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GRUPPO ALPINI DI OSPITALETTO GLI ALPINI E LA PRIMA GUERRA MONDIALE Il Corpo degli Alpini nasce subito dopo l’Unità: è intatti il 15 ottobre 1872 che un regio decreto, modificando l’organico di alcuni distretti militari, istituisce 15 compagnie alpine per la difesa delle nostre frontiere continentali. Gli Alpini hanno anche un “padre” in piena regola: il capitano Perrucchetti, nativo di Cassano d’Adda. Giovane studente iscritto alla facoltà di architettura, egli aveva abbandonato gli studi per arruolarsi volontario nella seconda guerra di indipendenza. La leggenda vuole che siano state le stesse Penne Nere ad apostrofarsi fin dall’inizio tra loro con l’appellativo di “Alpino”. Rimane il fatto che quasi subito questo termine diviene di uso corrente e ben presto anche le varie leggi concernenti l’organizzazione del Corpo l’adottano come nome ufficiale. Più volte scavando nel solco delle tradizioni e dei ricordi è stata posta mano ad una storia locale di questo corpo dell’Esercito, segno evidente che il gruppo Alpini ha una bella forza trainante e una sua particolare suggestione. E come potrebbe non essere così anche nel nostro paese quando si pensa che questa storia è costellata di persone care al cuore degli ospitalettesi. Uomini cari d’un tempo vicini e lontani, nomi di uomini di prim’ordine che sembrano uscire dalle pagine del lungo racconto con inalterata forza suggestiva, presenti oggi come ieri alla nostra memoria e alla nostra riconoscenza. Sono anni lontani quando per la prima volta ad Ospitaletto si inizia a parlare di costituire un gruppo Alpini. Nell’ormai lontano 1930 alcuni reduci della prima guerra mondiale, seguendo l’esempio di quanto avviene in altri paesi limitrofi, decidono di creare anche a Ospitaletto un Gruppo A.N.A., depositario dei molti sacrifici, degli ardimenti e dei doveri compiuti dai compaesani, unitamente a tutti gli alpini italiani, e già indelebilmente scritti nella loro storia. Il primo nucleo di penne nere è formato da Antonio Serena, Giuseppe Corradi, Antonio Morandi, Francesco Tenni, Marcello Daffini, Giovanni Aiardi, l’ms. Pasini, Umberto Agazzi, Filini, Minelli, Beniamino Orizio. Tutti combatterono a lungo tra il 1915 e il 1918 al Tonale, sull’Adamello o sul Carso. (1)

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GRUPPO ALPINI DI OSPITALETTO

GLI ALPINI E LA PRIMA GUERRA MONDIALE Il Corpo degli Alpini nasce subito dopo l’Unità: è intatti il 15 ottobre 1872 che un regio decreto, modificando l’organico di alcuni distretti militari, istituisce 15 compagnie alpine per la difesa delle nostre frontiere continentali. Gli Alpini hanno anche un “padre” in piena regola: il capitano Perrucchetti, nativo di Cassano d’Adda. Giovane studente iscritto alla facoltà di architettura, egli aveva abbandonato gli studi per arruolarsi volontario nella seconda guerra di indipendenza. La leggenda vuole che siano state le stesse Penne Nere ad apostrofarsi fin dall’inizio tra loro con l’appellativo di “Alpino”. Rimane il fatto che quasi subito questo termine diviene di uso corrente e ben presto anche le varie leggi concernenti l’organizzazione del Corpo l’adottano come nome ufficiale. Più volte scavando nel solco delle tradizioni e dei ricordi è stata posta mano ad una storia locale di questo corpo dell’Esercito, segno evidente che il gruppo Alpini ha una bella forza trainante e una sua particolare suggestione. E come potrebbe non essere così anche nel nostro paese quando si pensa che questa storia è costellata di persone care al cuore degli ospitalettesi. Uomini cari d’un tempo vicini e lontani, nomi di uomini di prim’ordine che sembrano uscire dalle pagine del lungo racconto con inalterata forza suggestiva, presenti oggi come ieri alla nostra memoria e alla nostra riconoscenza. Sono anni lontani quando per la prima volta ad Ospitaletto si inizia a parlare di costituire un gruppo Alpini. Nell’ormai lontano 1930 alcuni reduci della prima guerra mondiale, seguendo l’esempio di quanto avviene in altri paesi limitrofi, decidono di creare anche a Ospitaletto un Gruppo A.N.A., depositario dei molti sacrifici, degli ardimenti e dei doveri compiuti dai compaesani, unitamente a tutti gli alpini italiani, e già indelebilmente scritti nella loro storia. Il primo nucleo di penne nere è formato da Antonio Serena, Giuseppe Corradi, Antonio Morandi, Francesco Tenni, Marcello Daffini, Giovanni Aiardi, l’ms. Pasini, Umberto Agazzi, Filini, Minelli, Beniamino Orizio. Tutti combatterono a lungo tra il 1915 e il 1918 al Tonale, sull’Adamello o sul Carso. (1)

