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La seconda guerra mondiale e il periodo dell’immediato dopoguerra provocarono il maggiore esodo di popolazione della storia moderna. Nel maggio 1945 si valutava in oltre 40 milioni il numero degli esuli in Europa, senza contare i tedeschi fuggiti davanti all’avanzata dell’armata sovietica, ad est, e nella stessa Germania gli stranieri costretti ai lavori forzati. C’erano, inoltre, all’incirca 13 milioni di persone di origine tedesca (Volksdeutsche), espulse nei mesi successivi dall’Unione sovietica e poi note col nome di espulsi (Vertriebene).Altri 11,3 milioni di lavoratori forzati e di sfollati furono trovati dagli alleati adibiti a lavori vari sul territorio dell’ex Reich tedesco 1 . In aggiunta a queste persone, oltre un milione di russi, ucraini, bielorussi, polac- chi, estoni, lettoni, lituani e persone di altre nazionalità fuggirono dal dominio comu- nista, quando apparve chiaro che il nuovo leader, Josef Stalin, stava imponendo un nuovo totalitarismo. Nel frattempo, la guerra civile in Grecia e altri conflitti nell’Europa sudorientale, scoppiati dopo la ritirata nazista, cominciavano a generare decine di migliaia di rifugiati. Anche fuori d’Europa, durante la guerra si erano avuti massicci esodi di popolazione. Fra di essi quello di milioni di cinesi, trasferiti in zone controllate dalle forze giapponesi in Cina 2 . Furono, però, i movimenti di popolazione da un capo all’altro del continente europeo, tragicamente devastato dalla guerra, a preoccupare di più le potenze alleate. Molto tempo prima della fine della guerra, queste erano già consapevoli del fatto che la liberazione dell’Europa avrebbe comportato la necessità di far fronte a massicci sconvolgimenti. Nel 1943 fu quindi creata l’Amministrazione delle Nazioni Unite per i soccorsi e la ricostruzione (Unrra), sostituita nel 1947 dall’Organizzazione interna- zionale per i rifugiati (Iro). Nel presente capitolo si esamina l’attività di questi orga- nismi, diretti predecessori dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr o, con sigla italiana, Acnur). Si descrive quindi l’evoluzione che ha portato alla creazione, nel 1950, dell’Unhcr, come pure all’adozione, nel 1951, della Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, divenuta da allora la pietra ango- lare della protezione internazionale degli esuli. Nel capitolo si analizza, infine, la rispo- sta dell’Unhcr alla sua prima grande sfida: l’esodo di 200mila persone dall’Ungheria, a seguito della repressione da parte delle forze sovietiche della rivoluzione del 1956. L’Unrra Nel novembre 1943, ancor prima della fine della seconda guerra mondiale e dell’istitu- zione formale, che sarebbe avvenuta solo nel giugno 1945, delle Nazioni Unite, gli allea- ti (compresa l’Unione sovietica) creavano l’Amministrazione delle Nazioni Unite per i soccorsi e la ricostruzione (Unrra). Dotata di un ampio mandato – collaborare ai soc- 1 Gli inizi

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La seconda guerra mondiale e il periodo dell’immediato dopoguerra provocarono ilmaggiore esodo di popolazione della storia moderna. Nel maggio 1945 si valutava inoltre 40 milioni il numero degli esuli in Europa, senza contare i tedeschi fuggitidavanti all’avanzata dell’armata sovietica, ad est, e nella stessa Germania gli straniericostretti ai lavori forzati. C’erano, inoltre, all’incirca 13 milioni di persone di originetedesca (Volksdeutsche), espulse nei mesi successivi dall’Unione sovietica e poi notecol nome di espulsi (Vertriebene). Altri 11,3 milioni di lavoratori forzati e di sfollatifurono trovati dagli alleati adibiti a lavori vari sul territorio dell’ex Reich tedesco 1.

In aggiunta a queste persone, oltre un milione di russi, ucraini, bielorussi, polac-chi, estoni, lettoni, lituani e persone di altre nazionalità fuggirono dal dominio comu-nista, quando apparve chiaro che il nuovo leader, Josef Stalin, stava imponendo unnuovo totalitarismo. Nel frattempo, la guerra civile in Grecia e altri conflittinell’Europa sudorientale, scoppiati dopo la ritirata nazista, cominciavano a generaredecine di migliaia di rifugiati. Anche fuori d’Europa, durante la guerra si erano avutimassicci esodi di popolazione. Fra di essi quello di milioni di cinesi, trasferiti in zonecontrollate dalle forze giapponesi in Cina 2.

Furono, però, i movimenti di popolazione da un capo all’altro del continenteeuropeo, tragicamente devastato dalla guerra, a preoccupare di più le potenze alleate.Molto tempo prima della fine della guerra, queste erano già consapevoli del fatto chela liberazione dell’Europa avrebbe comportato la necessità di far fronte a massiccisconvolgimenti. Nel 1943 fu quindi creata l’Amministrazione delle Nazioni Unite peri soccorsi e la ricostruzione (Unrra), sostituita nel 1947 dall’Organizzazione interna-zionale per i rifugiati (Iro). Nel presente capitolo si esamina l’attività di questi orga-nismi, diretti predecessori dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati(Unhcr o, con sigla italiana,Acnur). Si descrive quindi l’evoluzione che ha portato allacreazione, nel 1950, dell’Unhcr, come pure all’adozione, nel 1951, della Convenzionedelle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, divenuta da allora la pietra ango-lare della protezione internazionale degli esuli. Nel capitolo si analizza, infine, la rispo-sta dell’Unhcr alla sua prima grande sfida: l’esodo di 200mila persone dall’Ungheria,a seguito della repressione da parte delle forze sovietiche della rivoluzione del 1956.

L’Unrra

Nel novembre 1943, ancor prima della fine della seconda guerra mondiale e dell’istitu-zione formale, che sarebbe avvenuta solo nel giugno 1945, delle Nazioni Unite, gli allea-ti (compresa l’Unione sovietica) creavano l’Amministrazione delle Nazioni Unite per isoccorsi e la ricostruzione (Unrra). Dotata di un ampio mandato – collaborare ai soc-

1Gli inizi

corsi e alla ricostruzione delle regioni devastate –,l’Unrra non fu creata specificamente come agenziaper i rifugiati: assisteva tutti coloro i quali eranostati costretti dalla guerra ad abbandonare le lorocase, e non solo i rifugiati fuggiti dai loro paesi.Nel 1944-45, l’Unrra fornì aiuti d’emergenza amigliaia di rifugiati e sfollati nelle regioni control-late dagli Alleati, anche se l’Unione sovietica non leconsentiva di operare nei territori sotto il suo con-trollo. Fino alla fine della guerra in Europa, nelmaggio 1945, l’Unrra lavorò in stretta collabora-zione con le forze alleate, che fornivano l’appoggiologistico e materiale. A metà del 1945, l’Unrradisponeva di oltre 300 squadre sul terreno.

Finita la guerra, l’Unrra si concentrò in largamisura sul rimpatrio: la maggioranza dei profughidi guerra, infatti, erano impazienti di tornare alleloro case. Anche i paesi che avevano dato asilo a ungran numero di rifugiati, come la Germania,l’Austria e l’Italia, desideravano un loro rapido rim-patrio. Inoltre, gli accordi conclusi nelle conferenzedi Yalta e Potsdam, nel 1945, prevedevano il solleci-to rientro dei cittadini sovietici nel loro paese.

Fra maggio e settembre del 1945, l’Unrracollaborò al rimpatrio di qualcosa come settemilioni di persone 3. Come ha osservato uno sto-rico, tuttavia, l’Unrra fu costantemente frustratadalla propria subordinazione alle forze alleate:

L’Unrra si vide svuotata di prestigio e privata di ognicapacità di azione autonoma... Nel vuoto creato nei

primi tempi dalla palese impreparazione dell’organizzazione davanti all’immensità del compi-to, i militari si incaricarono di buona parte dell’attività a favore dei rifugiati. I soldati, però,sembravano altrettanto poco qualificati per occuparsi dei profughi, e in particolare di quelli diloro, sempre più numerosi, che non potevano o non volevano rimpatriare. Bruschi e ansiosi dismaltire il loro lavoro, gli amministratori militari vedevano in molti casi i rifugiati come unfastidio di cui sbarazzarsi 4.

L’operazione rimpatrio divenne sempre più controversa, in particolare col cresce-re dell’opposizione al rimpatrio stesso. Fra coloro che, durante tale periodo, erano statirapidamente rimpatriati vi erano circa due milioni di cittadini sovietici, molti deiquali, specie gli ucraini e gli abitanti dei paesi baltici, non volevano ritornare. Molti diloro finirono poi nei campi di lavoro staliniani. Gli abitanti dei paesi dell’Europaorientale furono fatti rimpatriare meno rapidamente. Pure molti di loro non deside-ravano far ritorno in paesi che si trovavano ora sotto un governo comunista. Molti,però, furono rimandati in patria, con scarso rispetto per i desideri da loro espressi.

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Questi rifugiati dell’Europa orientale, ospi-tati in un campo in Germania, erano fra milioni

di senzatetto alla fine dellaseconda guerra mondiale. (UNHCR/1953)

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Nansen e McDonald

L’Unhcr iniziò ad operare dopo laseconda guerra mondiale, ma delleiniziative internazionali concertate perassistere i rifugiati erano di fatto stateavviate già fra le due guerre. Fra il1919 e il 1939, violenti conflitti eturbolenze politiche avevano sradicato,nella sola Europa, oltre cinque milionidi persone, fra cui russi, greci, turchi,armeni, ebrei e repubblicani spagnoli.

Nel periodo fra le due guerre, due deipiù importanti pionieri dell’azioneinternazionale in favore degli esulifurono i primi due Alti Commissari per irifugiati, nominati dalla Società delleNazioni: il norvegese Fridtjof Nansen(1921-30) e lo statunitense JamesMcDonald (1933-35). Pur avendo puntidi vista differenti sul modo diaffrontare il problema, entrambiesercitarono una profonda influenzasulle successive iniziative internazionaliper la protezione dei rifugiati.

Fridtjof NansenLo sforzo internazionale di assistere irifugiati ebbe avvio nell’agosto 1921,quando il Comitato internazionale dellaCroce rossa chiese alla Società delleNazioni di soccorrere oltre un milione dirussi, costretti all’esodo a causa dellaguerra civile, molti dei quali soffrivanoper la carestia. La Società risposenominando Fridtjof Nansen, famosoesploratore polare, in qualità di “AltoCommissario per conto della Società delleNazioni per il problema dei rifugiati russiin Europa”. Più tardi, le sue competenzefurono estese ai rifugiati greci, bulgari,armeni e ad altri gruppi.

Nansen si assunse la gravosaresponsabilità di definire lo statusgiuridico dei rifugiati russi e diorganizzare il loro inserimentolavorativo nei paesi ospitanti, oppure illoro rimpatrio. Per svolgere tale enormecompito, la Società delle Nazioni gliassegnò 4mila sterline. In breve tempo,Nansen riunì dei collaboratori,costituendo quella che sarebbediventata la struttura di basedell’Unhcr: l’Ufficio dell’AltoCommissario a Ginevra, conrappresentanti locali nei paesiospitanti. Per reperire adeguatepossibilità di lavoro per i rifugiati,Nansen operò in stretta collaborazionecon l’Organizzazione internazionale dellavoro, aiutando qualcosa come 60milarifugiati a trovare un’occupazione.

