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HLA-B27 [Human Leukocite Antigen] Questo test è utile per determinare la presenza o l’assenza dell’ antigene HLA-B27 sulla superficie dei leucociti , come sostegno nella diagnosi di alcune patologie autoimmuni e viene usualmente richiesto in presenza di sintomi quali dolore e rigidità articolare, infiammazione cronica in alcune aree come schiena, ginocchia e gomiti, o un’infiammazione dolorosa degli occhi chiamata uveite, specialmente in pazienti di sesso maschile con esordio precoce dei sintomi (prima dei 30 anni). In pratica si è dimostrata l’associazione tra la presenza dell’ antigene HLA B27 e l’insorgenza di alcune patologie autoimmuni . HLA-B27 è una proteina specifica appartenente alla famiglia HLA (chiamata antigene leucocitario umano – da Human Leukocyte antigen) presente sulla superficie delle cellule. Il sistema dell'antigene leucocitario umano (HLA) infatti è il locus dei geni che codificano le proteine sulla superficie delle cellule che sono responsabili per la regolazione del sistema immunitario nell'uomo . L’insieme dei geni del sistema HLA è localizzato sul cromosoma 6 braccio corto, e codifica le proteine che presentano l'antigene sulla superficie cellulare (informazioni ulteriori nel capitolo Immunità delle Pillole). 1

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HLA-B27 [Human Leukocite Antigen]

Questo test è utile per determinare la presenza o l’assenza dell’antigene HLA-B27 sulla superficie dei leucociti, come sostegno nella diagnosi di alcune patologie autoimmuni e viene usualmente richiesto in presenza di sintomi quali dolore e rigidità articolare, infiammazione cronica in alcune aree come schiena, ginocchia e gomiti, o un’infiammazione dolorosa degli occhi chiamata uveite, specialmente in pazienti di sesso maschile con esordio precoce dei sintomi (prima dei 30 anni). In pratica si è dimostrata l’associazione tra la presenza dell’ antigene HLA B27 e l’insorgenza di alcune patologie autoimmuni .

HLA-B27 è una proteina specifica appartenente alla famiglia HLA (chiamata antigene leucocitario umano – da Human Leukocyte antigen) presente sulla superficie delle cellule. Il sistema dell'antigene leucocitario umano (HLA) infatti è il locus dei geni che codificano le proteine sulla superficie delle cellule che sono responsabili per la regolazione del sistema immunitario nell'uomo. L’insieme dei geni del sistema HLA è localizzato sul cromosoma 6 braccio corto, e codifica le proteine che presentano l'antigene sulla superficie cellulare (informazioni ulteriori nel capitolo Immunità delle Pillole).

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Regione HLA del cromosoma 6 situata sul braccio corto (p)

I geni HLA sono le versioni umane dei geni del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC - Major Histocompatibility Complex) che si trovano nella maggior parte dei vertebrati (e quindi sono i più studiati tra i geni MHC) e sono elementi essenziali per la funzione immunitaria. I geni in questo complesso vengono suddivisi in tre gruppi identificati con: I, II e III.

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Classi diverse hanno funzioni diverse: • gli HLA corrispondenti a MHC di classe I (A, B, e C) presentano peptidi presenti all'interno della cellula. Ad esempio, se la cellula viene infettata da un virus, il sistema HLA porta frammenti del virus sulla superficie della cellula in modo che la cellula possa essere distrutta dal sistema immunitario.

Infatti …:

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Nota: Le cellule APC (cellule che presentano l'antigene, dall'inglese Antigen-Presenting Cell) sono una classe di cellule del sistema immunitario in grado di esporre antigeni sulla propria superficie di membrana attraverso l'MHC di classe II.

Teoricamente, qualsiasi cellula nucleata è in grado di esporre antigeni sulla propria membrana utilizzando l'MHC di classe I, e dunque stimolare le cellule CD8+. Tuttavia, quando si parla di APC, si intende in particolare quelle in grado di stimolare l'attivazione dei linfociti CD4+ (i T-helper) vergini.