I fondatori del ‘Gruppo Alpini” di Ospitaletto. La prima guerra mondiale è sempre viva nel ricordo dei più anziani, più della seconda guerra Mondiale, perché di fatto è più sentita dalla coscienza popolare: ancora non è raro sentire in un’osteria qualche vecchio parlare delle sue avventure belliche come fossero vicende di ieri. “A perenne ricordo di questo sacrificio di vite umane, al centro del nostro cimitero fu eretto un semplice monumento, con incisi i nomi dei Caduti della grande guerra”. (2) I nostri Alpini sono veramente degli eroi durante la 1a Guerra Mondiale. (3) Da alcune lettere di soldati ospitalettesi scritte alle loro famiglie, si possono comprendere le loro grandi gesta. L’alpino Giuseppe Salvi (1893-1917) scrive “... certe volte scrivo che sto bene, mentre compio una bugia che trovandomi sotto certi bombardamenti non vedo che la morte. Sono stato ferito dallo scoppio di una granata e credo di aver perso l’occhio” oppure l’alpino Paolo Rocco “... bisogna pregare molto il Signore che ci dia la grazia o la fortuna di poter ritornare sani e salvi a casa, qui siamo in mezzo alle disgrazie e senza l’aiuto di Lui niente si fa. Qui non conosco più, né quando è festa, né quando non è. Di quello che si passa mi sembra impossibile a non avere mai niente e essere sano. Un altro soldato, l’alpino Eugenio Micheletti, scrive: “Vi dico la verità che sono stanchissimo di continuare questa brutta vita militare ed ora è più di un anno che dormo vestito. Da una parte e dall’altra sono sempre pieno di pidocchi, insomma le fatiche sono incredibili, bisogna sopportare tutto, fame e sete, freddo e caldo, e qualunque intemperia”. Dell’invasione di pidocchi parla anche l’alpino Edoardo Orizio nelle sue piccole note ed impressioni: “sono affetto da una grave malattia, pidocchite acuta, tutti ne sono pieni dalla testa ai piedi. Ufficiali e soldati non fanno altro che grattarsi dalla mattina alla sera”. Le cause maggiori di malattie sono le condizioni igieniche pessime e l’esposizione ad ogni tipo di intemperie. Viste le condizioni in cui si vive era naturalmente ben accetta una bella “ferita” che ponesse fine, almeno temporaneamente, alla permanenza al fronte, o comunque non è vista in modo così negativo come potrebbe apparire. Di questa opinione, è fra gli altri Antonio Migliorati: “... con il sangue tutto stravolto dalla paura vi dico che sono gli ultimi momenti di mia vita perché dove mi trovo è un inferno assolutamente e vi prego a voialtri di pregare per me che forse abbia a ritornare ferito di poter venire ancora in Italia, ma la mia paura è quella di restare sull’altipiano”. (4) Assai numerose sono le preghiere usate dai soldati con intento propiziatorio e apotropaico. Molte di queste preghiere sono spedite ai soldati perché se ne servano nei momenti di pericolo; altre volte sono i soldati che se le comunicano tra loro. Per queste e altre vie la loro diffusione è impressionante. Fra gli alpini è frequente questa preghiera che ho trovato presso la figlia di un soldato ospitalettese: “Chi porta addosso questa lettera è sicuro di non essere colpito dai colpi di fucile e di granate. In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, Gesù Cristo io ti supplico

