a basso valore aggiunto (sebbene,occorre sottolineare, la produttività nello stesso settorepossa variare significativamente da un’area all’altradell’Unione). Ciò riflette le differenze esistenti sia in termini

di efficienza nello svolgere le stesse attività sia nel gradodi concentrazione in comparti a maggiore o minore valoreaggiunto degli ampi settori considerati.

Ad esempio, i servizi finanziari e alle imprese hanno un va-lore aggiunto per occupato relativamente alto nei paesidella coesione (come anche in alcuni dei paesi candidatiall’adesione): ciò riflette in parte gli elevati tassi d’inte-resse (che fanno aumentare il valore aggiunto nei servizifinanziari) e la scarsa concorrenza, ma forse attesta altresìla natura poco sviluppata di questi servizi in rapporto alladomanda potenziale. D’altro canto, l’industria, che pre-senta un livello di valore aggiunto per occupato superiorealla media nella maggior parte dei paesi, fa registrare unaproduttività relativamente bassa nei tre Stati beneficiaridel Fondo di coesione (nonché nella maggioranza dei pa-esi candidati all’adesione). Questa differenza riflette, inparte, la tendenza dei comparti manifatturieri ad alto valo-re aggiunto e a forte contenuto tecnologico a concentrarsinegli Stati membri più prosperi4.

Nell’agricoltura, il valore aggiunto per occupato èall’incirca l’80-90% della media UE per tutti i settori neipaesi più prosperi, ma è soltanto il 40% di questa in Spa-gna, il 25% in Grecia e appena il 13% in Portogallo (e il16% in Austria). Nei paesi candidati all’adesione, la per-centuale è perfino più bassa. Ciò riflette sia la necessitàdi diversificazione in attività a più alto valore aggiunto siail potenziale di crescita significativa della produttività nelsettore nel lungo periodo.

Demografia e migrazione

Si prospetta un calo demograficonell’Unione europea ...

All’inizio del 2000, la popolazione dell’Unione era di 376milioni di persone, sostanzialmente minore che in Cina(1,2 miliardi) o in India (1 miliardo), ma significativamen-te maggiore che negli Stati Uniti (272 milioni) o in Giap-pone (126 milioni). Ipotizzando il permanere delle ten-denze nei tassi di natalità e mortalità e nella migrazione,le proiezioni indicano che la popolazione UE aumenteràmolto lentamente tra il 2000 e il 2005 (di appena lo 0,2%annuo) e successivamente non crescerà quasi affatto(meno dello 0,1% annuo) fino al 2022, quando si preve-de che inizierà a diminuire. Secondo le attese, pertanto,nel 2010 la popolazione raggiungerà i 385 milioni e nel2025 il totale sarà solo lievemente superiore (388 milio-ni). A partire dal 2008, è prevedibile un declino demo-grafico naturale, ma questo sarà bilanciato per alcunianni dall’immigrazione netta.

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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Le tendenze demografiche variano, tuttavia, marcata-mente tra aree diverse dell’Unione. Mentre la popolazio-ne è ancora in crescita, per quanto lenta, nella maggiorparte delle regioni, in alcune, prevalentemente in Spa-gna, Italia, Germania e paesi del Nord Europa, essa stagià diminuendo (carta A.11). Tra il 2000 e il 2010, si pro-spetta un declino in un più vasto numero di regioni inGermania e Italia, oltre che in alcune regioni di Francia,Regno Unito e Austria. D’altra parte, si prevede che lapopolazione continui ad aumentare a un tasso relativa-mente elevato in un certo numero di regioni nella Spa-gna meridionale, nel sud di Francia e Grecia, nonché inalcune aree di Germania, Paesi Bassi e Regno Unito.

Le proiezioni indicano che, nel 2025, quasi 90 delle circa200 regioni definite a livello NUTS 2, che rappresentanometà dell’intera popolazione dell’Unione, sperimenteran-no un calo demografico: tra esse, tutte le regioni italiane eun certo numero di aree praticamente in tutti gli Statimembri.

... come anche nei paesi candidati all’adesione

Le tendenze demografiche appaiono perfino più sfavore-voli nei paesi candidati all’adesione. Mentre, nella mag-gior parte dei dodici Stati, la popolazione è aumentata aun tasso relativamente elevato negli anni ‘70 e ‘80, per ef-fetto degli alti tassi di fertilità e della maggiore aspettativadi vita, durante gli anni ‘90 i tassi di fertilità sono calati inmodo eclatante e l’aspettativa di vita è diminuita. Inoltre, ilperiodo è stato caratterizzato da un’emigrazione signifi-cativa, tranne che nella Repubblica ceca, a Malta e a Ci-pro, che hanno sperimentato un flusso d’immigrazionenetta tra il 1990 e il 1999 (carta A.12).

Di conseguenza, la crescita demografica è già in flessio-ne nella maggioranza dei candidati. In otto dei dodicipaesi interessati, la popolazione è diminuita durante glianni ‘90. Tra il 1995 e il 1997, il calo demografico ha inte-ressato 32 delle 52 regioni definite a livello NUTS 2 el’emigrazione netta ne ha coinvolte 31. Nella più ampiaarea europea, quindi, considerando i paesi candidati in-sieme agli attuali Stati membri, è prevedibile che il declinodella popolazione si verificherà diversi anni prima diquanto indicato in precedenza (le proiezioni per i dodicipaesi candidati si basano su previsioni elaborate dalleNazioni Unite)5.

Regioni con una popolazione in declino

Gli sviluppi sociali ed economici incidono sulle tendenzedemografiche. I flussi migratori, in particolare, sono colle-gati alle differenze regionali nelle condizioni del mercatodel lavoro, che inducono le persone a spostarsi dalle areecon scarsa crescita occupazionale a quelle con maggiori

opportunità di impiego; nel più lungo periodo, tali differen-ze si ripercuotono anche sui tassi di natalità e mortalità.

Le regioni dell’Unione colpite dal declino demograficosono, quindi, caratterizzate da bassi livelli di reddito,elevata disoccupazione e forze di lavoro in larga misuraoccupate nell’agricoltura e nell’industria (grafico A.9).Inoltre, queste regioni hanno tendenzialmente una po-polazione giovanile relativamente poco numerosa,come riflesso dei flussi migratori verso altre aree nonchédi tassi di fertilità contenuti, e una bassa densità demo-grafica, che testimonia il carattere rurale di molte diesse. Peraltro, relativamente a questo secondo aspetto,esistono alcune rilevanti eccezioni, dal momento che uncerto numero di regioni densamente popolate (adesempio, Bruxelles e l’Attica, dove è situata Atene) haugualmente sperimentato un calo demografico negli ul-timi anni. In effetti, in molte delle principali conurbazionieuropee, è evidente una tendenza alla ‘periferizzazio-ne’, cioè un allontanamento dai centri cittadini verso isobborghi o le regioni vicine, dando luogo a una ‘espan-sione disordinata delle aree urbane’.

L’invecchiamento della popolazioneaccelererà nell’Unione...

La popolazione dell’Unione europea sta invecchiandorapidamente. Dati i modesti tassi di natalità, la propor-zione di giovani con meno di 15 anni è diminuita per uncerto numero di anni e le proiezioni indicano il perduraredi questa tendenza in futuro, per cui la percentuale do-vrebbe scendere dal 17% nel 1998 al 14,5% nel 2025.Per contro, la proporzione degli ultrasessantacinquennista aumentando significativamente ed è destinata a cre-scere anche più rapidamente dopo il 2010, quando lagenerazione del ‘baby boom’ comincerà a raggiungerequesta età. Pertanto, le previsioni prospettano un incre-mento della proporzione dal 16% circa della popolazio-ne totale nel 1998 al 22% nel 2025. Inoltre, all’interno diquesta classe di età, la percentuale degli ultraottantennista aumentando ancora più rapidamente.

Queste tendenze avranno importanti ripercussioni suisistemi previdenziali e fiscali in tutta l’Unione. In partico-lare, le prospettive indicano che un numero crescente dipersone oltre l’età del pensionamento dovrà essere so-stenuto da coloro che lavorano. Tutti gli Stati membrisperimenteranno un incremento del tasso di dipenden-za della popolazione anziana (le persone da 65 anni insu in rapporto agli individui in età lavorativa, qui consi-derata compresa tra i 15 e i 64 anni), ma è prevedibileche l’entità dell’incremento vari significativamente tra ipaesi. L’aumento più pronunciato dovrebbe verificarsiin Italia, Svezia, Finlandia e Germania, quello più conte-nuto in Irlanda, Portogallo e Lussemburgo.

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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La tendenza sarà probabilmente simile, per quanto forsemeno marcata, per il tasso di dipendenza complessivo,cioè il totale della popolazione al di sopra e al di sottodell’età lavorativa in rapporto a quella in età lavorativa, no-nostante il previsto declino nel numero di bambini6 (carta10). Al momento, esistono nell’Unione circa 49 individuipotenzialmente dipendenti ogni 100 persone in età lavo-rativa; nel 2025, se ne prevedono 58. Le proiezioni indica-no che il numero sarà particolarmente elevato nella mag-gior parte delle regioni in Francia, Svezia e Finlandia.

Il pensionamento dei figli del ‘baby boom’, unitamentealla diminuzione del totale dei giovani, è destinato a ri-durre la popolazione in età lavorativa dell’Unione dal2010 circa in poi: le proiezioni indicano un calo dagli at-tuali 251 milioni circa di individui in età lavorativa ad ap-prossimativamente 243 milioni nel 2025. Nel contempo,l’età media della classe 15-64 anni aumenterà.

... come anche nei paesi candidati all’adesione

Il ritmo d’invecchiamento della popolazione nell’Unioneallargata, comprendente, cioè, i paesi candidati all’ade-sione e gli attuali Stati membri, potrebbe essere più lento,ma sono lievemente. Nella maggior parte dei paesi candi-dati, le politiche attive per incoraggiare la crescita demo-grafica durante gli anni ‘70 e ‘80 sono state invertite neglianni ‘90. Mentre l’età media della loro popolazione è at-tualmente inferiore a quella dell’Unione, è prevedibile cheessa aumenti rapidamente nei prossimi venticinque anni,man mano che i tassi di fertilità in diminuzione riducono lapercentuale di giovani con meno di 15 anni in tutti i paesi,tranne Malta. Le previsioni prospettano, pertanto, per il2025 una proporzione di giovani nella popolazione totaleperfino minore di quella dell’Unione attuale.

D’altro canto, la proporzione della popolazione da 65anni in su in questi paesi è, mediamente, inferiore a quel-la attuale dell’Unione (carta 10).

Anche la percentuale della popolazione anziana au-menterà sostanzialmente, ma solo nella Repubblicaceca dovrebbe superare la media UE entro il 2020. Inogni caso, si prevede che il tasso medio di dipendenzadegli anziani e il tasso medio di dipendenza complessi-va in un’Unione allargata saranno entrambi solo margi-nalmente minori di quanto indicato in precedenza.

Lo stesso vale per il probabile declino della popolazionein età lavorativa, che, secondo le proiezioni, si verificherànei paesi candidati contemporaneamente all’attuale UE. Iltotale della popolazione di 15-64 anni dovrebbe aumenta-re lievemente dagli attuali 72 milioni fino al 2009 e quindiscendere a 66 milioni nel 2025. Pertanto, la popolazione inetà lavorativa in un’Unione allargata raggiungerà

probabilmente la punta massima di 328 milioni di individuinel 2010, per poi calare a 309 milioni nel 2025. Comenell’Unione, anche nei paesi candidati all’adesione l’etàmedia della classe 15-64 anni aumenterà, benché a un rit-mo lievemente più lento che negli attuali Stati membri.

Si prospettano il calo e l’invecchiamentodelle forze di lavoro nell’Unione ...

Le tendenze osservate in precedenza per la popolazio-ne in età lavorativa incideranno inevitabilmente sullacrescita e sulla struttura per età delle forze di lavoronell’Unione, che saranno altrettanto influenzate dai cam-biamenti nella partecipazione e dalle variazioni demo-grafiche. Questi ultimi due aspetti, a loro volta, sarannodeterminati da una serie di fattori economici e sociali,soprattutto dalla disponibilità di posti di lavoro, ma an-che dagli sviluppi nel campo dell’istruzione, dagli atteg-giamenti sociali verso l’occupazione femminile, dalla di-sponibilità di sistemi di custodia per l’infanzia, dall’etàdel pensionamento, dai dettagli degli schemi pensioni-stici, dalla struttura delle famiglie, ecc.

Se persisteranno le attuali tendenze demografiche e nellapartecipazione, si prospetta una crescita delle forze di la-voro nell’Unione fino al 2010, quando raggiungeranno i183 milioni di individui7. Successivamente, comincerannoa diminuire, scendendo a circa 175 milioni nel 2025. Ilcalo, tuttavia, avrà probabilmente inizio in momenti signifi-cativamente diversi nelle varie aree (carta 11). Nondime-no, in quasi tutte le regioni dell’Unione, è previsto un calodella popolazione economicamente attiva entro il 2025,con tassi ampiamente differenti. Il declino si prospettaparticolarmente marcato in Italia, Germania e Spagna,con un calo delle forze di lavoro di oltre 1 milione di unità inciascun caso.

