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Guida ai vecchi mestieri per nuovi imprenditori Mille nodi cento colpi _________________________________________________________________ Il territorio montano e il suo rinnovamento – cod. PS IT-G2-MAR-028 1 MACROFASE M7 “LO SVILUPPO ED I VECCHI MESTIERI” A cura dell’Associazione Tartufo e Sviluppo Rurale Assistenza tecnica Cooperativa Arancia Blu Guida ai vecchi mestieri per nuovi imprenditori Mille nodi, cento colpi X

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Guida ai vecchi mestieri per nuovi imprenditori Mille nodi cento colpi _________________________________________________________________ Il territorio montano e il suo rinnovamento – cod. PS IT-G2-MAR-028

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MACROFASE M7 “LO SVILUPPO ED I VECCHI MESTIERI”

A cura dell’Associazione Tartufo e Sviluppo Rurale

Assistenza tecnica Cooperativa Arancia Blu

Guida ai vecchi mestieri per nuovi imprenditori

Mille nodi, cento colpi

X

Guida ai vecchi mestieri per nuovi imprenditori Mille nodi cento colpi _________________________________________________________________ Il territorio montano e il suo rinnovamento – cod. PS IT-G2-MAR-028

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INDICE:

1. Introduzione ……………………………………………………..………………………….. p. 3

2. Analisi del territorio

2.1 Premessa ………………………………………………………………………….………… p. 4

2.2 La promozione della cultura locale …………………….………...…………………… p. 6

2.3 Il museo dei vecchi mestieri ……………………………………….…………………… p. 6

2.4 I mestieri analizzati

2.4.1 Cestaio …………………………………………..…………………………………… p. 7 2.4.2 Fabbro ………………………………………………….…………………………….. p. 8 2.4.3 Sellaio ……………………………………………………..…………………….…… p. 9 2.4.4 Apicoltore ……………………………………………...……………………………. p. 10 2.4.5 Falegname ……………………………………………………...………………...…. p. 10 2.4.6 Fornaio ……………………………………………………….……………………… p. 10 2.4.7 Ceramista ……………………………………………………………………………. p. 11 2.4.8 Tessitrice …………………………………………………………………………….. p. 11 2.4.9 Polentari …………………………………………………………...………………… p. 12 2.4.10 Tartufai ………………………………………………………………………..…… p. 12 2.4.11 Carbonaio ………………………………………………………..………………… p. 13 2.4.12 Cappellaio …………………………………………………………..………….…. p. 15 2.4.13 Cordaio …………………………………………………………………………..…

p. 16

3. Modello di trasferimento delle competenze

3.1 Introduzione ……………………………………………………..………………………… p. 17

3.2 Intervento di orientamento a favore degli anziani ………………………………..... p. 18

3.3 Interventi formativi a favore dei giovani ……………………………………….…….

p. 18

4. Bibliografia ………………………………………………………………………..………….. p. 22

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1. INTRODUZIONE Il progetto "Il territorio montano e il suo rinnovamento" (Iniziativa Comunitaria EQUAL FASE II)

ha come obiettivo principale la diffusione di strumenti innovativi utili per combattere tutte le forme

di discriminazione nel contesto del mercato del lavoro e per promuovere eguali opportunità di

accesso, intervenendo sul disagio sociale dei giovani che vivono nelle aree montane e marginali

della Comunità Montana del Catria e del Nerone. Tra le diverse azioni previste per il

raggiungimento di tale obiettivo, vi è quella de “Lo sviluppo ed i vecchi mestieri”, le cui sub-azioni

sono:

• analisi dei vecchi mestieri;

• interventi formativi agli anziani, per formarli nel trasferimento delle loro competenze;

• interventi formativi a favore dei giovani, per favorire il trasferimento i mestieri;

• realizzazione di una guida innovativa ad uso dei giovani ed agricoltori sulle tecniche, i

prodotti e i saperi in via di “estinzione”.

In questa macrofase, abbiamo lavorato sia con gli anziani agricoltori ed artigiani, sia con i giovani a

cui sono stati trasferiti i c.d. vecchi mestieri che potrebbero diventare un mezzo molto interessante

per la creazione di impresa.

I vecchi mestieri sono un patrimonio quasi completamente abbandonato, con un danno grave per la

popolazione locale, sia a livello economico, culturale, storico e di identificazione con un territorio.

I nostri giovani invece sono molto propensi a dimenticare facilmente e rompere i legami con la

propria terra e le proprie radici.

Come prima tappa è stata realizzata una indagine volta al censimento dei vecchi mestieri che

realmente si possono trasferire e che hanno una loro validità economica.

Sono stati individuati degli anziani portatori di vecchi saperi, ai quali è stato fatto un breve corso di

formazione sulla comunicazione interpersonale per facilitare l’attività di docenza verso i giovani

intenzionati ad apprendere queste `nuove` conoscenze.

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L’obiettivo dell’azione è il recupero degli “antichi mestieri” attraverso la riqualificazione di

produzioni che vanno scomparendo e il riavvicinamento delle nuove generazioni ad attività con

elevato contenuto di professionalità, con una attenzione particolare alla tutela e alla salvaguardia

dell’ambiente e delle risorse locali.

Si è effettuato un itinerario alla scoperta degli antichi mestieri che, oltre a offrire momenti di svago

ricreativo, ha proposto momenti di riflessione sull'economia locale, attraverso l'osservazione diretta

e l’ascolto di testimonianze all'interno dei laboratori artigianali ancora attivi.

Il trasferimento di competenze fra generazioni è avvenuto con la metodologia

dell`accompagnamento (mentoring) e Coaching, attraverso cioè la riproduzione pratica del vecchio

mestiere.

2. ANALISI DEL TERRITORIO INTERESSATO

2.1 PREMESSA

Il territorio non è una superficie piatta su cui l’uomo esplica le sue attività, ma un condensato di

significati, intenzioni, forme, che si sono intrecciati e stratificati in funzione dei fenomeni naturali

ma soprattutto in funzione dell’operato delle diverse civiltà, dei gruppi sociali e dei relativi modi di

produzione.

