guida sardegna centrale

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Tratto da Guida Sardegna centrale Slow Travel di Touring Editore - © 2004 Touring Editore srl - Milano slo w travel Sardegna centrale dalla regione di Bosa al golfo di Orosei

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Touring Club Italiano Presidente: Roberto Ruozi Direttore generale: Guido Venturini

Touring Editore Amministratore delegato: Alfieri Lorenzon Direttore editoriale: Michele D’Innella

Editor: Cristiana Baietta Redazione: Letizia Gianni, Laura Lari Segreteria di redazione: Cristina Grilli Cartografia: Servizio cartografico del Touring Club Italiano Coordinamento tecnico: Massimiliano Augusto

Testi e immagini: Franco Betucchi e Salvatore Rubino

Editing: Mady Rigoselli Progetto grafico e impaginazione: Laboratorio (Milano) Questa opera è stata realizzata su iniziativa di:

Bianchina In The World

Grafica di copertina: Mara Rold Disegno: Marco Ceruti

Prestampa: APV Vaccani - Milano Stampa e legatura: New Litho - Milano e con la collaborazione di:

Carlo Morelli (biologo), Vittorio Piccinelli, Roberto Sciotta

Si ringraziano: Massimo Frongia, Rino Giotta (naturalista e fotografo), Gino De Plano (guida escursionistica), Giorgio Guerrieri (storico),

© 2004 Touring Editore srl, Milano Tonino Cocco, Maria Angela Puggioni, Mariano De Montis, Tonia Laconi, Stefano Murru, Tora Congiu (guida archeologica), Patrizia Moi, Enrico Murgio, Tonio Piras, Silvia Baire, Pier Paolo Pili (guida escursionistica), Leonardo Pittoni

Finito di stampare nel mese di giugno 2004 il nostro caro amico Paolo Tardiola

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SommarioSardegna coast to coast 6 Una mitica origine 8 Il cuore della Sardegna (poesia) 9

La regione di Bosa 11 La costa occidentale 28 L’entroterra occidentale 49 L’entroterra orientale 67 Montarbu e la zona dei Tacchi 89 La costa orientale 106

In viaggio tra ristoranti e ricette 125 Informazioni pratiche 135 Indice 143

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Gli itinerari

1 La Regione di Bosa

2 La costa occidentale

3 L’entroterra occidentale

4 L’entroterra orientale

5 Montarbu e la zona dei Tacchi

6 La costa orientale

Nota degli autori Nel progettare, effettuare e descrivere questo viaggio, ci siamo ripro-posti di scoprire in prima persona i vari aspetti del percorso che dalla costa occidentale ci ha portati a quella orientale dell’isola sarda, con gran-de interesse per le zone meno conosciute dell’interno.

Grazie all’aiuto degli abitanti del luogo, dei vari enti e associazio-ni, abbiamo vissuto un’esperienza diretta della realtà locale, della storia e della cultura che da essa ne derivano.

Questa guida non deve servire solamente come una particolare proposta di itinerari: saremmo infatti lieti che i nostri lettori spe-rimentassero, come abbiamo fatto noi, un nuovo modo di viag-giare, modo che crea emozioni, apprendimento a 360° e nuove amicizie.

Legenda

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Sardegna coast to coast

R ecita un vecchio detto: «La vita è un viaggio, chi viaggia vive due volte»; chi viaggia non vivrà forse di più, ma di

sicuro lo farà più intensamente. Questa è la filosofia di BITW, Bianchina in the World, un team di amici che con tre bianchi-ne dei novecenteschi anni ’60 da tempo viaggia alla ricerca di emozioni che solo l’energia dei luoghi scoperti in modo au-tentico sa emanare. Emozioni trasmesse poi, ora di getto, ora in modo più riflessivo, nelle guide turistiche presentate dal team. Le leggende, gli aspetti più incontaminati della natura, i paesini che a volte resistono sin dall’antichità alle difficoltà ambientali con i loro musei rurali voluti per non perdere il ri-cordo del passato e della cultura tradizionale: tutto questo ali-menta la ricerca che si evolve nel racconto del viaggio.

PROGETTO SARDEGNA Con la realizzazione di una guida sulla Sardegna, Bianchina in the World propone un viaggio che, come da schema già col-laudato, narri un’avventura che si snoda in un’isola da tutti co-nosciuta per la sua solare bellezza. Le tre bianchine, in una coinvolgente carrellata di immagini che si fondono con le pa-role, ricreano per il lettore l’atmosfera dei luoghi visitati in un magico coast to coast da occidente a oriente, dalla costa di Ori-stano al golfo di Orosei. Questa ‘proposta di viaggio’ è per chi la Sardegna non la ha mai vista, ma soprattutto per chi c’è già

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stato e vorrà conoscerla, o meglio scoprirla, sotto un’altra lu-ce, dall’angolazione di chi i luoghi vuole ‘viverli‘ e non solo ve-derli. La guida infatti, grazie agli inserti che la arricchiscono, parla dei siti archeologici più interessanti, noti o semiscono-sciuti che siano; parla di natura, di trekking, di tradizioni e sa-pori tipici e delle immancabili leggende che aleggiano tra le coste turchesi e gli aridi altipiani che abbiamo attraversato. Anche i paesi, dai più rinomati ai più sperduti, sono protago-nisti del nostro racconto, con la loro storia e con tutto ciò che ci hanno rivelato sugli usi, i costumi e l’artigianato locale. I tre musetti di Belvetta, Dino e Polentina si sono intrufolati ovunque e ci hanno fatto scoprire realtà difficilmente descritte in altre guide, perché, come spesso accade, sono state le nostre bianchine la chiave di volta per una migliore conoscenza di ciò che ci sta intorno: la loro simpatica presenza senza dubbio fa-cilita il contatto umano e quindi un’interessante raccolta di informazioni, storie e curiosità altrimenti inaccessibili.

RIFLESSIONI DI VIAGGIO Bianchina in the World ha ‘sperimentato’ la Sardegna centrale a 360°. Non solo le coste dell’isola, magnifiche e già conosciu-te e apprezzate in tutto il mondo, ma anche e soprattutto l’en-troterra, permeato di ataviche atmosfere e insospettabilmente affascinante e unico: un ambiente incontaminato dove lo straordinario patrimonio naturale e culturale può essere visi-tato e immediatamente amato al di là dei limiti temporali del turismo balneare, che come una meteora brucia tutte le sue ri-sorse tra luglio e agosto. La primavera e l’autunno valorizzano questo mondo che apre le menti alla riflessione come fosse un magico viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca di ciò che vera-mente siamo, e inaspettatamente riusciamo a percepirlo. Con le nostre piccole vetture abbiamo viaggiato tra brulli alti-piani carichi di energia; tra antiche montagne e lussureggianti foreste disseminate di resti archeologici che ci sono apparsi co-me la punta di un iceberg, ovvero il poco che appare di un mondo passato ancora tutto da scoprire; abbiamo conosciuto la gente del posto e siamo diventati loro buoni amici.

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Una mitica origine

S opra un’arida altura sferzata dal maestrale, un uomo dai li-neamenti duri fissa incredulo l’orizzonte. Nel suo sguardo

selvaggio, ancora dominato da un ancestrale istinto, si legge la paura, il terrore per l’apocalittico sconvolgimento che da poco si è abbattuto sulla sua terra. Adesso è quiete; tutto è tornato tranquillo ma, davanti a lui, dove la striscia turchese del mare lambisce le falesie costiere appena nate, una volta c’erano le ver-di e sconfinate terre di un continente ormai inabissatosi nelle profondità marine: la Tirrenide. Il nostro avo è un sopravvissuto al cataclisma che probabil-mente sconvolse la regione mediterranea in tempi remotissimi. L’epoca in cui dalle nebbie della preistoria nascerà la storia è per lui un lontano, inarrivabile futuro. Oggi del primordiale continente rimane soltanto un lembo di terra, un’isola che gli antichi greci chiamarono Ichnusa, ‘orma di piede’, e che ora ha nome Sardegna. Narra una leggenda che le antiche genti scampate alla catastro-fe portarono per sempre nei loro cuori e nelle loro menti il tre-mendo ricordo dell’evento, e che la nostalgia per la scomparsa Tirrenide si tramandò di generazione in generazione. Tuttora, a distanza di tanti millenni, troviamo quella malinconia nel volto dei sardi mentre scrutano il mare, nel triste canto di un solita-rio pastore dell’entroterra, nei vasti e desolati silenzi ormai pa-droni di arcaiche rovine. Lo studio dello sviluppo irregolare delle coste sarde ci permette di capire come questa regione dovesse essere in effetti assai più estesa. Le falesie a volte imponenti che frastagliano il litorale so-no originate proprio da fratture e conseguenti sprofondamenti di terre che ora si trovano in fondo al mare. Il nostro spaurito antenato che attonito scruta il nuovo oriz-zonte è realmente esistito e flebili vibrazioni di energia pro-dotte dal suo pensiero vagano ancora oggi accarezzando mi-steriosamente l’isola insieme al vento.

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Sapevo – san tutti – di splendide spiagge di limpide acque e d'aurore selvagge

e scopro – con pochi – immerso in un mondo da me inaspettato, d'un verde profondo un caleidoscopio di piante e colori il mirto il lentisco ed essenze ulteriori e ancora i profumi di tal fioritura esempio di arte applicata a natura

Terreno ideale d'incontri casuali con tipi del luogo per niente banali

Così può accader che d'ascetico Sardo andando a passeggio s'incroci lo sguardo rudezza di tratti cipiglio severo la barba imbiancata ne accentua il mistero aspetto di razza indurita al di fuori ma spirito ricco d'austeri valori

Al bando il successo il potere il denaro d'un semplice esempio non può dirsi avaro

Offrirsi agli amici ed a quei di passaggio senz'altri motivi è il suo puro messaggio

Attendere i ritmi di notte e di giorno lasciando che il vento scolpisca d'intorno ed indi sentir del silenzio il rumore goderne nei campi l'intatto splendore

Se stacchi la mente, se liberi i sensi è ancora più bello di quanto tu pensi

In questo cantuccio di terra incantata sospesa nel tempo, dai più abbandonata non son le rinunce a forgiare gli umori ma gli animi fieri i valori ed i cuori

Non serve, viandante, affrettare il rientro è giunto il momento di leggersi dentro poi chiedersi quanto quel Vecchio sia saggio e quale simbiosi vi sia col paesaggio

Un fremito ancora percorre la mente d'un viaggio in Sardegna non v'è chi si pente

Paolo Tardiola

Il cuore della Sardegna

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1La regione di BosaBOSA • CUGLIERI • SANTU LUSSURGIU • SANTA CRISTINA

• PAULILATINO • ABBASANTA • MACOMER

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In una limpida mattina di fine maggio, tra i primi turisti a sbarcare in Sardegna ci sia-

mo anche noi, il team di Bianchina in the World, pronti a vivere con le nostre tre vet-turette un’avventura che ci porterà alla sco-perta di una Sardegna inconsueta: senza tra-lasciare le meraviglie del mare ci spingeremo nell’entroterra, in un interessante coast to coast dal golfo di Oristano a quello di Orosei. Da Porto Torres ci dirigiamo subito verso Bo-sa in un rapido trasferimento, poiché è dal-la cittadina sulle rive del fiume Temo che ha inizio il cammino illustrato in quest’opera. Pensiamo alle nostre bianchine, che da an-ni ci consentono di viaggiare scoprendo ter-ritori ‘nuovi’ perché visti e vissuti in un mo-do più intimo e particolare, per poi trasferi-re le emozioni provate a chi ripercorrerà con i propri mezzi questi bellissimi itinera-ri. Belvetta, Dino e Polentina con i loro co-lori solari e il vispo musetto sono una ‘remi-niscenza’ degli anni ’60 del XX secolo

proiettata nel nuovo millennio, simpatiche auto d’epoca in grado di facilitare i contat-ti umani tanto preziosi per meglio capire e apprezzare i luoghi da noi visitati.

La Costa dei Grifoni e Torre Argentina Il litorale a nord di Bosa è caratterizzato da falesie di tufo che trascolorano suggestiva-mente, con sfumature di verde, dal giallo si-no al viola, e le rocce, modellate dall’erosio-ne marina, assumono forme davvero singo-lari. Stiamo percorrendo la Costa dei Grifo-ni, dove gli ultimi esemplari protetti di que-sta specie di avvoltoio godono ancora di un ambiente incontaminato, in compagnia dei falchi pellegrini e delle taccole che occupa-no le fessure delle rocce. Lungo questo trat-to di costa si affacciano sul mare incantevo-li spiaggette nascoste e insenature note solo a un turismo locale. Procedendo allegra-mente sulla sinuosa e panoramica strada li-

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toranea arriviamo in vista di Bosa Marina,quand’ecco che sulla nostra destra scorgia-mo una delle tante torri d’avvistamento dis-seminate lungo tutta la costa: si tratta di Torre Argentina, sorta al centro di un pae-saggio lunare per segnalare l’arrivo dei pira-ti saraceni che per secoli, e ancora nell’800, compivano in zona scorrerie e saccheggi. Una strada sterrata, che si avvicina al mare per poi arrampicarsi tra le rocce, ci condu-ce all’antico baluardo. Nonostante l’ultimo tratto sia in forte pendenza, riusciamo ad arrivare con le bianchine sino ai piedi della torre, che ci sembra un’emanazione diretta delle bianche rocce sulle quali si erge. Mentre ammiriamo il vasto panorama che spazia tra costa e mare, da nord a sud, in-contriamo Tonino, il nostro primo punto di riferimento in Sardegna. Profondo cono-scitore dei luoghi sarà per noi un amico di grande aiuto durante il soggiorno a Bosa. Con lui scopriamo magnifiche spiagge tra Torre Argentina e Bosa Marina, co-me quella di Kumpoltitu dalla sabbia bianca e fine: una minuscola caletta

dall’acqua smeraldina scolpita tra impo-nenti rocce, che la proteggono dal maestra-le, e raggiungibile solo dal mare o per un sentiero. Più avanti, ecco la più ampia S’Ab-badrukke: acqua dolce, una piana in prossi-mità della spiaggia solcata da un torrente che attraversa i prati digradanti verso il ma-re e una magnifica spiaggia di ciottoli rosa, formata dalla famosa trachite di Bosa che si estrae dalle cave intorno al porto. Dietro una collina si intravede pure una vecchia costruzione da cui partiva la teleferica per il trasporto del minerale da una miniera a monte sino al mare.

Bosa, la Marina e i primi colli Arrivati a Bosa Marina con le sue ampie spiagge di sabbia rossa, ricca di ferro, notia-mo la torre aragonese dell’Isola Rossa che, nonostante sia unita alla costa da anni, ha mantenuto il vecchio nome.

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no Lasciamo il mare e seguendo per pochi chi-lometri il corso del fiume Temo, l’unico fiu-me sardo navigabile, giungiamo a Bosa, so-vrastata dal castello dei Malaspina. La città vecchia, arroccata sotto il maniero, è carat-terizzata da strette vie in pietra e alti palazzi, mentre sulla riva sinistra del fiume, dopo il ponte antico, sorgono Sas Conzas, le stori-che concerie costruite in pietra rosa e ormai in disuso. I gozzi colorati sono ormeggiati lungo il fiume a fianco dell’ombrosa e retti-linea passeggiata che si snoda tra alte palme. Tonino ci parla di Bosa, da sempre città di pescatori, abili costruttori di nasse e maestri d’ascia. Qui l’attività più redditizia è ancor oggi la pesca del corallo, particolarmente bello davanti alla foce del Temo. Ci fermiamo in una tipica cantina aperta su

CENNI DI STORIA ANTICA

I primi abitanti della Sardegna Durante la grande glaciazione di Riss, intorno a 200.000 an-ni fa, l’aumento delle masse gelate causò anche l’abbassa-mento delle acque, facendo emergere tratti di terraferma fra il continente e la Sardegna. Fu attraverso tale ‘ponte’ che genti preistoriche in cerca di luoghi ospitali giunsero nel-l’isola. Se qui abbiano trovato già degli abitanti, fondendosi poi con essi, non è dato sa-

perlo. È noto invece che nel Neolitico antico (6000-4000 a.C.) ha inizio un’economia di tipo stanziale basata sull’a-gricoltura e l’allevamento, con produzione di ceramica, ma-nufatti litici e tessuti. Sin dal VI millennio a.C. inoltre si svi-luppano scambi commerciali legati all’ossidiana tratta dal monte Arci, che è il vero ‘oro nero’ dell’antichità e viene esportata in Corsica, sulle co-

ste italiche, in Provenza e in Catalogna. Nel Neolitico medio (4000-3500 a.C.) si afferma la cultura di Bonu Ighinu, con insediamenti in grotte o all’a-perto e con il culto della Dea Madre, tipico di tutte le co-munità agricole del bacino mediterraneo. Quindi nel Neo-litico recente nasce la cultura di Ozieri, dal nome della loca-lità in cui è la grotta che ha reso le prime testimonianze, databili tra il 3300 e il 2500 a.C. circa. In una commistio-

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ne di storia e leggenda, si di-ce che tra i primi uomini arri-vati nell’isola vi fossero anche africani capeggiati da Sardus, figlio del dio dei libi Eracle-Maceride; tribù ispaniche al comando di Norax, figlio del dio Hermes; nonché drappelli provenienti dall’Etruria. La pri-ma grande civiltà isolana fu comunque quella nuragica, fiorita a partire dall’età del Bronzo (1800-1600 a.C.) e du-rata fino alla conquista roma-na nel 238 a.C., che costellò

tutto il territorio di massicce costruzioni a forma tronco-conica, uniche al mondo nel loro genere: i nuraghi. La pa-rola sarda ‘nuraghe’ o ‘nurake‘ ha essa stessa origini assai remote e identifica, appunto, un mucchio di pietre con un foro al centro. Posta com’è nel cuore del Mediterraneo, la Sar-degna divenne presto un im-portante crocevia di varie ci-viltà antiche dell’areale. Nell’-VIII secolo a.C. i fenici fon-darono alcune colonie costie-

re come basi d’appoggio per i loro commerci, quali Tharros,Sulci, Nora, Karalis (l’odierna Cagliari). La società nuragica era in quel periodo essenzia-mente terricola e agro-pasto-rale e, poco interessata ai litorali non si oppose all’arri-vo di questi stranieri, che in cambio diedero un deciso svi-luppo alla pesca, all’industria del sale e pure all’agricoltura, introducendo tra l’altro nuove colture, come quelle della pal-ma e dell’olivo.

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Bosa

La, in una conca protetta

dai venti e perciò in un ter-ritorio d’eccezione, è il cen-tro costiero sul versante oc-cidentale della provincia di Nuoro. La sua origine risale al tempo dei fenici; secondo il mito fu fondata da Calme-dia, figlia del divinizzato eroe Sardus. La cittadina rappre-senta per l’isola un pezzo u-nico, come un quadro d’auto-re, perché ha saputo conser-vare intatti nel tempo i suoi aspetti architettonici e cul-turali. Ha case alte e strette, con una o due finestre, dipin-te in colori pastello che le rendono vieppiù particolari. Il castello Malaspina, sul colle di Serravalle, domina Bosa dal XII secolo e ne accresce quel fascino di borgo antico. Passeggiando sulla sponda del Temo al tramonto possia-mo ammirare i tipici gozzi variopinti, le barche dei pe-scatori, che rientrano con il carico e vengono ancorati lungo il fiume. Sulla riva op-posta spiccano ‘Sas Conzas’, cioè le vecchie concerie che insieme alla pesca dei coral-

li, alla lavorazione della fili-grana d’oro, al filet (ricamo a telaio) e agli oleifici hanno reso la località ricca e famo-sa. In disuso dal secondo do-poguerra e ormai dirute, so-no tutte allineate presso il corso d’acqua, ognuna con un suo pontile: queste sug-gestive costruzioni sono og-gi protette dal vincolo di tu-tela dei beni ambientali. Altro bene bosano tutelato è il corallo rosso, che un tem-po abbondava proprio davan-ti alla foce del Temo, in pros-simità di Cala ’e Moros: ormai non è più così e i subacquei che si dedicano a questo tipo di pesca devono spingersi più al largo e scendere a profon-

dità anche di oltre i 100 me-tri per raccogliere il corallo apprezzato in oreficeria. Inoltrandoci nel centro città per corso Vittorio Emanuele II, l’arteria principale di Bo-sa, giungiamo in piazza Con-ciliazione, il punto di ritrovo degli abitanti: qui, avvolti in un’aura settecentesca, en-triamo nel palazzo Don Carlo che ospita un’accogliente caffè in cui gustiamo il fresco Malvasia di Bosa, dal sapore dolce e secco con retrogusto amarognolo. Soddisfatta la gola ci avviamo alla bella spiaggia di Bosa Marina: lim-pide acque ci attendono per un tuffo ristoratore in uno scenario impareggiabile.

CITTÀ E PAESI

pittoresca Bosa e i suoi ‘gioielli’

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una viuzza e assaporiamo l’eccezionale vino Malvasia, giusto vanto del luogo. L’unico ri-schio è quello di berne troppo perché, così fresco come ci viene servito, è veramente un nettare. Un piccolo podere nell’immediato entroterra è la nostra prossima meta: la zona è coltivata per la maggior parte a Malvasia, ma qui troviamo anche il vitigno del Girò, da cui si ottiene un vino forte dal sapore si-mile a quello del Porto. In una delle fornitis-sime pescherie di Bosa abbiamo già acquista-to delle spigole, che cuoceremo alla brace e gusteremo all’ombra dei pergolati. Sul far della sera ci dirigiamo verso Suni, tra le colline; da qui, deviando a sinistra per Pozzomaggiore, arriviamo con la nostra in-stancabile guida a un interessante sito ar-cheologico: è nella necropoli di Chirisconis che vediamo per la prima volta le misteriose domus de janas, grotte artificiali scavate nel-la roccia in cui gli uomini preistorici seppel-

livano i loro morti. Il luogo è veramente suggestivo e l’atmosfera della sera lo rende ancora più particolare, così come esalta il profilo del nuraghe Nuradeo che si staglia in controluce sulla via del ritorno, a pochi chi-lometri da Suni. Torniamo a Bosa per passare la notte al ‘Mannu Hotel’, in prossimità del fiume che ha sponde lambite da frutteti di pesche vellutate. Si conclude così la prima giorna-ta in Sardegna, ricca dei colori della costa, dei sapori di Bosa e delle prime suggestio-ni dell’entroterra.

Primi passi verso l’interno Di buon mattino lasciamo le rive del Temo decisi a dedicare la giornata all’esplorazione del territorio più interno. Mentre il simpati-co borbottio dei motori ci accompagna nel-

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l’affrontare le prime salite che ci allontanano dalla costa, avvertiamo quasi un senso di col-pa per aver rinunciato allo splendido mare di Bosa: una sensazione destinata comunque a sparire in fretta, complice la bellezza del pae-saggio che presto iniziamo a scorgere. A Tresnuraghes, a sud di Bosa, ci fermiamo per fare benzina; in realtà siamo ancora lon-tani dalla riserva, ma è bene ricordare che all’interno dell’isola le stazioni di riforni-mento non sono numerosissime. Approfit-tiamo della sosta anche per dare un’occhiata alla cartina: ci dirigeremo alla volta di Santu Lussurgiu, passando da Cuglieri e salendo lungo il massiccio vulcanico del monte Fer-ru per poi ridiscendere verso l’altopiano di Abbasanta, famoso per la necropoli di San-ta Cristina e il suo pozzo sacro. Procedendo verso Cuglieri per una via si-

nuosa e soleggiata, notiamo il paese in posi-zione panoramica dominato dall’imponente chiesa di Santa Maria della Neve, eretta nel XVII secolo in un punto tra i più suggestivi di tutta l’isola. Poi con le nostre bianchine entriamo nell’abitato, che ha vicoli ripidi e tortuosi: da qui possiamo ammirare un am-pio tratto di costa, il monte Ferru e le cime più lontane dell’entroterra, mentre sulle no-stre teste vola una miriade di rondini che sembrano felici del nostro arrivo. Lasciata Cuglieri alle nostre spalle, conti-nuiamo a salire tra la fitta boscaglia; uno spazio aperto ci dà modo di osservare dal-l’alto il paese, che sovrasta la costa. Duran-te l’ascesa in mezzo al verde appaiono alla nostra destra, adagiati su di un versante roccioso, i resti di un castello; chiediamo notizie sull’antica costruzione a un pasto-

APPUNTI NATURALISTICI

Il grifone Durante il tragitto da Alghe-ro a Bosa, sulla costa nord-oc-cidentale della Sardegna, ab-biamo avvistato alcuni grifoni, i superbi volatili che danno il nome a quel tratto di litorale. Il grifone (Gyps fulvus) è un bellissimo avvoltoio dalle di-mensioni davvero ragguarde-voli: con un corpo che misura circa 100 cm di lunghezza, ol-tre 250 cm di apertura alare e un peso intorno ai 10 kg è il più grosso rapace esistente in

Italia. La testa e il collo, che coperti di piumino bianco e gli visti a una certa distanza sem- esemplari adulti presentano brano nudi, sono in realtà ri- anche il caratteristico collare

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re, ma quel che ci dice è troppo frammen-tario. Il simpatico personaggio è un po’ di-spiaciuto per non poterci essere d’aiuto e per rifarsi ci dà indicazioni su un luogo da visitare prima di arrivare a Santu Lussur-giu: è San Leonardo de Siete Fuentes, un villaggio sulle pendici orientali di Rocca

Sa Pattada. In breve iniziamo la discesa; davanti a noi la vista si apre sull’altopiano di Abbasanta e, poco dopo, svoltiamo a si-nistra verso il verde parco delle Sette Fon-ti. Arriviamo così a San Leonardo dove Belvetta, Dino e Polentina si godono la frescura tra gli zampilli di fontane e l’om-

bianco. Il resto del piumaggio è di un colore fulvo, che ten-de a scurire sulle penne più esterne delle ali (remiganti) e della coda (timoniere). Il bec-co è assai robusto e adunco, perfetto per lacerare la carne delle carogne di cui l’animale si ciba; le solide zampe sono munite di grossi artigli. L'ha-bitat ideale di questo pode-roso volatile sono le regioni montagnose aperte, in parti-colare se vi sono pareti verti-cali e falesie che offrono luo-ghi adatti alla nidificazione.

Il grifone è una specie pro-tetta fin dal 1978 e in Sarde-gna ne restano ormai due so-le colonie, insediate l’una nel-la zona tra Punta Cristallo e Capo Caccia e l’altra, come detto, lungo la litoranea Al-ghero-Bosa. Per accrescere le possibilità di riproduzione dei pochi esemplari rimasti, nel 1986 sono stati introdotti al-cuni piccoli gruppi di grifoni provenienti dalla Francia e un contingente più cospicuo ori-ginario del Parco di Monfra-gue, in Spagna: ebbene, il ri-

sultato appare davvero confor-tante, sia perché gli ‘stranieri’ si sono ben acclimatati sia, so-prattutto, per il leggero au-mento della popolazione. At-tualmente nell’isola stanzia-no 120 grifoni con 40 coppie riproduttrici. Se alziamo lo sguardo tra le alte falesie e scorgiamo un grande creatura alata che volteggia con ampie spirali e poi con lunghe pla-nate va in cerca di altre cor-renti ascensionali, stiamo si-curamente ammirando un bel-l’esemplare di grifone.

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bra di acacie, alti pioppi e olmi secolari. re le nostre vetturette davanti alla caratteri-Una fontana nella piccola piazza ai piedi stica locanda. Il signor Umberto ne è pro-della salita alle Sette Fonti ricorda la rap- prietario e basta una breve conversazione presentazione di un linga, simbolo di fer- per entrare in perfetta sintonia con lui, che tilità per gli induisti. Proseguiamo a piedi si rivelerà un vero e proprio ‘pozzo del sa-lungo l’acciottolato e ben presto giungia- pere’, per noi quanto mai prezioso poiché mo alle famose Sette Fonti, le cui acque raccogliere informazioni sul posto fa parte presentano caratteristiche e sapori diversi della nostra ‘missione’. l’una dall’altra. Sostiamo dunque nell’accogliente locale,

dove la riproduzione di un’antica barca di Santu Lussurgiu, tra artigianato giunchi chiamata fassone fa bella mostra e tradizioni popolari di sé appesa alla parete. Santu Lussurgiu è Lasciata la verdeggiante contrada delle fon- un paese che da sempre basa la sua econo-ti, torniamo a climi più caldi percorrendo i mia sulla pastorizia, l’agricoltura e l’arti-pochi chilometri che ci separano dalla di- gianato e, ci dice Umberto, il museo della rettrice di Santu Lussurgiu e guadagnando tecnologia contadina presenta la testimo-infine il paese, che visto a poca distanza si nianza più genuina di tutte queste attività. presenta sotto di noi annidato nella conca Tra un piatto di squisiti ‘culurgiones’ (tor-di un’antichissima caldera vulcanica aper- telloni sardi) e prelibati arrosti annaffiati ta verso valle. da un caratteristico vino locale, la nostra Subito ci inoltriamo nel centro storico dove si affac- IMMAGINI EPOCALI

ciano palazzi del ’700 e I predoni del mare Costantinopoli, nel secondo botteghe di artigiani famo- ‘400, quando i turchi si servi-si per la produzione di col- Dopo l’espansione dell’Islam rono dei pirati per lanciare at-telli, come i fratelli Mura e fin nell’Europa occidentale, il tacchi a sorpresa contro i cen-Salaris, e di selle, vere e termine saraceni, che in origi- tri costieri dell’area cristiana, proprie opere d’arte come ne non era che il nome di una legittimando di fatto tali cru-quelle realizzate da Giovan- tribù araba, passò a designare deli incursioni come azioni di ni Spanu. Poi percorriamo genericamente tutti i musul- guerra contro il nemico. una ripida, anzi, ripidissi- mani. Saraceni furono dunque La Sardegna, trovandosi a un ma salita seguendo le indi- detti anche i pirati provenien- solo giorno di navigazione cazioni del ristorante ‘La ti dalle terre islamizzate che (con vento favorevole) dalle Bocca del Vulcano’ consi- per secoli devastarono le coste coste africane, subì per secoli gliatoci dall’amico Tonino del Mediterraneo. Il fenomeno tale flagello e gli abitanti del ed eccoci, subito prima di assunse proporzioni vistosissi- litorale vissero l’angosciosa at-un tornante, a parcheggia- me in seguito alla caduta di tesa dei feroci predoni che di

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conversazione spazia dalla storia alla natu-ra, dall’archeologia ai percorsi trekking. E più che di una conversazione, si tratta di

vere e proprie lezioni, dato che Umberto è stato insegnante per diversi anni. Veniamo così a sapere molte cose sulla zona che stia-mo visitando, a partire dalle feste tradizio-nali: come ‘Sa crela e nanti’, ossia la corsa dei cavalieri, che si tiene nel periodo di Carnevale, una dimostrazione di ‘balentia’ (coraggio) in cui i cavalli montati con de-strezza vengono lanciati a pariglie tra le ri-pide e strette vie di Santu Lussurgiu. Du-rante la folle corsa tutto il paese assiste as-siepato lungo il percorso e i portoni delle case sono tutti aperti per assicurare un ri-fugio in caso di pericolo.

Dalle antichità alla natura, al sovrannaturale Nell’area circostante, in un raggio di 30 chi-lometri, si trovano tre importanti nuraghi: il Piricu, nel territorio comunale di Santu

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notte, a bordo di veloci tarta-ne, si avvicinavano alla loro sciagurata meta per poi rag-giungerla con piccole barche, armati di picche e scimitarre. Molti sardi decisero per questo motivo di lasciare il mare per una vita più dura ma tranquil-la nell’entroterra. Sorsero così nuove città come Sassari, fon-data dai profughi di Porto Tor-res, mentre gli abitanti di Thar-ros, splendida al tempo dei punici, abbandonarono la loro città e fondarono Oristano.

