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WITHOUT SOME SEPARATION, ONE CAN NO LONGER HAVE A SUBJECT OR AN OBJECT OF KNOWLEDGE; ONE NO LONGER HAS INTERNAL UTILITY TO KNOW

NOR EXTERNAL REALITY TO BE KNOWN.

SE NON SI HA QUALCHE SEPARAZIONE, NON SI HA NEPPURE PIÙ NÉ SOGGETTO NÉ OGGETTO DI CONOSCENZA; NON SI HA PIÙ NÉ UTILITÀ INTERNA DI CONOSCERE

NÉ REALTÀ ESTERNA DA CONOSCERE.

Edgar Morin

FrancescoDeLeo

Q

I Soldati del Re

uando il 3 settembre del 1939, Sua Maestà Giorgio VI, parlò dai microfoni della BBC alla vigilia del Secondo Confl itto Mondiale, per giustifi care il terribile sacrifi cio richiesto al suo popolo, disse: “Siamo stati costretti a un confl itto, perché ci viene richiesto di aff rontare la sfi da a un principio che, se dovesse prevalere, sarebbe fatale per ogni ordine civile del mondo. È il principio che permette a uno Stato, nel perseguimento egoistico del potere, di ignorare i trattati e gli impegni assunti solennemente; che sancisce l’uso della forza, o la minaccia della forza, contro la sovranità e l’indipendenza dei nostri Stati. Se tale principio, la mera primitiva dottrina che la ragione è del più forte, dovesse aff ermarsi nel mondo, la libertà del nostro Paese e di tutto il Commonwealth sarebbe in pericolo. Per amore di tutto quello che ci è caro, è impensabile che possiamo rifi utare tale sfi da”. È questo forse il passaggio del discorso – pubblicato a pagina 11 – che ci fa meglio comprendere il valore e la nobiltà di quanti decisero di arruolarsi e off rire la loro vita per la libertà e il diritto.

Il Club si occupa in questo numero delle vicende di quegli uomini – la maggior parte era giovanissima e alcuni di loro dichiararono una maggiore età per potersi arruolare – che prestarono servizio durante la Seconda Guerra Mondiale nella Campagna d’Italia, l’insieme delle operazioni militari condotte dagli Alleati per sconfi ggere l’Italia fascista. Il Regno Unito e le forze dell’Impero Britannico, dal luglio 1943 al maggio 1945, persero 45.469 militari. Leggerete le storie di due caduti – Ronald George Blackham e Friederick Rose – raccontate da loro familiari e da chi è riuscito a rinvenirne i corpi e una conversazione con Sir Timothy Laurence, membro della Famiglia Reale e vice Chairman della Commonwealth War Graves Commission, che ha provveduto negli anni alla raccolta e alla sistemazione dei Caduti in 41 cimiteri di guerra nel nostro Paese. Un giorno il Re Giorgio V, visitando un cimitero di guerra nelle Fiandre disse: “Mi sono chiesto tante volte se ci possano essere sulla terra più potenti sostenitori della pace negli anni futuri di questa moltitudine di testimoni silenziosi”.

“Quando percorri tranquille strade nel verde – ricordati di noi – e pensa a cosa avrebbe potuto essere”. Noi lo facciamo. È questo il motto della Italy Star Association, che prende il nome dalla medaglia istituita dal Commonwealth Britannico per commemorare il servizio prestato durante la Campagna d’Italia. Ai Soldati del Re, a quelle giovani vite immolatesi per la nostra libertà è dedicata questa rivista. Per non dimenticare.

editoriale

N.5 | Ottobre 2018

We thank you for your support

Direttore responsabile:Francesco De LeoCollaboratori: Giovanni Caccavello, Diletta Cherra, Davide De Leo, Paola Peduzzi, Alessandra Rizzo, Alberto Simoni.

Comunicazione, progetto gra� co e impaginazione: Ubaldo Cillo

Traduzioni: hobbesandsushi.com

Webmaster: Francesco D’Ambrosio COMITATO SCIENTIFICO Presidente: Jill Morris CMG (Ambasciatore del Regno Unito in Italia)Membri: Paolo Alli, Giuliano Amato, Gianluca Ansalone, Antonio Armellini, Gianfranco Baldini, Tim Bale, Annamaria Bernini, Philip Booth, Edoardo Bressanelli, Sabrina Corbo, Elena Di Giovanni, Filippo di Robilant, Alessandro Dragonetti, Ra� aele Fantetti, Francesco Giavazzi, Claudio Giua, Sandro Gozi, Giulia Guazzaloca, Nadey Hakim, Dominic Johnson, Tim Knox, Andrea Manciulli, Alessandro Minuto Rizzo, Domenico Meliti, Michela Montevecchi, Nello Pasquini, Andrea Peruzy, Marco Piantini, Stefano Polli, Gaetano Quagliariello, Lia Quartapelle, Fabrizio Ravoni, Andrea Romano, Vittorio Sabadin, Giulio Sapelli, Paul Sellers, Daniel Shillito, Stefania Signorelli, Leonardo Simonelli, Elisa Siragusa, Massimo Teodori, Giulio Tremonti, Ra� aele Trombetta, Massimo Ungaro, Ra� ele Volpi, Philip Willan.

Stampa:RUBBETTINO EDITORE S.r.l.Viale Rosario Rubbettino , 1088049 Soveria Mannelli (CZ)Tel. 0968.6664201 | Fax 0968.662055www.rubbettino.it | e-mail: [email protected]. - Cap. soc. Euro 10.400,00 i.v. -Reg. Impr. di CatanzaroCod. Fisc. e P.IVA 01933480798

Proprietà:IL CLUB LTDTop Floor, 58 High Street, Wimbledon Village, SW19 5EE, United KingdomRegistered in the United Kingdom, Number 10864461

Il Club è distribuito esclusivamente in abbonamento.Costo annuale (per 4 numeri): € 100,00

[email protected]

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8sommario

6 | L’evento. In ricordo di Stephen Hawking.

8 | DOSSIER. I soldati del Re.

10 | La Campagna d’Italia.

11 | Il discorso del Re.

12 | Conversazione con Sir Timothy Laurence. Di Francesco De Leo 16 | La memoria. Le storie di due caduti britannici in Italia. Di Davide De Leo

20 | XXVI edizione della Conferenza di Pontignano.

25 | Nasce l’Associazione parlamentare di amicizia Italia - Regno Unito.

26 | L’Inghilterra vittoriana e la sensibilità animalista. Di Giulia Guazzaloca

28 | The Gentlemen’s Clubs of London: Boodle’s.

30 | Nasce a Londra il St George’s Club.

33 | #MyGREATBritain. Di Pierluigi Puglia

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Giovedì 5 luglio 2018 presso la Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati, il Club ha orga-nizzato, in collaborazione con l’Istituto Luca Coscioni, la conferenza: “Il tempo, la conoscen-

za, il male. Ricordo di Stephen Hawking”. Nell’occasione sono intervenuti Jill Morris CMG (Ambasciatore del Regno Unito in Italia), Piero Angela (Scrittore e giornalista), Maria Antonietta Farina Coscioni (Presidente dell’Istituto Luca Coscioni), Remo Ruffi ni (Direttore dell’International Centre for Relativistic Astrophysics Network - ICRANet) - intervenuto con un video messaggio, Mario Sabatelli (Dirigente Medico Responsabile del Centro Clinico NeMO, Policlinico Agostino Gemelli), Piergiorgio Strata (Prof. Emerito di Neurofi siologia), Raff aele Volpi (Sottosegretario di Stato alla Difesa) e Francesco De Leo (Direttore de ‘Il Club’). L’occasione dell’e-vento è stata la presentazione del numero della rivista de-dicata a uno fra i più autorevoli e conosciuti fi sici teorici al mondo, il prof. Stephen William Hawking, scomparso a Cambridge il 14 marzo 2018. Il cosmologo, matematico e astrofi sico britannico, è noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri, sulla cosmologia quantistica e sull’origine dell’universo. Sul sito ilclubmagazine.com il video dell’in-contro.

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In ricordo diStephen Hawking

“Il tempo, la conoscenza, il male.”

Alla Camera dei Deputati ‘Il Club’ ricorda il grande

fi sico britannico.

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Roma. In ricordo di Stephen Hawking. A sinistra dall’alto: Piero Angela (foto 1) e l’Ambasciatore Jill Morris con Francesco De Leo (foto 2). In alto i relatori della conferenza organizzata da Il Club (foto 3). L’Ambasciatore Jill Morris visita Palazzo Montecitorio prima dell’evento (foto 4 e 5). I deputati Massimo Ungaro ed Elisa Siragusa con il senatore Raff aele Fantetti (foto 6). I relatori dell’evento con la Presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati Marta Grande (foto 7).

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La Campagna d’Italia fu l’insieme delle operazioni militari condotte dagli Alleati per sconfi ggere l’Italia fascista. Il Regno Unito e le forze dell’Impero Britannico persero 45.469 militari. A loro è dedicato questo dossier.

