gottlob frege - senso e denotazione

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7/27/2019 Gottlob Frege - Senso e denotazione http://slidepdf.com/reader/full/gottlob-frege-senso-e-denotazione 1/6 SENSO E DENOTAZIONE * di GOTTLOB FREGE L'uguaglianza 1 ci fa riflettere su alcune questioni che a essa si connettono e a cui è difficile rispondere. È una relazione? Una relazione tra oggetti oppure tra nomi o segni di oggetti? Nella mia Ideografia avevo accettato quest'ultima soluzione. I motivi che sembrano militare in suo favore sono questi: eviden- temente a = a e_aj= b sono enunciati dLdiverso...valore-cono- scitivo; a = ajvale a priori e, secondo Kant,_.deve. essere- chia- mato analitico, mentre enunciati della forrnau_-==-_& ..contengono spesso notevoli ampliamenti della nostra conoscenza e non sempre si possono fondare a priori. La scopertaj:hejooji_sQrge_Qgni_mat- tina un^nuavo—sole, ma^empreJLmedesimo, è stata indubbia- mente una delle piùjeconde.jeÌ!astranomia. Ancor oggi, norFè" affatto facile Uconoscere in un piccolo pianeta o in una cometa 10 stesso corpo già osservato. Ora, se nell'uguaglianza volessimo vedere una relazione tra ciò che i nomi "a " e "b" denotano, sembrerebbe che non ci possa essere alcuna differenza tra a = b e a = a, ammesso che sia vero a = b. In questo caso l'ugua- glianza esprimerebbe una relazione di una cosa con se stessa, e cioè la relazione che ogni cosa ha con se stessa, ma che nessuna ha con un'altra. Sembra, allora, che ciò che^si vuoi dire con. a_=b, sia che i segni, o nomi, "a " e "b" denotano la stessa cosa, e che 11 discorso verta su questi segni, affermando che tra essi c'è_..una relazione. Questa relazione sussisterebbe però fra nomi o segni solo in quanto denominano o designano qualcosa; s~ssa sarebbe resa possibile dalla_connessione. dLOgnuno_deLdue__ segni.jx>n la medesima cosa designata. Ma questa connessione è arbitraria. Non * Uber Sintt uni Bedeutung, pubblicato per la prima volta in "Zeitschrift fu r Philosophie und philosophische Kritik", 100, 1892, pp. 25-50. 1 Uso questo termine nel senso di identità e intendo "a = b" nel senso di "a è lo stesso di b" ovvero "a e b coincidono".

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7/27/2019 Gottlob Frege - Senso e denotazione

http://slidepdf.com/reader/full/gottlob-frege-senso-e-denotazione 1/6

SENSO E DENOTAZIONE *diG O T T L O B F R E G E

L'uguaglianza1 ci fa riflettere su alcune questioni che a essasi connettono e a cui è difficile rispondere. È una relazione?Una relazione tra oggetti oppure tra nomi o segni di oggetti?Nella mia Ideografia avevo accettato quest'ultima soluzione. Imotivi che sembrano militare in suo favore sono questi: eviden-temente a = a e_aj= b sono enunciati dLdiverso...valore-cono-scitivo; a = ajvale a priori e, secondo Kant,_.deve. essere- chia-mato analitico, mentre enunciati della forrnau_-==-_& ..contengonospesso notevoli ampliamenti della nostra conoscenza e non sempre

si possono fondare a priori. La scopertaj:hejooji_sQrge_Qgni_mat-tina un^nuavo—sole, ma^empreJLmedesimo, è stata indubbia-mente una delle piùjeconde.jeÌ!astranomia. Ancor oggi, norFè"affatto facile Uconoscere in un piccolo pianeta o in una cometa10 stesso corpo già osservato. Ora, se nell'uguaglianza volessimovedere una relazione tra ciò che i nomi "a " e "b" denotano,sembrerebbe che non ci possa essere alcuna differenza tra a = be a = a, ammesso che sia vero a = b. In questo caso l'ugua-glianza esprimerebbe una relazione di una cosa con se stessa, ecioè la relazione che ogni cosa ha con se stessa, ma che nessunaha con un'altra. Sembra, allora, che ciò che^si vuoidire con. a_=b,

sia che i segni, o nomi, "a " e "b" denotano la stessa cosa, e che11 discorso verta su questi segni, affermando che tra essi c'è_..unarelazione. Questa relazione sussisterebbe però fra nomi o segni

solo in quanto denominano o designano qualcosa; s~ssa sarebberesa possibile dalla_connessione. dLOgnuno_deLdue__ segni.jx>n lamedesima cosa designata. Ma questa connessione è arbitraria. Non

* Uber Sintt uni Bedeutung, pubblicato per la prima volta in "Zeitschriftfu r Philosophie und philosophische Kritik", 100, 1892, pp. 25-50.