Un antico proverbio sardo re-cita «Furat chie venit da e su mare» (ruba chi viene dal ma-re) e fu proprio per difendersi da chi si avvicinava sulle onde che nel periodo spagnolo ven-nero erette le torri di avvista-mento lungo la costa, a distan-za visiva l’una dall’altra e mu-nite di grossi cannoni per con-trastare il nemico. Questa linea difensiva comportò un grande impegno di risorse umane e di finanze, assolto dalla popo-lazione con il lavoro e con una

tassa sulle esportazioni che indebolì la già fragile econo-mia dell’isola. Ma neppure le torri garantirono piena sicu-rezza: il loro numero era trop-po esiguo rispetto allo svilup-po del territorio da protegge-re, e troppo pochi erano anche gli avamposti per combattere le fuminee scorrerie. Alcuni di questi antichi baluardi, come Torre Argentina e Torre dei Cor-sari, continuano comunque a scrutare fiere il mare per scon-giurare ignoti pericoli.

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APPUNTI NATURALISTICI

L’oro rosso I coralli, come le somiglianti madrepore con cui sono spes-so confusi, sono celenterati marini degli Antozoi caratte-rizzati da uno scheletro ester-no calcareo, composto in alta percentuale da carbonato di calcio e in parti minori da car-bonato di magnesio, solfato di calcio, ossido di ferro. Or-ganismi coloniali, vivono in

acque temperate o tropicali sviluppandosi l’uno sull’altro; quando un individuo (polipo) muore, il suo scheletro rimane a supporto di quelli sovrastan-ti. Si formano così strutture ar-borescenti che, accrescendosi, possono dare origine a sco-gliere, barriere e atolli. Durante il nostro soggiorno a Bosa abbiamo fatto amicizia con alcuni subacquei profes-sionisti che si dedicano proprio

alla pesca del corallo e da lo-ro abbiamo avuto interessanti informazioni in merito. Ora sappiamo, tra l’altro, che il co-rallo rosso (Corallium rubrum),la specie più bella e pregiata, è diffuso quasi esclusivamen-te nel Mediterraneo e che ab-bondava in particolare qui a Bosa, davanti alla foce del Te-mo nella secca di Cala ’e Moros, con culmine a 16 m di profon-dità. ‘Abbondava’, perché or-

Lussurgiu; il quadrilobato Lugherras (nome derivato dalle lucerne rinvenute in loco) tra Santu Lussurgiu, Paulilatino e Bonarcado; infine il Losa, nel comune di Abbasanta. Tre monumenti di questa fatta, insieme con il misterioso pozzo sacro di Santa Cristina, conferiscono alla zona notevole importanza archeologica e testimoniano come gli anti-chi qui captassero una maggiore concentra-zione di energia lungo quelle che si dicono

linee sincroniche, vie di comunicazione ma-gnetica percepite e sfruttate dagli sciamani e dagli stregoni anche per mettersi in contat-to con dimensioni diverse dalla nostra. La conoscenza che Umberto ha della sua terra è davvero vasta e concerne gli ambiti più vari. Così, dopo averci spiegato che i ru-deri avvistati dopo Cuglieri appartengono al castello di Montiferru, edificato nel 1169 da Itocorre De Gunale, fratello del giudice turritano Barisone II (come si legge dall’an-tico Libellus Iudicum Turritanorum), passa ad argomenti naturalistici. È stato infatti promotore e realizzatore del ‘Centro Docu-mentazione Trekking’ in Sardegna e in tale veste ha aperto e codificato nuovi percorsi, come quello intitolato ‘Oltre il vulcano ver-so il mare’: un trekking di due giorni che, attraverso i monti che sovrastano il paese (come l’Urtigu), porta da Santu Lussurgiu tra zone di ripopolamento di grifoni e mu-

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nos, dopo una serie di ri-mai, ci confidano i sub, per ha dovuto essere normata con tuali ai quali nessun altro raccogliere corallo apprezza- leggi specifiche (non solo in poté assistere, il ‘saggio’ pre-bile in oreficeria devono scen- Sardegna) che garantiscano se uno dei maialini morti e dere a profondità vertiginose, una raccolta razionale. Per e- lo gettò lungo la cascata di anche oltre i 100 m in secche sempio, per ogni banco coral- Si Strampu de Sos Molinos. lontane dalla costa, dove con lino è previsto un periodo di Da quella notte non morì una picchetta prelevano solo le sfruttamento alternato a uno più alcun porcellino. colonie più interessanti. Di di quiete, in modo che la co- Al di là di ogni considera-fatto, la pesca del corallo pra- lonia possa rigenerarsi. Tutela- zioni sull’accaduto, magia o ticata senza criterio (persino to, l’oro rosso del Mediterraneo non magia, di certo il rito con minisommergibili che fa- continuerà a prosperare, do- praticato dal vecchio è par-cevano ‘strage’) ha creato gra- nando quei riflessi unici ai ma- te di una sapienza arcaica, vi danni alla specie, così che gnifici fondali della Sardegna. tramandatasi dalla notte dei

tempi e ormai quasi estinta.

floni e poi in discesa nel territorio di Sene- Il sito archeologico ghe, fino alla splendida costa di Santa Cate- di Santa Cristina rina nei pressi delle rovine di Cornus. Dopo aver passato poche ma intense ore con Ci accingiamo a gustare una squisita ricot- Umberto, lasciamo il suo locale e ‘planiamo’ ta ancora calda con il miele d’acacia (che dolcemente verso l’altopiano, lungo un pia-ancor oggi ricordiamo con nostalgia), cevole percorso che diviene via via più retti-quando il discorso scivola su un tema anco- lineo. Giungiamo così a Paulilatino e quin-ra diverso: un prodigio ‘realmente accaduto’. Tem-po fa, quando Umberto era ancora bambino, un suo compaesano aveva una scrofa che partoriva solo piccoli incapaci si sopravvi-vere. Così un bel giorno, il povero fattore decise di ri-volgersi a un vecchio ‘sa-piente’ del luogo, il quale accettò di buon grado di in-tervenire. A mezzanotte, presso il ponte di Sos Moli-

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La civiltà nuragica tra luci e ombre L’arcaica civiltà nuragica non ha lasciato documenti scritti così che gli studiosi hanno do-vuto ricostruire quel fonda-mentale brano di storia antica basandosi sulle vestigia archi-tettoniche e sui manufatti ar-tigianali riferibili all’epoca. Di fatto simili testimonianze non mancano, ma non sempre dan-no indicazioni lineari. Se l’ap-parente contraddizione tra il gran numero di nuraghi, oltre 7000, e la scarsa popolazione

dell’isola nel medesimo perio-do, non più di 200.000 indivi-dui, viene oggi spiegata con la teoria di una società nuragica molto frazionata, in cui picco-le tribù indipendenti vivevano ciascuna intorno a un proprio centro di potere e culto (il nu-raghe, appunto), i famosi bron-zetti pongono ancora più di un enigma. In realtà, molte delle oltre 500 statuette rinvenute nei siti archeologici raffigura-no in modo stilizzato ma det-

tagliato personaggi d’ogni ran-go, utensili e animali (non so-lo domestici) offrendo un pre-zioso quadro della vita quoti-diana e del mondo dei nuragi-ci. Ma alcune sono davvero singolari. Per esempio, che di-re di quella figura antropomor-fa con quattro occhi e quattro braccia, che pare indossare un casco completato da occhia-loni e due antenne, una tuta attillata e stivali? È probabi-le sia un dio o un eroe guer-riero, che regge tra l’altro due scudi con al centro punte da

di, qualche chilometro più a sud, al complesso nuragico di Santa Cristina: oltre al villaggio preistorico, vi tro-viamo l’impressionante pozzo sacro presso il quale, circa 3000 anni fa, si vene-ravano le acque. Ci avvici-niamo con rispetto al luogo sacro, una splendida strut-tura dall’entrata triangolare su piano orizzontale, che penetra nella terra tra i bloc-chi litici della scalinata e delle pareti, tutti ben squa-drati e allineati sino ad arrivare giù al pozzo, che prende luce attraverso una volta conica dalla perfetta geometria. Qui percepiamo

una grande energia positiva, la stessa aura di sacralità e magia che dovettero percepir-vi gli antichi frequentatori.

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Sugli altipiani: cui partono una sorta di rag- granito sardo e quindi di fattu- Abbasanta e Macomer gi; gli attributi che ha in nu- ra locale) nonché a interro- Puntiamo ora a nord in di-mero doppio forse simboleg- garsi sulla loro scienza navale. rezione Abbasanta e, prima giano una potenza fuori del Le barche sono infatti prive di arrivare alla cittadina che comune? Altro mistero: le na- di timone e di remi (e di fori dà il nome a tutto l’altopia-vicelle di bronzo prodotte in per alloggiarli), mentre sull'al- no, scorgiamo sulla nostra due tipologie, navi snelle ‘da bero hanno un anello sormon- sinistra l’imponente sago-corsa’ e navi da carico. La pre- tato da un elemento a mezza- ma del nuraghe Losa che, senza di modelli così diversi, luna: che ciò servisse a inse- imperturbabile, lascia sfila-insieme al riconosciuto reali- rire un albero traverso muni- re Belvetta, Dino e Polenti-smo che impronta l’antica arte to di vela per manovrare sen- na sotto di sé. Il Losa rivela sarda, ha spinto gli studiosi ad za altri ausili? Oppure, come i segni del tempo e, pur non assegnare ai nuragici un ruolo vuole un’ipotesi recente e al- essendo più integro, pre-anche marinaresco (conferma- tamente suggestiva, la curio- senta tre fasi costruttive di-to dalla scoperta, a nord dell’i- sa struttura era proprio una stinte. Il mastio, originaria-sola, di una vetusta àncora in bussola con un sestante? mente a tre piani, risale al

2000 a.C. circa; un altro bastione e una cinta mura-

Santa Cristina ci offre un elevato esempio di ria esterna con due torri mostrano la più ingegneria costruttiva, non riscontrabile in tarda influenza fenicia, mentre tra la cinta altri siti dell’isola, e a stento riusciamo a cre- difensiva e il nuraghe si notano resti di dere che tutto ciò sia opera di uomini ‘pri- strutture d’epoca decisamente remota, ad-mitivi’. Oltre a luogo di culto delle acque, dirittura preistorica. secondo alcune teorie, il pozzo avrebbe avu- Ma eccoci ad Abbasanta, lungo la SS 131 to anche la funzione di osservatorio astro- ‘Carlo Felice’, interessante borgo caratteriz-nomico: infatti la luna si rispecchia nelle sue zato nella parte più antica da un fitto reti-acque ogni 18 anni e mezzo e inoltre, du- colato di vie e viuzze e da tipiche case edifi-rante gli equinozi di primavera e di autun- cate in pietra basaltica locale. no, il sole illumina la scalinata sino giù in Meta successiva è Macomer che, sull’orlo fondo riflettendosi nel bacino d’acqua. granitico dell’altopiano di Campeda a domi-Lasciamo il pozzo sacro protetto da un pe- nio di pianure e montagne anche lontane co-rimetro rettangolare di pietre e, dopo me il Gennargentu, ci aspetta sotto a un cie-un’interessante visita al villaggio nuragico lo che si fa sempre più cupo. Erede della ro-e al più recente sito paleocristiano che si mana Macopsissa, nata sulla via che collegava trovano intorno, torniamo alle bianchine Karalis a Turris (Cagliari e Porto Torres), la per continuare il nostro viaggio. cittadina è oggi un moderno e florido centro

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di industrie laniere e casearie in cui si incro-ciano due delle più importanti strade dell’i-sola, la ‘Carlo Felice’ e la ‘Centrale sarda’. Qui andiamo a vedere la vecchia locomotiva a vapore che fino alla metà del ’900, collega-va Macomer alla costa e che al momento si accinge, come tutti gli anni, a trasferirsi a Bo-sa per far bella mostra di sé davanti ai turisti. Il cielo è ormai plumbeo; lasciamo Macomer sotto un violento acquazzone. Adesso procediamo verso ovest lungo la SS 129bis per rientrare a Bosa a conclusione del giro nell’entroterra, dove abbiamo trascorso un’interessante giornata. Alla nostra destra si stende il brullo altopiano della Campe-da, punteggiato di nuraghi, mentre la stra-da rettilinea su cui corriamo si contrappo-ne al percorso montano seguito in matti-nata. Dopo una ventina di chilometri, una ripida discesa ci riporta sulla costa: il sole è tornato a far capolino tra le nuvole e si pre-para a regalarci un magnifico tramonto che, con entusiasmo unanime, andiamo ad ammirare sulla spiaggia di Bosa Marina.

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Le domus de janas In molte zone della Sardegna capita di imbattersi in piccole grotte artificiali che la tradi-zione popolare ha chiamato domus de janas, cioè ‘case del-le fate’; c’è persino chi dice di aver udito uscire da tali cavità canti melodiosi. In realtà si tratta di tombe collettive ri-salenti addirittura al periodo prenuragico: le più semplici sono costituite da un unico vano; altre hanno più ambien-ti e corridoi e sembrano ripro-durre un’abitazione vera e pro-pria, quasi a sottolineare una continuità tra il mondo dei vi-vi e quello dei morti. Non avendo, peraltro, testimo-nianze significative di come fossero le case dell’epoca, que-sto tipo di architettura può offrirci qualche elemento per

fare delle ipotesi. Sulle pareti complessi tombali ipogei, interne infatti, scolpiti nella quello di Sant’Andrea Priu nei roccia, si vedono dettagli di pressi di Bonorva, documenta porte, tetti e anche oggetti anche in modo assai chiaro d’uso quotidiano. Le strutture come il prestigio e il rango più complesse, inoltre, po- avuti in vita da un individuo trebbero essere state utilizza- fossero tenuti in conto nella te non solo come sepolcri, ma costruzione della sua dimora anche come templi: lo si sug- eterna: la cosiddetta Tomba gerirebbe, per esempio, il fat- del Capo è composta da ben to che in alcune di esse sono diciotto vani, con riproduzio-stati rinvenuti numerosissimi ne scolpita di tetto e travi. oggetti votivi tra cui spiccano Anche i corredi funerari varia-statuette raffiguranti la Dea no nel rispetto del ruolo ter-Madre e il Dio Toro, espressio- reno del defunto: ceramiche, ne delle due forze (quella fem- collane di denti di cinghiale, minile e quella maschile) ge- utensili di selce e di ossidiana, neratrici di vita che comune- lavorati e decorati in modo mente sono alla radice della re- anche molto raffinato ci de-ligiosità primitiva. scrivono una comunità social-Esistono poi ‘domus’ sia isola- mente articolata e avanzata, i te sia riunite in necropoli, co- cui segni più spettacolari sono me quelle che abbiamo visita- proprio le costruzioni desti-to sulle alture di Bosa e di Or- nate ai morti. roli. Uno dei più spettacolari A cura di Roberto Sciotta

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BOSA SANTA CATERINA DI PITTINURI ORISTANO TORRE DEI CORSARI

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no Un’altra notte è trascorsa: senza allonta-narci dal mare, abbiamo dormito in un

appartamento del Lido Chelo e ora, mentre facciamo colazione al bar sulla spiaggia, am-miriamo l’Isola Rossa e la sua torre che si co-lorano dei primi raggi di sole. Ci accingiamo a lasciare Bosa per iniziare un nuovo itinera-rio verso sud, seguendo la costa occidentale, che avrà come punti focali, oltre alla peniso-la del Sinis, il golfo di Oristano e la selvaggia Costa Verde. Percorrendo la stessa strada seguita il giorno prima, arriviamo fino a Cuglieri e qui, anzi-ché proseguire verso l’interno, prendiamo la SS 292, direttrice che ci riporterà sulla costa. Proprio in questa zona sgorga una sorgente chiamata Tiu Memmere, le cui limpide ac-

FANTASIE POPOLARI

La Sardegna e le sue leggendeQualcosa di atavico e miste-rioso aleggia nelle più antiche leggende dell’isola, che attin-gono da una memoria ance-strale anche i residui di reli-gioni estinte: racconti tra il fantastico e l’orribile, crudeli al ricordo di sacrifici umani e aspri come la vita che i sardi dovettero affrontare nei tempi passati. Durante il nostro viag-gio ne abbiamo udite alcune che presentano una stessa ver-sione ovunque (da nord a sud, da est a ovest), a testimo-

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que, secondo la leggenda, indeboliscono la memoria di chi vi si disseta. Superati alcuni tornanti che ci allontanano dalle colline di Cuglieri, iniziamo a percorrere lunghi e on-deggianti rettilinei tra una natura brulla che si protrae sino alla costa; un paesaggio parti-colare che ci ricorda le sierre spagnole attra-versate con Belvetta, Dino e Polentina in un precedente viaggio.

Santa Caterina di Pittinuri e la punica CornusIn pochi minuti arriviamo in uno dei luoghi più interessanti di tutta l’isola, da un punto di vista sia naturalistico sia archeologico:

nianza di un legame culturale dalle profonde radici. Riguar-dano, per esempio, il terribile ‘s’erchitu’, l’uomo-bue che si aggira di notte soffermandosi a muggire tre volte davanti al-la casa di chi morirà; o le ‘sùr-biles’, spiriti di donne malvagie che succhiano il sangue dei neonati. Divergenze vi sono, invece, a proposito delle fa-mose ‘janas’, che danno il no-me ai sepolcri preistorici sca-vati nelle rocce, e vengono identificate qui come fate, là come streghe: esseri pur sem-pre sovrannaturali, che però rappresentando valori oppo-

sti, il bene e il male. Forse le misteriose janas arrivano a noi da epoche e concezioni tanto remote da rimanere estranee a ogni più tardo schema menta-le. Della ‘musca macèdda’, fan-tastico insetto dal morso mor-tale, abbiamo sentito parlare a Esterzili durante la visita a un tempio unico nel suo genere; a Perda Liana è comparso ‘Sora-mala’, il demone che si impa-dronisce dell’anima degli uo-mini in cambio di ricchezze; a Morgongiori ha un posto d’o-nore la pietrificata ‘Luxia Arra-biosa’, e a Suni si narra che tra i ruderi di un vecchio castello

abiti il fantasma di una non meglio identificata ‘regina Me-dusa’. Sulla costa orientale ci ri-feriscono poi di ‘Maria Mangro-fa’, una megera divoratrice di carne umana, preferibilmente di bambini; la grotta in cui vi-veva la mostruosa creatura si trova sulla collinetta di Santa Lucia nei pressi di Orosei. Abbiamo così ‘intravisto’ qua e là, grazie ai ricordi dei locali, brani di un mondo fuori dall’or-dinario, nato dalla sintesi del primitivo animismo e delle cre-denze dei popoli che, attraver-so i millenni, si sono succedu-ti nella dominazione dell’isola.

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TharrosTharros

Oristano, capoluogo della più

piccola provincia della Sarde-gna (istituita nel 1974), è at-traversata dal fiume Tirso e si affaccia sul golfo omonimo lungo la costa occidentale del-l’isola. Si trova a nord della pianura del Campidano e a sud-est della penisola del Si-nis, in cui spiccano numerosi stagni di grande valenza na-turalistica (quello di Cabras su tutti) e le rovine punico-ro-mane della città portuale di

. E furono proprio gli abitanti di a fondare Oristano, quando intorno al-l’anno Mille per fuggire i con-tinui attacchi dei pirati sara-

ceni decisero di insediarsi in un luogo più protetto e di-fendibile all’interno della co-sta. Quanto al nome della città, si dice comunemente che si debba a un’antica leg-genda e che abbia il signifi-cato di stagno d’oro. La nostra visita nel vivace cen-tro storico inizia in piazza Ro-ma, dove gli oristanesi amano ritrovarsi e dove giganteggia la poderosa torre di Mariano

II, detta anche Porta Manna, edificata nel 1291 e oggi ul-timo vestigio della cerchia mu-raria che cingeva la città. Po-co distante dalla torre sorge il bel palazzo, in parte medie-vale e in parte rinascimentale, che la tradizione indica come casa di Eleonora d’Arborea. In piazza Corrias, presso palazzo Parpaglia, vi è la sede dell’in-teressante Antiquarium Arbo-rense dove sono esposti ma-

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Il fascino di

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Santa Caterina di Pittinuri, che si presenta solare, con una meravigliosa spiaggia ai pie-di dell’abitato. La costa, ricca di formazioni rocciose di ori-gine vulcanica, è un vero e proprio museo mineralogico all’aria aperta, dominato a nord dal profilo di una torre spagnola e un chilometro a sud dal ponte naturale di S’Ar-chittu, affascinante formazione rocciosa plasmata dalle acque del mare. E affascinan-te è anche il fenomeno carsico del rio Santa Caterina che, in prossimità della spiaggia, sgorga dalle viscere della terra, dove invece

qualche chilometro prima si va a inabissare. Dalla terrazza dell’hotel ‘La Scogliera’ am-miriamo la colorata insenatura dalle coste alte e frastagliate e dai fondali smeraldini. Qui, chiediamo alla signora Luisa informa-zioni per andare a visitare le rovine della città di Cornus, uno dei maggiori centri commerciali della Sardegna ai tempi di Car-tagine. Con le nostre ‘piccole’ usciamo dal paese e, poco dopo, prendiamo una strada sterrata diretta all’interno: in pochi minuti siamo davanti ai ruderi di quella che fu una bella e fiorente città, patria di Amsicora,

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teriali preistorici e nuragici (IV millennio-III secolo a.C.) provenienti dalla penisola del Sinis; urne cinerarie e corredi tombali dei periodi fenicio e punico (VII-III secolo a.C.); reperti di epoca romana, pa-leocristiana e altomedievale

d.C.). Una pinacoteca con ope-re del ’500 completa l’offerta museale. Intorno all’Antiqua-rium si trova quello che rima-

ne dell’antico nucleo urbano, fatto di piazzette irregolari e di vicoli: uno di questi porta alla torre Portixedda, altro re-siduo delle fortificazioni me-dievali. In piazza Eleonora d’Arborea, al cui centro è il monumento della giudicessa vissuta a fine XIV secolo e tuttora amatissima in tutta l’isola, convergono a raggiera tutte le vie del centro. Oristano è interessante anche per le tante fiere legate all’ar-tigianato e alla gastronomia (per esempio, in agosto-set-tembre, ‘Su talleri dorau’, gran-de rassegna dei prodotti ali-mentari dell’Oristanese) e per la ricchezza di tradizioni: pro-vate a dire a un oristanese

‘sartiglia’, gli brilleranno su-bito gli occhi. ‘Sa sartiglia’ è infatti una giostra equestre con ancestrali significati pro-piziatori legati alla civiltà con-tadina, che si svolge fin dal XVI secolo l’ultima domenica di carnevale e il martedì suc-cessivo. Il nome sembra deri-vare dal catalano , che significa anello, perché du-rante la manifestazione un centinaio di cavalieri preceduti dal capo corsa, ‘su componi-dori’, si esibiscono cercando di infilzare lo stocco al centro di una stella d’argento pen-dente da un nastro. In base al numero delle stelle ‘prese’ si trarranno gli auspici per il nuovo raccolto.

condottiero dei sardo-punici sconfitto dal-l’esercito romano nel 215 a.C. Tra aride col-line, con il mare in lontananza, le vestigia di Cornus ci precipitano a ritroso nei secoli e il vento che lambisce le assolate mura, ormai abitate solo da lucertole, sembra far riaffio-rare antichi suoni cancellati dal tempo. Gi-rovaghiamo tra le rovine e i resti della ne-cropoli a lungo, senza accorgerci che il sole è già alto sulle nostre teste. Ripercorriamo quindi la strada sterrata lasciandoci Cornus alle spalle, poi la vista dell’asfalto ci riporta appieno nella nostra epoca.

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no Tra sabbie abbaglianti PAESAGGI DA RICORDARE

e storiche vestigia Un’altra bella ‘galoppata’ verso sud ed eccoci all’in- Lungo il percorso che da Bosa questo protetti dalla conven-terno della penisola del Si- ci ha portati a Torre dei Corsa- zione internazionale di Ramsar. nis; non ci resta ora che ri abbiamo avuto modo di ve- A nord di Is Arutas, nello sta-puntare a ovest, lasciando dere un sorprendente numero gno di Sale Porcus vivono, per la strada principale prima di stagni; distese d’acqua a esempio, i fenicotteri che gli di Riola Sardo. Seguiamo i volte considerevoli, antiche abitanti della zona chiama ‘sa cartelli marroni con le in- sacche d’acqua salmastra che zent’arrubia’, ossia la gente dicazioni per la spiaggia di via via si sono sempre più se- rossa (Oasi LIPU, per visite Is Arutas, che tanti amici parate dal Tirreno creando am- guidate tel. 078352200). Ma lo sardi ci hanno decantato, bienti con una flora e una fau- stagno più famoso e più este-incuriosendoci. All’inizio na molto interessanti e per so è quello di Cabras, che an-di un bello sterrato final-mente la scorgiamo: un arenile che si snoda per diversi chilometri È un raro esempio di come la realtà sia in nel suo candido splendore fatto di minuti grado di superare, perché ancora più bella, granuli di quarzo bianco levigati dal mare. l’immaginazione.

Gli stagni costieri, un habitat d’eccezione

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cora nelle carte geografiche del ’200 era definito maris. Tra i suoi canneti dimorano gli ul-timi esemplari del pollo sulta-no nonché lo stupendo airone rosso, il tarabusino e il tara-buso. Nelle acque che mettono in comunicazione lo stagno con il mare nuotano la carpa, l’anguilla, l’orata, la spigola e il muggine (cefalo per i conti-nentali), ben noto per la pre-libata bottarga (buttariga) ri-

cavata dalle uova che depone tra agosto e settembre. A sud dello stagno di Cabras, tra Tharros e Su Sicca, il litorale sabbioso racchiude la laguna di Mistras che, circondata da sa-licornieti (grandi distese di Salicornia fructuosa) e giun-chi, è il regno di gabbiani, fe-nicotteri, volpoche, rapaci e della rara pernice marina. Sot-to Oristano si trovano poi lo stagno di Santa Giusta, che

nasconde il mistero di un’an-tica città sommersa, e ancora più giù, tra la punta meridio-nale del golfo di Oristano e lo stagno di San Giovanni nell’en-troterra, lo stagno di Marced-di sovrastato dalla cinquecen-tesca Torrevecchia. In assolu-to tra i più scenografici e pe-scosi, quest’ultimo è partico-larmente famoso per le preli-bate vongole: vi consigliamo senz’altro di assaggiarle.

Percorriamo la spiaggia in tutta la sua lun-ghezza grazie alla pista che, tra stagni im-biancati dalla salsedine e macchia medi-terranea, ci porta verso nord. Centinaia di farfalle, forse attratte dagli sgargianti co-lori delle bianchine, ci circondano e ci ac-compagnano felici. Un bagno a Is Arutas è estremamente rivitalizzante e manciate di piccoli quarzi lasciati cadere a pioggia su tutto il corpo hanno l’effetto di una ve-ra e propria ‘cristallo-terapia’. Al largo, nelle acque che lambiscono l’isola di Mal di Ventre, è facile vedere gruppi di delfini che hanno trovato in questa zona un habi-tat ideale. Da Is Arutas a Tharros il passo è breve. Ec-coci dunque a visitare le rovine di un’altra città punica, questa volta sulla riva del ma-re: anzi, Tharros è in parte sommersa dal mare e le acque sembrano proteggere viep-più le antiche vestigia. Ci troviamo nel lem-

bo di terra più meridionale della penisola del Sinis, in prossimità di Capo San Marco. Centro commerciale fenicio nell’VIII seco-lo a.C., Tharros fu poi importante base na-vale cartaginese nel VI e passò infine, nel 238 a.C., sotto la dominazione romana. L’antica città, riportata alla luce negli anni ’60 del XX secolo da archeologi inglesi, è perciò di fondamentale importanza per do-cumentare un ampio brano di storia della Sardegna. Dopo la visita a Tharros ci dirigiamo verso Cabras, situata sulla sponda orientale del vasto stagno omonimo, che ha una superfi-cie di oltre 2000 ettari ed è importante sia come oasi naturale sia per la storia dell’uo-mo. Prima di arrivare a Cabras passiamo nei pressi del sito di Cuccuru is Arius, sulla sponda meridionale dello stagno, dove re-centi scavi hanno fatto affiorare reperti di età preistorica e protostorica.