“Leggendo” con occhi attenti il territorio del Catria e Nerone è possibile accorgersi di tutto ciò;

l’area in questione si presenta come "libro" aperto sulla storia locale e su quella del rapporto cultura

- natura, con la sua stratificazione di popolazione e civiltà costituita da una trama fitta di beni

ambientali, urbanistici, architettonici (borghi, pievi, case-torri, ruderi di castelli, ecc. ..) e del

patrimonio tradizionale.

Indubbiamente la bellezza e la varietà dei paesaggi, la ricchezza geologica, l'interesse della

copertura forestale, l'ecosistema frutto dell'intreccio tra fattori biotici ed abiotioci climatici ed

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antropici, ne fanno un'area di valore unico che ha bisogno, però, di una precisa iniziativa di

rivalutazione sociale e culturale.

L’area geografica del Catria e Nerone si trova entro un’importante area di demarcazione

geomorfologia e biogeografia; si tratta infatti del settore confinale tra l’Appennino centrale e

l’Appennino settentrionale.

In questi luoghi l’orografia tipica dell’Appennino calcareo Umbro - marchigiano si affianca alle

aree marnoso - arenacee dell’Appennino Tosco – Romagnolo -Emiliano.

Dal punto di vista geografico il confine si localizza presso il valico di Bocca Serriola, un poco più a

nord del Catria. E’ qui infatti che ha inizio la breve ma significativa coesistenza dei due crinali

montuosi, l’uno accanto all’altro. Così, dal valico suddetto in direzione sud est, lo spartiacque

dell’Appennino Settentrionale viene affiancato, ad oriente, dalla dorsale carbonatica del Catria e del

Nerone.

La linea di demarcazione tra le due tipologie geomorfologiche, geologiche e podologiche è evidente

e netta, laddove le pieghe arenacee delle Serre di Burano scorrono parallele ai massicci calcarei

della dorsale Catria - Nerone. Lo spettacolare cambiamento paesaggistico si consuma talvolta nello

spazio di pochi metri, la larghezza del letto di un torrente. A destra e a sinistra del corso d’acqua, in

tutta evidenza, vi sono mondi diversi. Più arido, rude, petroso e colorato il calcare, più umido,

verdeggiante e boscato il marnoso arenaceo. Nel corso d’acqua, frammisti, ciottoli arrotondati di

entrambe le tipologie: pezzi di Toscana e di Romagna, mischiati con frammenti di Marche e

Umbria.

Questo stato di cose rappresenta una peculiarità della parte più spiccatamente montana

dell’Appennino Pesarese e si estrinseca in tutta l’area che vede la dorsale delle Serre fiancheggiare

la catena del Catria. Per quanto riguarda l’area interessata, tale peculiarità si manifesta con assoluta

evidenza proprio al centro del territorio del Comune di Cagli.

Quindi, ad una diversità geologica e morfologica corrisponde una conseguente diversità biologica

(biodiversità ). La biodiversità di un territorio porta un conseguente arricchimento delle tradizioni

agricole, agroalimentari e della cultura rurale di un luogo.

Questo frammento di Appennino è visto come luogo di elezione della varietà paesaggistica della

ricchezza biologica, della memoria storica, luogo di passaggio e crogiuolo di culture e popoli della

montagna italiana, dove la tradizione rurale si sposa con le emergenze architettoniche del

rinascimento.

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2.2 PROMOZIONE DELLA CULTURA LOCALE

“Un altro fattore di successo dell’area su cui sarà mirata l’azione degli interventi , è dato dalla

disponibilità di risorse umane … Le attività artigianali di produzioni tipiche locali rappresentano

già un fattore di successo e costituiscono una risorsa produttiva, non solo da tutelare … ma anche

da valorizzare dal punto di vista della qualità e dell’immagine da consolidare sul mercato. La

valorizzazione di attività di artigianato tradizionale, quali ad esempio le produzioni artistiche ed i

prodotti tipici, locali, avrebbe inoltre un effetto indotto sul turismo e viceversa. “

Tale brano, estrapolato dal progetto LEADER II “Piano di Azione Locale Montefeltro Leader”

(regolamento), permette di apprezzare ancora di più il nostro territorio in cui uomo e l’ambiente

riescono a convivere armoniosamente.

Il progresso, nella maggior parte dei casi, non ha cancellato le tracce di antiche tradizioni e antichi

mestieri, che continuano a caratterizzare fortemente la cultura popolare.

La valorizzazione di tali antichi mestieri, pertanto, può offrire significative occasioni di lavoro

qualificato, tutelando al contempo attività particolari, legate al rispetto delle culture locali e

dell’ambiente.

Girovagando per la provincia si possono incontrare lavori che nascono dalla pura passione di

persone che dando sfogo alla propria fantasia e professionalità, arricchiscono il mondo in cui

viviamo con creazioni e prodotti unici.

2.3 IL MUSEO DEI VECCHI MESTIERI DI SANT'ANGELO IN VADO

Sono i sotterranei di Palazzo Mercuri di Sant'Angelo in Vado a ospitare il Museo dei Vecchi

Mestieri, nato negli anni Ottanta da una prima raccolta di materiali di lavori artigianali da poco

dimessi, per opera dalla locale Pro Loco.

Il museo è stato rinnovato per volere della comunità montana dell'Alto Metauro e da pochi giorni ha

riaperto i battenti in una veste inedita, organica e con un nuovo percorso museale, grazie alla

ricostruzione fedele dei laboratori di attività artigianali presenti da secoli a Sant'Angelo in Vado.

Il percorso museale individua nell'iconografia dei santi protettori delle singole "arti" la chiave per

proporre il quadro espositivo di strumenti e manufatti propri di ogni mestiere: la devozione religiosa

del mondo artigianale, infatti, finì per raffigurare il santo patrono intento al lavoro.