1 Uso questo termine nel senso di identità e intendo "a = b"  nel sensodi "a è lo stesso di b" ovvero "a e b coincidono".

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10 GOTTLOB FREGE

si può impedire a nessuno di assumere, come segno di qualcosa,un qualsiasi evento o oggetto preso arbitrariamente; perciò unenunciato a = b riguarderebbe non la cosa stessa, ma solo ilnostro modo di designazione: con questo enunciato non esprime-remmo nessuna conoscenza vera e propria. Ma è appunto una cono-scenza ciò che vorremmo esprimere in molte

circostanze. Se ilsegno "a " si distinguesse dal segno "b" soltanto come oggetto(in questo caso per la sua diversa forma) e non in quanto segno(cioè non per il modo in cui designa qualcosa), allora il valoreconoscitivo dell'enunciato a — a sarebbe essenzialmente identicoa quello dell'enunciato a — b, sempre che sia ammessa la veritàdi a = b. Ci può essere una differenza solo nel caso che la diver-sità del segno corrisponda a una diversità nel modo in cui è datol'oggetto designato. Siano a , b, e le rette che congiungono ivertici di un triangolo con i punti mediani dei lati opposti. 11^

punto d'incontro> di a& b _ coincide con il punto d'incontro di be e. Abbiamo dunque per lo stesso, punto differenti designazioni,e questi nomi ("punto d'incontro ài a e b", "punto d'incontro dib e e") indicano anche il modo in cui il punto viene.dato, sicchél'enunciato contiene^ una conoscenza effettiva.

Ci troykmp djinque indotti a pensare che a un segno (sia essoun nome, una connessione di parole, una semplice lettera) è_cpl-legato, oltre a ciò che è designato, e che jpotrei chiamare kdenotazione del segno, anche ciò che chiamerei^ il senso jdeTsegno, e che contiene il modo in cui l'oggetto viene dato. Consc-guentemente, nel nostrcf esèmpio^^l^èspresliolu^^it^punto d'in-contro di a e di b" e "il punto d'incontro di b e di e" hanno lastessa denotazione, mentre i loro sensi sono diversi. E parimenti:espressioni come "la stella della sera" e "k stella del mattino"sono identiche nella denotazione, ma non nel senso.

Da quanto si è detto finora, si^j:kava_che aell'usare "segno" e"nome" ho inteso una qualunque designazione fungente jdanome proprio, la cui denotazione è cioè un oggetto determinato(la parola "oggetto" va presa nel modo più ampio), ma non un

concetto o una relazione — che prenderò in esame più da vicinoin un prossimo saggio. La designazione di un singolo oggettopuò anche consistere di più parole o altri segni: per brevità lachiameremo "nome proprio".

Il senso del nome proprio viene afferrato da chiunque conoscaa sufficienza la lingua o la totalità delle designazioni cui il nomeproprio appartiene2; in questo modo però la denotazione — po-

2 Per un autentico nome proprio come "Aristotele", le opinioni circa il

SENSO E DENOTAZIONE 11

sto.che ci sia — viene chiarita sempre e soltanto parzialmente.Per una totale conoscenza della^denotazione bispgnerebbe_,poji:ersubito stabilire, dato un qualunque senso, se esso

appartiene alladenpjtazione. Tuttavia non arriviamo mai a questo punto.

pijregok, i rapporti che intercorrono_trajLsegno, il_suo_senso ,

e la sua denotazione "sono questi: al segnp_cqmsj3onde_un_d_ejte_t- '

minato senso e a questo cqrrispon_de_.qL .rmom-una.

