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1 Piero Santini I GENERI LETTERARI A ROMA Premessa Prima di iniziare questa sintetica trattazione della letteratura latina condotta secondo il criterio dei generi letterari, è opportuno fare alcune considerazioni generali sul rapporto intercorso fra le due più grandi letterature dell’antichità, la greca e la latina. Non vi è dubbio che, almeno da un certo momento della storia di Roma in poi, i rapporti fra le due letterature sono stati stretti e massicci, prima mediati attraverso un ambiente come quello della Magna Grecia, vero e proprio “trait d’union” fra mondo greco e mondo romano, poi più diretti e immediati. Rapporti che si sono espressi in una netta, indiscutibile influenza della cultura greca su quella romana, con ripresa da parte della seconda di molti elementi culturali propri della prima, inventati, escogitati cioè dai Greci. Questa influenza della Grecia su Roma, che è alla base della nascita della vera e propria letteratura latina, dopo le manifestazioni cosiddette preletterarie native, aborigene, primitive (gli aspera ac rudia di cui parla Velleio Patercolo in Historiae 1, 17, in riferimento agli inizi grezzi della cultura latina), è stata nell’ Ottocento, in età romantica e specialmente in ambiente tedesco, interpretata come completo soffocamento dell’individualità, dell’originalità romana. I Romani non sarebbero stati altro che pedissequi ripetitori, pigri imitatori delle grandi opere dell’ingegno greco, considerato nettamente superiore a quello romano per fantasia inventiva e capacità speculativa. Oggi la prospettiva critica è nettamente cambiata e si tende a vedere nell’atteggiamento imitativo dei Romani, pur indubitabile, uno sforzo di emulazione, di gara nei confronti dei modelli greci, considerati termini di confronto, modelli da eguagliare se non superare, pur in un atteggiamento di rispetto e ammirazione, che spesso si concretizza in veri e propri atti di omaggio, cui la cosiddetta “arte allusiva” (idea critica che ebbe la formulazione più chiara e convincente da parte di Giorgio Pasquali) offre ampie possibilità tecnico-espressive e aggiunge connotati di preziosa raffinatezza. Così se Virgilio chiama le sue Georgiche “carme ascreo” (facendo esplicito riferimento ad Esiodo, nativo di Ascra, inauguratore dell’epos didascalico), se Orazio afferma di aver trasferito nel Lazio la lirica eolica e se Properzio sostiene di essere il “Callimaco romano”, è perché gli scrittori latini, specialmente quelli più maturi, sentono di poter gareggiare con i loro rispettivi modelli e di poter liberare quindi la cultura romana da una sorta di complesso di inferiorità nei confronti dei Greci pur vinti sul piano politico-militare: complesso di inferiorità che è notoriamente testimoniato dallo stesso Orazio in Epistole 2, 1, 156 (Graecia capta ferum victorem cepit). A questa aemulatio del Romani nei confronti dei Greci si riferiscono a più riprese, non senza accenti a volte di rivalsa nazionalistica, scrittori, che furono anche critici letterari, come Velleio Patercolo (in alcuni excursus delle sue Historiae) e Quintiliano (nel decimo libro della sua Institutio oratoria). Fatta questa debita premessa, possiamo cominciare a tratteggiare il cursus della letteratura latina, seguendo la traccia dei generi, traccia che comunemente non è seguita nelle storie letterarie più note, ove invece si preferisce, peraltro non senza buoni motivi, procedere per ordine cronologico e per medaglioni dedicati ai vari scrittori. Lasciamo da parte le forme preletterarie latine, seppur di non poca importanza nell’evoluzione successiva delle forme e dei generi, giacché la cultura greca si innestò sopra un terreno latino connotato di caratteristiche nazionali, entrando in contatto con esso e magari schiacciandolo sotto il peso della sua autorevolezza. Autorevolezza che non ci può impedire di pensare da una parte che la cultura greca dovette di quando in quando fare i conti (si pensi alla commedia e alle forme teatrali) con le ragioni delle tradizioni popolari nazionali, dall’altra che a Roma sono esistite e sono state praticate forme come i carmina religiosi, i carmina convivalia (primi nuclei di trattazioni epiche relative alle grandi famiglie di Roma), i carmina triumphalia, i fescennini (di cui si sentono chiari echi, per esempio, ancora nel carme 61 di Catullo), la satira drammatica, l’atellana.

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    Piero Santini

    I GENERI LETTERARI A ROMA

    Premessa Prima di iniziare questa sintetica trattazione della letteratura latina condotta secondo il criterio dei generi letterari, opportuno fare alcune considerazioni generali sul rapporto intercorso fra le due pi grandi letterature dellantichit, la greca e la latina. Non vi dubbio che, almeno da un certo momento della storia di Roma in poi, i rapporti fra le due letterature sono stati stretti e massicci, prima mediati attraverso un ambiente come quello della Magna Grecia, vero e proprio trait dunion fra mondo greco e mondo romano, poi pi diretti e immediati. Rapporti che si sono espressi in una netta, indiscutibile influenza della cultura greca su quella romana, con ripresa da parte della seconda di molti elementi culturali propri della prima, inventati, escogitati cio dai Greci. Questa influenza della Grecia su Roma, che alla base della nascita della vera e propria letteratura latina, dopo le manifestazioni cosiddette preletterarie native, aborigene, primitive (gli aspera ac rudia di cui parla Velleio Patercolo in Historiae 1, 17, in riferimento agli inizi grezzi della cultura latina), stata nell Ottocento, in et romantica e specialmente in ambiente tedesco, interpretata come completo soffocamento dellindividualit, delloriginalit romana. I Romani non sarebbero stati altro che pedissequi ripetitori, pigri imitatori delle grandi opere dellingegno greco, considerato nettamente superiore a quello romano per fantasia inventiva e capacit speculativa. Oggi la prospettiva critica nettamente cambiata e si tende a vedere nellatteggiamento imitativo dei Romani, pur indubitabile, uno sforzo di emulazione, di gara nei confronti dei modelli greci, considerati termini di confronto, modelli da eguagliare se non superare, pur in un atteggiamento di rispetto e ammirazione, che spesso si concretizza in veri e propri atti di omaggio, cui la cosiddetta arte allusiva (idea critica che ebbe la formulazione pi chiara e convincente da parte di Giorgio Pasquali) offre ampie possibilit tecnico-espressive e aggiunge connotati di preziosa raffinatezza. Cos se Virgilio chiama le sue Georgiche carme ascreo (facendo esplicito riferimento ad Esiodo, nativo di Ascra, inauguratore dellepos didascalico), se Orazio afferma di aver trasferito nel Lazio la lirica eolica e se Properzio sostiene di essere il Callimaco romano, perch gli scrittori latini, specialmente quelli pi maturi, sentono di poter gareggiare con i loro rispettivi modelli e di poter liberare quindi la cultura romana da una sorta di complesso di inferiorit nei confronti dei Greci pur vinti sul piano politico-militare: complesso di inferiorit che notoriamente testimoniato dallo stesso Orazio in Epistole 2, 1, 156 (Graecia capta ferum victorem cepit). A questa aemulatio del Romani nei confronti dei Greci si riferiscono a pi riprese, non senza accenti a volte di rivalsa nazionalistica, scrittori, che furono anche critici letterari, come Velleio Patercolo (in alcuni excursus delle sue Historiae) e Quintiliano (nel decimo libro della sua Institutio oratoria). Fatta questa debita premessa, possiamo cominciare a tratteggiare il cursus della letteratura latina, seguendo la traccia dei generi, traccia che comunemente non seguita nelle storie letterarie pi note, ove invece si preferisce, peraltro non senza buoni motivi, procedere per ordine cronologico e per medaglioni dedicati ai vari scrittori. Lasciamo da parte le forme preletterarie latine, seppur di non poca importanza nellevoluzione successiva delle forme e dei generi, giacch la cultura greca si innest sopra un terreno latino connotato di caratteristiche nazionali, entrando in contatto con esso e magari schiacciandolo sotto il peso della sua autorevolezza. Autorevolezza che non ci pu impedire di pensare da una parte che la cultura greca dovette di quando in quando fare i conti (si pensi alla commedia e alle forme teatrali) con le ragioni delle tradizioni popolari nazionali, dallaltra che a Roma sono esistite e sono state praticate forme come i carmina religiosi, i carmina convivalia (primi nuclei di trattazioni epiche relative alle grandi famiglie di Roma), i carmina triumphalia, i fescennini (di cui si sentono chiari echi, per esempio, ancora nel carme 61 di Catullo), la satira drammatica, latellana.

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    Passiamo ad esaminare sinteticamente genesi, sviluppo e decadenza dei generi letterari latini, cominciando la trattazione dal momento in cui testimoniata per la prima volta la presenza, nel mondo culturale e civile romano, di una produzione che si pu definire letteraria. Ci rendiamo allora conto che la letteratura latina inizia davvero allombra della greca, pur con un suo marchio di individualit sempre pi spiccata, e che i generi letterari greci vengono a poco a poco trasmessi pressoch nella loro totalit agli scrittori romani, i quali hanno avuto il compito non facile di adattarli ad una condizione sociale, culturale, linguistica diversa da quella dorigine. In questa continua lotta fra due tendenze (linfluenza della Grecia da una parte, il tentativo di far valere le ragioni della propria individualit dallaltra) consiste, a ben pensare, lintero cursus della letteratura latina, almeno fino allet augustea o al I secolo d. C., et in cui raggiunge il culmine la produzione di opere meditate e non prive, pur negli agganci alla grecit, di notazioni originali.