I sol

dati

Redel

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Nel gennaio del 1943 i comandi alleati decisero di sbar-care in Italia, con la speranza di sottrarre truppe tede-sche ad altri fronti, liberare il Mediterraneo e porre fi ne al sostegno italiano all’Asse. A un mese e mezzo

dagli sbarchi aerei e marittimi in Sicilia nel luglio del 1943 (che presero il nome in codice di Operazione “Husky”), gli Alleati avevano cacciato le truppe dell’Asse dall’isola.Le forze italiane fi rmarono l’armistizio con gli Alleati non molto tempo dopo i primi sbarchi sulla penisola nel settembre del 1943. Ma le unità tedesche continuavano a combattere ferocemente. Dalla fi ne di ottobre, gli alleati dovettero fronteggiare una mici-diale posizione difensiva conosciuta come linea Gustav, che si estendeva da una costa all’altra. Nel gennaio del 1944, un audace tentativo di atterrare dietro le linee tedesche ad Anzio fi nì con l’intrappolare le forze alleate in una piccola testa di ponte sotto un fuoco intenso, incapaci di sfondare per diversi mesi. Dopo quattro poderose off ensive tra il gennaio e il maggio del 1944, gli Alleati fi nalmente bucarono la Linea Gustav a Montecassino. Parteciparono truppe provenienti da tutto il Commonwealth - tra le quali unità britanniche, canadesi, indiane, neozelandesi e sudafricane, oltre a soldati polacchi - in quella che divenne la battaglia simbolo della Campagna. Le forze alleate entrarono a Roma all’inizio del giugno 1944, poco prima dell’invasione della Normandia: ciò valse ai soldati alleati in Italia il soprannome di “D-Day Dodgers”, coloro che se l’erano sfangata, non partecipan-do al D-Day. Le forze tedesche continuarono comunque a resi-stere ferocemente, pur ritirandosi verso nord, difendendo una serie di linee approntate sulle montagne all’insorgere dell’inver-no. Dopo una lunga pausa nelle operazioni, le truppe alleate eb-bero fi nalmente la meglio della resistenza tedesca nell’aprile del 1945 e rivolte popolari videro i partigiani prendere il controllo delle città settentrionali dalle guarnigioni tedesche. All’inizio di maggio, tutte le forze tedesche in Italia si arresero. La Campa-gna in Italia fu brutale e pesante in termini di costi, in gran parte combattuta in pericolosi terreni montagnosi. Entrambe le parti subirono pesanti perdite. Le forze del Commonwealth perse-ro quasi 50.000 uomini, molti dei quali giacciono sepolti in 37 cimiteri della Commonwealth War Graves Commission. Quasi 1.500 militari indiani, i cui resti furono cremati, sono ricordati su memoriali in tre cimiteri. Nel cimitero di guerra di Cassino c’è il memoriale di Cassino, che commemora oltre 4040 militari del Commonwealth morti in Italia e che non hanno una tomba conosciuta.

Quando percorri

tranquille strade nel verde

- ricordati di noi - e pensa a

cosa avrebbe potuto essere”.

Noi lo facciamo.

Italy Star Association

La Commonwealth War Graves Commission (CWGC) è un’organizza-zione intergovernativa di sei Stati membri la cui principale funzione è quella di identifi care, registrare e conservare le tombe, e i luoghi di commemorazione, del personale delle forze armate del Commonwealth che morirono durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. La CWGC è inoltre responsabile della commemorazione dei civili de-gli Stati del Commonwealth morti a seguito di un intervento nemico durante il Secondo Confl itto Mondiale. La Commissione fu fondata da Fabian Ware, costituita tramite un Royal Charter nel 1917. L’attuale Presidente della Commonwealth War Graves Commission è il principe Edward, duca di Kent. Il Club ringrazia la Commissione per aver col-laborato alla realizzazione di questo numero della rivista.

II Guerra Mondiale. Campagna d’Italia

(Luglio 1943 - Maggio 1945)

Italy Star AssociationItaly Star AssociationItaly Star AssociationItaly Star AssociationItaly Star AssociationItaly Star AssociationItaly Star AssociationItaly Star AssociationItaly Star AssociationItaly Star Association

Scrittore e giornalista

Alle 4.45 del 1 settembre del 1939 cinque armate della Wehrmacht tedesca, forti di 1.850.000 uomi-ni, 2.650 carri armati e 2.085 aerei della Luft waf-fe, invasero la Polonia. Fu un attacco a tenaglia, la

Germania impiegò l’innovativa tattica militare Blitzkrieg, la guerra lampo. La mattina del 3 settembre, Sir Neville Hen-derson, ambasciatore britannico a Berlino, consegnò una nota al governo tedesco in cui era scritto che se la Germania non avesse ritirato le truppe dalla Polonia, alle 11 dello stesso giorno la Gran Bretagna avrebbe dichiarato guerra. Non ci fu alcuna risposta. Alle 11.15 del 3 settembre, il primo ministro Neville Chamberlain, si recò negli studi della radio nazionale e annunciò che il Paese era in guerra con la Germania. Qual-che ora dopo anche la Francia fece altrettanto. Era comin-ciato il più grande confl itto armato della storia, la Seconda Guerra Mondiale. Sei anni di atroci soff erenze, distruzioni e massacri con circa 60 milioni di morti. Giorgio VI in quella stessa serata si rivolse tramite la BBC alla sua gente:

“In questa grave ora, forse la più fatidica della nostra storia, invio in ogni casa del mio popolo — in patria e oltremare — questo messaggio, rivolto con la stessa profondità di sen-timenti a ognuno di voi, come se potessi varcare la vostra so-glia e parlarvi personalmente.Per la seconda volta nella vita di molti di noi, siamo in guerra. Più e più volte abbiamo tentato di trovare una via di uscita pacifi ca dalle divergenze fra noi e coloro che ora sono i nostri nemici. Ma invano. Siamo stati costretti a un confl itto, per-

ché ci viene richiesto di aff rontare la sfi da a un principio che, se dovesse prevalere, sarebbe fatale per ogni ordine civile del mondo.È il principio che permette a uno Stato, nel perseguimento egoistico del potere, di ignorare i trattati e gli impegni assunti solennemente; che sancisce l’uso della forza, o la minaccia della forza, contro la sovranità e l’indipendenza dei nostri Stati. Se tale principio, la mera primitiva dottrina che la ra-gione è del più forte, dovesse aff ermarsi nel mondo, la libertà del nostro Paese e di tutto il Commonwealth sarebbe in peri-colo. Ma assai più che questo, i popoli del mondo sarebbero tenuti schiavi della paura, e ogni speranza di pace stabile e di certezza della giustizia e della libertà fra le nazioni verrebbe meno. Questa è la posta in gioco. Per amore di tutto quello che ci è caro, è impensabile che possiamo rifi utare tale sfi da.È con questo nobile scopo che ora faccio appello al mio po-polo in patria e al mio popolo oltremare affi nché abbraccino questa nostra causa. Chiedo loro di stare calmi e saldi e uniti in questo momento di dura prova. Il compito sarà diffi cile. Potremmo avere giorni bui innanzi a noi e la guerra potreb-be non essere più confi nata al campo di battaglia. Ma noi possiamo solo agire per il giusto, ciò che noi riteniamo il giu-sto, e con rispetto rimettere la nostra causa a Dio. Se tutti noi rimarremo risolutamente fedeli a questo, pronti a qualsiasi sacrifi cio possa richiedere, allora, con l’aiuto del Signore, riu-sciremo a prevalere. Dio ci benedica e ci protegga tutti”.

Re Giorgio VI, 3 settembre 1939

Il Discorso del Re

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Conversazione con Sir Timothy James Hamilton

Laurence

Sir Timothy James Hamilton Laurence è un ammi-raglio britannico. Marito della principessa Anna, fi glia della regina Elisabetta II, è un membro della Famiglia Reale. Cavaliere Commendatore dell’Or-dine Reale Vittoriano e Compagno dell’Ordine

del Bagno, attualmente Sir Timothy Laurence ricopre la ca-rica di Vice Chairman della Commonwealth War Graves Commission. Il Club lo ha incontrato nella sede della CWGC a Maidenhead, nella contea del Berkshire in Inghilterra.

Sir Timothy Laurence grazie per averci accolto. Qual è il si-gnifi cato, la mission di questa commissione e il suo ruolo in questa organizzazione?“Iniziamo parlando della mission. La Commissione ha inizia-to la sua attività durante la Prima Guerra Mondiale e ritengo in qualche modo interessante il fatto che non fosse mai stato fatto nulla di simile prima di allora. Era qualcosa di comple-tamente nuovo e unico. Quando l’ideatore di questo progetto, Fabian Ware, propose che tombe e luoghi di sepoltura venis-sero registrati, o almeno conservati, le prime reazioni furono di stupore; in alcuni casi venne addirittura deriso. Nessuno credeva che un progetto del genere potesse essere realizzato; non era mai stato fatto nulla di simile fi no a quel momento e nessuno ne riusciva a comprendere lo scopo. Passarono due anni prima che Fabian Ware riuscisse a convincere le autori-tà della validità della sua idea. L’idea che sta alla base è mol-to semplice. È quella di registrare e preservare i luoghi dove hanno perso la vita i caduti in guerra, non necessariamente solo coloro che sono deceduti per aver preso parte ai com-battimenti. Se non conosciamo il luogo dove sono deceduti o dove si trovano i loro corpi, i loro nomi sono iscritti su un monumento commemorativo, in modo che rimangano nel corso degli anni a testimoniare quell’evento. Ecco, questa è semplicemente la nostra mission, l’elemento principale del nostro operato. Mi ha chiesto del mio ruolo. Il mio titolo è quello di Vice Chairman della Commonwealth War Graves Commission (CWGC, Commissione per i Cimiteri di Guerra del Commonwealth). Il nostro Chairman è il Segretario di Stato per la Difesa, una persona che ci dà grande supporto, ma che è altrettanto impegnata su molti altri fronti. Per que-sto motivo, presiedo la Commissione a suo nome quotidiana-mente e ogni settimana”.

Qual è l’importanza della memoria? Perché questa grande ricerca dei caduti, perché è così importante?“Penso che l’importanza della memoria si ricolleghi alla gran-de motivazione che Fabian Ware aveva quando ha dato ini-zio a tutto questo: si rese conto che i soldati riconoscevano che ci fosse il rischio che potessero essere uccisi, ma ciò che li preoccupava maggiormente era che nessuno sapesse dove si trovassero, che nessuno sapesse cosa fosse successo loro. Quindi, il primo passo fu quello di rendere disponibile un ar-chivio per le famiglie e le generazioni successive, che ripor-tasse gli eventi accaduti e i luoghi in cui i caduti si trovavano. Successivamente, off rire alle famiglie un luogo dove potessero recarsi per rendere omaggio ai propri familiari caduti in guer-ra. Ovviamente, durante la Prima Guerra Mondiale era stato materialmente impossibile riportare a casa i corpi, la portata di questo lavoro sarebbe stata troppo grande, non avevamo i mezzi necessari per farlo. Ma almeno, se ci fosse stata una tomba o un nome inciso su un monumento commemorativo, le famiglie avrebbero potuto farvi visita e rendere omaggio ai caduti. Credo che questa sia stata la motivazione principale. Col passare del tempo, abbiamo iniziato a pensare anche ai benefi ci in senso più ampio. E ne vorrei citare due. Uno ri-guarda il fatto di onorare coloro che sono deceduti, coloro che hanno dato la loro vita per una causa di pace, per la stabilità in Europa e in tutto il mondo. Il nostro operato riconosce il loro sacrifi cio ed è un modo per dire costantemente “grazie” per ciò che hanno fatto. Il secondo motivo è che ci occupiamo di 1,7 milioni di persone, un numero enorme; la maggior parte

Francesco De Leodi Direttore de ‘Il Club’

di essi si trova nei cimiteri, altri sono spesso commemorati at-traverso i memoriali, altri ancora sono sparsi nel mondo, in 150 Paesi. Credo che tutto questo mandi un messaggio impor-tante ai leader politici di oggi riguardo al costo della guerra in termini di vite umane: quando decidono di entrare in guerra, ecco quale può essere il risultato. Credo che questo sia un im-portante messaggio”.