di proteggermi. Proteggimi dalle palle nemiche, Sant’Antonio liberaci dai nemici, Vergine Maria custoditemi, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. (Tre Pater e Ave). Chi porta addosso questa preghiera e la recita devotamente è sicuro di scampare da ogni pericolo”. In verità fra gli Alpini bresciani si trovano anche numerosi esempi di sincera fede, forse per il fatto che Brescia e provincia sono da sempre territori profondamente cristiani, e forse anche perché i combattenti intrattengono dal fronte una corrispondenza con i sacerdoti dei loro paesi di provenienza, cosicché non viene mai a mancare, pur in quei tristi momenti, il conforto di una santa parola. È sempre viva la speranza che Lui vorrà mettere fine al conflitto ed assicurare la “Santa Pace” come emerge dalle parole di diversi soldati. “Spero che Dio saprà mettere rimedio a questa orrenda tragedia di patimenti per tutti”. Ed è veramente una tragedia, ecco a questo proposito cosa scrive Andrea Giuseppe Corradi: “... non so descrivervi cosa vidi, cosa provai, le pallottole fischiavano in ogni dove colpendo senza pietà o scoppiando nel terreno (gli Austriaci usavano tutte dum-dum), le mitragliatrici falciavano i soldati che si vedevano cadere uno dopo l’altro, chi rotolando chi gemendo. Il terreno era cosparso di macchie di sangue, pezzi di mano, di gambe, di intestini, teste, bombe a mano, bombarde inesplose, fucili, elmetti. Le perdite erano enormi: compagnie ridotte a 5-6 uomini, battaglioni senza ufficiali”. Importanti sono anche gli affetti familiari. (5) capitano e maestro Pasini fa una considerazione sugli esami di coscienza che la guerra impone: “in guerra si impara ad amare la vita. Dagli agi della vita familiare sbalzati in trincea, si comprende e si rimpiange tutti i dispiaceri causati ai cari, si fanno migliori propositi per la vita a venire, si comprendono gli oscuri eroismi delle madri”. Un’altra lettera scritta dall’alpino Alberto Migliorati dice: “ora volete sapere qualcosa di noi, mi trovavo in trincea sul Piave, vorrei descrivervi la nostra ritirata, ma vi dico una parola sola che di cose simili non ne ho mai provate. Quando vi dico che mi è toccato mangiare il granoturco abbrustolito sul fuoco e quante volte mi sono augurato morto, ora tutto è passato e si spera di fermare qui il nostro pericolo. Poi non vi dico più niente perché non ho più il sentimento”. Dello stesso tono sono le parole dell’alpino Mario Bignotti “io ringrazio voi, miei cari, che avete faticato per allevarmi, da piccolo fino avent’anni, ma sempre nella religione cristiana, che credo sia la più giusta. Io ve ne domando vivamente perdono, se in questo tempo vi ho recato dei dispiaceri, vi ho fatto delle offese, poi se credete che sia degno chiedo a voi una santa benedizione. Beneditemi, o miei cari, e rassegnatevi alla volontà di Dio, che se il mio destino sarà proprio di morire morirò da vero soldato cristiano. Non piangete o miei cari, ve ne scongiuro, e pregate, e fate pregare, che solo quello può salvarmi”. (6) Questi scritti hanno una forza unica. Può anche darsi che in parte ci suggestioni il fatto che ci troviamo di fronte a uomini strappati alla loro casa contro la loro volontà, mandati a morire e deceduti realmente in guerra; ad ogni modo gli scritti di questi caduti formano uno dei cori più straordinari che ci sia dato sentire. Due temi soprattutto colpiscono: l’orrore per la guerra e la nostalgia per la famiglia. Ma la cosa più significativa è che non c’è niente di “urlato”: si tratta sempre di sentimenti espressi con timidezza sommersa, con parole scarne e con tale semplicità che colpiscono più di un urlo. É come se questi, che hanno taciuto da sempre, chiedessero scusa di aver avuto il permesso di parlare. ORIGINI DELL’A.N.A. AD OSPITALETTO Quei vecchi e valorosi combattenti che, memori dei commilitoni scomparsi e dei doveri compiuti, fondarono il gruppo, essi ormai tutti, per le inesorabili leggi della natura, sono passati al Paradiso di Cantore, il leggendario papà degli Alpini. Il seme non tu certamente da loro gettato invano: lo dimostra la vitalità del nostro Gruppo. Le origini e i primi anni di vita del sodalizio ospitalettese non hanno lasciato testimonianze scritte o particolari iniziative che lo rendano per questo famoso. E da tener presente che il primo nucleo è sorto durante il fascismo. Il Gruppo comunque è stato non solo tollerato dal podestà Federico Serlini, ma anche incoraggiato. Il primo luogo di ritrovo, nell’anno 1930, è presso il bar Roma, ove quel giorno si banchetta sotto il porticato. È proprio da questo locale che parte tutta una serie di attività, che vanno dalla gestione ordinaria del gruppo (tesseramento, ecc.) all’organizzazione di colonie estive per i figli bisognosi dei soci ad Irma di Val Trompia. Dal lontano 1930, anno di nascita del gruppo, la vivace famiglia alpina ospitalettese si avvia col passo lento ma costante degli

«scarponi» al raggiungimento di precisi obiettivi, ingrossando le fila e perseverando in quella benemerita attività che l’avrebbe portata, col tempo, in posizione di preminenza fra le altre consorelle associative.

ANNI DI ULTERIORI TRAVAGLI Animatore di questo primo periodo è il maestro capitano Pasini. Di questo pioniere dell’Associazione i più anziani ricordano quasi con venerazione la sua disponibilità con tutti e il suo prodigarsi indefesso per lo sviluppo e l’incremento del gruppo. Non minore è l’impegno dei segretari del gruppo, Antonio Serena e Giuseppe Corradi. Molti altri dovrebbero essere menzionati in queste righe, ma molto tempo è trascorso da allora e le notizie reperite sono giocoforza poche e frammentarie. Negli anni difficili del fascismo la proibizione e il controllo sulle Associazioni che non fossero quelle specificatamente fasciste impedisce che l’attività di molte associazioni venisse fatta alla luce del sole. Ciò non si verifica per gli Alpini, che sono spronati sia dal podestà sia dal parroco del paese, don Rocco Salvi. (7) Negli anni che vanno dal 1935 al 1938 vengono anche combattute le guerre di Etiopia e di Spagna, preludio al più grande conflitto successivo. Nel 1940 la dichiarazione di guerra alla Francia e all’Inghilterra scatenerà per gli italiani quell’inferno che gli europei di quel tempo stavano già provando e proveranno per tutta la seconda guerra mondiale. Quanti nomi di alpini ospitalettesi, e quante loro gesta sono dimenticate e cadute nell’oblio. Eppure soffrono la lotta più dura contro gli elementi della natura montana, soprattutto il freddo, la neve, la tormenta e le valanghe.