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Il fassone dei palamitai realizzata con er- tie e di vele, abbiano solcato il be palustri e simile alle barche mare aperto e persino tratti di

Durante il nostro viaggio at- di papiro degli antichi egizi. oceano per dare vita a nuovi traverso la penisola del Sinis, Oggi le imbarcazioni di questo scambi commerciali. Lo confer-terra di grande fascino natura- tipo sono ancora utilizzate so- merebbero alcune narrazioni listico e suggestive tradizioni, lo in pochi luoghi al mondo: tramandateci da Eratostene, siamo andati a visitare il museo negli stagni di Cabras e di San- Plinio e altri autori classici civico di Cabras. Qui, tra i tan- ta Giusta in Sardegna, sul lago nonché l’impresa del norvege-ti reperti punici e romani, ab- Titicaca in Perù e sul lago Ciad se Thor Heyerdahl, famoso na-biamo anche potuto ammirare in Africa; è tuttavia molto pro- vigatore ed esperto in antiche ‘su fassoni’, la storica barca babile in antico, munite di sar- civiltà, che nel 1970 ha tra-

versato l’Atlantico a bordo di uno scafo in papiro lungo 12 m e largo 5 preparatogli dai Bu-duma del lago Ciad seguendo le arcaiche tecniche egizie. ‘Su fassoni’ di fatto ha mante-nuto inalterata nel tempo la

preistorico con i tetti realiz-zati in falasco, una pianta che cresce ai bordi degli ac-quitrini. Nel museo fa bel-la mostra di sé pure un fas-sone, la tradizionale imbar-

Cabras e Oristano, cazione in giunco di cui si servivano fino a musei e monumenti pochi anni fa dai pescatori del luogo e oggi Arrivati alla periferia della cittadina ci fer- usata solo in occasioni speciali, come l’an-miamo per una visita al museo civico, nuale regata sullo stagno di Santa Giusta. inaugurato nel 1997. Davanti all’entrata, L’esposizione si articola in due sezioni: la poco distante dalle rive dello stagno, una prima dedicata alla località di Cuccuru Is statua della Dea Madre ci dà il benvenuto; Arius, di cui si è detto, con reperti che van-poi, all’interno, una guida ci illustra i re- no dal Neolitico medio (IV millennio a.C.) perti segnalando alla nostra attenzione an- fino all’età imperiale romana; la seconda ri-che la ricostruzione di un intero villaggio servata alla città di Tharros, con ampia do-

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sua struttura originaria: è lun-go 4 m e largo 1 e per costruir-lo i pescatori oristanesi usano da sempre la tifa a foglie larghe e lo scirpo, ‘su feu’ e ‘su sparu’, due piante che crescono sulle rive degli stagni. È importante tagliare i vegetali in un certo periodo dell’anno, fine giugno-luglio, e metterli ad asciugare al sole; a essiccazione avvenu-ta inizia la sapiente legatura dei mazzi, che una volta assem-blati conferiscono al fassone la caratteristica forma puntuta a prua e tronca a poppa. Due giorni di lavoro e l’imbarcazio-ne è pronta per navigare negli

stagni di Cabras e Santa Giusta. Proprio a Santa Giusta, il lune-dì di Pasqua si svolge una sin-golare regata, evento da non perdere: i pescatori ritti in pie-di sui fassoni si sfidano spin-gendo i natanti con lunghe pertiche e procedendo a strap-pi, raggiunti dall’incitamento assordante di turisti e compae-sani, mentre in riva allo stagno si arrostiscono i pesci appena presi, si ascoltano tradiziona-li melodie suonate con le ‘lau-neddas’ e si ammirano le ragaz-ze in costume locale che pas-seggiano incuranti degli schia-mazzi dei giocatori di morra.

secolo dagli abitanti da Tharros e oggi capoluogo di provincia. Attraversiamo il Tirso, ma, dopo giorni di esplorazione in ampi spazi aperti, entra-re in una città ci crea qual-che problema psicologico: anche le bianchine sembra-no tornare a malincuore a immergersi nel traffico. Passiamo dall’austera torre di Porta Manna, ultimo re-siduo dell’imponente cer-chia muraria che cingeva la Oristano medievale. La co-struzione, tozza e massic-cia, fu eretta nel 1291 e culmina in una torretta merlata che si erge dall’ulti-mo dei tre piani, ospitando

cumentazione del tophet, tipico santuario fenicio-punico da cui provengono numerose urne in ceramica. Qui notiamo pure un sarcofago di pie-tra del tutto simile a quelli visti presso le rovine di Cornus.Dopo aver visitato il museo la-sciamo definitivamente il Si-nis, i suoi stagni, le sue città sepolte, le sue spiagge incan-tevoli e i suoi incredibili sce-nari che hanno ispirato alcu-ni tra i più bei film western di Sergio Leone. Il nostro viaggio prosegue alla volta di Oristano, fondata nell’XI

una campana del 1430. Una leggenda loca-le narra che questa campana emetta spon-taneamente dei rintocchi al sopraggiun-gere di un pericolo. Da piazza Roma, dov’è la torre, iniziamo la visita della città, insinuandoci a piedi nel centro storico. Vediamo, tra l’altro, palazzo

Parpaglia sede del museo archeologi-co, che custodisce anche una ricca collezione di gemme incise di epoca romana, e l’ampia piazza dedicata al-

la giudicessa Eleonora D’Arbo-rea, famosa per aver promulgato una raccolta di leggi (la Carta de Logu) che fu estesa a tutta la Sar-degna. Al centro della piazza, un

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Le ‘launeddas’Strumenti a fiato di origine remotissima, documentati già nella Sardegna prenuragica, le ‘launeddas’ sono oggi l’e-spressione più tipica della mu-sica etnica isolana. Lo stru-mento, detto pure ‘sonus de canna’, è formato da tre can-ne di diversa lunghezza; la più lunga, chiamata ‘tumbu’, è priva di fori ed emette una

nota grave e continua che crea essendo suonata con la mano un sottofondo a ogni melodia; destra prende anche il nome di la seconda canna, ‘mancosa ‘destrina’. Ciascuna canna è manna’, è unita al tumbu con dotata di una propria ancia uno spago e ha cinque picco- (bocchino) e lo strumento si li fori rettangolari, quattro dei suona tenendo in bocca con-quali possono essere chiusi temporaneamente tutt’e tre le dai polpastrelli delle dita del- ance. Suonare le launeddas è la mano sinistra, mentre l’ul- un’arte, anche perché il suono timo rimane sempre aperto. grave del tumbu non deve mai La “mancosedda” è la terza interrompersi e ciò richiede canna, la più corta, è libera l’uso della tecnica del ‘fiato (cioè non legata alle altre) ed continuo’, consistente nell’e-

monumento ricorda la grande Giusta, che, sinuosa, si adagia lungo la donna, mentre tutt’intorno sono strada. La cittadina ha una bella catte-i principali edifici cittadini, tra drale del XII secolo, con all’interno cui il seicentesco palazzo comuna- eleganti colonne in marmo provenien-le, già convento degli Scolopi. ti dalle rovine di Tharros, e case anti-La nostra visita a Oristano si conclu- che, molto piccole e con porte semin-de raggiungendo il viale alberato di terrate che danno un senso di acco-San Martino che ci porta ai giardini gliente protezione agli abitanti. Santa pubblici, dai quali si gode la vista Giusta peraltro sorge sul luogo della della pianura che si stende da- fenicia Othoca: lo confermerebbe-vanti alla città fino al ro i reperti rinvenuti sulle rive mare. dello stagno locale, nel qua-

le, si dice, si sarebbe anche Grandi stagni, inabissata la mitica città di nuove terre Hiadis. Belvetta, Dino e Il capoluogo, con lo Polentina sono parcheg-svettante campanile giate proprio davanti alla ottagonale del Duo- vasta distesa d’acqua, con-mo, è ormai alle no-stre spalle: puntiamo a sud verso Santa

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spirare dalla bocca inspirando al contempo dal naso. Il ma-teriale adoperato per la co-struzione dello strumento è la canna comune (Arundo do-nax), che risulta assai adatta perché ricca di cellulosa. Una volta maturata, la si lascia stagionare in modo che rag-giunga quella stabilità strut-turale indispensabile per ot-tenere suoni che non si altera-no con il passare degli anni.

tornata da canneti e per secoli solcata dai ‘fassonis’: saliamo a bordo e riprendiamo il cammino seguendo le sponde del grande stagno. Sulla nostra destra, in un boschetto di eucalipti, appaiono subito i ruderi di un ponte romano. Viaggiando verso sud entriamo ora nel cuo-re di una vasta zona bonificata tra campi coltivati e filari di eucalipti che, grazie alla loro capacità di assorbire molta acqua, mantengono il terreno asciutto. Ci fermia-mo per scattare qualche foto nell’area pro-tetta dello stagno di S’Ena Arrubia (ruscello rosso), una sacca marina rimasta intrappo-lata, le cui acque, divenute via via sempre meno salate, ospitano il fistione turco (ana-tra dal piumaggio vivace) e gli ultimi esem-plari di pollo sultano (lo abbiamo visto an-che più a nord, presso lo stagno di Cabras). ‘Capitale’ della zona è Arborea, fondata in epoca fascista, nel 1928, col nome di Mus-

solinia. Nella cittadina, do-ve vie rettilinee si interseca-no come su una gigantesca scacchiera, troviamo ancora nuclei familiari di origine romagnola e veneta: è una delle conseguenze della bo-nifica della palude di Sassu, poiché i lavoratori che all’e-poca presero parte al pro-getto venivano da quelle re-gioni. Oggi le campagne strappate alla laguna sono tra le più vocate di tutta l’i-sola per la produzione di ortaggi e la viticoltura.

La sensazione che proviamo nell’attraver-sare Arborea è abbastanza inusuale, sembra veramente che la cittadina viva in simbiosi con la natura che la circonda; qui tutto è tranquillo e il predominio del verde rende ancor più fresco e sereno il nostro percorso lungo i viali bordati di oleandri e di abita-zioni. Dopo una breve sosta nella piazza principale riprendiamo il viaggio, lascian-do la direttrice che porta a Terralba per ar-rivare a Marceddi, dove uno stretto e lun-ghissimo ponte ci consentirà di superare l’omonimo stagno e tornare in prossimità della costa nella penisola di Capo Frasca. Così facendo evitiamo di aggirare due grandi stagni, risparmiando parecchia stra-da. Marceddi, famosa per la coltivazione delle arselle, ci catapulta dunque grazie al suo ponte nella penisola che, oltre a chiu-dere l’ampio golfo di Oristano, fa anche da spartiacque con il mare aperto.

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no Alla scoperta APPUNTI NATURALISTICI

della Costa Verde Vento di maestrale loro moto irrompendo sulle co-Nella terra di Capo Frasca ste della Provenza e quindi sul non vi sono tante strade: ra- Vento di nord-ovest che si mare sotto forma di vento vee-ri sono gli sbocchi per rag- manifesta tipicamente a raffi- mente. L’incontro con le brez-giungere il selvaggio litorale ch e e interessa il Mediterraneo ze marine, che spirano sempre e anche dal mare è molto centro-occidentale, il mae- in direzione della terra, tende difficile approdarvi per via strale è originario del Midi poi a frenarne la velocità sul-delle onde gonfiate dal mae- francese dove viene chiamato la riviera francese, mentre in-strale che battono la costa mistral. La sua formazione si vece ne rafforza l’impeto sulle frastagliata. Mentre prose- deve alle correnti di aria pola- coste antistanti e in particolare guiamo il viaggio verso Tor- re che scavalcano il Massiccio su quelle vicine della Corsica e re dei Corsari abbiamo co- Centrale Francese e i Pirenei e della Sardegna. L’elevata umi-me sfondo sulla nostra sini- confluiscono nella rettilinea dita presente nelle fredde cor-stra, a est, i contrafforti di valle del Rodano, in cui, per un renti nordiche che lo generano monte Arcuentu, un com- ‘effetto-imbuto’, accelerano il si disperde in parte durante il plesso vulcanico che sembra fare da sentinella all’intero territorio. Una magnifica strada che si insi- re che per anni ha ospitato tra le sue fronde nua tra le colline poco all’interno della costa un personaggio particolare. ci avvicina a Torre dei Corsari, dove arrivia- Come programmato, ci muoviamo di pri-mo all’‘Ostello della Torre’ giusto in tempo mo mattino e dopo poca strada arriviamo per goderci le immagini di un suggestivo alla curiosa dimora tra le dune di Pistis. Il tramonto, carico di colori in questo mondo poeta Efisio Sanna ha trasformato il ginepro di dorate dune sabbiose. in un’accogliente abitazione, dove scrivere e All’ostello facciamo la conoscenza di Gian- meditare lontano dal mondo. Entriamo tra luigi e Federico, due dei proprietari, i quali le fronde e troviamo vari ambienti ricavati con molta disponibilità ci danno indicazio- sotto l’ampio ombrello del vecchio albero: ni per visitare come si deve la zona: merite- un mondo fiabesco con vista sul mare. vole infatti non è solo Torre dei Corsari, ma Lungo la strada sterrata del ritorno, un sim-anche la vicina Pistis e, più a sud, il territo- patico vecchietto ‘cerca salvezza’ davanti a rio di Piscinas lungo la selvaggia Costa Ver- noi rifugiandosi sul ciglio della via, ma che de. Gustando dei favolosi spaghetti allo sco- ci saluta cordialmente; è vestito di tutto glio prendiamo così accordi per il giorno punto, con coppola, camicia bianca e tanto successivo, quando Federico ci porterà sulle di elegante gilerino. Ci fermiamo a scambia-alture della spiaggia di Pistis a vedere la ‘Ca- re due chiacchiere con lui e Salvatore, così si sa del poeta’, cioè un grande ginepro secola- chiama, contraccambia in un rigoroso dia-

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passaggio sulla Francia, ma sul mare il maestrale acquista una nuova carica di vapore acqueo nonché un consistente riscal-damento: questi due fattori, insieme, producono turbolenze tecnicamente definite moti convettivi, che tendono a tra-sportare verso l’alto sia il ca-lore sia l’umidità, creando nu-bi temporalesche talora così sviluppate da diventare veri e propri cumulonembi portatori di tempesta. Il maestrale co-munque, con la sua opera mil-

lenaria, oltre a essere l’artefi-ce dei bellissimi deserti a du-ne mobili di Pistis e Piscinas, ha anche influito positivamen-te sul suolo dell’Oristanese. Le acque del fiume Tirso, infatti, durante le sfuriate del maestra-le vengono respinte verso ter-ra e dilagano nella piana di natura vulcanico-alluvionale coprendola di fertile limo, pro-prio come avviene nella valle del Nilo, dove grazie al fiorire delle colture nacque la civiltà.

letto locale che ci ricorda il latino. Ci parla del poeta, che ha personalmente cono-sciuto, e poi, tutto orgoglio-so e fiero, ci mostra le sue proprietà, frutto di una vita di duro lavoro.

Torre dei Corsari, origini e futuro Da Pistis rientriamo in bre-ve a Torre dei Corsari per preparare la successiva spe-dizione alle dune di Pisci-nas, sulla Costa Verde. Ci fermiamo perciò a far prov-viste nel fornitissimo spac-

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no cio del signor Mario, punto di riferimento per turisti e residenti della località maritti-ma. La leggera pioggerella che sta cadendo rinfresca l’ambiente e Mario, incuriosito dall’arrivo delle tre bianchine e appreso lo scopo del nostro viaggio, si intrattiene vo-lentieri con noi e ci dà diverse informazioni sul luogo. Torre dei Corsari, inizia col dire, è nata grazie al signor Giorgio Metta di Pa-dova che, nel 1953, acquistò 147 ettari di terreno in cui sorgeva solo un’antica torre di avvistamento e vi edificò le prime case. Nel 1978 è cominciata la vera costruzione del villaggio che oggi conta 1750 ville e tra poco avrà ben 3000 alloggi grazie ai due re-sidence in progettazione. Anche la cronica penuria d’acqua sarà presto risolta median-te nuove condotte in arrivo da Flumendo-sa. Prospettive interessanti, che speriamo non deturpino più di tanto questo luogo tanto affascinante proprio perché apparta-to e immerso nella natura.

Mentre continuiamo la nostra conversazio-ne sulla terrazza all’entrata del negozio, os-serviamo le immense dune di sabbia rosa, alte oltre 80 m, che si estendono fino alla torre di Flumentorgiu e che, sempre in movimento, vengono spianate e poi rimo-dellate dalla furia del maestrale; durante le tempeste invernali, con il vento che supera i 100 km orari, sommergono le case di sab-bia e solo tappeti di macchia mediterranea, grazie alle tenaci radici di ginepri e tameri-ci, sembrano per il futuro poter contrasta-re il fenomeno. Da queste parti, peraltro, i mesi invernali, i meno aridi e con tempera-ture relativamente miti, sono anche quelli in cui la natura esplode; come Mario ci conferma, qui le rose fioriscono tra la fine di novembre e i primi di dicembre, quando spettacolari lingue di nebbia invadono d’improvviso la costa in basso.

Verso le dune di Piscinas Dopo aver scattato una bel-la foto alla famosa torre che dà il nome alla località, la-sciamo momentaneamente Torre dei Corsari per diri-gerci a sud. La strada anco-ra asfaltata caracolla a poca distanza dalla costa; di fron-te a noi monte Perdosu è l’avanguardia di antiche ci-me consumate dal tempo, che si prolungano a sud-est verso l’interno. Non incro-ciamo altre auto lungo i sinuosi sali-scendi che stiamo percorrendo: in compenso ci ve-diamo sbucare dinnanzi una mandria di mucche che avanza lentamente mantenen-do al centro, in zona protetta, i vitellini. Non ci resta altro da fare se non parcheggia-re Belvetta, Dino e Polentina al margine della carreggiata e adeguarci ai ritmi di vita dei pacifici bovini che sfilano indifferenti al nostro fianco. Di nuovo in viaggio, ritrovia-mo di lì a poco la splendida costa di Marina di Arbus per poi imboccare un interessante sterrato che si inoltra tra le più estese dune d’Europa: le dune di Piscinas, dovute, come pure quelle più settentrionali di Pistis, al-l’accumulo della sabbia che il vento traspor-ta inesorabilmente da millenni. Alla fine di una breve discesa ci aspetta un piccolo guado molto particolare, poiché il rio Piscinas ha acque rossastre (di un inten-so color ruggine) per via dei minerali ferro-si presenti nell’area da cui proviene, la zona estrattiva di Montevecchio. Dopo il guado

il paesaggio si fa sempre più interessante, con le dune sabbiose dal colore dorato che contrastano con il verde cupo di ginepri e pini e i fondali smeraldini della costa. Pro-prio in prossimità della cima di una duna, al limitare della macchia, intravediamo per qualche istante un magnifico esemplare di cervo sardo, che subito scompare nel fresco della vegetazione. Avanziamo lentamente in questo spettacolare scenario e affrontia-mo il guado più ampio del rio Naracauli, che giunge dalla zona mineraria di Ingurto-su. Arrivati alla spiaggia di Piscinas scendia-mo fino al mare; è qui che dalle rovine delle antiche laverie della miniera è sorto uno dei più suggestivi alberghi di tutta la Sardegna. Davanti a noi si stendono quasi 10 km di spiaggia deserta, mentre a sud e a est le du-ne caratterizzano con un tocco magico que-sto sperduto lembo di terra. È un luogo di selvaggia bellezza, dove le piante resistono alla furia del vento e alla sabbia per regalarci profumi inebrianti, come quelli del ginepro

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no e del lentisco. Innumerevoli orme di ani-mali che popolano il deserto, lepri, pernici e insetti, ricamano le dune che sembrano ancora più imponenti mentre ci tuffiamo nelle limpide acque della Costa Verde.

La via delle miniere Lasciata Piscinas ci dirigiamo per una pista ancora sterrata verso l’interno, nella zona

del proprietario della miniera lord Brassey. Continuando ad avanzare nell’interno lun-go una strada panoramica incontriamo dunque Arbus, grosso borgo entro una con-ca cinta da una fitta schiera di monti. Attra-versiamo il tranquillo paese e, una volta giunti al margine opposto, saliamo verso il ‘Soffio di Vento’, un ristorante-bar-pizzeria in magnifica posizione panoramica. Da qui

mineraria di Ingurtosu. Il villaggio minerario, sorto nel 1850 per l’estrazione della galena e della blenda (da cui si ricavavano piom-bo e zinco), ci appare im-provvisamente davanti co-me un paese fantasma con i resti dell’abitato e degli im-pianti della vecchia minie-ra. Archi, finestre e fram-menti di macchinari ci os-servano come in un fermo immagine di altri tempi: ci troviamo di fronte a un ve-ro e proprio complesso di archeologia industriale del Sulcis Iglesiente. Gli sgar-gianti colori delle nostre bianchine rompono la mo-nocromaticità del suggesti-vo luogo mentre proseguia-mo diretti ad Arbus, al li-mitare dell’estesa pianura del Campidano, e tra gli sguardi di caprette curiose iniziamo a salire superando Villa Idina, antica residenza

APPUNTI NATURALISTICI

Il cervo sardo Il cervo presente nell’isola è la sottospecie sardo-corsa (Cer-vus elaphus corsicanus) del cervo diffuso in Europa, dal quale si differenzia per la mo-le notevolmente ridotta e il manto più scuro. Di fatto l’in-troduzione dei primi esempla-ri provenienti da terre conti-nentali sembra essere avvenu-ta diversi millenni prima di Cristo, dopo di che il lungo pe-riodo di isolamento avrebbe portato l’animale a sviluppare una tipologia propria. Nume-rosi reperti, sia resti sia sta-tuette bronzee rivenute dagli archeologi, confermano co-munque che il cervo era dif-fuso in Sardegna già in epoca prenuragica ed è altrettanto certo che ancora intorno alla metà dell’800 popolasse am-piamente questi luoghi. Alla

fine di quello stesso secolo, però, a causa del dibosca-mento estensivo di vastissime aree, della caccia indiscrimi-nata (vietata dal 1939) e del bracconaggio, i cervi sardo-corsi cominciarono a scompa-rire rapidamente. Negli anni ’70 del XX secolo se ne dove-va addirittura registrare la completa estinzione in Corsi-ca, mentre in Sardegna si con-tavano poco più di un centi-naio di individui: la sopravvi-venza di questo endemismo era in gravissimo pericolo. Fortunatamente oggi si pos-sono contare più di 2000 e-semplari concentrati nel cen-tro-sud dell’isola, tra il monte dei Sette Fratelli, monte Arbu, monte Minniminni, monte Ar-cosu, monte Lattias e nella zona di Montevecchio; il ripo-polamento è avvenuto grazie

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pianura del Campidano che si allunga a sud-est sino

del locale, ci aiuta ad ap-

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possiamo ammirare, sotto di noi, Guspini e la vasta

al mare. Antonio, il gestore

profondire la conoscenza della zona, ancora poco va-lorizzata sotto il profilo tu-

Quanto alle abitudini della sottospecie, il cervo maschio vive in branchi unisessuali per buona parte dell’anno; duran-te il periodo degli amori, però, l’esemplare dominante emette il bramito, udibile a notevole distanza, e con questo rauco verso sfida con gli altri maschi innescando una serie di spet-tacolari combattimenti per la conquista delle femmine e il

all’intervento della Regione che ha istituito varie aree pro-tette. Proprio nell’area di Mon-tevecchio, mentre ci dirigeva-mo verso le dune del litorale di Piscinas, abbiamo avvistato un superbo esemplare di cervo, che si è subito addentrato nel-la macchia mediterranea: quel-la vista ci ha comunque rega-lato una forte emozione.

Tra gli elementi individuanti del cervo sardo sono i palchi (corna) corti e alquanto chiu-si che, presenti solo nel ma-schio, cadono tra gennaio e febbraio per lasciare posto a una nuova ricrescita che av-viene in 40-50 giorni, svilup-pandosi in massimo grado in agosto-settembre, quando ini-zia la stagione degli amori.

dominio del proprio harem. Dopo essersi accoppiati, anche i vincitori tornano a far bran-co con gli altri maschi tra la fi-ne di ottobre e novembre. Le femmine partoriscono poi tra aprile e maggio, dopo una gravidanza di 8 mesi; i picco-li hanno il caratteristico man-to cosparso di macchiette bianche e si possono conside-rare adulti quando raggiungo-no un’età di 4-5 anni.

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ristico nonostante la bella costa e l’interes-sante entroterra. È anche perché l’econo-mia turistica stenta ancora a decollare che Arbus è passata dagli oltre 10.000 abitanti del primo ’900 ai circa 7000 attuali.

Ai confini del Campidano Ma il viaggio continua: con meraviglia var-chiamo un passo a quota 382 m, Genna ’e Frongia, al di là del quale scendiamo quasi in picchiata verso Guspini, a poco più di 100 m in una valle coperta di olivi. In que-sta zona nuraghi, tombe dei giganti e do-mus de janas testimoniano una cospicua presenza umana già millen-ni prima di Cristo; di spicco IMMAGINI EPOCALI la grandiosa fortezza nura-gica di Daureci, che con le sue quattro torri controlla- Dopo oltre un secolo di ten-va le vie di comunicazione sioni e trattati volti a neutra-tra l’Oristanese, a nord, e lizzarle, Cartagine e Roma in-l’Iglesiente, a sud. Al centro fine allo scontro frontale nel di Guspini, sulla sommità 264 a.C., inaugurando quel ti-del colle Cuccuru Zeppara, tanico e mortale duello per la troviamo una formazione supremazia nel Mediterraneo geologica di notevole inte- passato alla storia con il nome resse: i basalti colonnari, pa- di guerre puniche e concluso-reti verticali di origine vul- si nel 146 a.C. con la comple-canica solcate da colonne a ta vittoria dei romani, che pre-pianta esagonale che ci ap- sto avrebbero sottomesso l’in-paiono come manufatti tero ‘mondo antico’. Anche la umani. A sud del borgo, at- Sardegna, possedimento puni-torno al massiccio del Linas co di enorme importanza stra-si sono formati grandi giaci- tegica e commerciale, fu natu-menti di minerali di piom- ralmente coinvolta nel conflit-

Amsicora e gli indomiti sardi pelliti to e gli isolani, che con il tem-po avevano finito per accetta-re la presenza dei cartaginesi, si schierarono senza tentenna-menti contro i nuovi stranieri. Tutto iniziò nel 259 a.C., quan-do l’esercito romano al coman-do di Lucio Cornelio Scipione occupò la Corsica e tentò quin-di di approdare in Sardegna: il piano allora fallì grazie all’in-tervento della flotta cartagi-nese. Nel 238 a.C., a tre anni dalla fine della prima guerra e con Cartagine in grave crisi, Roma riuscì invece a occupare Karalis, Sulci e Tharros, ma da

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bo e zinco che, fino a pochi anni fa, sorreg-gevano l’economia mineraria dell’area. Lasciata Guspini, imbocchiamo la via di ‘casa’. Per andare verso nord, ovvero tornare a Torre dei Corsari dov’è la nostra tempora-nea base, non seguiremo più la fascia costie-ra punteggiata dalle belle dune sabbiose, ma ci inoltreremo per un tratto montuoso attraverso il distretto minerario di Monte-vecchio, vera e propria cittadina industria-le con tanto di museo ospitato nel sontuo-so palazzo della direzione. Subito dopo es-sere usciti da questo mondo delle antiche miniere, ecco apparire sulla nostra sinistra la magnifica foresta Croccorigas, regno del cervo sardo e del cinghiale: un’area a quer-

quel momento, e per più di cent’anni, dovette fronteggia-re una serie impressionante di violente ribellioni da parte de-gli isolani; nel 231 a.C., il con-sole Marco Pomponio Matone giunse persino a portare con sé dalla penisola dei cani mastini addestrati nella caccia all’uomo per stanare i cosiddetti sardi pelliti (coperti di pelli) che, con tattiche di guerriglia, col-pivano e subito si ritiravano nel selvaggio entroterra. Tra le numerose rivolte antiro-mane la più imponente fu cer-to quella del 215 a.C., capeg-giata dal nobile sardo-punico Amsicora di Cornus, ancor og-

gi ricordato come un eroe lo-cale. Per non fallire, Amsicora chiese aiuto a Cartagine che inviò prontamente una poten-te flotta. Destino volle che i punici venissero però sospinti da una tempesta sino alle Ba-leari, ritardando il loro arrivo. Amsicora, che aveva deciso di attaccare solo quando tutti i suoi alleati fossero giunti, pre-ferì temporeggiare e si recò nell’interno per reclutare altre forze sarde. A capo delle mili-zie lasciò intanto suo figlio Iosto, che con giovanile impe-to si gettò comunque contro i romani perdendo, oltre la bat-taglia, anche la vita. I cartagi-

nesi sbarcarono poi a Cornus esi unirono all’esercito ribelle: in totale 12.000 fanti e 15.000 cavalieri, che si trovarono ad affrontare 4 legioni romane, 22.000 uomini e 1200 cavalie-ri, comandate da Tito Manlio Torquato in uno tra i più duri e cruenti scontri dell’epoca. Do-po ore di corpo a corpo, nel Campidano un’ala dell’esercito sardo-punico cedette e i roma-ni accerchiarono e massacra-rono il nemico facendo 3700 prigionieri. Amsicora riparò a Cornus e prima che la sua città venisse attaccata (come fu) dai legionari, si tolse la vita con una pugnalata al cuore.

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no ce e corbezzoli, oggi tutelata e ricca di per-corsi naturalistici. Poco più avanti, questa volta sulla nostra destra, vediamo l’articola-to sistema vulcanico del monte Arcuentu, che ha il profilo di un volto umano e si sten-de per una decina di chilometri. Salire in ci-ma al vulcano spento non è impresa diffici-le, dato che misura soltanto 800 m circa; inoltre, un panoramico sentiero segnalato, con apposite piazzole per la sosta, si snoda fra i tracciati delle più recenti colate laviche, caratterizzate da stretti condotti e impo-nenti muraglioni. Giunge così la sera mentre dalla sommità dell’antico vulcano godiamo la scenografi-

ca vista della costa a ovest, del Gennargen-tu a nord-est e della pianura del Campida-no a sud-est. Poi riprendiamo le nostre bianchine parcheggiate nel verde e dopo poca strada siamo al bivio ai piedi del mon-te Perdosu, già superato la mattina in senso inverso per recarci a Piscinas. Ancora pochi chilometri ci separano da Torre dei Corsari, dove passeremo la notte all’ostello; domani lasceremo definitivamente la costa occiden-tale per addentrarci nell’isola alla volta del monte Arci, della zona delle ‘giare' e quindi sino ai confini della Barbagia, alle falde del Gennargentu, ultima barriera prima della costa orientale. Buon riposo bianchine.

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3L’entroterra occidentaleTORRE DEI CORSARI • URAS • MORGONGIORI • USELLUS • ASUNI

LACONI • BARUMINI

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no D i buon mattino lasciamo Torre dei Cor- Tharros e Cornus, probabilmente sulle vesti-sari e ci dirigiamo verso la zona degli sta- gia di un villaggio neolitico. I resti di un ac-

gni a est di Capo Frasca. Lo stagno Marced- quedotto e le vie lastricate visibili nel sito ci di, punta più meridionale del golfo di Ori- fanno intuire quanto dovesse essere estesa e stano, ci appare popolato di fenicotteri e importante l’antica località, porto protetto e chiassosi gabbiani, che de-scrivono ampi voli attorno CENNI DI STORIA ANTICA alla cinquecentesca Torre-vecchia; oltre il pescoso Mar-ceddi è lo stagno di San Gio- Secondo alcune teorie avan- dai sumeri, si siano insediate vanni, che ne rappresenta un zate di recente si potrebbe nell’isola diventando poi note prolungamento verso l’en- forse asserire che i fenici, sbar- con il nome di shardana, uno troterra. La strada prosegue cando in Sardegna, non vi in- dei bellicosi popoli del mare rettilinea con gli specchi contrarono particolare ostilità che per quasi mille anni im-d’acqua sulla nostra sinistra anche perché avevano una cer- perversarono nel Mediterraneo sino a giungere, al limitare ta parentela con i locali. Pare attaccando anche civiltà im-del San Giovanni, alle rovine infatti che verso il 2000 a.C., ponenti come quelle egizia e di una delle più notevoli città genti semite provenienti dal- micenea. Il remoto legame tra fenicio-puniche: Neapolis, l’antico regno mesopotamico la Sardegna e il Vicino Oriente sorta all’epoca in cui i fenici di Akkad, stabilito da Sargon il sembra essere provato dai re-fondarono anche Othoca, Grande e quindi riconquistato sti di un’architettura che non

Dai misteriosi shardana ai cartaginesi

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attivissimo per il trasporto di grano e di pro-dotti delle vicine miniere. Ammirate anche queste testimonianze di un passato che pare aver lasciato sull’isola trac-ce molto diffuse (talora confortate da chiari

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mediterranee aveva spinto parte degli abitanti a re-imbarcarsi in

cerca di nuove terre (toccando forse la stessa Fenicia) e par-te a rifugiarsi nelle aree inter-ne dimenticando l’arte della navigazione. Ai fenici seguirono i cartagi-nesi o punici, a loro volta di origini fenicie, che però non avevano solo ‘intenzioni’ com-merciali. Cartagine si avviava a diventare una ‘grande po-tenza’ mediterranea ed era per-ciò interessata soprattutto ai ricchi giacimenti minerari del-la Sardegna nonché alla sua posizione strategica. Dopo cruente lotte con i sardo-fe-nici, alla fine del VI secolo a.C. i punici conquistarono l’i-sola e vi imposero la prima vera dominazione politico-mi-litare. Questo evento storico fece sì che la società nuragica si scindesse di nuovo in due gruppi ben definiti: le popo-

lazioni dell’interno e del nord, che continuarono a opporsi ai cartaginesi isolandosi dal resto del mondo; e le popolazioni li-toranee, che, già influenzate dai fenici, si assoggettarono ai nuovi venuti sviluppando una civiltà sincretica. I cartagine-si diedero grande impulso alla vita urbana, fondando città non solo sulla costa e arric-chendo di edifici e strutture pubbliche le ex colonie fenicie, e all’economia locale; ma con l’introduzione in Sardegna il culto delle loro divinità spes-so feroci, vi diffusero anche la pratica dei sacrifici umani, a quanto è dato sapere assolu-tamente inconsueti presso i sardi di epoche precedenti. I copiosi ritrovamenti di ossa umane femminili e di monili di fattura punica in una grotta di Ispinigoli (vicino a Dorgali, nel Nuorese), profonda 60 me-tri e perciò nota come ‘abisso delle vergini’, parrebbe la più chiara conferma dei nuovi, fe-roci costumi religiosi.

ha eguali in Occidente mentre è molto simile ai templi a gra-doni della Mesopotamia, le ziqqurath o ziggurat: si tratta del cosiddetto Altare di Mon-te d'Accoddi, nei pressi di Sas-sari. Di fatto pare anche che i misteriosi shardana siano i fondatori, o almeno i cofon-datori (insieme con autocto-ni), della civiltà nuragica, che in una prima fase aveva im-pronta sicuramente marinara, come attestano, tra l’altro, le numerose navicelle di bronzo rinvenute dagli archeologi. Quando i fenici arrivarono nel-l’isola (VIII secolo a.C.), co-munque i nuragici erano ormai completamente dediti alla vi-ta terrestre e ciò perché un violentissimo maremoto, av-venuto nel 1200 a.C. circa, sconvolgendo le coste sarde come quelle di altre regioni

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ARCHEOLOGIA E DINTORNI

Barumini e Su Nuraxi Barumini è un piccolo comu-ne di circa 1700 anime situa-to nella media valle del fiume Mannu, 60 km a nord di Ca-gliari; a sud dell’abitato si scorge la sagoma della Giara di Gesturi. Sorto in un’area di antico popolamento umano, sui resti di un villaggio nura-gico e nei pressi del celeberri-mo complesso preistorico di Su Nuraxi dal quale soprattut-to trae fama, il borgo appare

oggi dominato dalla cinque-centesca parrocchiale dell’Im-macolata e dal palazzo Zapata, eretto nel ’600 dai signori del luogo, entrambi in posizione elevata quasi a identificare i due centri di potere, quello sacro della chiesa e quello pro-fano della baronia. Prima di recarci al sito archeo-logico, motivo principe della nostra sosta, siamo andati a curiosare per le vie del borgo scoprendovi tracce di muratu-ra d’epoca romana e alcuni

edifici storici che testimonia-no della passata importanza di Barumini tra il medioevo e il XVII secolo: per un periodo fu addirittura capitale della Mar-milla. Particolarmente degne di nota le antiche chiese di S. Giovanni, S. Tecla e S. Lucia; presso quest’ultima tra l’altro, a fine luglio, si celebrano tre giorni di festa, con spettaco-li folcloristici, musica tradi-zionale sarda, riti sacri e pro-fani (come quello propiziato-rio per la ricerca dell’anima

riferimenti storici, talaltra avvolte nel mi-stero di un'origine troppo remota), tra vigneti ben curati e cinti da siepi di fichi d’India ci avviciniamo a San Nicolò d’Arcidano, ri-dente borgo vinicolo alle porte della Mar-

milla. Pochi chilometri ci separano da Uras, che giace ai piedi dei primi contrafforti del monte Arci e ospita, tra l’altro, un interessante museo di mineralogia e paleontologia; se-guiamo una direttrice ancora rettilinea sino

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gemella, di antiche origini) e una corsa equestre nei pressi del famoso sito nuragico. Dopo aver visitato la graziosa Barumini abbiamo raggiunto Su Nuraxi, a circa 1 km dal centro abitato, per poter am-mirare il vasto complesso tu-

telato dall’UNESCO tra i patri-moni dell’umanità. Il fulcro è rappresentato da un grande nuraghe quadrilobato con al centro un mastio, vecchio di oltre 3000 anni e posto su un’altura di 250 metri. È vera-mente imponente, di enormi

proporzioni, diverso da tutte le analoghe strutture finora viste nel nostro viaggio. Tutt’intor-no al nuraghe si nota una cer-chia difensiva con 7 torri uni-te da mura rettilinee, all’e-sterno della quale si sviluppa quel che fu un fitto villaggio di capanne. Rimaniamo in silen-zio, rispettosi, a osservare tut-to lo splendore arcaico di que-sto luogo e immaginiamo il brusio delle genti e la fierezza di chi qui regnava molti seco-li prima dell’era cristiana.

alla periferia del paese, dove notiamo un bel murale che simboleggia l’infinito ciclo vita-le dell’uomo. Attraversiamo quindi la ‘Car-lo Felice’, la strada più importante dell’isola che collega il nord alla zona di Cagliari, e im-bocchiamo la SS 442 che da Uras conduce nel vero e proprio cuore della Sardegna; verso me-ridione scorgiamo intanto il maestoso nura-ghe Domu Beccia.