Le cellule dendritiche, i macrofagi e i linfociti B sono tutte cellule che esprimono MHC di classe II e possono presentare l'antigene ai linfociti T CD4+. Per questo motivo sono anche dette APC professionali. Tra tutte le cellule, le cellule dendritiche sono le più efficaci nell'attivare i linfociti T naive dal momento che macrofagi e linfociti B espongono l'antigene prevalentemente a linfociti T già attivati. Le APC non professionali non esprimono di norma l'MHC-II, ma possono farlo in seguito alla stimolazione di alcune citochine.

Questi peptidi sono prodotti da proteine digerite che sono decomposte nei proteasomi (Il proteasoma o proteosoma è un complesso multiproteico presente in tutte le cellule che ha il compito di degradare polipeptidi all'interno della cellula. Sebbene la sua funzione sia simile a quella del lisosoma, differisce da esso per alcuni motivi, tra cui la natura citologica e il tipo di composti che produce. Nel particolare, il proteasoma è un complesso proteico atto a degradare i peptidi, il lisosoma è un compartimento cellulare dotato di membrana cellulare deputato alla degradazione di svariate sostanze tramite l'azione di acidità ed enzimi proteolitici. La via proteolitica proteasomiale inizia nel citosol, dove le proteine da degradare vengono riconosciute dall'enzima ubiquitinante (UB), che funge da marcatore delle proteine da degradare nella via proteasomiale. L'attacco del peptide avviene a livello del gruppo amminico di un residuo laterale di lisina. A questo ne seguono molti altri, in modo da avere una proteina bersaglio che presenti numerosissime ramificazioni, rappresentate da residui di ubiquitina.

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Il polipeptide viene così riconosciuto dalle subunità α del proteasoma, che tramite l'idrolisi di ATP permette l'ingresso della proteina ed un suo corretto dispiegamento all'interno della struttura. Contemporaneamente le molecole di ubiquitina vengono rimosse e liberate nel citosol, per essere riutilizzate. Il prodotto finale della degradazione è una serie di peptidi di 6-10 amminoacidi di lunghezza, corrispondenti alla distanza dei siti proteolitici all'interno del proteasoma. Questa

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dunque è la seconda differenza fondamentale rispetto al lisosoma, che lide i polipeptidi in amminoacidi singoli. Il proteasoma ha la forma di un cilindro cavo, le cui due aperture sono fornite di una sorta di coperchio mobile: la proteina da degradare, legata all’ubiquitina, viene riconosciuta dal p., srotolata mano mano che viene introdotta nella sua cavità e digerita nei suoi amminoacidi da enzimi proteolitici contenuti nella sua parete).

In generale, questi peptidi sono piccoli polimeri particolari, lunghi circa 9 amminoacidi. Gli antigeni esterni presentati da MHC-I attirano cellule T assassine (chiamati anche cellule CD8 positive o linfociti T citotossici) che distruggono le cellule.

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• gli HLA corrispondenti a MHC di classe II (il sottotipo D è suddiviso in sottoregioni DP, DM, DOA, DOB, DQ e DR) presentano antigeni dall'esterno della cellula ai linfociti T. I linfociti T vengono educati e selezionati nel Timo a riconoscere il self e a non reagire a esso e questo meccanismo è fondamentale per mantenere l’omeostasi immunitaria.

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Questi antigeni particolari stimolano la moltiplicazione di cellule T-helper, che a loro volta inducono i linfociti B a produrre anticorpi contro questo antigene specifico. Gli autoantigeni sono soppressi dalle cellule T regolatorie.