determinata

denotazione» mentre,a.,una denotazione (ossia,a un oggetto) nonappartiene solo un segno. Uamedesim^sjejmlm_diHeientLe_spJ£s-sipni in_Hngùerdjverse e persine all'interno della stessa lingua. Cisono

naturalmente eccezioni a questa regola. Certo, in una com-pleta totalità di segni a ogni espressione dovrebbe corrispondereun senso determinato; ma per lo più le lingue naturali non sod-disfano questa esigenza, e ci si deve ritenere soddisfatti sela stessa parola mantiene il medesimo senso nello stesso contesto.Forse si può ammettere che un'espressione grammaticalmente.,bencostruita, fungentejla, nome-proprio,jfcbia sempre un_senso. M anon è affatto detto che jl senso corrisponda anche _una_denpta-zione. Le parole "il corpo celeste più lontano dalla terra"^hanno.un senso, ma è molto dubbio che abbiano anche un a denotazione.L'espressione "la serie meno convergente" ha un senso, ma sipuò dimostrare che non ha alcuna denotazione, perché, data unaserie convergente, se ne può trovare un'altra meno convergente,però sempre ancora convergente. Così, dal fatto che si afferra unsenso non si può dedurre con certezza di avere una denotazione.

Quando si usano delle parole in modo abituale, ciò di cui sivuole parlare è k loro denotazione. Può anche capitare che sivoglia parlare o delle parole stesse, o del loro senso. Questoavviene per esempio quando citiamo le parole di un altro neldiscorso diretto. In questo caso le nostre parole denotano primadi tutto le parole dell'altro, e solo queste hanno poi k denota-zione abituale. Abbiamo allora dei segni di segni. In questi casi,quando scriviamo^ si racchiudono fra virgolette le parole in que-stione. Le parole tra virgolette non possono dunque venir assunte

nella denotazione abituale.

suo senso possono indubbiamente essere differenti tra loro. Si potrebbeper esempio prendere come senso: lo scolaro di Piatone e maestro di Ales-sandro Magno. Chi fa questo darà all'enunciato "Aristotele nacque a Sta-gira'' un senso diverso rispetto a chi prende come senso del nome: "ilmaestro di Alessandro Magno, nato a Stagira". Queste oscillazioni delsenso si possono tollerare finché la denotazione rimane uguale, sebbene sia-no da evitare quando si costruisce una scienza dimostrativa; esse non dovreb-bero intervenire in una lingua perfetta.

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12 GOTTLOB FREGE

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Sc-C

Se si vuole parlare del senso di un'espressione "A", si puòsemplicemente far uso della locuzione "il senso dell'espressione'A ' ". Nel discorso indiretto si parla per esempio del senso deldiscorso di un altro. È perciò chiaro che, in questo tipo di di-scorso, le parole non hanno la loro denotazione abituale, madenotano quello che di consueto è il loro senso. In breve, voglia-mo dire: nel discorso indiretto le parole sono usate indiretta-mente, ovvero hanno una loro denotazione indiretta. Noijiistìh-

guiamo quindi la denotazione abituale di una parola da quellaindiretta, e il suo senso abituale dal suo senso indiretto. La 3eno-_tazione indiretta di una parola è dunque il suo senso

abituale".Queste eccezioni devono, sempre essere tenute presenti, se_-SÌvogliono ^esattamente .comprendere nei singoli casi i rapporti trasegno, senso e, denotazione.

Dalla denotazione e dal senso di un segno va tenuta distintala rappresentazione connessa al segno. Se la denotazione di unsegno è un oggetto sensibilmente percepibile, la mia rappresen-tazione di esso è invece un'immagine interna che si è costituitasulla base dei ricordi di impressioni sensibili da me provate ejdiattività, sia'interne che esterne, da me esercitate3. Quest'imma-

t^gìne è spesso, impregnata di sentimenti; k  chiarezza~dèll<riue

singole parti è diversa e incostante. La medesima rappresenta-zione non è sempre coflegata al medesimo senso, neppure nellax , stessa persona. La rappresentazione è soggettiva, varia da persona

a persona. Pertanto, le rappresentazioni collegate allo stesso sensosono variamente diverse. Un pittore, un cavaliere, uno zoologocollegheranno molto probabilmente rappresentazioni assai diverseal nome "Bucefalo". La rappresentazione_s i._dis_tingu_e per questoessenzialmente dal senso_di_ un segno, senso che può^isèrejanpossesso comune di molte persone e non _ è dunque una parte oun modo deUàTpsiche^indivicluale. Non si pu ò negare che l'uma-nità abbia un patrimonio comune di pensieri che trasmette digenerazione in generazione 4.