Morgongiori, archeologia e natura Come spesso accade, il ‘dispiacere’ di aver la-sciato la magnifica costa si dissolve in fretta alla vista di un affascinante paesaggio che ci gustiamo iniziando a salire tra macchie di len-tisco e di olivastri sui pendii ancora dolci del monte Arci, con ai nostri piedi le vaste con-che pianeggianti coperte di prati che in pri-mavera si colorano di una miriade di fiori. A

una decina di chilometri da Uras ci troviamo avvolti in un ambiente davvero montano e, giunti a Morgongiori, decidiamo di effettuare una deviazione per esplorare le zone più al-te del gigantesco massiccio dell’Arci, di ori-gine vulcanica. Nel piccolo comune della Marmilla abbiamo il piacere di conoscere il sindaco, la signora Mariangela, giustamente innamorata e pro-fonda conoscitrice della sua terra. Nel suo uf-ficio, mentre aspettiamo la guardia campestre che ci farà da guida lungo un percorso natu-ralistico, ci offre dunque qualche notizie sul luogo, importante sin dai tempi più remoti per il commercio dell’ossidiana, preziosissi-ma per costruire armi e utensili. Apprendia-mo così che subito a nord di Morgongiori, nell’area archeologica di Sa Scaba ’e Cresia, vi è un interessante e ancora poco noto mo-

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APPUNTI NATURALISTICI

L’ossidiana del monte Arci Il massiccio del monte Arci si eleva dalla piana dell’Orista-nese come avanguardia di una zona montagnosa che, verso est, scorre lungo le ‘giare’, i monti di Meana, quelli della Barbagia (come il Perdedu) e sino ad arrivare alle cime del Gennargentu. Tra le foreste di lecci che ricoprono i suoi fian-chi sgorgano sorgenti di otti-ma acqua, tutte rivolte a nord

o a nord-ovest, posizione idea-le a detta dei ‘vecchi del luo-go’ perché in questo caso il magnetismo terrestre influi-sce positivamente sulla pu-rezza dell’acqua. Il rilievo si è formato grazie a una lunga serie di eruzioni vulcaniche, per la sovrapposizione di lave basaltiche a solide basi di tra-chite; le colate ricche di sili-ce e sottoposte a repentini

raffreddamenti hanno origi-nato la vetrosa ossidiana, pre-ziosissima per i popoli arcaici. Di fatto, già nel Neolitico an-tico (circa 8000 anni fa), in questa zona comparvero le prime cave di ossidiana e con essa gli uomini iniziarono a produrre utensili di vario tipo e soprattutto, dati i bordi ta-glienti delle scaglie di pietra nera, armi: punte di lance e di frecce e coltelli. Nell’area del Mediterraneo l’ossidiana si tro-

numento protostorico detto S’Omu ’e is Caombus, ‘casa dei colombi’. Di fatto si trat-ta di due strutture cultuali forse correlate tra loro: un complesso megalitico ipogeico, ricavato all’interno di una parete rocciosa a strapiombo, di cui si vede parte della scala in roccia basaltica squadrata ma non l’accesso principale, ostruito da un’antica frana, e una costruzione a tholos probabilmente situata in corrispondenza dell’imbocco ‘scomparso’. In località Prabanta, ai confini con il ter-ritorio di Pompu più a sud, si trovano in-vece due domus de janas risalenti al Neolitico, nonché formazioni rupestri dal nome davvero curioso, come ‘Su Forru de Luxia Arrabiosa’ (il forno di Lu-cia la rabbiosa). E, naturalmente, Ma-riangela ci spiega il perché di simili de-nominazioni: personaggio leggendario noto in tutta la Sardegna, Lucia era una

donna ricca, avara, spietata e gelosissima di ciò che le apparteneva, tanto che gli dei pu-nirono la sua grettezza pietrificando lei e tutti i suoi averi. Così ancor oggi, nell’isola, le rocce di forma strana, che ricordano og-getti, vengono collegate a Luxia Arrabiosa. Arrivata la nostra guida, Mariano, si parte per

le pendici del monte Arci; la guardia ecologica precede Belvetta, Dino e Po-lentina a bordo di un fuoristrada, men-tre il sindaco, con un po’ d’emozione, è ospite della bianchina rossa. Iniziamo a salire a mezza costa nel Par-co regionale lungo una stretta stradina panoramica, tra macchia mediterranea, colorate infiorescenze di lavanda, viole e orchidee, sorgenti e grotte (un vero pa-radiso geologico e naturalistico) fino a

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vava solo in poche altre loca- za o lavorata, veniva esporta- posito non ci sia ancora piena lità, quali le isole Lipari e Pan- ta in Toscana, Liguria, Proven- certezza, che in Sardegna fos-telleria, e ciò evidenzia il pre- za e forse pure più oltre. Con se utilizzata come moneta. gio del minerale che fu og- l’affinarsi delle tecniche di la- Secondo quanto scrive il natu-getto dei primi scambi com- vorazione, l’ossidiana servì an- ralista latino Plinio (I secolo merciali tra la Sardegna e il che per creare manufatti arti- d.C.), il nome ossidiana è le-continente. Oltre che in Cor- stici (monili, coppe e così via); gato alla figura del semidio sica infatti la rara roccia, grez- sembra inoltre, benché in pro- africano Obisius, che per pri-

mo l’avrebbe segnalata all’uo-mo, e una leggenda narra che in una grotta del monte Arci ci sia proprio un simulacro di Obisius scolpito nell’ossidiana dal mitico eroe ‘in persona’.

co giunse a minacciare una vicina base militare america-na si riuscì a domarlo con un massiccio intervento di uomini e mezzi. Al limitare della foresta, una

raggiungere una splendida foresta di lecci se- fontana di pietra segna il confine con un’area colari in cui Mariano è di casa; le grandi occupata da altre piante, come l’agrifoglio, il piante creano un ambiente protettivo e ci cisto bianco e la magnifica felce florida, che sve-sentiamo immersi in un universo completa- la la sua maestosità quando Mariano ne met-mente dominato dal verde fresco e umido con te a confronto le foglie con quelle della felce co-un sottobosco pulito e ricco di humus. Se- mune. Veniamo anche a sapere una cosa mol-guiamo la nostra guida per una breve escur- to interessante, cioè che i semi del cisto bian-sione a piedi in mezzo alla foresta e arriviamo co rimangono attivi per decenni, addirittura così a un leccio gigantesco e millenario, il ca- per un secolo, e che sono spinti a germoglia-postipite di tutto il bosco. Mariangela e Ma- re dal calore del terreno. Nei luoghi in cui ven-riano ci dicono che nel 1983 un violento in- gono accesi fuochi di bivacco, per esempio, a cendio divorò per 13 giorni l’intera zona, ac- distanza di qualche mese spuntano nuove cerchiando Morgongiori sulla quale iniziavano piantine; il cisto è dunque la prima specie a ri-a piovere tizzoni ardenti, e solo quando il fuo- popolare l’ambiente dopo gli incendi.

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no PAESAGGI DA RICORDARE

La Giara di Gesturi e i suoi cavallini un ambiente unico e intatto. La Giara, comunque, fu abita-

Nel nostro coast to coast del- ancor oggi individuabili e so- ta dall’uomo sin dal Neolitico, la Sardegna, al confine tra Mar- lidificarono per strati sopra le poiché la sua conformazione milla e Sarcidano, ci siamo im- più antiche marne. Gli agenti dava protezione nonché la sen-battuti in questa sorta di for- atmosferici, erodendo il friabi- sazione di trovarsi in un luogo tezza naturale, che dal nulla si le suolo circostante, hanno arcano e magico, da cui più fa-erge sulla pianura. Posta a cir- quindi definito i margini stra- cile sarebbe stato il contatto ca 600 metri di altezza e con piombanti del blocco basaltico, con le divinità. Numerosi pro-una superficie di quasi 45 km2, che si innalza solitario come tonuraghi lo testimoniano, co-la Giara di Gesturi è un alto- un’isola nell’isola e, poco ac- me quello del tipo a corridoio piano di origine vulcanica crea- cessibile, conserva al sommo chiamato Bruncu’ e Madili, sul tosi nel Pliocene (tra i 6 e i 2 milioni di anni fa), quando co-piose colate di lave basaltiche si espansero dai coni eruttivi

Sul monte Arci Una spettacolare salita ster-rata ci separa dalla cima del monte Arci e le tre piccole bianchine devono faticare non poco per vincere la for-te pendenza del canalone. Una fatica am- coglie una pioggia di campanule rosa tanto piamente compensata dalla vista del neck belle quanto velenose. In lontananza notia-vulcanico (antico condotto fossile) della Tre- mo gli impianti per lo sfruttamento del ven-bina Longa, 812 metri, che dalla sommità to eretti lungo tutta la dorsale dell’Arci ed è del massiccio domina tutta la pianura del- proprio lì che la stradina sterrata su cui viag-l’Oristanese, con una splendida vista sugli giamo ci conduce, con un sinuoso percorso stagni e sulla costa tirrenica. Accanto a que- panoramico che si snoda sulla cresta della ca-sta vetta si elevano pure la Trebina Lada, 795 tena montuosa. Soltanto da vicino ci ren-metri, e il Picco di Porteddu le Murrus. diamo conto delle enormi dimensioni delle Piante di ruta selvatica dal profumo intenso eliche che sovrastano la pianura e la zona del-e gialle ginestre punteggiano la zona insieme la bonifica di Sassu, caratterizzata da una va-con la digitale, pianta dal lungo stelo che ac- riopinta scacchiera di campi coltivati attor-

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ciglio orientale dell’altopiano. La ‘sicura’ Giara di Gesturi, in-sieme con le due vicine giare di Siddi e di Serri, è anche teatro della leggenda di Thilicar, prin-cipe nuragico che, qui arroc-catosi con il suo esercito e la sua gente, riuscì a sottrarsi al giogo dei punici. Oggi la Giara, tranne per qual-che rara fattoria, appare disa-bitata, ricoperta da macchia mediterranea, foreste di sughe-re e vaste praterie costellate di ‘paùlis’, laghetti di acqua pio-vana dove si abbevera la fauna

locale. Tra gli animali presen-ti spiccano i famosi cavallini della Giara, caratterizzati da manto bruno e occhi a mandor-la. Sono equini di piccola ta-glia, anche se ben proporziona-ti, e ciò sembra un effetto del loro isolamento: l’endogamia, cioè l’accoppiamento fra in-dividui sempre più imparenta-ti fra loro ha prodotto una for-ma di nanismo tipica. Gli an-ziani narrano di esemplari po-co più grandi di un grosso ca-ne, ormai estinti o genetica-mente modificati per incrocio

con cavalli di taglia maggiore. In realtà l’origine della razza è incerta e non si sa neppure se i ‘cuaddeddus’ (cavallini) siano autoctoni: il mancato ritrova-mento di resti particolarmente antichi fa pensare che siano stati introdotti in Sardegna in epoca nuragica e già domesti-cati, forse dai fenici o forse dai greci. Poi qualche esemplare sfuggito al controllo umano si sarebbe rifugiato sulla Giara recuperando le attitudini sel-vatiche che ancora connotano gli attuali discendenti.

no ad Arborea. Il posto brulica di farfalle che si posano su una miriade di fiori, tra i qua-li la nostra guida ci fa notare piante di car-ciofo selvatico. Per la discesa seguiamo un’altra pista, più oc-cidentale e, iniziata la fitta zona boschiva, facciamo un’altra sosta: questa volta nella spe-ranza di vedere i cavallini sardi allo stato bra-do. Ci troviamo nei pressi di Is Benas (le sor-genti) e silenziosamente ci inoltriamo tra piante di cisto e le querce sino a scorgere, nella penombra del sottobosco, delle

macchie scure in movimento; alcuni nitriti confermano che siamo vicini alla piccola mandria, perciò non ci resta che continuare ad avanzare lentamente nella boscaglia, facendo attenzione a non portarci ‘sotto vento’. Con

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molta pazienza e un po’ di fortuna riusciamo a vedere i cavallini scuri, di piccola taglia e dal temperamento focoso. In realtà i branchi so-no due, ciascuno con a capo uno stallone, co-me sottolinea Mariano. Riusciamo a scattare qualche foto senza innervosire gli animali, poi imbocchiamo spediti la via del ritorno. Il susseguirsi di nuove situazioni e magnifiche scoperte naturali ci ha accompagnato, senza che ce ne accorgessimo, verso la sera. Prima di rientrare nell’abita-to di Morgongiori passiamo

dal centro di documentazione ambientale ‘Il Sole’, punto informativo, organizzazione e di partenza per andare alla scoperta delle bel-lezze del monte Arci guidati da personale spe-cializzato: tra le escursioni proposte c’è anche quella al rio Salonis, con una magnifica ca-scata a tre salti alla base della quale vivono tre querce millenarie. È giunto il momento di la-sciare Mariangela e Mariano, la cui erudita compagnia ci ha permesso di apprezzare in

modo insolito e completo un territorio decisamente

APPUNTI NATURALISTICI

Il sughero La quercia da sughero (Quer-cus suber), o sughera, è una pianta che si è ambientata ma-gnificamente nel bacino occi-dentale del Mediterraneo. Ha fusto e rami rivestiti da una corteccia molto spessa e ru-gosa, che è ciò che si chiama appunto sughero e che rap-presenta una sorta di corazza protettiva contro le insidie am-bientali, come il sole violento e la siccità, ma anche gli in-cendi. Molti altipiani della Sar-degna sono abbondantemente ricoperti di questi alberi sem-preverdi, che possono rag-giungere la ragguardevole al-tezza di 15-20 metri; non a ca-so è propriosull’isola che si concentra l’80% di tutta la

produzione italiana di sughero. Quando abbiamo attraversato l’altopiano di Abbasanta siamo rimasti sorpresi nel vedere ta-li querce: erano infatti state private della tipica scorza e presentavano un tronco di co-lor rossastro. Le proprietà del-la loro corteccia, peraltro, era-no conosciute già in epoca preromana: fu così impiegata per sigillare i contenitori di li-quidi, sostituendo il prece-dente sistema di chiusura con pece e resine che era meno er-metico, e adoperata anche per

farne sandali e galleggianti per le reti da pesca. Alcuni scavi archeologici hanno inol-tre rivelato che il sughero era utilizzato dai nuragici sin dai tempi più antichi pure per iso-lare le mura e i pavimenti del-le case in pietra. Ebbene, an-cor oggi questa corteccia vie-ne usata per l’isolamento ter-mico e acustico, così come per realizzare solette per cal-zature, nonché quei miliardi di tappi che ogni anno vengono impiegati per chiudere le bot-tiglie di vino di tutto il mon-do permettendo la migliore conservazione del prodotto. Visitando un ‘pinnettos’, il ca-ratteristico riparo in pietra e frasche di ginepro dei pastori, ci siamo accorti che presso la soglia c’era un pezzo di su-

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meritevole di visita. Il nostro soggiorno a vembre, poi si cominciò a gustarle anche Morgongiori comunque non è ancora con- negli altri giorni di festa, poiché questo piat-cluso, perché decidiamo di concederci una so- to fa parte della storia e della cultura mor-sta presso l’agriturismo ‘La Lorighitta’ gesti- gongiorese ormai da secoli. E sono talmen-to dalla signora Gilda. te ghiotte che per non far sì che i bambini Il posto offre camere arredate in stile sardo, non ne mangiassero troppe, è nata addirittura dove passeremo la notte, e piatti tipici, come una leggenda: quella di Maria Pungi Pungi, l’antipasto di lenticchie, grano e pancetta, la una strega ‘armata’ di forchettone per pun-pasta lorighittas (orecchini) e i profumati zecchiare il pancino dei piccoli ingordi. In arrosti che ci attendono nella sala ristorante. questo accogliente agriturismo è anche pos-Gilda ci informa che in origine le squisite lo- sibile ascoltare tipici canti sardi che ricreano righittas si mangiavano soltanto il 1° no- al meglio l’atmosfera tradizionale.

Paesaggi dell’Alta ghero largo e spesso: è quello mente il sughero dal tronco in- Marmillail letto del pastore, leggeris- cidendovi dei tagli verticali La mattina di buon’ora, più simo e dunque facilmente tra- con una piccola accetta. I ‘li- pimpanti che mai, salutia-sportabile durante i trasferi- stoni’ così ottenuti vengono mo Gilda per continuare il menti con le greggi. poi accatastati accuratamen- nostro viaggio verso l’inter-La raccolta del sughero avvie- te e messi a essiccare al sole, no. Da Morgongiori ci diri-ne ogni 9 anni circa, il tempo come abbiamo potuto vedere giamo a nord-est in direzio-

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ilanone Asuni per scoprire le ro-vine del castello della re-gina Medusa. Lun-go un piacevole percorso, ricco

necessario perché la corteccia possa riformarsi. Al momento giusto, esperti ‘scorzini’ pro-cedono a staccare delicata-

sulla Giara di Gesturi: pile e pi-le di sughero pronto per esse-re trasferito, lavorato e distri-buito in tutto il mondo.

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no di ampie curve tra il saliscendi di numerose colline, la lucina rossa sul cruscotto delle bianchine ci ricorda che anche loro hanno bi-sogno di ‘nuove energie’ dopo le impegnati-ve escursioni del giorno precedente. Passata Ales, capoluogo dell’Alta Marmilla dispo-sto su una piana alle pendici orientali del monte Arci e città natale di Antonio Gram-sci, ci dirigiamo al bivio di Escovedu e qui ci fermiamo per fare rifornimento di benzina. Mentre aspettiamo il nostro turno tra vari motociclisti tedeschi, ci si avvicina un ragazzo del paese incuriosito dalla presenza di Bel-vetta, Dino e Polentina, anche perché lui stesso possiede una formidabile bianchina. Non ci vuole molto per fare amicizia con Stefano, che si propone per accompagnarci in una visita fuori

programma fino a Usellus, dove sono una chiesetta in stile aragonese e i resti di una pi-sta e di un ponte di epoca romana. Usellus è pochi chilometri a nord e con la no-stra nuova guida ci avviamo verso la chiesa di Santa Reparata, che si presenta come una pic-cola fortezza alle pendici del colle di Donigala: circondata da mura con ampie nicchie, le ‘cumbessias’, per ospitare i viandanti e i mer-canti che un tempo qui soggiornavano du-rante le feste. Una massiccia facciata in pie-tra sormontata da una strana merlatura e un piccolo campanile a vela caratterizzano l’e-dificio, all’interno del quale sono ancora vi-sibili un’antica fonte battesimale a immer-sione e uno scorcio dell’originaria pavimen-

tazione. La chiesa parrebbe in-fatti esser sorta sui resti di un tempio pagano, pro-

prio al centro di un in-sediamento romano (la colonia di Uselis, II sec.

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a.C.) qui posto come crocevia tra Karalis (Cagliari) e Tharros e per vigilare la via d’ac-cesso alla Barbagia, a est. L’attuale progetto di scavi archeologici potrebbe far emergere im-portanti testimonianze in merito. Dal solare luogo di culto arriviamo in breve presso il rio Cojanna per vedere un tratto della via lastri-cata romana che portava a Forum Traiani eTharros e l’antico ponte immerso nel verde, poco distante dalla direttrice principale. La-sciamo quindi la zona, dove sono anche la splendida foresta di lecci di S’Arroxiu, ricca di sorgenti, e i laghetti detti ‘paùlis’ per tornare a Escovedu, dove rin-graziamo Stefano per la com-pagnia e per la preziosa col-laborazione.Dal bivio di Escovedu po-tremmo raggiungere Baru-mini, dov’è il più importan-te sito nuragico dell’isola, per la via ‘breve’: un piacevolissi-mo percorso campestre a sud della Giara di Gesturi che at-

traversa Sini, nota per il suo gigantesco ulivo millenario, Genuri, Setzu e Tuili. Il no-stro itinerario prevede però una puntata più a nord, ad Asuni, già in provincia di Nuoro, ed è lì che arriviamo intorno a mezzogiorno, giu-sto in tempo per far provviste prima di metterci alla ricerca del castello della regina Me-dusa. Parcheggiamo le auto

nella piazzetta del borgo, che sorge tra le go-le dell’Imbessu a ovest e del rio Maiori, pro-veniente dall’Alta Marmilla, a nord-est. Lun-go le viuzze del centro storico, caratterizzato da imponenti vecchi portoni e cortili con ti-pici archi d’accesso, chiediamo a due signore informazioni sul percorso che ci aspetta. Ap-prendiamo così che le rovine del castello si tro-vano a nord del paese, su di uno sperone roccioso cinto dai monti e decidiamo perciò di riprendere le bianchine per avvicinarci.

Tra canyon e antichi castelliPassato il piccolo borgo con la vicina necropoli di Bu-dragas, deviamo a sinistra per una stradina asfaltata che entra nel canyon del rio Bi-dissariu, le cui acque scorro-no da est a ovest scavando le rocce in modo suggestivo e impressionante per poi get-tarsi nel rio Mannu e infine nel Tirso, il fiume più lungo

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I rettili sardi I rettili sardi comprendono 18 specie, 4 appartenenti al-l’ordine dei cheloni (tartaru-ghe), 9 a quello dei sauri (lu-certole e gechi) e 5 a quello degli ofidi (serpenti). Tutte le specie di tartarughe presenti sull’isola sono terrestri o d’acqua dolce e vengono di solito indicate con il nome di testuggini, per distinguerle dalle tartarughe vere e pro-prie che vivono in ambiente marino. Tre specie sono molto simili fra loro e appartengono al genere Testudo: la testuggi-ne comune o di Hermann (T.hermanni), la testuggine gre-

ca (T. graeca) e la testuggine marginata (T. marginata). Si tratta di animali d’aspetto ro-busto, con una corazza mas-siccia molto ossificata, forma-ta da piastre di color grigio, verdastro o giallo, e zampe corte che sporgono appena dal carapace; vivono lungo le fasce costiere e nelle zone collinari calde e soleggiate di tutta l’i-sola. L’altra testuggine sarda (Emys orbicularis), più piccola e di colore grigio scuro o nero, è propriamente specie d’acqua dolce e come tale popola le aree umide, quali le rive degli stagni e dei corsi d’acqua; gli esemplari non sono molti, ma sono diffusi ovunque l’habi-

tat offra condizioni adatte. Tutte le specie di testuggini sono rigorosamente protette dalla legge a livello sia regio-nale sia internazionale. Fra i sauri sono particolar-mente degne di nota tre specie endemiche, esclusive della Cor-sica e della Sardegna e di po-che isole limitrofe: la lucerto-la di Bedriaga (Archaeolacertabedriagae), una lucertola piut-tosto robusta (22-28 cm) dal-la livrea solitamente grigio scura o grigio verde, presente nell’isola con ben tre sotto-specie; la lucertola tirrenica (Podarcis tiliguerta), molto co-mune, più piccola (15-24 cm) e di color bruno verdastro,

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muraiola (Tarentola mauritani-ca), il fillodattilo o tarantolino (Phyllodactylus europaeus) e l’emidattilo verrucoso (Hemi-dactylus turcicus); il gongilo (Chalcides ocellatus) e la lu-scengola (Chalcides chalcides),entrambi molto simili a una biscia per la forte riduzione delle zampe. Gli ofidi sono poco numerosi e mancano completamente i vi-peridi: in Sardegna, quindi, non sono presenti rettili velenosi. La specie più bella e interessante è sicuramente il colubro ferro di cavallo (Coluber hippocrepis),un serpente piuttosto raro dal-la bella livrea giallo verdastra ornata da vistose macchie scu-

re di forma tondeggiante, che vive nella parte meridionale dell’isola. Molto comune in tut-ti i luoghi assolati è il biacco (Coluber viridiflavus), che pur-troppo finisce spesso vittima delle automobili durante l’at-traversamento delle strade; ra-rissimo invece è il saettone o colubro di Esculapio (Elaphelongissima). Chiudono l’elenco dei rettili sardi la natrice vipe-rina (Natrix maura), molto dif-fusa, e la natrice dal collare (Natrix natrix), meno frequente, due specie popolarmente note come bisce d’acqua perché lega-te ad ambienti umidi e in gra-do di nuotare agilmente.

A cura del biologo Carlo Morelli

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spesso vivacemente sfumato di azzurro e verde, soprattutto nel maschio; l’algiroide tirre-nico (Algyroides fitzingeri), lun-go solo 10-13 cm (di cui 7-8 di coda), facilmente riconoscibi-le anche per la livrea scura, bruno nerastra, e le squame evidentemente carenate. Completano il quadro dei sau-ri dell’isola: la lucertola cam-pestre (Podarcis sicula); tre specie di gechi, la tarantola

di tutta la Sardegna. Siamo ai margini della Barbagia, in un paesaggio incontaminato. Superato il piccolo ponte che scavalca il cor-so d’acqua, iniziamo a salire lungo un ripido costone; sulla nostra sinistra le pareti della go-la si fanno sempre più alte, quindi, dall’altra parte della valle, ci appare una sella rocciosa davvero ardita, sulla quale sono i resti di un castello: tra quelle antiche mura, che ancora rievocano l’immagine di un fulgido passato, la leggenda vuole che si aggiri ogni notte il fantasma della regina Medusa. Per gli aman-ti della natura questa è una zona di partico-lare interesse, fatta di aspre montagne e go-

le impressionanti che si intersecano con la via del fiume e completamente disabitata. Scartiamo all’unanimità l’idea di passare la notte qui a caccia di fantasmi e riprendiamo il fascinoso percorso diretti alla valle dei menhir, sopra Laconi. Lungo un protetto e panoramico costone all’ombra, nei pressi di una sorgente, ci fermiamo per un pic-nic con vista sulle gole e sulle rovine del castello. Poi, ristorati, ripartiamo e dopo alcuni chi-lometri in un paesaggio dirupato, scendiamo di quota e riattraversiamo il rio Bidissariu più a monte, in una vallata a nord di Laconi, do-ve giungiamo di lì a poco.

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no Il paese, in bella posizione, si trova ai piedi dell’altopiano del Sarcidano, ricco di acque, che si estende vasto a sud-est; da qui comin-cia a profilarsi all’orizzonte l’imponente sa-goma della Giara di Gesturi, nostra prossima meta. A Laconi merita una visita il bel parco pubblico, progettato mantenendo e armo-nizzando le caratteristiche naturali del luogo: spuntoni calcarei, numerosi pianori, ruscel-li, cascate e laghetti contornati sia da lecci lo-cali sia da cedri del Libano. Nel bel mezzo vi sorge il castello detto dei Marchesi Aymeri-ch (che furono gli ultimi proprietari) con strutture in parte medievali (anche precedenti l’anno Mille) e in parte in stile gotico arago-nese. Un ‘vecchio del paese’, al quale chie-diamo notizie sulle origini dell’edificio, ci nar-ra pure la triste leggenda che lo circonda: nel-la torre fu murata viva una fanciulla, di cui il nostro interlocutore non ricorda il nome, perché non volle sposare l’uomo impostole dalla famiglia; il suo fanta-sma è ancora lì, dove vaga or-mai da secoli. Lasciamo Laconi chiudendo così questa parentesi tra na-tura, antichi castelli e rac-conti di spettri, per prose-guire verso sud lungo la SS 197, attraversando Nuragus per arrivare a Gesturi dopo una ventina di chilometri. Al confine tra Marmilla e Sarcidano, la Giara di Ge-sturi si presenta come un ambiente a sé stante unico e intatto, costituito da un va-

sto altopiano di origine lavica ricco di fore-ste che ha per margini verdi scarpate.

La Giara di Gesturi e Barumini A Gesturi siamo entrati nella provincia di Ca-gliari e basta svoltare a destra verso la Giara per iniziare una salita a tornanti che in bre-ve tempo ci porta sullo spettacolare altopia-no con vista sull’estesa piana del Sarcidano. Lungo la strada, tra ampi prati collinari e macchia mediterranea, troviamo il centro didattico di Pistincu dove raccogliamo infor-mazioni prima della visita alla Giara. È un ve-ro e proprio museo naturalistico multimediale che si avvale di diversi modelli educativi, in cui sia il turista sia lo studioso possono di-sporre del più svariato materiale, anche in-terattivo, nonché dell’assistenza di persona-le qualificato in grado di condurli alla scoperta del particolare territorio. Apprendiamo così che la genesi di questo altopiano si deve al-

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l’espansione di immense colate laviche alla quale seguì, dopo il raffreddamento, un gra-duale processo di erosione che ne modellò i contorni creando una piattaforma quasi per-fettamente livellata a circa 500-600 m sul li-vello del mare. Ancora poca strada in salita ed eccoci sulla sommità della Giara. Tra sorgenti e spettaco-lari laghetti detti ‘paùlis’, nei quali si riversa-no spumeggianti cascatelle, ci danno il ben-venuto i cavallini, begli animali piccoli e ro-busti dal manto scuro e con caratteristici oc-chioni a mandorla che si esibiscono in im-provvise e felici galoppate. Intorno grandi cataste di sughero attendono di essere tra-sportate a valle; i sughereti caratterizzano, infatti, tutto l’altopiano e sotto i rami degli al-beri contorti e modellati dal vento muschi e licheni trovano il loro ambiente ideale. Da-vanti a noi si estende un’ampia gariga ricca di carciofi selvatici e asfodeli che precede la

macchia mediterranea e, più oltre, la foresta di querce. Per cogliere appieno l’ecceziona-le fascino naturalistico del-l’area si possono seguire vari itinerari prestabiliti, tutti molto interessanti, effettua-bili anche nell’arco di più giornate e in tutte le stagioni dell’anno. Certo, in prima-vera, durante la fioritura, lo spettacolo è impareggiabile. Conclusa la nostra escursio-ne, salutiamo i cavallini, sen-za dubbio più mansueti di quelli di Morgongiori, e ri-

discendiamo a Gesturi, adagiata sulle pendi-ci sud-orientali della Giara, dove i ruderi di antichi mulini che scandivano il corso del rio Mannu fanno capolino all’interno di rigo-gliosi orti. Nel territorio rimangono anche i binari di un’antica ferrovia, sui quali ormai ‘transitano’ solo greggi al pascolo. Una stra-da quasi rettilinea vede ora sfrecciare le nostre bianchine verso Barumini, all’estremità orien-tale della Marmilla, di cui fu capitale nel medioevo. Entriamo nel paese famoso per l’importante complesso nuragico di Su Nu-raxi: un cartello ci segnala che il sito è iscrit-to nella lista del patrimonio mondiale del-l’UNESCO; per osservare dall’alto il sito ar-cheologico ci spostiamo a sud, dov’è la colli-na di Las Plassas su cui sono ancora visibili le rovine di un castello. L’altura, di forma per-fettamente conica, s’innalza dal nulla sulla pia-na circostante dominando Villamar, villaggio dal nome spagnolo posto ai suoi piedi.