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Quindi, riassumendo (osservare figura seguente), le molecole di Classe I legano peptidi

immunogenici provenienti dalla cd. via endogena, ovvero che derivano dalla degradazione delle proteine microbiche da parte del proteosoma che abbiamo visto essere una complessa struttura multienzimatica addetta alla triturazione di proteine sia endogene che esogene. I peptidi immunogenici destinati alle molecole di Classe II derivano invece dalla degradazione lisosomiale a seguito della ingestione dell’agente microbico in vacuoli endosomiali (via esogena).* gli HLA corrispondenti a MHC di classe III codificano diverse molecole che giocano un ruolo fondamentale nel processo infiammatorio; essi comprendono le componenti del complemento C2, C4, e il fattore B; fattore di necrosi tumorale (TNF)-α; linfotossina; e tre proteine da shock termico.

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Gli HLA hanno anche altri ruoli. Essi sono importanti nella difesa contro le malattie e sono la principale causa di rigetto nei trapianti di organi. Possono proteggere o non riuscire a proteggere (se sottoregolati da un'infezione) dai tumori. Le mutazioni in HLA possono essere collegate alle malattie autoimmuni (ad esempio il diabete di tipo I e la celiachia).

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A parte i geni che codificano le proteine principali che presentano l'antigene, c’è un gran numero di altri geni, dei quali molti coinvolti nella funzione immunitaria, situati nel complesso HLA. La diversità di HLA nella popolazione umana è un aspetto della difesa contro le malattie e, di conseguenza, la possibilità per due individui non imparentati di avere molecole HLA identiche su tutti i loci è molto bassa. I geni HLA sono stati storicamente identificati al fine di trapiantare organi con successo tra individui con alto tasso di somiglianza HLA.

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Il trapianto può essere:

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Ora, il termine HLA-B27 viene utilizzato anche per riferirsi al gene codificante per la proteine HLA-B27. Il test permette di determinare la presenza o l’assenza dell’antigene B27 umano sulla superficie dei leucociti in un campione di sangue venoso (infatti il 90% dei pazienti affetti da questa patologia (spondilite anchilosante) sono portatori di HLA-B27, in particolare dei sottotipi B27:02, B27:04 e B27:05. I sottotipi B27:06 e B27:09 invece non sono associati a spondilite anchilosante e per questo motivo è necessario differenziare tra i diversi sottotipi per confermare la diagnosi). Gli antigeni leucocitari umani (HLA) permettono al sistema immunitario di riconoscere le cellule “proprie” (self), in altre parole dello stesso organismo, da quelle estranee ad esso; distinguono quindi il “self” dal “non self”, cioè il “proprio” dal “non proprio”. Ogni individuo ha una combinazione di antigeni HLA specifica, presente sulla superficie dei leucociti e su altre cellule nucleate, distintiva per ciascuna persona. L’antigene HLA-B27 è presente in frequenze variabili nella popolazione mondiale, ed in circa l’8% delle persone di razza caucasica. La sua presenza, come anticipato, è associata a patologie autoimmuni come la spondilite anchilosante, l’artrite reumatoide giovanile, l’artrite reattiva e l’uveite anteriore acuta ma è presente anche in pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile e in altre patologie croniche. La spondilite anchilosante e l’artrite reattiva sono entrambe patologie croniche e progressive , presenti più frequentemente negli uomini. I primi sintomi si manifestano precocemente, in genere prima dei 30 anni. Spesso questi sintomi precoci sono subdoli e di difficile identificazione, manifestandosi con le caratteristiche alterazioni ossee e articolari visibili all’esame radiografico solo dopo alcuni anni.

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•La spondilite anchilosante è caratterizzata da dolore, infiammazione ed

irrigidimento graduale della spina dorsale, del collo e del torace.

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Nei casi più nei casi più gravi, provoca una vera e propria fusione delle

articolazioni.

•L’artrite reattiva (Sindrome di Reiter) è caratterizzata da un gruppo di sintomi tra i

quali infiammazione articolare, dell’uretra e degli occhi, oltre che da lesioni della

pelle.