    I generi poetici

    Epica Se la letteratura greca inizia, come si sa, nel nome dellepos, nel nome dello stesso genere epico ha inizio la letteratura latina con Livio Andronco, traduttore, con la sua Odusa in versi saturni (cio in versi nazionali, non dimentichiamolo: ecco gi un tentativo di differenziarsi dal modello esametrico), dellomerica Odissea. Limportanza di Livio Andronico nella storia della letteratura latina stata ben evidenziata dagli studiosi; basti pensare che egli ha introdotto a Roma sia lepos, sia la tragedia, sia la commedia, in una poliedricit di interessi letterari che rivela linfluenza anche in questo caso si una matrice greca, per la precisione ellenistica (gli autori della Grecia classica, come noto, avevano invece interessi pi specifici e settoriali, non coltivavano la poikila (=variet) dei generi. E che la primitiva letteratura latina sia sorta non solo sulla spinta della cultura greca classica, ma anche sotto la suggestione dei principi culturali e poetici ellenistici, alessandrini (che un tempo si pensava avessero operato soltanto sulla letteratura latina del periodo classico-augusteo) considerazione critica espressa lucidamente per esempio da Scevola Mariotti, che stato un acutissimo studioso della letteratura latina delle origini. Se con Livio Andronco ha inizio lepos latino (e con una traduzione letteraria, come si visto, dal greco), con il secondo cultore di questo genere, Gneo Nevio, le cose cambiano sensibilmente, non tanto sul piano del metro, che resta larcaico saturnio, quanto su quello del contenuto che non pi un argomento greco-omerico e sostanzialmente mitico, come quello dell Odusa, ma un tema nazionale e storico per giunta (giacch il Bellum Poenicum tratta la seconda guerra punica) che apre la strada alle future evoluzioni dellepos latino, marcate nei casi pi importanti ed elevati proprio dalla presenza di un contenuto anche storico e nazionale: si pensi agli Annales di Ennio, alla stessa Eneide, al Bellum civile di Lucano. Con Ennio poi, terzo rappresentante del genere epico latino, le cose cambiano anche dal punto di vista formale. Maggiormente aderente al mondo culturale greco, in un atteggiamento pi filologico e rigoroso rispetto ai modelli greci (si veda il proemio del l. VII degli Annales) il Rudino, che non a caso si autoproclama alter Homerus (secondo la dottrina pitagorica della metempsicosi, lanima di Omero si sarebbe reincarnata, dopo alcune peripezie, in lui), per primo a Roma utilizza lesametro omerico, dopo i precedenti tentativi condotti con il metro, per usare le sue parole, dei fauni e degli indovini, cio il saturnio. Il suo poema, che ricalca in qualche modo le trattazioni storiografiche degli annalisti, per il rifarsi ab ovo e per procedere in ordine cronologico, anno per anno, fino ai tempi dello scrittore, un antecedente importante dell Eneide virgiliana, nonostante il netto divario di poetica e di stile fra i due poemi. Non un caso che termini, locuzioni, emistichi enniani sopravvivano nellepica posteriore (si pensi a Virgilio in particolare): segnali di un atteggiamento di stima rispettosa che stato sempre tenuto nei confronti del pater Ennius, nonostante le accuse ricorrenti contro di lui e provenienti da ambienti strettamente legati al neoterismo o allalessandrinismo augusteo: si pensi al giudizio di Ovidio (Tristia 2, 424 Ennius ingenio maximus, arte rudis) di rozzezza stilistica. Liter successivo dellepos latino, dopo le

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    presenze pressoch insignificanti (anche perch non possiamo valutare appieno, dati i pochi frammenti che di questi autori ci sono rimasti) di poeti epici che continuano a coltivare lepos nazionalistico e monografico (come Ostio, che scrive un Bellum Histricum, o Bibaculo, autore di un poema sulla guerra gallica di Cesare, o Varrone Atacino, autore di un Bellum Sequanicum), registra il suo momento culminante con la produzione virgiliana. Virgilio, da genuino figlio dei suoi tempi, ma anche inserito profondamente nella tradizione letteraria latina, coltiva un genere di epos che unisce lelemento storico-nazionalistico (per il quale lEneide si risolve nellepopea di Roma e di Augusto) e quello mitico, e che sul piano strutturale e stilistico contamina magistralmente componenti omeriche, tradizione latina (specialmente enniana) e poetica alessandrina, questultima gi in qualche modo seguita dai primi poeti della storia letteraria di Roma, ma certamente senza la raffinatezza, la compattezza, linsistenza con cui essa ora domina (siamo nel I secolo a.C., in et post-neoterica e augustea) il panorama poetico latino. Dimensione alessandrina, quella dellEneide, che si nota in tantissimi particolari della composizione, dalla brevitas che condensa in 12 libri una parte odissiaca (dei viaggi) e una parte iliadica (delle battaglie), al labor limae che impedisce a Virgilio (ne sono testimonianza i versi incompleti, detti tibicines) il perfezionamento dellopera in breve tempo, alla variet dei temi (poikila), che, come in Apollonio Rodio, comporta ad esempio compresenza di tema eroico e di tema amoroso (questultimo particolarmente in rilievo, come noto, nel libro IV), allatteggiamento eziologico, per il quale, tra laltro, nellinfelice amore fra Enea e Didone posto laition, il motivo della storica inimicizia fra Roma e Cartagine. Levoluzione successiva dellepos latino registra una presenza di grande rilievo e di valenza fortemente innovativa, quasi rivoluzionaria, in Lucano, vissuto sotto limpero di Nerone. In unepoca, quella della prima et imperiale e in particolare del I sec. d. C., agitata da forti spinte innovative specialmente sul piano dello stile (lo noteremo anche a proposito del genere satirico) Lucano coltiva un epos esclusivamente storico, allontanando per la prima volta fra gli epici latini la mitologia tradizionale dalla composizione della sua opera (Farsaglia o Bellum civile fra Cesare e Pompeo). Magari sostituendo le divinit, i concili degli dei ed altri elementi di questo tipo con altri ingredienti di genere soprannaturale come prodigi, profezie, magie, negromanzie che rivelano un gusto barocco per il sorprendente, per il sensazionale e anche, se vogliamo, sulla scia di Seneca, non a caso zio di Lucano, per lorrido e il macabro, categorie estetiche tutte queste che nel I sec. d.C. invadono a pi riprese il campo dellimmaginario e della espressione stilistica. Con lepos classicheggiante di et flavia, rappresentato da Papinio Stazio, Valerio Flacco e Silio Italico, c invece un ritorno alle strutture e agli stilemi virgiliani, anche se, basti pensare a Stazio, gli influssi anche lessicali virgiliani, pur molto consistenti, si uniscono alle influenze di altri poeti della prima et imperiale, rappresentanti di quel manierismo ante litteram latino che una componente con irrilevante anche della poetica staziana (Ovidio, Lucano, Seneca tragico). Le differenze fra i tre epici di et flavia riguardano prevalentemente il contenuto, esclusivamente mitico in Stazio (Tebaide e Achilleide) e Valerio Flacco (Argonautiche, tema di Giasone alla conquista del vello doro gi trattato a Roma da Varrone Atacino), mitico-storico in Silio Italico, che trasse la materia storica per i suoi Punica(sulla seconda guerra punica, tema gi trattato anticamente da Nevio) da Livio e le strutture compositive e lo stile da Virgilio, con recupero addirittura di ingredienti omerici ed enniani (desunti direttamente dalle fonti, senza intermediari, come generalmente oggi si ritiene). Dopo la restaurazione classicistica di et flavia, il genere epico decade, per tornare ad essere coltivato solo pi tardi e in modo assai desultorio da autori come Claudiano (IV secolo), cultore sia del genere mitico-storico (De bello Gildonico e De bello Gothico) sia di quello mitologico (Gigantomachia, di cui ci rimane un breve frammento, e il colorito De raptu Proserpinae). In Claudiano (e questo un dato comune a pressoch tutta la poesia latina tardo-antica) si nota, sul piano della lingua e dello stile, una riesumazione degli autori poetici del passato, con mescolanza, in una struttura che si pu assimilare al mosaico, di plurimi ingredienti attinti a svariati autori e uniti assieme, con tecnica come sul dirsi centonaria, nella nuova composizione.