Che succede quando viene ritrovato un caduto?“Abbiamo un sistema di recupero dei corpi. Ad esempio, pen-siamo a un cantiere: durante la costruzione di un edifi cio si potrebbero trovare dei resti. Ciò che facciamo in questo caso è quello di raccogliere immediatamente i resti e qualsiasi altro elemento nelle vicinanze che possa essere utile per risalire al proprietario, alla persona coinvolta. Ad esempio, il distintivo del reggimento, un blocchetto per appunti che riporti il nome, anche un portasigarette con le iniziali. Insomma, qualcosa che possa aiutarci a scoprire l’identità di quella persona. Dopo di questo, facciamo ricerche e cerchiamo di risalire alla persona, e in circa il 70% dei casi riusciamo a scoprire chi è, anche oggi”.

Come proseguono le ricerche sui caduti ancora non rinve-nuti che hanno preso parte alla Campagna d’Italia?“Abbiamo avuto dei casi di ritrovamento di resti in Italia e ne abbiamo diversi al momento. Il nostro team ci ha informa-to che stanno facendo ricerche; si spera di riuscire a risalire ai nomi di queste persone, che vengono sempre sepolte nel cimitero della nostra Commissione più vicino. Cerchiamo di seppellirli con i propri commilitoni, come se fossero stati ritrovati a quel tempo nel 1945…Ma lasci che le racconti una storia per spiegarle meglio. Tre anni fa, in Francia, un con-tadino ritrovò un corpo e noi ci occupammo del recupero.

Trovammo anche un distintivo del reggimento, e questo ci permise di risalire al reggimento stesso; ma non avevamo nient’altro. Pensavamo che non saremmo mai riusciti a sape-re a chi appartenesse quel corpo. Ma un membro dello staff ritornò da quel contadino per ringraziarlo e il contadino gli disse: “A proposito, ho trovato qualcosa vicino al corpo, non so se è importante… Lo vuole?”. E gli diede un cucchiaino. Portammo con noi il cucchiaino, lo ripulimmo dalla ruggine e dal fango e sulla punta del manico scoprimmo un numero. Quindi, conoscevamo il reggimento e avevamo un numero. Andammo così dal reggimento e chiedemmo: “Cosa signifi ca questo numero?”. Ci risposero che si riferiva a un certo corpo

Sua Altezza Reale Principessa Anna con Sir Timothy Laurence

1716

militare, se non ricordo male. Avevamo un possibile nome, ma non sapevamo se il cucchiaino appartenesse al corpo di cui avevamo ritrovato i resti. Poteva essere stato preso in pre-stito, poteva essere lì per caso. Ma il reggimento riuscì a risalire al nipote di questo caduto, un uomo di 90 anni che viveva in Scozia. Fecero il test del DNA e al 99.9% si trattava della per-sona giusta. Quindi 99 anni dopo la morte di questo uomo, siamo riusciti a identificarlo”.

Esiste un ricordo particolare che lei ha della Campagna d’I-talia?“Sfortunatamente non ne ho, personalmente. Da quando ri-copro questo ruolo non ho ancora avuto modo di andare in Italia, ma faremo una breve visita in Italia a settembre e sono sicuro che emergeranno vari racconti. Qui vicino a me è se-duto Peter… magari lui può dirci qualcosa in risposta alla sua domanda”.Peter Francis: “Oggi è l’anniversario della morte di un signo-re chiamato Hedley Verity. Sono un grande appassionato di cricket, quello sport un po’ strano che pratichiamo qui in Inghilterra. Hedley Verity è stato uno dei migliori lanciato-ri della sua generazione, sono passati 60 anni e i suoi record sono ancora imbattuti. Sebbene fosse già piuttosto vecchio, si arruolò, prestò servizio come ufficiale e venne ucciso durante l’invasione in Sicilia, 75 anni fa. Venne ferito mortalmente, ma nonostante ciò non smise di incitare i propri uomini, “conti-nuate, continuate, non preoccupatevi per me”. E questo era un comportamento tipico. Ho avuto la fortuna di incontrare la sua famiglia alcuni anni fa, perché una delle cose che cerchia-mo di fare è quella di guardare alle storie che stanno dietro alle lapidi. Inoltre, se possiamo mostrare che dietro a ciò c’è un calciatore, un giocatore di cricket o una star sportiva, questo aiuta a far capire un po’ di più, ai giovani in particolare, che si tratta di persone reali, che hanno fatto dei sacrifici per noi. Hedley Verity è una persona a cui sono molto legato”.

Le faccio due domande un po’ più personali. Cominciamo dalla sua carriera nella Royal Navy. Che significato ha per lei aver servito la Marina britannica? “Sono molto orgoglioso di aver prestato servizio nella

Royal Navy per 37 anni, prima di ritirarmi qualche anno fa. Principalmente sono stato un ufficiale marinaio, ho trascorso molto tempo in mare; ho prestato servizio su numerose navi in tutto il mondo, abbastanza spesso nel Mediterraneo. Sono stato in Italia in diverse occasioni ed è stato sempre piacevo-le. In realtà, la mia seconda esperienza su una nave militare è stata a Napoli, ho ottimi ricordi di questa città. Ho davvero ap-prezzato ogni momento della mia carriera. Tornando indietro nel tempo, mentre ero al comando di una nave militare – e ho avuto la fortuna di essere al comando di quattro di queste navi – mi è stato a volte chiesto di depositare una corona di fiori in un cimitero di guerra del Commonwealth. L’ho fat-to, senza sapere molto della Commissione. Rimanevo sempre meravigliato dalla bellezza di questi cimiteri, dalla loro pace e serenità, sono stato molto onorato di aver fatto ciò. Questa è stata una delle ragioni per cui, quando mi venne chiesto di entrare a far parte della Commissione 8 anni fa, accettai con entusiasmo”.

Che significato ha avuto essere stato Scudiero della Regina del Regno Unito ed essere Compagno del Molto Onorevole Ordine del Bagno?“Essere Scudiero della Regina è stato un ruolo molto perso-nale, durante il quale ho supportato Sua Maestà in varie occa-sioni, dagli impegni ufficiali più formali all’intrattenimento di visitatori presso le residenze private. Ciò ha fatto crescere in me un grande senso di rispetto e ammirazione per la Regina, è una persona meravigliosa. Diversi anni dopo ho sposato la Principessa Reale e sono stato estremamente lieto di essere rimasto in qualche modo in contatto con la Regina e di po-terLa incontrare piuttosto regolarmente. Il Molto Onorevole Ordine del Bagno è un ordine cavalleresco spesso associato a servizi pubblici. Le decorazioni che ho ricevuto riconoscono il mio operato, specialmente presso il Ministero della Difesa; un lavoro molto più noioso rispetto a quello di essere al comando di navi militari, ma comunque un lavoro importante all’inter-no di questo Ministero. Ecco da cosa è derivato”“Potrei dire ancora un paio di cose sulla Commissione prima di concludere? Certamente… Sir Timothy“L’anno scorso abbiamo commemorato, o celebrato, il cen-tenario della Commissione. Essendo stata fondata nel 1917, abbiamo raggiunto i cento anni. Alla vigilia di questa ricorren-za, ci siamo chiesti: “Cosa potremmo fare in modo diverso? Siamo qui da un centinaio di anni, cosa facciamo nei prossimi cento anni?”. Abbiamo guardato tutto ciò che era stato fatto per noi agli inizi, c’erano alcuni principi molto chiari su cosa si sarebbe dovuto fare e abbiamo seguito attentamente questi principi. Ma c’era una cosa che non era chiara a quel tempo,

L’operato della CWGC riconosce il sacrificio dei caduti ed è un modo per dire costantemente “grazie” per ciò che hanno fatto.

dell’organizzazione. Abbiamo completato i primi cento anni e ne abbiamo solamente altri 250 davanti a noi. Ancora grazie mille… ho apprezzato molto questa intervista!”.

Anche io Sir Timothy... sono orgoglioso di averla conosciuta e di aver conversato con Lei. La ringrazio per avermi per-messo di incontrarla.“Lei però… non mi ha chiesto una cosa. Pensavo che avrebbe potuto chiedermi se la Brexit potrebbe avere ripercussioni su di noi. La risposta è no! Il nostro lavoro continuerà indipen-dentemente da quello che accadrà in futuro.Considerando la motivazione che sta alla base del suo gior-nale, ho pensato che fosse uno spunto interessante. Non ve-diamo nessun problema significativo che possa derivare dalla Brexit, noi continueremo a fare il nostro lavoro come abbia-mo fatto finora”.