A Sant'Angelo in Vado hanno operato diverse corporazioni: dagli orafi ai falegnami, dagli ebanisti

agli incisori, dai mobilieri ai calzolai con tutte le divisioni interne (conciatori, sellai, guantai).

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Quella degli orafi è stata la più importante e prestigiosa corporazione locale, basti pensare che nel

1700 erano attive oltre 30 botteghe.

2.4 MESTIERI ANALIZZATI

Da un’ attenta analisi del territorio, sono stati analizzati alcuni mestieri che più caratterizzano la

nostra cultura e la nostra tradizione.

Nello specifico:

℘ cestaio

℘ fabbro

℘ sellaio

℘ apicoltore

℘ falegname

℘ fornaio

℘ ceramista

℘ tessitrice

℘ polentaro

℘ tartufaio

℘ carbonaio

℘ cappellaio

℘ cordaio

2.4.1 Cestaio E' l'artigiano esperto nel creare cesti di pagliai e di vimini, fondamentali per molti lavori dei campi e

nelle case contadine.

Con mani sapienti, i cestai intrecciavano questi cesti. Il materiale veniva reperito durante il mese di

agosto, lungo i greti dei torrenti, e messo ad asciugare al sole. Il tipo di lavorazione dipendeva

dall’uso che del cesto si intendeva fare: ad esempio, il cesto usato per portare il letame nei campi

veniva intrecciato in modo grezzo e rado, mentre quelli destinati a contenere alimenti o cose

minute, venivano fittamente intrecciati.

In verità, non si trattava di un vero e proprio mestiere, quanto piuttosto di un’abilità comune a molti

contadini che vi si dedicavano nei momenti di pausa e riposo.

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Oggi è difficile trovare chi costruisce cesti, soprattutto perché questi manufatti, non più

indispensabili, sono diventati meri oggetti da collezione ed elementi decorativi nell’arredamento.

2.4.2 Fabbro Un mestiere tipico della civiltà contadina, sia per la produzione di attrezzi da campagna che per

ferrare i quadrupedi.

Per quest’ultima attività ci voleva bravura, serietà e oculatezza, altrimenti si metteva a repentaglio

l’incolumità della bestia, l’interesse del proprietario e, soprattutto, il proprio buon nome. Prima di

tutto produceva decine di ferri per i quadrupedi da soma e da tiro, che metteva esposti su una lista

fissata al muro, nella bottega, a seconda delle diverse misure.

Quando arrivava il contadino per cambiare i ferri al suo mulo, l’artigiano, con il grembiule di pelle,

per prima cosa toglieva i ferri vecchi e poi, tagliava le unghie eccedenti, le spianava, quindi,

applicava il ferro nuovo, che inchiodava con la dovuta precauzione e precisione per evitare che i

chiodi, oltrepassando lo strato d’unghia, andassero a ledere la parte viva dello zoccolo. In tal caso,

avrebbe azzoppato la bestia.

Dopo, con la tenaglia, tagliava le punte dei chiodi che venivano fuori e il resto lo ripiegava sullo

zoccolo stesso. Per lavorare il ferro, l’artigiano lo immergeva sotto la brace di carbon fossile sino a

che si arroventava e diventava malleabile. Quando si trattava di un pezzo consistente da spianare e

ridurre a piastra sottile, su quel pezzo intervenivano contemporaneamente due e, se necessario, tre

operai (il mastro e due lavoranti), che, con una cadenza ritmica, frenetica e precisa, battevano con la

mazza sullo stesso punto senza scontrarsi.

L’incudine su cui si lavorava era ben piazzata su un grosso tronco d’albero pesante, difficilmente

spostabile.

Oltre che per l’incudine, la bottega si caratterizzava per la presenza della fucina a mantice, azionato

con un pedale da un apprendista.

Il fabbro cominciava a lavorare la mattina presto e il suono dei suoi colpi si diffondevano in tutto il

paese.

Aveva a che fare con tutti, perché numerosi erano gli attrezzi che costruiva per altri lavoratori:

aratri, martelli per muratori, picconi, falci, zappe, scalpelli, paramene, scuri, ecc.

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2.4.3 Sellaio Il territorio del Montefeltro è costellato da laboratori di piccoli artigiani, che sviluppano la loro

passione, difendendo un patrimonio di conoscenze che rischiano di perdersi. Come quella del

sellaio… antico mestiere ormai in disuso e sopravvissuto solo grazie alla produzione di finimenti

per cavalli da corsa.

Quando era un mestiere diffuso, il sellaio preparava in modo artigianale e professionale finimenti

per cavalli curando anche la consegna diretta ai contadini.

I materiali usati erano il cuoio, la paglia e il legno. Il pagamento avveniva di frequente in natura con

uova, pollame e frutta.

Questa attività era svolta da modesti artigiani che lavoravano soprattutto nei paesini dove più

immediato era il contatto con le popolazioni rurali.

Malgrado ciò e malgrado le modeste dimensioni si è attuata una selezione lasciando solo quelli più

esperti che, come tanti lavori, si tramandavano di generazione in generazione.

Il lavoro principale consisteva nel fare le cosiddette "collane" per i cavalli.

Si lavorano paglia, crine vegetale (anche riciclandolo da vecchi materassi) e cuoio; mentre gli

attrezzi del mestiere sono robusti aghi, filo speciale e vari attrezzo da taglio.

Le selle non sono l'unico prodotto, ci sono anche scarponi, zaini e cinturoni. Utili accessori per la

caccia e per l'equitazione, insomma. Lo stile è sempre quello maremmano.

Veniva fatto una specie di vestito cucendo il cuoio con il sacco e riempiendolo di paglia; veniva poi

data la forma e venivano attaccati dei legni della misura del collo del cavallo.