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Come già accennato, il complesso nuragico di Barumini è il più importante per la quan-tità e la qualità di reperti rinvenuti a testi-monianza della civiltà nuragica. È sera quan-do accediamo all’area archeologica, poco a ovest dell’abitato, che con il sole calante ci appare ancor più suggestiva e ricca di quel fascino che soltanto la patina dei millenni sa dare. Camminiamo fra le tozze capanne circolari del villaggio, alcune delle quali conservano ancora al loro interno la pietra concava del focolare, gli utensili per maci-nare il grano e le nicchie in pietra in cui se-devano gli anziani a discutere: com’è nella capanna ‘del parlamento’, ritenuta luogo di riunioni rituali. Dopo la visita al sito archeologico facciamo sosta all’hotel ‘Sa Lolla’, dove, prima di cenare e andarcene a dormire, un corroborante tuffo

in piscina ci ritempra dalle fatiche dell’inte-ressante giornata appena trascorsa. Claudio e Annarella gestiscono da diversi anni il ca-ratteristico locale che prende il nome dal loggiato esterno ad archi tipico delle case del Campidano. L’accogliente sala da pran-zo, ricavata da vari ambienti di una casa ru-rale e con caminetto, e la simpatia dei nostri anfitrioni rendono la serata ancora più gra-devole. Oltre alle più note pietanze tradizio-nali, la cucina dell’hotel propone lumache al-la diavola come antipasto, fregola (pasta ton-da) alle lumache come primo e pecora in umido con cardi selvatici come secondo. A Barumini concludiamo così, con soddisfa-zione piena, il primo itinerario sviluppato completamente all’interno della Sardegna, per proiettarci via via più a est, in direzione di una magnifica costa ancor lontana.

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4L’entroterra orientaleBARUMINI • ISILI • NURRI • ORROLIESCALAPLANO • GONI • ESTERZILI

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no Con la magnifica Barumini alle nostre sui resti di un nuraghe sorse una chiesetta. spalle, ci stiamo velocemente dirigendo Come a Su Nuraxi, anche qui le capanne in

verso il sole appena sorto; la guida è piacevole pietra, raggruppate in vari recinti, vengono in-con percorso movimentato tra la campagna. dicate in termini descrittivi: ‘del custode’, ‘del Pochi chilometri dopo aver attraversato il sacerdote’, ‘del capo’, ‘delle riunioni’. Nel rio Mannu superiamo Gergei ed Escolca, villaggio-santuario durante l’età del Bronzo mentre a nord ecco apparire imponente la erano venerati il Dio Toro e l’acqua, come te-Giara di Serri, con le sue erte pareti e la stimonia il notevole tempio a pozzo. sommità piatta dove ancor oggi si celano i mi- Scendiamo quindi a Serri e, già che ci siamo, steri riguardanti antichi culti dei sardi che, in prima di proseguire per la costa orientale, epoche lontane, qui si radunavano in occa- puntiamo verso Isili (dove corre anche la sione di feste e cerimonie sacre. Arrivati al- ferrovia che collega Mandas a Sòrgono) per l’incrocio con la direttrice principale, la SS visitare il borgo e le botteghe artigiane dove 128, svoltiamo a sinistra in direzione Serri e si realizzano tappeti e arazzi policromi e og-Isili per intraprendere una nuova, breve getti in rame di ottima qualità; il museo ci-escursione. vico dedicato a queste attività ne documen-Viaggiando verso nord incontriamo subito ta l’antica tradizione. Lunghi viali alberati e Serri, il piccolo borgo situato sul confine curate case ottocentesche caratterizzano il meridionale del Sarcidano che dà il nome a paese, che sorge in un territorio popolato fin una Giara molto più picco-la rispetto a quella di Gestu- FANTASIE POPOLARI ri, è larga infatti 1 km e lun-ga 3, ma scenograficamente La leggenda dell’Orgìa mai riusciremo a scoprire. Nel-

la tradizione popolare di Ester-svettante a circa 650 metri di Nel territorio di Esterzili ab- zili, ci racconta la nostra gui-altezza in un paesaggio in- biamo visitato un tempio plu- da locale, il singolare santua-contaminato. rimillenario di enorme interes- rio è identificato come Domu

se. Situato in un luogo reces- de Orgìa ossia casa della ma-La Giara di Serri so, a 1000 metri di quota su un lefica maga chiamata, appun-e il suo ‘santuario’ breve terrazzo naturale lungo to, Orgìa. Il mitico personag-Da qui dunque saliamo le pendici sud-orientali del gio potrebbe essere una tra-sull’altopiano basaltico che si monte Santa Vittoria, presen- sposizione della pagana Dea trova a nord-ovest del paese ta una struttura a pianta ret- Madre a cui secondo alcuni era per visitare, a pochi chilo- tangolare, tecnicamente detta dedicato il sito e che, cambia-metri, il sito nuragico di San- a megaron, del tutto diversa te le credenze religiose, ha as-ta Vittoria, luogo di culto dalle tipiche architetture me- sunto caratteri negativi. Se-frequentato dalla preistoria galitiche dei nuragici e nascon- condo la leggenda, infatti, fino al medioevo, quando de storie e segreti che forse l’Orgìa sarebbe un’antica sa-

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dalla preistoria: lo provano le domus de janas e il nuraghe Is Paras tra Isili e il lago Is Barrocus. Is Paras (i frati) ha un aspetto davvero magico, con la sua integra volta a tholos culminante in un fo-ro centrale perfetto che si apre verso il cielo. Da Isili torniamo a Serri per imboccare a sinistra la SS 198 che ci porterà nel com-prensorio del medio Flu-mendosa, nostra prossima meta; nella zona che stiamo ora attraversando vi sono tracce di un antico insedia-mento romano identificato con i resti della città di Bio-ra. Ancora pochi chilometri e, all’altezza della casa can-toniera all’incrocio per Nur-ri e Orroli, troviamo due i amici sardi con cui abbiamo appuntamento. Paolo e Mas-

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ilanocerdotessa che custodiva il tempio nonché il favoloso te-soro conservato nei tetri sot-terranei dell’edificio. Gli abi-tanti di questo magnifico lem-bo di Barbagia dapprima tol-lerarono la presenza della mi-steriosa donna, poi, forse a causa di strani riti e sortilegi che essa compiva o forse per-ché vennero a sapere del te-soro, decisero di scacciarla. Il loro proposito andò a buon fi-ne e l’Orgìa fuggì da questi monti; non avevano però te-nuto conto della perfida astu-

zia della maga, che nei sotter-ranei del tempio aveva lascia-ta due botti identiche: una colma di ricchezze, l’altra zep-pa di ‘muscas macèddas’, in-setti micidiali che, se liberate, avrebbero ucciso con il loro morso gli abitanti di sette pae-si. Di fronte a un tale rischio nessun abitante della zona eb-be l’animo di verificare il con-tenuto delle botti, ancora og-gi sepolte nel tempio in atte-sa che un ignaro scopritore le apra compiendo, a distanza di secoli, la vendetta dell’Orgìa.

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no simo ci saranno di grande aiuto in questo iti-nerario perché conoscono benissimo il terri-torio che gravita attorno ai bacini del medio Flumendosa e del Mulargia, tra i monti roc-ciosi e gli altipiani del Gergei a sud-ovest, l’al-topiano selvoso del Sarcidano (da cui prove-niamo) a nord-ovest e la selvaggia Barbagia di Seulo (che visiteremo poi) a nord-est. Mas-simo è proprio originario di Nurri, mentre Paolo è appena arrivato da Cagliari a bordo di Romina, una splendida bianchina ca-briolet azzurra con la quale guiderà da qui in poi la nostra spedizione.

Nurri, centro di artigianato artistico Dallo spiazzo dove avviene l’incontro no-tiamo davanti a noi il dolce profilo ad arco di monte Pizziogu (pizzo dell’occhio), un al-tro antico vulcano ai piedi del quale sorgo-no, riparate, Nurri e Orroli. A sinistra del Pizziogu un cocuzzolo ospita ancora oggi il nuraghe Is Cangialis, a guardia dell’altopia-no che, costellato lungo i margini da altri nu-raghi con funzione sia abitativa sia difensi-va, si collega al vecchio vulcano. Di nuovo in marcia, dopo averla visto da lon-tano, arriviamo a Nurri per una visita al centro storico dove spicca in particolare la bella torre campanaria del ’300, realizzata in pietra locale. Nel cuore del paese, rinomato per i suoi mastri coltellinai, per le cantine e i caseifici, abbiamo anche la fortuna di vedere una notevole casa rurale con una porta in no-ce e castagno del ’700 e la volta del tetto a ca-priate (quaddos armados, ‘cavalli armati’), che consente di scaricare il peso della coper-tura lateralmente, con la chiave centrale che

appoggia solo in caso di cedimento onde evi-tare danni maggiori. All’interno sporgono dai muri pietre a vista che danno un’idea di grande solidità, mentre un ampio arco, sem-pre di pietra, divide gli ambienti. Un intenso profumo ci attrae verso la cuci-na, dove adocchiamo degli invitanti culur-giones di ricotta e spinaci pronti per essere tuffati in pentola. Nel bel cortile antistante una rigogliosa pianta di gelso con i suoi frutti maturi fa rivivere in noi il ricordo di an-tichi sapori, tra piante di limoni e muri in pietra ricoperti di edera e di fiori.

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Lungo coast to coa-st

ciso un testo in lati-

tribù locali: i Galillenses, tur-

La porta Esterziliil nostro

dell’isola ci siamo ritrova-ti a Esterzili, piccolo borgo della Sardegna cen-tro-orientale nonché primo paese barbari-cino da noi visitato, più precisamente compreso nella Bar-bagia meridionale di Seulo. È questa una delle zone meno co-nosciute e più in-contaminate della Sardegna, dove an-cora forti sono le tradizioni legate alla vita rurale. Basti dire che fino a pochi anni fa i contadini e i pastori di Esterzili potevano gestire le aree destinate all’agricoltura e al pascolo mediante un an-tico sistema fiduciario, detto ‘sa cumunella’, che prevede-va un accordo fra i proprietari dei terreni e quelli del be-stiame per definire l’affitto delle campagne e il prezzo dei pascoli. Oggi, visitare i dintorni del paese montano, arroccato come un nido d’aquila sulle pendici del monte Santa Vit-

toria, vuol dire entrare in un mondo a stretto contatto con la natura, che nell’antichità

si trovava al centro di im-portanti vie di comunicazio-ne e che, perciò, è ricco di testimonianze giunte dalla preistoria fino ai nostri gior-ni. Il villaggio nuragico pres-so la cima del monte pone Esterzili nell’ampio e miste-rioso contesto delle più ar-caiche culture che fiorirono nell’isola ed è certo degno di nota, ma il vicino tempio a megaron (Domu de Orgìa) in località Cuccurueddi rappre-senta un brano di archeolo-gia unico e di interesse dav-vero eccezionale. Il territorio di Esterzili, inoltre, ha reso

un documento che attesta per certo come il dominio romano interessasse anche

la Barbagia e quale fosse la realtà di que-sta regione all’epo-ca. Nel 1886, un con-tadino del luogo rin-venne infatti una la-stra bronzea con in-

no; vi si legge che il proconsole Lucio El-vio Agrippa, nell’anno 69 d.C., ordina la ces-

sazione delle ostilità tra due

bolenti pastori, e i più paci-fici Patulcenses, dediti all’a-gricoltura e vittime dello sconfinamento dei primi. La straordinaria tavola di Ester-zili, com’è chiamata, è oggi esposta al Museo nazionale di Sassari insieme ai bron-zetti, ben più antiche, trovati presso il tempio a megaron. Nessuno potrà quindi smen-tirci se affermiamo di aver vi-sitato un luogo unico nel suo genere, lontano dalle rotte del turismo convenzionale e per questo ancora più bello.

CITTÀ E PAESI

della Barbagia meridionale:

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ARCHEOLOGIA E DINTORNI

Le tombe dei giganti La fantasia popolare ha sem-pre dato nomi particolarmen-te suggestivi a ciò che non riusciva a comprendere. Così, per le loro dimensioni ciclopi-che i sepolcri propriamente ascrivibili alla civiltà nuragica (che peraltro continuò a uti-lizzare anche le domus de ja-na), veri e propri mausolei che contenevano anche centinaia di defunti, sono stati chiama-ti ‘tombe dei giganti’.

La pianta di questi edifici, con camera rettangolare absidata sul retro, ricorda per forma una testa bovina in cui corna sono rappresentate da due ali di mura a semicerchio disposte ai lati della parete frontale, detta stele, più alta e centi-nata (cioè con sommità arro-tondata). Ciò suggerisce l’im-magine del Dio Toro, suprema divinità degli antichi isolani insieme con la Dea Madre. Nello spazio dall’esedra, os-sia delimitato dai bracci se-

micircolari, avevano luogo le cerimonie legate al culto dei morti e forse pure i riti cosid-detti incubatori. Si legge in-fatti nella Fisica di Aristotele che era costume dei sardi dor-mire, latinamente incubare,presso le tombe per vari gior-ni per liberarsi dalle ossessio-ni o contattare gli spiriti; quel sonno profondo era probabil-mente favorito da misteriose pozioni a base di erbe. Sia co-me sia, ancora oggi capita di vedere persone sdraiate pres-

Nella media valle del Flumendosa Istellas. Sotto di noi le gole del Flumendo-Da Nurri, per uno sterrato che scende ver- sa sono ora colme d’acqua grazie alla diga si-so il lago, ci dirigiamo al centro turistico di tuata più a sud, presso il ‘gigante rosso’ ov-

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so le tombe arcaiche, intente a meditare viaggiando con il pensiero al di là del tempo, al-la ricerca di un’energia pri-mordiale. C’è però chi ritiene più adatti a un tal rito i nura-ghi, al riparo dalle intemperie, ma è indubbio che accanto al-le tombe gli individui più sen-sibili avvertano profondamen-te la percezione della transi-torietà della vita terrena e quindi della vanità delle an-gosce tipiche dell’uomo.

A cura di Roberto Sciotta

vero nuraghe Arrubiu sull’altopiano di Su Pranu, che con il suo formidabile comples-so di torri, cortili, gallerie e mura fu uno dei più potenti baluardi della Barbagia. Nelle ac-que del lago, lungo una ventina di chilo-metri, si insinua davanti a noi il fiordo del rio Bettilli, un torrente che proviene dal mon-te Santa Vittoria vicino a Esterzili. Mentre scendiamo verso Istellas il bel pa-norama assume toni sempre più pacati e gli ampi nuvoloni che corrono sulle nostre te-ste rendono i campi sottostanti di un verde ancora più pieno, tanto da rievocare un pae-saggio di sapore scozzese che mai ci sarem-mo immaginati di trovare all’interno di que-sta splendida e sorprendente isola. La struttura di Istellas, che comprende pu-re un centro nautico, fa parte del nuovo consorzio turistico dei laghi che promuove

un turismo più attivo alla scoperta della ve-ra Sardegna, tra pace, silenzi, colori, profu-mi e pittoreschi scenari fuori dal tempo. Nonostante la bontà dei cibi sardi ai quali ci stiamo con piacere abituando, decidiamo di tenerci leggeri, in vista delle escursioni che Massimo e Paolo ci hanno preparato per il pomeriggio. Prima di riprendere il viaggio notiamo fuori dal ristorante una vecchia macina per il grano in basalto, la pietra lo-cale che veniva esportata in molte altre par-ti dell’isola proprio per realizzare strumenti da lavoro di questo genere. Risaliti sul tavolato ai bordi del lago ci av-viamo verso il nuraghe Corongiu Maria, si-tuato al di fuori delle più comuni rotte del turismo archeologico, in una posizione do-minante non a caso scelta dagli antichi sar-di. Per arrivare in questa bellissima zona

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PAESAGGI DA RICORDARE

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no dobbiamo rientrare a Nurri e in piazza Santa Maria prendere la direzione per Pa-denti. Padenti significa ‘la foresta’ ed è proprio al belve-dere affacciato sul fitto del-la vegetazione che parcheg-giamo le quattro bianchine. Guardando le montagne da-vanti a noi, dall’altra parte del Flumendosa, Massimo ci indica il percorso che il trenino a scartamento ri-dotto e con locomotiva a va-pore compie oggi solo per i turisti, partendo da Caglia-ri per giungere ad Arbatax, sulla costa. A piedi ci dirigia-mo lungo il costone verso nord, con il pro-filo del lago che scorre zigzagando in basso dal ponte di Villanovatulo, visibile in lonta-nanza, e che scavalca l’invaso del Flu-mendosa nel lago. In circa

La remota BarbagiaNessuna terra può essere con-siderata cuore dell’antica spi-ritualità sarda più della Bar-bagia; terra di vetusti rilievi montuosi che si diramano at-torno al massiccio del Gen-nargentu in tutte le direzioni, quasi a voler proteggere il lo-ro indiscusso ‘re’ dalle altre terre e dai mari che lo circon-dano. Terre e mari che nulla hanno a che spartire con il fa-scino di questo particolare ter-

mezz’ora di cammino per il sassoso sentiero pianeggiante arriviamo in prossimità del Corongiu Maria, uno dei pochi nuraghi a

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ritorio, che anche per la scar-sa antropizzazione ha mante-nuto tratti unici con culture, usi e costumi ancor oggi poco intaccati dal mondo esterno. Di fatto, sin dai tempi più re-moti la Barbagia ha resistito alla colonializzazione da par-te di genti estranee; neppure i romani l’hanno mai piena-mente assoggettata, come in-dica anche il nome che proprio loro hanno dato a questa re-gione: in origine era Barba-ria, il che la diceva lunga sul-

la fiera resistenza dei nativi, i sardi pelliti (vestiti di pelli). Questo territorio, pur omoge-neo nel suo insieme, è suddi-viso in quattro ‘Barbagie’ che ricalcano le ripartizioni medie-vali legate alle diverse circo-scrizioni amministrative. A nord del Gennargentu la Bar-bagia di Ollolai gravita anche sui centri di Fonni e Gavoi; a ovest del massiccio il Mandro-lisai digrada verso il Tirso; a sud la Barbagia di Belvi fa-scia da vicino il Gennargentu,

lasciando che la Barbagia di Seulo si estenda ancor più a meridione. E se a Esterzili sia-mo entrati appieno in questa particolare terra, habitat di mufloni, cinghiali, daini, cer-vi sardi e di splendidi rapaci (come l’aquila reale che anco-ra domina i cieli), il nostro i-tinerario ci ha portato fino ai confini con la Barbagia di Bel-vi, nella foresta di Montarbu, dove ci siamo immersi in un mondo di aspri colori, lontani profumi e immensi silenzi.

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corridoio, con appunto un corridoio che lo attraversa con spazi e nicchie interne. Siamo di fronte a uno dei primi nuraghi, ovvero un protonuraghe, che maestoso e solenne incute in noi una sensazione di grande rispetto, forse dovuta all’energia che la millenaria struttura sembra emanare oppure al fatto di trovarci in una zona veramente suggestiva. La possente costruzione ci mostra i segni del tempo con le sue pietre corrose dai venti e dalle acque; mentre lo scaliamo dall’esterno per raggiungere la sua cima possiamo intra-vedere sotto di noi alcuni tratti del corridoio. Sulla strada del ritorno la sagoma dell’arcai-co monumento si allontana sullo sfondo di un cielo sempre più plumbeo che, più che promette, minaccia pioggia. Arriviamo co-sì alle bianchine appena in tempo per chiu-dere la capote di Romina.

In cammino per Orroli Dopo Nurri ci dirigiamo verso la vicina Or-roli, fermandoci al margine inferiore del-l’altopiano sul limitare dell’abitato: ora ci at-tende un’altra escursione a piedi, alla volta di un’area in cui i preistorici abitanti del costone che ci sovrasta usavano inumare i loro de-

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funti. Prendiamo a salire lungo un vecchio cammino giungiamo alla nostra meta: una tratturo di sasso bordato da mura, un pas- serie di incredibili massi che le popolazioni saggio largo giusto quel tanto basta per far prenuragiche, con utensili di pietra e con passare un asino con il suo carico. Ci insi- grande abilità e pazienza, hanno scavato in-nuiamo nella zona rocciosa punteggiata da ternamente per potervi deporre i loro mor-belle e velenose piante di gigaro e prati ric- ti. Ci troviamo, grazie ai nostri amici, in un chi di cardi. Mentre saliamo Massimo e sito poco conosciuto, Su Parche ’e Su Mon-Paolo ci fanno notare alcuni pezzetti di os- ti, ed è quindi ancora più emozionante sidiana che occhieggiano tra i sassi; Massi- esplorarlo. Entriamo in uno di questi sepolcri mo ci dice di aver anche trovato, proprio qui detti domus de janas camminando a quattro intorno, varie punte di freccia realizzate zampe, immersi nel buio a malapena at-con tale materiale, particolarmente abbon- tenuato da un’alta finestrella e vi scorgiamo date sul monte Arci (da noi già visitato). due camere, una superiore e una inferiore, Anche in questo caso, dopo circa mezz’ora di con un ingresso anche sulla parete opposta

TRADIZIONI E TIPICITÀ

I formaggi di Sardegna Il fiore sardo è un formaggio tuttora prodotto per lo più ar-

Durante il nostro bellissimo gione rispettosa della natura, tigianalmente e seguendo la viaggio nella Sardegna centra- dove gli animali pascolano al- tecnica tradizionale. Il nome gli le, dal golfo di Oristano al golfo lo stato brado, le erbe della venne attribuito alla fine del di Orosei, abbiamo avuto modo macchia mediterranea hanno XIX secolo, quan-di conoscere al meglio la cuci- un ruolo primario nel dare gu- do sul fondo na di questa terra. Negli agri- sto e sapore ai derivati del lat- degli stam-turismo e negli hotel dove ab- te. Questa caratteristica ha fat- pi si co-biamo soggiornato, abbiamo to sì che la Sardegna sia di- minciò a assaggiato sempre piatti dal ventata l’unica regione d’Eu- imprimere gusto unico; quand’anche si ropa ad avere tre formaggi pe-tratta della stessa pietanza, il corini Dop (a denominazione di sapore è diverso di località in origine protetta): il fiore sardo, località, perché nel prepararla il pecorino sardo e il pecorino si apportano varianti proprie romano. Da notare che l’im-negli ingredienti. Tutto otti- portante riconoscimento della mo, dunque, ma quello che si Dop è assegnato solo ai rivela l’incontrastato re della prodotti di qualità tipici tavola sarda è il formaggio, un determinato ambiente pecorino e caprino. In una re- geografico.

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contro il quale venivano ap-poggiate grossi massi di chiusura. Ci aggiriamo poi tra la boscaglia disseminata di parecchie domus che, il-luminate dal sole al tra-monto, ci appaiono come un fantasmagorico villaggio litico. Una tranquilla pas-seggiata in discesa ci riporta nel mondo attuale, in cui ci tuffiamo per concederci un po’ di ristoro dopo un’altra giornata ricca di scoperte.

il simbolico fiore d’asfodelo. Ottimo sia da tavola (noi lo abbiamo provato con miele amaro di corbezzolo ottenendo un’accoppiata eccezionale), sia stagionato da cucina dove esal-ta molti piatti regionali. Il pe-corino sardo è un formaggio conosciuto ed esportato in tut-to il mondo e, a sua volta, vie-ne proposto in due versioni, quello dolce e quello maturo; il primo, più fresco, ha una ma-turazione che non supera i 2 mesi, mentre il secondo ha una stagionatura più lunga fino a un massimo di 12 mesi. Anche il pecorino sardo è perfetto da tavola nonché da grattugia. Infine, il pecorino romano: for-maggio di origine antichissima

e, come dice il nome, laziale; la tecnica per ottenerlo risale al-l’epoca romana ed è al seguito degli antichi conquistatori che questa delizia è giunta nell’i-sola. Qui, poi, la produzione si è fatta via via più importante, tanto che ora è un formaggio considerato a tutti gli effetti ti-pico della Sardegna. Anche il pecorino romano si trova nel ti-po dolce da tavola, con sta-gionatura di 5 mesi, e maturo da grattugia, invecchiato dagli 8 mesi in là; è speciale soprat-tutto se consumato con le fa-ve fresche, un connubio sem-plice ma da non trascurare. Questi sono i tre formaggi più importanti, tuttavia la produ-zione è molto vasta: vi sono,

per esempio, i canestrati, che prendono forma in canestri di giunco secondo una moda an-tica, oppure i caprini che sono un’ottima alternativa rispetto ai più tradizionali pecorini. E, ancora, si trovano notevoli for-maggi molli, come il bonas-sai, delizioso da tavola; per non dire dei formaggi a base di latte vaccino, tra i quali il più rappresentativo ci pare la pe-retta, che è poi la versione sar-da della scamorza. Crediamo di non essere riusciti a elenca-re tutti i formaggi (sono tanti), ma una cosa è certa: in ognu-no di loro si conserva, oltre a un sapore unico, la ricchezza di una tradizione che si perde nel-la notte dei tempi.

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riera in costume locale. Ci complimentiamo con la proprietaria che si offre per una visita guidata al museo l’indomani. Come promesso, la mattina di buon’ora ini-ziamo la visita, ma non prima di esserci go-duti la vista di ‘Omu Axiu’ alla luce del so-le. Una stradina in pietra porta a un’entrata ad arco al di là della quale, lungo tutto il pe-rimetro di una corte quadrata, si sviluppano

Ospitalità fra ricordi e tradizioni A Orroli ci aspettano all’‘Omu Axiu’, un museo-ristorante-albergo allestito in un’an-tica casa tutta in pietra; nella rustica sala da pranzo, in attesa di cenare, assaggiamo il pa-ne pistoccu tipico della zona, una sorta di pa-ne biscottato che poteva es-sere consumato dai pastori per lunghi periodi. Con il vino Cannonau gustiamo poi una serie di piatti pre-libati, come gli spizzulusu ai funghi porcini e i mallored-dus alla campidanese, dei quali la signora Tonia va par-ticolarmente fiera. E infine le pardulas, dolci di ricotta, for-maggio e miele di cui non si potrà che conservare un buon ricordo… accanto a quello della graziosa came-

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TRADIZIONI E TIPICITÀ

I ‘pinnettos’In Sardegna è ancora possi-bile trovare un ‘pinnettu’ abi-tato da qualche pastore pro-prio come avveniva anche se-coli fa. I ‘pinnettos’, infatti, sono le tipiche dimore a pian-ta circolare con copertura in rami di ginepro che i pastori utilizzavano fin dai tempi più remoti; sono di fatto ovili, ma anche autentici capola-vori di architettura primiti-va, presentando una forma molto simile alle capanne nu-ragiche. Oggi molte di que-ste strutture versano in uno stato di abbandono e decadi-mento, tuttavia esistono luo-ghi in cui è ancora possibile osservarle in tutta la loro di-screta bellezza e ciò grazie soprattutto all’impegno di al-cuni pastori e delle comunità locali e montane che si occu-

pano mantenerli funzionali e in perfetta efficienza. Numerosi ‘pinnettos’ ancora integri si trovano nel Supra-monte, nella piana di Campe-da, nel Sarcidano, nella Bar-bagia, nel Nuorese e nell’O-gliastra. Proprio nell’Ogliastra abbiamo potuto ammirarne due sperduti tra i monti: si tuati in una zona impervia vi-cino a impressionanti dirupi, ma inseriti armoniosamente in quello scenario selvaggio. Il ’pinnettu’, come accennato, presenta una struttura molto semplice e pratica: ha una pianta circolare con alla base uno spesso muro a secco ed è completato da un tetto a co-no, di solito tronchi di gine-pro sapientemente intreccia-ti e poggianti su tre o quattro tronchi più robusti; esistono anche coperture di frasche che però vanno sostituite pe-

riodicamente. Questi ovili era-no in genere dimore comuni, che davano rifugio a più pa-stori e che fungevano altresì da spazi per la produzione del formaggio: per far asciugare le forme i pastori le dispone-vano su graticci di canne (su kannitthu), accendendo poi un fuoco al centro della ca-panna e con quel fumo si ot-tenevano prodotti gradevol-mente affumicate. Grazie al sistema di copertura, peraltro impermeabile all’acqua e alla neve, il fumo comunque non invadeva l’interno del ‘pin-nettu’, anzi fuoriusciva del tutto lasciando all’interno so-lo calore. Una struttura ar-chitettonica antica, dunque, ma non priva di genialità, l’i-deale per chi doveva soprav-vivere su questi monti, lonta-no dal mondo degli uomini dove la natura è padrona.

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gli spazi museali e ricettivi. Nel cortile, vicino a un pozzo, un grande ulivo domina l’am-biente fatto di sassi, di verde e di vecchi og-getti; alle spalle dell’albero un’ampia veran-da consente di mangiare all’aperto. Sia nel-l’estetica sia nell’offerta, l’‘Omu Axiu’ è dav-vero un ritratto di questa terra: non a caso, qui viene preparato il personale impiegato dal

consorzio cui aderiscono ben undici risto-ranti-alberghi di questo comprensorio nel cuore della verde Sardegna, tutti votati al ri-spetto della storia e delle tradizioni. All’entrata del museo ecco uno dei primi trat-tori giunti sull’isola agli inizi del ’900: il vecchio Bubba, tutto rosso, che ‘guidava’ la trebbia ed era alimentato a carburo. Lungo

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no il nostro interessante per-corso un carro ricavato da un tronco di castagno, aratri, utensili in legno, piatti di ceramica fanno bella mostra insieme ad abiti in fustagno usati per la caccia, stuoie di paglia che fungevano da let-ti e un’infinità di altri oggetti che ci parlano dei tempi an-dati. I muri del museo sono intonacati con argilla e pa-glia e uno di questi muri ci separa dall’abitazione di un arzillo vecchietto che, con i suoi 112 anni, ci dimostra che qui la vita è dura ma co-munque sana, e soprattutto giovevole è quell’energia che anche noi percepiamo. Alla fine del percorso, dopo aver visto le variopinte ‘bur-ras’, tappeti creati da stracci, arriviamo dal retro nella sa-la da pranzo già ‘frequentata’ la sera prima, ricavata nella vecchia stalla. Qui dormiva anche il fattore, perché i buoi che partivano all’alba e tor-navano al tramonto doveva-no essere alimentati anche nel cuore della not-te, per poter sostenere di giorno il lavoro nei campi. La signora Tonia, oltre a fornirci preziose notizie sul passato, ci aiuta pure a mettere a punto l’itinerario che stiamo per in-traprendere lungo il perimetro del lago Mu-largia, grande bacino a sud di Orroli.

Intorno al lago Mulargia Salutiamo Massimo e lo ringraziamo per tutto ciò che ci ha fatto conoscere, poi, sem-pre seguendo la cabriolet di Paolo dalla qua-le tra l’altro eseguiamo ottime riprese filmate, iniziamo a spingerci verso Goni e il sito di Pranu Muttedu. La strada corre sinuosa si-

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no a Escalaplano, paese tra le valli del Flu-mendosa e del Flumineddu, in zona ricca per la produzione di sughero, cereali e olio di len-tisco (ollu ’e stinco), considerato un ottimo cosmetico e un efficace rimedio contro le punture di insetti; gli anziani del posto ri-

cordano che immergendo in quest’olio un geco morto si ottiene un potente liquido analgesico. Fino a non molti anni fa, comun-que, l’economia locale non era certo fioren-te; per fare un esempio dei sacrifici che la mi-seria allora imponeva, basti dire che nella sta-gione della mietitura dell’orzo gran parte de-gli abitanti del paese, comprese intere fami-glie con bambini al seguito, percorrevano ol-tre 20 km di polverosi tratturi per recarsi a Esterzili, dove trovavano un lavoro stagionale nei campi e venivano pagati in natura.