Il Club, la nostra rivista, è nata proprio per questo…la Brexit ci preoccupava in quanto motivo scatenante di un senti-mento anti-britannico sempre più forte. Il nostro motto è “Affinché Brexit non ci separi!” e lo abbiamo voluto scrivere sotto la testata.“Credo che il rapporto tra i nostri due Paesi sia molto forte, una lunga storia di cooperazione e attività. Sono sicuro che sopravvivrà qualunque siano le conseguenze della Brexit”.

ma che è invece importante ora: dobbiamo riuscire a spiegare perché stiamo facendo tutto questo. Ad esempio, negli anni 50 e 60, non c’era bisogno di spiegarlo, perché tutti in qualche modo erano stati toccati dalla guerra; in tutto il mondo, tutti potevano comprenderlo. Ma ora, 70-75 anni dopo, non è così scontato. Ci siamo quindi resi conto che dovevamo spiegare meglio il perché della nostra attività, chi siamo e cosa faccia-mo. Così, abbiamo cercato di farlo in modo più aperto. Penso che ci sia stato un momento in cui la Commissione veniva vista come un’organizzazione chiusa, dalla mentalità ristret-ta; ma noi abbiamo continuato ad andare avanti con le nostre ricerche, abbiamo continuato a fare il nostro lavoro senza dire nulla a nessuno. Ma oggi vogliamo presentare la nostra attività ed è per questo che sono molto felice di partecipare a questa intervista. Crediamo che il nostro lavoro sia importante oggi tanto quanto lo era un secolo fa. Winston Churchill è stato uno dei primi membri della Commissione. Negli anni im-mediatamente successivi alla Prima guerra mondiale ci fu un dibattito sul perché il lavoro della Commissione fosse neces-sario e se dovesse continuare. Churchill disse alle Camere del Parlamento britannico che le persone avrebbero continuato ad ammirare le nostre pietre tombali e memoriali per tanto tempo quanto il periodo dei Tudor era dietro di noi. Dicendo questo, egli intendeva un periodo nel futuro lungo 350 anni. Questa è la meravigliosa visione churchilliana dell’importanza

Prince Harry, Duca del Sussex. Cimitero di Guerra di Cassino

1918

Lo sbarco a Salerno (nome in codice, Operazione Avalanche) ebbe inizio alle ore 3.50 del 9 settembre 1943, poche ore dopo che Badoglio aveva informa-to il popolo italiano, via radio, dell’armistizio con

gli Alleati. Il corpo di sbarco, guidato dal generale statuniten-se Mark Waye Clark, era composto da 450 unità, con a bordo 100.000 soldati britannici e 70.000 americani, provenienti dal Nord Africa e dalla Sicilia. L’Italia era occupata dai tedeschi, gli italiani erano loro alleati fi no al giorno prima, quando fu dato ordine all’esercito italiano di cessare ogni atto di ostili-tà nei confronti delle forze anglo–americane. Gli alleati ne vennero a conoscenza nelle ore antecedenti allo sbarco, ancor prima del popolo italiano. Si diff use euforia a bordo, si pensò ad un’operazione già vinta, scontata. Non fu così. I tedeschi si erano assiepati sopra le colline salernitane, a presidio dei punti strategici. Fu una carnefi cina. L’operazione costò centinaia di morti e si concluse solo il 1° ottobre, con l’ingresso delle truppe alleate a Napoli. Ron Blackham e Raymond Rose erano due soldati inglesi, entrambi morti il 25 settembre. Sepolti in tutta fretta sotto il fuoco del nemico, sono stati entrambi ritrovati nel febbraio del 2014 e successivamente identifi cati. Si ringraziano vivamente Vincenzo Pellegrino e l’Associazione Salerno 1943 per la collaborazione.

RON E RAYMOND

Le storie di due caduti britannici

in Italia.

Davide De LeodiTraduttore

Ronald George BlackhamConversazione con Vincenzo Pellegrino, dell’Associazione Salerno 1943

Cosa sappiamo del soldato Blackham?“Ronald George Blackham nacque il 6 ottobre 1920 a Weaverham, un piccolo villaggio nel Cheshire, in Inghilterra. Era il primo fi glio di George e Florence Blackham, che in se-guito ebbero altri cinque fi gli. A otto anni Ronald entrò nei Boy-scout. Dopo gli studi, lavorò per l’Imperial Chemical Industry fi no a quando non decise di entrare nell’esercito. A 19 anni si arruolò volontario nelle Coldstream Guards. Perse la vita dopo tre anni e 100 giorni di servizio, il 25 settembre del 1943, durante la seconda battaglia per la conquista della collina che gli inglesi avevano denominato Hill 270.”

Quali sono le circostanze in cui perse la vita?“Hill 270, una collina nei pressi di Pellezzano (Salerno) pre-sidiata dai tedeschi con ben due compagnie. Una postazione strategica che domina la vallata sottostante e - obiettivo prin-cipale da ambo gli schieramenti - la Statale 88 che conduce ad Avellino. Era il 1943, precisamente il 23 settembre. Le Granadiers Guards attaccarono la collina conquistandola con facilità. A causa di un contrattacco tedesco, però, l’obiettivo fu perso e i britannici dovettero ritirarsi sulla collina prospicente deno-minata Capella Ridge. La sera del 24 un nuovo attacco britan-nico fallì. L’arrivo delle Coldstream Guards fu risolutivo. Il 25 settembre Ron e i suoi commilitoni lasciarono i loro ripari per fi ancheggiare la frazione di Capezzano, trovando coper-tura nel bosco che sovrasta il paese. Si pensava che la con-quista sarebbe stata facile vista la scarsa resistenza incontrata durante il primo assalto. Invece i tedeschi avevano rinforzato le postazioni scavando ulteriori trincee e allestendo numerosi nidi di mitragliatrici. Quando le truppe britanniche uscirono dalla vegetazione fu-rono accolte da uno spaventoso fuoco incrociato. Gli inglesi si lanciarono all’attacco del rilievo perdendo numerosi uomini sulle terrazze che conducono alla cima. Durante questo as-salto, a pochi metri della vetta, Ron fu colpito. I pochi super-stiti che riuscirono ad occupare la posizione poterono fare

L’Associazione SALERNO 1943, nota anche con il soprannome di ‘Salerno Air Finders’, è nata nel 2007 da un gruppo di amici appassio-nati di storia. Gli scopi statutari sono la raccolta, la catalogazione, la conservazione, il restauro e la condivisione di tutto il materiale bellico e non, inerente al Secondo Confl itto Mondiale, che ebbe come scenario non solo Salerno e la sua provincia ma anche la Campania e le regioni limitrofe. Lungi dal desidero di esaltare la guerra, SALERNO 1943 intende far conoscere alle nuove generazioni che la guerra signifi ca do-lore e morte. Basti pensare alle famiglie di coloro che vi persero la vita, all’ansia che madri, mogli, fi gli, genitori, fratelli e sorelle provarono vedendo partire i loro cari e allo strazio che dovettero subire quando appresero che molti di loro non sarebbero più tornati. I volontari spe-rano, ricostruendo le storie di tante giovani vite spezzate dalla guerra, di perpetuare la memoria delle vittime e ricordare alle nuove genera-zioni quegli infausti anni affi nché simili eventi non abbiano a ripetersi. L’Associazione si occupa anche di preservare la memoria degli aviatori che durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale precipitarono nel sud Italia rintracciando, identifi cando e ricostruendo la storia dei loro abbattimenti. Per ogni richiesta di collaborazione si può scrivere a [email protected] Il sito di riferimento dell’Associazione è www.1943salerno.it

Ronald George Blackham (1920-1943)

ben poco per i caduti: la principale preoccupazione fu infatti quella di trincerarsi per respingere il previsto contrattacco tedesco, tenersi al riparo dai tiri di un cecchino situato sulla collina di fi anco, dal fuoco dei Nebelwefer, una tipologia di mortaio a canna multipla e quella di evitare le fi amme dell’in-cendio che avvolse la collina a seguito del bombardamento.

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Probabilmente, in queste fasi concitate, si perse l’indicazione della sepoltura di Ron e del suo commilitone, che non venne-ro più ritrovati. La sua famiglia ricevette comunicazione della scomparsa. L’esercito concesse ai genitori la medaglia per la Campagna d’Africa e per la Campagna d’Italia.”

Quali invece le circostanze del ritrovamento del suo corpo?“Prima di entrare nel vivo della risposta, vorrei fare una pre-messa: l’Associazione Salerno 1943 si occupa di preservare la memoria storica di quei giorni così cruenti affi nché le nuove generazioni possano conoscere il reale signifi cato della parola guerra. Nei dieci anni di attività, i membri dell’Associazio-ne hanno rinvenuto i resti di otto soldati (quattro inglesi, tre tedeschi, un americano), due dei quali sono – momentane-amente – in attesa di identifi cazione, ricostruito le storie di centinaia di soldati ed esposto tutto il materiale ritrovato in mostre sempre gratuite.I volontari dell’associazione ritrovarono i corpi a poca distan-za l’uno dall’altro. Era il 20 febbraio 2014. Fin da subito fu chiaro ai ricercatori di essersi imbattuti nelle spoglie di due soldati inglesi. Benché i piastrini in dotazione ai militari bri-tannici, in cuoio pressato, si fossero decomposti dopo 70 anni di permanenza nel terreno, il munizionamento del fucile Enfi eld, come pure alcuni elementi metallici della buff ette-ria, erano una muta testimonianza che si trattasse di soldati del British Army. Furono prontamente avvertite le autorità italiane nonché quelle britanniche che, dopo aver compara-to il dna dei corpi con quello dei parenti dei soldati dispersi, sciolsero le riserve in merito alla loro identità.”