A causa delle tendenze demografiche e delle possibilivariazioni nella partecipazione, la percentuale di perso-ne da 50 anni in su nelle forze di lavoro dovrebbe au-mentare in tutti gli Stati membri, da una media attuale dicirca il 20% del totale al 30% nella prima parte del de-cennio 2020. Nei paesi del Nord Europa, dove non siprospetta un cambiamento rilevante nella partecipazio-ne, è prevedibile che l’incremento di questa proporzio-ne sarà relativamente modesto, mentre in Italia e in Spa-gna, dove i tassi di natalità sono bassi e i tassi dipartecipazione femminile potrebbero aumentare note-volmente, l’incremento sarà probabilmente sostanziale.

... che potrebbero avereprofonde ripercussioni economiche

Come notato in precedenza, queste tendenze potrebbe-ro avere conseguenze economiche di vasta portata,

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

Guyane (F)

Guadeloupe

(F)

Martinique

(F)

Réunion

(F)

Canarias (E)

Açores (P)

Madeira

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Periodi

Non prima del 2025

Tra il 2015 e il 2025

Tra il 2005 e il 2015

Tra il 1995 e il 2005

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11 Diminuzione prevista delle forze di lavoro

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specialmente per la sostenibilità dei sistemi di protezionesociale e assistenza sanitaria, che saranno sottoposti acrescenti tensioni dall’aumento nel numero degli anziani.Di conseguenza, occorre focalizzare l’attenzione sullapossibilità di ampliare la partecipazione delle persone piùanziane e delle donne, fonte primaria della crescita delleforze di lavoro in futuro.

Al tempo stesso, tale possibilità mette in evidenza il pro-blema del mantenimento, aggiornamento e ampliamentodelle competenze delle persone interessate, che già rap-presenta una preoccupazione a causa dell’invecchia-mento delle forze di lavoro. In molti paesi, il perseguimen-to di politiche di prepensionamento fino a un’epocarecente ha consentito di ignorare questo problema. Per dipiù, la percezione che la formazione dei lavoratori più an-ziani renda relativamente poco, qualunque sia la realtà, fasì che i datori di lavoro siano spesso riluttanti a realizzare inecessari investimenti. Questa riluttanza tende ad essereacuita dalle difficoltà che si intuiscono nel processo di for-mazione e nell’apprendimento di nuove competenze daparte dei lavoratori più anziani. Tali difficoltà, tuttavia, pos-sono essere ridotte sostanzialmente se la formazione diquesti lavoratori diventa parte del processo di apprendi-mento lungo l’intero arco della vita, che fa sì che le perso-ne acquisiscano nuove competenze durante tutta la lorovita lavorativa e siano abituate a questo processo. Unosviluppo di questo tipo, che richiede un cambiamento de-gli atteggiamenti e anche delle prassi di lavoro, è essen-ziale se si vuole utilizzare efficacemente il potenziale deilavoratori più anziani: ciò potrebbe dimostrasi vitale per iproduttori dell’Unione che intendono restare competitivisui mercati mondiali.

È altresì importante assicurare che le donne – ma anchegli uomini – che riprendono a lavorare dopo un certo pe-riodo di assenza per ragioni familiari abbiano accessoalla formazione di cui necessitano per aggiornare le lorocompetenze e apprendere nuovi metodi di lavoro, inmodo che possano sia trovare un’occupazione adatta siacontribuire efficacemente allo sviluppo dell’economiadell’Unione.

Il futuro declino nel numero dei giovani potrebbe tradursiin un calo della disoccupazione giovanile, sebbene que-sta eventualità nel lungo termine dipenda più dalle lorocompetenze e dal tasso di crescita occupazionale chedal loro totale. La diminuzione dei giovani che accedonoal mercato del lavoro è stata accompagnata da un incre-mento nel numero di coloro che restano più a lungonell’istruzione o al livello iniziale della formazione profes-sionale. In un’economia basata sulla conoscenza, è es-senziale che questa tendenza prosegua. Nel contempo, ilcrescente riconoscimento dell’importanza della formazio-ne sul posto di lavoro e dell’addestramento formale fa sì

che, in un certo numero di paesi, la partecipazione deigiovani alle forze di lavoro aumenti, grazie all’abbina-mento di un’occupazione retribuita con il proseguimentodell’istruzione.

Qualunque siano le misure adottate per incrementare lapartecipazione, l’entità dell’aumento per le donne e i lavo-ratori più anziani, nonché per i giovani, dipende in ultimaanalisi dal tasso di crescita occupazionale, che, a sua vol-ta, dipenderà probabilmente dal ritmo di sviluppo econo-mico. Occorre sottolineare che il processo non è soltantoa senso unico, dal momento che l’ingresso nel mercatodel lavoro di persone maggiormente specializzate e intra-prendenti avrà il probabile effetto di dare un forte impulsoalla competitività e alla crescita economica. Da ciò dipen-derà l’emergere di un calo nella disoccupazione e di ca-renze di posti di lavoro oppure, nonostante il declino dellapopolazione in età lavorativa, il verificarsi di un nuovo au-mento della disoccupazione nell’Unione.

In molte aree dell’Italia settentrionale, ad esempio, sullabase delle passate tendenze le proiezioni indicano un de-clino significativo delle forze di lavoro negli anni a venire e,in effetti, stanno già cominciando ad emergere carenze dimanodopera. Nel più lungo periodo, tuttavia, se la cresci-ta economica e la creazione netta di impieghi saranno so-stenute a livelli elevati, un maggior numero di persone (inparticolare donne, la cui partecipazione è notevolmenteinferiore alla media UE nella maggioranza delle aree) po-trebbe decidersi ad entrare nelle forze di lavoro, riducen-done così le carenze. La partecipazione femminilenell’Italia settentrionale è nettamente aumentata negli ulti-mi dieci-quindici anni, mentre nell’Italia meridionale, dovela crescita occupazionale è stata stagnante, la partecipa-zione delle donne ha registrato variazioni minime.

L’immigrazione potrebbe aumentare ma laprospettiva non dovrebbe essere esagerata ...

Dalle conclusioni di alcuni studi recenti emerge che diffi-cilmente si osserveranno flussi migratori su vasta scaladai paesi candidati all’adesione e che a tale aspetto non sidovrebbe dare un’enfasi eccessiva nell’agenda dell’am-pliamento. Tuttavia, poiché la convergenza del redditopro capite dei PEC verso i livelli UE sarà un processo lun-go, è praticamente certo che la migrazione aumenteràquando sarà introdotta la libertà di movimento. Le stimeindicano che la migrazione netta verso l’Unione potrebberaggiungere circa 335.000 unità annue subito dopo la ri-mozione delle barriere all’entrata, per poi ridursi a meno di150.000 entro un decennio8. Nel contempo, gli abitantidell’Unione provenienti dai PEC potrebbero raggiungereun totale di 2,9 milioni e, dieci anni più tardi, 3,7 milioni,toccando la punta massima di 3,9 milioni trent’anni dopol’introduzione del libero movimento della manodopera.

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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Ciò implica un aumento degli individui di nazionalità PECresidenti negli attuali Stati membri dallo 0,2% della popo-lazione totale nel 1998 ad appena poco più dell’1%nell’arco di trent’anni. Sulla base di queste stime, pertan-to, i timori che l’immigrazione dai PEC possa travolgere imercati del lavoro UE risultano infondati.

È prevedibile che le persone che lasceranno i PEC si inse-dieranno principalmente in Germania e in Austria, dovegià ne vivono molte. Secondo le stime, il 65% circa si re-cherà nel primo Stato, il 12% nel secondo, e, all’interno diquesti paesi, esse si stabiliranno principalmente nelle re-gioni di confine e nei centri di attività economica: in Ger-mania, nelle regioni meridionali confinanti con la Repub-blica Ceca piuttosto che nei nuovi Länder e, in Austria,nelle aree orientali. È probabile che anche le regioni confi-nanti con i PEC sperimenteranno un’accresciuta immigra-zione e fenomeni di pendolarismo temporanei. La mag-giore concentrazione potrebbe, tuttavia, dare origine atensioni sociali nelle aree interessate.

... e potrebbe ridurre le carenze di manodopera

La conclusione forse più interessante e potenzialmenteimportante che emerge dagli studi recentemente effettua-ti è che, diversamente dall’Unione, molti PEC assisteran-no probabilmente a un aumento significativo della popo-lazione giovanile compresa tra i 20 e i 35 anni nel corsodel prossimo decennio. Ciò costituisce un’opportunitàper l’Unione allargata, nella misura in cui offre ai datori dilavoro la possibilità di assumere giovani con livelli d’istru-zione elevati. In effetti, se la ripresa economica proseguiràal ritmo attualmente previsto, a quell’epoca la mancanzadi competenze si sarà prevedibilmente acutizzata.

I dati disponibili attestano, infatti, una carenza di manodo-pera nelle attività meno specializzate in un certo numerodi regioni dell’Unione, perfino in alcune in cui la disoccu-pazione è relativamente elevata. Gli immigranti potrebbe-ro potenzialmente contribuire ad attenuare tali carenzeanche in queste aree, ma è importante che, contempora-neamente, vengano introdotte misure adeguate per inte-grare le persone coinvolte nelle comunità locali, impeden-done, così, l’esclusione sociale.

A tale riguardo, una recente Comunicazione della Com-missione riguardante la politica comunitaria dell’immigra-zione (COM(2000)757) ha proposto l’adozione di una po-litica d’immigrazione controllata come una delle risposteai problemi sollevati dalle tendenze demografiche e hasegnalato il contributo potenziale dell’immigrazione allastrategia europea per l’occupazione.

Sebbene, a breve-medio termine, il flusso in uscita digiovani possa tendenzialmente danneggiare il poten-

ziale di sviluppo delle regioni da cui essi provengono,soprattutto perché tra coloro che si trasferiscono vi saràprobabilmente un numero sproporzionato di personecon un livello d’istruzione elevato, il loro successivo ritor-no, con le competenze e il know-how acquisiti, potrebbedare un forte impulso allo sviluppo nei PEC.

Né è probabile che l’ampliamentocrei problemi seri ai mercati del lavoro UE

È improbabile che il libero movimento della manodoperaabbia un effetto rilevante sul complesso dei mercati del la-voro dell’Unione, sebbene possa incidere sugli Statimembri in maniera differente a seconda delle circostanzespecifiche di ogni paese. Attualmente, i PEC hanno unpeso economico modesto, per cui le maggiori importazio-ni da quei paesi incideranno presumibilmente sui prezzidei mercati dei beni – e, quindi, sui salari e sull’occupa-zione – soltanto in misura limitata. Secondo un recentestudio, ad esempio, un’immigrazione media di circa200.000 persone l’anno nei prossimi quindici anni ridur-rebbe i redditi di meno dell’1%9. Nelle regioni di confine,tuttavia, l’impatto sui mercati del lavoro potrebbe esserepiù significativo, così come nei settori più esposti alla con-correnza delle importazioni dai PEC, anche se, al tempostesso, vi sono potenziali guadagni derivanti dalla vici-nanza di nuovi mercati.

Investimenti

Gli investimenti sono la chiave dellacrescita nei paesi candidati all’adesione

Gli indicatori di investimento sono un buon barometrodel potenziale di crescita di un’economia10 (grafici A.10e A.11). Gli investimenti (misurati dalla formazione di ca-pitale fisso lordo) sono maggiori in rapporto al PIL neipaesi candidati rispetto agli attuali Stati membridell’Unione (25% del PIL a fronte del 20% nel 1998). Èessenziale che questo differenziale venga mantenuto operfino accresciuto se i paesi candidati vogliono conse-guire gli elevati tassi di crescita necessari al loro recupe-ro nei confronti delle economie UE. In sé, un investimen-to elevato non è garanzia di successo, dovendofocalizzarsi su obiettivi ben definiti ed essere abbinato alprogresso tecnico, ma ne è una condizione necessaria.

Il livello degli investimenti varia significativamente tra ipaesi candidati. Nella Repubblica Ceca, in Slovacchia ein Polonia, gli investimenti sono elevati, fino al 30% delPIL. Viceversa, nei paesi con i livelli minimi di PIL pro ca-pite, la loro entità è generalmente molto minore (soltantol’11,5% circa del PIL in Bulgaria nel 1998).

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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Nell’Unione, il Portogallo, il paese con il secondo livellopiù basso di PIL pro capite, registra gli investimenti piùelevati in rapporto al PIL (28%) e anche in Spagna e inGrecia, nonché in Irlanda, gli investimenti sono superiorialla media UE. La Svezia, d’altro canto, il cui PIL pro capi-te è prossimo alla media UE, ha il livello d’investimento piùbasso (17% del PIL).