La parte con la tela costituiva l'interno della sella, a contatto con il collo per assorbire il sudore

dell'animale.

Il cuoio invece era all'esterno sia per motivi estetici, ma soprattutto perché era un elemento duraturo

a contatto con le intemperie.

C'è un piccolo laboratorio artigiano a Pianello di Cagli, ove cuoio, crine vegetale e paglia sono le

materie prime lavorate. Qui opera Maurizio Nicoletti, un sellaio appunto (come esso stesso si

definisce). Il suo mestiere consiste nel confezionare (o riparare) selle per cavalli in stile

Maremmano. Ovviamente la produzione è tutt'altro che industriale: "Si lavora piú che altro su

commissione - ricorda l'interessato - ovviamente per un pubblico di appassionati. Il lavoro è

talmente tradizionale che impiega anche nove giorni prima di portare alla luce una sella. I clienti

sono sempre soddisfati, ed io anche, visto che, oltre a fare ciò che mi appassiona, capisco che

mantengo in vita la memoria di mestieri che andrebbero altrimenti perduti. Pensate che in Italia

siamo rimasti in quattro a svolgere questa attività".

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Gli acquirenti provengono da tutta Italia, particolarmente dalla zona di Roma.

"Solitamente parto dal nulla. Oppure da una semplice imbottitura di crine" – ha dichiarato Nicoletti

- testimonianza della profonda maestria acquisita nel corso degli anni.

Il crine è un tessuto resistente e morbido al tempo stesso, utilizzato per imbottire i materassi dei

nostri nonni, in mancanza di materiale piumoso.

Non sono mancate in passato occasioni in cui il Sig. Nicoletti ha messo a disposizione degli

interessati la sua maestria, con l'obiettivo di diffondere e preservare nel tempo conoscenze e

capacità purtroppo in estinzione.

2.4.4 Apicoltore Diventare apicoltore non é una decisione ma é una passione che spinge verso il mistero della natura

e della sua capacità di perpetrarsi ed evolversi.

Molti professionisti sono prima divenuti apicoltori amatoriali. Il loro passaggio alla professione,

come scelta di vita, presenta tanti rischi e incertezze. Per essere "iniziati" all'apicoltura servono,

oltre alla passione, le api, l'attrezzatura, un luogo idoneo.

Per localizzare una zona adatta al posizionamento del nostro apiario, dobbiamo tener conto della

biologia degli insetti. Necessitano di fioriture nell'arco delle stagioni entro 3 km. di distanza ( non

qualsiasi fioritura, ma specie produttrici di polline e nettare abbondante), una sorgente d'acqua, un

luogo soleggiato ( in estate magari riparato da qualche pianta a foglia cedue), non troppo ventilato.

2.4.5 Falegname I falegnami del passato lavoravano tutto a mano. A mano segavano le assi, a mano inchiodavano.

Quando si trattava di lavori pesanti, come portoni, armadi, eccetera, bisognava mandare giù grosse

viti, che dovevano penetrare profondamente nel legno, con il cacciavite a mano.

E finché si trattava di legno d'abete poteva anche passare, ma quando si trattava di castagno, noce o

altro legno bisognava mettercela tutta, specie se erano viti grosse e lunghe. Di sudore ne colava

parecchio.

2.4.6 Fornaio Il fornaio era un lavoro semplice, senza molte complicazioni, umile e faticoso che, tuttavia,

richiedeva esperienza, tanta esperienza e assiduità.

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Quando il forno veniva riaperto per sfornare il pane caldo, appena cotto, si diffondeva nell’aria e

tutt’intorno il profumo e la fragranza di cose buone.

I nostri fornai svolgevano un’attività molto faticosa, conducevano una vita modesta, umile, ma

quanta capacità, quanta esperienza e attitudine ci mettevano per far sì che dal loro forno venisse

fuori un pane ben cotto e senza alcun difetto, soprattutto senza bruciature.

2.4.7 Ceramista Un tempo il mestiere doveva rispondere prioritariamente alle esigenze della vita quotidiana.

Tali esigenze erano quelle di conservare, cuocere, trasportare ogni tipo di bevande, liquidi e

alimenti. Ogni oggetto aveva dunque una sua destinazione d’uso ben definita.

Nel nostro territorio vi fu un forte sviluppo di questo tipo di artigianato, poiché l’argilla era

facilmente reperibile e, grazie alla presenza di boschi che fornivano tutta la legna necessaria, anche

facilmente cuocibile.

Il ceramista per realizzare i suoi oggetti impastava la terra, la sgrassava con segatura e con

combustibili minerali e modellava la pasta con le mani e il tornio, oppure usando degli stampi, o

ancora per fusione.

Il tornio del ceramista è solitamente verticale ed è costituito da un’asse che collega un piatto

circolare superiore con un disco inferiore in legno che viene fatto ruotare con i piedi, dandogli la

velocità necessaria per far “montare” il pezzo.

2.4.8 Tessitrice Sono ormai molti decenni che questa attività nata per esigenze familiari, ebbe man mano sviluppo e

notorietà.

In tutti i paesi della valle si svolgeva la tessitura con la lana delle pecore. La tessitura a telaio era

praticata in molte famiglie infatti molte di queste avevano nelle loro abitazioni il telaio.

Le tessitrici con il loro lavoro rinnovavano un rituale di passaggi e intrecci, colpi ritmati che, visti

da fuori, assomigliavano ad una antica danza.

Il telaio era di legno ed era un attrezzo di origine antichissima, un po’ complesso e di una certa

grandezza; era costituito da quattro ritti, tenuti insieme da altrettanti raccordi trasversali.

Nella parte bassa, a pochi centimetri dal suolo, si trovavano due lunghi pedali collegati da una corda

e da regoli mobili uniti a loro volta a tanti fili provenienti da un asse.