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    Tragedia Altro genere poetico che i Romani riprendono dai Greci e in parte adattano alle loro esigenze nazionali quello tragico. Liniziatore anche in questo caso Livio Andronco, che introdusse a Roma, quindi, molti importanti generi: anche la commedia, come vedremo, oltre allepica e alla tragedia. Delle sue tragedie avanzano otto titoli e scarsissimi frammenti, cos come titoli (6) e scarse reliquie si conservano anche del successivo cultore del genere, Nevio, anchegli, come Livio Andronico e poi come Ennio, cultore alla maniera ellenistica di vari generi: epico, tragico, comico. Nevio tratt prevalentemente, come Livio Andronco, soggetti del cosiddetto ciclo troiano (il ciclo connesso con la storia di Roma) ed considerato anche eurets (inventore) della cosiddetta fabula praetexta, genere tragico nazionale che si differenzia dalla cothurnata e che rappresenta, vestiti con labito nazionale romano (la toga pretesta), personaggi della storia romana antica e recente. A questo genere si ricollegano due titoli neviani: il Romulus, basato sulla figura del fondatore di Roma, e il Clastidium, che celebrava un glorioso avvenimento di storia recente. Con Ennio, terzo cultore della tragedia, il genere (ancora legato in gran parte al ciclo troiano) prende improvvisamente quota sul piano artistico, come testimonia lammirazione di lettori e critici romani (come Cicerone), entusiasti del talento tragico enniano, caratterizzato da una suggestiva ricerca del patetico, del commovente, che tradisce influssi ellenistici. Con i successivi cultori del genere, Pacuvio e Accio, la tragedia romana, strettamente legata ai modelli greci, che vengono non tanto tradotti pari pari quanto rifatti e rielaborati, fa un ulteriore balzo in avanti quanto a popolarit (ma sempre a Roma in subordine al genere comico) e a fecondit espressiva. A Pacuvio e Accio critici romani successivi riconobbero qualit di grandezza tragica e di profondit concettuale (con Accio considerato pi vigoroso, Pacuvio pi dotto) ma anche difetti di lingua e di stile, propri del resto, come precisa Quintiliano (Inst. or. 10, 1, 97) pi dellepoca che dei due poeti, la cui propensione per i soggetti a volte terrificanti e orrorosi (ad esempio la vicenda truculenta dei Pelopidi) suscit le critiche del circolo scipionico, pi portato verso unarte a misura duomo, basata sul criterio della humanitas, e in particolare le rimostranze del satirico Lucilio, portavoce, assieme ad altri scrittori (Terenzio in primis) di tale importantissimo circolo culturale del II secolo a. C. Dopo Accio, con il quale la tragedia raggiunge il suo vertice di popolarit e forse anche artistico, il genere, se sul piano della rappresentazione ha notevole successo ancora in et ciceroniana, su quello della composizione entra fatalmente in crisi, premuto e incalzato da forme pi adatte alla visione del mondo dei Romani della fine della repubblica (una visione sempre pi intimistica e soggettiva). Da una parte si compongono sempre meno tragedie, dallaltra il genere si adegua alle nuove caratteristiche della vita letteraria romana, nella quale da un certo momento in poi (et augustea) avr un ruolo di grande importanza la pratica delle recitationes, cio delle declamazioni in pubblico delle proprie composizioni (di tutti i generi, poetici e prosastici). Pratica che comporter per i generi letterari (che diventano quasi generi oratori) una assimilazione di ingredienti specificamente retorici, utilizzati per gli stessi scopi per cui gli oratori del I secolo a. C. pronunciavano i loro discorsi (probare o persuadere, delectare, flectere): scopo dimostrativo, di diletto, di mozione degli affetti. E se le tragedie per noi perdute come il Tieste di Vario (poeta amico di Virgilio) e la Medea di Ovidio costituiscono effimeri, e al loro tempo molto lodati, sussulti di un genere ormai pressoch morto (almeno sul piano della vera e propria rappresentazione teatrale), con Seneca, che compose nove tragedie1 (la praetexta Octavia, pur giuntaci sotto il nome di Seneca, non di Seneca) molto probabilmente destinate alla lettura e non allesecuzione scenica, il genere (attinto anche a modelli greci, in particolare a Euripide) assume caratteri di pura letterariet e si adegua alle esigenze stilistiche e retoriche della prima et imperiale per una ricerca continua degli effetti, del

    1 I titoli: Ercole furioso, Ercole sul monte Eta (da Sofocle), Troadi (da Euripide), Fenicie (da Euripide), Medea (da

    Euripide), Fedra (da Euripide), Edipo (da Sofocle), Agamennone (da Eschilo), Tieste (da testi perduti di Sofocle ed Euripide).

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    grandioso, del sorprendente o del macabro, che poi quella ricerca manieristica barocca di cui si parlato anche a proposito dellepica del I secolo d. C. Elementi, questi, che hanno permesso la sopravvivenza del teatro di Seneca e la sua notevole influenza sul teatro europeo cinquecentesco (specialmente su quello elisabettiano e scespiriano): non un caso se le tragedie di Seneca sono le sole tragedie latine che ci sono pervenute intere.

    Commedia Liter della commedia, genere a Roma molto popolare, presenta notevoli analogie con quello della tragedia, almeno nei primi tempi e fino all akm (punto culminante), che toccata pressappoco nello stesso periodo (II secolo a. C.) in cui operano i pi importanti tragediografi (Pacuvio e Accio). Anche questo genere mutuato dal mondo culturale greco ed in particolare (delle tre suddivisioni del teatro comico greco) la na, la commedia nuova di Menandro quella che attira lattenzione dei comici latini e che influenza le loro composizioni teatrali (e questo fin dagli inizi del genere, fin da Livio Andronico e Nevio). La na in effetti, genere pi universalistico e meno legato di archia (commedia greca antica) e di mse (commedia greca di mezzo) alla contingente situazione storico-civile-culturale della Grecia, si prestava maggiormente ad un trapianto su un terreno diverso da quello originario. C per da dire che loperazione dei Romani non stata per lo pi quella di tradurre in latino, di trasportare di peso nel Lazio vicende e argomenti di singole commedie greche. Si trattato di unoperazione pi complessa che fa vedere come, anche in questo ambito, limitazione romana non sia stata piatta e pedissequa, ma abbia arricchito di novit i dati originari. Novit che nel caso della commedia si possono individuare nellesigenza di trame in qualche modo pi elaborate rispetto agli originali (esigenza, questa, soddisfatta anche per mezzo della cosiddetta contaminazione, vale a dire la mescolanza di pi commedie greche in ununica commedia latina), e anche nel tentativo di adattare allambiente storico-culturale latino usanze, specialmente giuridiche, di troppo specifica pertinenza ellenica: Terenzio critica a tal proposito la obscura diligentia del suo rivale Luscio Lanuvino, evidentemente un commediografo dedito alla pedissequa imitazione degli originali greci che, come ha ben visto il Ronconi, lasciava nelle sue commedie particolari greci, dati giuridici non comprensibili al pubblico romano. A questo si aggiunga, specialmente in Plauto, il procedimento della romanizzazione dei canovacci greci, con inserimento, in ambientazioni ellenistiche, di ingredienti di vita, di societ, di lessico (si pensi ai giochi di parole) di pi tipica matrice romana. Cos come in questo senso orientata anche linvenzione di nuovi generi, di tipo pi nazionalistico, come la fabula togata (laltra, quella di Plauto e Terenzio, la palliata come si sa), cio la commedia di argomento e personaggi in abiti nazionali (a questo si riferisce toga) romani, commedia che ha la sua triade canonica di cultori in Titinio, Atta e Afranio, i quali peraltro mescolarono, a quanto pare, nelle loro commedie influssi del teatro popolare latino (satura, atellana, mimo) e, specialmente con Afranio, ammiratore di Terenzio, influssi, anche in questo genere pi nazionalistico, della commedia menandrea. Quanto ai due massimi rappresentanti della palliata, cio della commedia latina di derivazione greca, basti qui accennare ad una differenza nettissima di poetica e di stile che divide Plauto e Terenzio, il primo2 caratterizzato da una vis comica prorompente e salace, che ha fra i suoi effetti pi rilevanti la creazione di un linguaggio vivissimo, variopinto e screziato, arricchito da numerosi composti umoristici di nuovo conio e da mezzi stilistici molto efficaci (allitterazioni, paronomasie, cio giochi di parole, ecc.), il secondo3 aderente, quale rappresentante del circolo scipionico, ad ideali di poetica e di stile pi raccolti e urbani, pi composti ed equilibrati di quelli plautini, al punto che la

    2 Alcuni titoli delle ventuno commedie giunte fino a noi secondo la cosiddetta recensione Varroniana: Amphitruo

    (Anfitrione: fra i protagonisti due dei, Giove e Mercurio), Aulularia (la commedia della pentola e dellavaro), Csina (la ragazza profumata, desiderata dal suo vecchio tutore libidinoso), Mostellaria (la commedia degli spettri), Miles gloriosus (il soldato smargiasso, personaggio iperbolico che anticipa anche la figura erotica di don Giovanni), Rudens (la commedia della gmena), Pseudolus ( il nome di un servo astuto). 3 Titoli delle sei commedie: Andria (la ragazza di Andros), Hcyra (la suocera), Heautontimormenos (il punitore di se

    stesso), Eunuchus, Phormio e Adlphoe (i fratelli).

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    civilissima, raffinata urbanitas di Terenzio apparsa agli stessi Romani, a critici latini successivi, quasi pi un difetto che un pregio, se vero che per Cesare (o, secondo altri, per Cicerone) Terenzio era un dimidiatus Menander (un Menandro dimezzato) e ancora per Cicerone era un Menandro sedatis motibus (dai sentimenti placati, cio fin troppo tranquillo). Il quadro della commedia latina completato, ancora nellet di Plauto e Terenzio, da Cecilio Stazio, che Aulo Gellio, sulla base di tre passi del Plocium (Collana) mette a raffrronto con Menandro: un comico, Cecilio Stazio, situato a mezzo anche poeticamente e stilisticamente fra Plauto e Terenzio. Alle et successive, che registrano il fatale declino del genere, che va di pari passo col declino della tragedia, sono da ascrivere Turpilio, con la cui morte (103 a. C.) si dice che si sia pressoch estinto il genere della palliata, Melisso, liberto di Mecenate, inventore della fabula trabeata, i cui personaggi erano dei cavalieri, e lautore anonimo (IV sec. d. C.) del Querolus (Piagnone) sive Aulularia, una tardiva testimonianza della fortuna di Plauto, anche in unepoca che ormai non amava e non coltivava pi le forme teatrali tradizionali. Alla fine di questo excursus sulla commedia latina non possiamo non accennare a forme teatrali contenutisticamente e stilisticamente affini alla commedia e che sono per prodotti autoctoni della civilt romana e italica. Intendiamo riferirci allatellana e al mimo, forme gi antiche e preletterarie. Latellana, genere popolare e farsesco, ebbe influenza anche sul colorito, popolaresco teatro platino e tocc vertici letterari nel I secolo a. C., in concomitanza col declino di tragedia e commedia, con Novio e Pomponio. Il mimo a sua volta, forma anchessa farsesca, popolare e spesso di carattere osceno, ebbe il suo periodo aureo dallet di Silla a quella di Cesare con Decimo Laberio e Publilio Siro. Quanto questo mimo letterario latino debba al corrispondente mimo greco questione controversa e non risolta.