Nansen dedicò particolare attenzionealla protezione giuridica, convocando

una conferenza internazionale cheportò alla creazione di documenti diviaggio e d’identità per i rifugiati, noticome “passaporti Nansen”. Dopo ilfallimento delle trattative con l’Unionesovietica per il rimpatrio degli esulirussi, Nansen propugnò l’adozione diulteriori misure, per garantire airifugiati uno status giuridico certo nelpaese ospitante. Quei primi attigiuridici costituirono poi la base delledue Convenzioni sulla materia, adottatenel 1933 e nel 1951.

Nel 1922, Nansen dovette far fronte aun’altra crisi: l’esodo di quasi duemilioni di rifugiati durante la guerragreco-turca. Si recò immediatamentenella regione, per partecipare alcoordinamento degli interventiinternazionali di assistenza. Durante lavisita in Grecia, Nansen sottolineò ildovere di neutralità dell’AltoCommissario nelle controversiepolitiche. Benché a titolo personaleattribuisse alla Turchia la responsabilitàdella crisi, distribuì gli aiuti sia airifugiati greci che a quelli turchi eincontrò esponenti di entrambe leparti. In ultimo, la Società delleNazioni lo incaricò di occuparsidell’insediamento, nella Traciaoccidentale, dei rifugiati di etnia grecaprovenienti dalla Turchia. Nansen spesebuona parte degli ultimi anni di vitacercando di lanciare un prestito per ilreinsediamento dei rifugiati armenipresenti nell’Unione sovietica: unobiettivo che però non riuscì arealizzare, a causa di una forteopposizione anticomunista.

Nel 1922, in riconoscimento della suaopera, Nansen ricevette il premio Nobelper la pace. Dopo la sua morte,avvenuta nel 1930, la sua azione fuportata avanti dall’Ufficio internazionaleNansen. A partire dal 1954, l’Unhcrconferisce ogni anno una medaglia cheporta il suo nome a individui o gruppidi persone che si siano particolarmentemessi in luce per la loro opera abeneficio dei rifugiati.

James McDonaldNegli anni ’30, la comunitàinternazionale dovette affrontarel’enorme problema dell’esodo di rifugiatidalla Germania nazista. La Società delleNazioni, pur rifiutando di finanziaredirettamente l’assistenza, nominò lostatunitense James McDonald,professore e giornalista, al posto di“Alto Commissario per i rifugiati (ebrei e

altri) provenienti dalla Germania”. Frail 1933 e il 1935, McDonald si battècontro le restrizioni all’immigrazioneposte in atto in tutto il mondo, perorganizzare il reinsediamento deirifugiati ebrei. La sua azione fuparticolarmente utile per coordinarele attività delle agenzie volontarie,che fornirono la maggior parte deifinanziamenti necessari perl’assistenza. Nei due anni in cui fuAlto Commissario, contribuì asistemare 80mila rifugiati inPalestina e in altre parti del mondo.

Nel settembre 1935, McDonaldaffrontò il suo compito piùimpegnativo allorché i nazistiadottarono le leggi di Norimberga,che privavano gli ebrei dellacittadinanza e del diritto di voto.Per di più, i nazisti incoraggiavano itedeschi a licenziare i dipendentiisraeliti e a boicottare le impreseebree. Via via che si inaspriva lapersecuzione, un’ondata di rifugiaticominciò ad abbandonare il paese.Scoraggiato per l’azione poco incisivadella Società delle Nazioni, McDonaldsi dimise il 27 dicembre 1935. In unalettera cui la stampa internazionalediede ampio rilievo, avvertiva:Quando le politiche nazionaliminacciano di demoralizzare degliesseri umani, le considerazioniispirate alla correttezza diplomaticadevono cedere il passo, davanti aquelle dettate dai principi umanitari.Sarei un vile se non richiamassil’attenzione sulla situazione reale, ese non mi appellassi all’opinionepubblica mondiale perché agisca,tramite la Società delle Nazioni e isuoi stati membri, per evitare letragedie in corso e quelle cheincombono su di noi i.

Malgrado gli sforzi di McDonald, ilsuo appello per un intervento direttoin Germania rimase inascoltato,mentre la Società delle Nazionicontinuava a considerare iltrattamento riservato dalla Germaniaagli ebrei come una questionepuramente interna. Nonostante ilfallimento dei suoi tentativi,McDonald si affermò come unsostenitore ante litteramdell’esigenza di una risoluta azionepolitica per affrontare alla radice lecause degli esodi di rifugiati.

Riquadro 1.1

Sebbene, in un primo tempo, i paesi occidentali non si rendessero conto di quello chesuccedeva a molti di quanti erano stati rimpatriati con la forza, il governo degli StatiUniti, in particolare, venne a criticare sempre più tali rimpatri.

Nel 1946 era ormai in corso un vivace dibattito circa l’opportunità o meno chel’Unrra prestasse assistenza a chi non desiderava rimpatriare. I paesi del blocco orien-tale sostenevano che l’assistenza doveva essere fornita solo agli esuli che tornavano alleloro case. I paesi del blocco occidentale, dal canto loro, ribadivano l’esigenza che i sin-goli individui fossero liberi di decidere se rimpatriare o meno, e che tale scelta nondovesse pregiudicare il loro diritto all’assistenza. Da parte sua, il governo americanodenunciava la politica di rimpatrio dell’Unrra e i suoi programmi di aiuto alla ripresae alla ricostruzione nei paesi del blocco orientale, affermando che servivano solo arafforzare la dominazione politica sovietica sull’Europa orientale 5.

La riluttanza dei rifugiati a far ritorno ai paesi d’origine continuò a costituire ungrosso problema, che avrebbe caratterizzato gli anni del dopoguerra. Anche in senoalle Nazioni Unite, il rimpatrio divenne un serio problema politico, uno dei temi piùcontroversi discussi dal Consiglio di sicurezza, nei suoi primi anni di esistenza. Ildibattito stava al centro del profondo conflitto ideologico che in quel tempo divideval’Est e l’Ovest. Si trattava di sapere se ognuno dovesse avere il diritto di scegliere il pro-prio paese di residenza, di fuggire l’oppressione e di esprimere le proprie opinioni.

Alla fine, il governo statunitense, che forniva il 70% del bilancio dell’Unrra ebuona parte dei suoi dirigenti, rifiutò di prorogarne il mandato al di là del 1947 e dierogare ulteriori finanziamenti. Al suo posto, e di fronte alla risoluta opposizione deipaesi del blocco orientale, gli Stati Uniti esercitarono forti pressioni per la creazionedi una nuova organizzazione per i rifugiati, con un diverso orientamento.

L’Organizzazione internazionale per i rifugiatiL’Organizzazione internazionale per i rifugiati (Iro) fu istituita nel luglio 1947 comeagenzia specializzata non permanente delle Nazioni Unite. Al momento della creazio-ne, si prevedeva che il suo programma triennale sarebbe stato interamente realizzatoentro il 30 giugno 1950.

Sebbene le sue attività fossero limitate all’assistenza ai rifugiati europei, l’Iro fu il primoorganismo internazionale a occuparsi in modo completo di tutti gli aspetti del fenomenodei rifugiati. Nelle sue funzioni rientravano il rimpatrio, l’identificazione, la registrazionee la classificazione, l’assistenza, compresa quella sanitaria, la protezione giuridica e politi-ca, il trasporto, il reinsediamento dai paesi d’asilo verso i paesi terzi e il reinserimento.Talemolteplicità di funzioni, tuttavia, mascherava un chiaro mutamento di indirizzo: da unapolitica di rimpatrio, come quella attuata dall’Unrra, a una di reinsediamento.

L’Atto costitutivo dell’Iro affermava, fra l’altro, che l’obiettivo principale dell’or-ganizzazione era quello di “incoraggiare e assistere il sollecito ritorno [dei rifugiati]nel paese di cui hanno la cittadinanza, o in quello in cui risiedevano abitualmente” 6.Tale affermazione era ridimensionata, però, dalla risoluzione dell’Assemblea generaleistitutiva dell’Iro, che dichiarava che “nessun rifugiato o esule [che formuli valideobiezioni] può essere costretto a tornare nel proprio paese d’origine” 7.

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Questo spostamento di accento, dal rimpatrio al reinsediamento, suscitò le criti-che dei paesi del blocco orientale, i quali sostenevano che il reinsediamento costitui-va un mezzo per procurarsi una fonte di manodopera prontamente disponibile, comeanche per offrire rifugio a gruppi sovversivi che avrebbero potuto minacciare la pacenel mondo. In concreto, l’Iro collaborò al rimpatrio di appena 73mila persone, con-tro oltre un milione che aiutò invece a reinsediarsi in paesi terzi. La maggioranza diquesti si trasferirono fuori d’Europa: negli Stati Uniti, che accolsero più del 30% deltotale; in Australia, Israele, Canada, nonché in vari paesi latinoamericani.

Apparve chiaro che gli anni ’50 avevano aperto una nuova era di emigrazione.Una delle motivazioni per cui venivano ammessi i rifugiati stava nei benefici econo-mici che potevano portare con sé, rivitalizzando le economie attraverso la disponibi-lità di lavoratori. I governi occidentali sostenevano che la dispersione dei rifugiati intutto il mondo avrebbe favorito una più equa distribuzione della popolazione, decon-gestionando l’Europa e recando benefici alle “democrazie d’oltremare”, sottopopola-te e meno sviluppate 8.

L’Iro non fu in grado, tuttavia, di dar soluzione al problema dei rifugiati. Alla finedel 1951, rimanevano in Europa all’incirca 400mila esuli, e l’organizzazione chiuse ibattenti ufficialmente nel febbraio 1952 9. Esisteva un ampio accordo sulla necessità dicontinuare la cooperazione internazionale per far fronte al fenomeno dei rifugiati, maun profondo disaccordo sugli obiettivi da raggiungere. I paesi del blocco comunista

In Germania, nel 1950, profughi in fila negli uffici dell’Organizzazione internazionale per i rifugiati, nella speranza di esserereinsediati in un nuovo paese. (IRO/1950)

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non risparmiavano le recriminazioni per il modo in cui l’Iro era stata, a loro modo divedere, strumentalizzata dai paesi del blocco occidentale. Gli Stati Uniti, da parte loro,si erano stancati di fornire quasi i due terzi dei finanziamenti di un’organizzazione checostava più di tutte le altre istituzioni delle Nazioni Unite messe asssieme.

La creazione dell’UnhcrLa fine degli anni ’40 aveva visto un irrigidimento della polarizzazione della guer-ra fredda, che avrebbe dominato le relazioni internazionali per i quattro decennisuccessivi. Il blocco di Berlino del 1948-49 era stato seguito, in rapida sequenza,dall’esplosione della prima bomba atomica sovietica, dalla fondazione di due statitedeschi separati, dalla creazione dell’Organizzazione del trattato nordatlantico(Nato), dalla vittoria di Mao Zedong in Cina e dall’inizio, nel 1950, della guerradi Corea. Era apparso sempre più chiaro che il problema dei rifugiati non era unfenomeno temporaneo del dopoguerra. Nuove crisi generavano nuovi esodi dirifugiati, come era avvenuto a seguito dell’avvento al potere dei comunisti, in paesiche andavano dalla Cecoslovacchia alla Cina. Nello stesso periodo, la cortina diferro fra l’Europa orientale e quella occidentale limitava il movimento delle per-sone fra i due blocchi.