Oggi però il borgo tra le colline, la cui ori-gine medievale si legge nelle stradine del centro storico fiancheggiate da case in pietra che ospitano numerose botteghe artigiane, è senza dubbio più prospero: non solo per gli sviluppi dell’agricoltura, ma anche perché è

diventato punto di rife-rimento per interessanti escursioni verso le pic-cole spiagge del rio Flu-mineddu, in uno scena-rio naturale incontami-nato, e per gli appassio-nati di archeologia at-tratti dai nuraghi Fumia e Annuai e dal pozzo sa-cro in località Is Clamo-ris. Proprio a Escalapla-no una gentilissima ‘nonna’ ci dice che per Goni dobbiamo proce-dere verso sud, sotto il versante occidentale di monte Maraconis, e poi

svoltare a destra all’altezza di Funtana Co-perta, in una nuova strada ancora non se-gnalata nelle cartine.

Il Gerrei: murales, menhir, ‘cuili’ Seguiamo così il bel percorso suggeritoci, che tra l’altro scavalca il Flumendosa da poco uscito dal lago, e arriviamo al piccolo paese di Goni, nell’aspro Gerrei, con i suoi edifi-ci dalle pareti coperte di splendidi murales. Attraversato l’abitato ci spingiamo poco più in alto, a Pranu Muttedu, un complesso megalitico risalente all’età neolitica caratte-

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no rizzato dalla presenza di numerosi menhir, che qui vengono chiamati ‘pedras fittas’. Il comprensorio, con una superficie di ben 200.000 m2, racchiude anche una zona, lun-go un confine roccioso che domina l’alto-piano sottostante, dove si trovano varie do-mus de janas costruite in massi di arenaria e di scisto. La signora Tora, che ci guida in que-sto percorso, mostra una preparazione al di sopra delle aspettative, senz’altro frutto di una grande passione che l’ha portata ad ap-profondire gli studi sulle tante interessanti teorie volte a ‘far luce’ negli angoli più oscu-ri della storia e della preistoria. Viaggiamo dunque all’interno del solare si-to tra querce secolari, cromlech (strutture for-mate da grandi blocchi di roccia disposti in cerchi concentrici) e menhir allineati lungo l’asse est-ovest, con chiari riferimenti astrali e temporali. In quest’area, ci spiega Tora, assistiamo all’incontro tra due culture: la prima prettamente mediterranea, con il cul-

to della Dea Madre che simboleggia la terra e le domus de janas viste come il suo pro-tettivo grembo, dove i morti, messi in posi-zione fetale e dipinti di ocra rossa, aspettavano il momento della rinascita; l’altra d’impron-ta più nordica, come dimostrano i numero-si resti nelle isole britanniche e in Francia, con la presenza di menhir, circoli megalitici (cromlech) e dolmen. Ci troviamo quindi in un luogo particolarmente ricco di energia, tanto da aver focalizzato l’interesse di due di-verse culture. Per chi volesse approfondire l’ar-gomento, Tora è disponibile a fornire a qual-siasi visitatore tutti i dettagli del caso come ha fatto con noi. Completamente immersi in questo affasci-nante mondo che ha ampiamente preceduto il nostro, arriviamo così all’ora di pranzo e la nostra guida, molto gentilmente, prenota per noi al ristorante ‘Pranu Muttedu’ che fa parte della struttura. La costruzione in pietra nasconde al suo interno

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un accogliente ambiente rustico con grande camino; qui Maristella ci informa sul menù che a breve ci verrà servito: prosciutto e sal-sicce con melanzane arrosto come antipa-sto, gnocchetti al ragù e ravioli di patate co-me primi piatti e arrosto di maiale come se-condo (nel periodo invernale e primaverile viene proposto anche l’agnello). A conclu-sione del pasto fa la sua comparsa un dolce ti-pico: la pardula gonese, una sfoglia con ricotta e miele. Ringraziata Maristella per l’ospitalità e la bontà dei suoi piatti, prima di lasciare Go-ni andiamo a visitare due splendidi ‘cuili’, an-tiche abitazioni dei pastori ai confini del pae-se che all’occorrenza fungevano anche da ovili. Nei pressi dei ‘cuili’ un bel pozzo in sas-so con tanto di carrucola viene ancor oggi usa-to per attingere acqua, mentre all’interno di una di queste costruzioni notiamo un gran-de pezzo di corteccia di sughero che, per la sua leggerezza, era il letto portatile dei pastori du-rante i trasferimenti delle greggi. Il percorso continua ora in senso orario in-torno al lago Mulargia; procediamo perciò verso sud in direzione Silius, ma prima di ar-rivarci svoltiamo a destra per Siurgus Doni-

gala seguendo il tracciato di una nuova strada tra cima Cuccuru e monte Turri. Al-l’entrata del paese prendiamo ancora a destra per raggiun-gere il lago lungo una bo-scosa strada in discesa. La zona è assai scenografica e, oltre il piccolo molo, un iso-lotto si staglia tra la costa e il lago aperto. Il sole, adesso

sul far del tramonto, crea riflessi dorati sulle acque deserte, che tuttavia, ci dice Paolo, dato il mite clima del luogo cominciano a es-sere frequentate per regate nei mesi estivi e per allenamenti di canottaggio in inverno. Sa-liamo di nuovo verso Donigala; sulla sinistra una diga trattiene le acque del lago che, pun-teggiate di isolette, occupano un bacino lun-go 6 km e largo quasi 4. Da Siurgus Donigala in poi attraversiamo Piano Corti Accas dirigendoci a nord, verso Orroli, tra ampie curve e saliscendi che ci por-tano a scavalcare il rio Mulargia, che scende dal monte Guzzini prima di fluire nel lago. Torniamo infine a Orroli per la nostra ulti-ma notte all’‘Omu Axiu’: domani ci adden-treremo nel comprensorio di Esterzili, ai pie-di del monte Santa Vittoria sull’altra sponda del medio Flumendosa.

Ingresso in Barbagia È da poco passata l’alba e siamo già in viaggio verso la Barbagia, vero mare di verde della Sar-degna. All’altezza della strada cantonale, nel punto in cui avevamo incontrato Massimo e Paolo, riprendiamo il percorso della SS 198

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verso est. La strada serpen-teggia dolcemente ai piedi dei primi contrafforti del grande massiccio del Gen-nargentu sino al ponte di Vil-lanovatulo, che ci fa supera-re il Flumendosa proprio nel tratto in cui il fiume inizia a formare il lago. Ci fermia-mo in prossimità del ponte, tra simpatiche e curiose ca-prette che pascolano sulle rocce punteggiate da fichi d’India; è qui che il fiume viene scavalcato pure dalla ferrovia Cagliari-Mandas-Ar-batax, grazie alla quale si può oggi compiere un affasci-nante percorso turistico di circa 4 ore tra golfi marini, al-tipiani, foreste e sperdute val-li solcate da corsi d’acqua. Dopo il ponte entriamo fi-nalmente nella mitica Bar-bagia di Seulo e all’altezza del villaggio di Pizz ’e Mon-te lasciamo la statale pren-dendo a destra in direzione Esterzili. Una bella discesa, poi una salita ed eccoci al borgo che sorge a circa 800

APPUNTI NATURALISTICI

Fra le tante peculiarità che la Sardegna offre al visitatore vi è anche la nutrita presenza di orchidee selvatiche, una pre-senza davvero eccezionale considerando la varietà delle specie ospitate e la rarità di alcune di esse. Grazie all’esistenza di aree as-sai diversificate quanto a sub-strato e ambiente, nell’isola è possibile rinvenire con gran-de facilità orchidee d’ogni sor-ta: piante dei fiori minuscoli, che a un primo sguardo sfug-gono all’attenzione dei pas-santi; esemplari con infiore-scenze preziose; specie asso-lutamente atipiche in una re-gione come questa. Per veder-le, basta andare per le cam-pagne con occhio attento e una buona dose di curiosità. Le orchidee, peraltro, alligna-no dal livello del mare fino ad altitudini di 1600 metri. Man

Orchidee spontanee in Sardegna mano che si sale in quota, e il clima si fa meno temperato, il numero delle specie diminui-sce. E se è vero che in genere fioriscono in primavera, qual-cuna sboccia estrosamente

metri d’altezza sulle pendici del monte San-ta Vittoria, dove andremo a scoprire tra go-le simili a canyon dell’Arizona e le cime montane alcuni tra gli scorci più interessan-ti e caratteristici di tutta la Sardegna sotto il profilo archeologico e naturalistico. Proprio

a tale scopo, superato l’abitato dai bei mu-rales, continuiamo ad arrampicare verso il punto ristoro ‘Sa Tanca Manna’ dove ci aspet-ta Gino, previamente contattato da Paolo che, con la sua cabriolet, è ancora con noi pron-to a vivere l’ennesima avventura.

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nei mesi di giugno e di luglio. Il territorio che attraversiamo con le nostre bianchine risul-ta particolarmente ricco di specie. Nella fascia centrale della Sardegna cresce infatti gran parte dei quasi sessanta tipi di orchidea che vivono nell’isola. Molto ricche in tal senso risultano la zona calca-rea del Sarcidano e quella dei cosiddetti Tacchi d’Ogliastra. L’aspetto più interessante del-le orchidee sarde è la compo-nente endemica, frutto di una lunga evoluzione che ha tro-vato nell’insularità una causa importante della loro specia-lizzazione. Per gli intenditori

vale sicuramente la pena visi-tare questa parte della Sarde-gna, dove potranno conosce-re tipiche specie locali quali l’Ophrys holoserica subsp. che-stermanii, che rappresenta l’O-phrys sarda dai fiori più gran-di, l’Ophrys holoserica subsp.annae, l’Ophrys scolopax sub-sp. conradiae, l’Ophrys panat-tensis, l’Ophrys morisii e mol-te altre ancora. È facile trovarle nei campi in-colti, nei coltivi abbandonati e anche nelle radure tra i bo-schi. Alcune specie che rifug-gono dalla luce diretta, come le Epipactis o la Neottia nidus avis, si sono adattate a vive-

re proprio all’interno delle fo-reste. Altri luoghi da perlu-strare con un po’ di attenzio-ne sono i bordi delle strade e delle ferrovie e le scarpate: è molto facile vedervi l’Orchispapilionacea, l’Orchis longicor-nu, l’Ophrys tenthredinifera enumerose altre specie. Il folto gruppo che predilige ambienti umidi o acquitrino-si annovera orchidee consi-derate più rare a motivo degli interventi che l’uomo ha posto in essere per modificare l’ori-ginaria fisionomia dei luoghi. Tra queste sono l’Orchis laxiflo-ra, l’Epipactis palustris, la Li-stera ovata, la Platanthera al-geriensis, la Spiranthes aesti-valis e poche altre ancora. La Spiranthes aestivalis, rarissima nel resto d’Europa, è abba-stanza ben rappresentata lun-go le sponde solaggiate dei corsi d’acqua sul versante o-rientale del complesso mon-tuoso del Gennargentu. È bene quindi tenere gli occhi aperti e munirsi di una buona macchina fotografica se si de-sidera abbellire il proprio al-bum di ricordi con le forme e i colori delle orchidee selva-tiche sarde.

A cura di Rino Giotta

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no Un sasso con il disegno stilizzato di quattro capre ci indica che stiamo per arrivare alla meta. Parcheggiamo su di un pianoro dove le nostre vetturette vanno a fare compagnia a due Land Rover 110 attrezzate per le escur-sioni turistiche in zona. Una veranda scan-dita da colonne di pietra cinge il locale, ren-dendolo accogliente già a prima vista; al-l’interno, in un ampio salone rustico, in-contriamo Gino e Silvia che ci accolgono con cordialità. Non ci vuole molto per entrare in sintonia con i nostri ospiti, anche loro ap-passionati di natura, storia e cultura. Gino in-fatti è una guida ambientale, figura prezio-sa sia per noi, sia per i turisti che vogliono ap-profondire la conoscenza del territorio e le sue origini. L’immagine stessa che appare nel logo del ‘Sa Tanca Manna’ vuole simbolizzare con espliciti riman-di storico-cul-turali

Esterzili. Vi si vedono infatti quattro capre, animali su cui si è basata l’economia locale, che circondano un fiore del quale sono mol-to ghiotte, la Clematis vitalba che in dialet-to locale si chiama ‘ertessu’, da cui potrebbe derivare il toponimo Esterzili. Per chiarirci quanta importanza abbiano avuto le capre da queste parti, ci viene raccontato che fino a non molti anni fa ogni famiglia del paese ne aveva una per il latte e che tutte le mattine le varie caprette si univano al gregge del pa-store per recarsi al pascolo e poi rientrare, di-ligentemente, a ‘casa’ la sera. Il servizio del pa-

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store veniva compensato quindi dai paesani a seconda delle loro possibilità, con baratti di prodotti artigianali o con prestazioni la-vorative varie.

Il monte Santa Vittoria e il tempio misterioso Fatta un po’ di conversazione, ci prepariamo per un’escursione archeologica che si svolgerà nel corso della mattinata, mentre per il po-meriggio Gino ci prospetta un percorso na-turalistico. Rinunciamo ai fuoristrada per non tradire le nostre piccola auto e, tra la me-raviglia della nostra nuova guida, iniziamo a inerpicarci verso la sommità del monte San-ta Vittoria. Più saliamo lungo la strada pa-noramica, più entriamo nella zona boscosa e in prossimità della cima visitiamo i resti di un vasto insediamento nuragico con capan-ne in pietra e una fonte con una costruzio-ne circolare nelle vicinanze, che probabil-mente ne raccoglieva le acque. Poco oltre l’ar-caico villaggio ecco la cima del Santa Vitto-ria da cui godiamo un panorama davvero unico: la nostra vista spazia a 360° su tutta la Sardegna. Gino ci indica verso sud il golfo

di Cagliari, a est la Marina di Arbatax verso cui siamo di-retti e a ovest il monte Arci e il golfo di Oristano da do-ve proveniamo. A nord è l’affascinante Barbagia con il massiccio del Gennargentu e la foresta di Montarbu sor-montata dalla magica cima di Perda Liana, torreggiante formazione rocciosa degna

di una classica scenografia western. Placide mucche al pascolo tra la pineta ci fanno compagnia durante la nostra escursione al-l’apice di questa incredibile montagna, do-ve tra le rocce spuntano la canapicchia (ab-bruscadinu), il profumato timo serpillo (ar-midda) e l’erica arborea (tuvara) dalle cui ra-dici si ottengono pipe pregiate. Scendiamo ora il versante sud-est del Santa Vittoria e dai 1212 m della sua vetta, ci portiamo a circa 1000 m in località Cuccu-rueddi, una cima rocciosa da cui si control-lano le alture del Gennargentu a nord e il ter-ritorio del Gerrei a sud; qui si trova un tem-pio megalitico sorto circa 3300 anni fa sul-le rovine del preesistente villaggio nuragico da cui è tutt’ora circondato e molto impor-tante nel panorama monumentale della Sar-degna arcaica. Presenta infatti una sua strut-tura a megaron, caratterizzata da pianta ret-tangolare e linee squadrate, che richiama per tipologia i palazzi micenei mentre appare decisamente estranea all’architettura del me-galitismo nuragico. Gino ci racconta che, grazie agli scavi realiz-zati dal comune di Esterzili, sono stati rin-

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venuti all’interno del tempio undici bronzetti attualmente conservati al museo nazionale Sanna di Sassari. Tra queste sculture di pre-gevole fattura spicca un arciere con il gon-nellino borchiato e il copricapo ornato da quattro corna convergenti, molto simile ai bronzetti ritrovati a Sa Testa di Sardara (Ca-gliari) e probabilmente riferibili alla cultura dei shardana, mitico popolo del mare che at-torno al 1200 a.C. sconvolse l’area mediter-ranea, distruggendo quel che rimaneva del-la civiltà minoica, la ricca Micene e creando grattacapi pure al potente impero egizio. La nostra guida ci dice inoltre che il tempio non è mai stato saccheggiato per la paura che gli esterzilesi avevano dell’Orgìa, crudele ma-ga che secondo la leggenda abitava tra que-ste spesse mura. Proviamo una certa emo-zione nel visitare questo luogo che, ancora una volta, ammanta con un’ala di mistero la storia della Sardegna e ci emoziona anche pensare che dove siamo noi ora, antichi sa-cerdoti praticavano misteriosi culti per ono-rare i loro dei.

La selvaggia vallata del rio Mannu Lungo una panoramica strada sterrata che av-volge a mezza costa il monte Santa Vittoria, facciamo ritorno al ‘Sa Tanca Manna’, dove Silvia ci ha preparato il pranzo che ci ritem-prerà: squisiti culurgiones, sa panada (torta salata con ripieno di carne e verdure), patate al forno e le dolci sebadas (‘ravioloni’ ripie-ni di formaggio fresco, fritti e cosparsi di mie-le), il tutto annaffiato da un frizzantino ros-so di produzione locale.

Accompagnati dal borbottio delle instan-cabili bianchine, ripartiamo poi per un’al-tra avventura; questa volta puntiamo verso la valle solcata dal rio Mannu. Arriviamo a un ‘cea’ lungo il corso del fiume immersi nel verde; qui pascola il bestiame durante l’in-verno e sempre qui avviene la prima tosa-tura delle pecore. Il rio Mannu, ossia ‘fiu-me grande’ è così chiamato perché è il maggiore corso d’acqua della zona, co-munque prima di confluire nel Flumendosa prende l’arcano nome di rio Nuluttu. Dopo Sa Funtana de Porcili, la via sterrata si discosta dalla sponda del fiume per iner-picarsi sulle alture; alle nostre spalle una val-lata completamente disabitata, simile a quelle degli altipiani cinesi, e disegnata so-lamente dal serpeggiare della nostra pista, si estende in tutta la sua vastità. Da un pianoro nei pressi di Sa Guarda Manna osserviamo l’incredibile e selvaggia landa da cui proveniamo, prima di entrare in un folto bosco dov’è la sorgente di Genentu che segna il confine tra il territorio di Esterzi-li e quello di Seui più a nord. Genentu vuol dire ‘porta del vento’ ed è infatti pro-prio in questo punto che la vallata convo-glia a imbuto le varie correnti aeree. Con un brindisi di fresche acque salutiamo adesso l’amico Paolo, che con Romina si ap-presta a rientrare a Cagliari dopo alcuni giorni trascorsi in nostra compagnia; noi con Gino torniamo invece al ‘Sa Tanca Manna’ dopo un’altra magnifica giornata passata in mezzo alla natura, alla storia e al-la cultura di questa affascinante terra.

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ESTERZILI • SEULO • SEUI • LANUSEI • ULASSAI

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Il nostro quinto itinerario anziché vederci proiettati

subito verso la costa orienta-le prevede interessanti escur-sioni a nord, con approdo in primo luogo a Seulo, poi alla foresta di Montarbu e quindi in piena Ogliastra, dove entreremo dall’alto. Ripresa la direttrice SS 198, affianchiamo sulla nostra de-stra il borgo di Sadali, famo-so per la grotta di Is Janas, si-tuata 4 km a nord dell’abi-tato e caratterizzata da una galleria di ben 250 metri

CENNI DI STORIA ANTICA

La conquista romana Nel III secolo a.C., in con-flitto con la potente Cartagine per la supremazia nel Mediter-raneo occidentale, Roma capì che la Sardegna costituiva per i punici l colonia più ricca e strategica. Conquistare l’isola avrebbe dunque avuto il dupli-ce effetto di danneggiare i floridi commerci della città africana e di contrastare, cosa mai accaduta, lo strapotere della sua flotta militare.

Così, tra la prima e la seconda guerra punica le legioni ro-mane sbarcarono per la prima volta in Sardegna e ne intra-presero la presa. Il 259 a.C. se-gnò un importante passo a tal proposito: la flotta romana distrusse infatti con un’abile manovra quella cartaginese e Olbia divenne la prima città sarda assoggettata da Roma. In seguito alle annose vicen-de belliche che contrappose-ro le due grandi rivali, Carta-gine giunse a cedere l’isola

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scandita da una successione di piccole sale. Il paese, che vanta la presenza di una cascata fra le vecchie case del centro storico e per cui pas-sa il trenino turistico che collega la costa est con il Cagliaritano, sorge infatti su un alto-piano carsico coperto di pini.

Dalla grotta di Is Janas a Seulo Decisi a visitare le grotte, lasciamo la statale e ci immergiamo nella fitta foresta di lecci do-ve si nasconde l’entrata dell’antro che esplore-remo accompagnati da una guida. All’inter-no si susseguono per centinaia di metri le va-rie sale: la più spettacolare è detta Sa ’Omu ’e is Janas (la casa delle fate) e presenta ampie volte da cui pendono grappoli di stalattiti, ol-tre a stalagmiti che secondo una leggenda sa-rebbero proprio fate pietrificate. Percorriamo ora i pochi chilometri che ci se-parano da Seulo, sempre lungo la strada che

punta a nord, circondati da un paesaggio aspro segnato da profonde gole e rocciosi tor-rioni calcarei. Ed eccolo, davanti al musetto delle bianchine, il piccolo borgo agricolo un tempo tanto importante da dare il suo nome a tutta una parte della Barba-gia. Attraversiamo il centro storico dove spiccano

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ai romani con un trattato e le legioni entrarono allora in Ka-ralis e Nora, nel Sulcis e a Tharros. Quando però l’eserci-to di Roma cercò di spingersi verso l’interno trovò una te-nace resistenza da parte dei coloni fenicio-punici e so-prattutto da parte dei sardi, decisi a non piegarsi ai nuovi dominatori. Una tenace resi-stenza ripetutamente repres-sa nel sangue: per esempio, da Manlio Torquato nel 234 a.C. e da Manio Pomponio due

anni dopo e ancora parecchie volte. Si pensi alla massiccia rivolta del 215 a.C. capeggia-ta dal sardo-punico Amsicora, che mise in grave crisi i ro-mani; e seppure questi ultimi uscirono vincitori dalla cruen-ta battaglia di Cornus, non riuscirono a debellare del tut-to le sacche di resistenza. I sardi dell’interno, i barbari-ci, continuarono a insorgere ancora nel secolo successivo. Per combatterli nel loro im-pervio territorio le legioni ro-

mane si servirono addirittura di cani feroci appositamente addestrati (l’idea era stata di Marco Pomponio Matone, nel 231 a.C.), ma neppure fu trop-po d’aiuto. La leggenda vuo-le, infatti, che gli abitanti della Barbagia utilizzassero una sorta di tamburo formato da un cilindro di sughero e co-perto da pelle di cane (su trimpanu), che percosso con bacchette di melograno ri-suonava facendo impazzire cani e cavalli dei nemici.

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no case del ’600 e all’‘Hotel Miramonti’ trovia-mo Patrizia, la titolare, che ci aspetta per condurci un luogo bellissimo ma poco noto: le gole del Flumendosa. Prima di partire per l’escursione facciamo la conoscenza dello zio Antonio, che ci invita a bere e intanto ci racconta di alcune vicende legate al passato di questa terra. Scopriamo così che nel 1956 una formidabile nevicata isolò completa-mente la zona dal resto del mondo e la po-polazione fu salvata dagli elicotteri, mentre molti animali selvatici se la cavarono perché, grazie alla fitta vegetazione, il sottobosco ri-mase in parte sgombro dalla neve. E, anco-ra, che anni or sono qui intorno si trovava una sorgente di acqua bollente sulfurea ora diffi-cilmente rintracciabile per la siccità, a testi-monianza che l’antico vulcanismo dell’isola non è ancora del tutto assopito. A Tacco ’e Dicci, continua lo ‘storico’ locale, esisteva in-vece un’antica città che in epoca lontana do-minava tutta la zona: la località è ora ogget-

to di ricerca archeologica. Conclusa l’inte-ressante conversazione con Antonio, ripren-diamo Belvetta, Dino e Polentina e insieme a Patrizia iniziamo a percorrere una bella strada sterrata verso sud-ovest, che dapprima attraversa sinuosa l’altopiano e poi si getta con una ripida discesa nel canyon del Flumendosa parecchio più in basso, in mezzo a una folta e verdissima vegetazione.

Nelle selvagge gole del Flumendosa Dopo diversi chilometri scorgiamo sotto di noi il fiume, che tra ampie e incassate anse scorre verso il lago che abbiamo già visto at-traversando l’entroterra orientale. A un cer-to punto il percorso carreggiabile finisce; la-sciamo perciò le auto e, presi gli zaini, af-frontiamo l’ultimo tratto di mulattiera ver-so Sa Stiddiosa, un punto del fiume in cui dal-le rocce a sbalzo sovrastanti gocciolano peren-nemente rivoletti d’acqua. Il percorso dura circa mezz’ora ed è molto ripido; man mano che si scende, la sensazione di star per arrivare in un posto davvero particolare si fa più net-

ta, e infatti a Sa Stiddiosa possiamo ammirare uno scorcio di mondo che ha dell’incredibile. Il fiume forma tra le rocce un’an-sa punteggiata da innu-merevoli cascatelle e, so-pra di noi, centinaia di metri di roccia ci separa-no dal resto del mondo. L’eccezionale scenario che possiamo ammirare qui potrebbe essere lo stesso

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LanuseiNel nostro trasferimento ver-so la costa orientale, dopo avere lasciato la Barbagia di Seulo abbiamo raggiunto La-nusei, la capitale dell’Oglia-stra. La città sorge a 590 me-tri di altitudine e si estende sopra un costone di roccia a forma di anfiteatro in una po-sizione molto suggestiva; da qui si apre un bellissimo pa-norama su un ampio tratto di mare e la gradevolezza del clima è una particolarità no-ta sin dai tempi antichi. Tutt’intorno alla cittadina ri-saltano le zone boschive tra cui spicca il bosco di Selene, in cui luogo sono state trova-te due domus de anas risa-lenti a un periodo compreso

tra il XVIII e il XV secolo a.C. Questi reperti archeologici e le bellezze naturali che il bosco di Selene offre fanno sì che sia una meta molto amata dai tu-risti. La foresta che circonda Lanusei è un susseguirsi di lecci e roverelle, ma anche di rarità botaniche; tutto questo verde è reso ancor più at-traente dai numerosi punti di ristoro attrezzati di cui noi stessi abbiamo usufruito. Passeggiando per il centro storico di Lanusei abbiamo notato dei palazzi di pregevole architettura. Molto interes-sante è stata poi la visita al Museo diocesano dell’Oglia-stra” (via Roma 106, tel. 0782 42158), dove sono ospitati, in diverse sezioni, importanti re-perti fossili e documenti ar-

cheologici riguardanti il terri-torio che vanno dal periodo prenuragico all’età bizantina; un‘altra interessante sezione è rappresentata dalla sala che raccoglie pergamene, libri e scritti di diverse epoche (XI-XVIII secolo) e religioni, con testi in ispano-musulmano, ebraico e coranico. Il comune, centro amministra-tivo dell’Ogliastra, sta svilup-pando anche un turismo bal-neare sulla splendida costa che da Marina di Gairo si spin-ge verso Orosei, dove limpide acque dalle mille sfumature ci hanno ipnotizzato: chi avrà modo di visitare questo mare e di tuffarsi nelle sue acque cristalline si renderà conto di essere in un luogo tra i più belli al mondo.

CITTÀ E PAESI

I pregi di

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che videro gli cavernicoli e se improvvisamen-te comparisse un dinosauro certo ci spaven-teremmo, senza però meravigliarci più di tanto, poiché questo sembra proprio il luo-go giusto per un simile incontro. Dopo un bagno nelle acque smeraldine, Pa-trizia ci parla delle leggende del luogo, da cui emergono figure quali il folletto chiamato S’Ingannadori (l’ingannatore), diabolico e dispettoso, e la spaventosa scrofa gigante Sa Mardi. È ormai sera quando, lasciando le mi-

steriose e sperdute gole che ci hanno regala-to un’immagine oltremodo suggestiva di questa inaspettata Sardegna verde, risalia-mo alla volta di Seulo dove passeremo la notte. Prima di rientrare all’albergo, però, un’ultima piccola escursione ci porta a per-correre la via diretta a Gadoni, paese tra i ci-liegi ai piedi del monte Sa Scova, per ammi-rare un lungo ponte a campata unica che, con un balzo di oltre 500 metri, scavalca le pit-toresche gole del Flumendosa.

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no Seui e le sue memorie di storia e di vita Dopo una corroborante dor-mita immersi negli immen-si silenzi della Barbagia, co-me sempre di buon mattino siamo pronti a rimetterci in viaggio. Salutiamo zio An-tonio e Patrizia, che come ultimo regalo ci farà incon-trare con Enrico, ispettore capo del comando forestale di Seui. Riper-corriamo quindi i pochi chilometri che ci se-parano dalla SS 198, che prendiamo verso oriente seguendo un sinuoso percorso in mezzo al verde in compagnia di un vecchio

Land Rover marrone, proveniente forse da terre lontane e animato dallo stesso spirito di avventura di Belvetta, Dino e Polentina. A Seui, uno dei più importanti centri della Barbagia, in amena posizione tra i castagne-

APPINTI NATURALISTICI

L’Osservatorio astronomico di monte Armidda

Chi raggiunge la parte centro-orientale della Sardegna de-nominata Ogliastra, non può fare a meno di visitare l’Osser-vatorio astronomico di monte Armidda. Situato a circa 4 chi-lometri dall’abitato di Lanusei, lo si raggiunge percorrendo la statale 198 in direzione Gairo e svoltando a destra all’altez-za della Cantoniera di Sarcerei al km 84. Una volta imbocca-ta la strada asfaltata all’inter-no del bosco di pini, la si per-corre per 2 chilometri, poi si gira a destra e si arriva all’edi-ficio dell’osservatorio, costrui-

to sul crinale di una montagna a 1150 metri di quota. Di qui si gode un panorama di notevole bellezza: i profili dei monti suggeriscono silenzio e contemplazione. A est si sta-glia sullo sfondo della costa il monte Tricoli, che con i suoi 1211 metri è la vetta più alta dell’Ogliastra. Verso nord lo sguardo spazia su sconfinate superfici boschive fino a intra-vedere all’orizzonte l’altopiano di Balnei; a ovest, invece, è possibile osservare il profilo del solitario massiccio del Gen-nargentu. Volgendo l’occhio a

sud, infine, l’attenzione viene catturata dalla sagoma tipica delle formazioni calcaree de-nominate Tacchi. Grazie alla solitudine dei luo-ghi e alla scarsissima antro-pizzazione di questa parte del-la Sardegna, l’Osservatorio di monte Armidda risulta essere il meno inquinato d’Italia da fonti luminose: si può quindi ammirare la volta celeste in un’oscurità quasi perfetta. Per i cosiddetti continentali può essere curioso sapere che il toponimo ‘armidda’ è voce dialettale che designa il ti-mo: siamo dunque sulla mon-tagna ’del timo’ e infatti que-

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ti ai piedi di monte Arquerì, facciamo sosta per visitare innanzitutto il Museo storico et-nografico che ha sede in una palazzina nel centro del paese. Qui, Marcella, una simpa-tica ragazza dei servizi turistici, ci mostra le

testimonianze della vita con-tadina locale nonché quella della trascorsa civiltà mineraria: Seui infatti, fino a qualche de-cennio fa, era un centro per l’estrazione dell’antracite, co-

me ricorda anche la vecchia laveria della mi-niera alla periferia del paese. Ancora nel ben conservato centro storico, tra case di pietra con balconcini in ferro battu-to e stradine in pendenza incredibile, tro-viamo un altro interessante segno del passa-to: il carcere spagnolo che dalla metà del ’600 sino al 1975 ha mantenuto la sua ori-ginaria funzione. La vista delle piccole celle, dotate soltanto di una finestrella e di una ri-

sta specie fortemente aroma-tica vi cresce in abbondanza, emanando un forte e grade-vole odore ogni qualvolta gli scarponi dei passanti ne sfio-rino una piantina. La complessa struttura del-l’osservatorio è gestita con molta diligenza e professio-nalità dall’Associazione Oglia-strina di Astronomia con sede in Lanusei, che ha voluto de-dicare la postazione a Ferdi-nando Caliumi, astronomo di-lettante emiliano e progettista di telescopi ben noto che è da poco deceduto. In un prossi-mo futuro è intenzione dell’As-sociazione ampliare la struttu-

ra aggiungendovi un planeta-rio di adeguate dimensioni. Di fatto, l’Associazione Oglia-strina di Astronomia si prefig-ge scopi prevalentemente di-dattico-divulgativi, volti a far conoscere l’affascinante mon-do dell’astronomia. Ogni anno accoglie perciò alcune migliaia di visitatori che durante le vi-site, consentite solo su pre-notazione (tel. 349 1533468-0782 42041), possono studia-re il cielo usufruendo di tele-scopi molto potenti: i classici strumenti solitamente riserva-ti agli scienziati, che qui sono messi invece a disposizione di tutti gli appassionati.