Stock di capitale: per le economie in ritardo disviluppo il processo di recupero è ancora lungo

Nel valutare l’effetto della formazione di capitale sui risul-tati economici, è importante considerare non soltanto iflussi correnti d’investimento, ma anche lo stock di capita-le accumulato che questi hanno costruito nel tempo11. Idati al riguardo, tuttavia, essendo essenzialmente basatisu stime, devono considerarsi puramente indicativi. Non-dimeno, è possibile trarre alcune conclusioni interessanti.

La prima osservazione è che i paesi più prosperi hannouno stock di capitale maggiore rispetto a quelli meno fa-voriti. Nei tre paesi beneficiari del Fondo di coesione, lostock di capitale nel 1999 è stimato in appena 33.000euro pro capite contro 54.000 euro nel complessodell’Unione e 75.000-80.000 euro in Danimarca, Germa-nia e Austria (tavola A.19 e grafici A.12 e A.13). I paesidella coesione, quindi, hanno soltanto il 60% del capita-le pro capite disponibile nell’Unione nel suo complesso.

Poiché l’accumulazione dello stock di capitale si rea-lizza nell’arco di molti anni, le sue variazioni sono ten-denzialmente lente e in esso predominano gliinvestimenti passati. Ciò è assai evidente per gli edifi-ci, che possono essere adoperati per decenni, ma

anche macchinari e attrezzature hanno spesso unavita utile di dieci anni o più.

In ogni caso, per effetto del tasso più elevato d’investi-mento, il divario tra i paesi beneficiari del Fondo di coe-sione e il resto dell’Unione si sta riducendo, per quantolentamente: dieci anni fa lo stock di capitale nei primi erain media soltanto il 54% di quello del complessodell’Unione. Tuttavia, mentre i paesi della coesione stan-no recuperando in termini relativi, in termini assoluti essihanno speso meno della media UE in investimenti procapite nel passato decennio: 10.000 euro a fronte di13.000 euro.

Investimento nella conoscenza:la base della crescita a lungo termine

Sebbene la spesa per investimenti in beni materiali sia im-portante, l’investimento immateriale nella ricerca e svilup-po, nell’istruzione e nella tecnologia dell’informazione stadiventando perfino più rilevante per lo sviluppo economi-co nell’Unione.

La crescita a lungo termine, quindi, è attribuibile nonsolo a un incremento nello stock di capitale fisso, ma an-che e in maniera sempre più significativa ai progressitecnici che aumentano l’efficienza dell’impiego del capi-tale (e del lavoro)12. Inoltre, con la rivoluzione informati-ca, l’investimento nel progresso tecnologico diventeràprobabilmente ancora più importante nell’economia delfuturo basata sulla conoscenza.

Pertanto, è indispensabile riesaminare l’entità dell’inves-timento nella conoscenza e nel capitale fisso in tutta

l’Unione. Le conclusioni che emergonosono alquanto differenti, poiché molti deipaesi con tassi d’investimento fisso infe-riori alla media sono tra i maggiori investi-tori nella tecnologia. In particolare, la Sve-zia, che ha il tasso d’investimento fisso piùbasso dell’Unione, registra il tasso massi-mo di investimento nella conoscenza(grafico 9). Francia, Regno Unito e Finlan-dia sono anch’essi investitori modesti inbeni materiali, mentre i loro investimentinella conoscenza sono elevati.

Viceversa, i tre paesi della coesione, uni-tamente all’Irlanda, spendono meno dellamedia in investimenti nella conoscenza.Mentre il loro elevato tasso di spesa per in-vestimenti fissi sta colmando il divario conil resto dell’Unione in termini di stock di ca-pitale, gli scarsi investimenti in attività

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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(*) Inclusi istituti religiosi e volontariatoLa definizione di istr. pubblica e privata varia tra paesi

L: dati sulla R&S n.d.B: dati sull'istruzione solo per la regione delle FiandreA: Ripartizione della R&S n.d.

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immateriali non sono una base sicura per la crescita a piùlungo termine nell’era digitale.

Dotazione infrastrutturale

La maggior parte degli investimenti pubblici negli Statimembri, unitamente a quelli sostenuti dai Fondi Struttu-rali, riguarda le infrastrutture. Una dotazione infrastruttu-rale adeguata è una condizione necessaria, ma non suf-ficiente, per lo sviluppo economico e la competitività diuna regione ed è un fattore importante nel determinaresia la localizzazione territoriale dell’attività economicasia i tipi di attività o settore che si svilupperanno.L’investimento infrastrutturale è essenziale per ridurrel’effetto della distanza tra regioni, specialmente tra quel-le periferiche e quelle centrali. Peraltro, è indispensabileil rispetto in parallelo di altre condizioni, al fine di nonrendere la maggiore accessibilità alle regioni periferi-che una minaccia anziché un’opportunità.

Infrastruttura di trasporto

L’infrastruttura di trasporto, in particolare, svolge un ruoloimportante nel ridurre le disparità tra regioni e nel miglio-rarne la competitività agevolando gli scambi e il movimen-to della manodopera. Il potenziamento dell’infrastrutturariduce sia il tempo che il costo del trasporto merci, quindiincrementa la produttività e modifica il vantaggio compa-rato dell’essere ubicati in certe regioni piuttosto che in al-tre. Parimenti, la migliore infrastruttura ha un effetto positi-vo sui tempi di viaggio per recarsi sul posto di lavoro, inquanto amplia i confini dei mercati del lavoro locali e ac-cresce l’offerta reale di manodopera.

L’infrastruttura di trasporto, tuttavia, resta essenzialmenteuna responsabilità dei governi ed è tuttora una compo-nente importante della politica strutturale e regionale. No-nostante la privatizzazione in anni recenti di particolarisettori nel comparto (specialmente il trasporto ferroviarioad alta velocità e le autostrade), il costo dell’investimentonelle infrastrutture di base resta troppo elevato per esserecoperto dal settore privato. Inoltre, nel decidere un inve-stimento in nuove infrastrutture, si deve tenere conto an-che dei successivi e ricorrenti costi di manutenzione.

Il trasporto stradale resta prevalente

La modalità di trasporto predominante è quella stradale.Nel 1997, la strada rappresentava l’86% del totale del traf-fico nell’Unione (misurato in termini di passeggero-miglio)e il 94% dei percorsi via terra. Inoltre, il trasporto merci su

strada sta continuando ad aumentare, rappresentando il43% di tutti i trasporti di prodotti nel 1997 (misurati in termi-ni di carico-miglio), contro il 31% nel 1970. Escludendoquello aereo e marittimo, il trasporto stradale ha interessa-to il 74% di tutte le merci trasportate nell’Unione, mentresolo il 14% di esse ha viaggiato per ferrovia e il 12% pervie d’acqua interne e condotte.

Lo sviluppo delle autostrade ha accresciuto la densità deltrasporto su strada. Sebbene la dimensione della retestradale al livello dell’Unione sia rimasta sostanzialmenteinvariata, la lunghezza delle autostrade è aumentata del40% nel decennio 1988-1998, in particolare grazie allacrescita nei quattro paesi beneficiari del Fondo di coesio-ne, dove molte strade sono state trasformate in autostra-de. Nel corso del periodo, la densità autostradale13 in que-sti quattro paesi considerati congiuntamente è aumentatada meno della media dell’Unione (43%) a circa lo stessolivello, con l’incremento massimo in Spagna, dove la den-sità è passata dal 63% al 136% della media. D’altro canto,benché la crescita sia stata altrettanto sostanziale in Irlan-da e in Grecia, la loro densità autostradale è tuttora note-volmente al di sotto della media (12% della media in Irlan-da nel 1998 contro meno del 2% nel 1988, 17% in Greciacontro la totale assenza di autostrade nel 1988).

A livello regionale, la crescita ha seguito un modelloanalogo. Sebbene la densità autostradale resti più ele-vata nelle aree centrali o più avanzate di ciascun paeserispetto alle regioni dell’Obiettivo 1 o periferiche, il po-tenziamento della rete si è concentrato in queste ultime.

Le reti autostradali sono meno sviluppate nei paesi delNord Europa (in Finlandia, la densità è appena il 41%della media UE, in Svezia il 65%), specialmente nelle re-gioni più settentrionali e scarsamente popolate ricom-prese nell’Obiettivo 1, come riflesso delle loro caratteri-stiche geografiche e demografiche.

La media UE, tuttavia, non dovrebbe essere considerataun traguardo da raggiungere in modo quasi meccanico.Ogni regione ha al riguardo le proprie necessità specifi-che, in termini sia di dimensione complessiva delle retidi trasporto sia di modalità di trasporto particolari. Un li-vello minimo di infrastruttura di trasporto è necessarioper la competitività regionale, ma esso non è necessa-riamente lo stesso in tutte le regioni. Inoltre, la qualità e lasicurezza sono fattori altrettanto importanti per lo svilup-po (grafici 10 e 11).

Riduzione del trasporto ferroviariononostante l’ammodernamento

L’importanza del trasporto ferroviario nell’Unione è dimi-nuita, nonostante l’ammodernamento della rete in un

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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certo numero di paesi. Nel 1997, la ferrovia rappresenta-va il 6% di tutto il trasporto passeggeri nell’Unione, con-tro il 10% nel 1970. La riduzione del trasporto merci perferrovia è stata anche più pronunciata (dal 21% nel 1970all’8,5% nel 1997); inoltre, tra il 1990 e il 1997, il totaledelle merci trasportate per ferrovia è diminuito del 7%,mentre il traffico merci su strada è aumentato del 29%.

Il declino del traffico è stato accompagnato da una lievediminuzione della portata della rete ferroviaria, in terminidi miglia di binario, e da una modesta riduzione delle di-sparità nazionali o regionali nell’Unione. In effetti, neipaesi beneficiari del Fondo di coesione, la densità ferro-viaria14 è calata dal 66% della media UE nel 1988 al 61%nel 1998, in particolare per effetto della chiusura di moltelinee in Spagna e Portogallo.

Nondimeno, la rete ferroviaria è stata ammodernata incerta misura nei paesi della coesione. Nel 1999, il 24%delle linee era a doppio binario, contro il 17% di dieci anniprima, e il 39% era elettrificato, a fronte del 32% nel 1988.Il tasso di ammodernamento è stato massimo in Spagna,mentre in Grecia sia la lunghezza che la qualità dei binarisono rimaste assai modeste (il 45% della media UE perquanto riguarda la densità ferroviaria, con appena il 12%delle linee a doppio binario e nessuna linea elettrificata).Tuttavia, ciò è dovuto in parte alle caratteristiche geografi-che del paese, con il gran numero di isole e le vaste areemontuose (grafici A.14, A.15 e A.16).

Trasporto marittimo: vitale perle isole e le regioni costiere

Il costo dell’investimento infrastrutturale per il trasportomarittimo si limita alla costruzione, manutenzione e am-modernamento dei porti e tende ad essere di minore en-tità rispetto a quello necessario per la costruzione di

strade. Inoltre, benché lento, il trasporto via mare elungo i corsi d’acqua interni è la forma di trasporto menocostosa e maggiormente rispettosa dell’ambiente. Perdi più, non soffre di problemi di congestione o capacità.

Il trasporto marittimo rappresentava, nel 1997, il 70% deltrasporto di beni materiali esportati dall’Unione e il 30%degli scambi intracomunitari, mentre il trasporto per vied’acqua interne riguardava solo il 7% delle merci.

Il trasporto marittimo resta particolarmente importantelungo le coste dell’Unione e tra il continente e le molteisole, anche dopo la costruzione di diversi collegamentifissi, in particolare il ponte di Oresund e il tunnel sotto laManica. Nel 1998, esso ha rappresentato il 41% di tutto iltrasporto merci nell’Unione, sia all’interno degli Statimembri che tra essi. Il Regno Unito ne ha assicurato il20%, l’Italia il 16% e i quattro paesi beneficiari del Fondodi coesione, considerati congiuntamente, il 22%.

Il volume di traffico che ha transitato nei principali porti èaumentato significativamente tra il 1990 e il 1998, so-prattutto in quelli di medie dimensioni, quali Algeciras inAndalusia e Dublino, sebbene sia tuttora molto minore diquello gestito dai porti più grandi dell’Europa settentrio-nale, Rotterdam (dove è dieci volte maggiore) e Anversa(tre volte più ampio).

Un elemento di particolare interesse è la crescita deiporti adibiti al traffico di container, che si è distribuita piùequamente nell’Unione. Cinque dei dodici più grandiporti si trovano nel Mediterraneo, incluso quello di GioiaTauro in Italia, e hanno sperimentato una crescita mag-giore rispetto ai porti settentrionali. Le merci che viag-giano per container vengono quasi sempre trasportatesu strada da e verso i porti, tranne che in Belgio e neiPaesi Bassi, dove sono maggiormente usate le vie

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d’acqua interne. In Francia e in Germania, dove i fiumi e icanali non sono sfruttati appieno, il trasporto ferroviarioè relativamente elevato. Nei paesi beneficiari del Fondodi coesione, invece, quasi tutto il trasporto di merci de-stinate ai container avviene su strada (dall’89% al 98%).