Quali contatti avete avuto con la sua famiglia dopo il ritro-vamento?“Abbiamo incontrato la famiglia di Ron per la prima volta a Napoli, il 15 marzo 2017, in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’evento. Insieme alla sorella Alma, una folta delegazione di parenti più o meno ristretti. È stato emo-zionante. Il senso della nostra attività è proprio questo: dare dignità a tanti giovani soldati caduti in battaglia, dare loro una degna sepoltura, far sì che il loro sacrifi cio non risulti vano.Il fatto che la sorella poi, oltre ad essere ancora in vita, sia ve-nuta a Salerno per il funerale è qualcosa di unico. Ricordiamo con grande emozione il suo “thanks” ripetuto incessante-mente, guardandoci dritti negli occhi. E pensare che, senza il nostro intervento, oggi Alma e la sua famiglia non avrebbero una lapide su cui pregare.Come di nostra consuetudine, abbiamo donato alla famiglia Blackham quanto ritrovato nei pressi di Ron. Una teca conte-nente il distintivo, quanto della buff etteria era nei pressi del giovane soldato ed un piccolo vasetto contenente la terra del-la collina, quella terra che per anni ha separato Ron dalla sua famiglia.Dal canto suo, la famiglia ci ha omaggiati di un album conte-nente le sue foto. Alma era piccola quando vide suo fratello per l’ultima volta, aveva soli 8 anni. Ci ha raccontato che, il giorno prima che ripartisse, erano tutti insieme, nel giardi-no, a festeggiare il suo 21° compleanno. Un suo amico portò un piccolo proiettore, la madre stese un lenzuolo in giardino e tutti insieme guardarono un fi lm sui cowboy. Ci ha detto anche che non ha mai dimenticato quel giorno, quei sorrisi, l’allegria. E che, poter riabbracciare Ron, è stata un’emozione indescrivibile.Nel mese di settembre dello scorso anno, Michael Blackham, nipote di Ron, è ritornato a Salerno con la moglie. Lo abbia-mo accompagnato sul luogo in cui il giovane soldato fu sep-pellito. È stata, anche in questo caso, una forte emozione. Emozioni a parte, non ci fermiamo qui. Ci sono ancora sol-dati dispersi che aspettano di essere ritrovati. Lo scorso anno, ad esempio, abbiamo rinvenuto le ossa di altri due soldati

Per nondimenticare

britannici: l’identifi cazione richiede tempo, ma siamo sicuri che – così come avvenuto per Blackham e Rose – ben presto ci sarà, anche per loro, una lapide su cui poterli ricordare.”

Raymond Frederick RoseConversazione con Chris Rose

Vuole parlarci di come avete saputo del ritrovamento del corpo del vostro parente Raymond?“Un giorno è arrivata una lettera del Ministero della Difesa britannico, nella quale si diceva che i resti di quel che pensavano essere un nostro parente erano stati ritrovati vicino Salerno. Per stabilirlo con certezza ci chiedevano l’autorizzazione per eff ettuare un test del DNA. Per esse-re onesto, devo dire che all’inizio abbiamo pensato a una truff a, sicuri che prima o poi qualcuno ci avrebbe chiesto del denaro. Abbiamo però avuto una conferma che la let-tera era autentica e il test del DNA ha confermato che si trattava di un nostro parente, per l’esattezza un cugino di mio padre. È iniziato tutto da qui. Successivamente, parlandone con mio fratello, ci siamo ricordati che quando eravamo bambini qualcuno parlò eff ettivamente di un parente ucciso a Salerno, ma essen-do bambini non vi demmo troppa importanza. Peraltro, tutta quella generazione nella nostra famiglia è morta, e non abbiamo potuto chiedere informazioni a nessuno su Raymond. Facendo però un’indagine sulla base di un albe-ro di famiglia preparato dal Ministero della Difesa, abbia-mo scoperto che quel giovane abitava nel Gloucestershire, a circa otto miglia da noi.”

Si sa qualcosa di più su di lui?“Sappiamo che nacque il 1° di aprile 1924, che vive-va con i genitori e che all’età di 18 anni si arruolò nelle Coldstream Guards. Chi si arruolava solitamente entrava nei Gloucesters, il reggimento locale. Ma Raymond aveva voluto unirsi al Coldstream, che era un reggimento di élite all’epoca. Quindi si arruolò, parti al fronte e morì quasi esattamente undici mesi dopo. La guerra per lui comin-ciò in Nord Africa, poi sbarcò a Salerno, ma morì il 25 settembre 1943. Abbiamo ricevuto diversi documenti dal Ministero della Difesa relativi al breve periodo in cui Ray era sotto le armi (scheda di arruolamento, corsi che aveva seguito, un riconoscimento di buon nuotatore, ecc.), ma probabilmente il più toccante che abbiamo ricevuto è il documento che viene consegnato ai genitori se un sol-dato cade in guerra e il corpo è sepolto nel corso della battaglia. Ovviamente si tratta di un documento terribile da ricevere per qualsiasi genitore. Nel documento veni-va chiesto anche quali parole i genitori avrebbero voluto scrivere sulla lapide del fi glio. Frederick e Florence Rose scrissero a mano: “In aff ettuosa memoria del nostro caro Ray. Che Dio lo tenga al sicuro, ci incontreremo ancora. Mamma e Papà” [“Loving memories of our darling Ray. God keep him safe, we’ll meet again. Mam [spelling used in Gloucestershire] and Dad”. Il Ministero della Difesa ci ha chiesto se volessimo cambiare il messaggio, visto che è molto semplice. Abbiamo risposto che non avremmo voluto cambiarlo in alcuna circostanza, visto che era il messaggio di sua mamma e di suo papà. Quindi questo messaggio è ora scritto sulla nuova lapide. I genitori sono morti da parecchio tempo e non sapevano che sareb-be arrivato questo giorno. Si tratta di qualcosa di molto commovente per noi. Le autorità italiane, la War Graves Commission e le Coldstream Guards hanno fatto un lavo-ro eccezionale, abbiamo celebrato una messa in una calda giornata nel settembre del 2017.”

Presumibilmente si tratta della prima volta che Ray ve-niva in Italia o all’estero…“Sì, certo. Anzi, è probabile che non fosse mai uscito dal Gloucestershire. Era un apprendista idraulico, aveva fre-quentato tutte le scuole nella contea e poi uno spirito pa-triottico lo portò nell’esercito. Probabilmente non sarebbe mai stato In Africa o in Italia. Erano Paesi sconosciuti per lui, probabilmente fu tutto abbastanza terrifi cante. Volevo però aggiungere qualcosa: quando siamo stati a Salerno, l’associazione Salerno 1943 ci ha dato diversi og-getti personali di Ray, una scatola con una fotografi a, dei bottoni, un anello e altro ancora, oltre ad aver ritrovato un articolo di giornale del ‘43 in cui veniva data la notizia della sua scomparsa. La squadra di recupero ha fatto un la-voro incredibile, hanno espresso la loro riconoscenza per quel che quei ragazzi fecero all’epoca e hanno fatto tutto il possibile per dare loro una degna sepoltura. Abbiamo of-ferto loro del denaro, visto tutto quel che hanno fatto, ma hanno rifi utato. “Non lo facciamo per soldi”, hanno detto.”

E pensare che oggi un po’ dappertutto in Europa sorgo-no gruppuscoli neo-fascisti e neo-nazisti … “Sì, in tutta Europa. È una cosa ridicola! Se solo sapessero… Più passa il tempo dalla Seconda Guerra Mondiale e più questa gente si mette in luce, perché non sa nulla di quel che è successo. È pura ignoranza.”

Raymond Frederick Rose (1924-1943)

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Bridging the Gaps XXVI Conferenza di Pontignano

“In tempo di Brexit”, dice Jill Morris, Ambasciatore del Re-gno Unito in Italia, “la Conferenza di Pontignano assume un valore ancora più forte che in passato. Rappresenta la volontà di non voltare le spalle all’Europa e all’Italia, anche se si è deci-so di voltare pagina nei rapporti tra il Regno Unito e l’Unione Europea. Pontignano sarà l’occasione per rassicurare i nostri amici italiani. Nonostante la Brexit infatti”, ribadisce l’Am-basciatore,“noi rimarremo lo stesso Paese, con gli stessi valori e gli stessi obiettivi. Con quasi 700.000 italiani nel Regno Unito, è per noi fondamentale rendere omaggio all’enorme e prezioso contributo dato alla nostra economia, cultura e società”.Nato nel 1993 da un’idea di Ralf Dahrendorf e Giuliano Amato e istituito dal British Council e dall’Università di Siena, la Conferenza di Pontignano, ricorda Paul Sellers, direttore per l’Italia del British Council, “è l’incontro bilate-rale più importante d’Europa. Per noi l’evento dell’anno. Un grande sforzo organizzativo che anno dopo anno riesce a raggiungere obiettivi sempre più importanti. Il tema di quest’anno – Bridging the Gaps – ci porterà a discu-tere il ruolo chiave di istruzione, innovazione, tecnologia, cultu-ra, aff ari e difesa nel colmare le divisioni, forgiare partnership e costruire un mondo migliore per le generazioni future.  Siamo in un mondo”, dice Sellers,“di rapidi e spesso travolgenti cambia-menti tecnologici e sociali e le divisioni reali e immaginarie sono al centro del nostro discorso quotidiano”. “Bridging the Gaps è un tema”, per l’Ambasciatore Morris, “che unisce Regno Unito e Italia nell’obiettivo di costruire so-cietà coese, in cui tutti i cittadini possano godere prosperità e sicurezza. Come detto due anni fa dal nostro Primo Ministro, Theresa May, la sfi da attuale è «come costruire un’economia che condivida i benefi ci della globalizzazione in maniera equa»”.

Jill Morris

La Conferenza di Pontignano, evento più importante

nel rapporto bilaterale tra Regno Unito e Italia,

è organizzato dall’Ambasciata UKin Italia e dal British Council.

‘Il Club’ ha intervistato gli ambasciatori del Regno Unito e d’Italia e i due Co-Chairs sulle

tematiche della 26° edizione.