Gli esuli provenienti da campi profughi in Austria, Germania e Italia s’imbarcano su una nave noleggiatadall’Organizzazione internazionale per i rifugiati, per cominciare una nuova vita negli Stati Uniti. (UNHCR/1951)

Le tensioni ideologiche proprie della guerra fredda caratterizzarono i negoziati per lacreazione, nell’ambito delle Nazioni Unite, di un nuovo organismo per i rifugiati. Questaera stata proposta da varie parti, e anche dal Comitato internazionale della Croce rossa(Cicr). L’Unione sovietica, seguita dai suoi stati satelliti, boicottò completamente buonaparte delle trattative, ma anche fra le potenze occidentali esistevano profonde divergenze. GliStati Uniti volevano un’agenzia temporanea, dal mandato rigorosamente definito, conmodesti finanziamenti e obiettivi limitati: più esattamente, la protezione dei rimanenti rifu-giati dell’Iro, fino al loro reinsediamento a tempo indeterminato. In particolare, volevanorifiutare al nuovo organismo una propria funzione nelle operazioni di soccorso d’emer-genza, privandolo del sostegno dell’Assemblea generale e negandogli il diritto di chiederecontributi volontari. Per contro, gli stati dell’Europa occidentale che sopportavano il mag-gior peso dei rifugiati – insieme con il Pakistan e l’India, che ospitavano milioni di rifugia-ti a seguito della partizione dell’India, avvenuta nel 1947 – erano a favore di un’istituzioneforte, permanente e multifunzionale. Si battevano, inoltre, per un Alto Commissario indi-pendente, dotato del potere di raccogliere fondi e di distribuirli ai rifugiati.

Il risultato di tale dibattito fu un compromesso. Nel dicembre 1949, l’Assembleagenerale dell’Onu decise, con 36 voti contro cinque e 11 astensioni, di istituire l’AltoCommissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) per un primo periodo trien-nale, a partire dal 1° gennaio 1951 10. Doveva trattarsi di un organo sussidiariodell’Assemblea generale, come previsto dall’articolo 22 della Carta dell’Onu. Lo Statutodell’Unhcr, adottato dall’Assemblea generale il 14 dicembre 1950, rifletteva nel con-tempo il consenso degli Stati Uniti e degli altri paesi occidentali, contrapposti a quellidel blocco orientale, e le divergenze che sussistevano fra gli Stati Uniti e i paesidell’Europa occidentale circa le rispettive priorità immediate. Secondo uno studioso, “Legravi limitazioni del campo d’azione e dei poteri dell’Unhcr erano principalmente ilrisultato del desiderio degli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali, di creare un organi-smo internazionale per i rifugiati che non costituisse una minaccia per la sovranitànazionale delle potenze occidentali, né imponesse loro nuovi impegni finanziari” 11.

L’articolo 2 dello Statuto dell’Unhcr afferma che l’attività dell’Alto Commissariato “hacarattere totalmente apolitico; è umanitaria e sociale e riguarda, di norma, gruppi e cate-gorie di rifugiati”. La distinzione qui fatta fra preoccupazioni politiche e umanitarie èstata di cruciale importanza. Molti funzionari dell’Unhcr sostengono che proprio l’ac-cento posto sul carattere apolitico della sua attività ha consentito in larga misura all’orga-nizzazione di operare sia durante l’era, carica di tensioni, della guerra fredda che in suc-cessive situazioni di conflitto armato. Altri osservatori argomentano che, se è vero che ladistinzione si sarebbe rivelata per molti versi utile, di fatto è stata sin dall’inizio alquantofuorviante, essendo stata concepita principalmente per attenuare i gravi effetti della bipo-larizzazione dei primi anni ’50, come pure per impedire una completa paralisi delleNazioni Unite quando affrontavano in quel periodo il fenomeno dei rifugiati 12. Alcunianalisti hanno, inoltre, sostenuto che, essendo l’Unhcr un organo sussidiario dell’Onu,soggetto al controllo formale dell’Assemblea generale, non può mai essere del tutto indi-pendente dagli organi politici delle Nazioni Unite 13. Il dibattito, tuttora in corso, sullaquestione è in larga misura imperniato sul fatto che si è omesso di definire chiaramentein che cosa consiste una “azione umanitaria” e in che cosa una “azione politica”.

Ma in che misura poteva un’organizzazione proteggere e assistere i rifugiati, rima-nendo apolitica? Il dibattito al riguardo non era nuovo. La questione era stata oggettodi discussione anche durante il periodo della Società delle Nazioni, quando FridtjofNansen e James McDonald, due Alti Commissari competenti per determinati gruppidi rifugiati, avevano adottato approcci diversi [cf. riquadro 1.1].

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L’assistenza delle Nazioni Uniteai rifugiati palestinesi

Nel novembre 1947, l’Assembleagenerale delle Nazioni Unite approvòla divisione della Palestina in unostato ebraico e uno stato arabo.Cinque mesi e mezzo dopo, il RegnoUnito, che aveva avuto il mandato diamministrare il territorio per tutto ilperiodo di esistenza della Società delleNazioni, si ritirava. La popolazionearaba della Palestina e gli stati arabirespinsero il piano di spartizione, cheattribuiva alla popolazione ebrea oltrela metà del territorio, sebbene lapopolazione araba fosse, all’epoca, piùnumerosa. Nel conflitto fra ebrei epalestinesi che ne seguì, gli ebreiannetterono altri territori. Il 14maggio 1948 era proclamato lo statod’Israele e quando, nel 1949, fuconcluso un armistizio, Israelecontrollava i tre quarti del territoriodell’ex mandato britannico.

Nel periodo precedente laproclamazione dello stato d’Israele enei nuovi scontri fra arabi ed ebreiche immediatamente la seguirono,circa 750mila palestinesi furonoespulsi o costretti a fuggire dallezone sotto controllo israeliano. LeNazioni Unite cercarono di negoziareil loro ritorno a casa, che fu peròbloccato da Israele.

Nuovi insediamenti israeliani furonorapidamente creati su vasteestensioni di terreno di proprietàpalestinese, e gli immigranti ebreiche via via arrivavano venivanoalloggiati in case pure appartenenti adei palestinesi. La maggioranza deirifugiati palestinesi si sistemò inaree urbane nei paesi arabi orimpatriò, ma circa un terzo deirifugiati rimase invece nei campiprofughi della regione. Da allora,quei campi sono il simbolo dellatragedia dei rifugiati palestinesi.

L’istituzione dell’Unrwa

In un primo tempo, l’assistenza airifugiati palestinesi fu fornita daorganizzazioni non governative, sotto

l’egida del Soccorso delle NazioniUnite per i rifugiati palestinesi(United Nations Relief for PalestineRefugees – Unrpr). In seguito, neldicembre 1949, l’Assemblea generaledell’Onu decise di istituire l’Agenziadi soccorso e lavori delle NazioniUnite per i rifugiati palestinesi delVicino Oriente (United Nations Reliefand Works Agency for PalestineRefugees in the Near East – Unrwa).

La decisione di istituire l’Unrwa fusoprattutto un’iniziativa del governostatunitense, che presiedeva laCommissione di conciliazione delleNazioni Unite per la Palestina. Fupresa quando apparve chiaro chedifficilmente il governo del nuovostato d’Israle avrebbe permesso ilrientro di un gran numero di rifugiatinel suo territorio. Il governo degliStati Uniti propose la creazione, daparte dell’Assemblea generale, diun’apposita agenzia per continuare afornire assistenza ai rifugiati, mache, in primo luogo, si incaricasse diavviare progetti di sviluppo su vastascala: da qui il termine “lavori” nelnome. Gli stati arabi accettarono laproposta solo dopo che fu loroassicurato che l’istituzione dell’Unrwanon avrebbe compromesso il dirittodei rifugiati di far ritorno alle lorocase, sancito nella risoluzione194(III), dell’11 dicembre 1948,dell’Assemblea generale. Ciò erachiaramente affermato nel mandatoistitutivo dell’Unrwa, approvato conla risoluzione 302(IV), dell’8dicembre 1949, dell’Assembleagenerale.

Nel contempo, alle Nazioni Unite sinegoziava la creazione di quello chesarebbe poi divenuto l’Unhcr. Unavolta istituita l’Unrwa, tuttavia, glistati arabi insistettero perché irifugiati palestinesi da essa assistitifossero esclusi dal mandatodell’Unhcr e dalla Convenzionedell’Onu sui rifugiati del 1951. Essitemevano, infatti, che la definizionedel rifugiato come singolo individuo,

contenuta nel progetto diconvenzione in discussione, potesseinsidiare la posizione deipalestinesi, il cui diritto al ritorno,come gruppo, era stato riconosciutoin precedenti risoluzionidell’Assemblea generale. Altritemevano, inoltre, che il carattereapolitico del costituendo organismonon fosse compatibile con quello,altamente politicizzato, dellaquestione palestinese.

Per questi motivi, sia lo Statutodell’Unhcr del 1950, sia laConvenzione delle Nazioni Unite suirifugiati del 1951 escludono “lepersone che attualmente ricevono...protezione o assistenza” da altriorganismi o agenzie dell’Onu. L’areageografica di attività dell’Unrwa èlimitata a Libano, Siria, Giordania,Cisgiordania e striscia di Gaza. Soloquando escono da tale zona, irifugiati palestinesi rientrano nelmandato dell’Unhcr e nellaConvenzione del 1951.

A differenza dell’Unhcr, l’Unrwa nondisponeva di un vero e proprioStatuto e, nel corso degli anni,elaborò una propria definizioneoperativa del rifugiato, contenutanelle “Istruzioni unitarie per laregistrazione” (ConsolidatedRegistration Instructions). Questedefinivano come rifugiati palestinesicoloro che avevano risiedutoabitualmente in Palestina peralmeno due anni prima del conflittodel 1948, che a seguito di questoavevano perso sia la casa che imezzi di sussistenza e che avevanotrovato rifugio, nel 1948, nelle zonedi attività dell’Unrwa. Hanno dirittoall’assistenza anche i lorodiscendenti.

Diversamente dall’Unhcr, il ruolodell’Unrwa non comprende la ricercadi soluzioni permanenti per i rifugiatidi sua competenza. Inoltre, ilmandato dell’agenzia riguardaprincipalmente la fornitura dei servizi

Riquadro 1.2

Gli inizi

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essenziali e non la protezioneinternazionale, che viceversacostituisce il fulcro dell’azionedell’Unhcr.

I primi anni dell’Unrwa

L’Unrwa sorse come agenziatemporanea, con un mandatorinnovabile periodicamente. All’iniziodegli anni 50, quando ancorarifiutavano di finanziare l’Unhcr, gliStati Uniti erano il principaledonatore dell’Unrwa e lo sonorimasti anche in seguito.