Il ruolo del trasporto intermodale è tuttora assai modestonel complesso dell’Unione. Solo il 12% delle merci vienetrasferito dai porti alle destinazioni finali con modalità di-verse dal trasporto su strada (tavola A.20).

Sistemi di trasporto nei paesi candidatiall’adesione: l’infrastruttura antiquata si stasviluppando differentemente rispetto all’Unione

Sebbene nei paesi candidati all’adesione siano evidentile stesse tendenze generali osservate nell’Unione in ter-mini di variazioni nei modi di trasporto, il loro punto inizialee lo sviluppo complessivo dei trasporti è assai diverso. Inprimo luogo, il volume del traffico è stato stagnante duran-te gli anni ‘80 ed è diminuito marcatamente nel corso deglianni ‘90, riflettendo tendenze analoghe nell’economia enegli scambi. Il volume del trasporto merci è diminuito del22% tra il 1980 e il 1998, mentre è aumentato del 52%nell’Unione durante lo stesso periodo.

Come nell’Unione, tuttavia, il trasporto stradale è diven-tato prevalente. Nonostante il declino complessivo nelvolume di prodotti trasportati, le merci che viaggiano sustrada sono aumentate del 19% nel corso del periodoconsiderato, sebbene il volume di traffico resti notevol-mente inferiore a quello dell’Unione, che è raddoppiato.Inoltre, nel 1998, soltanto il 47% delle merci è stato tra-sportato su strada, contro il 74% nell’Unione, mentre iltrasporto ferroviario, pur in declino, è rimasto importan-te, rappresentando il 42% del totale, rispetto al 14%nell’Unione. In effetti, la maggioranza delle merci viag-gia ancora per ferrovia negli Stati baltici e in Slovacchia,mentre gran parte dei prodotti viaggia su strada nellaRepubblica Ceca e in Bulgaria.

Per quanto riguarda il trasporto marittimo, i principaliporti nei PEC sono Costanza in Romania, Ventspils inLettonia e Gdansk e Szceczin in Polonia. Il traffico cheinteressa questi porti è simile a quello gestito dai porti dimedie dimensioni nel Mediterraneo e appena il 5-10% diquello di Anversa. In ogni caso, i porti del Baltico si stan-no sviluppando rapidamente.

Le vie d’acqua interne hanno un ruolo marginale, tranneche in Romania e in Slovacchia, dove rappresentano ol-tre il 10% del totale del trasporto merci.

L’infrastruttura di trasporto nei paesi candidati all’ade-sione è, in complesso, meno estesa che nell’Unione e la

rete ferroviaria, pur rappresentando una più ampia pro-porzione del totale, è in condizioni precarie. Inun’Unione allargata di 27 paesi, le principali caratteristi-che del sistema di trasporto nei paesi candidatiall’adesione sono le seguenti:

− per quanto riguarda le strade, tutti i paesi, trannel’Estonia, la Lituania e la Polonia, hanno una rete signi-ficativamente meno estesa rispetto alla media UE. InPolonia, è simile a quella dell’Irlanda, mentre in Estoniae Lituania, come anche nella Repubblica Ceca e inSlovacchia, essa è più ampia che in tre dei paesi be-neficiari del Fondo di coesione (grafico A.17);

− in generale, vi sono molte meno autostrade che nelcomplesso dell’Unione e negli Stati della coesione.Mentre la costruzione di autostrade nel passato de-cennio è aumentata significativamente nell’Unione,e in particolare nei paesi della coesione, essa è sta-ta minima in quelli candidati all’adesione. La densitàautostradale è maggiore in Slovenia e Lituania, dovesupera quella del Portogallo, mentre in Polonia, che,come l’Irlanda, ha una buona dotazione stradale, leautostrade sono quasi inesistenti;

− la ferrovia è il mezzo di trasporto più sviluppato. Lalunghezza totale delle linee è generalmente mag-giore che nell’Unione e quasi doppia rispetto ai pae-si beneficiari del Fondo di coesione. Nella Repubbli-ca Ceca, la rete è il doppio della media UE e inUngheria, Slovacchia, Lettonia e Polonia, una voltae mezzo la media UE. Quanto alla qualità della rete,tuttavia, il raffronto è molto meno favorevole. La pro-porzione di linee elettrificate è assai inferiore allamedia UE, ad eccezione di Bulgaria e Polonia, men-tre, analogamente agli Stati beneficiari del Fondo dicoesione, le linee a doppio binario e ad alta velocitàsono assai meno numerose.

Per poter contribuire all’equilibrio territoriale inun’Unione allargata, i principali problemi da affrontarerelativamente alle reti di trasporto sono:

− l’invecchiamento dell’infrastruttura nei paesi candi-dati all’adesione, dovuto alla mancanza di investi-menti negli anni ‘80 e ‘90;

− la necessità di integrare le reti dei paesi candidatinel sistema di trasporto dell’Unione nel suo com-plesso, nonché nelle reti transeuropee;

− l’esigenza di rafforzare l’aspetto intermodale dei si-stemi di trasporto, specialmente per quanto riguar-

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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da i collegamenti tra i porti nelle regioni periferiche ele aree meno favorite dell’interno. A differenza deipaesi candidati all’adesione, l’infrastruttura negliStati della coesione è tendenzialmente moderna emeglio integrata con quella del resto dell’Unione,grazie agli investimenti su vasta scala degli anni ‘90.In ogni caso, la rete ferroviaria resta meno sviluppa-ta che altrove e i collegamenti tra i diversi modi ditrasporto, che, tra l’altro, sono importanti per le co-municazioni interne nell’ambito delle regioni menofavorite, risultano inadeguati.

Energia

La disponibilità di energia in una regione, la flessibilitàdell’approvvigionamento in termini di diversità delle fontie un grado elevato di autosufficienza sono fattori impor-tanti per lo sviluppo regionale, in quanto contribuisconoa definire i limiti della crescita e dell’occupazione. Inol-tre, il tipo di produzione, il consumo di energia per unitàdi prodotto e la capacità di ridurre l’inquinamento am-bientale determineranno la possibilità di una regione disvilupparsi in modo sostenibile.

Nel passato decennio, i consumi energetici nell’Unionehanno continuato ad aumentare, contestualmente allacrescita del PIL. L’intensità di energia, misurata dallaquantità di energia utilizzata per unità di prodotto, è di-minuita, sebbene in modo meno significativo rispettoagli anni ‘80. Tra il 1988 e il 1998, il PIL nell’Unione è au-mentato del 25% in termini reali, mentre i consumi ener-getici si sono accresciuti del 6%, con una riduzionenell’intensità di energia.

Il consumo di energia pro capite nell’Unione è aumenta-to dell’1,6% tra il 1988 e il 1998, con un incremento parti-colarmente pronunciato nei paesi beneficiari del Fondodi coesione: all’inizio del periodo, questi avevano un li-vello di consumo inferiore alla metà della media UE, cheè poi aumentato di quasi il 40% nel corso degli ultimi do-dici anni. Questa crescita è stata ampiamente dovuta alloro sviluppo economico e all’intensità energetica deiconsumi. Ciò è quanto si è osservato specialmente inPortogallo e in Grecia, i due paesi con i risultati peggioriin termini di utilizzo dell’energia. Sebbene il consumopro capite in questi due paesi resti ben al di sotto dellamedia UE, per lo più a causa del loro basso livello di PILpro capite, il consumo per unità di PIL è aumentato so-stanzialmente, invece di diminuire come è accaduto al-trove. La forte crescita economica della Spagna è stataaccompagnata da un incremento di oltre il 30% nel con-sumo totale di energia e da un modesto aumentonell’intensità energetica dei consumi, che però resta in-feriore alla media UE, come nel caso dell’Irlanda, che ha

sperimentato una riduzione significativa (pari al 33%)dell’intensità energetica dei consumi (grafico A.18).

Risorse idriche e ambiente

Al fine di mantenere lo sviluppo economico nel lungo pe-riodo, è necessario che esso sia sostenibile anche in ter-mini ambientali. Se la crescita di un’economia ha effettinocivi sull’ambiente, ciò ne limiterà in ultima analisi losviluppo. Pertanto, la disponibilità di risorse e le misureadottate per proteggere l’ambiente sono fattori che de-terminano i risultati a lungo termine delle economie re-gionali e che, pertanto, meritano un’attenzione speciale.

Riserve e utilizzo delle risorse idriche

Nell’Unione, le stime delle riserve idriche rinnovabili sonorelativamente basse: circa 3.200 metri cubi annui pro ca-pite, a fronte di una media mondiale complessiva di7.300. In ogni caso, i paesi europei hanno riserve nell’in-sieme adeguate, dato che il tasso annuo di estrazionedelle acque è di appena 660 metri cubi circa pro capite.

La distribuzione delle riserve, tuttavia, varia significativa-mente tra regioni. Le riserve pro capite sono 5 volte piùestese della media in Finlandia e Svezia, oltre che in Nor-vegia, e 3,5 volte superiori in Irlanda, mentre sono circa lametà della media o meno in Danimarca, Belgio e Germa-nia (grafico A.19). In rapporto alla superficie territoriale, lavariazione nelle riserve è ancora più accentuata. In Nor-vegia, esse sono 60 volte maggiori che in Spagna e 30volte più ampie rispetto a Sicilia, Grecia orientale, zonecentrali di Polonia e Ungheria e aree attorno al confine traRomania e Bulgaria. La disponibilità di riserve idriche, pe-raltro, dipende non solo dalla loro entità, ma anche dal li-vello di utilizzo che, a sua volta, è soggetto a un certo nu-mero di fattori quali, ad esempio, il tipo di produzioneindustriale e agricola, il livello dei consumi delle famiglie eil potenziale in termini di trattamento e riutilizzo delle ac-que reflue. Nell’insieme dell’Europa (comprendente, oltreall’UE, i paesi candidati all’adesione e lo Spazio economi-co europeo), il tasso complessivo annuo di estrazione èpari ad appena il 16% delle riserve disponibili. Inoltre, poi-ché gran parte delle acque impiegate viene restituita allafonte originaria, il consumo netto finale ammonta ad ap-pena il 5% delle riserve. Nell’Unione europea, la situazio-ne è lievemente meno favorevole, con un tasso annuo diestrazione pari al 21% delle riserve e un tasso netto appe-na inferiore al 7%.

L’utilizzo delle risorse idriche varia significativamente traStati membri. Il tasso di consumo è relativamente eleva-to in Belgio (43% delle riserve) e in Germania (35%), acausa della densità demografica e del notevole utilizzo

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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da parte delle industrie. Nei paesi del Mediterraneo,l’irrigazione agricola è responsabile della maggior partedell’estrazione delle acque. In Spagna, dove il tasso an-nuo di estrazione supera il 30% delle riserve, il 60%dell’acqua è destinato all’agricoltura, in Portogallo il52% e in Italia il 50%, mentre in Grecia si raggiungel’80%. In quest’ultimo paese e in Portogallo, il tasso com-plessivo di estrazione è, comunque, relativamente bas-so (meno del 10% delle riserve).

Peraltro, occorre considerare anche l’entità delle risorseidriche impiegate e successivamente restituite alla fonteoriginaria, che determina l’abbondanza o la scarsità re-lativa delle riserve in ogni paese. Mentre oltre l’80% delleacque estratte viene restituito alla fonte in Belgio e inGermania, in Spagna e in Italia la percentuale è del 40%appena (grafico A.20).

Il trattamento delle acque refluee lo smaltimento dei rifiuti domestici

Il miglioramento delle tecniche d’irrigazione nell’agricol-tura e i progressi nel trattamento delle acque reflue pro-dotte dall’industria e dalle famiglie hanno accresciutol’efficienza nell’utilizzo delle riserve idriche. Nel settoreagricolo nell’area del Mediterraneo, i nuovi metodi d’irri-gazione consentono di riutilizzare l’acqua e anche di trat-tarla, mentre gli impianti di desalinizzazione miglioreran-no prevedibilmente la situazione dell’Europa meridionale.

Poiché la maggior parte della popolazione europea vivenei centri urbani, occorre prestare ai danni causatiall’ambiente dallo smaltimento dei rifiuti domestici altret-tanta attenzione quanta se ne dedica a quelli provocatidall’industria e dall’agricoltura. Al fine di ridurre la pres-sione sull’ambiente, è essenziale promuovere una politi-ca volta a creare una coscienza pubblica del problemae a realizzare le infrastrutture necessarie per il tratta-mento delle acque e lo smaltimento dei rifiuti.

Per quanto riguarda il trattamento delle acque di scaricodomestiche, il 90% della popolazione dell’UE è collega-to agli impianti di erogazione idrica e il 70% alla rete fo-gnaria. Esistono, tuttavia, ampie variazioni regionali.Mentre, nel complesso dell’Europa settentrionale, il 90%della popolazione è collegato al sistema fognario per iltrattamento delle acque reflue, nei paesi beneficiari delFondo di coesione la proporzione oscilla tra il 27% inPortogallo e il 58% in Grecia (grafico A.21). In Belgio,inoltre, essa ammonta ad appena il 32%. Nei paesi can-didati all’adesione, il 40% della popolazione non è colle-gato ad impianti di erogazione idrica e non più del 42%delle acque reflue viene trattato, tra l’altro solo in propor-zione modesta conformemente agli standard previstidalla normativa europea.