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2.4.9 Polentari Il granoturco, meglio conosciuto come mais (Zea Mais), è un importante cereale utilizzato

nell'alimentazione zootecnica, abbondantemente modificato e migliorato dalla genetica tanto da

credere che ne esistano due specie in natura: quello ibrido (proveniente dagli stati Uniti) e quello

"nostrano".

Ed è a questa seconda qualità che ci rifacciamo, visto che dalla macinatura di questi chicchi

proviene la Polenta, piatto povero ma ricco di storia, ed in effetti i primi piatti di polenta hanno una

origine molto lontana risalente alla scoperta del fuoco, da parte dell'uomo, e quindi alla relativa

cottura di questo alimento.

Tanto basta per dire che attraverso le varie tradizioni regionali si può ricostruire l'origine storica dei

nostri popoli.

Le origini della polenta sono incerte e, la leggenda narra che un cavaliere crociato, reduce dalla

Persia portò con se, a Venezia, alcuni chicchi di questo cereale che fu, dapprima benedetto e poi

seminato.

Con più certezza possiamo affermare che la storiografia racconta di Cristoforo Colombo, al quale,

una volta sbarcato in America, furono offerti, da parte di principi e sacerdoti Maya e Aztechi,

pannocchie e chicchi di granoturco ben cucinate.

Oggi, questo piatto ricco di tradizione e storia, è ancora tramandato da padre a figlio sia nel modo di

cucinarlo che per i condimenti abbinabili (e sono molti) ha portato la polenta, nella ricetta

tradizionale, ad essere un piatto molto prelibato e molto richiesto anche da popolazioni straniere.

2.4.10 Tartufai Giacobbe, secondo taluni, fu il primo esperto di tartufi (terfeziacee); egli visse circa 1600 anni

prima di Cristo,dopo di lui vennero,i Greci,i Traci e i Libici. Il tartufo ottenne la consacrazione

gastronomica vincendo nel IV secolo avanti Cristo il primo premio di un concorso gastronomico ad

Atene con il piatto "Pasticcio Tartufato alla Chiromene".

Keripe conquistò onore e fama per la sua capacità di cucinare i tartufi e per aver introdotto nuove

ricette. Da cibo per ricchi a soggetto di studio il passo fu breve;il primo studioso che si occupò di

tartufi fu senza dubbio Teofrasto, (filosofo greco che morì nel 287 a.C. discepolo di Aristotele), che

lo considerava una pianta priva di radici circondata dalla terra, senza nessun filamento, prodotto

dall' unione della pioggia con il tuono nelle grigie giornate autunnali.

I romani consideravano moltissimo le terfeziacee, tanto che Nerone lo considerava cibo degli Dei.

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Naturalmente, la ricerca dei tartufi va effettuata con il cane, raccogliendo il tartufo solo dopo che il

punto esatto di crescita è stato segnalato dall'animale. E' deleterio infatti scavare o vangare più o

meno a caso nelle tartufaie conosciute alla ricerca dei tartufi,perchè si distruggono le radici e quindi

le tartufaie stesse.

Quando è possibile occorre togliere il tartufo con le mani, oppure con il vanghetto, usando tutte le

avvertenze possibili per non scavare buche troppo larghe e soprattutto senza distruggere le radici

presenti.

Una volta cavato il tartufo, è indispensabile richiudere a regola d'arte la buca fatta con la stessa terra

originaria. Occorre rispettare i periodi di raccolta,ed è opportuno rispettare le norme emanate e

vigilare invitando ad osservarle,una buca lasciata aperta non è un fatto personale fra il trasgressore e

la legge, ma rappresenta una diminuzione nella produzione tartuficola della zona nei successivi

anni.

2.4.11 Carbonaio Scoprire i segreti del carbonaio è affascinante.

Un lavoro duro, desideroso di presentarsi al grande pubblico, turisti compresi.

Un mestiere che non conosce orari, che affonda le proprie origini in un passato trascorso nei boschi.

Un mestiere oggigiorno nobile, possibile solo per pochi esperti, abituati al sacrificio.

Un mestiere pieno di fascino, capace di mantenere viva l’economia di alcune zone Montane, come

quelle di Borgo Pace.

Stiamo parlando del carbonaio.

L’origine del mestiere del carbonaio sembra affondare le proprie origini in questioni di necessità. Il

carbone infatti, è vantaggioso rispetto il legame, è più facile da trasportare e sviluppa un potere

energetico maggiore.

In porzioni del Territorio ove l’agricoltura non è redditizia, la produzione del carbone è una attività

fondamentale. Praticamente tutti siamo rimasti affascinati dai carbonai, una conoscenza che è

diventata un must per turisti curiosi.

Tra l’autunno e la primavera, si procede con il taglio del bosco. Querce e Carpini sono le essenze

maggiormente impiegate, in quanto considerate “forti”. Sono ritenuti meno pregiati i legni “dolci”,

come castagni, tigli e olmi. Questa classificazione, tramandata attraverso esperienze dirette, risulta

essere avvalorata da solide basi scientifiche, tanto che si è coniato un apposito termine: il “forteto”,

che indica un bosco pronto per il taglio e destinato alla produzione di carbone. Il taglio del bosco,

viene effettuato oggigiorno dal carbonaio stesso, mentre un tempo era specifico compito del

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boscaiolo. A conferma di quanto le pratiche produttive possano influire sulla origine delle parole,

consideriamo la “metrata”: ossia una catasta di un metro di altezza, tipica forma di raccolta delle

legna.

A questo livello del ciclo produttivo del carbone, si manifesta la grossa differenza tra moderne e

tradizionali pratiche di lavorazione. Infatti, un tempo il carbone veniva prodotto direttamente in

montagna, in prossimità del taglio. In tempi più recenti invece, il legname è stato trasportato a

fondovalle, dapprima a dorso di muli, poi con l’ausilio di mezzi meccanici.

L’intero ciclo prende almeno 4-6 giorni di intenso lavoro, durante le quali l’operatore dorme in più

riprese e per poche ore, governando almeno 2-3 carbonaie.