    Satira Un genere poetico invece non collegato direttamente con modelli greci ben precisi e sorto anchesso in et arcaica, seppure successivamente a epos, tragedia,e commedia il genere della satira. Intendiamo parlare della satira come viene a configurarsi con Lucilio, non della satura drammatica preletteraria n della satura letteraria di Ennio e Pacuvio, caratterizzata da mescolanza di argomenti e di metri. Con Lucilio infatti (non a caso considerato dagli stessi critici latini linventore della satira) ha inizio un genere che avr poi notevolissima fortuna nelle et successive. Genere caratterizzato da un contenuto da una parte autobiografico e personale (grande novit nella storia della poesia latina)4, dallaltra polemico e critico nei confronti dei vizi degli uomini, da una lingua dimessa e quotidiana (la lingua delle commedie), oltre che da un metro che Lucilio fissa, con gli ultimi libri delle sue satire, nellesametro. Notevole il fatto che Lucilio stabilisca, da vero inventor del genere, anche i precisi, puntuali ambiti contenutistici in cui si muove la nuova forma letteraria: cos alla satira colorita di dati autobiografici (come i viaggi fuori da Roma: nel caso di Lucilio un viaggio in Sicilia) si unisce la satira politico-sociale e anche quella letteraria, tutti elementi che ritroviamo nel successivo iter del genere, che culmina nellesperienza oraziana, da una parte caratterizzata da un atteggiamento bonario e pacato, lontano da quella virulenza luciliana che lo stesso Orazio ricollega (Satirae 1, 4) alla tradizione greca della commedia archia, dallaltra animata da un realismo figurativo che concretizza popolarescamente anche le considerazioni morali e filosofiche (di tipo per lo pi diatribico, cinico-stoico) del poeta5. Lequilibrio, il buon senso, la mediocritas, qualit tipiche di Orazio, vengono a rompersi con Persio e Giovenale, nei quali una esacerbata carica polemica nei confronti di una societ corrotta anche in ambito letterario produce componimenti segnati da un realismo spinto, specialmente in Giovenale, agli estremi, enfatizzato,

    4 Non a caso Quintiliano in Inst. or. 10, 1, 53 giunge ad affermare Satura quidem tota nostra est (La satira un genere

    tutto romano) 5 Sono due libri di satire, composte a circa trentanni di et, ed elaborate in esametri, i versi usati anche dai successivi

    satirici Persio e Giovenale. Vari gli argomenti, da quelli personali e autobiografici (Satira 1, 1 sulla scelta di vita; 1, 5 sul viaggio con Mecenate da Roma a Brindisi; 1, 9 sullincontro a Roma con un seccatore), a quelli filosofici e satirici veri e propri (Satira 2, 3 sulleccessivo rigorismo delle posizioni stoiche; 2, 6 sul contrasto fra vita di campagna e vita di citt; 2, 8 sulla smania di lusso dei villani rifatti, come Nasidieno, di cui descritta non senza aculei polemici la cena luculliana).

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    retoricizzato, reso quasi espressionistico, e da uno stile che in Persio6 mostra in piena evidenza linteresse per immagini nuove rispetto alla tradizione linguistico-stilistica corrente, con ricorso efficacissimo a metafore che, come hanno rilevato studiosi quali Kugler e Pasoli, quasi recuperano nei contesti persiani il loro significato proprio, il loro concreto punto di partenza e sono quindi utilizzate con il massimo possibile di realismo. Stile che in Giovenale7 sciorina una utilizzazione incisiva di tutto un apparato di tropi e di figure retoriche, usati con il fine della persuasione e della mozione degli affetti, in un quadro stilistico che la critica recente pi avveduta ha definito di sublime satirico (che pur sembrerebbe una contraddizione in termini). Un breve discorso a parte merita la cosiddetta satira menippea, sottogenere della satira su cui ebbe influenza la diatriba greca cinico-stoica e in particolare la produzione semiseria, condotta secondo gli schemi dello spoudogloion, di Menippo di Gadara (III secolo a. C.), i cui scritti filosofico-satirici erano una mescolanza di prosa e di versi (struttura formale, questa, che si ritrova in tutti gli esempi latini di satira menippea). Rappresentanti a Roma di questo sottogenere sono in ordine cronologico Varrone, il pi aderente, sembra, al modello menippeo, anche se, come afferma Cicerone, egli non ha tradotto, ma imitato o forse emulato Menippo, inserendo in questi testi allusioni e riferimenti alla Roma contemporanea. Dopo Varrone il genere menippeo trova cultori particolarmente valenti ed efficaci in Seneca il filosofo, cha scrive una Apokolokyntosis (apotheosis per saturam) dedicata al defunto imperatore Claudio e in Petronio, il cui Satyricon, congegnato secondo le strutture del romanzo, per anche aderente agli schemi e forse anche agli spiriti (satirici, parodistici) della satira menippea, come prova la compresenza di prosa e di versi8. Certo che nel Satyricon vengono a confluire pi generi letterari (oltre a quelli citati, novella milesia e mimo), in una poikila (variet) strutturale cui fa pendant una lingua dai registri mobili e vari, da quello pi volgare e popolaresco a quello pretenzioso dei personaggi socialmente pi elevati (o che si atteggiano in tal modo). Dopo il I secolo d. C., che lultimo periodo della storia letteraria romana veramente fervido e produttivo, sia satira che satira menippea decadono rapidamente.

    Lirica Un altro genere poetico che la Grecia consegna a Roma e che, come in altri casi, subisce adattamenti e modifiche nel passaggio da una cultura allaltra, quello che possiamo latamente etichettare come lirica, un genere, o meglio un serbatoio in cui sono contenute numerose forme specifiche, quelle che si rifanno alle canoniche suddivisioni greche di elegia, giambo, lirica monodica (con i suoi sottogeneri), lirica corale (con le sue forme tipiche) e a quelle ellenistiche di epigramma, epillio, idillio. Generi, tutti questi, che dal punto di vista linguistico-stilistico si possono collocare, pur con le debite differenze fra luno e laltro, sul gradino mediano dellantica scala degli stili: il gradino pi basso occupato da commedia e satira, quello pi alto da epica e tragedia. La poesia lirica (da intendere sempre in senso lato) viene coltivata abbastanza tardi dai Romani, anche perch nei confronti di questo tipo di poesia la considerazione non era del tutto positiva, come prova il giudizio negativo di Cicerone (riferito da Seneca in Epistole a Lucilio 49, 5)

    6 Scrisse sei satire impregnate di filosofia stoica e di moralismo intransigente contro la moda delle recitationes,

    lassurdit delle pratiche religiose superstiziose, i giovani nobili e infingardi, i politici che non hanno preparazione filosofica, sulla necessit della libert spirituale, contro la stoltezza degli avari. 7 Ci restano di lui 16 satire, di cui lultima frammentaria. La indignatio di Giovenale suscitata dalla visione della

    corrotta societ del tempo (prima satira): a Roma non si vive pi bene e sarebbe meglio ritirarsi in campagna (terza satira), il consilium principis delibera su questioni ridicole, ad esempio su come cucinare un grosso pesce che Domiziano ha avuto in dono da un pescatore (quarta satira), le donne romane sono testimonianze continue di corruzione e depravazione morale (celebre sesta satira contro le donne), la nobilt di sangue non esiste, lunica vera nobilt quella spirituale (ottava satira), luomo insensatamente attratto da falsi beni quali ricchezza, potere politico, gloria oratoria, gloria militare, longevit, bellezza fisica (decima satira), i padri impartiscono ai figli una cattiva educazione (quattordicesima satira), il fanatismo religioso porta a risse e violenze (quindicesima satira). 8 I versi intercalano un po tutta la narrazione prosastica (a volte hanno il carattere di suggello sentenzioso di certi

    passaggi), ma le parti metriche pi consistenti sono due, messe in bocca non a caso ad Eumolpo, il maturo poeta che entra a far parte del gruppetto dei protagonisti: la Troiae halsis (presa di Troia) in trimetri giambici e il Bellum civile (guerra civile fra Cesare e Pompeo) in esametri.