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Sebbene l’antigene HLA-B27 non sia responsabile di queste patologie, la sua

presenza è stata associata a queste patologie. Per esempio, sebbene solo il 6% delle

persone abbia HLA-B27, l’80% circa delle persone con spondilite anchilosante è

positiva per questo antigene. Il test HLA-B27 viene spesso associato ad altri esami,

con lo scopo di fornire un quadro diagnostico più completo di patologie associate a

dolori articolari cronici, infiammazione e rigidità. Questi test includono Fattore

Reumatoide, VES (velocità di eritrosedimentazione), PCR (proteina Creattiva), anticorpi

anti-citrullina.

Un risultato positivo associato a sintomi quali dolore cronico, infiammazione,

degenerazione ossea, è probabilmente indicativo di una patologia autoimmune

come la spondilite anchilosante (dal greco spondylos vertebra, colonna anche nota come

morbo di Bechterew) o l’artrite reattiva. Ciò è particolarmente verosimile se il paziente

è giovane, di sesso maschile e se i sintomi sono sopraggiunti entro i primi quaranta

anni di vita.

Un risultato negativo non può tuttavia escludere del tutto la patologia

autoimmune; esiste una piccola percentuale di casi in cui tali patologie sono presenti

in assenza di tale antigene.

In maniera analoga, la presenza dell’antigene in persone che non manifestano alcun

sintomo, non è clinicamente significativa. La presenza o l’assenza di specifici geni

HLA è determinata geneticamente ed è pertanto ereditaria. Se due membri della

stessa famiglia sono positivi per HLA-B27 e uno dei due sviluppa una malattia

autoimmune, allora è molto probabile che l’altro componente della famiglia sviluppi

la stessa patologia.

Quali sono le cause delle patologie autoimmuni?

Nella maggior parte dei casi, le cause non sono note. Tuttavia, in alcuni casi di

artrite reattiva è stata vista un’associazione con una pregressa infezione da

microrganismi, come Chlamydia, Campylobacter, Salmonella o Yersinia. Esiste, 32

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infatti, una somiglianza tra gli antigeni presenti sulla superficie dei microrganismi e

l’antigene HLA-B27, presente sulle cellule dei tessuti del paziente, contro i quali il

sistema immunitario si attiva, dopo la risoluzione dell’infezione.

RICAPITOLANDOGli antigeni leucocitari umani (HLA) sono antigeni tissutali del complesso

maggiore di istocompatibilita (MHC).

Cos’è il MHC?

Nel DNA dei vertebrati (per l’uomo nel braccio corto del cromosoma 6), e anche di

qualche invertebrato, si trova un gruppo di geni che prende il nome di Complesso

Maggiore di Istocompatibilità (MHC, dall’inglese Major Histocompatibility

Complex). Istocompatibilità significa compatibilità dei tessuti, infatti questi geni

influenzano la buona riuscita dei trapianti e l’eventuale rigetto a seguito degli stessi.

Questi geni codificano, cioè danno le informazioni necessarie, per produrre e

posizionare correttamente proteine che vengono espresse sulla superficie delle

cellule dell’organismo e che sono poi riconosciute dai linfociti T. I linfociti T quindi,

in base alle proteine che individuano sulla superficie delle altre cellule, distinguono le

cellule self (cioè dell’organismo stesso) da quelle non-self (cioè estranee). Le cellule

riconosciute come estranee vengono poi attaccate e questo meccanismo è alla base sia

della difesa dai patogeni, sia del rigetto di tessuti trapiantati, sia di alcuni meccanismi

autoimmuni (in questo caso i linfociti T si sbagliano e attaccano come estranee cellule che

invece non lo sono).