Per essere carbonizzata la legna viene sistemata ordinatamente in senso circolare attorno ad una

canna fumaria (la “buga”, che determinerà buona parte della stabilità della catasta e della riuscita

del processo.

Nella zona di Borgo Pace si utilizza la tecnica dei quattro pali al centro della “piazza” della

carbonaia.

Completato il cilindro centrale, ecco che occorre dare forma alla catasta. Vengono presi a tal

proposito, legni di uguale calibro che vengono appoggiati secondo un andamento circolare, con la

cura di lasciare il minimo spazio tra legno e legno. La catasta è completata quando la base ha

raggiunto un diametro di 4-5 metri e una quantità di legname utilizzato di 150-200 q. A questo

punto si procede alla copertura con uno strato di paglia e di terra, la cosi detta “camicia”.

La carbonaia viene accesa gettando della brace nella canna fumaria, poi si chiude la “buca” con una

pietra piatta. Il fuoco, va rimboccato con pezzetti di legna al fine di diffonderlo alle parte più

lontane dal centro. Nei giorni successivi, il carbonaio segue passo passo la “distillazione” del

legname, egli deve infatti limitare il tiraggio, assicurarsi che la combustione non prenda piede e che

non si formino crepe nella camicia. Come è facilmente comprensibile infatti, il segreto della buona

riuscita del carbone risiede nell’instaurarsi della combustione anaerobica, non si vuole di certo un

falò!

La distillazione avviene di solito tra il secondo e il quarto giorno (o notte, il carbonaio non ha infatti

orari) ed è facilmente riconoscibile attraverso l’emissione di un fumo azzurrognolo. A questo punto,

occorre praticare dei fori tutt’intorno al cono, con l’obiettivo di carbonizzare anche gli strati

inferiori della catasta.

Conclusa la distillazione, i carbonai “somondano”, ossia gettano terra sul carbone, e lasciano

raffreddare per 8-10 ore.

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Prima dell’alba inizia il vero e proprio “sforno”, procedendo con cautela, verso il cuore della

catasta, facendo attenzione a non rompere i legni carbonizzati. La sfornatura assomiglia ad uno

spettacolo da tragedia: fumo denso, odore acre, cigolio di tizzi e brace luminescente.

L’ultimo passaggio del duro lavoro del carbonaio consta nel suddividere il carbone in varie

pezzature e si riempiono i camion.

E’ collocata nell'edificio di una conceria dismessa la documentazione fotografica realizzata da Pier

Paolo Zani sulla vita e sul lavoro dei carbonai.

Le foto di Zani rappresentano un singolare documento antropologico sul mondo dei carbonai, una

attività ancor oggi praticata nel comune di Borgo Pace e in altre zone degli Appennini dove ancor

oggi si produce il carbone di legna.

2.4.12 Cappellaio Questa attività raggiunse il massimo splendore alla fine dell'800. In questo periodo a Saltara sorsero

le più grandi fabbriche di cappelli: quella dei Diambri e quella dei Curina. I cappelli prodotti erano

di lana e di pelo di coniglio o di lepre. Il cappello di lana era il più richiesto perché costava di meno

mentre quello di pelo era più caro, infatti veniva usato per le grandi occasioni. Le tinte più richieste

erano: il grigio, il nero ed le varie tonalità di marrone. Le materie prime utilizzate nella manifattura

dei cappelli erano il pelo di: coniglio, lepre, capra e pecora.

Dopo la scelta delle pelli migliori, si passava alla disrognatura, cioè si ripuliva il pelo dalla polvere

e dalle impurità. Era poi il momento del segretaggio, cioè le pelli venivano strofinate con una

spazzola di cinghiale. La successiva feltrazione consisteva in una serie di operazioni che portavano

ad ottenere un feltro, a cui veniva data la forma di un cono. Diversi i momenti della lavorazione:

follatura, formatura, tintura, lucidatura, bordatura fino a giungere alla rifinitura che era la fase finale

della manifattura del cappello. Una volta pronti, i cappelli venivano portati nelle fiere e nei mercati

a primavera per essere venduti. Sia i Diambri che i Curina raggiungevano i luoghi più lontani delle

Marche e della Romagna contraddistinguendo i loro prodotti con Marchi di produzione. Verso il

1930, sfumato il progetto di una grande fabbrica Diambri-Curina, da costruirsi a Calcinelli sul

Metauro. Oggi a ricordare gli artigiani, sono la via dei Cappellai ed un piccolo negozio situato in

via Mazzini, di proprietà di una antica famiglia di cappellai.

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2.4.13 Cordaio

Il mestiere del cordaio era molto importante nel periodo che seguì la seconda guerra mondiale,

quando nella vallata del Metauro l'attività principale era l'agricoltura. Un tempo i lavori agricoli non

venivano praticati con mezzi meccanici, bensì utilizzando buoi e mucche che trainavano l'aratro, il

carro... Perché la loro forza producesse il risultato richiesto, gli animali venivano appaiati con

gioghi. Per regolarne l'andatura si utilizzavano delle corde che venivano collegate agli animali

mediante un anello (muraglia) in un punto sensibile, quello delle narici. Così l'agricoltore poteva

frenare o sollecitare i due buoi. Per lavorare la corda, era innanzitutto necessario che il cordaio

avesse a disposizione una certa quantità di canapa. Questa pianta, una volta raggiunta la

maturazione, veniva tagliata, legata a fasci e consegnata al cordaio. La canapa veniva portata presso

corsi d'acqua e lasciata macerare. Quando si era ammorbidita veniva battuta con forza. Era poi

messa ad asciugare dietro i pagliai e passata al "canapino", attrezzo formato da tanti aghi metallici

che serviva a pettinarla.