Oltre a offrire la possibilità di vedere pianeti, stelle, nebulo-se, galassie e quant’altro gra-zia a tali sofisticati apparec-chi, la visita comprende anche l’osservazione a occhio nudo delle varie costellazioni della volta celeste, che vengono in-dicate al pubblico da un ad-detto mediante l’utilizzo di un potente fascio luminoso. A chi fosse interessato si se-gnala, a meno di 2 chilometri dall’osservatorio, il tipico ri-storante ’Selene’ che, posto all’interno di un bosco di quer-ce secolari, offre anche la pos-sibilità di pernottare.

A cura di Rino Giotta

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La foresta demaniale di Montarbu Lungo il nostro itinerario ab-biamo incontrato e ci siamo inoltrati in una delle più belle e meglio conservate foreste di tutta la Sardegna: la foresta demaniale di Montarbu. Un comprensorio naturalistico di estrema importanza per la pre-senza sia di endemismi bota-nici sia di rare specie faunisti-che. Si stende a est di Seui, al-le falde meridionali dei monti Montarbu (1304 m) e Tonneri (1323 m), e il corso del Flu-mendosa la divide dal grande massiccio del Gennargentu. È una vasta area caratterizzata dalla presenza dei Tacchi o Ton-neri calcarei che dominano con le loro pareti verticali profon-de vallate solcate dai ruscelli

immissari del Flumendosa, non-ché una zona è ricca di acque grazie a numerose sorgenti che talvolta, come a Scala Middai, formano belle cascate in mez-zo al verde. La parte centrale della foresta è costituita da un altopiano calcareo di circa 1000 metri di quota, formato-si al Mesozoico e poggiante su scisti più antiche, del Paleo-zoico. La vegetazione varia molto a seconda del terreno, della diversa altitudine e del-l’esposizione. Qui infatti, nei versanti più freschi, è possibi-le trovare tra i lecci anche i car-pini neri e in alcune zone cir-coscritte l’agrifoglio, il tasso e l’orniello. In prossimità delle vette prospera la gariga, bo-

scaglia con associazione di lec-ci, conifere e arbusti sempre-verdi quali l’elicriso, il timo e il ginepro nano, mentre più in basso il corbezzolo, l’erica, il ginepro, il lentisco e il terebin-to creano la classica fascia di macchia mediterranea. Montarbu è habitat di mufloni, che si incontrano anche in branchi numerosi, di cinghiali, gatti selvatici, volpi e pure del-l’aquila reale, della martora e della donnola. È bello e inte-ressante percorrere i tanti sen-tieri che portano ai punti più panoramici, come la cencia del Tonneri Per arrivare in zona ci si può servirsi del trenino ver-de che collega Mantas e Arba-tax, mentre è possibile per-nottare in luoghi attrezzati, previa autorizzazione.

gida panca, ci dà una sensazione di sgomen-to spingendoci a immaginare quanto duro potesse essere vivere rinchiusi qui dentro. Approfittiamo poi della sosta a Seui per pro-curarci viveri e fare benzina, visto che d’ora in poi il nostro habitat sarà la foresta. Proprio mentre facciamo rifornimento, un fuori-strada della forestale ci viene incontro: si tratta di Enrico che, accompagnato dal suo as-sistente Tonio, ha notato le bianchine e an-ticipato così il nostro appuntamento. Dopo

aver loro illustrato lo scopo del nostro viag-gio, i nostri nuovi amici ci accompagnano verso la grande foresta di Montarbu, una delle più estese e incontaminate proprietà de-maniali di tutta la Sardegna. Poco fuori da Seui lasciamo dunque la di-rettrice principale e svoltiamo a sinistra in una piccola strada asfaltata che si snoda verso i ri-lievi montuosi e l’alto Flumendosa; lungo questo percorso, prima di addentrarci nella foresta, tra verdi colline che si alternano a sas-

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sose praterie, vediamo cavalli al-lo stato brado dal manto nero o sauro che corrono per brevi trat-ti davanti a noi e poi si bloccano di colpo per assistere incuriositi al nostro passaggio.

Verso il mitico Perda Liana Dopo alcuni chilometri, in magnifica posi-zione isolata tra i monti, si erge l’imponen-te nuraghe Ardasai che, contornato dai resti di antiche mura di difesa, domina un villag-gio nuragico ai nostri piedi. Da questo straor-dinario ‘belvedere’ scorgiamo a ovest cima La Marmora che, con i suoi 1834 metri è la più alta di tutto il Gennargentu, ma la vera sor-presa è poter vedere più da vicino la svettan-te e rocciosa sagoma del monte Perda Liana, che abbiamo iniziato ad ammirare sin dalla lontana vetta del Santa Vittoria, durante il no-stro soggiorno nel territorio di Esterzili. Tra le bianche pietre delle mura nuragiche troviamo una pianta di tasso, velenosissimo

e perciò albero della morte per gli antichi: una sorta di avanguardia della foresta che si stende a nord-est. Conti-nuiamo il viaggio tra lecci, roverelle e corbezzoli sem-pre più fitti sino ad arrivare a una sella privata di vegeta-zione in funzione di linea spartifuoco; da qui Enrico spera di poterci fare vedere il

passaggio dei mufloni, che però non si presentano. Siamo ormai molto vicini al Per-da Liana e le sue pareti rocciose, che compaiono e scompaiono in un susseguirsi di curve, mo-strano adesso tutta la loro impo-nenza. Una stradina in salita ci porta proprio ai piedi del mon-

te che, visto così, rievoca ancor più uno sce-nario da far west. Non a caso il più noto di-segnatore del fumetto Te x , Galep, si ispirò al-

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la silhouette del Perda Lia-na per parecchie delle sue ambientazioni. Sarebbe

bello passare qui la not-te, ma Enrico e Tonio hanno in serbo per noi

altri programmi.

Il cuore della foresta di Montarbu e la caserma Falchi Entriamo a questo punto nel profondo del-la foresta, lungo una strada sterrata che la at-traversa tra lussureggianti lecci, carpini neri e agrifogli: il luogo incontaminato è pure ric-co di sorgenti per via della natura carsica del suolo tra i monti Montarbu e Tonneri. Men-tre seguiamo lentamente il fuoristrada, ci rendiamo conto di trovarci nel cuore di una foresta davvero superba, la cui ombra sembra quasi avere consistenza tanto è intensa. Ai no-stri lati, pareti di scisto si frammentano crean-do innumerevoli pieghe; curiosamente abbia-mo la sensazione di essere osservati dagli ani-mali selvatici che popolano la riserva. Dopo diversi chilometri di pista giungiamo alla caserma Falchi, foresteria dell’Ente fore-stale della Sardegna. Siamo arrivati sin qui lungo un sentiero proveniente da ovest, il cui percorso non è consentito senza un permes-so della forestale, mentre la via che scende dal-la caserma verso la strada asfaltata, su cui cor-revamo in precedenza, è accessibile a tutti. Pu-re per pernottare nei bungalow in prossimi-tà della foresta bisogna far richiesta all’Ente

forestale della Sardegna di Nuoro. All’inter-no della caserma, in un’apposita sala possia-mo ammirare l’imponente sagoma imbal-samata di un avvoltoio degli agnelli, Gypae-tus barbatus, ormai estinto da molti anni e ul-timo animale della catena alimentare poiché d’abitudine spaccava le ossa delle carogne lasciandole cadere dall’alto sulle rocce, per po-tersi cibare del midollo. È quasi sera: non possiamo far altro che rin-graziare Enrico e Tonio per la professionalità e la disponibilità che ci hanno dimostrato do-cumentandoci al riguardo di questo eccezio-nale territorio. Poi, prima di accamparci per la notte e dopo aver dato fondo alle nostre provviste, percorriamo a piedi verso ovest un interessante sentiero didattico che segue il corso di un rio. Lungo il cammino notia-mo che ai piedi delle piante sono disposti i cartelli che le identificano. Il nostro scopo pri-mario, però, è quello di poter osservare qual-che animale che di sera va ad abbeverarsi e per questo avanziamo lentamente senza far ru-more; riusciamo così a intravedere due gros-si cinghiali che dalla riva opposta scendono presso l’acqua. Rientriamo dunque alquan-to soddisfatti alla foresteria e ci prepariamo a passare la notte in mezzo alla natura, tra i rumori della foresta popolata da mufloni, cin-ghiali, gatti selvatici, martore, donnole e cu-riosi daini, che verso l’alba ci passano vicini per raggiungere le mangiatoie. Pronti a riprendere il cammino tra i monti, in una mattinata dall’aria frizzante, non pos-siamo fare a meno di notare, all’uscita della foresteria, un messaggio inciso su di una ta-vola di legno che recita testualmente: «Il pa-

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trimonio naturale di questa montagna non l’abbiamo ereditato dai nostri padri, ma l’ab-biamo avuto in prestito dai nostri figli». Pro-cedendo verso la via sterrata che esce dalla ca-serma Falchi, scorgiamo poi, sulla destra, u-na vasta area adibita a vivaio delle piante per il rimboschimento e naturalmente, nel ve-dere questo ‘asilo botanico’, pensiamo a co-me il frutto di anni di lavoro possa essere di-strutto in pochi minuti da un incendio.

I panorami ‘alpini’ dell’alto Flumendosa Affrontiamo alcuni chilometri in discesa pri-ma di ritrovare l’asfalto proprio al bivio con la strada ‘costiera’ della foresta, già percorsa il giorno prima. Ripassiamo così dal luminoso sito del nuraghe Ardasai e poco dopo rieccoci ai piedi del Perda Liana, il cui petroso torrione punteggiato da macchie di corbezzolo e di eri-

ca si è formato tra 130 e 150 milioni di an-ni fa attraverso un processo di sedimentazione in ambiente marino. Qualche chilometro oltre, sulla sinistra, è una grande rupe con scolpita la cartina del Gennargentu Arzane-se, a ovest di cima La Marmora che maesto-sa ci guarda da lontano. Siamo ormai in prossimità del lago Alto del Flumendosa che, tra pinete e profonde val-late, ci appare come il più tipico dei laghi al-

pini; il suo suggestivo aspetto non rivela su-bito quale sforzo sia stato fatto nel realizzare questo bacino artificiale che conta tre centrali idroelettriche, una possente diga alla stretta di Bau Muggeris più altre minori, senza di-re delle gallerie e delle condotte forzate che perforano i monti, come quella lunga 7 chi-lometri che sbocca a Villagrande Strisaili.

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Lasciamo le bianchine lungo il percorso e a piedi arriviamo più in basso sino al lago dal-le acque limpidissime, in cui si specchiano le rive boscose e il profilo dei monti che lo av-volgono. Da qui procediamo in direzione sud-est, aggirando la zona della foresta e se-guendo il profilo dello specchio d’acqua. Il tragitto da posizione elevata si abbassa tra am-pie anse al livello del lago, tra pinete e onni-presenti massi che affiorano dal terreno cal-careo. Più avanti, dove gli alberi lasciano il passo agli arbusti, il paesaggio diviene più aspro e le mandrie di mucche che avanzano tranquillamente verso di noi rappresentano gli unici esseri viventi incontrati da quando siamo giunti nell’alto Flumendosa. Alla stazione di Villagrande ci ricongiungia-mo alla SS 389 che da Nuoro scende a La-nusei, capitale dell’Ogliastra, terra che an-

dremo a esplorare anche grazie all’aiuto di Ri-no, nostro amico e collaboratore che abi-tante nel luogo. Scendiamo dalla zona mon-tuosa appena percorsa alla volta della citta-dina, scorgiamo a oriente il mare; dopo di-versi giorni di viaggio e centinaia di chilometri

TRADIZIONI E TIPICITÀ

L’origine della viticoltura nell’isola In Sardegna la viticoltura ha sempre avuto un ruolo impor-tante nell’economia agricola, poiché il vino ottenuto veniva utilizzato dapprima come mer-ce di scambio e poi come og-getto di fiorente commercio. Il vino in quest’isola ha un signi-ficato antico ed enigmatico, riconducibile ai primordi del-la civiltà. Chi introdusse la vi-te in Sardegna e in quale fase storica è difficile da stabilire. Sono state avanzate diverse

ipotesi, una delle quali sostie-ne che la Vitis vinifera fosse pianta autoctona, per cui i popoli che giunsero sull’isola non portarono il vitigno, ma l’arte dell’innesto e le tecniche di produzione e conservazione. Altri suggeriscono che la vite, come molte altre piante, sia stata introdotta in Sardegna dai fenici oppure da qualche ‘immigrato’ proveniente dalla Grecia, dal Vicino Oriente o dalle coste dell’Africa setten-

trionale, che diffuse sementi e piante della sua terra di origi-ne e tra le altre la vite. Quin-di fenici, micenei, cartagine-si e romani hanno tutti con-tribuito a valorizzare la viti-coltura in Sardegna, dalla qua-le ancor oggi si ottengono vi-ni di pregiata qualità. Il vitigno più antico è molto probabilmente il Nuragus, se-guito, a quanto pare, da Ver-naccia e Nasco. Nel medioevo, dopo il periodo della domina-zione bizantina, furono intro-dotti dai monaci benedettini

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nel verde dell’entroterra, tra ameni percorsi e arditi sterrati, eccoci in vista dell’‘altra’ co-sta dove dall’acqua si leva il sole. Ci fermiamo in un bar alla periferia di La-nusei: è qui che abbiamo appuntamento con Rino e, approfittando dell’attesa e dell’elevata

posizione in cui ci troviamo, di nuovo get-tiamo uno sguardo al litorale con lo stagno di Tortolì che precede l’isola dell’Ogliastra da-vanti alla baia di Arbatax.

Alla scoperta dell‘Ogliastra Il primo compito della nostra nuova guida è quello di farci visitare Lanusei, vivace citta-dina turistica che da un pendio selvoso si af-faccia su di una serie di colline digradanti ver-so la costa. A monte della circonvallazione, una strada comunale ci porta sull’altopiano dove sorge il bosco di Selene; la via è molto ripida e oltremodo panoramica. La dea gre-ca della luna, che di notte solcava il cielo su di un carro, ha dato il nome a questo luogo da cui si domina la costa orientale e dove si

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ilanola Malvasia e il Moscato; Can- cioli stratificati sia negli in- furono in seguito completa-nonau, Girò, Torbato, Bovale, Monica e Carignano sono viti-gni di provenienza spagnola,

terni sia nei cortili di più com-plessi abitativi. Durante la signoria piemon-

mente distrutti dalla filossera. Oggi la superficie vitata si ag-gira intorno ai 25.000 ettari

anche se rimangono diversi dubbi, per esempio, sull’au-tentica origine del Cannonau,

tese, nel XIX secolo, i vigneti in Sardegna coprivano una su-perficie di 80.000 ettari, ma

per una produzione annua di 800.000 ettolitri di vino, con-tro i 75.000 ettari e i 2,5 mi-

che vari esperti repu-tano già presente in epoca nuragica per il

lioni di ettolitri degli scorsi anni ’70: ciò è dovuto alla politica de-

fatto che in alcuni si-ti archeologici sono stati rinvenuti vinac-

gli espianti incentivata dalla UE, che ha favori-to una vendemmia di qualità e dato alle bot-tiglie da esportazione te altissimo prestigio.

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no trova un parco archeologico gestito dalla cooperativa Nuova Luna, che offre un servi-zio di accompagnamento e guida sia alle tombe dei giganti sia al villaggio nuragico. Parliamo infatti con Emanuele che, nel mo-strarci monumentali sepolcri, ci segnala l’i-nusuale collocazione nella stessa area di due strutture di epoca diversa: una risale infatti al 1500 a.C. e in essa notiamo un lungo corri-doio funerario dove venivano deposti i de-funti alla fine del viaggio terreno, per dar lo-ro modo di intraprendere un altro viaggio; l’altra è invece più recente e presenta fron-talmente un esedra che rievoca le corna di un toro, simbolo del sommo dio dei nuragici. Al termine dell’interessante tour al parco ar-cheologico, Rino ci propone una sosta al-l’‘Oasi Bosco Selene’, un nuovissimo com-plesso turistico dove potremo pranzare. Qui conosciamo Giorgio, il proprietario, che ci in-vita a visitare tutto il complesso che compren-de tra l’altro un albergo, un punto ristoro, campi da tennis e un camping per chi ama ge-stire le proprie vacanze in libertà. Approfit-tiamo dell’occasione per gustare qualche piatto tipico dell’Ogliastra, come i maccaronis deungra, piatti ricchi dei profumi e dei sapori di questa terra, magnifica isola nell’isola. Il programma di Rino prevede ora di prose-guire verso la cantonale Sarcerei per procedere in direzione di Jerzu; sulla nostra destra una via secondaria si inerpica sul monte Armid-da, dove sorge un osservatorio astronomico, mentre a sinistra una strada sterrata quasi pa-rallela a quella principale ci porta alla Punta Tricoli, che con i suoi 1214 metri ci offre un panorama ancor più vasto su tutta l’Ogliastra:

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TRADIZIONI E TIPICITÀ

I vini di Sardegna Il vigneto in Sardegna è colti-vato ovunque, dalle pianure fertili che si avvicinano al ma-re, alle zone più interne sulle alte colline, fra terreni scisto-si come a Jerzu e Tertenia, o sabbiosi come a Oliena e Dor-gali. Il suolo, il clima, il mae-strale e tutta una serie di ca-ratteristiche naturali interven-gono per dare al vino note in-confondibili che cambiano di zona in zona. Ne abbiamo avu-to conferma quando abbiamo degustato il Malvasia di Bosa, un vino bianco alcolico dal sa-pore dal dolce al secco e con retrogusto amarognolo, otti-mo da dessert ma che noi ab-biamo apprezzato come aperi-tivo. Continuando con la ras-segna dei vini bianchi, il Ver-naccia, proveniente dalla val-le del fiume Tirso in provincia di Oristano, ha un colore gial-lo ambrato che, secondo l’in-vecchiamento, risulta più o

meno carico e un profumo de-licato dal caratteristico sento-re di mandorlo in fiore; servito a 5-7° è un eccellente aperiti-vo, a temperatura più elevata si può degustare con zuppe e grigliate di pesce. Il Nasco è un notevole vino bianco prodotto in provincia di Cagliari e nel basso Campidano di Oristano; dal sapore gradevole e con un retrogusto amarognolo è idea-le come aperitivo o da accom-pagnare ai dessert. Tra i rossi il più conosciuto è il Cannonau, un vino di ottima qualità che viene fatto invec-chiare per 5-6 mesi in botti di rovere e assume un colore ros-so rubino; dal sapore asciutto

e dal gusto avvolgente, si ab-bina a salumi, sformati, arrosti e carni allo spiedo; si beve a temperatura ambiente. Il Cari-gnano, tipico del Sulcis, è un vino ben strutturato dal colo-re rubino carico e dal profumo di prugne e ribes; ha un gusto intenso e persistente che si sposa bene con minestre e car-ni asciutte. Come ultimo, tra i vini rossi citiamo il Mandrolisai rosso superiore, che porta lo stesso nome della zona geo-grafica di produzione; ha colore rosso rubino, sapore asciutto con retrogusto amarognolo; si abbina alla perfezione sia con le carni rosse e la selvaggina sia con i formaggi stagionati. Naturalmente ci siamo limita-ti a presentare solo alcuni vi-ni sia bianchi sia rossi, incon-fondibili al palato, che ci ripor-tano con la mente in quella terra pietrosa che profuma di macchia mediterranea ed è ac-carezzata dal maestrale e ricca di tradizioni millenarie.

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vi consigliamo di non perderlo. Tornati sul-la via principale, avanziamo ancora per qual-che chilometro verso l’interno. Superiamo Gairo Sant’Elena e scendiamo lungo la val-le dove scorre il rio Pardu; poco sotto il pae-

se vediamo i resti della vecchia Gairo, abban-donata nel 1951 perché in seguito a una va-sta frana che rese instabili i costoni su cui sor-geva, e arriviamo al bivio per Jerzu alla nostra sinistra. Risaliamo così la valle sul lato op-

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no posto e, anche qui, con Osini Vecchio e Osi-ni Nuovo ritroviamo la stessa situazione vis-suta dal paese di Gairo.

Nella tormentosa regione dei Tacchi A Osini Nuovo Rino ci fa deviare a destra per intraprendere quello che si ri-velerà un percorso veramen-te stupefacente. La stretta strada a tornanti ci porta in salita lungo il bordo orientale del vasto tavolato calcareo: qui si sviluppa infatti una parete rocciosa a strapiombo sul rio Pardu. L’attraversa-mento di questa spettacola-re barriera naturale è possi-bile soltanto se si supera la cosiddetta Scala di San Gior-gio, che decidiamo pertanto di affrontare. Ci troviamo così a percorre-re una gola tra alte pareti di roccia calcareo-dolomitica arrivando in prossimità di Sa Brecca ’e Usala, dove fac-ciamo sosta sotto un pinna-colo dallo straordinario svi-luppo verticale. A piedi, se-guendo Rino, raggiungiamo l’apertura di una diaclasi che sprofonda per 100 metri si-no alla base della frattura in cui sono incastrati grossi massi. Colombacci all’im-boccatura, rischiarata dai rag-gi di sole che la penetrano

dall’alto, e pipistrelli nella zona più interna popolano questo luogo capace di suscitare grande emozione. Lanciamo un sasso nella fenditura da cui esce un soffio di aria fredda e con meraviglia lo sentiamo rimbalzare tra le pareti per una decina di secondi.

104 Sardegna Centrale Montarbu e la zona dei Tacchi

Ancora poca strada in salita e con le nostre in-stancabili compagne sbuchiamo su uno dei più vasti altopiani della regione dei Tacchi. Ci spiega Rino che il termine tacco distingue ap-punto il bordo roccioso verticale che delimita sia gli altipiani sia le cime di questi monti, ve-re e proprie falesie che raggiungono anche centinaia di metri d’altezza. Gli altopiani sono molto belli perché ricchi di vegetazio-ne e il fenomeno dei Tacchi, che parte come catena montuosa dai piedi del Gennargentu con Perda Liana e Montarbu, giunge con un’ultima lingua fino a Jerzu. Dal bordo del tacco dominiamo il paese di Ulassai, dove scenderemo a vedere la suggestiva grotta Su Marmuri che penetrano nelle viscere della ter-ra a circa 1 chilometro dal centro abitato. Per chi non volesse percorrere le stradine che si snodano sull’altopiano e poi scendere alle grotte, consigliamo di tornare a Osini Nuo-vo e qui prendere a destra per Ulassai, che si incontra a poca distanza.

La favolosa grotta di Ulassai La visita a Su Marmuri, in realtà uno dei si-stemi di caverne più belli ed estesi della Sar-degna con ciclopici antri e un susseguirsi di baratri, offre la vista di magnifiche stalattiti e stalagmiti simili a colonne di marmo; la no-stra esplorazione ipogea, a una temperatura costante di 10 °C, si sviluppa per 1 chilome-tro circa. L’antro più ampio è chiamato la Grande sala, mentre il più suggestivo è sen-

za dubbio la sala del Cactus. Verso sera, an-cor prima di scendere a Ulassai, puntiamo a sud per visitare le cascate di Santa Barbara, formate dal rio Ulassai prima di entrare nel la-go Flumineddu. Nei periodi primaverile e au-tunnale è possibile ammirare un vero e pro-prio spettacolo della natura, quando la no-tevole massa d’acqua compie un salto asso-lutamente spettacolare in una cornice di ver-de intenso. Scendiamo quindi al borgo e ar-riviamo all’hotel ‘Su Marmuri’ dove Tonino, un amico di Rino, ci sta aspettando. Ulassai è un paese montano aggrappato a due imponenti picchi in vista del mare e del-la superba catena dei Tacchi. Qui il clima è ol-tremodo dolce: fresco in estate, siamo a cir-ca 900 metri d’altezza, e mite d’inverno per la vicinanza del Tirreno. Tonino ci mostra il suo albergo dall’atmosfera familiare, punto di riferimento per escursionisti, praticanti di free climbing e appassionati di mountain bi-ke. Passeremo anche noi qui la notte, in una delle belle camere con vista mare; per co-minciare però, nella sala da pranzo con ca-mino, ci gustiamo l’invitante cucina della zona: per esempio i coco eurena, particolari culurgiones tondi tipici dell’Ogliastra. Con l’arrivo a Ulassai è praticamente terminato il nostro percorso all’interno della Sardegna, ric-co di un fascino che va senz’altro oltre le aspettative di qualsiasi turista; domani lasce-remo la parte montana dell’Ogliastra per de-dicarci alla scoperta della costa orientale.

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6La costa orientale • JERZU • • •

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I l primo paese attraversato nel percorso che dalla zona dei Tacchi ci porta al ma-

re è Jerzu, noto per l’eccellente produzione di vino Cannonau; in quest’area possiamo am-mirare ben trenta nuraghi, mentre più a sud di Tacco di monte Corongiu è una necropoli punica. A pochi chilometri dal mare incon-triamo Cardedu, paese sorto nel 1951 per ospitare gli abitanti di Gairo fuggiti alla fra-na; da qui in poi ecco la costa, che percor-riamo verso sud a partire dal litorale di Bac-cu ’e Praidas e Sa Spiaggetta. Tra spiagge sabbiose baciate da limpide acque in un am-biente incontaminato e selvaggio, meta am- terno, circondato da boschi secolari si erge il bita di numerosi surfisti attratti dal forte monte Ferru, raggiungibile da numerosi sen-vento di scirocco che soffia tra i 10 e i 15 no- tieri che si insinuano nella lussureggiante di, arriviamo alla spiaggia Coccorocci dove fi- vegetazione mediterranea. nisce la strada che, giocando a ‘rimpiattino’ con il mare, FANTASIE POPOLARI

ha seguito sin qui la frasta-gliata costa. Un grande cam-peggio, che prende il nome Quando eravamo nel Golgo, ba della zona fu rapita dai pi-dalla località, si affaccia sul- Antonio ci ha raccontato una rati, portata in Africa e ven-la vasta spiaggia formata da leggenda che ci è particolar- duta a un ricco emiro che la piccole insenature incorni- mente piaciuta e di cui voglia- tenne al suo servizio per lunghi ciate da rocce di porfido ros- mo narrarvi; la nostra guida a anni. Maria, così si chiamava la so, mentre a ovest, verso l’in- sua volta l’aveva udita da al- piccola, divenne ragazza e poi

cuni pastori di Baunei. donna; apprese usi e costumi Molti secoli fa, durante una di quelle terre e mai pensò di delle tante incursioni saracene poter fare, presto o tardi, ritor-sulle coste dell’isola, una bim- no al suo villaggio, di cui ormai

La leggenda della sacerdotessa di Eltili

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no che ci guiderà anche lungo la costa orien-

balcone della nostra camera godiamo la vista

che di un angolo cottura, di cui però non usu-

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Marina di Torre di Barì dove, con l’amico Ri-

tale, siamo attesi da Gianna e Carlo, i titolari dell’albergo-residence ‘Domus de Janas’. Dal

del mare e dell’antica torre: ci troviamo a po-chi metri dall’ampia spiaggia che vede il sor-gere del sole; il nostro alloggio è dotato an-

fruiremo poiché vogliamo gustare i piatti di mare di cui l’albergo va fiero. Apprezziamo molto sia la zuppa Domus sia la fregola sar-da con le arselle, mentre Gianna, nonostan-

Di nuovo sulle sponde tirreniche te le sue origini toscane, ci parla con amore Dopo aver attraversato l’affascinante entro- ed entusiasmo di questa terra dove vive da an-terra sardo ci concediamo la più classica del- ni e che ogni giorno le regala nuove emozioni. le giornate di mare prima di ripartire verso La mattina dopo ci alziamo all’alba perché Ri-

poco ricordava. Invece, per u-no scambio di schiavi fu riman-data in Sardegna e proprio nel natio paesello di Eltili. Maria si ritrovò allora estranea tra la sua gente, di cui non parlava nemmeno la lingua. Ma il de-stino non aveva ancora finito di metterla alla prova: a segui-to di un’epidemia di peste, do-po aver curato gli ultimi abi-tanti del villaggio, la donna si ritrovò a essere la sola soprav-vissuta, forse grazie a specia-li anticorpi che aveva svilup-pato in regioni lontane. La vita come unica abitante di Eltili era opprimente e desola-

ta; Maria decise perciò di anda-re a Baunei e proporre un baratto: tutte le terre del suo villaggio, di cui ormai era pa-drona assoluta, in cambio di u-na casetta e di una tranquilla esistenza fra la gente. Così fe-ce; gli anziani di Baunei ac-colsero ben lieti la sua propo-sta e le offrirono una casa sul limitare del borgo, ai piedi dei monti. Maria era e si sentiva di-versa dagli altri, aveva tatuag-gi sul corpo, vestiva in modo particolare e portava monili dalla fattura esotica. I paesa-ni, comunque, la accolsero be-ne, trattandola con rispetto e

mostrandosi incuriositi quando la vedevano, cinque volte al giorno, affacciarsi alla fine-stra verso oriente e pregare. Maria parlava una lingua per loro quasi incomprensibile e aveva speciali poteri che mise a disposizione di tutti: cono-sceva le erbe per preparare in-fusi medicinali e sapeva come fare incantesimi. Si dice inol-tre che fosse una ‘accabadora’, donna che a fin di bene prati-cava l’eutanasia, e che le sue formule magiche dalle arcane, incomprensibili parole si siano tramandate di fattucchiera in fattucchiera sino a oggi.

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sta. La cittadina dal curioso nome di origine

mo le bianchine e armati delle inseparabili macchine fotografiche saltiamo sul gommo-

zia così uno dei più emozionanti e affascinan-

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no ha in programma di portarci ad Arbatax, dove ci imbarcheremo per una visita alla co-

araba è dominata dal faro sul capo Bellavista e si affaccia su un orlo di rocce porfiriche ros-se che impreziosiscono il panorama marino. In prossimità del porto turistico parcheggia-

ne di Pierpaolo, istruttore subacqueo nonché guida turistica ed educatore ambientale. Ini-

ti viaggi che il turista possa compiere lungo la costa orientale sarda; sulla nostra destra è ora l’isola dell’Ogliastra popolata da cormo-rani, gabbiani e marangoni dal ciuffo. Pier-paolo ci spiega che ci aspetta un percorso di ben 22 miglia (circa 40 km) bordeggiando le cale della costa completamente disabitate e sovrastate da imponenti faraglioni.