Maggio 1982: Premiazione dei reduci dalla Russia in occasione del 50° di anniversario.

Maggio 1966: il gruppo Alpini al cimitero con la Sig.ra Regina.

Molto tempo trascorrono nel costruire comodi alloggiamenti e difese efficaci contro il nemico. Il soldato alpino, come afferma Alberto Redaelli, si è rivelato nella Seconda Guerra Mondiale “Miles et civis”, soldato e cittadino al tempo stesso, e come il soldato romano fu guerriero e costruttore. Oltre alla vita di rischio e di sofferenza della guerra, molti alpini devono affrontare un altro periodo di sofferenza e di privazioni: la vita nei campi di prigionia e di concentramento alleati e nazisti. All’arrivo nei lager i soldati di truppa sono separati dagli ufficiali e alloggiati in campi diversi, nei quali però le condizioni sono più o meno le stesse. Non così per il lavoro: soldati e sottufficiali vengono subito avviati al lavoro forzato, mentre gli ufficiali avranno a che fare con questo problema solo più tardi e con modalità ben diverse. L’aspetto dominante della prigionia è la fame che non abbandonerà mai i militari italiani per tutta la durata della loro triste esperienza. Gli ufficiali internati ricevono ogni mattino un litro di infuso di tiglio, che ha il pregio di essere caldo e quindi spesso usato per radersi e lavarsi. Per il resto della giornata ricevono una “sbobba” calda di rape, con qualche patata e una fetta di pane di pessima qualità di 200-300 grammi, con un cucchiaino di marmellata di zucchero (25 grammi); infine un pezzetto di margarina o ricotta, o altro surrogato di proteine (25 grammi). Questo è il vitto secondo le scientifiche tabelle ufficiali tedesche, per prigionieri esentati dal lavoro. In realtà, le già magre razioni sono ulteriormente ridotte dalle inadempienze dei comandi tedeschi, dalla pessima qualità dei generi alimentari forniti e dai prelievi del personale di cucina tedesco e italiano. L’altra caratteristica dominante in tutti i campi è la pessima condizione degli alloggi, costituiti da baracche di legno sovraffollate, con fessure e aperture dalle quali entrano il freddo e l’acqua. Arredate con castelli di legno con pagliericci sudici, qualche tavolo e qualche stufa con scarso combustibile. I servizi igienici volutamente umilianti e l’acqua scarsissima favoriscono il proliferare di cimici e pidocchi.

Vi sono poi gli interminabili appelli di una o due ore, sempre all’aperto e effettuati con qualsiasi tempo. Risultano particolarmente gravosi per quei soldati catturati in zone dove il clima è mite e che quindi, non avendo altri indumenti, soffrono anche per il rigido rigore invernale. Anche le perquisizioni e le ruberie più o meno legittime sono all’ordine del giorno. Per i soldati, oltre a tutto questo esiste anche il lavoro forzato. Quasi sempre durissimo, sotto la sorveglianza di aguzzini che non lesinano certo l’uso sistematico della violenza fisica, anche contro chi per l’esaurimento e la fame non riesce a portare a termine tutto il lavoro assegnatogli, causa in breve tempo i primi morti per sfinimento, tubercolosi, pleurite. Ai disagi fisici si aggiungono quelli morali: i soldati italiani per i civili e i militari tedeschi sono i Verrate, i traditori badogliani; per gli altri prigionieri, durante i primi tempi della prigionia, sono i fascisti italiani; per la Croce Rossa sono “internati” e non prigionieri di guerra, e quindi non beneficiano dell’assistenza del CICR.

NEGLI ANNI DEL DOPOGUERRA E DELLA RICOSTRUZIONE Dopo la Seconda Guerra Mondiale il Gruppo Alpini di Ospitaletto ha intrapreso con più vigore la strada della solidarietà e anche dell’assistenza sociale. Con l’italia repubblica parlamentare e paese libero possono organizzarsi e operare senza paura. Nei primissimi anni del dopoguerra viene eletto capogruppo l’alpino Serena, come segretario rimarrà Giuseppe Corradi. È capogruppo per alcuni anni l’alpino Pecis. (8) NeI 1963 viene eletto l’alpino Mafessoni che rimarrà a guida del gruppo fino al 1970. Per questi alpini il “Gruppo” è come una propria creatura e sono felicissimi di trascorrere, dopo gli impegni della loro professione, ore liete ed allegre serate fra i loro consiglieri ed i loro alpini. Questa attività diviene quindi per i tesserati ben più di un hobby: lo scopo non è quello di trascorrere in qualche modo il proprio tempo libero, bensì quello di finalizzare in preciso e determinato impegno sociale e civile il loro ritrovarsi e la solidarietà e l’unità di corpo.

Anno 1967. Le giovani leve degli anni 60 con il curato don Dante Baiguini.