Nel 1950, l’Unwra aveva laresponsabilità di circa un milione dirifugiati, che vivevano in Giordania,Libano, Siria, Cisgiordania e nellastriscia di Gaza. Il suo primo compitofu di continuare il programma di aiutid’emergenza in corso, avviato dagliorganismi che l’avevano preceduta,come anche di aiutare i rifugiati alasciare le tende per sistemazionimeno precarie. Dal 1950 al 1957,l’agenzia finanziò dei programmiregionali di sviluppo economico,destinati a sviluppare l’agricoltura e apromuovere la cooperazioneinternazionale, per integrare ipalestinesi nell’economia dellaregione. A metà degli anni 50, l’Unrwasi sforzò di realizzare due grossiprogrammi di reinsediamento in paesiterzi. In entrambi i casi, sia i paesi didestinazione, sia gli stessi rifugiati lirespinsero, insistendo sul diritto alritorno.

Il fallimento di tali iniziativecondusse a un riesame delle finalitàdell’Unrwa per cui, dal 1957 al 1967,l’agenzia abbandonò i grandiosipiani di sviluppo regionale,concentrandosi invece sugli aiutiumanitari, l’istruzione e l’assistenzasanitaria nei campi profughi.

Nel 1967, a seguito della “guerra deisei giorni” arabo-israeliana, un grannumero di palestinesi fuggì o fuespulso, venendo a costituire un

nuovo gruppo di profughi checomprendeva esuli dellaCisgiordania, rifugiatisi in Giordaniae Siria, e della striscia di Gaza, chetrovarono riparo in Egitto eGiordania. Come nel 1948, una voltafuggiti, il governo israeliano vietò illoro ritorno in quelli che furonochiamati “Territori occupati”.

Dei 350mila palestinesi fuggiti inconseguenza della guerra del 1967,circa la metà furono classificati“sfollati”. Non essendo stati costrettiall’esodo nel 1948, non rientravanonel mandato dell’Unrwa, il che lirendeva ancora più vulnerabili.Benché il mandato stesso non fossestato modificato per farvi rientraretale nuova categoria, l’agenzia fornìloro nondimeno alcuni servizid’emergenza, con l’appoggiodell’Assemblea generale dell’Onu. Glialtri furono costretti alla fuga, per laseconda volta in 20 anni. InCisgiordania e a Gaza, l’occupazioneisraeliana creò un nuovo rapporto,estremamente delicato, fra l’Unrwa, irifugiati palestinesi e il governoisraeliano.

Sviluppi successivi

Ci vollero 20 anni perché, neldicembre 1987, i palestinesi deiTerritori occupati scendessero nellestrade, in una rivolta aperta espontanea. Un mese dopo lo scoppiodi quella che fu conosciuta comeintifada (rivolta), il Segretariogenerale delle Nazioni Unite proposeun limitato ampliamento del mandatodell’Unrwa, per includervi funzioni di“protezione passiva” nei territoridella Cisgiordania e della striscia diGaza occupati da Israele. Successiverisoluzioni dell’Assemblea generalehanno avallato questo approccio, cheha avuto come risultato il varo di unprogramma di assistenza legale,l’assunzione di altro personale, sialocale che internazionale, nonché ladislocazione di osservatori dei dirittiumani.

La Dichiarazione di principi delsettembre 1993 sull’autonomiapalestinese nei Territori occupati,sottoscritta dal leader palestineseYasser Arafat e dal primo ministroisraeliano Yitzak Rabin, mirava agarantire un graduale passaggio deipoteri all’Autorità nazionalepalestinese. Un mese dopo, persostenere il processo di pace,l’Unrwa lanciava un “programma diattuazione della pace”, checomprendeva il miglioramento deiservizi sanitari e dell’istruzione, lacostruzione di alloggi d’emergenzae di altre infrastrutture, nonché laconcessione di prestiti alle piccoleimprese.

I rifugiati sono ormai alla terza operfino alla quarta generazione.Nel 1999, nella regione erano circa3,6 milioni, su un totale di circasei milioni di palestinesi dispersiin tutto il mondo. In particolare,sono qualcosa come 1,5 milioni inGiordania e all’incirca 1,3 milioniin Cisgiordania e nella striscia diGaza. Quasi un terzo dei rifugiativive in 59 campi profughi, mentregli altri risiedono in villaggi ecittà nelle zone di attivitàdell’Unrwa. Malgrado le difficoltàdi finanziamento, nel corso deglianni questa ha realizzato circa 650scuole, che contano oggi oltre450mila allievi, otto centri diformazione professionale, 122centri sanitari e molti altriprogetti che rispondono a diversibisogni della comunità. Lenecessità dei rifugiati, tuttavia,rimangono molto rilevanti e,finché non si sarà trovata eattuata una soluzione politicapermanente e globale dellaquestione palestinese, lo statusgiuridico e il futuro dellamaggioranza dei rifugiatirimarranno incerti.

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Le funzioni preminenti dell’Unhcr erano di duplice ordine: primo, fornire ai rifu-giati una protezione internazionale; secondo, cercare soluzioni permanenti al proble-ma dei rifugiati, assistendo i governi nel facilitarne il rimpatrio volontario o l’assimi-lazione in seno a nuove comunità nazionali. Anche se alla nuova organizzazione fuconcesso il diritto di raccogliere contributi volontari, gli Stati Uniti riuscirono a otte-nere che la premessa per tali appelli fosse l’approvazione dell’Assemblea generale. Diconseguenza, l’Unhcr è venuto a dipendere da un modesto bilancio amministrativo,assegnato dall’Assemblea generale, e da un limitato “fondo d’emergenza”.

Nei primi tempi, il governo americano rifiutò di contribuire a tale fondo, dato che,in quella fase, non considerava l’Unhcr l’organismo più idoneo attraverso il quale con-vogliare mezzi finanziari. Decise, invece, di finanziare lo United States Escapee Program(Programma Usa per i fuggiaschi) e il Comitato intergovernativo per le migrazionieuropee. Quest’ultimo fu fondato nel 1952, per collaborare al trasferimento deimigranti e rifugiati dall’Europa verso paesi d’immigrazione extraeuropei, e divennesuccessivamente l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Nell’ambitodel sistema delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti finanziarono inoltre l’Agenzia di soccor-so e lavori delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi del Vicino Oriente (Unrwa)[cfr. riquadro 1.2] e l’Agenzia delle Nazioni Unite per la ricostruzione della Corea, chefornì assistenza a milioni di persone strappate alle loro case dalla guerra di Corea.

Sin dall’inizio, l’Unhcr fu limitato dall’inadeguatezza del suo bilancio. Ogni progetto diassistenza ai rifugiati doveva essere finanziato mediante contributi volontari, perlopiù distati. Non fu dotato dei mezzi per attuare un programma di rimpatrio, come quello realiz-zato dall’Unrra, né un programma di reinsediamento, come quello svolto dall’Iro.All’Unhcrfu chiesto, invece, di assicurare la protezione internazionale e di cercare soluzioni al feno-meno dei rifugiati, con appena un esiguo bilancio. Secondo le parole del primo AltoCommissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Gerrit Jan van Heuven Goedhart, esisteva ilpericolo effettivo che il suo ente si limitasse ad “amministrare la miseria” 14.

Con un bilancio annuale non superiore ai 300mila dollari, la speranza che, nel giro dipochi anni, l’Unhcr fosse in grado di dare una soluzione definitiva al problema dei rifugiatieuropei si rivelò illusoria. Malgrado gli sforzi dell’Alto Commissario van Heuven Goedhartper persuadere i governi delle dimensioni del fenomeno, questi si limitavano a erogare finan-ziamenti minimi. Cionondimeno, l’Unhcr collaborò in modo sempre più efficace con leagenzie volontarie. Il primo cospicuo stanziamento messo a disposizione dell’Unhcr nonvenne da un governo, ma dall’americana Fondazione Ford, che nel 1951 fece una donazio-ne di 3,1 milioni di dollari. Il denaro fu utilizzato per un progetto pilota, che per la primavolta metteva l’accento sull’integrazione nei paesi europei d’asilo come soluzione al proble-ma dei rifugiati. Successivamente, nel 1954, fu istituito un nuovo Fondo delle Nazioni Uniteper i rifugiati (Unref), per l’esecuzione di progetti in paesi quali l’Austria, la Repubblica fede-rale di Germania, la Grecia e l’Italia. Gli Stati Uniti contribuirono a tale fondo, mentre in pre-cedenza avevano rifiutato di finanziare l’Unhcr a seguito di una decisione del 1950 delCongresso, che aveva posto il veto all’impiego di fondi americani per qualunque organizza-zione internazionale che operasse nei paesi al di là della cortina di ferro.

Verso la metà degli anni ’50, anche la rigida opposizione iniziale dell’Unionesovietica all’Unhcr cominciò ad attenuarsi.A quell’epoca, la guerra fredda si era ormaipropagata ben al di là delle frontiere dell’Europa, e nuovi paesi esercitavano un’in-fluenza sull’attività della Nazioni Unite. L’Unione sovietica aveva contribuito a facili-tare l’ammissione nell’organizzazione di vari paesi in via di sviluppo, i quali ricono-scevano ora la potenziale utilità dell’Unhcr per i loro problemi di rifugiati.

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Riquadro 1.3 La Convenzione Onu del 1951sui rifugiati

La Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati fu adottatadalla Conferenza delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati e degliapolidi, svoltasi a Ginevra dal 2 al 25 luglio 1951. Fu aperta alla firmail 28 luglio ed entrò in vigore il 22 aprile 1954.

La Convenzione sancisce i diritti e i doveri dei rifugiati, come pure gliobblighi degli stati nei loro confronti, fissando le norme internazio-nali circa il trattamento che va loro riservato. Comprende, inoltre,principi volti a promuovere e tutelare i loro diritti in vari settori: lavo-ro, istruzione, residenza, libertà di movimento, accesso alla giustizia,naturalizzazione e, soprattutto, la garanzia di non essere costretti atornare in un paese nel quale rischino la persecuzione. Due delle piùimportanti misure sono quelle degli articoli 1 e 33:

Articolo 1 – Definizione del termine “rifugiato”A(2) [Chiunque]... avendo un fondato timore di persecuzione permotivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determi-nato gruppo sociale od opinioni politiche, si trova fuori del paesedi cui è cittadino e non può o, a causa di tale timore, non vuoleavvalersi della protezione di tale paese; oppure che, non avendouna cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui risiedeva abi-tualmente..., non può o non vuole tornarvi a causa di tale timo-re...

Articolo 33 – Divieto di espulsione o di respingimento(refoulement)1. Gli stati contraenti non possono in alcun modo espellere orespingere (refouler) un rifugiato verso le frontiere di territori incui la sua vita o la sua libertà siano in pericolo per motivi di razza,religione, nazionalità, appartenenza a un determinato grupposociale od opinioni politiche...

La definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione del 1951 eralimitata a coloro che lo erano divenuti “a seguito di avvenimenti veri-ficatisi anteriormente al 1° gennaio 1951”. Questa limitazione tem-porale, tuttavia, fu successivamente soppressa dall’articolo I(2) delProtocollo aggiuntivo del 1967 [cfr. riquadro 2.2]. Nell’aderire allaConvenzione, inoltre, gli stati avevano la possibilità di fare unadichiarazione che limitava i loro obblighi ai soli rifugiati divenuti talia causa di eventi verificatisi in Europa.

La Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati – assieme al Protocollo del1967 – costituisce tuttora il più importante strumento di dirittointernazionale, e l’unico di portata universale, in materia. Al 31dicembre 1999, 131 stati avevano aderito sia alla Convenzione del1951 che al Protocollo del 1967, mentre 138 stati avevano ratificatouno di tali strumenti o entrambi.