Mentre non vi è alcuna incertezza nel parlare semplicemente

3 Possiamo mettere sullo stesso piano delle rappresentazioni le intuizioni,per le quali entrano direttamente in gioco le impressioni sensibili e le atti-vità stesse, anziché le tracce che esse hanno lasciato nell'animo. Per il nostroscopo, la differenza è di scarsa importanza, anche perché nel completarel'immagine intuitiva siamo aiutati non solo da impressioni e attività, maanche dal ricordo di altre precedenti. Per intuizione si può però anche in-tendere un oggetto, in quanto è spaziale o percepibile sensibilmente.

4 Per questo non è conveniente designare con la parola "rappresenta-" """ -T' fondamentalmente diverse.

SENSO E DENOTAZIONE 13

del senso, nel caso di una rappresentazione bisogna aggiungerecon 'esattezza a chi appartiene e quando è sopraggiunta. Forse sipotrebbe dire: come alla stessa paiola c'è chi collega unaRappre-sentazione e chi un'altra, cò^I"pTS^è^ercir"ancte"cli^~^u^lIa7parola coUega~uq senso e ch

i un altro. M a in''"questojra§QJi-diffé-reriza consiste solo nel modo di attuare la connessione^Ciò nonimpje^dls^e^che^entrambé le persone_affimnojoj5tesso senso, men-tre è impossibUe_cEe^bbianp Ja stessa^ rappresentazione. Si duo

idem faciunt, non es t T ì e m _ . je^due persone si rappresentano làstessa cosa, ciascunó4ia-tuttavìa la-propria rappfèsSnTazionerCer-tamente, è talvolta possibile stabilire le

differenze fra le rappre-sentazioni e perfino tra le sensazioni di differenti uomini; maun confronto esatto non è possibile, perché non possiamo avereinsieme queste rappresentazioni nella medesima coscienza.

La denotazione di ,un nome proprio è l'oggetto stesso che,.con- - - '- \ . 4 ì~V~." s i i""'

esso designiamo; la rappresentazicine^che n e _ abbiamo è deLtuttosoggettivai tra l'ujia^ e rahra^c'è _i l senso, che non è più sogget-

tivo come la rappresentazione, ma non è neppure l'oggetto stesso.Per chiarire questi rapport i^può forse essere utile il seguente

"paragone.^ Imma~gihiamo che qualcuno osservi la luna attraversoun cannocchiale. Orario paragono la luna alla denotazione; essaè l'oggetto d'osservazione reso possibile dall'immagine reale proiet-tjìta_dj^_lejnte_deirobiemvo^entra4^^gine

retinica dell'osservatore. In questo paragone, l'immaginedell'obiettivo è il senso, e rimmagine_retinica_è_la-.j:appresenta-zione o intuizione. L'immagine

del cannocchiale è cioè solo par-ziale poiché dipende dal punto d'osservazione, eppure è oggetti-va , _poiché può servire, a.più_jDss_ervatpri. Si può predisporrà in

modo tale che più persone contemporaneamente possano utiliz-zarla; l'immagine retinica è invece tale che ognuno deve averenecessariamente^ la_sua,_Sarebbe perfino difficile: ottenere jina c _ o n -

gruenzìTgeornfitrica, per la diversa conformazione degli occhii, una,

effettiva coincidenza sarebbe comunque da escludersi. Si potrebbeancora continuare a utilizzare questo paragone supponendo chel'immagine retinica di A possa essere resa visibile a B, oppure

anche allo stesso A attraverso uno specchio. Ci potrebbe alloraforse mostrare come una rappresentazione possa essere assuntaessa stessa come oggetto, ma che, in quanto tale, non è per l'os-servatore ciò che invece è per chi se la rappresenta direttamente.Ma seguendo queste implicazioni ci allontaneremmo troppo dalnostro argomento.

Possiamo ora riconoscere tre livelli di differenza fra parole,fra espressioni e fra interi enunciati. La differenza riguarda sol-

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tanto le rappresentazioni, o il senso, ma non la denotazione, o,infine, anche la denotazione. Per quanto riguarda ora il primolivello, è da osservare che, a causa dell'incerta connessione jejle

^rappresentazioni con le parole, può" sussistere un a differenza che'qualcuno trova, e altri no. La differenza tra la traduzione e iltesto originale non dovrebbe andar oltre questo primo livello.Altre possibili differenze'che si collocano a questo liveUo sono

- le coloriture jLlejfumature, che l'arte poetica e l'eloquenza cer-

cano di dare al senso del discorso. Esse non sono oggettive, mal'ascoltatore o il lettore deve procurarsele da sé, secondo Je indi-,caziqni^el poeta o dell'oratore. Senza un'affinità delle rappresen-

tazioni umanèTTàTté non"sarebbe certamente possibile; ma quan-ta corrispondenza ci sia tra le nostre rappresentazioni e _ le inten-zioni del poeta, non può èssere mai verificato con esattezza.