David Linsay Willetts, Baron Willetts è Co-Chair della Conferenza di Pontignano, che lo ha visto protagonista sin dalla sua prima edizione. È stato Ministro di Stato per l’Università e la Scienza e oggi è membro della House of Lords.“È molto importante che Paesi cosi importanti in Europa occidentale, come Italia e Regno Unito, abbiano un dialogo diretto tra loro”, aff erma Lord Willetts. “Per la Gran Bretagna questo concetto risale alla riconciliazione anglo-tedesca dopo la Guerra, quando fu istituita l’Inter-Conferenza di Königswinter. Successivamente ci siamo resi conto che questo modello funzionava davvero ed è bello che ora si celebrino 26 anni di dialogo anglo-italiano. Questa Conferenza è stata creata da leader italiani e britannici di generazioni passate… noi abbiamo un enorme debito nei loro confronti”. Bridging the Gaps è il tema dell’edizione 2018. David Linsay Willetts è convinto che “ci siano divari enormi che si stanno consolidando. C’è una lista così lunga che non saprei da dove cominciare. Innanzi tutto, naturalmente, c’è il divario che si apre tra la Gran Bretagna e l’Unione europea in seguito al voto sulla Brexit, ma anche il divario tra i partiti politici storici e i movimenti populisti che sono forti negli Stati Uniti, nel Regno Unito e, ovviamente, in Italia. C’è il divario tra il potenziale della tecnologia e la comprensione e l’accettazione di questa da parte della società. Ci sono le divisioni sociali che tutti i Paesi devono aff rontare: i divari tra comunità indigene e migranti, per esempio. Il movimento Me Too negli Stati Uniti ci ha poi ricordato il divario di genere. Sono tutte questioni che aff ronteremo in questa Conferenza”. Una grande relazione lunga 20 secoli unisce Italia e Italia e Regno Unito. “La mia casa nel mio ex collegio elettorale di Havant, sulla costa meridionale, si trova accanto ad una strada romana e, nella vicina città di Portsmouth, possiamo ancora vedere le mura della fortezza costruita dai romani per proteggere in porto la propria fl otta. E’ vero, abbiamo connessioni che risalgono a 2000 anni fa. La Brexit rende ancora più importanti i contatti bilaterali. Sono certo che assisteremo ad un sempre

È vero, con l’Italia abbiamo connessioni che risalgono a 2000 anni fa. (David Linsay Willett s)

David Linsay Willetts

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maggior impegno britannico per garantire buoni rapporti diretti con l’Italia e gli altri Paesi europei. Penso che per questo Pontignano diventerà sempre più importante”. Linsay Willetts menziona la Brexit. È uno storico membro dei Tory inglesi. Gli chiediamo di spiegare ai lettori de Il Club il momento che attraversa il suo Paese dopo la scelta di uscire dall’Unione Europea. “Ho votato ‘remain’ e temo che la Brexit sia una tipica situazione in cui perdono tutti. Una perdita per il Regno Unito, ma una perdita anche per i ventisette Stati Membri che rimangono nell’UE. Penso che sia molto importante che il Regno Unito rimanga strettamente legato all’Unione Europea. Dopo il referendum, per il mio partito la situazione non è molto facile, visto che siamo in una democrazia parlamentare: i deputati stanno essenzialmente cercando di attuare in vari modi le indicazioni provenienti dal voto del referendum. Tuttavia, quelle indicazioni non spiegano esattamente quale tipo di Brexit fosse auspicata. Penso che alcune delle tensioni cui assistiamo derivino da un sistema di democrazia parlamentare basato su deputati eletti in diversi collegi elettorali, che devono rispettare la decisione dei votanti anche se il loro giudizio personale è che quanto votato non sia nell’interesse nazionale”.Lord Willetts è stato un pioniere della teoria del ‘Civic Conservatism’. “Il Conservatorismo civico”, ci dice, “è la tesi seconda la quale il nazionalismo britannico non si fonda sul sangue e sul suolo, ma piuttosto esprime l’amore per un insieme di istituzioni che hanno spesso una lunga storia. Significa che tra l’individuo e lo Stato vi è una serie di istituzioni civiche importanti che danno senso alla vita: la famiglia, le aziende locali, la Chiesa, le università. Se si domanda alla gente quali sono le istituzioni che danno senso alla vita, le risposte saranno: esser cresciuto in una famiglia, aver lavorato per un’azienda locale, aver studiato all’università. Questo tipo di istituzioni plasma la vita delle persone nel senso migliore, ed è molto importante che il governo rispetti la loro autonomia, piuttosto che considerarle e trattarle come una sorta di soldati cui dare ordini. È importante”, conclude David Lindsay Willetts, “rispettare e rafforzare il ruolo di quelle istituzioni”.

Questa edizione della Conferenza di Pontignano ha un nuo-vo Co-Chair, Carlo Calenda, già Ministro dello Sviluppo Economico Italiano.“Considero Pontignano uno degli eventi internazionali di maggior rilievo che si fanno in Italia e uno dei pochi in cui si riflette con una prospettiva internazionale”, dice Calenda. “Ho avuto predecessori autorevoli, come Giuliano Amato e Enrico Letta, e ho accettato con grande piacere questo prestigioso incarico”. Il confronto tra Regno Unito e Italia è, per Calenda, “ancor più interessante in questa fase. Noi e il Regno Unito siamo stati colpiti da un’ondata di reazione molto forte e violenta alla prima fase della globalizzazione in senso lato. Il racconto della modernità, talvolta troppo ottimistico e, soprattutto, il fatto che si siano generate rilevanti disuguaglianze nei Paesi occi-dentali, ha fatto si che i nostri due Paesi si trovino ad affrontare un forte rigurgito nazionalista, sovranista in modi e forme ovviamente differenti, che nel caso dell’UK ha preso la forma della Brexit, nel no-stro l’esito delle ultime elezioni”. Tutto questo per Carlo Calenda “rende ancora più urgente un di-battito tra le classi dirigenti dei due Paesi per capire come trovare una strada verso il futuro e quali siano gli argomenti progressisti da poter opporre ad una narrazione di ripiego e di chiusura”. Carlo Calenda si racconta come un grande appassionato di storia, in particolare della storia del Regno Unito. “La cosa che ritengo molto interessante è la forza e la capacità del sistema demo-cratico britannico, nel corso dei secoli, di essere riuscito a gestire tutte le grandi fasi rivoluzionarie che ci sono state - dalla rivoluzione fran-cese in poi, compresi i nazionalismi del XX secolo - opponendo una grande e solida tradizione democratica. Mi sento molto vicino alla politica britannica”.

Noi e il Regno Unito siamo stati colpiti da un’ondata di reazione molto forte e violenta alla prima fase della globalizzazione in senso lato.(Carlo Calenda)

Carlo Calenda

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Da qualche mese Raffaele Trombetta è il nuovo Ambasciatore d’Italia nel Regno Unito. Partecipa, per la prima volta in que-sta veste, alla ventiseiesima edizione della Conferenza di Pontignano. Da Londra, l’Ambasciatore spiega come “l’incontro di Pontignano sia molto utile per le relazioni tra i due Paesi. Il contesto informale dell’evento è un aspetto importante, perché permette di inte-ragire su tematiche che non sempre hanno una copertura mediatica, ma che rappresentano temi concreti su cui è importante trovare forme di concertazione e collaborazione”. Trombetta ritiene “quanto mai pun-tuale” la scelta dell’Ambasciatore Jill Morris e del British Council di aver deciso quest’anno di dare continuità a Pontignano. “Il fatto che ci siano più eventi durante l’anno, che la conferenza abbia non solo un seguito, ma anche qualcosa che la preceda e la prepari, rafforza i risultati raggiunti. In questo la nostra Ambasciata ha dato e darà il suo contributo”. La fase che prepara la Brexit ha occupato in gran parte il lavoro di questo primo semestre a Londra. “Da quando sono qui il mio impegno è stato sempre diretto a fare in modo che la partecipazione italiana al negoziato, in contesto UE, fosse sempre im-postata in termini costruttivi. Accanto a questo ho cercato di sviluppare tutta una serie di iniziative che servono al confronto tra i due Paesi su questioni come il commercio, la finanza, la cultura, la sicurezza, la tecnologia e gli interessi concreti dei cittadini. Al proposito”, puntua-lizza l’Ambasciatore, “uno dei temi che abbiamo seguito con maggio-re attenzione, raggiungendo peraltro risultati soddisfacenti, riguarda proprio la tutela dei diritti dei cittadini dell’Unione europeanel Regno Unito e dei cittadini britannici in Europa”. Tornando alle tematiche della Conferenza di Pontignano, dice Trombetta, “la scelta del tema Bridging the Gaps dice chiaramen-te che Pontignano non si concentra soltanto sulla stretta attualità, ma su temi di fondo che sono poi quelli che veramente tengono uniti i due Paesi. Abbiamo studiato con molta attenzione la strategia indu-striale britannica, che abbiamo messo a confronto con l’industria 4.0 per sviluppare aree di collaborazione. Ad ottobre organizzeremo in Ambasciata un importante evento per le piccole e medie imprese sulla Cyber Security”.

Raffaele Trombetta

Nascel’Associazione parlamentare

di amicizia Italia -

Regno Unito

È nata lo scorso mese di luglio l’Associazione parlamentare di amicizia Italia – Regno Unito. Si è costituito a Roma il comitato di presidenza pro tempore della As-sociazione che è presieduta e co-

ordinata dai tre eletti nel collegio Estero/Europa e residenti a Londra: i deputati Elisa Siragusa (M5S), e Massimo Ungaro (PD) ed il senatore Raffaele Fantetti (FI).L’Associazione ha registrato il numero record di oltre ottanta adesioni, a dimostrazione del par-ticolare interesse dei parlamentari in carica nei confronti del Regno Unito, dei numerosi cittadi-ni italiani ivi residenti e della Brexit.Venerdì 9 novembre, il Gruppo di Amicizia sarà ospite in serata presso la House of Lords dei colleghi britannici mentre nella mattinata si terranno lavori (pubblici, in italiano) di appro-fondimento e comparativi incentrati sui settori Turismo e Finanza. Il giorno successivo, sabato 10 novembre, i parlamentari residenti a Londra incontreranno la comunità.