I rifiuti domestici sono smaltiti in modo assai differentenelle diverse aree dell’Unione, in termini di incenerimen-to, riciclaggio, compostaggio o messa a discarica. Seb-bene gli Stati membri meridionali tendano a produrre li-velli di rifiuti domestici assai più bassi rispetto al restodell’Unione (grafico A.22), essi sono anche meno attrez-zati quanto a sistemi di smaltimento. Mentre, nel 1995, il60% dei rifiuti domestici prodotti nel complessodell’Unione è stato riciclato – e ben l’80% nel caso diGermania e Francia – la Grecia ha fatto registrare unapercentuale di appena il 5%, il Portogallo del 30% e laSpagna del 45%.

Sebbene i paesi candidati all’adesione abbiano già in-trodotto il riciclaggio dei rifiuti su scala relativamenteampia, al fine di compensare la loro carenza di risorseprimarie, quasi tutti stanno incontrando difficoltà nel rag-giungere gli obiettivi fissati dalla Direttiva comunitaria inmateria di riciclaggio (50% dei rifiuti riciclati entro il 2001per gli attuali Stati membri). Gli impianti di riciclaggionon sono stati ammodernati e alcuni sono perfino statichiusi per mancanza di fondi pubblici. La RepubblicaCeca, ad esempio, ricicla attualmente appena il 15% deirifiuti prodotti dai materiali d’imballaggio, la Slovenia il29% e l’Ungheria il 32%. È prevedibile che la situazionepeggiori ulteriormente in futuro, dato che il tasso più ele-vato di crescita economica cui probabilmente si assiste-rà potrebbe far aumentare la quantità di rifiuti prodotta(secondo il Rapporto 1999 dell’Agenzia europea perl’ambiente). Di conseguenza, sono necessarie misurestrutturali in quest’area, al fine di sostenere lo sviluppoeconomico nell’Unione allargata.

Sviluppo delle risorse umane

La competitività di un’economia dipende, come notatoin precedenza, non solo dal suo capitale fisico, ma an-che dalla conoscenza che possiedono i suoi imprendi-tori e lavoratori. Efficaci sistemi d’istruzione e formazio-ne sono perciò importanti per aumentare la produttivitàe favorire la crescita economica. In Europa, tuttavia, esi-stono differenze assai marcate nell’istruzione e nella for-mazione.

Variazioni significative nei livelli diconseguimento scolastico tra Stati membri

Nonostante la graduale riduzione delle disparitàd’istruzione negli ultimi trent’anni, esiste tuttora un ampiodivario nei livelli di conseguimento scolastico tra i paesibeneficiari del Fondo di coesione e il resto dell’Unione. Inparticolare, nel primo gruppo una vasta proporzione dellapopolazione tra 25 e 59 anni ha un basso livello

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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d’istruzione, cioè nessuna qualifica oltre la scuoladell’obbligo (nel 1999, si sono rilevate percentuali del75% in Portogallo, del 65% circa in Spagna e approssi-mativamente del 50% in Grecia e in Irlanda). Lo stessovale per l’Italia, dove più di metà di coloro che apparten-gono a questa classe di età ha un’istruzione modesta.

Per contro, nei tre paesi del Nord Europa, in Belgio e nelRegno Unito, oltre un quarto degli individui della classe25-59 anni ha un livello d’istruzione superiore terziaria(titolo universitario o equivalente) (carta 12).

I paesi candidati all’adesione: necessitàd’istruzione maggiore di quanto indichino le cifre

Nei paesi candidati dell’Europa centrale, un’ampia pro-porzione della popolazione da 25 a 59 anni è in posses-so di un’istruzione secondaria superiore, soprattutto nel-la Repubblica Ceca e in Polonia, dove la percentualesupera il 70%.

Alcuni studi recenti delineano, tuttavia, un quadro menoottimistico e avanzano l’ipotesi che l’elevata proporzio-ne di individui con livelli d’istruzione successivi alla scu-ola elementare sia essenzialmente dovuta a istituti pro-fessionali minori in grado di offrire una formazione dibase: “Il fatto di avere un numero relativamente elevatodi lavoratori con un livello d’istruzione successivo allascuola elementare era essenzialmente un sottoprodottodella presenza in questi paesi di scuole professionali mi-nori che offrono generalmente da uno a due anni di for-mazione in occupazioni rigidamente definite fino al com-pletamento della scuola dell’obbligo. Queste scuoleprofessionali minori facevano effettivamente parte dellescuole di base e, in realtà, non erano considerate nean-che formalmente appartenenti al sistema secondariod’istruzione in questi paesi”15. Inoltre, sussistono dubbiriguardo alla qualità e alla natura della formazione pro-fessionale a livello secondario superiore, che, in molticasi, appare superata. Ciò sottolinea la necessità di svi-luppare strategie appropriate per le risorse umane inquesti paesi, onde evitare che le scarse competenzerallentino lo sviluppo economico e sociale.

Cresce il numero dei giovani qualificati

Il progresso tecnologico e la globalizzazione continuastanno espandendo la domanda di manodopera spe-cializzata. Nell’Unione europea, i livelli di conseguimen-to scolastico dei giovani sono aumentati costantementenegli ultimi trent’anni o più. Nell’UE, soltanto il 27% deigiovani tra i 25 e i 34 anni non era in possesso di alcunaqualifica oltre la scuola dell’obbligo nel 1999, a frontedel 48% della classe di età 50-59. Analogamente, il 49%degli individui di 25-34 anni aveva un’istruzione di livello

secondario superiore, contro appena il 35% dei compo-nenti della classe di età 50-59; inoltre, il 24% dei piùgiovani aveva un diploma universitario o equivalente, ri-spetto al 17% dei più anziani. Si prevede che il numerodegli iscritti alle scuole di livello superiore raddoppierànei prossimo decennio e ciò metterà a dura prova i siste-mi di istruzione superiore in Europa.

L’incremento nei livelli di conseguimento scolastico èevidente in tutti gli Stati membri. Esso è particolarmentemarcato nei paesi beneficiari del Fondo di coesione,nonché in Italia, dove i livelli d’istruzione medi delle per-sone più anziane sono relativamente bassi. Nel 1999, laproporzione dei giovani di 25-34 anni con un diploma discuola secondaria superiore nei paesi della coesioneera il doppio di quella della classe di età 50-59 e la diffe-renza era analoga a livello d’istruzione terziaria (grafico12). Di conseguenza, il divario nei livelli di consegui-mento scolastico tra Stati membri si sta riducendo.

Nel contempo, si osserva una più decisa tendenzaall’aumento dei livelli d’istruzione conseguiti dalle donnerispetto agli uomini e, in quasi tutti gli Stati membri, le don-ne nelle classi di età più giovani hanno raggiunto un livellod’istruzione più elevato delle loro controparti maschili.

Nondimeno, il numero di giovani che abbandonano l’istru-zione prematuramente, muniti solo delle nozioni di base, ètuttora sostanziale: questi giovani non sono in grado dirispondere adeguatamente alla domanda di aggiorna-mento continuo della conoscenza e delle competenzelungo tutto l’arco della vita, che si rende necessario a cau-sa dell’accelerazione nel ritmo dell’evoluzione tecnologi-ca, scientifica ed economica della società.

Nell’Unione europea, una media del 22% dei giovani tra18 e 24 anni giunge tutt’al più a completare soltantol’istruzione secondaria inferiore16. Alcuni Stati membri sicollocano significativamente al di sopra di questa me-dia. Inoltre, desta preoccupazione il fatto che si registri-no tassi elevati in alcune aree urbane o periferiche, non-ché tra i gruppi sociali svantaggiati.

Il problema è particolarmente serio in Portogallo, dovepiù del 45% dei giovani di 18-24 anni non continua glistudi dopo la scuola dell’obbligo, né segue una forma-zione professionale.

Nella società fondata sull’apprendimento, la stratifica-zione sociale è sempre più basata sulla divisione tra i‘ricchi’ e i ‘poveri’ in termini di competenze e qualifiche.L’abbandono scolastico, quindi, ha conseguenze moltopiù durature rispetto al passato, perché può marchiare avita un individuo e ridurre fortemente le scelte professio-nali disponibili. Le scuole sono al centro della società

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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basata sulla conoscenza ed è lì che comincial’apprendimento che dura tutto l’arco della vita.

Il fallimento scolastico colpisce tutte le fasce sociali, manon tutte allo stesso modo. Le indagini svolte indicanoche coloro che lasciano la scuola provengono prevalen-temente da famiglie a basso reddito già caratterizzate inpassato da questo evento. Molti appartengono a fami-glie smembrate, oppure a nuclei familiari di immigranti orifugiati che non sono riusciti a integrarsi. L’abbandonoscolastico, pertanto, è collegato a una vasta gamma difattori sociali, sanitari, familiari e finanziari. Sebbene siasoltanto un elemento di un processo cumulativo di priva-zione sociale, questo è spesso l’evento fondamentaleche priva i giovani delle competenze, delle qualifiche edei contatti sociali necessari per riuscire o perfino peravere un ruolo di qualche significato nella società.

La lotta contro l’abbandono scolastico è al centro del di-battito sulla riforma del sistema d’istruzione: essa è indi-spensabile per sostenere un’economia basata sulla co-noscenza e per mantenere una società e una democraziacoese a cui tutti possano partecipare.

Anche nei paesi candidati all’adesione è evidente un au-mento dei livelli d’istruzione. Nella maggior parte di essi,la proporzione di giovani da 25 a 34 anni con un’istru-zione secondaria superiore è significativamente più ele-vata rispetto alla classe 50-59 anni, benché la propor-zione di individui in possesso di un livello terziariod’istruzione sia più o meno analoga e resti relativamentemodesta tra i giovani. I tassi d’iscrizione universitaria,quindi, sono in genere significativamente più bassi chenell’Unione europea.

Le prospettive occupazionaliaumentano con il livello d’istruzione

In quasi tutti gli Stati membri dell’Unione, il livellod’istruzione è un elemento determinante per l’esito favo-revole della ricerca di un impiego. Tranne che in Grecia,e in misura minore in Portogallo, la disoccupazionenell’Unione europea è molto minore tra gli individui chehanno livelli di conseguimento scolastico elevati rispettoa coloro che hanno raggiunto livelli più bassi. Nel 1999, iltasso medio di disoccupazione delle persone da 25 a 59anni con un’istruzione di livello universitario è stato del5%, contro l’8% di coloro che hanno raggiunto il livellod’istruzione secondaria superiore e il 12% degli individuiin possesso della sola istruzione di base. In alcuni Statimembri, i tassi di disoccupazione delle persone conbassi livelli d’istruzione sono risultati da 3 a 4 volte piùelevati di quelli degli individui con un’istruzione superio-re (grafico 13).

Il legame tra l’istruzione e i tassi d’occupazione è anchepiù stretto, specialmente per quanto riguarda le donne.Ciò si spiega con il fatto che un’ampia proporzione didonne con bassi livelli d’istruzione – e anche una per-centuale significativa di uomini – non appartiene affattoalle forze di lavoro. In altre parole, i livelli d’istruzione in-cidono sulle probabilità di essere non solo disoccupati,ma anche economicamente attivi.

Un modello analogo è evidente nei paesi candidatiall’adesione. La differenza nei tassi di disoccupazionetra individui con livelli diversi d’istruzione è assai marca-ta in Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia,dove coloro che sono in possesso di un basso livello di

conseguimento scolastico hanno unaprobabilità fino a 7 volte maggiore di es-sere disoccupati rispetto alle personecon un livello d’istruzione elevato.

Tuttavia, in Grecia, Spagna e Italia, in par-ticolare, nonché nella maggior parte deipaesi candidati all’adesione, un numerosignificativo di giovani tra i 25 e i 34 annicon un alto livello d’istruzione ha difficoltàa trovare un’occupazione al termine deglistudi, il che contrasta nettamente con laposizione delle persone più anziane inpossesso di qualifiche analoghe.

Occorre sottolineare altresì che persisto-no differenze nelle prospettive occupa-zionali maschili e femminili. Le donne conun dato livello d’istruzione hanno mag-giori probabilità di essere disoccupate ri-spetto agli uomini con un livello analogo

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

0

5

10

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B DK D EL E FIR

L I L NL A PFIN S UK CZ EE HU LV PL

RO SI0

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35

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25-34 50-59

% popolazione nella classe di età

12 Popolazione con istruzione universitaria o equivalente per classe di età, 1999

BG, CY, LT, MT, SK: dati n.d.