La canapa era così trasformata in fili sottilissimi che venivano uniti e si otteneva così un filo di

corda più grosso e compatto che si passava alla "grande ruota". Al centro di questa, su di un lato,

una manovella (fatta girare da ragazzi in età scolare o da donne), sull'altro invece venivano

applicate le forme. Si faceva quindi girare la ruota e la corda veniva allungata lungo un sentiero.

All'estremità della corda, un uncino che era sistemato ai fianchi di un ragazzino, il quale si

allontanava dalla ruota man mano che si formava una corda. La corda era quindi arrotolata ed era

pronta per essere venduta.

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3. MODELLO DI TRASFERIMENTO DELLE COMPETENZE 3.1 PREMESSA

Da questa attenta analisi del territorio, compiuta incontrando anche i rappresentanti di alcune

associazioni di categoria, sono stati individuati alcuni mestieri caratterizzanti e caratteristici di aree

rurali montane. Analizzate le caratteristiche territoriali dei cinque Comuni della Comunità montana

del Catria e del Nerone e valutato quanto suggerito e proposto dalle associazioni di categoria del

settore artigianale, agricolo, forestale e del commercio, è stato possibile valutare quali aziende

coinvolgere, tra quelle rientranti nei seguenti parametri:

• Svolgere un mestiere o una professione, testimonianza nella tradizione territoriale, con delle

caratteristiche peculiari, di interesse artistico, ambientale, storico e culturale.

• Svolgere un mestiere o una professione minacciati dal rischio di cessazione e/o scomparsa.

• Svolgere una mestiere o una professione che possa fungere da stimolo o da esempio per la

realizzazione di nuove forme imprenditoriali.

Inoltre, con la distribuzione di un questionario si è cercato di dare particolare attenzione a quelle

realtà aziendali dove il professionista (artigiano, allevatore, agricoltore, commerciante ...) abbia una

storia professionale particolare da raccontare; la figura stessa del professionista sia, per abilità,

cultura, produzione, un simbolo della professione o del luogo e, quindi, sia elevata a rappresentare

la cultura e le tradizioni del territorio; sia avvenuto un passaggio generazionale ed il conseguente

trasferimento delle competenze con, magari, una visione moderna e innovativa della professione.

In questo modo sono stati individuati alcuni artigiani, agricoltori e produttori, che si sono poi resi

disponibili a partecipare alle azioni successive. Essi sono:

1. Francesco Giorgi TARTUFAIO

2. Giuseppe Sabbatini MANISCALCO

3. Maurizio Nicoletti SELLAIO

4. Roberto Battistelli FALEGNAME

5. Michela Formica TESSITRICE

6. Giuseppe Collesi MASTRO DISTILLATORE

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3.2 INTERVENTO DI ORIENTAMENTO A FAVORE DEGLI ARTIGIANI

La macroazione de “Lo sviluppo ed i vecchi mestieri”, è continuata con uno attento studio del target

e del mercato di riferimento dei prodotti artigianali e locali del nostro territorio individuati e

selezionati. Tale analisi ha confermato il fatto che il recupero del lavoro artigianale e locale, oggi

non vuole dire solo “testimonianza” del passato, ma anche potenziamento e sviluppo di questi

settori operativi spesso mortificati da un mercato sempre più interessato alla produzione industriale

e per i giovani “nuove occasioni” di lavoro e di attività di microimpresa. Inoltre la stessa

elaborazione dei questionari ha fatto emergere la presenza di un forte know-how che le imprese

locali hanno, ma che spesso è destinato a perdersi a causa della mancanza di un ricambio

generazionale. Pertanto per creare nuove opportunità imprenditoriali e mantenere la memoria

storica del territorio, si è tenuto un intervento di orientamento a favore degli imprenditori locali per

formarli al trasferimento delle loro competenze. I temi trattati sono stati:

• presentazione progetto

• ruolo dei vecchi saperi

• target e mercato di riferimento dei mestieri individuati

• individuazione e analisi delle competenze da trasferire

• strutturazione degli interventi con modalità partecipate

• individuazioni date degli incontri

3.3 INTERVENTI FORMATIVI A FAVORE DEI GIOVANI, PER TRASFERIRE I

MESTIERI

Terminato l’intervento di orientamento a favore degli imprenditori locali, è iniziato il “viaggio tra

arti e mestieri”, alla scoperta dell’imprenditorialità rurale, dei saperi e dei segreti dei mastri

artigiani, agricoltori, boscaioli, norcini e altri ancora.

L’esperienza proposta ha mostrato l’inaspettata attualità dei mestieri del passato e le loro

potenzialità nell’inserimento del mondo lavorativo ed imprenditoriale; l’incontro con chi, ancora

oggi, lavora e vive dei “mestieri del passato” confermando che è ancora possibile lavorare, amare il

proprio lavoro e “riuscire a fare impresa”.

Il percorso si rivolto ai giovani, fornendo loro idee, spunti ed esempi significativi per imboccare

nuovi percorsi lavorativi e tramandare, nel contempo, le tradizioni locali.

L’intero intervento ha previsto:

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• Incontro con l’artigiano, il maestro d’arte,ecc…dedicato al racconto e alla presentazione

della professione (azione mediata da un facilitatore)

• visita all’azienda ed eventuale dimostrazione di alcune fasi di lavorazione (azione mediata

da un facilitatore)

• eventuale degustazione di prodotti eno-gastronomici tipici (azione mediata da un

facilitatore)

• Promozione di ciascun evento tramite: brochure, stampa, conferenza stampa, siti Web

TESSITRICE Michela Formica

Un racconto che sembra una favola di altri tempi quello di Michela, che dalla viva tradizione ha

dato seguito ad un mestiere peculiare del suo paese, che altrimenti sarebbe scomparso per sempre:

la tessitura dei tappeti di lana.

Quest’arte era scomparsa da Piobbico da diversi anni, ne rimanevano la memoria, i racconti e, per

fortuna, i vecchi telai ammucchiati in qualche cantina. La scommessa di Michela è stata quella di

recuperare la tecnica, grazie ai sapienti consigli ed agli insegnamenti dell’ultima tessitrice, e fare

dell’arte appresa un’impresa: una piccola impresa di grande valore.