Antigeni MHC, MHC umano (HLA) e classificazione

Le proteine che sono codificate dai geni del MHC sono dette antigeni MHC e

nell’uomo l’insieme di tali antigeni prende il nome di sistema dell’Antigene

Leucocitario Umano (HLA, dall’inglese Human Leukocyte Antigen). Possiamo

distinguere:33

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- antigeni HLA di classe I (gli HLA-A, HLA-B, HLA-C), espressi in tutte le cellule

nucleate dell’organismo;

- antigeni HLA di classe II (HLA-DP, HLA-DQ, HLA-DR), espressi sulla

superficie di macrofagi, linfociti B e cellule dendritiche;

- antigeni HLA di classe III, che codificano per altre proteine: alcune citochine, tra

cui il famoso fattore di necrosi tumorale alfa (TNFα, dall’inglese tumor necrosis

factor alpha) e alcuni componenti del complemento (il sistema del complemento è un

meccanismo di difesa dalle infezioni costituito da proteine plasmatiche che interagiscono tra loro e

con le membrane delle altre cellule e sono in grado di attivare con reazioni a cascata la

neutralizzazione dei patogeni).

Polimorfismo genetico del MHC

I geni del MHC (e quindi dell’HLA) sono polimorfici, cioè per ciascun gene HLA

esistono diversi alleli. In altre parole, per ciascun HLA esistono diversi tipi. Quindi

per ciascun gene HLA (e conseguentemente per ciascun antigene HLA) ci sono diverse

possibilità:

- non averlo;

- averlo di un determinato tipo;

- averlo di un altro determinato tipo.

Ad esempio, per quanto riguarda il gene HLA-B, ne esistono diverse varianti indicate

con numeri, ad esempio la variante 27 o la variante 53 del gene HLA-B (e

conseguentemente dell’antigene) sono detti HLA-B27 e HLA-B53. Esistono poi, per

ciascuna variante, molti sottotipi, che si indicano sempre con numeri (altre due o tre

cifre che si aggiungono a quelle della variante). Quindi, parlando dei sottotipi dell’HLA-

B27, vengono indicati con diciture come HLA-B2701, HLA-B270 e, data la

numerosità dei sottotipi, che superano il centinaio, viene utilizzata la dicitura con il

segno del due punti tra variante e sottotipo , ad esempio HLA-B27:01 o HLA-

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B27:105, in modo da non fare confusione e separare correttamente le 4/5 cifre.

Considerando tutte le varianti e i sottotipi dell’HLA-B, sono stati identificati oltre

1000 alleli per questo gene.

IL FAMIGERATO HLA-B27 E LE MALATTIE AUTOIMMUNI

Tipizzazione HLA e patologie autoimmuni

La positività di specifici antigeni HLA è stata associata ad un aumentato rischio di

sviluppare determinate patologie autoimmuni. Infatti il sistema HLA è alla base della

distinzione, da parte del nostro sistema immunitario, di ciò che è self da ciò che non

lo è. Le malattie autoimmuni sono caratterizzate da anomalie nel riconoscimento del

self e del non-self: il sistema immunitario identifica come estranei cellule e tessuti

propri, che vengono così attaccati e danneggiati.

HLA-B27 e patologie correlate

L’antigene HLA-B27 è correlato ad un aumentato rischio di diverse patologie

autoimmuni e autoinfiammatorie, prima tra tutte la spondilite anchilosante. Si

associa inoltre ad aumento del rischio di sviluppare spondiloartriti in genere, artriti

reattive, psoriasi, uveite anteriore, morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa, Artrite

Idiopatica Giovanile…

HLA-B27 e spondilite anchilosante, quale rapporto

L’associazione più forte tra una determinata patologia e uno specifico antigene HLA

è proprio quella tra HLA-B27 e spondilite anchilosante; infatti il 90% circa di chi ha

la spondilite anchilosante è positiva all’antigene HLA-B27. Quindi, avere la

spondilite anchilosante indica una fortissima probabilità di avere l’antigene HLA-

B27 sulla superficie delle proprie cellule nucleate. Ma vale anche il contrario? In

quale misura avere questo antigene rende più probabile sviluppare la spondilite

anchilosante? In Italia, la spondilite anchilosante colpisce all’incirca lo 0.2% della 35