La redazione della Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati

I diritti e gli obblighi enunciati nella Convenzione del 1951 relativa allo status deirifugiati stanno al centro dell’attività dell’Unhcr. I negoziati per la sua elaborazionesi svolsero in parallelo con quelli per la creazione dell’Unhcr. La Convenzione fuadottata da una conferenza internazionale sette mesi dopo, il 28 luglio 1951.

Fu la definizione del temine “rifugiato” che suscitò particolari controversie.Poiché la Convenzione creava nuovi obblighi, vincolanti in base al diritto inter-nazionale, gli stati partecipanti al lavoro redazionale miravano a restringere taledefinizione alle categorie di rifugiati verso le quali sarebbero stati disposti adassumere obblighi giuridici. Gli Stati Uniti erano favorevoli a una definizionerestrittiva, in considerazione degli obblighi giuridici derivanti da una definizio-ne più estensiva. I paesi dell’Europa occidentale, al contrario, optavano per unadefinizione ampia, sebbene anche fra loro esistessero divergenze circa il suo esat-to tenore.

Alla fine si giunse a una formula di compromesso. I governi si misero d’accordosu una definizione generica, universalmente applicabile, del termine “rifugiato”,centrata sul concetto del “fondato timore di persecuzione”. Nel contempo, impone-vano due importanti limitazioni al campo d’applicazione della Convenzione. Inprimo luogo, di essa non potevano beneficiare le persone divenute rifugiate a segui-to di avvenimenti posteriori al 1° gennaio 1951, anche se altrimenti rispondevanoalla definizione. In secondo luogo, nell’aderire alla Convenzione, gli stati avevano lapossibilità di includere una dichiarazione che limitava ai soli rifugiati europei gliobblighi da essa derivanti.

L’adozione di tale definizione del termine “rifugiato” costituì un rilevante muta-mento d’indirizzo, in quanto significava che da allora in poi i rifugiati sarebbero statiriconosciuti tali non solo per gruppi, come negli anni precedenti, ma anche a titoloindividuale, caso per caso. Inoltre, ora la definizione era generica e non legata a spe-cifici gruppi nazionali, quali i russi dell’Unione sovietica o i greci della Turchia,come negli anni fra le due guerre.

Sebbene la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamasse il diritto del-l’individuo di chiedere e ottenere asilo, l’importanza per gli stati di preservare il propriodiritto sovrano di consentire l’ingresso nel loro territorio fece sì che gli stati che avevanoelaborato la Convenzione dell’Onu sui rifugiati non fossero disposti a riconoscere nellanuova Convenzione, giuridicamente vincolante, un diritto incondizionato all’asilo. Essanon contiene, pertanto, alcun riferimento a un “diritto all’asilo”.Tuttavia, una delle suedisposizioni essenziali prevede l’obbligo per gli stati firmatari di non espellere o riman-dare indietro un rifugiato verso un paese nel quale rischi la persecuzione. Il principio ènoto con l’espressione francese non refoulement (non respingimento), utilizzata nell’ar-ticolo 33 della Convenzione. Altre disposizioni in essa contenute riguardano i diritti deirifugiati in relazione a questioni come il lavoro, la casa, la scuola, la previdenza sociale, idocumenti personali e la libertà di circolazione [cf. riquadro 1.3].

Analoghi diritti erano contenuti nella Convenzione del 1933 relativa allo statusinternazionale dei rifugiati, che fu il primo strumento internazionale a menzionare

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il principio per cui i rifugiati non potevano essere rimandati con la forza nel paesed’origine 15. Essa era stata, però, ratificata solo da otto stati. Un altro strumento inter-nazionale d’interesse in questo campo era la Convenzione del 1938 relativa allo sta-tus dei rifugiati provenienti dalla Germania, che era stata vanificata, però, dalloscoppio della seconda guerra mondiale ed era stata oggetto di solo tre ratifiche. Laforza, invece, della Convenzione Onu del 1951 sta nel gran numero di ratifiche checonta in tutto il mondo [cf. cartina 1.1].

Firmatari della Convenzione e/o del Protocollo

LEGGENDA

Nota:I confini riportati sulla cartina sono quelli utilizzati dalla Sezione cartografica dell’Onu di New York, e non implicano un avallo o un’accettazione ufficiale da parte delle Nazioni Unite.

0 1000 2000

Chilometri

Stati firmatari della Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati e/o del Protocollo del 1967, al 30 giugno 2000 Cartina 1.1

Firmatari della Convenzione e/o del Protocollo

LEGGENDA

Nota:I confini riportati sulla cartina sono quelli utilizzati dalla Sezione cartografica dell’Onu di New York, e non implicano un avallo o un’accettazione ufficiale da parte delle Nazioni Unite.

La crisi ungherese del 1956

Per l’Unhcr, il primo grande test fu l’esodo dei rifugiati dall’Ungheria, dopo la repres-sione sovietica della rivolta del 1956. Molti di loro seguirono lo stesso itinerario versol’Austria già percorso, nel 1944-45, dagli ungheresi che fuggivano davanti all’avanza-ta dell’armata rossa. Mentre la grande maggioranza dei rifugiati – all’incirca 180mila– riparò in Austria, altri 20mila circa fuggirono nella Jugoslavia socialista, che nel1948 aveva troncato i rapporti con l’Unione sovietica. Tale esodo costituì per l’Unhcruna prima esperienza di intervento, di fronte a un massiccio afflusso di rifugiati chefuggivano dalla repressione politica. Per l’organizzazione fu, inoltre, la prima espe-rienza di collaborazione con il Comitato internazionale della Croce Rossa (inUngheria) e con la Lega delle società della Croce Rossa (in Austria).

Nel 1956-57, l’Unhcr realizzò una grande operazione di soccorso umanitario,assistendo i rifugiati in Austria e in Jugoslavia e collaborando al loro reinsediamentoin 35 paesi di tutto il mondo, come anche al rimpatrio volontario in Ungheria di alcu-ni di loro. La crisi fu gestita da Auguste Lindt, che era succeduto, il 10 dicembre 1956,a van Heuven Goedhart nella carica di Alto Commissario. Quella operazione segnò l’i-nizio della trasformazione dell’Unhcr, da piccolo organismo dell’Onu che si occupa-va degli ultimi rifugiati della seconda guerra mondiale, a organizzazione molto piùvasta, dotata di più ampie competenze. L’Unhcr sarebbe uscito dalla crisi, che diven-ne uno dei simboli più importanti della guerra fredda, molto rafforzato e con un pre-stigio internazionale notevolmente accresciuto.

Le origini profonde della crisi ungherese stavano nel disgelo che era succeduto,nell’Europa orientale e nell’Unione sovietica, alla morte di Stalin, nel marzo 1953. Ilregime stalinista asceso al potere in Ungheria, nel 1947-48, era tra i più stalinistidell’Europa orientale. Nel 1949 inscenò una serie di processi farsa, che rispecchiava-no quelli di Mosca del 1936, e che per molti dirigenti comunisti si erano conclusi conuna sentenza capitale. In seguito, nel 1954, l’anno dopo la morte di Stalin, il capo dellapolizia segreta e il primo segretario del partito comunista, il partito al governo, furo-no a loro volta arrestati e processati, con l’accusa di abuso di potere e di aver proce-duto ad arresti immotivati.

Nel febbraio 1956, il famoso discorso di Nikita Krusciov in occasione del 20° con-gresso del Partito comunista dell’Unione sovietica, in cui riconosceva che Stalin avevacommesso gravi errori, ebbe l’effetto di un terremoto, non solo nell’Unione sovieticama in tutto il mondo comunista. Il suo preciso impegno a ripensare i rapportidell’Urss con i paesi satelliti ebbe conseguenze drammatiche nell’Europa orientale, epiù particolarmente in Polonia e Ungheria. In Polonia, le manifestazioni e gli sciope-ri di giugno portarono a un cambio di governo e ad una liberalizzazione, attentamenteponderata del regime che fu accettata con riluttanza da Mosca.

In Ungheria, per contro, i tentativi di riforma avrebbero avuto una tragica con-clusione. In un primo tempo sembrò che il regime riconoscesse la necessità di rifor-me. Diede il proprio avallo ad alcune concessioni alle masse contadine e ad un’atte-

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nuazione del regime del terrore, nominando nel contempo, a denti stretti, primoministro Imre Nagy, critico dell’industrializzazione forzata e della collettivizzazione.Le manifestazioni popolari dell’ottobre 1956 rivelarono, tuttavia, la disapprovazionegeneralizzata del regime e l’odio nei confronti della sua polizia segreta. Il movimen-to culminò, il 23 ottobre, in una massiccia rivolta, quando qualcosa come 300milapersone scesero in piazza, scontrandosi con le truppe ungheresi e sovietiche. Il 27ottobre, in risposta agli appelli della popolazione, Nagy formò un governo di coali-zione, da cui erano esclusi i comunisti e gli oltranzisti, promettendo inoltre libere ele-zioni. Il 1° novembre, dovette rassegnarsi a proporre di ritirare l’Ungheria dal Pattodi Varsavia e a dichiararne la neutralità.

Mentre in un primo momento si era allontanato da Budapest, il 4 novembre l’e-sercito sovietico attaccò in forze la capitale. Nei combattimenti generalizzati dipiazza che seguirono, la resistenza all’Armata rossa – che disponeva di 200mila sol-dati e oltre duemila carri armati – fu schiacciata con decisione. Migliaia di unghe-resi furono deportati o, come Nagy, giustiziati. Più di tremila persone trovarono lamorte nelle strade di Budapest, nei 10 giorni di quello che sarebbe diventato il piùviolento scontro armato in Europa, fra la seconda guerra mondiale e le guerre inJugoslavia degli anni ’90.

Nel 1956, in cerca di scampo dalla repressione sovietica della rivolta, un gruppo di ungheresi attraversail confine austriaco. (RDZ/1956)

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Riquadro 1.4 Il programma tedesco di indennizzi ai rifugiati

Poco dopo la creazione, nel 1949, dellaRepubblica federale di Germania, sicominciò a discutere la questione degliindennizzi alle vittime dellepersecuzioni naziste. Il termine“riparazione” o, in tedesco,Wiedergutmachung (alla lettera,“ripristino”) fu usato di rado, perchéera generalmente riconosciuto chenessun risarcimento in denaro avrebbemai potuto compensare gli orroridell’olocausto.

Le prime leggi della Repubblica federaledefinivano come “perseguitati”, ai finidell’indennizzo, coloro i quali avevanosofferto per motivi di razza, religione odopinioni politiche. Altri, anche se eranostati in un campo di concentramento oavevano dovuto lavorare come schiavi,non erano classificati come“perseguitati”, ma come persone“danneggiate per motivi di nazionalità”(Nationalgeschädigte in tedesco).

I “perseguitati per la nazionalità” eranodecine di migliaia: polacchi, ucraini,bielorussi, serbi, cechi, slovacchi ealtri, che erano stati internati odeportati per lavorare come schiavinelle fabbriche tedesche. Nellamaggioranza dei casi, la vita deisuperstiti era distrutta: la saluterovinata, le famiglie esuli e disperse, lecase sinistrate o distrutte. Dopo laguerra, molti si erano trasferiti inNordamerica, Sudamerica, Sudafrica oAustralia, ma i nuovi paesi di residenzanon avevano accolto le loro richieste dirisarcimento, dato che al momentodelle persecuzioni non ne eranocittadini.