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    secondi cui la lirica lusus (divertimento) e i poeti lirici sono come bighelloni impenitenti (ex professo lasciviunt). Cicerone (e con lui altri conservatori) era legato alle tradizioni serie e austere del mos Romanus e non poteva apprezzare, da uomo impegnato politicamente, un genere o dei generi di poesia di carattere individualistico e in ultima analisi asociale. Non un caso che per alla fine della repubblica, proprio in un momento di grandi turbamenti politico-sociali, luomo romano senta il bisogno di chiudersi in se stesso, e di far parlare la voce del proprio sentimento. E cos che anche a Roma vengono coltivati molti generi lirici, che sono consegnati ai Romani dalla Grecia, per il tramite della cultura alessandrina. Gi tra lo scorcio del II secolo a. C. e linizio del I secolo a. C. si manifesta a Roma un vivo interesse per i prodotti pi leggeri, pi lirici della poesia ellenistica: linteresse che anima i cosiddetti preneoterici, tra i quali ricordiamo Lutazio Catulo e in particolare Levio. Ma con i cosiddetti poetae novi, qualche decennio dopo, che la poesia lirica alessandrina fatta oggetto di studio accuratissimo e di puntuale assimilazione, sulla base di alcuni principi poetici imprescindibili, che distinguono nettamente i prodotti letterari di questa cerchia di scrittori dalle precedenti esperienze latine: brevitas (brevit), labor limae (lavoro di lima), doctrina (intesa anche come erudizione mitologica, geografica ecc.). Principi di chiarissima matrice alessandrina che i neteroi fanno propri e consegnano alla successiva generazione augustea, la quale (si pensi a Orazio e Virgilio), pur in un recupero dei grandi temi della classicit greca, non pu fare pi a meno della fondamentale esperienza neoterica, unesperienza di arte raffinata e di stile sorvegliatissimo. Altro principio ellenistico, dai Romani puntualmente ripreso, la poikila (variet) dei generi, la compresenza cio di forme diverse nellambito dello stesso autore o addirittura dello stesso prodotto letterario, come prova il liber catulliano, nel quale coabitano poesie di tipo pi precisamente lirico, scritte in metri appunto lirici (faleci, asclepiadei, strofa saffica), epitalami, epilli, elegie, epigrammi: poikila, variet delle forme, che si ritrova anche nei Carmina oraziani, con i quali il Venosino tenta, secondo quanto dice egli stesso, di trasferire a Roma la poesia eolica (specie quella di Alceo, ma anche quella di Saffo) in una fecondissima simbiosi con i principi estetici e i tpoi (luoghi comuni, temi) della cultura alessandrina. Simbiosi (classicit greca alessandrinismo) esaurientemente approfondita sul piano interpretativo dalle fondamentali indagini di Giorgio Pasquali (ci riferiamo al suo Orazio lirico), per la quale temi, motivi, metri della Grecia classica (si pensi che la strofa alcaica, la pi usata da Orazio, impiegata 37 volte e quella saffica 26 volte) si uniscono efficacemente a tpoi, schemi strutturali, procedimenti stilistici tipicamente alessandrini. Indizio, questo, di un poeta ormai maturo ed equilibrato, teso al recupero simultaneo e armonico di due aspetti fondamentali della grecit: un Orazio senzaltro pi equilibrato e raffinato di quello che negli Epodi era ancora dominato da una sola, pressoch esclusiva auctoritas, quella del virulento Archiloco. Con i Carmina di Orazio, vera e propria summa di tutte le precedenti esperienze liriche dellantichit (nei quattro libri delle odi confluiscono con pari rilievo Alceo e Pindaro, Saffo e Meleagro, Anacreonte e Filodemo) il genere assurge alle vette artistiche pi elevate, oltre le quali non si pu trovare che o pedissequa imitazione o decadenza9. Magari con qualche improvvisa, seppur temporanea e limitata reviviscenza, come nel caso delle Silvae di Papinio Stazio (lautore della Tebaide), poesie di tipo lirico-epigrammatico scritte in metri vari (ma con netta prevalenza di esametri su endecasillabi faleci, strofa alcaica e saffica)10 e su

    9 Fra i temi dei Carmina spiccano quelli filosofico-morali, improntati al principio della mediocritas e al tema del carpe

    diem (Carm. 1, 11); motivi connessi sono quelli dellineluttabilit della morte, che arriva per tutti, ricchi e poveri, il tema del simposio e del vino, il motivo della primavera, lidea della semplicit di vita e lesortazione a non farsi annientare dalla potenza distruttrice dellamore. Altra tematica quella civile (Carm. 1, 14 sul nuovo pericolo che sta incombendo sulla nave-stato romana; Carm. 1, 37 sulla morte della nemica Cleopatra; Carm. 3, 1 e segg. sulle qualit etiche che permetteranno ai romani di risollevarsi dalle guerre civili). La struttura delle Odi oraziane prevede spesso una iniziale parte descrittiva o narrativa, cui segue la sezione filosofica alla quale pu essere aggiunta in fondo la parte degli esempi mitici o storici (che avallano la precedente sezione ideologica). 10

    Sono poesie in genere assai lunghe che hanno quasi il carattere dei poemetti.

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    argomenti disparati (molti di carattere personale)11 o come nel caso del tentativo di riesumazione arcaizzante di modi neoterici o addirittura preneoterici condotto dai cosiddetti poetae novelli nel II secolo d. C., autori di componimenti lambiccati e artificiosi, ben lontani dalla fresca vivezza che invece si pu cogliere nel carme anonimo (datato fra il II e il IV secolo d. C.) intitolato Pervigilium Veneris, canto in onore di Venere e della primavera che ritorna. Quanto ai singoli generi lirici, trattati individualmente dai poeti latini, non possiamo non accennare, seppur sinteticamente, alle vicende di elegia, epigramma, bucolica.

    Elegia Sul genere dellelegia e sui rapporti fra elegia latina ed elegia greca, la prima soggettiva e personale, la seconda oggettiva, dotta, erudita, moltissimo stato scritto dallOttocento ad oggi. Lelegia romana uno di quei generi senza dubbio attinti alla cultura greca, ma ai quali i Romani hanno impresso il marchio della propria individualit, sicch laffermazione di Quintiliano (Institutio oratoria 10, 1, 93) Elegia quoque Graecos provocamus (Anche nellelegia possiamo sfidare i Greci) appare attendibile e giustificabile. Dopo gli inizi collegati con la figura di Cornelio Gallo, del quale stato ritrovato tempo fa un frustulo papiraceo di notevole interesse, che ha stimolato studi, discussioni e controversie e dopo alcuni tentativi catulliani ancora legati alla formula dellelegia oggettivo-eziologica (con ricerca delle cause) alessandrina, come il carme 66, traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco, lelegia romana trova il suo momento di grande fulgore con la triade di et augustea Tibullo12, Properzio13, Ovidio14, con i quali il genere fissa i suoi schemi contenutistici e formali e raggiunge le pi alte vette artistiche. Schemi che prevedono, entro strutture che si rifanno allo stile mediano (medium scribendi genus) e che si basano immancabilmente sul distico elegiaco, una materia sentimentale viva e spontanea, personale e sofferta. Naturalmente con differenze anche notevoli fra i tre poeti, con Tibullo pi terso ed elegante degli altri, pi semplice e limpido, Ovidio pi eufonico ed euritmico, impareggiabile coniatore di versi ed anche personalit brillantemente galante, e Properzio che dei tre il pi vicino agli schemi della poesia dotta alessandrina, tali e tanti sono gli elementi di erudizione mitologica e anche geografica che compaiono a pi riprese nelle sue elegie, veri e propri prodotti di un Callimaco romano, come egli stesso si definisce (ma non mancano in lui accenti di passione catulliana). Alle strutture formali del genere elegiaco, ma non agli spiriti della nuova elegia romana, che sono ormai quelli sentimentali e amorosi di tipo soggettivo, si riconnettono diverse altre opere latine, come i Fasti di Ovidio, vero e proprio poemetto elegiaco eziologico (si ricercano le cause delle feste legate al calendario) di stampo callimacheo, anticipato in questo dalle cosiddette Elegie romane di Properzio anchesse eziologiche, o scritti elegiaci di dubbia paternit come le due Elegiae in Maecenatem, la Consolatio ad Liviam (elegie che recuperano una primitiva valenza di lamento funebre) e la Nux, in cui un albero di noce si duole delle sassate che riceve. Della fortuna successiva dellelegia (come genere composito, non solo amoroso) sono testimonianza alcune composizioni di Claudiano e Ausonio, il suggestivo De reditu di Rutilio Namaziano, un poemetto

    11 Fra i temi gli argomenti artistici (statua equestre di Domiziano, descrizione di una villa tiburtina e di una sorrentina,

    descrizione di una statuetta di Ercole), gli epicedi, cio i carmi funebri (in onore del padre del poeta, ma anche, ad esempio, di un pappagallo), gli epitalami (carmi per le nozze di amici), ringraziamenti, lettere familiari. 12

    Di Tibullo ci sono stati tramandati tre libri di elegie, ma solo i primi due sono autenticamente tibulliani. Lamore per la sua donna (Delia) e lamore per la vita in campagna e per la pace sono i motivi fondamentali del poeta. 13

    Le elegie properziane comprendono 4 libri. La donna amata (Cinzia) vista con un occhio non molto distante dallottica di Catullo: grande passione, numerosi momenti di separazione alternati a riconciliazioni. Il quarto libro quello in paticolare delle elegie romane, poesie erudite ed eziologiche in cui il poeta canta vicende e ricorrenze religiose romane. 14

    Le elegie damore di Ovidio sono in particolare inserite nei tre libri degli Amores (ove cantata una donna che ha lo psudonimo di Corinna: forse unetichetta per compendiare varie avventure femminili). Lamore per Ovidio pi che passione e sentimento lusus, divertimento erotico. Al genere elegiaco appartengono anche i Tristia (Tristezze) e le Epistulae ex Ponto, componimenti scritti allepoca della relegazione di Ovidio sul mar Nero. I Fasti infine sono un poema elegiaco di tipo eziologico, in cui si cantano le feste di Roma, mentre le Heroides (Eroine), anchesse in metro elegiaco, appartengono al genere delle epistolografia mitologica. .

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    che si ricollega al genere della letteratura odeporica (che descrive viaggi)15, le elegie di Massimiano (VI secolo d. C.), contemporaneo di Boezio.