Via mare tra le meraviglie della costa Viaggiamo verso nord ‘copiando’ il profilo del litorale che dopo Santa Maria Navarrese ve-de stendersi la pineta di Girasole e quindi una linea ininterrotta di falesie in cui sono incasto-nate splendide cale. Tutto intorno a noi cor-morani e marangoni dal ciuffo si esibiscono in incredibili tuffi: ci racconta Pierpaolo che i cormorani raggiungono gli 8-10 metri di profondità, mentre durante alcune immer-sioni con le bombole al di sotto dei 70 me-tri lui stesso ha assistito al passaggio di ma-rangoni, che dimostrano così stupefacenti do-ti subacquee. Il marangone dal ciuffo comun-que, a differenza del cormorano, quando ri-emerge non è subito in grado di volare, ma

deve dispiegare le ali al sole ad asciugare per vari minuti. Alle sponde dell’isola di Oglia-stra approdavano le navi fenicie e puniche per non pagare i dazi che avrebbero invece do-vuto attraccando sulla costa: ecco perché in questi fondali si possono tuttora trovare re-litti di navi, resti di anfore e altri cimeli. Dopo 5 miglia di percorso appare imponen-te davanti a noi il monolite piramidale di Per-da Longa, monumento naturale che si erge improvviso dal mare fino a 128 metri si al-tezza e che, grazie alla sua posizione isolata e svettante, fu punto di riferimento per gli antichi marinai. Una guglia più piccola si ap-poggia oggi al bastione principale e Pierpao-lo ricorda che quando era bambino non ne era ancora separata. Piante di finocchio ma-rino selvatico e la medicamentosa euforbia punteggiano di verde la riva calcarea, ornata

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Fa-num Carisii

per lo sviluppo

di certo il Ce-

Orosei sorge nello stesso luo-go in cui era la romana

, cioè sulla costa centro-orientale della Sarde-gna tra la massa calcarea del monte Tuttavista, il fiume Cedrino e il mare. Proprio la sua vicinanza al mare rende gradevole il clima sia nei me-si invernali (a gennaio è fa-cile poter ammirare la bella fioritura dei mandorli) sia in quelli estivi, rinfrescati dalla brezza marina. Visitando il nucleo storico della cittadina ci siamo stupiti per la bel-lezza dei suoi palazzi me-dioevali e rinascimentali. È davvero affascinante scopri-re Orosei attraverso i vicoli, le scalette e i sottopassi molto stretti che vanno da piazza del Popolo a piazza delle Po-ste. Lungo questo percorso si possono ammirare ‘Sas Prejo-

nes’, un antico carcere d’e-poca giudicale, e Palatios Bettos, entrambi visitabili solo in particolari occasioni: per esempio, durante la ma-nifestazione ‘Cortes Apertas’. Varie altre testimonianze sto-riche, come la Torre Pisana, rivelano un passato ricco di eventi, riferendosi spesso al-la Orosei medievale che ap-parteneva al Giudicato di Gal-lura. Ci siamo poi recati ail Museo etnografico, alle-stito con abbondanti ci-meli in una casa d’epo-ca; la visita ai musei del genere è sempre degna perché ‘rac-conta’ la sto-ria del luogo. Determinante

economico di Orosei è stato

drino, alla cui

foce esisteva un porto che permise fruttuosi commerci con i pisani. Oggi la foce del fiume ha notevole importan-za naturalistica perché vi ni-difica il pollo sultano. Sappiamo che la Sardegna è fiera della sua storia e a Oro-sei le tradizioni popolari so-no ancora ben vive e costi-tuiscono un indubbio patri-monio culturale: anche se la maggior parte delle feste è di matrice religiosa, non è raro che al sacro si mescolino ele-

menti magico-superstiziosi, soprattutto riti propizia-tori contro le calamità

naturali o le forze del male. Solo partecipan-do a queste feste si possono scoprire nuo-ve suggestioni: tutto il

resto appartiene a questa gente ric-

ca di ancestrali tradizioni.

Orosei, città del golfo

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da una fascia di ginepri secolari. Con gli escre-menti dei gabbiani, sono arrivati qui anche i semi dei perastri e dei fichi, che aggrappa-ti alle pareti rocciose sfidano tenacemente le intemperie. Presso di Punta Ginnircu incro-ciamo un gozzo di pescatori che tutto bian-co si staglia dai limpidi fondali turchesi so-

pra i quali sembra volare; salutiamo l’equi-paggio e ci avviciniamo alla grotta azzurra, dove lentamente entriamo con il gommone. La presenza di una certa alga, litomilium, dà le pareti della grotta un suggestivo e insolito colore verdastro violaceo: in questo punto i fondali iniziano a pulsare per via delle sor-

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Profonda incisione tra i calca-ri del Supramonte nella zona centro-orientale della Sarde-gna, Su Gorropu è uno dei ca-nyon più spettacolari d’Europa e senza dubbio quello dall’at-

tre la valle di Oddoene per poi inciderla ulteriormente, appa-rendo e scomparendo lungo il suo percorso fino a raggiun-gere profondità abissali. Il fon-to, tra pareti verticali, risalta

Il canyon di Su Gorropu PAESAGGI DA RICORDARE

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mosfera più mistica e arcana. quasi illuminato da una pie-Un fiume piccolissimo, il Flu- traia di bianchi massi calcarei, canyon. Questo solco ciclopi-mineddu, è riuscito dapprima a che creano un fantastico con- co ii può ammirare anche dal-insinuarsi nella spaccatura ol- trasto con le rocce scure del l’‘Orientale sarda’, percorrendo

genti sottomarine, i cui getti creano un con-trasto con l’acqua salata della superficie. Lungo i dirupi passeggiano disinvolte ca-prette; in cielo volteggia il falco pellegrino. Spiagge fossili che si ergono 30 metri al di so-pra del livello del mare e stalattiti e stalagmiti in grotte sottomarine indicano quali e quan-to contrastanti movimenti geologici abbiano sconvolto la costa che stiamo visitando.

A capo di monte Santo, a circa 9 miglia da Arbatax, è il confine tra Mediterraneo meri-dionale e centrale in corrispondenza, più a est, della costa campano-laziale. Da qui in su è una teoria di cale e calette che impreziosisco-no le insenature sormontate dai faraglioni. Siamo nella Riserva naturale marina della fo-ca monaca e iniziamo col visitare Cala Sciroc-co e Cala Tramontana, sotto la quale sta la

grotta sottomarina di Cituan. Una linea scura copre le roc-ce presso l’acqua: si deve al-l’azione corrosiva dello io-dio sul calcare; sotto di noi, macchie bianche formate da banchi di sabbia ci indicano che siamo giunti nella zona detta ‘delle piscine’. Il paesaggio assume toni sempre più netti e ormai ci sentiamo immersi in un mondo a sé stante con una

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il tratto che congiunge Tortolì a Dorgali più a nord. È possi-bile arrivare nella gola, lunga 20 chilometri, da Urzulei op-pure dal più spettacolare sboc-co della valle nelle vicinanze di Dorgali. È comunque consi-gliabile, se non addirittura ne-cessario, l’aiuto di una guida esperta che condurrà il turista-esploratore alla scoperta di questo mondo per gradi, a se-

conda delle capacità indivi-duali. Chi volesse completare in modo integrale la traversa-ta delle gole giocando a rim-piattino con il Flumineddu, dovrà affrontare un salto ver-ticale di oltre 20 metri, alcuni passaggi d’arrampicata di ter-zo grado, attraversare più di un laghetto a nuoto o su di un ca-notto gonfiabile, oppure aggi-rare l’acqua, quando è possi-

bile, seguendo difficili pas-saggi sulle pareti comunque predisposte con appigli sicuri. Nel nostro viaggio ci siamo li-mitati a raggiungere il fondo di Su Gorropu senza attraversar-lo, ma ciò è stato sufficiente per apprezzarne l’ambiente na-turale, dove sembra manife-starsi l’arcana energia del pia-neta in un fluire di inquietan-ti e affascinanti sensazioni.

dimensione propria fatta di luci e colori ri-flessi sull’acqua, vero paradiso per chi è in cer-ca di nuove e stimolanti sensazioni. Punta Goloritzé che svetta sulla costa ci invita a un piacevole bagno nelle acque della sua calet-ta, abbellita pure da un arco roccioso natu-rale. Dopo la sosta passiamo Cala dei Gab-biani e arriviamo a una spiaggetta bianca chiamata Cala Ispuligedenie: ‘is pulige de nie’ vuol dire le pulci di neve, nome dato ai piccoli e can-didi sassolini che ricoprono la riva. Alla Grotta del Fico, ci informa Pierpaolo, è av-venuto l’ultimo avvistamen-to della foca monaca, ma si spera ne esista ancora qual-che esemplare e che quindi la specie non sia del tutto estin-ta. La splendida Cala Luna, la grotta del Bue Marino e Cala Gonone segnano la fi-

ne della nostra esplorazione costiera e men-tre con una rotta più di mare aperto e più ve-loce facciamo ritorno ad Arbatax, rivediamo le magnifiche cale con una prospettiva diversa e ci rendiamo conto di aver visitato uno dei più bei litorali del pianeta. Grandi gabbiani reali con ampi volteggi sulle nostre teste ci ac-compagnano sino al limitar del porto, un ul-timo saluto prima di separarci da questo

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APPUNTI NATURALISTICI

Gli endemismi sardi La Sardegna ospita un nume-ro assai elevato di specie en-demiche, cioè presenti esclu-sivamente sull’isola o in poche aree limitrofe, e ciò la rende importantissima dal punto di vista naturalistico e conser-vazionistico: una meta ambita da molti naturalisti, botanici e zoologi alla ricerca di ‘rarità’ da studiare, fotografare o sem-plicemente osservare. Per comprendere il motivo di tale ricchezza naturale bisogna ripercorre la storia geologica della Sardegna, che non ha sempre occupato l’odierna po-sizione al centro del Mediter-raneo. Come è stato eviden-ziato da parecchie indagini scientifiche, fino al Miocene (25 milioni di anni fa) era in-fatti situata molto più a occi-

dente e faceva parte di un an-tico continente, la Tirrenide, posto in corrispondenza delle attuali Francia meridionale e Spagna nord-orientale. A partire dal Miocene inferio-re l’isola, che non aveva natu-ralmente le dimensioni e le forme che conosciamo, iniziò, insieme alla vicina Corsica, un lento movimento di rotazione in senso antiorario che la por-tò, all’incirca fra 8 e 6 milioni di anni fa, nella posizione at-tuale. Il distacco dalla Tirreni-de separò la Sardegna dalle regioni circostanti, dando ini-zio a un lungo isolamento che ha fatto sì che, soprattutto nel caso delle specie meno mobili, si differenziassero sul-l’isola le tante specie o sotto-specie endemiche. Tale isola-mento non è stato tuttavia continuo, ma ha subito brevi

periodi di interruzione dovuti a un deciso abbassamento del livello del Mediterraneo per effetto della chiusura dello stretto di Gibilterra (circa 5 milioni e mezzo di anni fa, nel periodo detto Messiniano) e più di recente a causa delle glaciazioni, che hanno creato ponti per il transito di specie dal continente alla Sardegna e viceversa, favorendo l’arrivo di nuove specie sull’isola. Gli endemiti sardi annoverano complessivamente circa 200 specie o sottospecie vegetali e quasi 700 specie animali: elen-carle tutte avrebbe poco sen-so, anche perché si tratta spes-so di animali e vegetali presen-ti in luoghi poco accessibili e di aspetto poco appariscente,

tanto da passare per lo più i-nosservati a un occhio inesper-to. Ci limitiamo quindi a se-gnalare alcune specie partico-larmente interessanti o che, con un po’ di attenzione e for-tuna, possono essere facilmen-te osservate e riconosciute. Fra i vegetali, notevoli per la bellezza di forme e colori sono alcune orchidee: come Ophrysmorisii abbondante in prati e garighe e spes-so (insieme a tante al-tre specie a più ampia diffusione) anche al margine delle strade, e la più rara Orchis bran-ciforti (presente anche in Sicilia) limitata alle praterie dei rilievi orientali dell’isola. Meno vi-stose ma di sicuro interesse sono due specie di ribes ende-mici, Ribes multiflorum e Ribessardoum, quest’ultimo segna-lato solo sul monte Corrasi, nel comune di Oliena. Appari-scenti e comuni sono invece il giglio stella (Pancratium illyri-cum), superba pianta dai gran-di fiori bianchi frequente nel-le aree rocciose, e la stupenda peonia (Paeonia mascula), pre-sente in Sardegna (ma anche in Corsica e Sicilia settentrio-

nale) con la sottospecie ende-mica russii, i cui fiori rosso porpora colorano in primavera i lecceti e le radure soleggiate. Fra gli animali la grande mag-gioranza degli endemici è co-stituita da invertebrati e so-prattutto da insetti come l’or-tottero Pamphagus sardeus,una robusta cavalletta dai co-lori sgargianti osservabile in

prati e ambienti aperti nei me-si estivi. Degna di nota è anche Papilio hospiton, farfalla rara e minacciata inserita fra le poche specie di insetti protette in I-talia. Molte specie di inverte-brati sono legate agli ambien-ti ipogei che si rivelano, via via che vengono esplorati dagli speleologi, una fonte conti-nua di ’novità’ per la scienza: da citare fra questi sono due specie di coleotteri carabidi ben noti agli appassionati lo Speomolops sardous presente

solo nella famosa grotta del Bue Marino (golfo di Orosei) e il Sardaphaenops supramonta-nus esclusivo delle grotte del Supramonte di Oliena. I vertebrati endemici sono as-sai pochi, ma di interesse: fra gli anfibi, i geotritoni (Speleo-mantes spp.; vedi oltre); l’eu-protto (Euproctus platycepha-lus), un tritone alquanto raro

legato ai ruscelli mon-tani; il discoglosso sar-do (Discoglossus sar-dus), un piccolo rospo verde chiaro con mac-chie più scure (presen-te anche in Corsica); e la raganella sarda (Hylasarda), minuscola e di color verde brillante. I

rettili contano tre specie en-demiche di Sardegna e Corsica: la lucertola di Bedriaga (Ar-chaeolacerta bedriagae), la lu-certola tirrenica (Podarcis tili-guerta) e l’algiroide tirrenico (Algyroides fitzingeri). Uccelli e mammiferi, numerosi e inte-ressanti per la presenza di spe-cie anche molto rare, com-prendono solo sottospecie en-demiche, che in genere diffe-riscono poco dalle forme con-tinentali.

A cura del biologo Carlo Morelli

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no mondo che torneremo senz’altro a visitare. Rientriamo dunque per la notte al nostro al-bergo; domani proseguiremo il viaggio sul-la SS 125 ‘Orientale sarda’, diretti a nord.

Dalla costa al Supramonte Un’alba che sparge riflessi carichi di colore su di un mare incredibilmente calmo ci accom-pagna verso Baunei. Arriviamo a Tortolì pas-sando dalla costa e dall’incantevole lido di Orrì, sovrastato da una collinetta su cui si er-gono un nuraghe e resti di capanne preisto-riche; un’alternarsi di piccole cale separate da brevi scogliere crea ora scorci costieri tra i più notevoli. Il centro storico di Tortolì è carat-terizzato da antiche case con i tetti di canne: una di esse, Sa Domu Beccia (la casa vecchia), è sede di una mostra etnografica preziosa per chi vuole approfondire la conoscenza del territorio. Degna di visita è pure la sta-zione ferroviaria locale, intatta dal 1894, e og-gi ‘casa’ del trenino verde per Mandas. Da Tortolì giungiamo in breve a Lotzorai, do-minata dalle rovine del castello di Oguglia-stra (da cui forse il nome della regione), e po-co dopo lasciamo momentaneamente la sta-tale per dirigerci a destra, di nuovo sulla co-sta, dove sorge Santa Maria Navarrese in una bella insenatura di fronte all’isola del-l’Ogliastra. In questa località sono i residui di un’antica foresta mediterranea di olivastri, carrubi e bagolari, oggi considerati monu-mento botanico: il re del posto è ‘il grande vecchio’, olivastro millenario dall’immensa chioma. Una bella torre spagnola del XVI se-colo chiude a nord la spiaggia mentre ci al-lontaniamo dall’ameno borgo balneare. Tor-

nati sulla via principale, dopo un breve trat-to svoltiamo di nuovo a destra alla volta di un’altra superba meta. La strada imboccata scende lungo la costa rocciosa verso il mo-nolito piramidale di Perda Longa, già am-mirato il giorno prima dal mare: anche da questa angolazione l’impatto visivo è assai pit-toresco ed evidenzia la tenacia con cui il tur-rito masso affronta il mare. Poco oltre il punto d’incontro tra la grande placca orientale del Supramonte e la costa, a circa 500 metri di altezza, arriviamo a Bau-nei, affacciata sulla pianura che si estende ver-so sud-ovest. Il paese dall’aspetto montano deve le sue origini a un insediamento di pa-stori, che scelsero il luogo perché ben riparato dalle tempeste e dai venti di grecale e tra-

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montana. Al limitare dell’abitato una ripida strada a est sale sull’altopiano; con le nostre bianchine affrontiamo una serie di tornanti per superare le ardite pareti a strapiombo con vasti panorami sulla bassa Ogliastra. Al ter-mine della salita, uno sterrato sulla destra por-ta al nuraghe di Coa e Serra dalla struttura tri-lobata; proseguiamo lungo la via originaria e ci ritroviamo a un quadrivio. Girando a de-stra giungiamo alla zona di As Piscinas, una serie di vasche naturali incastonate nel basalto che raccolgono acqua piovana; poi, tornati al-l’incrocio prendiamo verso nord e arriviamo a un monumento naturale oltremodo inte-ressante: la voragine di Su Sterru che sprofon-da in verticale nel sottosuolo per 270 metri, perforando un primo strato di roccia basal-

tica per poi inabissarsi tra i massi calcarei. L’a-pertura è impressionante e, nonostante la pre-senza di protettive transenne, mette i brivi-di. Il buco nero, di forma ovoidale, ha di-mensioni davvero ragguardevoli: a metà per-corso il suo diametro è di circa 25 metri, mentre alla base ne misura 40. Rino ci dice che questa è la voragine più profonda d’Eu-ropa e che qui vive il geotritone sardo.

L’altopiano del Golgo La misteriosa e affascinante zona in cui ci tro-viamo fa parte dell’altopiano del Golgo, com-preso nel Supramonte di Baunei. A poca di-stanza da Su Sterru visitiamo la chiesetta ru-rale di San Pietro, presso la quale a fine giu-gno si celebra una festa ricca di suggestioni ed elementi folcloristici che affondano le radi-ci nella notte dei tempi. Davanti alla chiesetta vediamo una pietra sulla cui superficie è scolpito un volto umano: si tratta di un bè-tilo, alto poco più di un metro e risalente al-l’epoca nuragica, quando simili monoliti avevano la funzione di evidenziare la sacralità dei luoghi di culto pagani. La particolare pietra sacra proviene da una tomba dei giganti in prossimità del nuraghe Orgoduri, da cui è stata prelevata nel 1974. Abbiamo davanti a noi ancora tutto il po-meriggio e decidiamo quindi di dedicarlo al-la scoperta del territorio circostante. Rino ci conduce alla vicina cooperativa Goloritzé che, oltre a gestire un piccolo albergo (lo-canda ‘Il Rifugio’) si occupa di organizzare escursioni a piedi, a cavallo, in mountain bike

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e in fuoristrada fornendo guide ambientali molto esperte. Alla Goloritzé conosciamo Antonio, uno dei responsabili, che ci accoglie cordialmente all’ombra di una grande veran-da allestita per mangiare all’aperto. Rapida-mente viene organizzata per noi un’escursione a cavallo alla volta di Punta Ginnircu; i cavalli, di razza anglo-arabo-sarda, ci trasmettono su-bito una grande sicurezza e, pur senza esse-re cavallerizzi provetti, ci avviamo lungo l’al-topiano in direzione sud-est prima di risalire la china che ci porterà in un luogo dal panorama unico nel suo genere. Dalla cima della pun-ta la vista spazia infatti sulla costa che si staglia a est ben 800 metri più in basso, mentre a nord-ovest il Supramonte e a sud-ovest la bas-sa Ogliastra completano il magni-fico scenario. Strane rocce simili a

fogli di pietra, dette ‘us piggius’, aggiungono una nota singolare al già notevole panorama che non ci stancheremmo mai di ammirare. Con un suggestivo sole al tramonto tornia-mo poi al maneggio: ci pare di essere cowboy che cavalcano negli sconfinati spazi texani. La serata alla locanda ci riserva però, non un piatto di carne con fagioli, bensì la degusta-zione delle più rinomati specialità locali di cui ormai siamo grandi estimatori. Durante la ce-

na Antonio ci racconta antiche leg-gende della zona, tra le quali ci col-pisce soprattutto quella di Maria di Etili, che lui stesso ha appreso da vecchi pastori. La notte sul Golgo, punteggiata dai rumori della natura, dà la sensazione di trovarsi in un an-golo ormai estraneo al mondo mo-derno e per questo ancor più carico di suggestioni e atavici ricordi.

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La mattina dopo salutiamo Antonio e la no-stra ‘guida’, Rino, che deve far ritorno a La-nusei mentre noi, lasciato il Golgo e torna-ti sull’‘Orientale sarda’, riprendiamo il nostro viaggio verso nord in direzione Dorgali: un tracciato tortuoso tra gole, forre e valli colo-rate dalla macchia mediterranea.

Una regione sorprendente Il borbottio dei nostri piccoli motori ci ac-compagna con tranquillità lungo l’itinerario che prevede varie soste per addentrarci a visitare i luoghi circostanti. Dobbiamo af-frontare una serie di passi chiamati ‘genne’ (porte) che, ornati da ampi tornanti, ci fanno altalenare tra i 500 e i 700 metri di altezza. Supe-riamo così, in mezzo a lande selvagge e ricche di vegeta-zione, Genna Arramene (590 m), Genna Coggina (724 m) e Genna Scalasa (666 m) prima di arrivare a Genna Sarbene dove, a un paio di chilometri dal bivio per Urzulei, una strada bianca che punta a nord porta il turista più avventuroso fino al-la splendida Cala Luna. Dopo un percorso che con numerosi tornanti scende nel Badu Trunole, attraversa un tor-rente e risale una larga sella tra Serra Tzorai e monte Oseli, con le nostre bianchine ca-liamo nuovamente nel fondovalle, cioè nel-la codula di Luna. Da qui in poi, in un am-biente sempre più spettacolare, il tracciato se-

gue un rio verso il mare sino al punto in cui finisce la strada carrabile. Parcheggiamo dun-que Belvetta, Dino e Polentina: l’area che stia-mo esplorando è degna di essere visitata con cura; dagli anfratti rocciosi sopra le nostre te-ste ci pare di scorgere le piume di un folto drappello di indiani in agguato. Ci aspetta un cammino di circa 3 ore e mez-za con un dislivello di 200 metri. Il sentiero segue la codula in un paesaggio sempre più incassato e aspro; alti su di noi incombono,

a destra, l’altopiano che si snoda lungo il Su-pramonte di Baunei e, a sinistra, quello di Dorgali con le rocce della Cresta Fittiddai. Piante di oleandro incorniciano il rio segna-landoci che siamo ormai in prossimità di Cala Luna che, sia dal mare sia dall’entroterra, ci appare sempre carica di una bellezza inu-suale. Mai un bagno è stato più meritato e tra le limpide acque della cala scompare d’in-canto anche la stanchezza. Dopo esserci go-

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no duti Cala Luna per la secon-da volta, prendiamo la via del ritorno la cui conclusio-ne è annunciata dall’imma-gine delle colorate bianchine, che scorgiamo da lontano. Ripercorriamo la strada ster-rata sino all’‘Orientale sarda’ e svoltiamo a destra verso il bivio per Urzulei, dove arri-viamo sul far della sera. Il paese, noto soprattutto per la produzione artigianale di prosciutti di montagna, si trova a 500 metri di altezza sulle pendici della Punta Is Gruttas (1025 m); più in al-to, sulla vetta, si aprono grot-te ancora in parte inesplora-

APPUNTI NATURALISTICI

Il geotritoneIl geotritone è un piccolo an-fibio urodelo, cioè un anfibio con la coda, come i tritoni e le salamandre, che vive in grotte e anfratti rocciosi caratterizzati da una forte umidità. È un ani-male di minuscole dimensioni (raggiunge una lunghezza mas-sima è di circa 14 cm) con la pelle liscia di colore da bruno a grigio scuro, fittamente pun-teggiata sul dorso, e bianco sporco sul ventre. La testa è piuttosto allargata e

schiacciata con occhi promi-nenti, le zampe hanno dita leggermente palmate e tozze, con le estremità dilatate per consentire all’animale di ar-rampicarsi anche su superfici verticali lisce. I polmoni sono assenti e la respirazione avvie-ne attraverso la pelle, che per-ciò deve sempre essere molto umida. Gli esemplari dei due sessi hanno aspetto simile. La riproduzione ha luogo in primavera; le uova non vengo-no deposte in acqua, come nel caso degli altri anfibi nostrani,

te. Qui conosciamo Luigi, una guida locale che ci parla del Supramonte di Urzulei che, con quelli di Orgosolo, Oliena, Dorgali e Baunei costituisce un vasto altopiano car-bonatico formatosi nel Giurassico (170 milioni di anni fa),

quando la regione fu

completamente invasa dal mare. L’origine geologica, il clima che variava di era in era e l’azione dell’acqua hanno creato in questa zo-na pianori carsici, doline, grotte e inghiot-titoi, conferendo al paesaggio un suggestivo aspetto lunare. Quest’isola dai mille volti ancora non smette di stupirci e il luogo in cui

adesso ci troviamo ne è l’ennesima confer-ma. Prima di notte lasciamo Luigi e Ur-

zulei e ci dirigiamo a Cala Gonone, nei pressi di Dorgali, dove ci aspetta un bel campeggio immerso nella natura e de-

liziosamente vicino al mare.

Al ‘gran’ canyon di Su Gorropu La mattina andiamo al porto per far cola-zione; da qui partono le escursioni via mare, in gommone o in barca, per la grotta del Bue

ma in buche scavate nella sab-bia umida e lo sviluppo è di-retto. Il geotritone si nutre di piccoli invertebrati che cattu-ra con la lingua estroflettibile. Le quattro specie endemiche presenti in Sardegna, un tem-po considerate un’unica specie, appartengono tutte al genere Speleomantes e ciascuna è di-stribuita in una diversa area montuosa dell’isola: S. genei nel Sulcis-Iglesiente, S. supra-montis nel Supramonte, S. fla-vus sul monte Albo e S. impe-rialis nel Gerrei.

Questo genere, che annovera anche alcune specie diffuse sugli Appennini e sulle Alpi Marittime, è l’unico rappre-sentante europeo della fami-glia dei Pletodontidi, anfibi urodeli piuttosto primitivi i cui attuali discendenti sono presenti con ben 19 generi nell’America settentrionale. Il genere Hydromantes, conside-rato dagli erpetologi il più af-fine ai nostri Speleomates, vi-ve in California. Come mai una tale distanza fra animali stret-tamente imparentati? La spie-

gazione sta nel fatto che gli antichi progenitori di questa famiglia probabilmente occu-pavano i territori in questione già prima del Giurassico (oltre 200 milioni di anni fa), cioè prima che il Nord America e l’Europa si separassero. Il lun-go isolamento geografico e ri-produttivo e l’estinzione da molte aree di entrambi i con-tinenti in questione hanno poi determinato la comparsa del-le specie odierne e la loro at-tuale distribuzione.

A cura del biologo Carlo Morelli

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Marino o per le cale. Ripercorriamo la stra-da tra le candide rocce a picco sul mare e, su-perata la galleria scavata sui fianchi del mon-te Bardia, imbocchiamo di nuovo l’‘Orien-tale sarda’ poco a sud di Dorgali. Anche og-gi la nostra meta è di tipo naturalistico: ci pro-poniamo di visitare le gole di Su Gorropu, uno dei più spettacolari canyon d’Europa. Viaggiamo con Dorgali alle nostre spalle e, dopo circa 1 chilometro, prendiamo una strada asfaltata sulla destra in direzione del-la regione agricola di Oddoene, una vallata boscosa punteggiata di ovili e popolata da greggi in transito e da branchi di maiali sel-vatici molto simili a cinghiali. Oltre la valle avanziamo lentamente per una strada sterrata

e sconnessa che scende al rio Flumined-du e seguiamo la il cor-

so d’acqua sino a un ponte; siamo a circa 10 chilometri dal bivio della statale: lasciamo le auto e iniziamo l’escursione a piedi.

Procediamo sul versante orografico si-nistro del Flumineddu,

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puntando a monte in legge-ra salita. Alcuni segnali ver-di ci indicano la direzione ai vari bivi che scandiscono il sentiero. Dopo quasi due ore di saliscendi tra le sponde del Flumineddu e i fianchi del monte Oddeu arriviamo all’ingresso delle gole che ci appaiono come un gigante-sco ‘taglio’ nel Supramonte, lungo una ventina di chilo-metri, tra pareti a strapiom-bo che precipitano parallele per centinaia di metri. Camminiamo in di-scesa tra marmitte di erosione e bianchi mas-si calcarei chiamati ‘ballas’ per la loro forma tondeggiante, fino a raggiungere il greto del fiume le cui acque riaffiorano di tanto in tan-to dalle rocce creando pozze e laghetti ricchi da trote. A noi basta essere arrivati sin qui ad ammirare questo scenario mozzafiato, ma consigliamo, per chi volesse continuare, di ap-poggiarsi a guide esperte. Risaliti in superficie dagli ‘inferi’ del Su Gor-ropu e tornati alle bianchine, a cui hanno fat-to visita gruppi di maialini, riprendiamo il nostro viaggio verso nord.

Verso Orosei: conclusione del viaggio Dorgali, adagiata a mezza costa sul versante occidentale del monte Bardia, ci appare co-me un punto d’incontro tra la colorata costa e l’entroterra incontaminato e selvaggio. L’a-bitato del centro storico sembra raccogliersi tra botteghe artigiane, caseifici, cantine e negozi con belle vetrine che espongono pro-

dotti dell’oreficeria locale, di pelletteria e al-tri manufatti. In via Lamarmora è possibile visitare il Museo civico archeologico, con reperti provenienti dalle grotte dell’entroterra e in particolare dalla grotta di Ispinigoli che abbiamo in programma di visitare. Dopo Dorgali svoltiamo dunque sulla destra per an-dare alla leggendaria e gigantesca grotta, si-tuata a poca distanza. Ispinigoli significa ‘spina nella gola’ ed è una delle più grandi ca-vità naturali d’Italia, con uno sviluppo com-plessivo di circa 10 chilometri. Nell’interno vediamo un’enorme stalattite, che con i suoi 38 metri è la più alta d’Europa, alla cui base si apre una profonda voragine chiamata ‘abis-so delle vergini’ perché in epoca fenicio-pu-nica vi si praticavano sacrifici umani, come documentano i resti dei corpi trovati sul fondo dagli speleologi. Dopo l’interessante visita a un luogo tanto ar-cano e misterioso, ci dirigiamo a Orosei, il ca-poluogo della Baronia ai piedi del monte Tut-tavista, che dà il nome a tutto il golfo. Anche

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no questa cittadina offre il meglio di sé nel ca-ratteristico centro storico, con i suoi archi, i vicoli, le piazzette e le case in pietra. La pia-na antistante Orosei è stata soggetta sino agli inizi del ’900 alle inondazioni del fiume Cedrino e devastata dalla malaria, infine de-bellata grazie a grandi opere di bonifica, mentre lo stagno Su Petroso, residuo delle pa-ludi, è oggi rifugio per una flora e una fau-na ricche e preziose. Lasciata Orosei il nostro viaggio in Sardegna volge al termine: intraprendiamo così l’ulti-ma escursione in programma lungo la valle del Cedrino, risalendo il corso del fiume verso ovest, tra i rigogliosi agrumeti che la cir-condano e a cui deve il suo nome, mentre la mole granitica del monte Tuttavista domina da sud. Dopo pochi chilometri per un trat-to montuoso, lasciamo la SS 129 e svoltiamo a destra verso Irgoli dove, non lontano dal borgo dal centro e in aperta campagna, tro-viamo un tipico agriturismo ricavato in un’antica fattoria. Siamo in località Settile e Giovanni, titolare dell’omonima struttura, ci attende sotto il portico vicino a un bell’uli-veto e sembra divertito dall’arrivo delle bian-chine. Passiamo così piacevolmente l’ulti-ma serata in Sardegna, gustando un formi-

dabile esempio di cucina povera, il pane frat-tau: pane secco (pane carasau), pomodori, ba-silico, olio d’oliva e cipolla, ‘annegati’ in un brodo di carne, sono i protagonisti di questo tipico piatto sardo. Giovanni ci descrive i sentieri del monte Od-deu costellati di grotte e di domus de janas, tra le quali ultime ve n’è una molto partico-lare: Sa conca ’e mortu, cosiddetta per la sua forma simile a un teschio. In zona sgorgano sorgenti d’acqua calda e, ci dice anche, si narra che tra questi monti sia nascosto il te-soro di un misterioso bandito chiamato Pit-ti ruju (pizzo rosso), il quale neppure in pun-to di morte svelò il suo segreto. È notte e fuo-ri la luna rende il paesaggio ancora più irrea-le: ripensiamo a tutti i racconti che ci hanno accompagnati lungo il viaggio, alle persone, ora diventate amiche, che abbiamo conosciu-to, ai luoghi arcani che ci hanno ricordato ci-viltà scomparse, alla selvaggia e incredibile na-tura che tuttora domina questa isola. Ancora sperduto nell’immensità del mare, un traghetto sta facendo rotta verso la costa; porterà poi via con sé Belvetta, Dino e Po-lentina alla fine di un’avventura difficile da di-menticare. Ciao Sardegna, grazie del ma-gnifico mondo che ci hai fatto scoprire.

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