Le rappresentazioni e le intuizioni non saranno più trattate inquesto scritto; ne ho fatto qui menzione solo per non confon-dere il senso o k denotazione con k rappresentazione che laparola produce nell'ascoltatore.

Per esprimermi brevemente e con esattezza, posso stabilire diusare le seguenti locuzioni: un nome proprio (parola, segno,connessione di segni, espressione) esprime il sucTsgnsp, denota o

designa la sua denotazione. Con un segno

esprimiamo il sup_sensp,e designiamo k sua denotazione.Forse,._da_patte.idealistica^o^scettica, mi si sarebbe obiettato

già da tempo in questi termini; "Tu parli della luna come sefosse senz'altro un oggetto; ma come fai a sapere che il nome'la luna' ha in generale una denotazione? Come fai a sapere chein generale qualcosa ha una denotazione?" Rispondo osservandoche, quando pronunciamo il nome "la luna", non abbiamo l'in-tenzione di parlare della nostra

rappresentazione della luna, né.ci accontentiamo del senso soltanto, ma presupponiamo una de-,Dotazione. Si perderebbe assolutamente il senso, qualora si vo-lesse pensare che nell'enunciato "La luna è più piccola dellaterra" il discorso cada sulla rappresentazione della luna. Se chi

, , parla volesse questo, userebbe la locuzione: "la mia rappresenta-r f U b ' f ' ^ Q zjone della luna". Ora, ci potremmo certamente sbagliare in quel-la presupposizione, e simili errori possono effettivamente capitare.

Ma il problema di sapere se ci sbagliamo sempre può essere la-sciatoirrisolto_in-questa-sede: per_gmstificare-il^fatto._che__abbia-mo menzionato lajdenotaziorie_dej_iegno

(sia pur con la riserva:"nel caso che questa denotazione esista") è pejr_Qra_sjjfficieriterimandare-alla nostra intenzione nel .parlare o,jieLpensare.

Finora abbiamo preso in considerazione il senso e la denota-

-I-J

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SENSO E DENOTAZIONE 15

zione solo di quelle espressioni, parole, segni, che abbiamo chia-mato nomi propri. Ora dobbiamo prendere in considerazione ilsenso e la denotazione di un in^terp_enunciato_dichiiarativo. Unenunciato di questo tipo contiene un pensiero5. Questo pensierodeve essere considerato^come_insua senso-Q-k .sua denotazione?Incominciamo con il supporre che l'enunciato abbià~una deno-tazione. Se ora sostituiamo all'enunciato una parola con Un'altrache abbia k stessa denotazione, ma senso diverso, ciò non puòavere influenza sulla denotazione dell'enunciato. Vediamo_peròche in questo caso il pensiero cambia. Per esempio, il pensierodell'enunciato "La stella del mattina è; un corpo illuminato dal

è un corpo illuminato dal sole ". Se. qualcuno non sapesse chek stella della sera è la stella del mattino, potrebbe"pfèndérè i"^due pensieri uno per vero, l'altro per falso.

Il pensiero non puòessere dunque la denotazione, dell'enunciato. Ma cosa^sarà"là •£denotazione? Possiamo anzi porci, in linea di

massima, questa ^£.•domanda? Un enunciato, considerato come un tutto unico, nonpuò forse avere solo un senso e-non una denotazione? Ci si può ,

in ogni caso_,aspettare-che esistano enunciati che, analogamente. -l

a parti di enunciati, abbiano un senso ma non una denotazione. . . - 6 - .