    Epigramma Il genere dellepigramma, forma poetica antichissima (di carattere originariamente celebrativo e funerario) e sottoposta a rivoluzionario cambiamento in et ellenistica, con la tipica forma breve, il metro che il distico elegiaco, il contenuto vario e composito, spesso legato a minute esperienze personali, soggettive dei singoli poeti, entra nella cultura romana prima con i preneoterici (Valerio Edituo, Porcio Licino, Lutazio Catulo) poi con i poetae novi; basti pensare alla terza parte del liber catulliano, ai carmi cio dal 69 al 116, che sono veri e propri epigrammi dedicati ad argomenti di vario genere (amore, amicizia, inimicizia, affetti familiari, esperienze esistenziali e anche di tipo letterario). La successiva evoluzione del genere mostra una progressiva accentuazione di interesse per gli aspetti derisorii, scherzosi e ingiuriosi, con la tipica struttura che prevede spesso l aprosdketon (chiusa inaspettata) finale (gi peraltro presente in Catullo), con ampliamento dei metri usati (oltre al distico elegiaco, lendecasillabo falecio e il coliambo, indizio evidente questultimo di tonalit pi aggressive e caustiche) e con acquisizione di atteggiamenti umanamente realistici, che avvicinano il genere a quello della satira: questo lepigramma quale coltivato dal suo pi grande rappresentante latino, Marziale16. Il quale era stato preceduto nella sua definitiva sistemazione del genere da esperimenti (che non ci sono rimasti) come quelli di Domizio Marso e Albinovano Pedone, non a caso indicati da Marziale come suoi modelli accanto a Catullo, e da una raccolta epigrammatica attribuita a Seneca, la cui autenticit stata per pi volte revocata in dubbio, almeno per la maggior parte di questi epigrammi. Con Marziale il genere raggiunge lapice, dopo il quale inizia repentina la decadenza, contro la quale niente possono i volenterosi, ma freddi e artificiosi tentativi di poeti tardi come Ausonio e Claudiano: testimonianze peraltro di una fortuna di Marziale che continua nei secoli, fino al Medioevo e al Rinascimento.

    Bucolica Un altro genere poetico mutuato dai Greci di et ellenistica, che ebbe fortuna sia nel mondo romano, sia poi ancor pi nelle et successive delle varie letterature europee, quello bucolico, che ha nel greco Teocrito lemblematico sistematore. Non escluso che motivi pastorali fossero contenuti anche nelle produzioni lirico-epigrammatiche, non conservate, del I secolo a. C., ma certo che il genere cos come stato ordinato da Teocrito (metro esametrico, contenuto pastorale, travestimento idillico di una realt sentimentale o personale cara al poeta) ha avuto il suo cultore pi grande ed elevato in Virgilio17, che a sua volta costitu il modello imprescindibile nei secoli a venire anche in questambito poetico. Ancora una volta per il rifarsi ad un modello greco non pura e semplice imitazione: il modello viene proiettato sullo sfondo della campagna italica e delle vicende contemporanee al poeta (adombrate nei temi e nei personaggi delle varie egloghe) e viene quindi storicizzato e contrassegnato di un marchio originale, nonostante il mantenimento di tpoi (luoghi comuni), strutture formali ed aspetti stilistici che rimandano senza dubbio alcuno alla

    15 Namaziano (V secolo d. C.) considerato con Claudiano lultimo poeta della Roma pagana. Nel poemetto descrive il

    suo ritorno da Roma nella natia Gallia, manifestando a pi riprese, con i toni dellintellettuale utopista, la sua ammirazione sconfinata (che ha a volte il carattere dellinno religioso) nei confronti della citt eterna. 16

    Marziale scrisse 12 libri di epigrammi (per lo pi in distici elegiaci, ma anche in altri metri), cui sono da aggiungere un Liber de spectaculis, scritto per festeggiare linaugurazione del Colosseo, e due libri di bigliettini conviviali (Xenia e Apophoreta). Numerose le macchiette, le figurine tratteggiate dal poeta anche con un solo distico (nel pentametro inserito laprosdketon per far ridere) e ritagliate da una variet umana caleidoscopica. Temi cari al poeta sono poi in particolare quelli della pratica letteraria, delle recitationes, del plagio poetico, e, in altro ambito sociale, dei captatores hereditatum. 17

    Le Bucoliche di Virgilio sono 10. In esse importante limpianto allegorico, per il quale delle vesti di pastori si ricoprono personaggi contemporanei (tra cui lo stesso Virgilio, come fa nella prima e nona bucolica). Fra le Bucoliche celebre sempre stata la quarta, che contiene lannuncio quasi messianico di una nuova era di pace e di prosperit, grazie alla nascita di un puer (i cristiani hanno visto in ci la profezia della nascita di Cristo; ma Virgilio si riferiva presumibilmente alla nascita del figlio di Asinio Pollione).

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    raffinata, elegantissima poesia alessandrina e teocritea. Il genere ancora coltivato da imitatori virgiliani nel I e nel III secolo d. C. Ma la produzione di Calpurnio Siculo (7 egloghe), i cosiddetti Carmina Einsidlensia) cos detti perch ritrovati nel 1869 nellabbazia di Einsiedeln in Svizzera) e le 4 bucoliche di Nemesiano (III sec.), testi a volte legati a situazioni storiche ben precise (come provano le lodi al giovane Nerone in Calpurnio Siculo e nei Carmina Einsidlensia), pi che costituire una continuazione e uno sviluppo del genere, mostrano invece come la poesia bucolica con Virgilio abbia raggiunto un apice insuperabile, oltre il quale sta la decadenza o limitazione (o, se vogliamo, entrambe le cose insieme). E imitazione appunto quella dei suddetti bucolici, testimonianza peraltro di una fortuna virgiliana non venuta mai meno nei secoli e trasmessa poi al Medioevo, allUmanesimo e anche alle et successive, fino almeno allArcadia.

    Favola Un genere poetico minore rispetto agli altri e coltivato da un numero ristretto di scrittori quello favolistico. La favola era stata inventata come genere a s stante in Grecia da Esopo. A Roma essa introdotta in et tiberiana da Fedro, il quale, per sua stessa ammissione, rielabora la materia esopica (redatta in prosa) in versi senari, in una progressiva graduale consapevolezza (testimoniata nei prologhi dei 5 libri) di indipendenza sempre pi marcata dal grande modello greco, e in un progressivo ampliamento di prospettiva (atteggiamento orgoglioso del romano che sa di emulare, non di initare). Tipica di Fedro la struttura compositiva che prevede la morale prima (promitio) o dopo (epimitio) la narrazione favolistica vera e propria (in Esopo invece la morale collocata in fondo). Protagonisti delle favole di Fedro sono naturalmente, come in Esopo, gli animali parlanti, assunti come simboli di virt o di difetti umani, ma non mancano favole in cui sono in scena esseri umani veri e propri, a volte mescolati agli animali. Ladozione del senario giambico pu forse essere stata motivata dallesigenza di dare un colorito popolareggiante alla materia, grazie ad un metro utilizzato dai poeti di mimi (mimografi) e impiegato anche nelle parti dialogiche della commedia (diverbia). E popolare deve essere stata la produzione favolistica di Fedro, come provano le riduzioni in prosa delle sue composizioni poetiche, la pi importante delle quali il cosiddetto Romulus del V secolo d. C., e come prova anche lesistenza di un corpus fedriano pi vasto di quello a noi pervenuto, ridotto e selezionato evidentemente per ragioni didattiche e scolastiche. Tardo cultore del genere favolistico ancora Aviano (V secolo d. C.) che per si basa sul greco Babrio come fonte principale.

    Poesia didascalica Non possiamo concludere questa trattazione dei generi poetici latini senza accennare alla cosiddetta poesia didascalica (o didascalico-filosofica). Anchessa ha precise matrici nella cultura greca sia di et classica sia di et ellenistica (citiamo Esiodo per la prima, Arato e Nicandro per la seconda) ed coltivata a Roma a pi riprese da diversi poeti, su svariati argomenti. Ad essa appartengono capolavori assoluti ed opere di minore rilievo artistico. Anche la poesia didascalica latina testimonia, nei suoi momenti pi rilevanti, lo sforzo di adattamento allambiente culturale latino realizzato dai cultori romani del genere. Scorrendo cronologicamente questo particolare tipo di poesia, dopo inizi incerti, reperibili in Ennio e Accio, il genere ha il suo trionfo nel I secolo a. C. prima con Lucrezio, divulgatore del verbo di Epicureo per mezzo delle strutture dellepos didascalico esiodeo18, poi, dopo altri esperimenti di minore importanza (tra cui occorre citare la traduzione del Fenomeni e di parte dei Pronostici di Arato fatta da Cicerone), con Virgilio, che nelle sue Georgiche coniuga magistralmente influenze esiodee e tecnica compositiva e stilistica

    18 Lucrezio lautore del De rerum natura, poema esametrico in 6 libri, nel quale illustrata la filosofia di Epicuro,

    esaltato a pi riprese nel testo come un grande saggio che ha illuminato le tenebre in cui viveva lumanit prima di lui.

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    raffinatamente alessandrina19. Di vario carattere e di varia finalit le opere successive che rappresentano il genere, dalla precettistica erotica ovidiana (Ars amandi, Remedia amoris, Medicamina faciei) condita di brillante e ironica galanteria (trattatelli tra laltro in metro elegiaco, quasi a marcare la massiccia presenza dellelemento amoroso), a quella di tipo cinegetico (ammaestramento dei cani da caccia) trattata da Grazio e dal successivo Nemesiano, a quella astronomica e astrologica coltivata , sulla scorta di concezioni stoiche antitetiche a quelle lucreziane, da Manilio (Astronomica), alla precettistica perfino grammaticale e metrica di Terenziano Mauro.