L’esperienza di Michela è un“simbolo” di creatività e uno stimolo per molti giovani, che potranno

utilizzare per riflettere su come sia possibile costruire la propria professionalità partendo dai

“racconti della nonna”.

MOBILIERE, EBANISTA E DECORATORE Marzani Fernando

Proveniente dalla tradizione ebanistica ottocentesca delle botteghe del Pucci e Paioncini, la ditta

F.lli Marzani ha rappresentato per Cagli, e per un’ampia area circostante, l’artigianato del mobile

artistico e dell’arte del restauro. Oggi la ditta è chiusa e i saperi, i segreti e le tecniche rischiano di

scomparire assieme ai protagonisti.

Il restauro del mobile è per sua natura composta da molteplici elementi, come l’ebanisteria, la

decorazione, la scultura, la doratura, ecc., tutti componenti professionali che richiedono conoscenza,

senso artistico e capacità tecniche: queste ultime possono essere tramandate come momenti

esperenziali e, quindi, l’intento è di offrire l’opportunità a ragazzi desiderosi di apprendere questo

“mestiere artistico”, ma anche a professionisti del settore che vogliano apprendere queste tecniche

esclusive, di attingere ad informazioni e segreti, difficilmente svelati da chi opera nel settore.

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IL SELLAIO ED IL MANISCALCO

L’equitazione ha bisogno di due figure professionali di base quali il maniscalco ed il sellaio: due

giovani professionisti, partendo dalla passione per i cavalli, hanno saputo ridare vita a Cantiano,

“patria” dei cavallari e dei mulattieri dell’Appennino pesarese assieme a Pianello di Cagli, a questi

due mestieri del passato.

Questi due giovani artigiani e imprenditori hanno saputo interpretare le necessità del settore

equestre di oggi e le hanno rielaborate con uno sguardo rivolto alla tradizione locale, dove il

cavallo, prima di diventare un hobby, è stato un mezzo di trasporto e un mezzo da lavoro. Hanno

concretizzato una loro passione in mestiere, per poter continuare a vivere nei propri borghi di

montagna, spopolati da decenni di esodo.

TARTUFAIO

La “roscella” e il tascapane erano gli attrezzi del tartufaio ed il suo cane un legame forte,

indissolubile, un amore reciproco tradotto in una simbiosi perfetta. Quella dei tartufai è una storia

fatta di padri e di figli, che arrotondavano i guadagni della vita di campagna cercando tartufi nei

boschi, regalandoli al padrone per gratificarlo o al fattore per ingraziarselo. L’arte di addestrare i

cani ed i luoghi della ricerca erano segreti mai svelati se non ai propri discendenti.

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Con il boom del tartufo i prezzi vanno alle stelle e la ricerca del tartufo non è più solo un momento

di svago dalla quotidianità, ma anche un ottimo modo di ricavare un reddito aggiuntivo, che, ad

Acqualagna, diviene ben presto il principale.

La figura del tartufaio ha, quindi, una “bella” storia da raccontare, fatta di passeggiate all’aria

aperta, del lavoro dei cani e di saperi e segreti tramandati da padre in figlio. Inoltre, ci sono le nuove

tecniche di coltivazione dei funghi ipogei e la soddisfazione del conduttore che raccoglie senza

fatica i tartufi dal proprio impianto boschivo; gli impianti di trasformazione alimentare, dove i

tartufi vengono trasformati in prodotti di alta gastronomia o confezionati assieme ad altri prodotti

del territorio, diventando articoli da regalo.

AGRICOLTORE BIOLOGICO E MASTRO DISTILLATORE Giuseppe Collesi

La passione di Giuseppe Collesi per la propria terra, la sua capacità e l’entusiasmo di sapersi

rinnovare sono stati gli ingredienti che gli hanno permesso di continuare il lavoro nell’azienda

agricola ereditata dai genitori, uscendo dalla marginalità imposta da un territorio montano.

La fantasia, la creatività e la determinazione gli hanno permesso concretizzare i suoi progetti e far

nascere una distilleria di grappa tradizionale e una grapperia e, dopo qualche tempo, una grande sala

di degustazione aperta al pubblico.

Giuseppe Collesi non ha ancora esaurito il suo entusiasmo, come dimostrato dalla sua nuova

impresa: una fabbrica di birra, elegante e ben inserita nel territorio, dove produce birra con il

proprio orzo (biologico), che è possibile assaggiare anche nella sala di degustazione. Il tutto a quasi

mille metri di altitudine, sotto il crinale del nostro Appennino, dove il clima aspro, l’acqua di

sorgente e la selezione delle materie prime, tutte provenienti dai migliori vitigni marchigiani,

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garantiscono un prodotto di alta qualità. Una piccola avventura di imprenditorialità rurale, che ha le

radici sul passato e i tralci nel futuro.

3. BIBLIOGRAFIA • Le progenie degli Onesti tra Romagna Marche e Umbria. Alle origini della feudalità feretrana,

Massimo Frenquellucci.

• L’evoluzione delle strutture murarie della rocca di Maiolo. Un contributo archeologico,

Cristiano Cerioni e Cinzia Cosi,

• Testimonianze archeologiche e fonti scritte riguardanti il gioco nel medioevo, Giuseppe

Sparnacci.

• Le dissertazioni storico-legali di Anton Maria Zucchi Travagli riguardanti Apecchio (1752-

1754), Stefano Lancioni.

• Uno studio di Cesare Cimegotto su due leggende del Montefeltro, Antonello Nave

• La casa di terra nell’Urbinate, Gianni Volpe

• Evidenze archeologiche presso il Logo, Cristiano Cerioni.

• Osservatorio Regionale sull’Artigianato, indagini del I, II e III trimestre 2001, Ancona, Ebam

(2003).