E gli enunciati che contengono nomi propri senza denotazionesono di questo tipo. L'enunciato "Ulisse approdò ad Itaca im-merso in un sonno profondo" ha evidentemente un senso. Mapoiché è cosa dubbia se il nome "Ulisse" abbia una denotazione,è altrettanto dubbio se l'intero enunciato abbia esso stesso unadenotazione. È però certo che se qualcuno injutta^_serietà_cpn-

nome "Ulisse" una denotazióne^ eTnon solo un senso^ èjnfattialla denotazione di questo nome che il predicato viene attribuitoo negato. Chi non riconósce una" denotazione, no n potrà! attribuì-'fe"cTnègare urTpredicatp. Se ci si volesse limitare al pensierodell'enunciato, ci si accontenterebbe del senso del nome, essendosuperfluo spingersi fino alla denotazione. Se_JQSse-in-gioeo-solo•il senso dell'enunciato, cioè il pensiero, non sarebbe necessario

preoccuparsi della denotazione di una parte dell'enunciato; soloil senso, e non la denotazione, delle sue parti è rilevante per ilsenso dell'enunciato. Il pensiero rimane lo stesso sia che il nome"Ulisse" abbia una denotazione, sia che non l'abbia. Se solita-

5 Per pensiero non intendo l'atto soggettivo del pensare, ma il suo con-tenuto oggettivo, che può essere possesso comune di molti.

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GOTTLOB FREGE

mente ci preoccupiamo della denotazione di una parte dell'enun-ciato, questo prova che generalmente riconosciamo e anzi esigia-mo una denotazione anche per l'enunciato stesso. Il r pensiero diun enunciato perde per noi di valore non appena ci accorgiamoche una parte deflojtesscfenunciatoj|privo dT denotazione. Sia-mo dunque pienamente giustificati "se non ci accontentiamo solòdel senso di un enunciato, ma andiamo anche in cerca della suadenotazione. Perché mai vogliamo che ogni nome proprio abbia

non^splp_un senso, ma anche una denotazione? Perché non cibasta il^pensierò?~Perché"cjp^ che ci interessa è il valore di ve-rità_del]lenunciato. Licose, però, non stanno sempre così. Seper esempio ascoltiamo recitare un poema epico^npi^siamo. sol-tanto attraffF cfaH'armoma_del linguaggio, dal senso degli enun-ciati, che risvegliano^ in...noi.immaginile,sentimenti. CònTiT pfò-blema_. della verità,perderemmo la gioia artistica, assumendo unatteggiamento scientifico. Così, finché accettiamo la poesia comeuSi'opera_d>arte^per.noi è indifferente il .fatto che il nome "Ulis-se." abbia o no una-denotazione *. L'èssere protesi verso la veritàè ciò che generalmente ci induce a procedere dal senso alla deno-tazione.

Abbiamo visto che dobbiamo cercare per un enunciato unadenotazione, qualora ci interessi la denotazione delle singole par-ti dell'enunciato stesso; e questo accade sempre quando, e soltantoquando, ci poniamo il problema del suo valore di verità.

Siamo cpsLJndotti a riconoscere la_ denotazione di un enun-ciato nel suo valore di #m?à7Inìèndò~per A

. _ ... ._  . _ . _ _ . . . _ - —-..

«

o IL P*l

enunciato là cifcgstanza cBè^esso sia vero o falso: non si dannoaltri valor'rdi verità. In breve li chiamerò, senz'dtfo, TuncTil_

, VeròIeJ'altra-iLEakQ^Ogni enunciato dichiarativo, in cui ciò che.À o interessa è la denotazione delle parole^^va~dunque considerato

come nome.prpprio, e la sua denotazione, nel caso che esista, è o ilVero o il Falso. Questi due oggetti sono riconosciuti, sia purèsolo tacitamente, da chiunque pronunci in generale un giudizio,

, da chiunque ritenga vero qualcosa, quindi anche dallo scettico.Designare i valori dLverìtà- come_joggetti_ pu ò sembrare ancoja

un fatto arbitrario e forse un. semplice, giucco dLparole dal qualenon si può trarre nul[a_cU,rilegante. Per chiarire che cosa siaquello che io chiamo oggetto sarebbe necessario trattare contem-

* Sarebbe desiderabile disporre di un'espressione particolare che indichii segni che debbono avere solo un senso. Se li chiamassimo per esempiofigure, allora le parole dell'attore sulla scena sarebbero figure, anzi lo stessoattore sarebbe una figura.

SENSO E DENOTAZIONE 17

poraneamente del concetto e della relazione, ma lo farò in unaltro saggio. Comunque, a questo punto dovrebbe essere abba-stanza chiaro che in ogni giudizio7, anche se ovvio, è già avve-nuto il passaggio dal livello del pensiero al livello della denota-zione (dell'oggettivo).