L’IMPEGNO DELL’A.N.A. OSPITALETTESE NEGLI ULTIMI AN NI Al vecio Mafessoni succede come capogruppo, nel 1971, l’alpino Pietro Sofroni. Il gruppo con il progredire degli anni è divenuto sempre più numeroso, infatti alle vecchie generazioni si sono aggiunte le nuove e le attività si sono moltiplicate. Il gruppo sarà sempre più attivo nella comunità ospitalettese e per questo motivo si attirerà la simpatia e la cordialità di tutta la popolazione e le sue manifestazioni saranno un tutt’uno di popolo e sarà sempre presente come lo fu nel passato nella

vita attiva della sezione. Il gruppo si riattiva e spesso collabora con altre associazioni d’Arma. Le iniziative sono rese possibili per la pace vissuta nella libertà più viva, pur nella pluralità di vedute. Soccorso ed ospitalità con invio di squadre operative e di materiali edili per la ricostruzione e riparazione di fabbricati nelle zone terremotate del Friuli, nel disastro del 1976. L’aiuto ai terremotati è stato veramente notevole e degno di nota.

A Cassacco (Udine) con la vedova del presidente Bertagnolli.

Ma l’opera più grandiosa, quella che ha impegnato a fondo tutti gli alpini non solo ospitalettesi, ma bresciani, grande fiore all’occhiello delle sezioni bresciane dell’A.N.A. e che rimarrà il vero monumento a quanti si sacrificarono, perché altri potessero tornare a casa e dove l’amore si immolò oltre la morte, è stata la scuola per spastici e miodistrofici “Nikolajewka” a Mompiano (Brescia), dove per anni si sono profuse tutte le energie e le donazioni dei Gruppi Alpini, oggi in festa, che rimarrà a ricordo e monito per le generazioni venture affinché la pace regni sugli odi e le miserie umane che sono pur grandi. (9) Ritornando al Gruppo locale, è necessario sottolineare un altro momento di particolare rilievo: l’inaugurazione del Monumento all’Alpino (1978).

24 settembre 1978. Inaugurazione Monumento all’Alpino.

24 settembre 1978. Inaugurazione Monumento all’Alpino.

24 settembre 1978. Inaugurazione Monumento all’Alpino. Il parroco don Pietro Pea celebra la

S. Messa. L’iniziativa, che ci porta a ricordare il sacrificio dei nostri caduti in guerra e che ci aiuta ad avere sentimenti di sincero amor patrio è, da noi ospitalettesi, accolta con fervore e apprezzamento. Le vie del paese sono imbandierate; molte le rappresentanze dei gruppi alpini della nostra provincia con i loro gagliardetti. Il monumento viene scoperto dopo l’alzabandiera e benedetto dal parroco. Madrina al monumento è la signora Elisabetta Bettoni Colombi. Vari oratori prendono la parola, dal Capogruppo Alpini di Ospitaletto Pietro Sofroni, che descrive l’orgoglio dei nostri Alpini per la realizzazione di quest’opera alla memoria grata e commossa dei nostri caduti, dal vice presidente della sezione di Brescia Dott. Alessandro Rossi, che tiene un discorso di circostanza pieno di motivi sociali e di richiami ad un’amicizia costruttiva al tema di “vogliamoci bene”, al sindaco dott. Giuseppe Taini, che sa interpretare i sinceri sentimenti della cittadinanza, che ha partecipato numerosa plaudendo al passaggio degli alpini, unendosi poi a loro nella inaugurazione al monumento, al prof. Cesare Crescenti, che fa omaggio con la recita di una propria poesia in dialetto, allo scultore dott. Pierluigi Corna Pellegrini, che illustra il significato della sua scultura: “l’amore

familiare colto nel saluto dell’Alpino alla moglie e al figlio”. Egli ha poi soggiunto: “tutto sta nella famiglia, cellula della società. Se è sana, la società tutta ne risente in bene”. Un’opera d’arte questa che certamente arricchisce il nostro paese. La S. Messa al Monumento, celebrata dal cappellano militare di Russia e prigioniero di guerra P. Ignazio Faccin O.F.M., di stanza a Lonigo, ha dato alla cerimonia il più alto significato. Il padre francescano al Vangelo ha richiamato tutti i presenti alla vera memoria dei caduti, che è quella di non rendere vano il loro sacrificio, che è stato un grande atto di amore e quindi stimola noi all’amore di Patria, che si esprime nella solidarietà civile e nella fraternità cristiana. 1113 settembre 1980 gli alpini ospitalettesi festeggiano il mezzo secolo del gruppo; così ricorda un articolo tratto da un quotidiano bresciano: “Festa grande ad Ospitaletto: le penne nere del paese festeggiano il 500 anniversario di fondazione del gruppo alpini”. (10) Il programma prevede nel salone del cinema Super un’esibizione del coro Prealpi di Villa Erbusco. Nel corso della manifestazione verranno consegnati ai reduci di Russia una medaglia ricordo opera dello scultore - incisore Angelo Galeazzi di Ospitaletto. Sono stati premiati: Giuseppe Bedussi, Carlo Bracchi, Francesco Mafezzoni, Augusto Omboni, Natale Veraldi, Angelo Zani, Carlo Danesi, Fausto Colombi, Angelo Cancelli e la medaglia d’argento al valor militare Giulio Giovita. Domenica 14 è in programma: alle ore 10.00 inizio del corteo in Piazza S. Rocco, la deposizione di una corona di alloro al monumento dedicato ai caduti e quindi la sfilata per le vie del paese; alle 10.45 la celebrazione del rito religioso al campo presso il monumento alpino. In occasione del 50° anniversario il gruppo alpini ha infatti provveduto a ripristinare il monumento del Ten. Bianchetti ubicàto nel locale cimitero. (11)

15 maggio 1980. Si festeggia il 500 di fondazione del gruppo ANA di Ospitaletto.