I primi negoziati in materiad’indennizzo si incentrarono suiperseguitati per motivi religiosi. LaConferenza sulle rivendicazionimateriali ebree nei confronti dellaGermania (“Conferenza sullerivendicazioni”), creata nel 1951, riunìnumerose organizzazioni israelite e, damezzo secolo a questa parte, si èbattuta risolutamente in favore dellevittime ebree del nazismo. Altre vittime– ad esempio, i rom (nomadi) o icomunisti – e i “perseguitati per lanazionalità” non disponevano dianaloghe organizzazioni.

La prima legge della Repubblicafederale di Germania in materia diindennizzi, emanata nel 1953,

alle persecuzioni subìte, mal’indennizzo era comunque consideratodi grande importanza per dimostrarealle vittime che non erano statedimenticate.

Nel 1980, la Conferenza sugli indennizziavviò negoziati con la Repubblicafederale di Germania in vistadell’istituzione di un nuovo fondo pergli ebrei perseguitati, fuggiti inOccidente solo dopo il 1965. Inoltre,l’Unhcr richiese ulteriori fondi per i“perseguitati per la nazionalità”,divenuti rifugiati dopo il 1965.

Le trattative ebbero come risultato lacreazione di tre nuovi fondi, con unadotazione totale di 500 milioni dimarchi, a beneficio delle vittimedefinite dalla normativa tedesca, conesclusione dei “perseguitati per lanazionalità”. Per quest’ultima categoriafu istituito un nuovo fondo dotato di 5milioni di marchi, amministratodall’Unhcr, ma apparve ben prestochiaro che non sarebbe statosufficiente. L’emigrazione dall’Europaorientale, specie dalla Polonia, era inaumento, e la nuova ondata di rifugiatine comprendeva molti che avevanodiritto al risarcimento. Nel 1984, laGermania aumentò il fondo gestitodall’Unhcr di altri 3,5 milioni. Amaggio dello stesso anno, erano statericevute oltre 1.100 nuove domande ese ne attendevano altre, tuttepresentate da superstiti divenutirifugiati dopo il 1965.

Le lettere pervenute all’Unhcrdimostravano che i richiedentisoffrivano ancora per gli effetti dellepersecuzioni. Molti erano in condizionidi salute talmente precarie da nonpoter lavorare. Nessuna somma didenaro avrebbe potuto riparare il dannosubìto, ma le vittime volevano unriconoscimento delle loro sofferenze,anche se in molti casi avevano giàsuperato l’età della pensione.

L’assistenza dell’Unhcr ai rifugiatitramite il “fondo sofferenze” èterminata nel 1993. A quella data, ilgoverno federale tedesco aveva versato,tramite il fondo amministratodall’Unhcr, un totale di 59 milioni dimarchi a rifugiati ed ex rifugiati,vittime della barbarie nazista.

assicurava un limitato risarcimento adalcuni “perseguitati per la nazionalità”,la cui salute era stata seriamentedanneggiata e che erano diventatirifugiati entro determinati termini. Altriprovvedimenti, adottati nel 1956, nonconcessero ulteriori aiuti a talecategoria.

Nel 1957, alcuni paesi occidentaliintavolarono trattative col governo diBonn per ottenere l’indennizzo dei lorocittadini. Si parlò di un “fondomondiale” destinato anche ai“perseguitati per la nazionalità”, ma fudeciso che la questione dei risarcimentiavrebbe dovuto aspettare la conclusioneformale del trattato di pace. Nelfrattempo, la Germania avrebbediscusso con l’Unhcr in merito airifugiati che avevano sofferto a causadella loro nazionalità.

Nel 1960, la Germania concluse unprimo accordo con l’Unhcr. Questoavrebbe gestito un “fondo sofferenze”con una dotazione di 45 milioni dimarchi, messo a disposizione dalgoverno per i “perseguitati per lanazionalità” divenuti rifugiati prima del1° ottobre 1953. Nei cinque anniseguenti, l’Unhcr versò indennizzicompresi fra 3mila e 8mila marchi, infavore di circa 10mila persone.

Nel frattempo, altri potenzialibeneficiari erano fuggiti in Occidente, enel 1965 il fondo era ormai esaurito.Un anno dopo, l’Unhcr concludeva colgoverno tedesco un accordosupplementare, che spostava al 31dicembre 1965 la data limite eprevedeva un’ulteriore dotazione di 3,5milioni di marchi. Le richieste dirisarcimento continuarono, tuttavia, asuperare i fondi disponibili e anche ilfinanziamento aggiuntivo andòrapidamente esaurito.

La ripartizione delle modeste sommemesse a disposizione dell’Unhcrrappresentò un arduo compito. Ilpersonale dell’organizzazione passava alvaglio le domande dei superstiti, giunteda tutte le regioni del globo. Moltiallegavano foto di prima delladeportazione e dei lavori forzati inGermania. Altri inviavano certificatimedici, bilanci familiari scritti a mano,conti non pagati. Gli importirelativamente esigui disponibili eranoassolutamente sproporzionati rispetto

L’esodo dei rifugiati

Ancor prima della repressione della rivoluzione ungherese, in Austria erano comin-ciati ad arrivare dei rifugiati. Il 5 novembre, la situazione era ormai abbastanza seriaperché il governo austriaco facesse appello all’assistenza dell’Unhcr. Ben prestogiunsero offerte di asilo, permanente o temporaneo, da alcuni paesi: Canada, Cile,Danimarca, Francia, Norvegia, Regno Unito, Svezia. L’8 novembre, il presidenteDwight D. Eisenhower annunciava che gli Stati Uniti erano disposti ad accoglieresubito 5mila rifugiati. La cifra fu successivamente portata a 6mila e, in dicembre, ilgoverno americano annunciò la possibilità di esaminare, in Austria, le domande dialtri 16.500 ungheresi, in vista dell’ammissione negli Stati Uniti 16.

Alla fine, qualcosa come 200mila rifugiati ungheresi avrebbero abbandonato laloro patria. A fine novembre, si erano registrati in Austria 115.851 arrivi. Uomini,donne e bambini fuggivano, terrorizzati e disperati, trascinando valigie e carriole.Seguivano la stessa strada, verso la località frontaliera di Hegyeshalom, che era statapercorsa 12 anni prima da decine di migliaia di ebrei ungheresi, deportati dai nazi-sti. Nelle parole di un rifugiato: “Abbiamo lasciato tutto, come si farebbe avendo lacasa in fiamme” 17. Fra il dicembre 1956 e il gennaio 1957 affluirono in Austria altri56.800 esuli. In seguito, gli arrivi nel paese subirono un drastico calo, principal-mente a seguito dell’inasprimento dei controlli alle frontiere da parte del nuovoregime di János Kádár, insediato a Budapest dai sovietici.

Di fronte a tale afflusso, il governo austriaco inviò all’Unhcr un appello urgen-te per un aiuto finanziario e per il reinsediamento in paesi terzi del maggior nume-ro di rifugiati possibile. L’Austria si riprendeva appena dalle sofferenze della secon-da guerra mondiale, quando il paese era stato teatro di aspri scontri fra i nazisti el’esercito sovietico che avanzava. L’occupazione alleata dell’Austria, che come laGermania era stata divisa in quattro zone, era formalmente terminata nel maggio1955. Quattro mesi dopo, le forze di occupazione si erano ritirate e, all’inizio del1956, le autorità ungheresi avevano rimosso buona parte dei reticolati alla frontie-ra tra i due paesi. Pertanto, l’Austria aveva ritrovato da poco la propria sovranità e,durante la crisi, aveva ribadito la sua posizione di neutralità, fra i due blocchi dellaguerra fredda.

L’operazione di soccorso umanitario a beneficio dei rifugiati fu guidata dallaCroce rossa, in stretta collaborazione con l’Unhcr. Sarebbe stata la prima di una lun-ghissima serie di emergenze in cui le due organizzazioni avrebbero lavorato fianco afianco, sul terreno. La base giuridica per l’intervento dell’Unhcr fu fornita dalla riso-luzione 1006, del 9 novembre 1956, dell’Assemblea generale dell’Onu. In dicembre,pochi giorni dopo la sua nomina ad Alto Commissario, Auguste Lindt si recò nellacapitale austriaca, per valutare personalmente le necessità più urgenti dei rifugiatiungheresi che, in quel periodo, entravano in Austria al ritmo di 3mila ogni notte 18.

Alcuni esuli, inoltre, trovarono un’alternativa all’asilo in Austria riparando inJugoslavia, un paese comunista, ma il cui leader, Josip Broz Tito, aveva nel 1948 rottoi ponti con Stalin. Dopo la morte di Stalin i rapporti con l’Urss erano migliorati e isuoi successori, Nikita Krusciov e Nikolai Bulganin, si erano recati nel maggio 1955a Belgrado, indicando così l’accettazione sovietica della via autonoma seguita dallaJugoslavia. In tale contesto, la decisione di Tito di ammettere i rifugiati ungheresi fuparticolarmente coraggiosa 19.

Gli inizi

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La Jugoslavia era stata l’unico paese comunista a partecipare alla conferenzainternazionale di Ginevra che aveva redatto la Convenzione Onu del 1951 sui rifu-giati. Nell’aprile 1953, il primo Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifu-giati, van Heuven Goedhart, si era personalmente recato nel paese per presentare algoverno jugoslavo l’attività dell’Unhcr. Si trattava della prima visita del genere a unpaese comunista 20. Il ponte così gettato fra l’Unhcr e la Jugoslavia si sarebbe rivela-to molto utile durante la crisi ungherese. Nel dicembre 1956,Tito chiedeva diretta-mente l’assistenza dell’organizzazione per far fronte all’afflusso dei rifugiati.

In un primo tempo, il governo jugoslavo sostenne che tutti i rifugiati dovevanoessere reinsediati e che lo stato doveva essere indennizzato di tutte le spese sostenu-te. Queste condizioni, tuttavia, finirono con l’essere abbandonate. Fra novembre edicembre 1956, arrivarono in Jugoslavia circa 1.500 ungheresi, mentre nel sologennaio 1957 ne giunsero oltre 13mila 21. Nel paese vivevano già decine di migliaiadi persone di origine ungherese, soprattutto nella regione della Vojvodina, il chefacilitò l’accoglienza dei rifugiati. Ironia della sorte, negli anni ’90, con la disgrega-zione della Jugoslavia, molti abitanti di discendenza ungherese avrebbero fatto ilviaggio nella direzione opposta.

Per far fronte all’emergenza, in Jugoslavia fu creato, il 21 febbraio 1957, un comita-to di coordinamento in cui erano rappresentati il governo, l’Unhcr, la Lega delle societàdella Croce Rossa, la Cooperative Action for American Relief Everywhere (Care), il ChurchWorld Service, come anche la British Voluntary Society for Aid to Hungarians. Nel marzo 1957,allorché l’Alto Commissario Lindt si recò a Belgrado, elogiando il governo per il tratta-mento riservato ai rifugiati ungheresi, l’Unhcr aveva già erogato 50mila dollari alla CroceRossa jugoslava, e assegnato altri 124mila dollari al proprio ufficio di Belgrado 22.