Si potrebbe essere tentati di vedere il rapporto del pensierocon il Vero non come rapporto tra senso e denotazione, ma còmequello tra soggetto e predicato. Si può infatti dire: "II pensiero

che 5 è un.nùìnèfcrprimo' e"vero." Ma, a be n vedere, ci sLaccor-ge che così non si dice niente di più del semplice enunciato:"5 è un numero primo ". L'asserzione della .verità è in entrambii. casi nella forma dell'enunciato- dichiarativo; ^e, quandp_guestonon ha la forza abituale (p.e. quando è affermato da un attoresulla scena), anche l'enunciato ."II pensiero che g è_un^numeroprimo è veto" contiene-.soltantajin_pen_siej:o, e .cioè_lg__s.tje§sopensiero del semplice enunciato: "5 è un numero jxrimg.". Sideve perciò ritenere che il rapporto tra il pensiero e il Vero nonpuò essere paragonato al rapporto tra soggetto e predicato. Sfl|fcgetto e predicato 4inte^i4n-senso JogicaLs£jio,jnz|̂ ^^siero, si..collocano.allo-stesso livello «del-conoscere. CoHegandosoggetto e predicato si giunge sempre e soltanto a un pensiero,non si passa da un senso alla sua denotazione, da un pensieroal suo valore di verità. Ci si muove sempre sul medesimo livello,non si passa da un livello a quello superiore. Un .valore-dLveritànon può essere parte, di un, pensiero, .proprio come non può^es-serlo il sole, perché non è un senso ma un oggetto.

Se è giusta la nostra supposizione che la denotazione di unenunciato è il suo valore di verità, allora il valore di verità_de-ye r imanere invariato._quanrlo si so^^4i^^ '̂"g^arfft,d£lL!£gH.n"ciato con un'espressione "avettte""la:-stessa™denotazione,«ma_jiinaltro senso. E infattM_e cose stannp cosV Lgjbniz da la seguentedefinizione: "Baderà sunt, quae sibi mutuo substitui possunt,salva ventate". Al di fuori deLvalore di verità, che cosa si po-trebbe trovare che sia proprio di ogni enunciato, che_tenga_£Qa-to in generale della denotazione delle parti costitutive, e che., ri-

manga immutato in una sostituzione del tipo suddetto?Se dunquelia -denotazione_ d i _ ~ . un .enunciato è_ o^tituita^dalsuo valore_jli verità, allora, tutti gli -enunciati v eri,- avranno .lastessa denotazione, e così pure tutti gli_enunciati falsi. Vediamo

7 Un giudizio non è per me il semplice afferrare un pensiero, ma il rico- ^ cc / (

iscere la sua verità.

f,«-toì

L - c e

noscere

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18 GOTTLOB FREGE SENSO E DENOTAZIONE 19

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:

4:

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perciò che nella denotazione dell'enunciato viene cancellato ogniaspetto particolare. Ciò chejLnteressa di un enunciato non dipen-derà mai soltanto dalla .sua denotazione; ma anche.il. sempucepensiero non dà_alcuna conoscenza: k conoscenza è^jielk_CQn-nessiqne deLpgnsiero-coa-k-sua -denò^tazTóne^Tossia condii suovalore di.verità. Il giudicare può.essere, considerato come K pro-gredke da un pensiero al suo. valore, di verità, Questa_norjL_deYecertamente essere una definizione. Il giudicare. è,qu_alcqsa_clLas-

sóJu_tamente^singòSre e incomparabile. Si potrebbe anche dkeche il giudicare è un distinguere T e parti entro il valore di ve-JÌJà.. Quésta~~dStìnzione avviene ritornando~al pensiero. Ognisenso che appartiene a un valore di verità corrisponderebbe aun modo particolare della scomposizione. La parola "parte" èusata qui in un modo del tutto speciale: ho cioè trasferito ilrapporto fra intero e parte dall'enunciato alla sua denotazione,in quanto ho chiamato "parte della denotazione di un enunciato"k denotazione di una parola, qualora la parola stessa faccia par-te di questo enunciato. È un modo' di esprimersi certamente di-scutibile, sia perché nel caso della denotazione l'intero e la par-te non determinano il resto, sia perché nel caso dei corpi k pa-rola "parte" viene usata in un altro senso. Si dovrebbe dunqueconiare un'altra espressione.lt