Dalle ceneri della sede del locale ‘tiro a segno”, salvando le linee architettoniche della struttura, con grande lavoro di tutti gli alpini viene ricavata la nuova sede. L’immobile sarà integralmente ristrutturato, tanto che per due terzi viene abbattuto e la restante parte recuperata. La zona antistante il campo sportivo comunale «vecchio» si trasformerà in un indefesso cantiere. Grazie all’impegno dei soci e degli amici tale opera si può oggi distinguere per la sua sobrietà e funzionalità. L’impegno profuso si concretizzerà con rifacimento delle strutture portanti, nuova copertura del tetto, rifacimento delle pareti, realizzazione del servizio igienico, rivestimento interno, terrazzo circostante etanti altri piccoli accorgimenti. Verranno ricavati il locale bar, molto grazioso e accogliente, i servizi igienici, il terrazzo e un salone per le riunioni. Le pareti dei locali saranno adornate da fotografie che ricordano momenti particolari, quadri donati da alpini ed amici, pergamene e targhe ricordo, ed altri innumerevoli trofei. Completerà l’efficienza della nuova sede un’ottima antica cantina interrata, naturalmente ben fornita. I nostri alpini saranno impegnati senza scopo di lucro dal 14 febbraio 1981 al 31 dicembre 1982, per un totale di undicimilaquattrocentoquaranta ore lavorative (427 giornate) con 53 alpini effettivi e 35

simpatizzanti. L’area e i materiali saranno messi a disposizione gratuitamente dall’amministrazione comunale. Quindi “le penne nere” ci metteranno le braccia e il cervello. (12)

14 febbraio 1981. Inizio costruzione Casa dell’Alpino

Maggio 1982. Inaugurazione del Bar degli Alpini.

L’inaugurazione del nuovo complesso sociale avviene il 15 maggio 1982, al termine di una sfilata per le vie imbandierate di tricolore. Il raduno è fissato in piazza S. Rocco, davanti all’oratorio maschile. Alle 10 si muove il corteo. In testa un enorme tricolore, sorretto da “veci” e “bocia”. Seguono: il corpo bandistico di Ospitaletto, il gonfalone comunale con il sindaco Giuseppe Taini, i vessilli delle varie associazioni combattentistiche; una selva di gagliardetti dei vari gruppi ANA della provincia; la fanfara alpina di Lodrino e poi tantissimi alpini fra cui una rappresentanza del gruppo Alpini di Cassacco (Udine), dove le penne nere di Ospitaletto avevano prestato la loro opera di soccorso e ricostruzione in occasione del terremoto del maggio 1976. Quando il corteo giunge davanti alla Casa dell’Alpino, invia Domenico Ghidoni, due alpini in armi depongono una corona d’alloro davanti al monumento inaugurato nel settembre del 1978. È poi la volta del vicepresidente della sezione ANA di Brescia, dott. Sandro Rossi, che ha il compito di pronunciare un breve discorso di circostanza. Rossi vuole pure ricordare che “altri giorni di lavoro ci attendono per completare la Scuola di arti e mestieri per spastici e miodistrofici di Mompiano. I picconi, i badili, il cemento ed i mattoni sono le

nostre armi. Ne siamo orgogliosi: si prenda esempio dagli alpini per dare ai nostri figli un’italia migliore.” (13) Il sindaco di Ospitaletto Giuseppe Taini, sottolinea il significato particolare dell’inaugurazione: lo sforzo, il senso del dovere, la solidarietà degli alpini, autentica forza di pace. Taini consegna una medaglia d’oro al capogruppo di Ospitaletto Pietro Sofroni, ed una medaglia per l’ospitalità ai fratelli friulani che avevano ricambiato con medaglie e targhe. La messa al campo viene celebrata da don Mario Pasini (figlio di uno dei fondatori del gruppo alpini di Ospitaletto), il quale al Vangelo ricorda io spirito di iniziativa, di sacrificio, di generosità, di volontariato. “Valori questi di cui abbiamo tanto bisogno per uscire dalla crisi della nostra società”. Al termine del rito religioso viene tagliato il nastro inaugurale della Casa dell’Alpino. (14) Gli Alpini dal 1986 iniziano un’operazione benefica in piazza alla vigilia di Natale. A questo proposito un articolo giornalistico afferma: “la serata della vigilia di Natale assumerà un aspetto e un significato molto particolari, grazie all’iniziativa dell’attiva e sempre presente sezione alp[ni del paese, diretta da Pietro Sofroni. (15)

Una delle prime notti (Vigilia di Natale) pro don Giuseppe.