    I generi prosastici

    Storiografia Naturalmente una trattazione seppur sintetica della letteratura latina condotta secondo il criterio dei generi non pu prescindere da una analisi, seppur sommaria, delle forme letterarie di tipo prosastico. Noi qui sinteticamente tracceremo gli itinerari di questi generi (quelli maggiormente coltivati): storiografia, retorica-oratoria, filosofia, epistolografia, letteratura tecnico-scientifica. Alla storiografia romana pi antica si d il nome di annalistica, per una particolare tecnica compositiva, mutuata dagli Annales dei pontefici, che prevede una trattazione delle vicende di Roma anno per anno. Questa prima produzione, influenzata anche da certe tendenze storiografiche ellenistiche, che privilegiavano le storie di tipo locale, si serve della lingua greca, considerata lingua che nobilita la materia e insieme efficace mezzo di propaganda atto a contrastare una storiografia, anchessa scritta in greco, di marchio filo-cartaginese. Storici annalisti come Fabio Pittore e Cincio Alimento precedono la prima vera e propria storia scritta in prosa latina, le Origines di Catone, in cui, ancora secondo modelli ellenistici, si indagava sulle origini e sulle fondazioni di Roma e di altre citt italiche. Dopo lesempio di Catone la storiografia romana adotta la lingua latina e da una parte prosegue con limpostazione annalistica ( la cosiddetta seconda annalistica di Valerio Anziate, Licinio Macro, Claudio Quadrigario), dallaltra assume come oggetto di trattazione un argomento cronologicamente ristretto, un periodo limitato o una vicenda particolare: il cosiddetto genere monografico, inaugurato da Antipatro, Asellione e Sisenna e poi ripreso, su un piano artistico nettamente superiore, da Sallustio, lo storico di Giugurta (Bellum Iugurthinum) e di Catilina (Bellum Catilinae), scrittore nutrito di densi succhi moralistici e che porta avanti, anche nello stile, oltre che nel metodo storico, una trattazione di tipo tucidideo (aemulus Thucididis chiamato Sallustio da Velleio Patercolo in Historiae 2, 36), tesa a indagare le cause, le motivazioni profonde degli avvenimenti storici. Ma a fianco del genere monografico, cha ha in Sallustio il massimo rappresentante, si coltiver ancora per molto tempo, e con risultati talora di grande rilievo (si pensi a Tito Livio), una storiografia di respiro pi vasto, con trattazioni che vanno di nuovo, come nel caso dellannalistica, dalle origini di Roma fino ai giorni dello scrittore, ma con ben altra prospettiva critica, o con trattazioni (si pensi a Tacito) non cos ampie e complete, ma pur sempre tali da abbracciare periodi di tempo non brevissimi (e molteplici vicende, non singole come nel caso del genere monografico). Al genere monografico, accoppiato agli schemi degli hypomnmata (commentari) ellenistici, si possono peraltro ricondurre i Commentarii cesariani (Bellum Gallicum e Bellum civile), autobiografie monografiche in terza persona dedicate a singole vicende (guerra gallica, guerra civile fra Cesare e Pompeo), mentre Livio e Tacito proseguono una storiografia di ampio respiro, che, nel caso di Livio, si rif ab Urbe condita,20 e nel caso di Tacito parte ab excessu

    19 Le Georgiche sono in quattro libri (sulla agricoltura, la arboricoltura, lallevamento del bestiame e lapicoltura).

    Lopera di impianto raffinatissimo e mostra la grande dottrina anche scientifica, oltre che stilistica, dellautore (che non si rivolgeva certo, con questi versi, ai contadini, ma alllite delle persone colte). 20

    Ben 142 libri per trattare la storia di Roma dagli inizi al 9 a. C. Ci rimane solo una parte dellopera completa. Il resto lo possiamo arguire dalle Perochae, brevi sommari di ogni libro elaborati in epoca tarda.

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    divi Augusti per arrivare fino ai tempi dello scrittore21. Storie entrambe di grande valore scientifico e di somma importanza artistica, pur negli stili diversi e nella diversa ideologia politica. Fra Livio e Tacito operano storici minori che coltivano ora il genere della storia universale (come lantiromano Pompeo Trogo, compendiato in epoca pi tarda da Giustino), ora quello della storia ab Urbe condita (Velleio Patercolo, fautore dellimpero tiberiano) ora quello della trattazione dedicata alla figura di un grande personaggio (Curzio Rufo, storico di Alessandro Magno, sulla scia di storici ellenistici come Timagene e Clitarco22). Caratteri che, uniti al genere pi propriamente biografico, si ritrovano negli storici successivi a Tacito, da Svetonio, biografo (di tipo erudito, alessandrineggiante) degli imperatori23, a Floro, storico ab Urbe condita, agli Scriptores historiae Augustae (vicini nella struttura alle vite svetoniane), ad Ammiano Marcellino, ultimo grande storico di Roma, notevole artista che tratta un periodo assai lungo, dal 96 al 378 d. C24.

    Retorica e oratoria Quanto alla retorica oratoria (da intendere rispettivamente come teoria e come pratica dellarte del dire), anchessa di derivazione greca, si deve notare, dopo gli inizi preletterari (incentrati prevalentemente sulla figura di Appio Claudio), un progressivo adeguamento della prassi alle teorie che affluiscono dalla Grecia, le quali prevedono la distinzione dei tre generi di oratoria (iudiciale, deliberativum, demonstrativum, cio giudiziario, politico, celebrativo), delle parti dellarte oratoria (inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio, cio reperimento degli argomenti, disposizione di essi nel discorso, forma espressiva, ricordo di ci che si deve dire, gesticolazione e mimica), delle parti dellorazione (prooemium, narratio, demonstratio, peroratio, cio proemio, esposizione del fatto, argomentazione, perorazione finale). Tutti problemi questi che, uniti a quello relativo al ruolo delloratore e delloratoria nella cultura e nella societ romana, si trovano affrontati e variamente risolti negli scritti retorici latini, inaugurati con la Rhetorica ad Herennium di Cornifico e il De inventione di Cicerone (inizi del I secolo a. C.) e proseguiti con altre opere ciceroniane quali De oratore in tre libri, Brutus e Orator, la prima un dialogo sulle caratteristiche distintive delloratore e sul ruolo che hanno in lui ingenium e doctrina (ingegno naturale e studio), la seconda una specie di storia delloratoria antica, la terza quasi un ritratto delloratore ideale, con la trattazione, nella parte finale, dei problemi della prosa ritmica (clausole dei periodi). La trattatistica retorica ciceroniana, completata da opere pi tecnicistiche come le Partitiones oratoriae e i Topica, avr una grande fortuna nei secoli successivi, anche se le condizioni politico-sociali dellet imperiale romana producono un radicale cambiamento della pratica oratoria, mettendo a tacere in particolare la grande oratoria politica del I secolo a. C. e relegando gran parte di questa disciplina e prassi del dire nella scuola, ove loratoria si esplica in esercitazioni su temi fittizi (le suasoriae e le controversiae, discorsi per convincere qualcuno e discorsi di carattere processuale), vere e proprie preparazioni per lacquisizione dello stile letterario. La trattatistica retorica, ancora presente con opere importanti nel I secolo d. C., si adegua alla nuova temperie socio-politica e culturale, fotografando con Seneca il Vcchio la nuova realt dominata dalloratoria scolastica delle suasorie e delle controversie, discutendo con acutezza, con il Dialogus de oratoribus attribuito a Tacito, sul rapporto fra oratoria e poesia e sulle cause della decadenza dellarte oratoria, procedendo infine, con la Institutio

    21 Negli Annales Tacito tratta il periodo dalla morte di Augusto (14 d. C.) a quella di Nerone (68 d. C.), nelle Historiae

    il periodo successivo fino alla morte di Domiziano (96 d. C.). Altre opere storiche di Tacito sono la Germania, un testo di carattere peraltro etnografico, e Agricola, una biografia-panegirico del suocero di Tacito (in cui non mancano notizie etnografiche sui Britanni). 22

    Nella sue Storie di Alessandro Magno, in 10 libri, non manca, in adesione alle teorie storiografiche ellenistiche, linsistenza sugli aspetti romanzeschi e avventurosi. 23

    Le sue Vite dei Cesari, in 8 libri, vanno da Giulio Cesare a Domiziano. Il genere biografico era gi stato coltivato in epoca cesariana da Cornelio Nepote, amico di Catullo, autore del Liber sui grandi comandanti stranieri (Milziade, Temistocle, Annibale ecc.) e del Liber sugli storici latini (ci restano le vite di Catone e di Attico). 24

    A mezzo fra storia, filosofia morale e retorica si colloca Valerio Massimo del I secolo d. C., autore di 9 libri di Fatti e detti memorabili, aneddoti e curiosit ricavati da precedenti storici greci e latini e suddivisi per categorie morali di virt e vizi, secondo ben 95 rubriche tematiche (religione, patria, esercito, coraggio, povert, amor coniugale ecc.).

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    oratoria (Ammaestramento delloratore) di Quintiliano, ad una grandiosa sistemazione delle teorie retoriche e stilistiche della tradizione culturale romana, in funzione prevalentemente pedagogica e didattica. Quanto alla pratica retorica, vale a dire alloratoria vera e propria, quanto si ora detto ci fa capire che il periodo di massimo fulgore stato per essa quello repubblicano, periodo punteggiato dalla presenza prima di Catone, che scrisse pi di 150 orazioni e che propugn la concezione delloratore quale vir bonus dicendi peritus (galantuomo esperto nel dire), unidea che anticipa la visione integrale ciceroniana e anche quella quintilianea, poi degli oratori a cavallo fra il II e il I secolo a. C. (Licinio Crasso, Marco Antonio) e di quelli del I secolo a. C. (ad esempio Ortensio Ortalo), che preludono alla vivissima stagione delloratoria ciceroniana, autorevole sia nel genere giudiziario25 sia in quello politico, con i due aspetti che vengono spesso a mescolarsi efficacemente (Cicerone era avvocato e uomo politico), ma con il secondo che culmina nelle quattro Catilinarie e nelle pi tarde 14 Filippiche contro Antonio. Oratoria, quella ciceroniana, che d anche una soluzione equilibrata al problema dibattutissimo dello stile, ondeggiante fra i poli contrapposti dellatticismo e dellasianesimo, dallArpinate mediati attraverso una proposta moderata, quella del cosiddetto stile rodio, e attraverso, fatto ancor pi importante, la capacit di cambiare stile oratorio a seconda degli argomenti da trattare e dei vari momenti della vicenda processuale, sulla scorta di un atteggiamento che era gi stato in Grecia appannaggio del grande Demostene. Abbiamo gi accennato al fatto che leloquenza, in et imperiale, declina irrimediabilmente per ragioni di carattere prevalentemente socio-politico e che sorge in questepoca la pratica delle esercitazioni scolastiche declamatorie. Rimane in vita, nella pratica letteraria, anzi viene coltivato ancor pi di prima, un genere oratorio ricollegabile al genus demonstrativum, vale a dire il panegirico, lencomio solenne di certi importanti personaggi, coltivato da Plinio il Giovane, del quale ci pervenuto un panegirico a Traiano, primo di una raccolta di 12 panegirici di et imperiale che sono giunti fino a noi.