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ÈÈ all’Inghilterra vittoriana che bisogna guardare per rintraccia-re le origini della sensibilità animalista e della mobilitazione in difesa degli animali: fenomeni entrambi connessi alle trasfor-mazioni socio-economiche e politiche del Sette-Ottocento e scaturiti dai fermenti morali e culturali dell’umanitarismo britannico. L’urbanizzazione, la secolarizzazione dei costumi, i valori di rispettabilità e decoro delle middle classes, le attitudini di cura verso i bambini, la romanticizzazione della natura e la consuetudine borghese di tenere in casa animali da compagnia furono tutti fattori che stimolarono un ripensamento comples-sivo del rapporto tra l’uomo e le altre specie. Da un lato, sotto il profi lo politico e culturale, le istanze zoofi le rientravano all’in-terno del più vasto ambito del riformismo sociale; riformatori radicali, femministe, predicatori metodisti, teosofi e anticlerica-li condividevano spesso l’idea che un miglior trattamento degli animali avrebbe reso gli individui più inclini alla benevolenza e accresciuto il benessere complessivo della società. Dall’altro lato, gli ideali vittoriani di moderazione e contenimento delle passioni cominciarono ad essere applicati anche al trattamento degli animali, nella convinzione che le violenze nei loro con-fronti fossero dovute ai «comportamenti antisociali» dei ceti lavoratori. In origine, infatti, l’interesse degli zoofi li era limitato quasi solo alle forme pubbliche di crudeltà connesse ai costumi e alle attività delle working classes: i combattimenti fra animali e i maltrattamenti su quelli da traino e da lavoro lungo le stra-de e nei mercati. Erano questi i principali ambiti di intervento, molto circoscritti rispetto a quelli attuali, della Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, la prima società protezio-nista della storia, tuttora esistente. Nata a Londra nel 1824 e in seguito insignita dalla regina Vittoria, fervente pet lover, dello status reale, divenne un modello per quelle che di lì a poco vi-dero la luce in molti Paesi europei e negli USA. Anche dal punto di vista legislativo la Gran Bretagna costituì un punto di riferi-mento. Tanto la legge del 1822 che vietava di percuotere «arbi-trariamente e crudelmente» gli animali da lavoro e da macello, quanto quella del 1876 sulla vivisezione, che introduceva un si-stema di licenze per il suo esercizio, ispirarono gran parte delle norme anti-crudeltà promulgate in Europa nel corso dell’Ot-tocento. Il primato britannico nel campo del protezionismo animale delle origini si manifestò anche nell’impegno con cui gli zoofi li inglesi fecero dell’Europa un «territorio di missione», fondando essi stessi società protettrici all’estero o sostenendo-le sul piano organizzativo e fi nanziario. Emblematico il caso dell’Italia. La società zoofi la romana fu costituita nel 1874 da lady Paget, moglie dell’ambasciatore inglese, antivivisezionista e vicepresidente della London Vegetarian Society; per impulso di Elizabeth Mackworth-Praed ne sorse una anche a Napoli nel 1891 e tra i promotori di quella palermitana vi era l’ornitologo di origine inglese Joseph Spadafora Whitaker; a Trieste Isabel Burton, moglie del celebre esploratore, divenne paladina della

Giulia GuazzalocadiUniversità di Bologna

Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

All’Inghilterra vittoriana risalgono le prime

mobilitazioni per la tutela degli animali. causa antivivisezionista e presidente della locale società zoofi -

la. La più importante e attiva fu quella di Torino, fondata nel 1871 grazie all’interessamento di Giuseppe Garibaldi e di Anna Winter, autorevole esponente della RSPCA. I suoi contatti con-sentirono al gruppo torinese di stabilire profi cui rapporti inter-nazionali e nel 1879 la regina Vittoria, di ritorno da un viaggio in Italia dove aveva incontrato alcune attiviste dell’associazione, ne accettò il patronato onorario.Furono dunque gli inglesi a fi nire per primi nel mirino degli scienziati favorevoli alla sperimentazione animale, perché da loro era partito – scrisse il fi siologo Paolo Mantegazza – il «movimento reazionario contro le vivisezioni». Corrosivo e sarcastico, Mantegazza se la prendeva con la legge britannica sulla vivisezione, «tutta imbevuta di tartufi smo puritano», im-prontata ad un «marchio d’isterismo fi acco, semireligioso e semisentimentale», con «i belati» della RSPCA e con le «sante ipocrisie del cuore» che, a suo avviso, si celavano dietro i «cori catarrosi delle vecchie protettrici dei cani e dei gatti». Ma quella che allora sembrava solo un’ubbia di certe «zitellone protestanti rinfi chisecchite», per usare le parole del medico Pietro Siciliani, era un’istanza destinata a crescere e a radicarsi in Gran Bretagna e in gran parte del mondo. Oggi, dopo la svolta prodotta negli anni ’70 del Novecento dalle moderne fi losofi e animaliste e dal-le nuove forme di mobilitazione e propaganda, sono milioni gli attivisti che nel mondo si battono per accrescere il benessere degli animali e ridurne le soff erenze. Anche questo lo si deve considerare un lascito di lungo periodo di quella straordinaria stagione di cambiamenti che fu l’età vittoriana.

L’Inghilterra vittorianae la sensibilità animalista

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Boodle’s

Fondatore del Club:William Pett y, 2nd Earl of ShelburneData di Fondazione: 1762 Sede: 28, James’s Street, City of WestminsterLondon, SW

Boodle’s è un club per gentiluomini fondato a Londra nel 1762 dal conte di Shelburne, William Petty, che sarebbe poi diventato marchese di Lansdowne e Primo Ministro del Regno Unito.

Fu creato perché uomini affi ni si incontrassero, avessero scambi di idee e discettassero intorno a questioni politi-che. Tuttavia, il club prese il nome dal capo cameriere, Edward Boodle, che iniziò a gestirlo poco dopo l’aper-tura.Il club, originariamente aperto al 49-51 di Pall Mall, nel 1782 si trasferì al numero 28 di St. James’s Street. Nel 1765 l’architetto John Cruden progettò l’edifi cio che fu presto defi nito come “l’elemento architettonico più interessante di St. James’s Street”. I membri di Boodle erano gentiluomini di campa-gna, secondo qualcuno provenienti in gran parte dallo Shropshire. Alcuni degli altri illustri gentiluomini che appartene-vano al Club erano William Cavendish (noto come il 5° Duca di Devonshire), il fi losofo David Hume, il fi losofo morale scozzese Adam Smith, il noto Whig britannico Charles James Fox, l’estrover-so “arbitro della moda” George “Beau” Bryan Brummell e il feldmaresciallo Arthur Wellesley, primo duca di Wellington, a volte detto il “Duca di ferro”.Nel 1838 i membri di Boodle erano poco meno di 500 uomini: rapidamente si aff ezionarono al loro club, rite-nendo che fosse il migliore di tutti i club di gentiluomini. Tra le altre cose, Boodle’s piaceva perché piccolo e acco-gliente. Era noto anche per le sue prelibatezze epicuree e numerosi erano gli elogi degli squisiti piatti di carne e patate che vi erano serviti. Un articolo di giornale del di-ciannovesimo secolo celebrava le “sue bistecche e le sue costolette, che per gran parte degli uomini sono un’attrat-tiva irresistibile”. Boodle attraeva anche signore, che costituirono un “Circolo femminile” formato dalla Sig.ra Fitzroy, da Lady Pembroke, dalla Sig.ra Meynell, da Lady Molyneux, dalla Sig,na Pelham e dalla Sig.na Lloyd. Il circolo fu sopran-nominato “Lloyd’s Coff ee-room”, proprio dal nome della Sig.na Lloyd. Le signore si incontravano ogni mattina per “giocare a carte, chiacchierare o fare qualsiasi altra cosa

di loro gradimento”. Boodle aveva un regolamento si-mile agli altri club di gentiluomini di prim’ordine, come Brooks’s o White’s. I nuovi membri erano eletti con pal-line bianche e nere. Per accettare un candidato dovevano essere pescate dieci palline bianche per ogni pallina nera.Boodle si guadagnò ben presto la reputazione di luogo di intrattenimenti elaborati e di “costosa giocondità”. Uno dei membri più illustri, lo storico britannico Edward Gibbon, raccontò in una lettera datata 4 maggio 1774 di aver partecipato a una festa in maschera organizzata dal Club: “La scorsa notte è stato un vero trionfo per Boodle. La nostra festa in maschera è costata duemila ghinee, una somma che avrebbe potuto fertilizzare una provincia... forse la festa più bella ed elegante che sia mai stata fatta”.Boodle’s organizzò un evento memorabile per celebra-re Re Giorgio III nel 1802. Si svolse per metà all’aperto, nei Giardini Ranelagh: il codice vestimentario prevede-

va le signore in bianco e i signori in abito verde, con colletti neri e bottoni d’oro. L’evento fu descritto

da Frances Burney come “straordinariamente leggiadro”: stanze allestite per l’occasione - una grande quasi quanto Westminster Hall -, ballo di cotillon nel Tempio di Flora e cena servita a oltre 1600 persona nella Rotonda.

La popolarità dei club di gentiluomini rimase intatta tra il XVIII e il XIX secolo. Joseph Addison,

saggista, poeta e drammaturgo inglese, ne illustrò i mo-tivi in una lettera del 10 marzo 1710: “Si dice che l’uo-mo sia un animale sociale. Quale migliore esempio del constatare che cogliamo tutte le occasioni e le oppor-tunità per riunirci in quelle piccole assemblee notturne comunemente conosciute con il nome di club? Quando un gruppo di uomini scorge al suo interno una qualche affi nità, purché non banale, si stabilisce tra di loro una specie di fraternità; ci si incontra quindi una o due volte alla settimana, sulla base di questa affi nità”.Nel corso degli anni, questa confraternita di uomini ha continuato a incontrarsi una o due volte alla settimana. Anche Boodle ha continuato a prosperare, sino a diven-tare oggi il secondo club più antico del mondo. Boodle’s continua a essere un’associazione privata e si trova ancora nel cuore di Londra a St. James Place, dove rimane un club prestigioso e apprezzato dai londinesi.

Tratto dal blog di Geri Walton, “Unique histories from the 18th and 19th centuries”.

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Londra e Genova. Un amicizia lunga 1000 anni.