L’applicabilità della Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati

Mentre, in genere, gli ungheresi che avevano abbandonato il loro paese nel 1956erano considerati, dai governi dei paesi occidentali, come “rifugiati”, non fu subi-to chiaro se i diritti e gli obblighi enunciati nella Convenzione del 1951 si appli-cassero alla crisi ungherese, dato che vi si indicava chiaramente che essa si applica-va solo ad “avvenimenti verificatisi prima del 1° gennaio 1951”.Indipendentemente, comunque, dalla loro posizione legale, tutti coloro che eranopartiti dopo il 23 ottobre 1956, data della sollevazione popolare di Budapest, furo-no nella pratica considerati, dall’Unhcr e dai governi occidentali, come rifugiati,purché l’esame dei singoli dossier non fornisse indicazioni per escluderli da talecategoria. A questo riguardo, si ebbe una similarità con la prassi seguita a suo tempodella Società delle Nazioni, quando lo status giuridico di una persona era determi-nato in base all’appartenenza a uno specifico gruppo di rifugiati.

Per una trattazione giuridica di questa come di molte altre questioni insorte neiprimi due decenni di vita dell’Unhcr, la voce più autorevole era quella di Paul Weis,rifugiato originario di Vienna e, all’epoca, consulente giuridico dell’AltoCommissario. Su richiesta di quest’ultimo, Weis definì, in un promemoria fonda-mentale del gennaio 1957, la posizione dell’Unhcr 23. Lo fece non solo per l’esi-genza di un chiarimento della questione, ma anche a causa di perplessità, nutritepure da paesi solitamente accoglienti come la Svezia, circa una estensione dellecompetenze dell’Unhcr anche ad avvenimenti contemporanei.

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Per Weis il punto di partenza logico era la definizione di “rifugiato” che figuranell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951, e in particolare il problematico col-legamento, in esso contenuto, della definizione stessa ad “avvenimenti verificatisiprima del 1°gennaio 1951”. Egli fece rilevare che, nel resoconto della sua primaseduta del 17 febbraio 1950, il Comitato ad hoc sull’apolidia e problemi connessi,che aveva redatto il progetto di convenzione, aveva argomentato che tale espressio-ne era “intesa nel senso di eventi di grande rilevanza, che comportassero cambia-menti territoriali o profondi cambiamenti politici, come pure programmi sistema-tici di persecuzione”. Dichiarò, inoltre, che da tale interpretazione e dalle discus-sioni svoltesi nei vari organi che avevano redatto la definizione della Convenzione,risultava chiaro che la data in cui una persona era divenuta rifugiata era irrilevante.Weis continuava sostenendo che, in Ungheria, era chiaro che vi erano stati “profon-di cambiamenti politici”, nella fattispecie la creazione, nel 1947-48, di una repub-blica popolare dominata dal partito comunista. La rivolta dell’ottobre 1956 e il con-seguente esodo di rifugiati erano, in tal senso, “un effetto ritardato di quel prece-dente mutamento politico”. Purché rispondessero ai requisiti dell’articolo 1A(2),gli esuli erano quindi indubbiamente dei rifugiati.

Per quanto riguarda poi lo Statuto dell’Unhcr, secondo Weis si doveva chiara-mente ritenere che i rifugiati provenienti dall’Ungheria, e che rispondevano allecondizioni dell’articolo 6B, rientrassero nel mandato dell’organizzazione. Tale arti-colo ne estende la competenza a “ogni altra persona che si trova fuori del paese dicui ha la nazionalità... a causa di un fondato timore di persecuzione, per motivi dirazza, religione, nazionalità od opinioni politiche e non può... tornare nel paesedove risiedeva abitualmente”. Weis ammetteva che sembrava “sconcertante” che loStatuto dell’Unhcr contenesse, agli articoli 6A(ii) e 6B, due definizioni quasi iden-tiche dei rifugiati che rientrano nelle competenze dell’organizzazione, salvo per ilfatto che la prima di tali disposizioni contiene il limite temporale del 1° gennaio1951. Lo attribuiva al fatto che, in seno agli organi deliberanti responsabili della ste-sura della Convenzione e dello Statuto, si erano contrapposte due posizioni diversecirca la definizione del termine “rifugiato”: quella universalistica, che auspicava unadefinizione ampia e generica, e quella più prudente, favorevole a una definizioneche elencasse le varie categorie di rifugiati. Alla fine, la definizione che ne risultòera stata un compromesso, elaborato da un gruppo di lavoro informale.

In ultima analisi, secondo Weis dalla storia di quelle deliberazioni risultava chia-ro che, se è vero che anche coloro che erano divenuti rifugiati a seguito di avveni-menti posteriori al 1° gennaio 1951 rientravano nelle competenze dell’Unhcr, l’AltoCommissario poteva sempre interpellare il Comitato consultivo (poi Comitato ese-cutivo) o sottoporre la questione all’Assemblea generale dell’Onu, come chiara-mente indicato dagli articoli 1 e 3 dello Statuto. Nel caso dei rifugiati ungheresi,questa aveva esplicitamente stabilito la competenza dell’Alto Commissario 24.

Il reinsediamento dei rifugiati ungheresi

Le risorse del Fondo delle Nazioni Unite per i rifugiati, istituito nel 1954, reseropossibile l’operazione d’emergenza dell’Unhcr in favore dei rifugiati che avevanocercato scampo dalla repressione della rivolta ungherese. Inoltre, l’Alto Commissariolanciò un appello per raccogliere contributi straordinari, e la risposta fu generosa.

Gli inizi

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Nel novembre 1956 fu creato un comitato misto, di cui facevano parte l’Unhcr, ilComitato intergovernativo per le migrazioni europee, il governo austriaco, loUnited States Escapee Program e alcune agenzie volontarie. Nell’inverno del 1956 eper tutto il 1957, queste ultime svolsero un ruolo fondamentale collaborando all’as-sistenza umanitaria e al reinsediamento dei rifugiati ungheresi.

Sin dall’inizio fu considerato prioritario, come soluzione del problema, il rein-sediamento dei rifugiati in paesi terzi. L’Austria, che nei primi tempi aveva soppor-tato un onere schiacciante, aveva bisogno di essere rapidamente aiutata. Inoltre, tuttoil mondo occidentale era sdegnato per la piega presa dagli avvenimenti d’Ungheria,e provava un acuto senso di colpa per non aver fatto di più per aiutare il popoloungherese, nella sua lotta per la democrazia.

In misura forse difficilmente immaginabile alla fine del 20° secolo, i governioccidentali subirono notevoli pressioni, da parte delle popolazioni, perché desseroimmediata accoglienza ai rifugiati. Per la registrazione degli esuli che arrivavano inAustria non fu creato un ente centrale, a causa dell’esigenza largamente condivisa diun rapido reinsediamento. In un promemoria del 20 novembre 1956, ad esempio,la Delegazione dell’Unhcr a Vienna informava l’Alto Commissario che non era asso-lutamente possibile svolgere le normali procedure di selezione, per determinare lostatus di rifugiato 25. Fu quindi concordato con le autorità austriache che l’istrutto-ria dei singoli casi avrebbe avuto luogo nei paesi di reinsediamento.

La rapidità con cui i rifugiati furono trasferiti in paesi terzi può essere giudica-ta dalle cifre degli arrivi negli Stati Uniti. Un primo gruppo di 60 esuli ungheresigiunse in aereo il 21 novembre 1956 26. Una grande base dell’esercito, Camp Kilmer,nel New Jersey, fu messa a disposizione per dar loro una sistemazione temporanea.Fino a tutto febbraio 1957, altri 9mila rifugiati attraversarono l’Atlantico con aereidella US Air Force e ancora 7mila a bordo di navi della US Navy. A metà del 1958,gli Stati Uniti avevano già reinsediato circa 38mila esuli ungheresi. Gli altri princi-pali paesi di reinsediamento furono: Canada (35mila), Regno Unito (16mila),Repubblica federale di Germania (15mila), Australia (13mila), Svizzera (11.500) eFrancia (10mila). Gruppi meno numerosi furono accolti nei paesi e territori piùsvariati: Cile, Irlanda, Islanda, Nuova Caledonia, Paraguay, Repubblica dominicana eSudafrica.

Il rimpatrio in Ungheria

Anche nel contesto della polarizzazione propria della guerra fredda, il reinsedia-mento non era l’unica soluzione possibile per i rifugiati. Alcuni di loro, e in parti-colare quelli separati dai familiari, optarono per il rimpatrio, peraltro incoraggiatodal governo ungherese. A partire dal 1957, il regime di Kádár, insediato col favoredell’intervento militare sovietico, cominciò a mostrare cauti segni di una modestaautonomia, tacitamente tollerata dall’Unione sovietica. In tal senso, fu notevole ladifferenza fra l’Ungheria post-1956 e la Cecoslovacchia post-1968, vittima di unintervento militare sovietico ancor più repressivo.

Già a fine novembre 1956, il nuovo governo ungherese aveva concesso una limi-tata amnistia a coloro che erano fuggiti a seguito della sollevazione 27. Malgradoacute tensioni politiche, l’Alto Commissario Lindt prese contatto col nuovo gover-no. Come osservò più tardi un consulente giuridico dell’Unhcr: “L’umanità e il

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I rifugiati cinesi a Hong KongRiquadro 1.5

Gli inizi

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Situata sulla costa meridionale cinese,sotto amministrazione colonialebritannica dal 1842, Hong Kongdivenne luogo di rifugio duranteperiodi di turbolenza nella Cinacontinentale. La sua popolazione fuingrossata a dismisura da coloro checercavano di sfuggire alla ribellionedi Taiping negli anni 1850, allarivolta dei Boxer attorno al 1900, allarivoluzione che si concluse con lafondazione della Repubblica cinesenel 1912, e alla guerra sino-giapponese del 1937-45. Dopo lasconfitta delle forze britanniche adopera dei giapponesi nel dicembre1941, la popolazione di Hong Kongscese da oltre un milione a circa650mila, ma molti di quanti eranofuggiti durante l’occupazionegiapponese ritornarono quando, nel1945, fu ripristinatal’amministrazione britannica.

Nel 1949-50, agli abitanti ritornati siaggiunsero centinaia di migliaia dinuovi arrivati, in fuga davantiall’avanzata trionfale delle forzecomuniste nella Cina continentale.Molti di loro tornarono poi alle lorocase sul continente, quando furistabilita la pace. Nel 1953-54, lapopolazione di Hong Kong cominciò astabilizzarsi attorno ai 2,25 milioni diabitanti. Tale aumento, di più di trevolte in soli otto anni, mise a duraprova le infrastrutture locali.