    Filosofia Quanto al genere filosofico , c da dire che, anche in questo campo, anzi particolarmente in questo campo, Roma fortemente debitrice nei confronti della Grecia, quantunque trovi pure qui il modo, specialmente nel campo della filosofia della politica, di adattare al terreno nazionale le idee attinte alla cultura ellenica. Nel campo della trattatistica filosofica non si parler mai abbastanza dellimportanza della figura di Cicerone, vero e proprio divulgatore presso i Romani pressoch di tutte le filosofie e correnti di pensiero greche, da lui studiate con zelo prodigioso e in un periodo di tempo molto ristretto, gli ultimi dieci anni della sua vita. Caratterizzate da un proverbiale eclettismo (con utilizzazione e recupero di quanto c di valido un po in tutte le filosofie elleniche, ad eccezione del vituperato epicureismo), le opere filosofiche di Cicerone dal punto di vista della struttura espositiva si adeguano per lo pi al genere del dialogo (di tipo aristotelico, pi che platonico, cio con lunghi tratti di pura esposizione). Svariati i temi trattati: la felicit umana (De finibus bonorum et malorum, Tusculanae disputationes), i doveri (De officiis), la natura degli dei (De natura deorum), la costituzione statale e le leggi (De republica, De legibus). Molta fortuna hanno avuto trattati pi ridotti come il De senectute, sulla vecchiaia, e il De amicitia, sullamicizia. Di diverso impiego il titolo di Dialoghi dato alle opere filosofiche di Seneca, chiamate cos (titolo gi noto a Quintiliano) perch ragionamenti, argomentazioni su varie problematiche filosofiche, secondo un senso ben documentato della parola greca dilogos e del verbo dialgomai, tutte in genere connesse con la filosofia stoica, con lo stoicismo di Posidonio e di Panezio. Anche in questo caso svariati i temi trattati: le passioni umane (De ira), la felicit umana (De vita beata), il problema del tempo e di

    25 Numerose le orazioni che ci restano, sia di accusa (il titolo prevede in + accusativo) sia di difesa (pro + ablativo).

    Alcuni esempi: In Verrem (contro Verre, rapace governatore della Sicilia), Pro Caelio, Pro Archia (in difesa del poeta Archia), Pro Milone.

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    come impiegare la vita (De brevitate vitae, De tranquillitate animi), i benefici (De beneficiis), la clemenza dei governanti (De clementia) ecc. A temi filosofici, in un contesto di carattere pi personale e biografico, sono dedicate anche le Epistole a Lucilio. Su queste due grandi figure, Cicerone e Seneca, si regge la filosofia romana come genere prosastico coltivato con una grande autorevolezza stilistica, che ha fatto scuola nei secoli.

    Epistolografia Quanto allepistolografia occorre intanto distinguere fra epistole in versi ed epistole in prosa. Entrambe erano gi presenti in ambito culturale greco anche se con connotati diversi, di maggiore letterariet. Basti qui ricordare le Lettere di Platone, nelle quali il grande filosofo professa le sue idee politiche, o le lettere, pi tarde, di Epicuro, a carattere filosofico, o le lettere di Dionigi di Alicarnasso, di tipo critico-letterario. Un genere letterario quindi, attraverso cui viene data maggiore scorrevolezza e naturalezza discorsiva alla trattazione di temi importanti, filosofici o politici o letterari. Anche le epistole poetiche, genere ancor pi letterario del precedente, erano presenti nel mondo culturale greco, specialmente in quello ellenistico, ma assumono in epoca romana (e particolarmente in et augustea) unimportanza notevole, dovuta forse anche al ruolo non indifferente che lepistola aveva nelle scuole di retorica come strumento di esercitazione stilistica ed etopeica (cio per la descrizione dei caratteri delle persone). Da svariate motivazioni scaturiscono cos le Epistole di Orazio, per lo pi bonarie, umanissime considerazioni di vita, ma in certi casi (II libro) trattazioni in forma epistolare di problemi critico-letterari (si pensi alla celeberrima Ars poetica), e le Epistulae ex Ponto e le Heroides di Ovidio, queste ultime di tuttaltro genere, quasi esercitazioni retoriche sullo schema delle suasoriae. Lepistolografia prosastica invece ondeggia fra la produzione (un vero e proprio unicum nellantichit classica) di Cicerone, specchio immediato dellanimo dello scrittore, anche perch si tratta di lettere spontanee, genuine, non destinate alla pubblicazione26, le lettere di Plinio il Giovane27, esemplate sulle lettere di Cicerone, ma animate da intenti di pi scoperta letterariet (si pensi alla lingua, che il sermo familiaris in Cicerone ed invece una lingua pi ricercata e urbana in Plinio) e destinate alla pubblicazione, e le lettere di Seneca, il quale nelle sue Epistole a Lucilio si serve della forma epistolare come di un semplice pretesto letterario per comunicare con tutti gli uomini su argomenti di vita morale.

    Trattazioni scientifiche Il campo delle trattazioni scientifiche nellantica Roma ricco di contributi di vario genere. Seguendo anche in questo caso le vie gi tracciate dalla cultura greca, si va dalle opere enciclopediche, veri e propri compendi dello scibile umano, come la Naturalis historia di Plinio il Vecchio (ben 37 libri dedicati a cosmografia, geografia, antropologia, zoologia, botanica, erboristeria, mineralogia) che ha avuto immensa fortuna specialmente nel Medioevo, a opere di carattere pi specifico e monografico, dedicate a scienze particolari, i cui autori sono Celso (medicina), Vitruvio (architettura), Pomponio Mela (geografia), Columella (agronomia), Frontino (idraulica e approvvigionamento idrico), Apicio (gastronomia). Nel I secolo d. C. ai fenomeni atmosferici, sismici e celesti dedica le sue Naturales quaestiones Seneca, mentre in epoca repubblicana un grande enciclopedista era stato Varrone, che aveva per coltivato i suoi svariati interessi in opere distinte, non in un tutto unico come avrebbe fatto Plinio. Di Varrone ci restano i tre libri della sua trattazione di agricoltura (Res rusticae), che si pu in certo modo ricollegare ad un precedente trattato di agricoltura, anchesso giunto fino a noi, di Marco Porcio Catone (II secolo a. C.). C da dire che da un punto di vista linguistico e stilistico queste opere di carattere tecnico, essendo pi interessate alla materia da trattare che al come trattarla, sono in genere poco attente ai

    26 Sono le lettere allamico Attico, ai familiari, al fratello Quinto e a Marco Bruto (784 epistole di Cicerone e 90 dei

    suoi corrispondenti). 27

    Si tratta di 9 libri di lettere a vari destinatari, cui si aggiunge un decimo libro contenente il carteggio fra Plinio e limperatore Traiano, al tempo in cui lo scrittore fu governatore della Bitinia (dal 111 al 113 d. C.).

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    lenocini e alle piacevolezze della prosa letteraria, avvicinandosi per pi versi al livello del linguaggio popolare.

    Romanzo Questo genere, anchesso di mutuazione greca, non ha avuto molta fortuna a Roma ed rappresentato, possiamo dire, da ununica opera, seppur di grande rilevo artistico, vale a dire da LAsino doro (o Metamorfosi) di Apuleio. Il romanzo in Grecia un genere che si affermato tardi, solo in epoca imperiale romana (Caritone, Achille Tazio, Longo Sofista), anche se alcune matrici sono reperibili nellet alessandrina (racconti romanzati su Alessandro Magno e narrazioni amorose novellistiche, trattate anche in poesia). Il precedente del Satyricon di Petronio non da ascrivere propriamente al genere del romanzo, anche se del romanzo presente il gusto per lavventura da parte dei protagonisti. Ma ben pi forti, nella struttura del testo di Petronio, sono i richiami alla Satira menippea (mescolanza di prosa e versi) e alla Favola milesia (carattere licenzioso e osceno di molti episodi). L Asino doro di Apuleio un romanzo a pi facce. Da una parte narra le mirabolanti avventure (spesso anche licenziose, secondo gli schemi della sopra citata Favola milesia) del protagonista Lucio, in cui lautore incarna se stesso. Costui, curiosissimo di arti magiche, tenta un esperimento mal riuscito e viene trasformato in asino prima della ritrasformazione finale in essere umano, grazie al culto per la dea Iside. A questo filone principale si intrecciano plurimi episodi di genere per lo pi comico e di carattere quasi pre-boccaccesco ma anche di tipo tragico o tragicomico (con morti e uccisioni) o di carattere sublimemente simbolico (la bellissima novella di Amore e Psiche). Dallaltra il testo apuleiano pu essere valutato come romanzo di formazione, che documenta il passaggio del protagonista da uno stadio istintivo e bestiale ad una situazione superiore, di chiarezza intellettuale e di serenit spirituale. Lo stile di grande interesse, grazie allimpiego di una lingua ricchissima di termini (anche nuovi, inventati da Apuleio), di diminutivi, di arcaismi, di grecismi, e appoggiata a schemi retorici molto raffinati, su cui domina il parallelismo delle frasi.