Page 21: I.4 Fattori che determinano la convergenza reale...39 I.4 Fattori che determinano la convergenza reale Indice, UE15 = 100 < 9 9 - 39 39 - 69 69 - 99 ≥99 dati n.d. Media = 54,1 to

nella maggior parte delle aree dell’Unione. Le disugua-glianze sono particolarmente marcate in Grecia, Spa-gna e Italia. Per contro, nella maggioranza dei paesicandidati all’adesione, le donne sembrano trovarsi incondizioni di minore disparità rispetto all’UE.

Si dovrebbe, infine, notare che esiste una chiara relazio-ne positiva tra titoli di studio e retribuzioni. In tutti gli Statimembri, gli occupati a tempo pieno con un’istruzione dilivello universitario guadagnano in media significativa-mente più di coloro che sono in possesso di un’istru-zione secondaria superiore. La differenza supera il 50%in Germania, Francia e Austria e il 100% in Portogallo.Nella maggior parte degli Stati membri, le differenze re-tributive tra gli individui con istruzione secondaria supe-riore e secondaria inferiore sono molto minori (10-20%),ma pur sempre significative.

L’accesso alla formazione continua variaancora nettamente tra Stati membri

L’istruzione e la formazione continua sono essenziali siaper le prospettive occupazionali degli individui sia permantenere la competitività di un’economia moderna.Mentre gli indicatori suggeriscono che, tra gli occupati,la partecipazione ad attività formative collegate al lavoroè aumentata in tutta Europa, essi mostrano anche che lapartecipazione alla formazione è tuttora relativamentemodesta e che esistono ancora ampie disparità tra Statimembri. Nel 1999, soltanto poco più del 10% dei lavora-tori dell’UE ricompresi nell’Indagine sulle forze di lavoroaveva seguito qualche tipo di formazione durante lequattro settimane precedenti. I tassi di partecipazioneoscillavano, nel 1999, da meno del 5% in circa la metàdegli Stati membri a più del 20% nei Paesi Bassi, in Dani-marca, in Finlandia e in Svezia. Sebbene queste cifrecomportino un elevato grado di incertezza e non sianototalmente raffrontabili tra paesi, esse indicano chel’accesso alla formazione nei paesi beneficiari delFondo di coesione è quasi certamente minore che altro-ve.

Pur non tenendo conto della qualità e della rilevanza del-la formazione, una recente indagine condotta dall’OCSEsuggerisce che anche la durata della formazione colle-gata al lavoro varia significativamente tra i paesi esami-nati. Il totale annuo delle ore dedicate alla formazionedei lavoratori, in effetti, ha oscillato tra 27 ore in Belgio(soltanto Fiandre) e 57 nei Paesi Bassi17.

I dati dell’Indagine sulle forze di lavoro indicano, inoltre,che i lavoratori più giovani tendono a ricevere una mag-giore formazione rispetto a quelli più anziani. Mentre,nell’Unione, soltanto il 2,5% delle persone da 55 a 59anni aveva partecipato a corsi o programmi nelle

settimane di riferimento, la corrispondente percentualeper i giovani da 25 a 29 anni raggiungeva il 10% e, per ilavoratori nella classe 30-34 anni, l’8%. Inoltre, sembraesservi un chiaro collegamento tra i livelli di consegui-mento scolastico e l’accesso alla formazione in tutti gliStati membri, per cui i lavoratori con un’istruzione eleva-ta hanno maggiori opportunità di ricevere una formazio-ne rispetto a quelli con livelli minori. Sono, perciò, neces-sari ulteriori sforzi per impedire che le persone con unlivello d’istruzione iniziale basso vengano isolate per ef-fetto del limitato accesso alla formazione continua.

L’adattamento dei sistemi d’istruzionealla tecnologia dell’informazione e dellacomunicazione è iniziato, ma molto resta da fare

Per rendere più fluida la transizione dei giovani verso ilmercato del lavoro moderno, essi devono entrare in con-tatto con la tecnologia dell’informazione e della comuni-cazione (TIC) a scuola. L’integrazione della TIC nel si-stema scolastico sta diventando sempre più diffusa intutta l’Unione, man mano che gli Stati membri attuano leconclusioni del Consiglio di Lisbona e, nella maggiorparte dell’UE e dei paesi candidati all’adesione, nel pro-gramma della scuola primaria e secondaria inferiore vie-ne inclusa l’Iniziativa eLearning per il potenziamentodella TIC nei sistemi d’istruzione. Tuttavia, l’entità deiprogressi in quest’area è di difficile valutazione poiché,mentre esistono dati a livello nazionale, non sono dispo-nibili dati armonizzati per l’Unione.

Uno studio pilota dell’OCSE indica che l’accesso allaTIC nell’ambito scolastico, misurato dal numero distudenti per computer, varia significativamentenell’Unione18. Mentre le scuole primarie in Finlandia,Svezia e Danimarca hanno tipicamente tra 11 e 14 stu-denti per computer, la cifra in Italia e in Portogallo oscillatra 50 e 150. Nelle scuole secondarie, la media è di 7 stu-denti per computer in Svezia, Finlandia e Irlanda, mentrein Portogallo è di 65. Nelle scuole sia primarie che se-condarie, l’accesso ai computer è minore in quasi tuttigli Stati membri rispetto agli Stati Uniti.

Innovazione e RST

L’innovazione ‘è uno strumento mediante il quale le re-gioni meno favorite possono affiancare immediatamen-te quelle più sviluppate, non attraverso il tentativo di imi-tarne i risultati già conseguiti, ma cercando di gettare lebasi, secondo le loro proprie caratteristiche e necessità(...), per un adattamento alle condizioni di competitivitàin un’economia globale’ 19.

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

Page 22: I.4 Fattori che determinano la convergenza reale...39 I.4 Fattori che determinano la convergenza reale Indice, UE15 = 100 < 9 9 - 39 39 - 69 69 - 99 ≥99 dati n.d. Media = 54,1 to

Al giorno d’oggi, è ampiamente accettato che l’abilitàdelle economie regionali di sostenere la competizione eadattarsi al cambiamento tecnico è collegata alla lorocapacità di innovazione. Questo, ovviamente, non è unfatto nuovo, ma la crescente importanza della cono-scenza (in confronto alle risorse naturali, al capitale fisi-co e all’offerta di manodopera) nel determinare i risultatieconomici colloca la tecnologia e l’innovazione tra lepriorità dello sviluppo regionale.

Il Consiglio europeo di Lisbona ha ribadito l’importanzadella ricerca e sviluppo e dell’innovazione per la cresci-ta economica, la creazione di impieghi e la coesione so-ciale. Esso ha sottolineato la necessità di creare un’areaeuropea di ricerca e innovazione e ha chiesto alla Com-missione e agli Stati membri di attuare una serie di misu-re per realizzare i traguardi stabiliti nella Comunicazionedella Commissione ‘Verso uno spazio europeo della ri-cerca’.

L’importanza dell’innovazione è stata evidenziata dalConsiglio europeo, che ha espresso la necessità, tral’altro, di un programma avanzato per promuoverel’innovazione e la riforma economica. La Comunicazio-ne della Commissione ‘Politica dell’innovazione inun’economia guidata dalla conoscenza’20 ha fissatoorientamenti politici generali per favorire l’innovazionenell’Unione. Così come è stato compreso il valoredell’innovazione quale elemento chiave della politica disviluppo economico, allo stesso modo è stata semprepiù riconosciuta l’importanza della dimensione regiona-le. Molte misure sono assai più efficacemente concepitea livello regionale, dove i bisogni delle imprese, el’ambiente in cui esse operano, possono essere valutatial meglio.

La comprensione del processo attraverso cui la tecnolo-gia e l’innovazione incidono sullo sviluppo regionale si èevoluta nel tempo. Anziché considerare l’innovazionecome un processo lineare dalla ricerca di base al suc-cesso commerciale, è emerso un modello più interattivo,che riconosce l’importanza dell’ambiente in cui le azien-de, e in particolare le PMI, operano. In effetti, essendoprive della struttura funzionale articolata delle grandiaziende, le PMI devono affidarsi maggiormente a capa-cità esterne alla società.

Di conseguenza, l’innovazione è stata associata a con-cetti quali la creazione e la gestione di reti e il raggrup-pamento di aziende. In questo ambito, essa non dipen-de più unicamente dal modo in cui operano le imprese,le università, i centri di ricerca e i legislatori, ma, in misu-ra crescente, da come i vari soggetti lavorano insieme,particolarmente a livello regionale.

Nell’attuale Unione, la capacità di innovazione varia si-gnificativamente da una regione all’altra, in termini siaquantitativi che qualitativi. Per fornire un resoconto det-tagliato di queste variazioni, la Commissione ha presen-tato nel settembre 2000 21 un primo Quadro comparativodell’innovazione in Europa, che indica l’entità delledisparità in questo settore nell’Unione. Alcuni Statimembri, in particolare quelli nel Nord Europa, hanno re-alizzato un punteggio piuttosto elevato, a volte perfinopiù alto di quello degli Stati Uniti. In termini di indicatoricon valori significativamente superiori alla media UE, laSvezia ha fatto registrare il punteggio massimo (con 12dei 16 indicatori al di sopra della media del 20% o più),seguita da Finlandia (8), Danimarca e Germania (en-trambe 7).

Nel seguito si esamina, innanzitutto, la struttura dei si-stemi scientifici e tecnologici nazionali e, secondaria-mente, si considera il modo in cui varia la capacitàd’innovazione nell’Unione.

Sebbene la convergenza sia progredendo,restano significative le differenzea livello nazionale ...

Nei paesi beneficiari del Fondo di coesione, la spesaper la ricerca e lo sviluppo tecnologico (RST) in rapportoal PIL è aumentata negli ultimi anni, ma, ad eccezionedell’Irlanda, la crescita non è stata sufficiente a colmareil divario con il resto dell’Unione. Il divario tecnologico trai paesi della coesione e i quattro Stati membri in cui laspesa è massima (Germania, Francia, Svezia e Finlan-dia) si è ampliato anziché ridursi (tavola 5).

La spesa delle imprese per la RST è diminuita in rappor-to alla spesa complessiva in Portogallo, Grecia e Spa-gna tra il 1995 e il 1998, come è accaduto nel complessodell’Unione, sebbene sia cresciuta nei primi quattro Statimembri in termini di spesa e ancor più in Irlanda. Diconseguenza, il divario nell’innovazione tra i citati trepaesi della coesione e gli altri cinque potrebbe ampliarsiulteriormente e ciò, a sua volta, potrebbe ridurre la pos-sibilità di migliorare la loro competitività sui mercatidell’Unione o mondiali.

Anche la spesa statale è diminuita in Grecia e inSpagna, in linea con gli andamenti osservati altrovenell’Unione, mentre è rimasta invariata in Portogallo.L’aumento della spesa complessiva in questi tre paesi,pertanto, si spiega con un maggiore esborso perl’istruzione superiore, che può essere considerato un re-quisito preliminare per l’ampliamento delle competenzedelle forze di lavoro.

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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Il significativo divario nella spesa per RST che esiste tra ipaesi beneficiari del Fondo di coesione e altri Stati mem-bri, specialmente in termini di spesa delle imprese, indi-ca la necessità di incoraggiare maggiormente le azien-de a intraprendere attività di ricerca e, quindi, diadattare le politiche di RST in tal senso. Ciò richiedel’adozione di una prospettiva più ampia della sempliceridistribuzione in questi paesi della spesa UE per la RST.Nelle regioni in ritardo di sviluppo, in particolare, occor-re impegnarsi per aumentare: la capacità delle aziendedi assorbire nuova tecnologia e know how sviluppati al-trove; la capacità delle forze di lavoro di utilizzare questatecnologia e di adattarsi alle nuove prassi; lo spirito im-prenditoriale per ricercare nuove opportunità di merca-to; la disponibilità di capitale di rischio per l’innovazione(tavola A.21).

I pochi dati disponibili per i paesi candidati all’ade-sione22 indicano che, fin dall’inizio degli anni ‘90, sonostati ridotti i fondi disponibili per la RST (la ricerca appli-cata molto più che la scienza), è aumentata la concor-renza per i finanziamenti ed è fortemente calata la do-manda di RST da parte del settore pubblico. Nel 1995,l’intensità di RST nella maggior parte dei paesi era similea quella degli Stati beneficiari del Fondo di coesione,mentre in Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca, laspesa sia pubblica che privata per la RST era più vicinaalla media UE.

Il potenziale di risorse umane nella RST in molti dei paesicandidati è relativamente forte, testimoniando il ruolo diprimo piano accordato alla RST nel passato sistema so-cialista, e ciò indica che essi sono ben posizionati perpoter recuperare nei confronti degli attuali Stati membridell’Unione, a patto che venga realizzata una profondaristrutturazione del sistema di RST (carta A.13).

... particolarmente in termini di risorse umane

La qualità delle risorse umane è il principale fattore allabase dell’invenzione e della diffusione della tecnologia edè una condizione preliminareper accrescere la capacitàdi una data economia di as-sorbire nuove trasformazio-ni. La differenza in questoambito tra gli Stati più avan-zati dell’Unione e i paesi be-neficiari del Fondo di coesio-ne è stata ridotta durante glianni ‘90, ma resta il fatto che iprimi hanno un numero diaddetti alla ricerca nelleaziende circa tre volte mag-giore rispetto ai secondi.