Il gruppo alpini infatti, in collaborazione con l’associazione commercianti, ha organizzato una vigilia comunitaria nella piazza centrale. Gli alpini di Ospitaletto provvederanno ad installare, intorno alla nuova fontana, alcune tende dove i visitatori, per sfuggire al freddo o per stimolare il palato potranno ristorarsi con un invitante e fumante assaggio di vin brulé e con un altrettanto stuzzicante piatto di penne all’arrabbiata. Infine una piacevole costante delle feste natalizie; gli intramontabili “Babbo Natale”, originalmente interpretati dagli alpini, che offriranno doni e dolci a tutti i partecipanti. L’intero “frutto” di questa iniziativa verrà devoluto a don Giuseppe, ex curato di Ospitaletto, onde integrare l’importantissima attività umanitaria che svolge in Burundi. (16) Infatti questa raccolta servirà per saldare la metà del conto del pozzo costruito in Burundi per portare acqua alle sue “assetate pecorelle”. Sempre nel campo degli aiuti al Terzo Mondo, nel 1987, il gruppo stanzia una somma per l’acquisto di attrezzature atte ad aprire una scuola di carpenteria in Venezuela, per offrire la possibilità ai giovani di imparare un lavoro e contribuire così alla elevazione morale e civile del loro paese. L’attività del gruppo alpini ospitalettese è sempre attiva ed attenta ai vari bisogni sociali grazie al contributo volenteroso dei singoli associati accompagnato dalla forte personalità dell’attuale Capo-Gruppo Pietro

Natale 1987. L attrezzatura offerta dal gruppo Alpini di Ospitaletto ai ragazzi di Barquisimeto

(Venezuela). Sofroni che è sempre efficiente. Infatti la partecipazione del Gruppo a tutte le Adunate nazionali, a tutte le manifestazioni sezionali e di gruppo è sempre garantita con un buon numero di alpini. Quanto ci sarebbe da dire poi dei vari raduni nazionali, quante emozioni, quanta gioia si può leggere negli occhi dei nostri alpini mentre si preparano per partire. E come non ricordare il raduno di Udine del 4-6 maggio del 1974, quello di Padova dal 19 al 21 marzo del ‘76, quello di Roma dal 19 al 20 maggio 1979, quello di Genova dal 3 al 4 maggio 1 980, quello di Verona dal 9 al 10 maggio 1981, quello di Trieste dal 12 al 13 maggio 1984, quello di Bergamo dei 1986, per non parlare del 1990 a Verona. (17) In questi ultimi anni gli alpini di Ospitaletto danno un costante contributo alla ristrutturazione della colonia alpina di Irma. Come è bello vedere il soggiorno ben funzionante. I ragazzi arrivano qui pallidi e spesso svogliati e stanchi. Ma, alla fine del turno, le loro guance sono colorite e paffute, la loro muscolatura si è rassodata, il loro appetito si è fatto gagliardo. E non potrebbe essere altrimenti, se solo si consideri il vitto sano ed abbondante e il regolare esercizio di giochi e passeggiate quotidiane. Ma ciò che conta di più è la natura stupenda che li circonda: i boschi di faggi e conifere, i prati verdissimi, la tranquillità dei luoghi, nei quali non è raro scorgere il dorso bruno di un capriolo o la sagoma veloce di una lepre che si allontana a balzi nel folto degli alberi. Ogni cosa parla di bellezza naturale e di serenità. (18) Ogni atto benefico del nostro gruppo è stato un atto d’amore verso l’infanzia. Speriamo che per tanto tempo ancora il Soggiorno possa adempiere a questa funzione e tenere alto il nome degli alpini che lo hanno costruito e lo curano con tanta attenzione. Il gruppo alpini oltre all’autofinanziamento si è sempre impegnato nell’organizzare annualmente la festa alpina. Il ricavato di questa manifestazione viene devoluto in opere di beneficenza, la più importante delle quali è stato il sostegno, come già sottolineato, alla scuola spastici a Brescia. Oltre ad essere un momento di festa alpina è anche un momento di aggregazione sociale e culturale, permettendo così di fare conoscere il gruppo a tanti giovani e meno giovani. Altro momento culturale è l’organizzazione di gite ai luoghi sacri alla memoria e tradizioni alpine. A queste gite partecipano anche non alpini, i quali hanno la possibilità di conoscere lo spirito che anima il gruppo. E come non ricordare il 16 luglio 1988 quando anche da Ospitaletto alcuni alpini fra cui Maccarana Valentino, Sarnico Bigùlù Pietro partono per la vetta dell’Adamello per rappresentare davanti al Pontefice, il quale celebra la Santa Messa, il Gruppo ospitalettese? (19) Duemila sono le penne nere arrivate in pellegrinaggio dai vari comuni bresciani. Lo scenario, grandioso ma anche triste fa pensare agli altri episodi di guerra avvenuti in questi luoghi e alle innumerevoli vittime colpite dall’odio e dalla violenza; si sente una profonda angoscia, come afferma lo stesso Sarnico, per la sorte di quegli uomini, in balia di crudeli rivolgimenti della storia, Il ricordo si trasforma in un appello alla pace che