Nel corso delle Assemblee generali del1951-52, il rappresentante cinesepresso le Nazioni Unite sollevò ilproblema dei nuovi arrivati. Comerisposta, nel 1954, l’Alto Commissariovan Heuven Goedhart inviò una“missione d’inchiesta”, finanziata dallaFondazione Ford, per indagare sullasituazione dei rifugiati cinesi a HongKong. Secondo il rapporto dellamissione, presentato nel 1954, nontutti i nuovi arrivati potevano essereconsiderati rifugiati con “un fondatotimore di persecuzione” i. Nel rapportosi individuavano circa 285mila personevenute a Hong Kong per “ragioni

politici, in teoria nulla impediva loro ditornarvi in condizioni di sicurezza, nelsenso che avrebbero potuto recarsi aTaiwan, dove aveva sede il governodella Repubblica cinese (riconosciutodalle Nazioni Unite fino al 1971). Sipoteva dunque affermare, a rigor dilogica, che i nuovi arrivati a HongKong non erano rifugiati, in quantogodevano della protezione del paesed’origine e potevano farvi ritorno. Inpratica, tuttavia, il numero di nuoviarrivati dalla Cina continentale, accoltidal regime nazionalista di Taiwan, erarelativamente modesto, anche se lamissione d’indagine aveva riferito cheoltre la metà dei nuovi arrivati avevaespresso il desiderio di esservireinsediata. Ciò era forse dovuto altimore delle autorità di Taiwan che inuovi venuti potessero cercare disovvertire il governo nazionalista. Infin dei conti, il regime di Taiwanaccolse, fra il 1949 e il 1954, oltre150mila rifugiati provenienti da HongKong e Macao.

Il Regno Unito aveva intantoriconosciuto il governo dellaRepubblica popolare cinese, insediato aPechino, e trattava direttamente conesso nel tentativo di frenare l’esodo dipopolazione dal continente verso HongKong. Avvenne così chel’atteggiamento del governo coloniale ela singolare situazione di alcuniresidenti di Hong Kong, cittadini delledue Cine allo stesso tempo, impedì unintervento più incisivo da partedell’Unhcr. Nondimeno, nel 1957,l’Assemblea generale dell’Onu chieseall’Unhcr di interporre i propri buoniuffici per reperire finanziamentidestinati all’assistenza dei rifugiaticinesi di Hong Kong: fu quello unprimo passo verso un interventodell’Unhcr in favore di rifugiatiextraeuropei ii. I fondi raccoltidall’Unhcr nel 1959-60, durante l’Annomondiale del rifugiato, furonoconvogliati in particolare versoprogrammi edilizi, realizzati daorganizzazioni volontarie a Hong Kong.

politiche”, corrispondenti al 53% degliimmigrati arrivati fra il 1945 e il 1952.La cifra saliva a 385mila se siincludevano i cosiddetti “rifugiati giàsul posto” (sur place, cioè coloro chein origine erano venuti per altrimotivi, ma che per ragioni politichenon volevano ritornare nelle località diprovenienza). Il numero era ancora piùalto se si consideravano tutti ifamiliari dei rifugiati, in particolare iconiugi, come pure i figli nati a HongKong. Includendo tutte questecategorie, circa il 30% dellapopolazione presente al momento dellamissione poteva essere classificata“rifugiata”. Ciò sembrò avallarel’ipotesi, allora largamente diffusa inEuropa e nel Nordamerica, secondo cuichiunque abbandonava uno statocomunista era potenzialmente unrifugiato.

Questa concezione relativamentelineare era complicata principalmenteda due fattori. Innanzitutto, la GranBretagna non riconosceva l’esistenza aHong Kong di un vero e proprioproblema di rifugiati. La grandemaggioranza dei nuovi arrivati,indipendentemente dai motivi per iquali era entrata nella colonia, si eraintegrata e poteva circolareliberamente. Fra di loro, meno di unterzo dei capifamiglia era registratopresso un ente per i rifugiati. Ibritannici ritenevano che, malgrado ilproblema del sovraffollamento e lascarsezza di certi servizi essenziali, lapopolazione cinese non subissediscriminazioni. L’unica eccezione albuon inserimento dei nuovi arrivatinella comunità locale era costituitadall’insediamento di Rennies Mill,abitato principalmente dasimpatizzanti del Guomindangprovenienti dal nord della Cina, cherimanevano separati dalla maggioranzadei cantonesi di Hong Kong.

Il secondo fattore era la singolaresituazione giuridica dei nuovi arrivati.Se è vero che centinaia di migliaia diloro avevano lasciato la Cina per motivi

coraggio di quel gesto contribuirono notevolmente a spezzare il quasi completo iso-lamento dell’Alto Commissariato nei confronti dei paesi socialisti, come anche afacilitare il ricongiungimento familiare e il grande movimento di rimpatrio cheebbero luogo nei mesi e negli anni successivi” 28.

Lindt si adoperò con ogni mezzo perché l’Unhcr potesse svolgere un ruolo posi-tivo nel rientro volontario dei rifugiati, anche mediante specifiche procedure messe apunto a tale scopo, sia in Austria che in Jugoslavia. Le missioni per il rimpatrio degliungheresi erano sempre accompagnate da funzionari dell’Unhcr che parlavano la lin-gua, e i rifugiati che desideravano tornare in patria erano accompagnati alla frontierada personale dell’organizzazione. Nel gennaio 1958, quando su invito del governoungherese Lindt si recò in visita a Budapest, incontrò alcuni rimpatriati 29. Nel com-plesso, rientrarono in Ungheria circa 18.200 rifugiati, poco più del 9% del totale.

Il problema dei minori non accompagnati

Una questione particolarmente controversa fu quella dei “minori non accompagna-ti”, allora spesso chiamati “minori separati”. Quando dei bambini rifugiati fuggo-no isolatamente oppure, durante la fuga, si ritrovano separati dalla famiglia, sonoestremamente vulnerabili. Per tali bambini e ragazzi, l’accertamento dello status dirifugiato è difficile ma importante, dato che un minore rientra nel mandatodell’Unhcr solo se può essere considerato rifugiato.

Nel novembre 1956, le autorità ungheresi chiesero al governo austriaco di farrimpatriare i minori non accompagnati di età inferiore ai 18 anni. La questione fudiscussa in una riunione d’emergenza, convocata a Ginevra il 13 dicembre, fral’Unhcr e il Cicr. Fu deciso che i ragazzi di età inferiore ai 14 anni dovessero essererimpatriati, se entrambi i genitori si trovavano in Ungheria e se ne chiedevano ilritorno. In seguito, la distinzione basata sull’età fu abbandonata. Le richieste dove-vano essere presentate per iscritto al Cicr che, a differenza dell’Unhcr, era rappre-sentato sia in Austria che in Ungheria.

Sin dall’inizio, era previsto che potessero insorgere problemi se i genitori nonpotevano essere rintracciati, se solo uno di loro era in vita, ovvero se il minore eraorfano. In tali casi, si doveva prendere in considerazione il vero interesse del ragaz-zo. Le autorità giudiziarie del paese interessato erano ritenute competenti in mate-ria 30. Sussisteva, però, un difficile problema, se entrambi i genitori chiedevano ilritorno in Ungheria del minore, ma questo vi si opponeva. In molte occasioni, neglianni successivi, l’Unhcr si sarebbe trovato di fronte ad analoghi problemi, riguar-danti i minori non accompagnati.

Colmare il fossato fra Est e Ovest

Nell’aprile 1961, Lindt riferì al Comitato esecutivo dell’Unhcr che, grazie ai pro-gressi realizzati per dare soluzione al problema dei rifugiati ungheresi, “non era piùnecessario trattare tali rifugiati come un gruppo a parte” 31. A seguito dell’operazio-ne d’emergenza in aiuto ai rifugiati ungheresi, la notorietà internazionaledell’Unhcr era notevolmente cresciuta. Se negli anni ’50 ci fu un momento partico-larmente qualificante per l’organizzazione, fu la crisi dei rifugiati ungheresi.

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In particolare, a partire dal 1956 l’atteggiamento del governo degli Stati Unitinei confronti dell’Unhcr cambiò in meglio. In realtà, la cosa più singolare della crisifu l’acquiescenza passiva dei paesi occidentali, davanti a quello che consideravanoun fatto compiuto sovietico. Sotto tale aspetto, come per molte delle crisi altamen-te mediatiche in cui l’Unhcr sarebbe stato coinvolto negli anni successivi, i governidi Londra, Parigi, Washington e di altre capitali furono sollevati nel constatare che“si stava facendo qualcosa”.

La crisi ungherese fu importante per l’Unhcr perché, per la prima volta, aprivaall’organizzazione le porte del mondo comunista, sia in Jugoslavia che nella stessaUngheria. Ciò fu largamente merito del modo in cui l’Alto Commissario Lindt gestì, sulpiano politico e diplomatico, la crisi. Uno dei principali risultati conseguiti da Lindt fuquello di fornire assistenza a paesi del mondo comunista, assicurandosi al tempo stessoil sostegno del mondo occidentale e, in particolare, degli Stati Uniti. Al precedente scet-ticismo americano nei riguardi dell’Unhcr succedette il riconoscimento della necessitàdi un organismo internazionale dotato di specifiche competenze per i rifugiati.

La crisi dei rifugiati ungheresi fu la prima grande emergenza in cui l’Unhcr sitrovò impegnato. Mise in risalto l’esigenza di mantenere un sistema internazionaleper far fronte, sul nascere, alle emergenze di rifugiati. Durante la crisi, l’Unhcr avevasvolto un ruolo d’importanza fondamentale come organismo coordinatore, mante-nendo il collegamento non solo con i governi, ma anche con organizzazioni inter-governative e non governative. La crisi aveva anche dimostrato, con notevole chia-rezza, lo stretto legame esistente tra le varie funzioni dell’Unhcr: non solo la prote-zione internazionale e gli aiuti materiali, ma anche la ricerca di soluzioni perma-nenti al fenomeno dei rifugiati.

Il modo in cui l’Unhcr aveva gestito l’emergenza ungherese ebbe grande peso perinfluenzare, l’anno successivo, una risoluzione dell’Assemblea generale che ricono-sceva la dimensione planetaria del problema dei rifugiati 32.Tale risoluzione prevede-va la creazione di un fondo d’emergenza. Istituiva, inoltre, il Comitato esecutivo delprogramma dell’Alto Commissariato, incaricato di approvare il programma annualedi aiuti materiali e di fornire pareri all’Alto Commissario, dietro sua richiesta, inmerito a questioni riguardanti le funzioni di protezione e assistenza dell’organizza-zione. Queste due modifiche organizzative testimoniavano una più vasta accettazio-ne della funzione permanente dell’Unhcr, ulteriormente consolidata, nel 1959-60,dall’Anno mondiale del rifugiato. Fra l’altro, questo pubblicizzò non solo l’attivitàdell’Unhcr in Europa, ma anche il suo intervento in aiuto dei rifugiati cinesi fuggitia Hong Kong [cfr. riquadro 1.5] e dei rifugiati algerini in Marocco e Tunisia.

L’attività dell’Unhcr in favore dei rifugiati cinesi a Hong Kong segnò un’impor-tante svolta nell’evoluzione del lavoro dell’organizzazione. Fu in difesa di tale grup-po specifico che, nel novembre 1957, l’Assemblea generale dell’Onu chieseall’Unhcr di interporre i propri “buoni uffici” per reperire fondi destinati ad aiuta-re un gruppo di rifugiati extraeuropei 33. Per quanto, in fin dei conti, gli aiuti neces-sari fossero relativamente modesti, dato che i rifugiati si integrarono rapidamentenell’economia del territorio britannico, in piena espansione, la richiesta costituì unprecedente importante per l’intervento nei paesi del Terzo Mondo. Per la primavolta, l’organizzazione era preparata ad affrontare delle crisi di rifugiati di grandiproporzioni, non solo in Europa ma anche in altri continenti.

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