Occorre ora portare avanti l'esame della supposizione che ilvalore di verità di un enunciato sia la sua denotazione. Abbia-mo_Jrovato^che_il-valore...dLy_erità._d.i_un. enunciato rimane. intat-

; to se_sQStituiamo^ jielllenunciato,. una^ espressione cort..un'altradi .uguale-denotazione: non abbiamo .pero-ancora -trattato il ca-so in cui l'espressione da sostituire sia essa stessa un enunciato.Se è giusto il nostro punto di vista, il valore di verità deve resta-re invariato se sostituiamo, al posto di questo enunciato com-_ponente, un altro avente lo stesso .valore dOrerità. Efobbiamo

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componente., è un discorso diretto o indiretto. Infatt i , abbiamovisto che in questo caso la_denotazipne deUe_parole_npn jè _ quellaabituale. ITel discorso diretto un^nunaato denota di nuovo un

enunciato, in_quello^ indiretto denota un pensiero.~Ci troviamo- così indotti a~cònsiderarè gli~enunciati subordi-nati. Questi si presentano come parti..di-un-enunciato complesso,che da_un^puntojiLYistaJogica.equivale-a-un-enunciato, e precisa-mente a un ejimKiatpprincipale. Ma qui ci si presenta il prqble-_ma di sapere se ; andiOà~3enotàzione degli enunciati subordinatièjuh,.valorje^dÌ verità. Pejr_5uinidJrigìiàrdàI1Il3ìscorso indirettosappiamo già che. avviene proprio il contrario. I grammatici con-

siderano gli enunciati subordinati _ciato, e li juddividono^ irTHgminali^attrjbutivi e ayyeibiali. Daciò sL potrebbe supporre < ke ] a deriotazione_j^u^ejwnciato_su-bqraUnatp nonsia un__yjlore-di-v€rità, ma sia-simile__allaldeno-

di un_aggettivo.r di un_ avverbio, in..breye,di una parte di enunciato che_.non. ha.. _

ma una ..parte di es_sp. Solo__una...ricerca-più- approfondita-puòchiarire il problema. A tal fine non ci atterremo fedelmenteLalk.guida dei grammatici, ma raggnipperemo insieme, ciò cheJL-lctgicamente affine. In primo luogo esaminiamo i casi in cui il sen-so dell'enunciato subordinato, proprio come supponevamo, non èun pensiero indipendente.

Agli enunciati nominali astratti introdotti dalla congiunzione"che" appartiene anche il discorso indiretto. Abbiamo visto chein esso le parole hanno k loro denotazione indiretta che coin-cide con quello che è il loro senso abituale. In questo caso, dun-que, l'enunciato subordinato ha come denotazione un pensiero,e non un valore di verità; come senso ha non un pensiero, bensìil senso delle parole "il pensiero che1...", che è solo una partedel pensiero dell'intero enunciato complesso. Ciò avviene dopoi verbi "dke", "udire", "ritenere", "essere persuaso", "conclu-

dere" e simili

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. Diversamente, e in modo davvero complicato,stanno le cose con parole come "riconoscere", "sapere", "sup-porre", di cui tratteremo in seguito.

Che nei casi ora descritti la, denotazione, dell'enunciatp subor-dinato sia proprio il pensiero, si..vede-anàe.daì.Fatto_chgjperla verità dell'intero, è indifferente se quel pensiero sia vero ofalso. Si confrontino per esempio i due enunciati: "Copernicocredeva che le orbite dei pianeti fossero cerchi" e "Copernicocredeva che il moto apparente del sole fosse prodotto dal mo-vimento reale della terra". QHOi-paJ^L^oji^tiSiejimjeBHj^^psubordinato con~l'altrcLsenza,_prfigiudicare ; la .verità, t'enunciataprincipale insieme con quello subordinato h^rome_,_senso_soloun unico 'pensiero, e la verità di tutto, l'enunciato non includené la verità né la non-verità dell'enunciato subordinato. In que-

sti casi non è permesso sostituire nell'enunciato subordinato unaespressione con un'altra che abbia la stessa denotazione abituale;k sostituzione è possibile solo con un'espressione che abbia

1 Nell'enunciato "A mentiva dicendo di aver visto B", l'enunciato subor-dinato denota un pensiero di cui si dice in primo luogo che A lo affermòcome vero, e, in secondo luogo, che A era persuaso della sua falsità.

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