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popolazione generale (1 su 500). Se consideriamo solo le persone positive

all’antigene HLA-B27, all’incirca il 2% di loro sviluppa la spondilite anchilosante (1

su 50). Possiamo dire quindi che la positività all’antigene HLA-B27 comporta un

rischio di sviluppare spondilite anchilosante dieci volte tanto quella della popolazione

generale. Se consideriamo gli HLA-B27 positivi che hanno un parente di primo grado

con spondilite anchilosante, allora la probabilità di sviluppare la spondilite

anchilosante sale al 20% (1 su 5). Questo perché non tutti i sottotipi di HLA-B27 si

correlano ad un aumentato rischio di sviluppare spondilite anchilosante. Se si ha

l’HLA-B27 e si hanno familiari HLA-B27 positivi affetti da spondilite anchilosante,

allora probabilmente si tratta di uno di quegli specifici sottotipi di HLA-B27 che vi si

correlano e il rischio aumenta rispetto all’avere un qualunque HLA-B27. Rispetto ad

uno specifico sottotipo, la correlazione è più o meno forte anche in base all’alta o

bassa espressione dell’antigene (che potrebbe essere presente in gran numero sulla superficie

cellulare oppure essere meno presente). Considerato comunque che 1 paziente con

spondilite anchilosante su 10 non ha l’HLA-B27, sarebbe assurdo anche escludere la

diagnosi di spondilite anchilosante sulla base della negatività a questo antigene. Per

contro risulta logico ed evidente che questo antigene non può essere utilizzato come

elemento diagnostico per la spondilite anchilosante. Fa però punto per le

spondiloartriti indifferenziate, al pari della familiarità per spondilite, insieme a

caratteristiche cliniche e sintomi vari.

Per quale meccanismo l’HLA-B27 aumenta il rischio di sviluppare la spondilite

anchilosante?

Su questo argomento al momento ci sono delle ipotesi credibili, basate sul fatto che le

infezioni da alcuni patogeni (come Klebsiella, Chlamydia, Campylobacter, Salmonella o

Yersinia lebsiella e Shigella) si correlino allo sviluppo di spondiloartriti negli HLA-

B27 positivi. Sembra che da questi agenti infettivi derivino molecole che hanno una

parte identica a una porzione dei sottotipi incriminati di HLA-B27. I peptidi derivati

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dai patogeni in oggetto vanno quindi a confondere il sistema immunitario di chi ha

questo antigene rispetto al self e non-self, con induzione di autoimmunità (mimetismo

molecolare con induzione di autoreattività nei confronti di un antigene self). È piuttosto

accreditata anche l’ipotesi che alcuni sottotipi di HLA-B27, per le loro particolari

proteine di ancoraggio, leghino specifici peptidi artritogenici, forse di origine

infettiva, che innescano la reazione autoimmune a livello articolare ( peptide

artritogenico ) . Altra ipotesi verosimile è che le catene pesanti dell’HLA-B27 siano

soggette a frequenti errori di assemblaggio e per questo “stressino” il reticolo

endoplasmatico portando ad una serie di reazioni a catena che hanno come risultato la

sintesi di citochine pro-infiammatorie (una sorta di messaggeri che innescano e

mantengono le infiammazioni), come il tnf-alfa.

Ci sono poi ipotesi che prevedono un ruolo dell’HLA-B27 nella selezione timica dei

linfociti o una sua interazione con altri linfociti. Insomma, le ipotesi sono varie e

l’una non esclude l’altra.

Curiosità

L’HLA-B27 si correla anche a qualcosa di buono: alcuni studi dimostrano che gli

HLA-B27 positivi che contraggono il virus dell’immunodeficienza umana (HIV)

hanno ottime probabilità di non sviluppare AIDS conclamata. Sembra che questo

antigene svolga una attività protettiva rispetto a questa gravissima malattia.

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