il Papa lancia da un “balcone” sul mondo, quasi che il ghiacciaio dellAdamello possa essere il terrazzo trasparente. Vorrei terminare questo opuscolo con un articolo tratto dal “Giornale di Brescia” in cui il sig. Paolo Abeni racconta ciò che ha visto Domenica 10giugno 1990 al sacrario del Monte Grappa: Signor direttore, le voglio raccontare una piccola cosa che ho visto domenica 10 giugno 1990 al Sacrario sul Monte Grappa. Ero presente per motivi di lavoro ad una gara ciclistica quando un amico di Vicenza mi invita a salire al sacrario austriaco dove avrei avuto una piacevole sorpresa, e lì in fatti davanti ai caduti austriaci ho trovato una corona d’alloro deposta dagli alpini di Ospitaletto, ora io vorrei dire grazie a loro tramite Lei per i1 piccolo e umano pensiero di pace che io e la mia famiglia abbiamo colto.

NOTE 1) Testimonianza orale dell’alpino Giuseppe Bedussi. 2) E. Abeni, Storia di Ospitaletto, Comune di Ospitaletto, pagg. 207-208. 3) Secondo la maggior parte degli storici, lo scoppio del primo conflitto mondiale fu la conseguenza delle seguenti situazioni: la concorrenza austro-russa nei Balcani e il fervore indipendentistico dei popoli balcanici, il contrasto franco-tedesco per l’Alsazia e la Lorena, strappate dalla Germania alla Francia nel 1870. A questi motivi si affiancavano comunque le spinte imperialistiche delle grandi potenze economiche europee (soprattutto Germania e Inghilterra). Inoltre lo sviluppo capitalistico, specie nella seconda metà del secolo XIX, era stato talmente gigantesco e aveva assunto tali caratteristiche che l’espansione coloniale e il dominio dei mercati era ormai condizione vitale per la stessa sopravvivenza dell’economia capitalistica. L’episodio scatenante fu l’uccisione dell’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero Austro-Ungarico, il 28giugno 1914 a Serajevo. lI 28 luglio Austria dichiarò guerra alla Serbia, il 1 agosto la Germania fece altrettanto nei confronti della Russia e così iniziarono a delinearsi gli opposti schieramenti, che vedevano a metà agosto, da una parte Francia, Inghilterra, Serbia e Russia, dall’altra Austria, Ungheria e Germania. Il patto segreto di Londra impegnò l’italia ad entrare in guerra entro un mese contro tutti i nemici dell’intesa, dietro la promessa del Trentino, del Sud-Tirolo e dell’Istria. 4) I soldati che si auguravano di rimanere feriti non avevano certamente la più pallida idea di quello che poteva capitare loro in seguito: il servizio sanitario infatti era, specie nei primi tempi, assai disorganizzato e spesso gestito in spregio dei più elementari principi medici ed igienici. 5) Tutte le lettere degli alpini contengono ovviamente degli accenni alla famiglia, agli amici, ma alcune in particolare chiariscono i sentimenti del combattente, sempre diviso tra il desiderio di sfogare le sue passioni e il pudore di mostrarsi forte anche di fronte all’immane tragedia. 6) Archivio Comunale di Brescia, Sezione prima guerra mondiale (corrispondenza). 7) Archivio Parrocchiale di Ospitaletto, faldone Mons. Giulio Gatti, cartella don Rocco Salvi. Per un ulteriore approfondimento del rapporto fra gruppo Alpini e fascismo è interessante lo studio dell’Ass. Nazionale Alpini” Le truppe alpine nella seconda guerra mondiale”, Cavallotti Editore, Milano, 1972. 8) Testimonianza orale dell’alpino Giuseppe Bedussi. 9) Antonio Fappani, La carità nel Bresciano, Ass. «Don Peppino Tedeschi>’, Caritas Bresciana, Brescia 1986, pagg. 212-215, e il fascicolo «60° anniversario di fondazione’> Gruppo di Palazzolo s/O, 1986. 10) Giornale di Brescia, 13 settembre 1980. 11) Voce Amica, n. 26, ottobre 1978. 12) Testimonianza orale del capogruppo Pietro Sofroni. 13) Archivio A.N.A. Ospitaletto, Sede. 14) Giornale di Brescia, 16 maggio 1982. 15) Testimonianza orale di Angiolino Morandi. 16) Bresciaoggi, 23dicembre 1986. 17) Da ricordare in particolare l’adunata a Torino nel 1977 durante la quale la cittadinanza manifestò la sua gratitudine per la presenza di migliaia di alpini che infusero sicurezza di fronte alla

minaccia delle brigate rosse che terrorizzavano la popolazione costringendola a rimanere chiusa in casa. 18) Campane, Rivista della Comunità Parrocchiale di 5. Giorgio, Capriolo - edizione estiva. 19) Eugenio Fontana, Il Papa con gli Alpini in Adamello, Ed. Tipografica Camuna, 1988.