Le aziende nelle regioni più sviluppatepossono contare su schemidi assistenza pubblica più mirati

Una terza dimensione del ‘divario tecnologico’nell’Unione riguarda le differenze nella qualità e quantitàdegli schemi di assistenza pubblica. Nel caso dell’as-sistenza pubblica per l’innovazione, misurata in terminidi aiuti statali alla RST nell’industria, negli Stati membripiù avanzati l’ammontare erogato nel periodo 1995-97 èstato dieci volte maggiore in rapporto all’occupazione ri-spetto ai paesi in ritardo di sviluppo. In Danimarca, Fin-landia, Francia, Austria, Germania e nei paesi del Bene-lux, la percentuale si è collocata in ogni caso al di sopradella media UE, mentre nei paesi della coesione essa èstata inferiore al 60% della media. Inoltre, in questi ultimi,una quota molto minore di aiuti statali viene destinataalla RST rispetto ad altre parti dell’Unione, sebbene lanecessità di RST e d’innovazione sia maggiore che al-trove.

I brevetti riflettono le differenzenei sistemi nazionali d’innovazione

Le richieste di brevetto sono state a lungo utilizzatecome misura dell’attività d’innovazione, del prodottodella RST e dell’entità dei collegamenti tra il sistemascientifico e il settore produttivo. Per i paesi beneficiaridel Fondo di coesione, questo indicatore è notevolmen-te inferiore alla media UE, nonostante una certa conver-genza durante gli anni ‘90. Le richieste di brevetto inSpagna, Portogallo e Grecia ammontavano al 20% dellamedia UE nel 1998, contro il 10% nel 1989 (carta 13).

In sostanza, i sistemi scientifici e tecnologici nei paesidella coesione sono caratterizzati da una modesta in-tensità di RST, dalla presenza preponderante del setto-re pubblico, dallo scarso coinvolgimento del settore pri-vato, da deboli legami con il mondo professionale e dabassi livelli di trasferimento tecnologico.

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

Tavola 5 Spesa per RST nei paesi beneficiari del Fondo dicoesione e nel resto dell’UE, 1995-98

P EL E IRL UE Primi4

Spesa lorda per RST/PIL ↑ ↑ ↑ ↑ ↑ ↓ ↑

Spesa privata per RST/spesa lorda perRST

↓ ↓ ↓↓ ↑ ↑ ↓ ↑

Spesa pubblica per RST/spesa lordaper RST

= ↓↓ ↓ ↓ ↓ ↓

Istruzione più elevata nella RST/spesalorda per RST

↑ ↑ ↑ ↑ ↑ ↑ =

Spiegazione dei simboli: = stabile , ↑ in aumento, ↓ in calo, ↑↑ in forte aumento, ↓↓ in forte calo

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Tali differenze creano problemi per quanto riguardal’erogazione del sostegno, poiché suggeriscono chel’afflusso di aiuti andrebbe a beneficio del sistema esi-stente (orientato al settore pubblico), perpetuandone eperfino aggravandone i problemi strutturali. Di conse-guenza, le politiche di sviluppo regionale dovrebberofocalizzarsi sul rafforzamento dell’ambiente in cui ope-rano le aziende e, in particolare, del legame tra il sistemascientifico e l’attività economica.

La capacità tecnologica fortementeconcentrata a livello regionale ...

La distribuzione regionale della capacità innovativanell’Unione riflette le struttura dei sistemi scientifici e tec-nologici nazionali, sebbene le differenze regionali all’in-terno degli Stati membri contribuiscano ad ampliare ul-teriormente le disparità.

Vi è una forte concentrazione di RST e innovazione nelleregioni più avanzate dell’UE: le dieci regioni al verticedella graduatoria (in Germania, Regno Unito, Francia eFinlandia) rappresentano, infatti, circa un terzo del totaledella spesa nell’Unione. Al tempo stesso, 17 delle 25 re-gioni con la minore intensità di RST (meno del 25% dellamedia UE) sono regioni dell’Obiettivo 1. Disparità analo-ghe sono visibili nella spesa per le imprese, nelle risorseumane e nelle richieste di brevetto.

Le differenze interregionali sono particolarmente ampienei paesi beneficiari del Fondo di coesione. In Grecia,ad esempio, oltre metà della spesa per la RST è soste-nuta nell’Attica (dove è situata Atene), che è anche re-sponsabile di due terzi delle richieste di brevetto. InSpagna, la RST delle aziende si concentra per oltre trequarti in appena tre regioni (30% nella sola Madrid).

... incide sulla natura innovativadell’attività economica

Un’alta intensità di RST nel settore privato e l’esistenzadi collegamenti efficienti tra il settore scientifico e le im-prese sono fondamentali per l’innovazione e, quindi, perla crescita economica. In quasi tutte le prime 25 regioni,in termini di occupazione nei settori ad alta tecnologia(oltre il 12% del totale), anche l’intensità di RST è relati-vamente elevata. Nelle 25 regioni con la minore intensitàdi RST, anche l’occupazione nei settori high-tech è mol-to bassa (4% o meno del totale). Secondo i risultati preli-minari della seconda Indagine comunitaria sull’inno-vazione, le regioni del primo gruppo sono quelle con lamaggiore intensità innovativa nell’industria manifatturie-ra, il maggior numero di imprese che svolgono attività in-novative e il maggiore fatturato derivante da prodotti in-novativi. La maggioranza delle regioni in Grecia,

Spagna e Portogallo, d’altro canto, si trova all’estremoopposto.

L’importanza dell’ambiente normativo,organizzativo e istituzionale

Queste differenze strutturali nella scienza e tecnologianon spiegano da sole la debolezza della strutturadell’attività economica nelle regioni in ritardo di svilup-po. Vi è un crescente consenso sul fatto che l’incapacitàinnovativa delle aziende nelle regioni in questione nonsia dovuta tanto a problemi scientifici o tecnologici,quanto a carenze nell’ambiente normativo, istituzionalee organizzativo in cui esse operano.

Nelle regioni meno favorite, questo ambiente è spessocaratterizzato da un insieme di debolezze strutturali,quali la mancanza di un settore dei servizi alle impresedinamico, un sistema finanziario scarsamente sviluppa-to, deboli legami tra il settore pubblico e quello privato,la specializzazione settoriale in attività tradizionali pocoinclini all’innovazione, bassi livelli di sostegno pubblicoall’innovazione e schemi di aiuto che sono adattati inmodo inadeguato alle necessità delle PMI locali. In con-siderazione di ciò, un obiettivo primario della politica re-gionale dovrebbe essere quello di contribuire a svilup-pare nuove forme di organizzazione e cooperazioneistituzionale, migliorando così la competitività ‘struttura-le’ delle aziende situate nelle regioni in ritardo di svilup-po, e a incoraggiare il trasferimento delle risorse in areepiù dinamiche e innovative dell’attività economica.

L’economia della conoscenza

La tecnologia dell’informazione e della comunicazione(TIC) è alla base dell’economia della conoscenza. Essarende possibile la memorizzazione, elaborazione e dif-fusione di un crescente numero di dati in modo rapido epoco costoso ed è una fonte sempre più importante diguadagni di produttività.

La transizione verso la società dell’informazione, tutta-via, non riguarda soltanto la tecnologia. Il cambiamentoè potenzialmente quello di più ampia portata dopo la ri-voluzione industriale, incidendo profondamentesull’organizzazione sia dell’economia che della società.La gestione di questo cambiamento è una delle princi-pali sfide che l’Unione deve oggi affrontare.

A tal fine, l’Iniziativa della Commissione europea ‘eEuro-pe – Una società dell’informazione per tutti’, approvatadal Consiglio europeo di Lisbona nel mese di marzo2000, è volta ad accrescere il tasso di acquisizione delle

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

Guyane (F)

Guadeloupe

(F)

Martinique

(F)

Réunion

(F)

Canarias (E)

Açores (P)

Madeira

(P)

Totale per milione di abitanti

< 30

30 - 90

90 - 150

150 - 210

≥ 210

dati n.d.

UE15 = 119.4Scarto quadratico medio = 116.3D (Sachsen): NUTS1

Fonte: Eurostat

0 100 500 km

SIG16SIG16

© EuroGeographics Association per i confini amministrativi

13 Richieste di brevetto europee, media 1997-1999

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tecnologie digitali e ad assicurare che tutti abbiano lecompetenze necessarie per usarle.

In media, i paesi dell’Unione europea spendono unapercentuale stimata del 6% del PIL per la TIC (graficoA.23). Le industrie dell’informazione e della comunica-zione stanno crescendo più rapidamente degli altri set-tori di oltre 5 punti percentuali, in termini reali, guidandodunque efficacemente la crescita economica nell’UE23.Le industrie nel settore della TIC rappresentavano nel1997 circa il 4% dell’occupazione nell’Unione24 e, se-condo le stime, un nuovo posto di lavoro ogni quattroviene creato nell’area della TIC o in un settore collega-to25. Estendendo il campo d’osservazione ai cosiddetti‘settori basati sulla conoscenza’, questi hanno rappre-sentato circa un quarto dell’occupazione e la maggiorparte della crescita dei posti di lavoro negli ultimi anni26.

La liberalizzazione del mercato, associata alla semprepiù rapida innovazione tecnologica, sta favorendo laconcorrenza nel settore delle telecomunicazioni, ridu-cendo i costi e migliorando la scelta e la qualità dei servi-zi nella maggior parte delle aree dell’Unione. Di recente,il prezzo di accesso a Internet è nettamente calato, seb-bene rappresenti ancora una barriera a un suo più diffu-so utilizzo in alcuni paesi.

Il potenziale è enorme

Il commercio elettronico (eCommerce) si sta espanden-do rapidamente, costringendo le aziende a riconsidera-re i propri processi di lavoro e creando, al tempo stesso,nuove forme di organizzazione, inclusi nuovi tipi di mer-cato e relazioni commerciali diverse. Il commercio elet-tronico via Internet tra le aziende (B2B), il settore più am-pio (che si stima rappresenti oggi l’80% del totale e il90% nel 2003), si sta sviluppando rapidamente e le pre-visioni ne indicano una crescita annua superiore al 90%nel periodo 1999-200327.

L’utilizzo delle tecnologie di eCommerce nelle transa-zioni B2B può aumentarne l’efficienza attraverso la ridu-zione e la razionalizzazione dei processi di lavoro. Gli ef-fetti sono già evidenti nel disegno dei prodotti (processodi progettazione più breve, maggiori possibilità di per-sonalizzazione e standardizzazione delle parti), nellaproduzione e logistica (minori costi di magazzino, pro-duzione più rapida, costi di fornitura ridotti). Si stima chela diffusione delle transazioni B2B negli Stati Uniti abbiail potenziale di ridurre i costi delle imprese di una per-centuale compresa tra il 13% e il 23%28. Benché il mer-cato del commercio elettronico sia meno sviluppatonell’Unione, si prevede mediamente una riduzione deicosti di gestione del 18% e dei costi di vendita del 15%(grafico A.24).

Il modo in cui le regioni adottano e controllano laTIC è fondamentale per i loro risultati economici

La penetrazione della TIC, definita in termini di valoredella spesa per la TIC29 in percentuale del PIL, è un indi-catore importante della transizione di un paese verso lasocietà dell’informazione, come anche della sua capa-cità innovativa e della sua competitività. In base a que-sto indicatore, la differenza tra i paesi beneficiari delFondo di coesione e altri Stati membri dell’Unione è mo-desta e tende a ridursi: il tasso più elevato di crescitadella spesa nel periodo 1991-99 si è registrato in Grecia,insieme all’Italia. In termini assoluti, tuttavia, dato il loromodesto livello di PIL, i paesi della coesione dovrannoinvestire in futuro somme relativamente ingenti nella TICper poter recuperare il loro ritardo.

Sebbene il miglioramento della qualità dell’infrastrutturadi informazione e telecomunicazione sia un elementodeterminante per la capacità di partecipare alla societàdell’informazione, altri fattori svolgono una funzione al-trettanto importante e di crescente rilevanza, quali laconsapevolezza degli individui, il livello d’istruzione, ilruolo del settore pubblico nel promuovere la societàdell’informazione e la capacità organizzativa e di investi-mento delle aziende.