Nasce a Londra ilSt George’s

Club ondra e Genova, due città che si assomigliano da sempre, come due gemelli eterozigoti; città che hanno nelle loro corde i viaggi, la marina e lo yacthing, il commercio, l’oriz-zonte negli occhi, la conquista e l’esplorazione di terre e di mare nella mente. Città che vestono in blue navy, pantaloni grigi e blazer blu per gli uomini, abiti castigatissimi in tinta classica o strani tartan scozzesi per le donne, entrambi con l’identico understatement di lord Brummel - l’uomo ele-gante è chi cammina in Regent’s Street senza farsi notare. Persone che parlano poco, in maniera sintetica, da mer-canti; che amano creare fortune e spenderle nella tomba o in splendide dimore - come non ci fosse soluzione di continuità - con collezioni di quadri e di libri da fare in-vidia ai pochi ammessi ad ammirarle; porti, dove passano tutte le merci del mondo, splendidi tapis roulant di pen-sieri altrui. Anche architettonicamente il Big Ben è anima gemella della Lanterna; entrambe, città che si addipanano per lungo, inglobando paesi: Londra sul fiume, Genova sulla riva del mare - e che vanno viste da lì, dall’acqua; case che spesso si assomigliano come Syon house e una dimo-ra dell’Ottocento all’Acquasola, con colonne romane e un solido gusto borghese. I genovesi sono, da sempre, descrit-ti come i più inglesi d’Italia - nella moda, nei gusti, nello humor, nell’amore per i club e l’associazionismo. Ma non solo. Vivendo a Londra si comprende come questa nascita comune, questa fratellanza, è ben più profonda dell’appa-renza. E’ un modo di pensare. Il genovese della Repubblica, è libertario, come l’inglese, che la libertà, si può dire, l’ab-bia inventata da sempre, e l’abbia sostenuta a partire pro-prio da Garibaldi, che salpa da Genova per Marsala dove ad aspettarlo c’è Lord Whitaker e due navi da guerra in-glesi al largo. Quando si cammina nei musei londinesi, i genovesi del passato vengono incontro neppure fossero padroni di casa - come Agostini Carlini, uno dei fondatori della prestigiosa Royal Academy of Art e suo vicedirettore. Ci si imbatte spesso negli patrioti ottocenteschi: la lapide sulla casa di Mazzini, che qui ha vissuto per trentacinque anni, e quella sulla scuola che lui ha fondato; il cenotafio a Chiswick di Foscolo; in libreria fa bella mostra di se’ la nuova edizione de “il Doctor Antonio” di Giovanni Ruffini- best seller di amore e patriottismo, che ha creato il turismo inglese a Bordighera; nel negozio di prodotti tipici, tra i crescents descritti da Eugenio Montale, tra gli scaffali, si trovano i Garibaldi biscuits e il Genoa cake. Per non parla-re della nobiltà genovese che occhieggia con alterigia dalle gorgiere dei ritratti di Van Dyck dalle sale della National Gallery, insieme con le vedute della costa ligure di Turner in viaggio per il Grand Tour; o della signora conosciuta a Holland Park- che alla domanda conosce Genova, rispon-de - “certo, la mia famiglia ha fondato il Genoa cricket and football club”. Aggiungendo “Ha notato i colori? Rosso blu? Sono quelli della Regina Vittoria”. Anche la bandiera e lo stemma di City of London è la stessa di Genova: la cro-ce rossa su fondo bianco di San Giorgio. Stessa ma non

LFrancesca Centurione Scotto Boschieridi

Scrittrice

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In alto, i blasoni della città di Londra (sx) e della città di Genova (dx)In basso, Marco Bucci, Sindaco di Genova

uguale, come queste due città, che abbiamo detto eterozi-gote. Per l’occhio attento dello studioso di araldica, la City aggiunge, in una delle campiture della croce, una piccola spada in ricordo di San Paolo, l’asse orizzontale della croce è un poco più larga, i due grifi laterali con la coda all’insù, mentre nello stemma della Superba erano all’ingiù- ma solo dopo l’annessione al Regno di Sardegna. Non un caso questo gemellaggio di stemmi. I genovesi avrebbero con-quistato Gerusalemme nel 1099, solo dopo aver assistito a una miracolosa apparizione di San Giorgio, che si sareb-be mostrato con creature celesti con numerose bandiere con croci rosse in campo bianco, l’emblema dei crociati. Le ossa del Santo sarebbero state trovate in Turchia e tra-sferite a Genova. Il Duca di Kent ricorda in un suo discorso per le Colombiadi del 1992, che nel 1190 ovvero durante le crociate, gli Inglesi iniziarono a pagare un tributo a Genova per non essere attaccati nel Mediterraneo. A partire da fi ne Duecento, battere la stessa bandiera è immensamente uti-le perché si intensifi cano enormemente i commerci del-la lana, e Genova mette di fatto, come ben spiega il Prof. Salonia nel suo recente libro “Genoa freedom”, l’Inghilter-ra a contatto con il mare. Il St George’s club nasce dun-que per questo. Per mettere nero su bianco un’amicizia tra Genova e City of London che dura da quasi mille anni, con un gemellaggio istituzionale. Per dare voce a una narrativa dimenticata, a una “compulsive attraction” tra due porti e due storie di commerci e cultura che spesso vanno di pari passo, a “genoa” spiegata. Inglesi sono i meravigliosi giar-dini liguri, Hambury tra tutti esempio; genovesi sono per lo più i banchieri della City dal Rinascimento. Gli inglesi creano musei e tennis club in Liguria, meravigliose ville per la villeggiatura ma anche join venture e aziende come Coeclerici; i genovesi sono inventori delle assicurazioni e della prima banca, portano nella Capitale sul Tamigi, ca-pitali e know how, pittori e artisti come Joseph Grimaldi il più famoso clown del Settecento, e oggi architetti come Renzo Piano che, con lo Shard, il coccio di vetro rotto della tradizione ligure che viene posto sui muri, a protezione, diventa simbolo della ricerca per l’altezza, per l’oltre ed an-che per l’indomito senso di privacy che contraddistingue le due città più resilienti e riservate del mondo.

Poco dopo il referendum che ha sancito l’avvio del percorso per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il governo di Londra ha deciso di avvia-re un’interlocuzione diretta, anche per il tramite

delle sue ambasciate nei Paesi membri, con le comunità di cittadini europei residenti oltremanica. Affi dandoci al format delle interviste radiofoniche su piattaforma po-dcast, all’Ambasciata britannica in Italia abbiamo avviato un esperimento, per il momento unico nel suo genere, che ci ha in pochi mesi consentito di conoscere e racconta-re diverse storie di italiani oltremanica. Alcune di queste sono veramente straordinarie, e in controtendenza rispet-to a quanto spesso riportato a proposito del Regno Unito del dopo-referendum. Tutto ha avuto inizio alcuni mesi fa, quando è stato creato il canale “UKinItaly” sulla piattaforma di podcast Spreaker (www.spreaker.com/UKinItaly). Se l’idea iniziale era quella di realizzare brevi contributi audio per raccontare le prin-cipali iniziative della missione diplomatica di Sua Maestà in Italia, il nostro podcast si è presto trasformato in uno strumento per incontrare persone reali, scoprire storie incredibili e farle raccontare in prima persona ad alcuni degli oltre 600 mila italiani che vivono, studiano, lavorano e fanno aff ari oltremanica. È così che il numero di ascolti delle interviste ha in qualche mese superato quota 1.000, totalizzando oltre 60 ore di ascolto complessive. Si tratta di un traguardo simbolico, sostenuto da numerosi riscontri positivi da parte della comunità di italiani nel Regno Unito. Se il referendum sulla Brexit ha comprensibilmente desta-to interrogativi sul futuro del Regno Unito a partire dal 29 marzo 2019, data in cui verrà formalizzata l’uscita dall’Ue, nonostante la complessità dei negoziati con Bruxelles e

Sul nuovo canale radio online dell’Ambasciata Britannica in Italia le storie di successo

italiane in UK.

Pierluigi Pugliadi Portavoce Ambasciata britannica in Italia

#myGREATBritain

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contrariamente a quanto suggerito da una narrativa spes-so iper-catastrofista sugli effetti del referendum del 2016, moltissimi italiani nel Regno Unito continuano ad avere opportunità positive ed esperienze di successo, a volte senza precedenti. E così, sono già numerose le storie, rac-colte nella serie speciale di interviste #MyGREATBritain, di imprenditori, professionisti, giornalisti, ricercatori e scienziati che ci hanno raccontato con la loro voce il suc-cesso conquistato oltremanica. Solo per citarne alcune, è Deborah Bonetti il primo direttore non britannico che, dal mese di gennaio di quest’anno, è a capo della Foreign Press Association, la storica associazione della stampa estera di Londra. Nicole Soranzo, ricercatrice all’Univer-sità di Cambridge, è una biologa milanese insignita nel giugno scorso di un importante riconoscimento da parte dell’Accademica Britannica per le Scienze Mediche, attri-buito solamente a 48 altri scienziati in tutto il Regno Unito.Da venti anni a Londra, Matteo Cerri, fondatore di The Family Officer Group, si è trasformato negli ultimi anni in un Business Angel che ha finanziato con successo ol-tre quaranta start-up di italiani oltremanica. E poi ci sono Barbara Serra, affermata opinionista tra Londra e l’Italia, la prima giornalista non britannica a presentare le news sulla BBC; Sabrina Corbo, imprenditrice romana che in pochi mesi ha conquistato oltre 300 mila clienti nel mercato bri-tannico dell’energia; Valentina Fazzari, che con altre due socie italiane ha aperto “Casa Londra”, un one-stop shop per trovare un tetto a Londra, investire nel mercato im-mobiliare o acquistare accessori per l’arredo rigorosamen-

te made in Italy; Giovanni Sanfelice, consulente aziendale che accompagna gli investitori italiani a competere con successo nel Regno Unito; e Davide Giordano, capo uffi-cio stampa del prestigioso studio di architettura di Zaha Hadid, con cui ha lavorato a stretto contatto per diversi anni fino alla prematura scomparsa dell’archistar anglo-i-raniana che proprio con l’Italia ha avuto stretti rapporti. Il nostro podcast si è rivelato molto più di un inedito espe-rimento di diplomazia digitale, ovvero un’occasione di in-contro con persone reali, le cui storie sono raccontate dalla voce di quanti continuano a credere nel loro futuro oltre-manica, e a impegnarsi per questo. Nonostante la diversità dei percorsi, dei settori professionali e delle situazioni per-sonali, un elemento è ricorrente: l’orgoglio dell’italianità e la consapevolezza di come proprio questa sia spesso la chiave del successo.A tutti va l’augurio di buon proseguimento e il nostro in bocca al lupo!

In foto, Pierluigi Puglia con alcuni dei protagonisti di #myGREATBritain

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