Il divario nell’infrastruttura delletelecomunicazioni si sta colmando

Nel corso degli ultimi vent’anni, le differenze di accessoalla telefonia fissa sono diminuite significativamente tragli Stati membri (grafico 14). Nella maggior parte dei pa-esi, la proporzione di famiglie collegate alla rete telefoni-ca è prossima alla media UE del 92%, ma è ancora bas-sa in Portogallo (69%) rispetto al 97% della Svezia30. InFinlandia, la percentuale di appena il 78% è compensa-ta in misura significativa dall’ampia proporzione di fami-glie munite di telefono mobile e prive di linea fissa (18%,pari a quasi cinque volte la media UE). Lo stesso feno-meno è evidente, benché in misura minore, in Portogallo(12%) e in Irlanda (dove solo l’84% delle famiglie utilizzala telefonia fissa), ma un quinto delle famiglie portoghesie un decimo di quelle irlandesi non hanno alcun acces-so ai servizi telefonici dalle loro abitazioni, contro unamedia UE di appena il 4%. Nondimeno, vi sono marcatedifferenze interregionali – di oltre 15 punti percentuali –nella proporzione di famiglie collegate alla telefonia fis-sa in Germania, Francia e Italia.

Nei paesi candidati all’adesione, il totale delle linee tele-foniche per 100 abitanti è inferiore alla metà della mediaUE, sebbene in Slovenia e, in misura minore, in Estonia ilnumero sia più elevato31.

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I.4 Fattori che determinano la convergenza reale

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La telefonia mobile ei collegamenti via cavo possonooffrire un accesso alternativo a Internet ...

Sebbene esistano variazioni nella penetrazione della te-lefonia mobile negli Stati membri dell’Unione, le differen-ze non riflettono i livelli relativi di prosperità. Tutti i paesidel Nord Europa hanno un tasso di penetrazione relati-vamente elevato, così come l’Italia, ma anche in Grecia,Spagna e Portogallo il tasso è prossimo o superiore allamedia UE. La maggior parte degli Stati membri, tuttavia,inclusi i paesi della coesione, dove il possesso di perso-nal computer è relativamente poco diffuso e/o l’accessoa Internet è limitato, mostra un livello elevato di utilizzodella telefonia, lasciando aperta la possibilità di accede-re a Internet in futuro tramite i telefoni mobili.

È evidente che l’ampia diffusione della telefonia mobilenei paesi del Nord Europa è, in parte, una conseguenzadelle loro caratteristiche geografiche e della dispersio-ne della loro popolazione su vaste aree. Negli Statimembri meridionali, invece, la rapida diffusione dei tele-foni mobili riflette la scarsa qualità, o la mancanza, dellelinee fisse (grafico A.25).

Sorprendentemente, l’utilizzo dei telefoni mobili appareminore nelle zone rurali (39% delle famiglie) che nellearee urbane (45%).

Il tasso di penetrazione della telefonia mobile nei paesicandidati all’adesione alla fine degli anni ‘90 era soltantoun quarto circa della media UE, ma mostrava di cresce-re rapidamente (al 108% annuo tra il 1996 e il 1999).

La tecnologia in questo settore sta pro-gredendo in fretta, offrendo nuove moda-lità di accesso a Internet – attraversoservizi per i telefoni mobili di terza gene-razione a banda più larga – oltre alle lineeISDN, xDSL e ai collegamenti televisivivia cavo e digitali. Poiché, in futuro,l’accesso alla rete a banda larga divente-rà probabilmente molto più rilevante perl’utilizzo di Internet da parte delle azien-de e delle famiglie, la disponibilità di que-sta tecnologia assumerà un’importanzafondamentale.

... ma l’accesso alla societàdell’informazione restairregolarmente distribuito

Esistono differenze significative nei pae-si dell’Unione quanto all’utilizzo domesti-co dei personal computer e all’accesso a

Internet (grafico 15). A parte la Francia, sembra esserviuna netta separazione tra nord e sud nel tasso di colle-gamento a Internet. In Grecia, Spagna, Portogallo e Ita-lia, come in Irlanda, il tasso è pari alla metà della mediaUE del 12%, mentre nei paesi del Nord Europa esso su-pera largamente il 20% (in Svezia è del 51%). In Grecia,Portogallo e Irlanda, anche il possesso di un personalcomputer è scarsamente diffuso.

Nei paesi candidati all’adesione, il numero di PC per 100abitanti è costantemente aumentato. Si possono distin-guere tre gruppi di paesi: la Slovenia, con un tasso simi-le alla media UE; la Polonia e la Repubblica Ceca (più al-tri), con tassi analoghi a quelli dei paesi della coesione;la Romania e la Bulgaria, con tassi compresi tra il 10% eil 25% della media UE.

Nell’Unione europea, è altresì evidente una netta sepa-razione sociale, per cui le famiglie con reddito elevatohanno probabilità sei volte maggiori di collegarsi a Inter-net rispetto ai nuclei familiari a basso reddito. Inoltre, ècollegata a Internet una maggiore proporzione di fami-glie nelle aree urbane (13-15%) rispetto a quelle che vi-vono nelle zone rurali (8%). Queste differenze, tuttavia,sembrano nascere più dalla mancanza di consapevo-lezza delle possibilità offerte da Internet che dall’entitàdel costo (il 45% delle famiglie UE prive di accesso di-chiara di non essere interessato e il 9% di non conosce-re affatto Internet, contro l’11% che indica il costo comemotivo del mancato collegamento).

L’utilizzo di Internet da parte delle aziende è relativa-mente elevato in un certo numero di Stati membri, spe-cialmente nei paesi del Nord Europa, sebbene le

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Numero totale di linee per 100 persone (asse sinistro)

Telefoni mobili in % del totale delle linee (asse destro)

14 Linee telefoniche e diffusione della telefonia mobile, 1998-99

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differenze restino ampie tra le varie aree dell’Unione. Adesempio, in Svezia, il 76% delle PMI è collegato a Inter-net, mentre, in Portogallo, la percentuale corrisponden-te è solo del 16% (32). Mentre le PMI interpellate in unarecente indagine hanno segnalato di essere discreta-mente bene informate del potenziale di Internet, un terzodi esse non vi era collegato. Nei paesi beneficiari delFondo di coesione, il numero delle aziende prive di ac-cesso è più elevato che altrove nell’Unione: ciò è in lineacon l’analisi della Commissione secondo cui la scarsaconsapevolezza dei benefici e delle opportunità poten-ziali e la carenza di competenze nella TIC, oltre al conte-nuto spesso debole dei programmi di elaborazione esi-stenti, rappresentano le principali barriere allo sviluppodella società dell’informazione.

L’obiettivo della politica strutturale in quest’area dovreb-be, pertanto, focalizzarsi sul potenziamento dal latodella domanda e, in particolare, della capacità delleaziende, delle istituzioni e degli individui di utilizzare effi-cacemente la tecnologia dell’informazione e della co-municazione.

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70PC ma non InternetInternet

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15 Accesso a Personal Computer e a Internet, 1999

1 Commissione europea (2000), ‘The Competitiveness of European Industry’. Si veda anche Commissione europea (1999),‘Sesta relazione periodica sulla situazione socioeconomica e sullo sviluppo delle regioni dell’Unione europea’ (parte 2 sullacompetitività), OCSE (1996), ‘Industrial Competitiveness’, Oxford Review of Economic Policy (1996), ‘InternationalCompetitiveness’, Vol. 12, n. 3.

2 La cifra si riferisce all’UE13, in attesa che Regno Unito e Irlanda presentino le loro statistiche. Quelle del Regno Unito sonoattese entro pochi mesi, mentre l’Irlanda potrebbe non sottoporle affatto (la presentazione di questi dati è facoltativa e nonimposta da alcun regolamento).

3 Nei servizi non destinabili alla vendita, il dato relativo alla produttività dovrebbe essere interpretato con cautela, dato che ilsettore pubblico non genera profitti e, quindi, il valore aggiunto è composto esclusivamente dalle retribuzioni.

4 Si veda, ad esempio, Midelfart-Knarvik, Overman, Redding e Venables (1999) ‘The Location of European Industry’.5 Queste proiezioni non considerano la futura adesione all’Unione, che potrebbe incidere sulle tendenze di fondo, in

particolare della migrazione (sebbene è probabile che la maggior parte dei flussi migratori riguarderà i paesi candidati e gliattuali Stati membri UE), ma anche, nel più lungo periodo, dei tassi di natalità e mortalità.

6 Occorre notare che questi rapporti sono soltanto indicatori demografici. Benché essi riflettano i problemi che si prospettanoper i sistemi previdenziali e fiscali, esistono altri fattori ugualmente importanti che devono essere considerati: in particolare, ilnumero di persone in età lavorativa effettivamente occupate, che pagano le tasse e versano i contributi sociali.

7 La cifra si basa sugli ultimi scenari elaborati nel 1998 dall’Eurostat sulle forze di lavoro regionali, abbinati alle proiezionidemografiche prodotte nel 1997. Gli scenari coprono 204 regioni dell’Unione di livello NUTS 2 nel periodo 1995-2025. Loscenario di base cui fa riferimento il testo ipotizza la prosecuzione della maggior parte delle tendenze attuali e una certariduzione degli squilibri regionali.

8 European Integration Consortium (DIW/CEPR/FIEF/IAS/IGIER) 2000, ‘The Impact of Eastern Enlargement of Employment andLabour Markets in the EU Member States’, studio per la DG Occupazione e affari sociali della Commissione europea;Berlino/Milano.

9 Bauer, T. e Zimmermann K. (1999), ‘Assessment of Possible Migration Pressure and its Labour Market Impact following EUEnlargement to Central and Eastern Europe’, studio per il Ministero dell’istruzione e dell’occupazione del Regno Unito, IZA eCEPR, Bonn/Londra, Germania/Regno Unito.

10 La formazione di capitale fisso lordo è data dagli investimenti al netto della variazione delle scorte. L’aggettivo lordo siriferisce al fatto che non si prendono in considerazione il deprezzamento o il consumo del capitale. Fisso indica che sonoconsiderati soltanto gli investimenti utilizzati per più di un anno.

11 Lo stock di capitale lordo è calcolato sommando gli investimenti passati e sottraendo il valore cumulato degli investimenti chesono stati ritirati. Lo stock di capitale netto include il deprezzamento ed è quindi, probabilmente, l’indicatore migliore.Pertanto, nella presente analisi, lo stock di investimenti è definito come stock di capitale netto, sebbene si ottengano risultatimolto simili utilizzando lo stock di capitale lordo.

12 Si veda, ad esempio, Abramovitz (1989), ‘Thinking about Growth’.13 La densità è misurata da un indice composito che segnala la dotazione di una regione in relazione alla media UE.

Specificamente, è una media aritmetica del numero di miglia di autostrada in rapporto alla superficie territoriale e allapopolazione.

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14 Misurata, come la densità stradale, da un indice composito della lunghezza delle linee di una regione in rapporto allasuperficie territoriale e alla popolazione in relazione alla media UE.

15 Si veda lo studio ‘The Impact of Eastern Enlargement on Employment and the Labour Market in the EU Member States’(Rapporto strategico, parte B, cap. 3.3).

16 Fonte: Eurostat, Indagine sul mercato del lavoro, 1998.17 Si veda OCSE, Education at a Glance, 2000, p. 195 ss.18 Si veda OCSE, Education Policy Analysis, 1999, p. 49 ss. Lo studio fornisce dati limitatamente al 1997-98 per dieci Stati

membri: Belgio (comunità fiamminga), Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito,Svezia.

19 PEC (1995), Libro verde sull’innovazione, Commissione europea, Lussemburgo.20 COM(2000)567 del 20 settembre 2000.21 Politica dell’innovazione in un’economia guidata dalla conoscenza, COM(2000)567 del 20 settembre 2000.22 ‘Impact of the Enlargement of the EU Towards the Associated Central and Eastern European Countries on RTD-Innovation

and Structural Policies’, Comunità europee, 1999.23 ‘Job Opportunities in the Information Society’, CEC 1998, p. 4.24 ‘Measuring the ITC Sector’, OCSE (2000). Il settore TIC è definito sulla base di 11 classi ISIC. Per il settore manifatturiero, i

prodotti di un’industria TIC devono ‘compiere la funzione di elaborazione e comunicazione delle informazioni, incluse latrasmissione e la visualizzazione, oppure devono utilizzare l’elaborazione elettronica per individuare, misurare e/o registrarefenomeni fisici o per controllare un processo fisico’. Per i servizi, l’industria ‘deve consentire la funzione di elaborazione ecomunicazione delle informazioni per via elettronica’.

25 Le industrie della società dell’informazione includono quelle che curano i contenuti (ad esempio, editoria, audiovisivi epubblicità) e quelle collegate alla TIC (ad esempio, elaboratori e programmi, servizi connessi all’elaborazione, dispositivi eservizi di telecomunicazione).

26 Si veda L’occupazione in Europa, 2000, cap. 3.27 Stime basate su dati di International Data Corporation (IDC), Internet Commerce Market Model, 1999.28 Goldman Sachs US (1999), ‘B2B: 2B or not 2B, e-commerce/internet’, Goldman Sachs Investment Research.29 La spesa per la TIC include gli elaboratori, i programmi e i servizi, i dispositivi e i servizi di telecomunicazione, al valore di

mercato.30 Gallup Residential Survey (2000).31 Indagine europea sulla società dell’informazione (ESIS) nei paesi dell’Europa centrale e orientale, CEC 1999.32 The Gallup Survey of Small- and Medium-sized Enterprises (SME) (2000).